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Gramsci non può parlare: presentazioni e interpretazioni del concetto gramsciano di subalterno di Marcus E. Green 1 Il concetto gramsciano di subalterno, come molti concetti di Gramsci, viene spesso riferito ad altri, e da altri fatto proprio, ma raramente definito o ana- lizzato in modo sistematico all’interno dell’opera dello stesso Gramsci. In effetti, la nozione gramsciana di subalternità viene spesso fraintesa e fatta propria in maniera indebita. La ragione principale di tale fraintendimento è dovuta al fatto che molti studiosi e critici dell’opera di Gramsci che leg- gono l’inglese si sono basati soprattutto o esclusivamente sulle Selections from the Prison Notebooks 2 di Quintin Hoare e Geoffrey Smith. Le Selections includono solo poche fra le note gramsciane sull’argomento, e poiché esse appaiono in una sezione che comprende anche alcune fra le note sul Ri- sorgimento italiano, sotto il titolo Notes on Italian History, sembrerebbe che l’interesse del pensatore per il concetto di subalterno sia collegato alla sua analisi del Risorgimento; in realtà invece l’attenzione per la subalter- nità si inserisce nella sua indagine generale sulla storia, politica e cultura italiane e sulla relazione tra Stato e società civile. Dalle note incluse nelle Selections, il fatto che Gramsci abbia scritto parecchie note sul tema e che abbia dedicato un intero quaderno a tale concetto non risulta evidente, e neppure viene suggerito. Nei Quaderni del carcere la nozione gramsciana di gruppi sociali subal- terni non appare subito come un concetto chiaramente definito; Gramsci lo sviluppa nel corso di un certo periodo di tempo. Nel primo Quaderno (1929-1930) utilizza il termine “subalterni” in senso letterale 3 , riferendosi a gruppi di sottufficiali subordinati all’autorità di luogotenenti, colonnelli * Dove è stato ritenuto opportuno, le note sono state integrate con il corrispettivo bibliografico italiano [N.d.T.]. 1 Il presente saggio è stato pubblicato in: “Rethinking Marxism”, vol. 14, no. 3 (Fall 2002), 1-24. 2 A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, eds. Q. Hoare, G. Nowell Smith, New York, International Publishers, 1971. 3 Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975: Q 1, § 48;, § 54.

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Gramsci non può parlare: presentazioni e interpretazioni del concetto gramsciano di subalterno di Marcus E. Green1 Il concetto gramsciano di subalterno, come molti concetti di Gramsci, viene spesso riferito ad altri, e da altri fatto proprio, ma raramente definito o ana-lizzato in modo sistematico all’interno dell’opera dello stesso Gramsci. In effetti, la nozione gramsciana di subalternità viene spesso fraintesa e fatta propria in maniera indebita. La ragione principale di tale fraintendimento è dovuta al fatto che molti studiosi e critici dell’opera di Gramsci che leg-gono l’inglese si sono basati soprattutto o esclusivamente sulle Selections from the Prison Notebooks2 di Quintin Hoare e Geoffrey Smith. Le Selections includono solo poche fra le note gramsciane sull’argomento, e poiché esse appaiono in una sezione che comprende anche alcune fra le note sul Ri-sorgimento italiano, sotto il titolo Notes on Italian History, sembrerebbe che l’interesse del pensatore per il concetto di subalterno sia collegato alla sua analisi del Risorgimento; in realtà invece l’attenzione per la subalter-nità si inserisce nella sua indagine generale sulla storia, politica e cultura italiane e sulla relazione tra Stato e società civile. Dalle note incluse nelle Selections, il fatto che Gramsci abbia scritto parecchie note sul tema e che abbia dedicato un intero quaderno a tale concetto non risulta evidente, e neppure viene suggerito.

Nei Quaderni del carcere la nozione gramsciana di gruppi sociali subal-terni non appare subito come un concetto chiaramente definito; Gramsci lo sviluppa nel corso di un certo periodo di tempo. Nel primo Quaderno (1929-1930) utilizza il termine “subalterni” in senso letterale3, riferendosi a gruppi di sottufficiali subordinati all’autorità di luogotenenti, colonnelli

* Dove è stato ritenuto opportuno, le note sono state integrate con il corrispettivo bibliografico italiano [N.d.T.]. 1 Il presente saggio è stato pubblicato in: “Rethinking Marxism”, vol. 14, no. 3 (Fall 2002), 1-24. 2 A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, eds. Q. Hoare, G. Nowell Smith, New York, International Publishers, 1971. 3 Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975: Q 1, § 48;, § 54.

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M. E. Green, Gramsci non può parlare: presentazioni e interpretazioni del concetto gramsciano di subalterno, in Mauro Pala (a cura di), Americanismi. Sulla ricezione del pensiero di Gramsci negli Stati Uniti (Cagliari: Centro di Studi Filologici Sardi, 2009), pp. 71-102.
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e generali. In note successive, utilizza il termine in senso figurato, in cir-costanze di tipo non militare, riferendosi a posizioni di subordinazione o di status inferiore. Per esempio, verso la fine del Quaderno 1, egli afferma che la Chiesa “non è più una potenza ideologica mondiale, ma solo una forza subalterna”4. Nel Quaderno 4, fa un’interessante annotazione su come studiare le opere e note incompiute di Marx, la cui edizione fu cura-ta da Engels dopo la morte del primo. Gramsci non mette in dubbio l’“assoluta lealtà personale” di Engels verso Marx, ma solleva la questione che egli abbia “scarsa capacità teoretica (o per lo meno una […] posizione subalterna in confronto a Marx)”5. È in tale senso figurato o metaforico che Gramsci usa il termine “subalterno”, riferendosi a gruppi o classi so-ciali subordinate. Nel Quaderno 3, utilizza per la prima volta questa paro-la riguardo alla classe sociale. Scrive: “Le classi subalterne subiscono l’iniziativa della classe dominante, anche quando si ribellano; sono in ista-to di difesa allarmata”6. È in questo senso che i gruppi subalterni sono su-bordinati alle politiche e iniziative di un gruppo dominante.

Tra il 1929 e il 1930, Gramsci scrisse diverse note relative ai gruppi su-bordinati nei quaderni che contenevano note miscellanee; poi nel 1934 iniziò il Quaderno 25, uno “speciale” quaderno tematico dedicato esclusi-vamente ad essi, e intitolato Ai margini della storia (Storia dei gruppi socia-li subalterni). Qui cominciò a copiare, raggruppare, riscrivere ed espande-re le note contenute nei quaderni precedenti7. Nel Quaderno 25, Gramsci

4 Ivi: Q 1, § 139, 127. 5 Ivi: Q 4, § 1, 420. 6 Ivi: Q 3, § 14, 300. 7 A tutt’oggi, sono state tradotte in inglese dall’originale italiano solo quattro delle otto note presenti nel Quaderno 25:, § 1 (A. GRAMSCI, Further Selections from the Prison Notebooks, ed. and trans. D. Boothman, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1995, 50-55), § 2 e, § 5 (A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 52-55), e, § 7 (A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, eds. D. Forgacs and G. Nowell Smith, trans. W. Boelhower, Harvard U.P., 1991, 238-241). Comunque, nei primi due volumi della traduzione critica in inglese dei Quaderni ad opera di Joseph A. Buttigieg, Prison Notebooks, vol. 1 (trans. J. A. Buttigieg, A. Callari, New York, Columbia University Press, 1992) e vol. 2 (trans. J. A. Buttigieg, New York, Columbia University Press, 1996) sono state pubblicate tutte le note dei Quaderni 1 e 3, che Gramsci scrisse tra il 1929 e il 1930. Buttigieg, seguendo l’edizione critica italiana di Valentino Gerratana, si riferisce alle note di prima stesura come “A texts” ed alle loro revisioni, che appaiono nei Quaderni di scrittura più recente, come “C texts” (J. A. BUTTIGIEG, Introduction, in A. GRAMSCI, Prison Notebooks, vol. 1, cit., XV, 366). Perciò in alcune citazioni dal Quaderno 25 faccio riferimento ai “testi A”, originali e di prima stesura, come appaiono nella traduzione di Buttigieg, e fornisco altri rimandi quando opportuno. Va in ogni caso messo in evidenza che

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identifica come gruppi sociali subalterni gli schiavi, i contadini, i gruppi religiosi, le donne, le razze diverse e il proletariato8. La sua attenzione sto-rica si focalizza sull’antica Roma, i Comuni medievali, lo Stato moderno, oltre che su una discussione circa la borghesia come gruppo subordinato che ha trasformato la propria condizione socio-politica dopo il Risorgi-mento. Molte delle note presenti nelle sedici pagine del quaderno sono ampie, mentre altre forniscono dei brevi promemoria e riferimenti bi-bliografici su materiale che Gramsci con tutta probabilità progettava di leggere o rileggere nel corso del suo studio. Poiché egli dedicò del tempo ad organizzare e riscrivere le note in un quaderno a sé stante, si può ipo-tizzare che le sue idee e i suoi pensieri sul tema fossero in evoluzione, che avesse in programma di espandere il proprio lavoro e fosse interessato a realizzare una vera e propria storia di tali gruppi.

Nell’esaminare il concetto gramsciano di subalterno, come per la mag-gior parte degli scritti di Gramsci, bisogna tenere conto del fatto che egli non poté completare la sua analisi. A causa dello stato di detenzione, non aveva accesso ai libri ed ai documenti storici necessari, e quando fu in grado di procedere con il materiale a disposizione si trovava sotto sorve-glianza e in cattive condizioni di salute. Da questo punto di vista, egli produsse il suo lavoro in una condizione subalterna o subordinata; era sottoposto alle autorità carcerarie e al governo fascista, e non poteva lavo-rare liberamente. Perciò, andrebbe tenuto a mente che le note di Gramsci su questa materia, come tutte le sue note del carcere, sono per l’appunto questo: annotazioni. Sono frammentarie, incomplete e criptiche, ma con-tengono grandi intuizioni. Comunque, nonostante Gramsci non abbia scritto la sua ultima parola sul subalterno, ha lasciato una considerevole quantità di scritti che possono permetterci di comprendere, parzialmente, la sua visione del concetto. E tuttavia, poiché le note non sono complete, è opportuno cercare di comprendere l’idea gramsciana di subalterno te-

Gramsci, nel copiare queste note nel Quaderno 25, fece diverse revisioni. Vi sono dunque alcune differenze tra le note di prima e di seconda stesura, queste ultime contenute nel Quaderno 25. 8 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit.: Q 25, 2279-2294. Si veda anche A. GRAMSCI, Prison Notebooks, vol. 2, cit., Q 3, § 12; § 18; § 90; § 98; § 99. Per la visione gramsciana delle donne, si veda The Sexual Question (in A. GRAMSCI, Prison Notebooks, vol. 1, cit., 170-171), (A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 294-297). Cfr. La quistione sessuale, in A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit.: Q 22, § 3, 2147-2150. Inoltre, la sua critica su Casa di bambola di Ib-sen (in A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, cit., 70-73); cfr. La morale e il costume (Casa di bambola di Ibsen al Carignano), “Avanti!”, edizione piemontese, 22 marzo 1917.

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nendo conto della totalità dei Quaderni del carcere e della traiettoria com-plessiva del suo pensiero.

L’interesse di Gramsci per i subalterni era di triplice natura. Dalle no-te, appare chiaro che desiderasse elaborare una metodologia della storio-grafia subalterna, una storia delle classi subordinate e una strategia politi-ca di trasformazione basata sull’evoluzione storica e sull’esistenza di tali gruppi. Questo triplice approccio crea una connessione dove convergono molteplici concetti gramsciani. Nella sua analisi della storia subalterna vengono prese in considerazione storia, politica, critica letteraria e prassi culturali. Nelle sue note, Gramsci è interessato a come siano nati i subal-terni, quali relazioni sociopolitiche abbiano causato la loro formazione, quale potere politico detengano, come siano rappresentati nella storia e nella letteratura e come possano trasformare la loro coscienza e, di conse-guenza, la condizione da loro vissuta. In questo senso, l’idea di subalterni-tà è in correlazione con altri concetti, pensieri e strategie gramsciane per una radicale trasformazione socio-politica. Per capire la visione gramscia-na del concetto, bisogna comprendere come il subalterno sia in relazione con il pensiero di Gramsci nel suo complesso. In effetti, isolare questa no-zione considerandola avulsa dal resto del suo pensiero rappresenta un compito difficile, se non impossibile. L’indagine che egli conduce su tale aspetto è infatti strettamente collegata alle sue analisi politiche, sociali, in-tellettuali, letterarie, culturali, filosofiche, religiose ed economiche.

Società Politica + Società Civile = “Stato Integrale” Nonostante Gramsci non abbia sviluppato il concetto di “subalternità” fino a che non si trovò in prigione, il suo interesse per la condizione di subalternità è già evidente negli scritti pre-carcere, specie nel suo ultimo – quantunque incompiuto – saggio scritto prima dell’arresto: Alcuni temi della quistione meridionale9. Nella Quistione meridionale, l’analisi gram-sciana si concentra sulle strutture sociali e di classe del Sud Italia, con rife-rimento agli intellettuali meridionali, e nello specifico alla funzione svolta dagli intellettuali nel perpetuare gli interessi dei gruppi sociali dominanti.

9 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, trans. and ed. Q. Hoare, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1977, 441-462. Cfr. inoltre A. GRAMSCI, Alcuni temi della qui-stione meridionale, in La questione meridionale, a cura di F. De Felice, V. Parlato, Roma, Editori Riuniti, 2005, 155-190.

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Quando Gramsci concepì il proprio progetto di studio dopo l’arresto, lo pensò come prosecuzione ed elaborazione della tesi esposta nella Quistio-ne meridionale, ampliata però in modo tale da includere praticamente tut-ti gli aspetti della società e della storia italiane10. In carcere, durante questa vasta indagine, Gramsci ampliò la propria analisi degli intellettuali e ride-finì le proprie concezioni di Stato e società civile, che egli vedeva come uno “Stato integrale” unificato. Attraverso l’analisi di Gramsci dello Stato integrale, cominciano ad emergere nei Quaderni del carcere molti concetti fondamentali, tra cui “egemonia” e “subalternità”. Per molti versi, la de-finizione e visione gramsciana di “subalternità” si ricollega direttamente alla sua concezione di egemonia e a quelle di Stato e società civile (o Stato integrale).

Nel saggio Alcuni temi della quistione meridionale, Gramsci descrive il Sud come “un grande blocco agrario”, “una grande disgregazione socia-le”, divisa in strati sociali: “la grande massa contadina, amorfa e disgrega-ta, gli intellettuali della piccola borghesia rurale, i grandi proprietari ter-rieri e i grandi intellettuali”11. Egli asserisce che “i contadini meridionali sono in perpetuo fermento, ma …incapaci di dare un’espressione centra-lizzata alle loro aspirazioni e ai loro bisogni”, perché sono collegati politi-camente ai grandi proprietari attraverso la mediazione degli intellettuali12. Secondo Gramsci, ciò è avvenuto perché i grandi intellettuali meridionali, come Giustino Fortunato e Benedetto Croce, che rappresentano la cultura alta europea e punti di vista universali, si dissociano dalle radici culturali del Sud e dagli interessi delle masse. Poiché i grandi intellettuali esercita-no un’influenza così enorme, gli intellettuali dello strato medio, collegati con la borghesia rurale, trovano sostegno per le loro idee reazionarie e an-tipatie verso i contadini, le quali a loro volta favoriscono lo status quo. Ad esempio, Gramsci attribuisce il placarsi delle tendenze radicali nel Meri-dione all’influenza di Fortunato e Croce. Con il loro influsso, Fortunato e Croce poterono garantire che l’impostazione dei problemi meridionali “non soverchiasse certi limiti, non diventasse rivoluzionaria”, distoglien-do gli intellettuali meridionali dalla ribellione e indirizzandoli verso “una

10 J. A. BUTTIGIEG, Gramsci on Civil Society, in “Boundary 2”, 22, (3), 1995, 1-32. 11 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 454. Cfr. A. GRAMSCI, La que-stione meridionale, cit., 176-177. 12 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 454; 456. Cfr. A. GRAMSCI, La questione meridionale, cit., 177; 180.

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linea media di serenità classica del pensiero e dell’azione”13. “In questo senso”, scrive Gramsci, “Benedetto Croce ha compiuto una altissima fun-zione nazionale; ha distaccato gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed eu-ropea, e attraverso questa cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia na-zionale e quindi dal blocco agrario”14.

L’importanza dell’analisi offerta da Gramsci in Alcuni temi della qui-stione meridionale è che egli vi diventa consapevole della funzione integra-le svolta dagli intellettuali nella direzione politica; essi forniscono un ele-mento non coercitivo di consenso nel dominio politico che lo Stato non può realizzare da solo. Cioè gli intellettuali provvedono ad un rafforza-mento non coercitivo dello Stato, così come del potere e dell’autorità dei gruppi dominanti. Questa scoperta allontana Gramsci dall’idea di Stato limitata e strumentalista che aveva prima di scrivere Alcuni temi della qui-stione meridionale. Nelle opere precedenti, egli tende a vedere lo Stato come “il protagonista della storia”, come l’ambito in cui i gruppi sociali dirigenti o dominanti mantengono il loro potere e conformano la società alla loro concezione del mondo e al loro modo di vivere attraverso un po-tere e una direzione coercitivi e legittimizzati15. In Alcuni temi della qui-stione meridionale Gramsci si distacca dall’idea che il potere sia concentra-to nello Stato e che l’obiettivo della lotta rivoluzionaria sia quello di con-quistare il potere statuale. Questo cambiamento di ottica gli fornisce la base per espandere il proprio concetto di “Stato” e sviluppare la propria nozione di “egemonia”, a cui si dedicherà negli scritti del carcere.

In varie lettere dal carcere alla cognata Tatiana Schucht, Gramsci ha descritto il lavoro che impostava nei suoi quaderni e gli argomenti che progettava di studiare. In una lettera del 19 marzo 1927, dice a Tatiana di voler iniziare un lavoro che sia für ewig (‘per sempre’) e includa “una ri-cerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti se-condo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare, ecc. ecc”.

13 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 459-460. Cfr. A. GRAMSCI, La questione meridionale, cit., 185-186. 14 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 460. Cfr. A. GRAMSCI, La que-stione meridionale, cit., 186. 15 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1910-1920, ed. Q. Hoare, trans. J. Mathews, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1977, 73-74. Cfr. inoltre La conquista dello Stato, 12 luglio 1919, in A. GRAMSCI, L’ordine nuovo, Torino, Einaudi, 1987, 128. Si veda anche A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1910-1920, cit., 39-40 e A. GRAMSCI, Pre-Prison Writings, ed. R. Bellamy, trans. V. Cox, Cambridge, Cambridge U.P., 1994, 56.

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Questa ricerca, annota Gramsci, avrebbe compreso un ampliamento della tesi esposta in Alcuni temi della quistione meridionale16. All’inizio del feb-braio 1929, Gramsci cominciò il primo Quaderno con una lista di sedici argomenti principali tra cui, fra l’altro, uno studio sullo sviluppo della borghesia italiana, la formazione degli intellettuali italiani e la “quistione meridionale.” Poco più di due anni dopo, scrisse a Tatiana descrivendo i progressi del proprio lavoro, che includeva ora un concetto allargato di “Stato”, a cui egli si riferiva come “Stato integrale”, l’idea cioè che lo Stato rappresenti sia la società politica che la società civile. Questa nozione al-largata di Stato fornisce una spiegazione per il ruolo degli intellettuali nel processo politico e per la loro relazione con la posizione politica di potere del gruppo dominante. Come Gramsci spiega a Tatiana: “Lo studio che ho fatto sugli intellettuali è molto vasto [...] D’altronde io estendo molto la nozione di intellettuale e non mi limito alla nozione corrente che si ri-ferisce ai grandi intellettuali. Questo studio porta anche a certe determi-nazioni del concetto di Stato che di solito è inteso come Società politica (o dittatura, o apparato coercitivo per conformare la massa popolare secon-do il tipo di produzione e l’economia di un momento dato) e non come un equilibrio della Società politica con la Società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull’intiera società nazionale esercitata attraverso le orga-nizzazioni così dette private, come la chiesa, i sindacati, le scuole ecc.) e appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali (Ben. Croce, per es., è una specie di papa laico ed è uno strumento efficacissimo di egemonia anche se volta per volta possa trovarsi in contrasto con que-sto o quel governo ecc.)”17.

Gramsci prosegue affermando che questa concezione degli intellettuali chiarisce una delle ragioni per la caduta dei Comuni medievali. Il gover-no, come classe economica, “non seppe crearsi la propria categoria di in-tellettuali e quindi esercitare un’egemonia oltre che una dittatura”. I Co-muni, in questo senso, erano “sindacalisti” e non integrali, perché al go-

16 A. GRAMSCI, Letters from Prison, vol. 1, ed. F. Rosengarten, trans. R. Rosenthal, New York, Columbia U.P., 1994, 82-85. Cfr. inoltre Lettera a Tatiana Schucht, 19 marzo 1927, in A. GRAM-

SCI, Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, 1971, 34-37. Gramsci lavorò alla bozza di Alcuni temi della quistione meridionale tra settembre e novembre 1926. Fu arrestato l’8 novembre 1926. Quindi dopo quasi sei mesi dall’inizio di stesura della bozza volle espandere il tema centrale del saggio. 17 A. GRAMSCI, Letters from Prison, vol. 2, ed. F. Rosengarten, trans. R. Rosenthal, New York, Columbia U.P., 1994, 67. Cfr. inoltre Lettera a Tatiana Schucht, 7 settembre 1931, in A. GRAM-

SCI, Lettere dal carcere, cit., 166.

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verno, anche se deteneva il potere, mancava l’egemonia all’interno della società civile18.

Per Gramsci lo Stato, nel suo significato integrale ampliato, consiste sia di società politica che di società civile. La società politica in questo caso comprende gli elementi della nozione limitata di Stato o l’idea di Stato giuridico-amministrativo: il governo, l’esercito, la polizia, la magistratura etc. La società politica per molti versi rappresenta il concetto di “Stato” formulato da Gramsci nelle prime opere pre-carcere. La società civile, d’altra parte, costituisce le organizzazioni volontarie all’interno della so-cietà, “cioè […] l’insieme di organismi volgarmente detti privati”, come sindacati, chiese, associazioni culturali, giornali, case editrici, partiti poli-tici etc.19. La concezione gramsciana di società civile è diversa da quelle di Hegel e Marx, nel senso che la società civile per loro indica la sfera delle relazioni economiche, mentre Gramsci vede la struttura economica come la forma sottostante sia della società politica che di quella civile20. In ter-mini metaforici, le relazioni economiche sono strutturali e la società poli-tica e civile sono superstrutturali, ma per Gramsci la superstruttura è de-terminata da forze sia economiche che politiche21. Inoltre, egli insiste sul fatto che società politica e civile non sono due sfere separate; esse forma-no un’unità organica, in quanto sono entrambe elementi della società moderna. In realtà, scrive Gramsci, “la distinzione [tra società politica e società civile] è puramente metodica, non organica e nella concreta vita storica società politica e società civile sono una stessa cosa”22. Questo per-ché nella vita concreta esistono sia la società politica che quella civile; le istituzioni pubbliche e governative della società politica esistono accanto

18 Ibidem. 19 Q 12, § 1; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 12. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 12, § 1, 1518. 20 Q 10, § 15; A. GRAMSCI, Further Selections from the Prison Notebooks, cit., 167. Cfr. inoltre A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 10, § 15, 1253-1254. Si vedano anche E. MORERA, Gramsci’s Historicism, London and New York, Routledge, 1990, 180 e R. SIMON, Gramsci’s Political Thought, London, Lawrence and Wishart, 1991, 71-72. È opportuno osservare che il concetto di società civile appare nelle prime opere di Marx, come Sulla questione ebraica e L’ideologia tedesca, ma in seguito il termine “società civile” viene sostituito con “rapporti di produzione”. Marx spiega ciò nella prefazione a Contributo alla critica dell’economia politica (Cfr. Marx-Engels Reader, ed. R. C. Tucker, New York, W. W. Norton, 1978, 3-6). 21 Q 13, § 17; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 177-185. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 13, § 17, 1578-1589. Si veda anche E. MORERA, Gramsci’s Historicism, cit., 150-160. 22 Q 4, § 38. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 4, § 38, 460.

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alle organizzazioni private della società civile. Sono due aspetti di un’uni-ca organizzazione sociale e, come vedremo più avanti, lo Stato controlla per molti versi lo sviluppo e l’organizzazione della società civile. Perciò in un’analisi storico-sociale di tipo ampio società politica e società civile co-stituiscono un’unità organica.

In base all’analisi gramsciana lo Stato, anche nel suo significato inte-grale ampliato, rimane comunque uno strumento di dominio di classe. Tuttavia il dominio in questo senso non è un puro dominio giuridico o politico, come nel caso della nozione limitata di Stato. Nella società mo-derna, il puro dominio politico è un requisito necessario – ma non suffi-ciente – perché i gruppi sociali dirigenti mantengano il potere. Secondo Gramsci, i gruppi dirigenti che controllano la società politica debbono anche esercitare un certo grado di egemonia in quella civile affinché i gruppi subalterni acconsentano alla propria condizione subordinata e all’autorità dei gruppi dirigenti. La società civile, a questo proposito, è la sfera dello Stato integrale dove i gruppi sociali dirigenti o dominanti fab-bricano, organizzano e mantengono il consenso promuovendo la propria egemonia, cioè la propria ideologia, filosofia, i propri modi di vivere etc. In questo senso la società civile non è interamente un ambito di libera e-spressione o organizzazione, come nella concezione liberale. In effetti la concezione gramsciana è ben diversa da quella liberale. Nell’ideologia li-berale la società civile è vista come un ambito non governativo di libertà, mentre per Gramsci la società civile è un ambito di egemonia23. Contiene gli elementi culturali del conformismo, per cui i valori e l’ideologia di un gruppo dominante diventano i valori dominanti di tutta la società. In de-finitiva, per Gramsci, la società civile è altrettanto politica quanto la socie-tà politica. La società civile, egli scrive, “opera senza sanzioni e senza ob-bligazioni tassative, ma non per tanto esercita una pressione collettiva e ottiene risultati obbiettivi di elaborazione nei costumi, nei modi di pensa-re e di operare, nella moralità ecc”24.

Per molti aspetti società civile e società politica hanno un rapporto re-ciproco. Si sostengono e rafforzano a vicenda. L’egemonia all’interno del-la società civile suffraga l’autorità del gruppo dominante sulla società po-litica, e gli apparati giuridici della società politica tutelano l’egemonia del

23 Cfr. J. A. BUTTIGIEG, Gramsci on Civil Society, cit. 24 Q 13, § 7; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 242-243. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 13, § 7, 1566.

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gruppo dominante all’interno della società civile mediante misure coerci-tive. Gli apparati di coercizione della società politica, come il diritto, i tri-bunali e la polizia, possono disciplinare quei gruppi che non acconsento-no, né attivamente né passivamente, al potere e all’egemonia del gruppo dominante25. In linea di principio il diritto è uno strumento coercitivo per dirigere la società civile, per “creare un conformismo sociale che sia utile alla linea di sviluppo del gruppo dirigente”26. Gramsci aveva com-preso il rapporto reciproco tra società politica e civile attraverso la propria esperienza politica personale. La sua incarcerazione per opera del governo fascista di Mussolini esemplifica le misure estreme che un gruppo domi-nante prende nel tentativo di proteggere la propria autorità ed egemonia all’interno della società civile, servendosi degli apparati di coercizione del-lo Stato per impedire fisicamente a leader e intellettuali le loro lotte con-tro-egemoniche. Un gruppo dominante può dichiarare illegali il partito, i giornali, il diritto di associazione e riunione di un gruppo di opposizione, come fecero i fascisti nei confronti dei comunisti27. In questo senso, lo Stato integrale non è solo società politica + società civile, ma è anche “dit-tatura + egemonia”; o, come spiega Gramsci, “è da notare che nella no-zione generale di Stato entrano elementi che sono da riportare alla nozio-ne di società civile (nel senso, si potrebbe dire, che Stato = società politica + società civile, cioè egemonia corazzata di coercizione)”28. In termini ba-silari, l’egemonia è tutelata dalla coercizione e la coercizione è tutelata dall’egemonia, ed entrambe tutelano la posizione politica ed economica del gruppo dominante.

Il concetto di Stato integrale formulato da Gramsci non è in contrad-dizione con il suo precedente concetto di Stato. Piuttosto, la nozione di Stato integrale rappresenta un’elaborazione e un ampliamento della sua analisi precedente. Come scrisse nel 1919, e come succitato, egli vedeva lo Stato come “il protagonista della storia” e lo strumento della lotta di clas-se, in cui i gruppi sociali dirigenti formano un’unità per mantenere il loro potere e la loro preminenza attraverso gli “organi” di coercizione dello

25 Q 12, § 1; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 12-13. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 12, § 1, 1518-1519. 26 Q 6, § 84; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 195. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 6, § 84, 757. 27 Si veda A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 285-292; A. GRAMSCI, Pre-Prison Writings, cit., 230-233. 28 Q 6, § 88; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 262-263. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 6, § 88, 763-764.

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Stato. La società civile, nella sua concezione integrale, realizza le medesi-me finalità attraverso gli strumenti dell’egemonia e del consenso. In que-sto senso, il potere politico non è solo forza ma forza + consenso, l’unità di società politica e civile. Come scrive Gramsci nel Quaderno 25 riguardo allo studio dei gruppi subalterni: “L’unità storica delle classi dirigenti av-viene nello Stato e la storia di esse è essenzialmente la storia degli Stati e dei gruppi di Stati. Ma non bisogna credere che tale unità sia puramente giuridica e politica, sebbene anche questa forma di unità abbia la sua im-portanza e non solamente formale: l’unità storica fondamentale, per la sua concretezza, è il risultato dei rapporti organici tra Stato o società poli-tica e «società civile»”29.

Metodo e metodologia gramsciani della storiografia subalterna Gramsci, come per molti altri suoi concetti e idee, analizza i subalterni nei loro particolari contesti storici. Il suo metodo è in qualche modo simile a quello di Machiavelli, nel senso che analizza la storia nel tentativo di tro-vare testimonianza di certe norme, tendenze e schemi. Come sottolineato da Joseph A. Buttigieg nella sua introduzione ai Prison Notebooks, Gram-sci incorpora nei vari passi dei Quaderni eventi, informazioni ed osserva-zioni particolari per avvalorare e formulare conclusioni e teorie generali30. Nel Quaderno 3 Gramsci afferma che è compito del teorico incorporare nella propria teoria, dandone conto, nuove testimonianze particolari, e se le testimonianze non sono conformi alla teoria egli deve modificare quest’ultima. Il teorico, spiega, deve “tradurre in linguaggio teorico gli e-lementi della vita storica, e non viceversa la realtà presentarsi secondo lo schema astratto”, in quanto, come fa notare riferendosi all’ultima ipotesi, “questo non avverrà mai”31. Il tipo di “linguaggio teorico” che Gramsci ha in mente si fonda su categorie “storicamente determinate”, ricavate dagli sviluppi storici concreti e che diano conto dell’autentica pratica sociale, anziché essere schemi “arbitrari”, “puri” o “astratti”, completamente a-vulsi dalla realtà storica32. Da questo punto di vista, Gramsci ha un ap-

29 Q 25, § 5; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 52. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 25, § 5, 2287-2288. 30 J. A. BUTTIGIEG, Introduction, cit., 48. 31 Q 3, § 48. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 48, 332. 32 Q 10, § 32; A. GRAMSCI, Further Selections from the Prison Notebooks, cit., 171-173. Cfr. A.

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proccio metodologico aperto e non-dogmatico, mediante il quale cerca di suffragare i propri concetti teorici e le proprie conclusioni generali con fatti ed elementi particolari che corrispondano allo “sviluppo storico reale”33.

Gramsci si accosta allo studio dei subalterni in questo modo, cercando di vedere il subalterno come categoria storicamente determinata, esistente entro particolari contesti storici, economici, politici, sociali e culturali. Cer-ca di comprendere la formazione, lo sviluppo e la linea evolutiva dei subal-terni; come hanno avuto origine, come alcuni sono sopravvissuti ai margini e come altri sono riusciti a passare da una condizione sociale subordinata ad una dominante. In breve, desidera capire come le condizioni e le rela-zioni del passato influenzino lo sviluppo presente e futuro dell’esperienza vissuta da questi gruppi.

Molte di queste nozioni emergono nelle note di Gramsci sui subalterni quando egli fa riferimento alla “storia integrale”. La sua idea di storia inte-grale è strettamente collegata al suo metodo di analisi storica. Per Gramsci, lo “storico integrale” non è solo chi documenta gli sviluppi storici con un taglio positivistico, ma è colui che comprende le implicazioni socio-economiche, politiche e culturali di tali sviluppi – il modo in cui eventi storici particolari si ricollegano a contesti socio-politici più ampi. Obietti-vo dello storico integrale è analizzare eventi particolari per concettualizza-re i processi di sviluppo storico e comprendere come essi si colleghino alle esperienze vissute dalle popolazioni. Come sottolinea Esteve Morera, la teoria gramsciana della storia integrale coglie “la totalità e complessità del processo storico, dalle tendenze della struttura economica alle forme della cultura popolare che foggiano…la coscienza delle masse”34.

Nella prima pagina dei Quaderni, Gramsci ha elencato sedici argomen-ti principali che progettava di trattare in quella sede. Il primo argomento indicato è una Teoria della storia e della storiografia (Quaderno 1). Lo svi-luppo da parte di Gramsci di criteri metodologici per lo studio dei subal-terni può essere visto come contributo alla realizzazione del progetto che si proponeva. Nel Quaderno 3 (§ 90)35, Gramsci espone in sei punti, o fasi, i propri Criteri Metodologici per lo studio storico dei subalterni; ciascun punto indica un ambito di studio delle classi subordinate per lo storico

GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 10, § 32, 1276-1278. 33 Q 9, § 63; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 200-201. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 9, § 63, 1134. 34 E. MORERA, Gramsci’s Historicism, cit., 61. 35 Q 3, § 90. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 90, 372-373.

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integrale. In base a tale metodologia, egli ritiene necessario analizzare i se-guenti ambiti: “1) il formarsi obbiettivo [delle classi subalterne] per lo svi-luppo e i rivolgimenti, avvenuti nel mondo economico, la loro diffusione quantitativa e l’origine da altre classi precedenti; 2) il loro aderire alle for-mazioni politiche dominanti passivamente o attivamente, cioè tentando di influire sui programmi di queste formazioni con rivendicazioni pro-prie; 3) la nascita di partiti nuovi della classe dominante per mantenere il controllo delle classi subalterne; 4) formazioni proprie delle classi subal-terne di carattere ristretto e parziale; 5) formazioni politiche che afferma-no l’autonomia di esse ma nel quadro vecchio; 6) formazioni politiche che affermano l’autonomia integrale, ecc”36.

Non si tratta di una metodologia completa, astorica o essenzialista, perché Gramsci asserisce che queste fasi di studio potrebbero essere rese più dettagliate con momenti intermedi e in combinazione, ed afferma che “lo storico deve notare e giustificare la linea di sviluppo verso l’autonomia integrale, dalle fasi più primitive”37. Da tale affermazione si può dedurre che questi sei stadi non rappresentano solo la metodologia dello storico subalterno o integrale, ma anche i livelli mediante i quali un gruppo su-balterno evolve da una condizione “primitiva” di subordinazione ad una condizione di autonomia. Le fasi rappresentano cioè il processo sequen-ziale col quale un gruppo subalterno evolve e si trasforma in gruppo so-ciale dominante, o in altri casi viene bloccato nella sua ascesa al potere dai gruppi sociali o dalle forze politiche dominanti.

Per illustrare questo aspetto, parafraserò ciascun livello come se fosse una fase evolutiva. Primo, c’è un cambiamento nella sfera economica, per esempio un cambiamento nei rapporti di proprietà, che modifica l’orga-nizzazione della società, relegando un gruppo sociale ad una condizione so-ciale subordinata. Secondo, o il gruppo subalterno aderisce (passivamente o attivamente) alle nuove formazioni politiche dominanti o tenta di influen-zarle con le proprie richieste. Terzo, il gruppo sociale dominante crea nuovi partiti o programmi di governo per mantenere il controllo dei gruppi su-

36 In questo testo di prima stesura presente nella nota, citato dal Quaderno 3, § 90, Gramsci usa le parole “classi subalterne”. Quando Gramsci riscrive la nota nel Quaderno 25, espressamente dedicato ai gruppi subalterni, usa in modo intercambiabile le espressioni “classi subalterne” e “gruppi subalterni”. Perciò, anche se i termini sono differenti, essi per Gramsci non hanno si-gnificati diversi. Si paragoni il testo A qui riportato con il testo C nella forma presente nel Qua-derno 25, § 5 (A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 52). 37 Q 25, § 5; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 52. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 25, § 5, 2288.

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bordinati. Quarto, il gruppo subalterno capisce che le nuove formazioni so-ciali, istituzioni e partiti non tengono conto delle sue esigenze e quindi forma organizzazioni proprie, come i sindacati. Quinto, sempre tale gruppo organizza una formazione politica in rappresentanza dei propri interessi, esprime la propria autonomia e volontà di inserirsi nel quadro politico con-solidato. Un esempio potrebbe essere un partito politico che operi all’in-terno del contesto politico già definito. Sesto, il gruppo subalterno capisce che i suoi interessi non verranno soddisfatti all’interno del sistema socio-politico corrente, e dunque organizza una propria formazione sociale e po-litica che finirà col sostituire quella esistente. Un esempio di questo genere può essere un partito rivoluzionario che tenti di trasformare lo Stato e le relazioni sociali ad esso correlate.

In questa nozione, la subalternità esiste per gradi o livelli di sviluppo: al-cuni gruppi mantengono livelli più alti di coscienza, sviluppo ed organizza-zione rispetto ad altri, e alcuni esercitano più autonomia e iniziativa di altri. Questo concetto implica inoltre che sia più difficile trovare testimonianze storiche dei gruppi non sviluppati, oppure socialmente o politicamente non organizzati, rispetto a quelli che hanno costituito partiti politici o altre isti-tuzioni in rappresentanza dei propri punti di vista. Un esempio in proposi-to può forse essere rappresentato da un gruppo di contadini non organizza-ti, nel quale questi ultimi non siano consci, individualmente o collettiva-mente, della loro posizione all’interno delle relazioni sociali prevalenti. Sa-rebbe senz’altro più difficile rintracciare un tale gruppo di contadini anzi-ché, diciamo, un sindacato o un partito politico organizzato da proletari urbani, perché i contadini con minore probabilità lascerebbero prove do-cumentali della propria attività o farebbero documentare quest’ultima da altri. Tale esempio, piuttosto coerente con le situazioni italiane esaminate da Gramsci, evidenzia che i gruppi subalterni non sono equivalenti, bensì sono differenziati in base al loro livello di organizzazione politica.

Vi sono diversi passi dei Quaderni del Carcere in cui la terminologia gramsciana riflette l’idea di una subalternità articolata per gradi. Ad e-sempio nel Quaderno 14, nella discussione sul romanzo di Alessandro Manzoni I promessi sposi, Gramsci afferma che i subalterni “«non hanno storia», cioè la [loro] storia non lascia tracce nei documenti storici del passato”38. Se quest’affermazione si riferisse a tutti i gruppi subordinati,

38 Q 14, § 39; A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, cit., 294. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 14, § 39, 1696.

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allora la metodologia di Gramsci per una storia subalterna non avrebbe senso, poiché lo studio di questa categoria risulterebbe impossibile – o quasi – non essendovi testimonianze della sua esistenza. Tuttavia, quella di Gramsci non è incongruenza, perché nella discussione su spontaneità e direzione consapevole, nel Quaderno 3, § 48, egli scrive: “Si può dire che l’elemento della spontaneità è […] caratteristico della «storia delle classi subalterne» e anzi degli elementi più marginali e periferici di queste classi, che non hanno raggiunto la coscienza della classe «per sé» e che perciò non sospettano neanche che la loro storia possa avere una qualsiasi im-portanza e che abbia un qualsiasi valore lasciarne tracce documentarie”39.

Con questa nota, diventa chiaro che esistono fra i subalterni elementi “marginali” o “periferici” che non hanno avuto uno sviluppo, cioè non hanno raggiunto la coscienza politica della loro condizione né hanno ten-tato di organizzarsi politicamente. Per questo motivo, essi non lasciano prove storiche documentali delle loro attività, e ciò li rende difficili da “rintracciare”. Si potrebbe dire che i gruppi con queste caratteristiche ri-cadano nella prima fase dello sviluppo dei subalterni.

Nella medesima nota, Gramsci fornisce un altro esempio del grado di variazione nel loro sviluppo, con un caso che corrisponde alla sesta fase evolutiva. Scrive così: “I movimenti spontanei degli strati popolari più va-sti rendono possibile l’avvento al potere della classe subalterna più pro-gredita”. La distinzione delle parole “marginali” e “periferici” nel passo citato in precedenza e il termine “progredita” in quest’ultimo mettono in evidenza la sottigliezza con cui Gramsci identificava le variazioni nello sviluppo dei subalterni. Alcuni gruppi mancano di coscienza e organizza-zione politica e perciò non lasciano tracce del proprio sviluppo, mentre altri hanno “progredito” fino alla fase in cui acquisiscono la capacità di arrivare al potere40.

Infine, in un esempio più ovvio e precedente alla nota appena citata, cioè nel Quaderno 3, § 14, Gramsci scrive: “La storia delle classi subalterne è necessariamente disgregata ed episodica: c’è nell’attività di queste classi una tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma essa è la

39 Q 3, § 48. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 48, 328. 40 Q 3, § 48. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 48, 332. L’idea che i gruppi su-balterni si sviluppino a vari gradi o livelli è molto simile alla discussione di Gramsci sullo svi-luppo delle forze politiche in “vari gradi” e “diversi momenti”. Si veda A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 180-181. Cfr. inoltre A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 13, § 17, 1583.

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parte meno appariscente e che si dimostra solo a vittoria ottenuta”41. In questo passo Gramsci afferma in modo esplicito che l’unificazione – e quindi il movimento verso la vittoria – avviene su “piani provvisori”. Ciò fa capire che quando Gramsci scrisse le note 14 e 48 egli riconosceva già che i subalterni hanno uno sviluppo variabile per gradi o livelli; non fu comunque prima della nota 90 che egli stabilì i propri “criteri metodolo-gici” in sei punti, corrispondenti ai diversi livelli di sviluppo. Questo per-mette di concludere che i gruppi subalterni hanno delle fasi evolutive e che possono essere studiati con un approccio di tipo storico in base ad esse.

Rintracciare i subalterni: ideologia, intellettuali e rappresentazione Alla fine della nota Storia delle Classi Subalterne: Criteri Metodologici, Gramsci discute la difficoltà di realizzare una storia subalterna e di rin-tracciare gli elementi “disgregati ed episodici” dello sviluppo dei gruppi subordinati. Come spiega nel Quaderno 25, § 2, “Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe […] essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere”42. In diverse note su questi gruppi, Gramsci si limita a citare le informazioni bibliografiche su libri e articoli che riteneva contenessero con più proba-bilità “tracce” di attività subalterna43. In altre note più significative, Gramsci non solo cita, ma parafrasa e dettaglia le informazioni incluse in libri e articoli contenenti testimonianze dello sviluppo storico dei subal-terni. In alcuni passi egli, anche quando non concorda con il punto di vi-sta di un determinato autore, ne utilizza comunque il lavoro perché esso fornisce testimonianza di un’attività subordinata.

Ad esempio, nel Quaderno 3, § 16, Gramsci descrive lo sviluppo del Comune medievale. Nel fare questo si riferisce ad un articolo di Ettore Ciccotti (Elementi di ‘verità’ e ‘certezza’ nella tradizione storica). L’impor-tanza dell’articolo di Ciccotti per Gramsci è che esso fornisce lo studio di un caso storico su come un gruppo subalterno possa diventare gruppo

41 Q 3, § 14. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 14, 299-300. 42 Q 25, § 2; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 55. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 25, § 2, 2284. 43 Si veda, per esempio, Q 1, § 95; Q 4, § 95; Q 6, § 132; § 158.

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dominante. Nel XIII secolo la classe popolare dei Comuni di Siena e Bo-logna conquistò abbastanza potere politico per soverchiare la nobiltà. Le fasi con le quali il popolo conquistò il potere e finì col creare i propri Comuni sono conformi ai sei stadi di sviluppo indicati da Gramsci. In questo caso particolare, comunque, ciò che diede al popolo l’opportunità di raggiungere il potere e liberarsi dipese direttamente dal fatto che mol-tissimi suoi componenti disponevano di armi. A causa delle guerre tra Comuni in corso in quel periodo, la maggior parte dei popolani possede-va armi. Con l’attività nelle forze militari, il popolo divenne consapevole della propria forza, rinsaldò le fila, trovò unità, formò dei consigli e no-minò delle autorità (la quarta fase di sviluppo). Attraverso tale concentra-zione ed organizzazione del potere, arrivò a detenere la maggior parte del potere nelle forze militari; e l’ambito d’azione di queste ultime, origina-riamente volto a proteggere il Comune dalle forze esterne, cominciò ad espandersi e ad includere la protezione delle classi popolari dai nobili. In-fine il popolo entrò nella quinta fase di sviluppo, in cui chiedeva emanci-pazione e partecipazione alle maggiori cariche pubbliche, e si costituì “sempre più in vero partito politico”. Quando le autorità non concedette-ro al popolo le riforme volute, le classi popolari entrarono nel sesto stadio evolutivo, operando una secessione completa dal Comune: “Quando il popolo non riesce ad ottenere dalle Autorità comunali le riforme volute, fa la sua secessione, con l’appoggio di uomini eminenti del Comune e, co-stituitosi in assemblea indipendente, incomincia a creare magistrature proprie ad immagine di quelle generali del Comune, ad attribuire una giurisdizione al Capitano del popolo, e a deliberare di sua autorità, dando inizio […] a tutta un’opera legislativa […] Il popolo riesce, prima prati-camente, e poi anche formalmente, a fare accettare negli Statuti generali del Comune disposizioni che prima non legavano se non gli ascritti al Po-polo e di uso interno. Il popolo giunge quindi a dominare il Comune, so-verchiando la precedente classe dominante”44.

Visto dalla prospettiva gramsciana, si tratta di un esempio di come un gruppo subordinato rispetto a uno dominante abbia conquistato il potere, finendo col diventare il nuovo gruppo dominante. Questa nota illustra inoltre il desiderio e la capacità di Gramsci di rintracciare i subalterni in vari testi o “monografie”. Nonostante Gramsci non concordi con tutti gli

44 Q 3, § 16. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 16, 302.

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aspetti del lavoro di Ciccotti45, insiste comunque sul fatto che i riferimenti di quest’ultimo allo sviluppo della classe popolare nei Comuni siano “spe-cialmente degni di attenzione e di trattazione separata”46.

Nel Quaderno 3, § 12, che più tardi divenne la prima nota dello “spe-ciale” quaderno tematico sui subalterni, Gramsci fa riferimento ad un ar-ticolo di Domenico Bulferetti, in cui questi discute vari, differenti libri su David Lazzaretti e sul suo movimento politico47. In questa nota ciò che interessa a Gramsci non è solo il movimento politico di Lazzaretti, ma come esso venga interpretato e rappresentato dagli intellettuali italiani. Lazzaretti (1834-1878) era un cittadino comune che viveva nella parte sud-orientale della Toscana. Lavorava con il padre come barrocciaio e si arruolò volontario nell’esercito nazionale nel 1860. Nel 1868 ebbe delle visioni mistiche ed una conversione spirituale. Le visioni gli rivelarono che egli era un discendente di un Re di Francia e che un profeta avrebbe liberato il popolo dal dispotismo e dalla miseria della sua condizione. Le visioni politico-religiose di Lazzaretti attirarono molti seguaci, soprattutto contadini, ed egli creò diverse congregazioni e colonie comuniste. Infine Lazzaretti convinse se stesso e i suoi fedeli che egli era il messia di un nuo-vo ordine morale e civile, destinato a fondare una repubblica di Dio, la quale avrebbe previsto una ridistribuzione delle terre e dei raccolti. Tutta-via il giorno nel quale, in una processione, stava presentandosi a migliaia di seguaci come il messia e proclamando la suddetta fondazione, i carabi-nieri fecero fuoco uccidendolo48.

Lazzaretti e il suo movimento hanno rappresentato un tentativo, da parte di un gruppo subalterno, di creare un nuovo Stato e una nuova con-cezione del mondo basati su vari principi religiosi, politici ed economici. Il suo caso costituisce anche un esempio di un gruppo subalterno politi-camente organizzato e storicamente rintracciabile, che tuttavia ha fallito nella propria ascesa politica a causa del potere dello Stato. L’aspetto che interessa a Gramsci, comunque, è il modo in cui Lazzaretti e il suo movi-mento vengono ritratti e rappresentati dagli intellettuali italiani. Cesare Lombroso, conosciuto per la sua opinione che la criminosità fosse biolo-

45 Per esempio, Gramsci (Q 3, § 15) fa riferimento al materialismo storico del Ciccotti definen-dolo “molto superficiale” e “una sociologia molto positivisitica”. 46 Q 3, § 16. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 16, 301. 47 Q 3, § 12. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 12, 297-299. 48 E. HOBSBAWM, Primitive Rebels, New York, Norton Hobsbawm, 1965, 65-73, fornisce detta-gli sulla situazione socio-economica della regione dove si sviluppò il movimento di Lazzaretti.

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gicamente determinata, e spesso descritto da Gramsci come un “positivi-sta”, vedeva Lazzaretti come un “pazzo”, psicologicamente anormale, e non come un membro di un gruppo marginalizzato. Giacomo Barzellotti, d’altro canto, vedeva il movimento di Lazzaretti come puramente religio-so, e non politico. Per Gramsci, Barzellotti non aveva tenuto in considera-zione le condizioni socio-economiche, politiche o storiche a cui Lazzaretti e il suo movimento si erano trovati di fronte. Secondo Gramsci, sia Lom-broso che Barzellotti avevano contribuito al diffuso costume di un tempo nel quale gli intellettuali italiani tendevano a trascurare le origini storiche di un evento; essi davano inoltre “dei singoli episodi di esplosione [di un malessere generale] spiegazioni restrittive, individuali, patologiche ecc.”, per esempio trovando “che il protagonista era un pazzo”49.

L’analisi critica fatta da Gramsci sugli autori che avevano scritto di Lazzaretti chiarisce ancora di più la difficoltà nel rintracciare i subalterni; infatti, persino quando ne esistano tracce nei documenti storici, le inter-pretazioni e rappresentazioni delle classi subordinate possono basarsi su informazioni errate o essere influenzate ideologicamente. Ciò rende anco-ra più arduo per lo storico integrale tracciare e realizzare una storia subal-terna, poiché egli deve impegnarsi criticamente ad analizzare le testimo-nianze del passato. Comunque, questo è un aspetto di cui Gramsci era ben consapevole e che in effetti esaminò in vari scritti di critica letteraria.

L’analisi degli intellettuali fatta da Gramsci e il suo interesse nel dar vi-ta a una storia subalterna si ricollegano alla sua analisi della letteratura popolare, specialmente sullo sviluppo del romanzo storico e sulle rappre-sentazioni da parte di quest’ultimo dell’attività dei gruppi subordinati. Per esempio Gramsci si è concentrato sull’opera di Alessandro Manzoni (1785-1873), soprattutto in riferimento a come la concezione manzoniana del mondo e della storia influenzi le descrizioni del popolo nei romanzi del-lo scrittore. Come Gramsci, il Manzoni era interessato a tracciare un ritrat-to del popolo, a cui egli si riferisce come gli “umili”, p.es. contadini, artigia-ni, servitori, paesani etc. – cioè, in termini gramsciani, le classi subalterne. Ciò che interessa a Gramsci dell’opera del Manzoni è il suo modo di pre-sentare il popolo. Gramsci vede in lui un’inclinazione “aristocratica” e cattolica, a causa del suo “compatimento scherzoso” e “atteggiamento di casta” verso i popolani. Sottolinea che nel romanzo storico del Manzoni I promessi sposi “non c’è popolano che non sia «preso in giro» e canzonato…

49 Q 3, § 12. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 12, 297.

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essi sono rappresentati come gente meschina, angusta, senza vita interiore. Vita interiore hanno solo i signori”. Nonostante lo scrittore scelga dei po-polani come personaggi principali del romanzo, li ritrae senza una “vita in-teriore” o una “personalità morale profonda”. Sotto questo aspetto, Gram-sci considera l’opera manzoniana paragonabile a quella di Shakespeare, nel senso che Shakespeare “parteggia […] per le classi elevate della società” e presenta il popolo in “maniera sprezzante o repugnante”50.

Gramsci non disapprovava l’interesse e l’attenzione manzoniani per “gli umili”, ma era più interessato all’aspetto, maggiormente significativo, del come e perché lo scrittore ritraesse il popolo nel modo in cui faceva. Per Gramsci, rappresentare i popolani come umili e i nobili come persone di larghe vedute era tipico degli intellettuali italiani, come esemplificato dai casi di Lombroso e Barzellotti. A differenza di Dostoevskij, per esem-pio, gli intellettuali italiani non ritenevano di avere una missione verso il popolo o che questo dovesse essere liberato dalla sua condizione di “umil-tà”. Piuttosto, secondo Gramsci, essi tradizionalmente si distanziavano dal popolo con un senso paternalistico di superiorità. “Il rapporto come tra due razze, una ritenuta superiore e l’altra inferiore, il rapporto come tra adulto e bambino nella vecchia pedagogia o peggio ancora un rappor-to da «società protettrice degli animali»...”. Era in questo senso che Gram-sci si preoccupava del fatto che le rappresentazioni letterarie dei subalterni potessero rafforzare le condizioni subordinate di questi ultimi51.

Nonostante Gramsci si impegni in una sorta di critica letteraria, il suo centro di interesse non è l’arte di per sé. Egli attua piuttosto una critica culturale, politica e sociale, una critica della vita sociale. Cerca di distrug-gere certe convinzioni e atteggiamenti verso il mondo e la vita che vengo-no presentati come verità ma sono in effetti “angusti e meschini”52. L’aspetto significativo dell’attenzione rivolta da Gramsci a quella lettera-tura che rappresenta i subalterni in condizioni passive, umili o subordina-te è mostrare che tali opere in realtà rafforzano la loro condizione, contri-buendo alla loro ulteriore subordinazione. La diffusione di questi punti di vista contribuisce alla coscienza e senso comune delle masse, fino al punto

50 Q 23, § 51; A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, cit., 289-291. Cfr. Q 23, § 51, 2244-2246. 51 Q 21, § 3; A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, cit., 293-294. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 21, § 3, 2112. 52 Q 23, § 51; A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, cit., 291. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 23, § 51, 2245.

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che esse non li mettono in discussione e li accettano come fatti anziché opinioni. Questo è un aspetto di studio che lo storico integrale deve tene-re presente nelle proprie ricerche sulla subalternità. I testi o le “monogra-fie” rappresentano le classi subordinate in vari modi ed egli deve capire le implicazioni di tali rappresentazioni, perché esse influenzeranno le sue stesse opinioni. In questo senso, lo storico integrale o subalterno dovrà analizzare non solo gli eventi storici relativi ai gruppi subordinati, ma an-che i processi storici in cui essi sono percepiti, presentati e rappresentati nei documenti letterari e storici. In questi ultimi i subalterni possono es-sere presentati come umili, passivi o ignoranti, ma le loro esperienze di vita concrete possono provare il contrario. Lo storico integrale dovrà dunque analizzare criticamente il modo in cui gli intellettuali rappresen-tano le condizioni e aspirazioni dei subalterni53.

Dalle analisi di Gramsci si possono trarre diverse conclusioni riguardo alla sua interpretazione delle classi subordinate e della loro attività. In primo luogo, è chiaro che egli era convinto della possibilità di dar vita a una storia delle classi subalterne, benché lo ritenesse un compito arduo. Secondo, questi gruppi hanno uno sviluppo in vari gradi o fasi, corri-spondenti a livelli di organizzazione politica, che lo storico deve tenere in considerazione. Terzo, essi debbono affrontare un insieme di relazioni politiche, sociali, culturali ed economiche che producono marginalizza-zione e impediscono la loro autonomia. Quarto, nonostante i gruppi su-balterni affrontino molte difficoltà, hanno la capacità di trasformare le lo-ro condizioni sociali subordinate. In effetti, la trasformazione di tali con-dizioni era l’obiettivo supremo di Gramsci ed egli, tramite le sue analisi, elaborò una strategia politica per questa trasformazione.

Recenti interpretazioni e appropriazioni del “subalterno” Negli ultimi vent’anni in molti si sono dedicati allo studio dei subalterni. Sono stati pubblicati libri e articoli – che rivendicano un’ispirazione gram-sciana – sull’attività e la storia di gruppi subordinati in India, Sud Ameri-ca e Irlanda. L’attuale popolarità dell’analisi dei subalterni nasce soprat-tutto dal collettivo Subaltern Studies di Ranajit Guha e dal famoso articolo

53 Q 25, § 7; A. GRAMSCI, Selections from the Cultural Writings, cit., 238-241. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 25, § 7, 2290-2291.

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di Gayatri Chakravorty Spivak Can the Subaltern Speak? (‘I subalterni pos-sono parlare?’), che è non solo una critica del metodo e del centro di inte-resse dei Subaltern Studies, ma anche una critica della nozione di Europa vista come soggetto e rappresentazione politica nei lavori di Michel Fou-cault e Gilles Deleuze. Sia Guha che la Spivak fanno riferimento alla con-cezione gramsciana dei gruppi sociali subalterni, ma i loro riferimenti e le loro rappresentazioni del concetto sono di portata limitata, in quanto si ba-sano soprattutto sulla presentazione delle note contenute nelle Selections from the Prison Notebooks.

Nella prefazione ai Subaltern Studies I, Ranajit Guha afferma che la finalità del collettivo è quella di “promuovere una discussione sistema-tica e documentata sui temi che riguardano i subalterni nell’ambito degli studi dell’Asia Meridionale, contribuendo così a rettificare i pregiudizi eli-tari caratteristici di molti lavori di ricerca e accademici in questo partico-lare campo”54. In altre parole, scopo del collettivo è mettere in discussione la storiografia elitaria e chiarire aspetti della storia subalterna quando essi si riferiscono a classe, casta, età, genere etc. Guha dichiara di sperare che “il respiro dei contributi a questa serie possa essere all’altezza, anche solo lontanamente, del progetto in sei punti previsto da Antonio Gramsci nelle sue Notes on Italian History”55. Nonostante tale progetto venga apprezza-to, non è chiaro come il programma gramsciano in sei parti debba essere utilizzato; se Guha cioè consideri le sei fasi di Gramsci semplicemente come criteri metodologici o se ritenga che i gruppi subalterni si sviluppi-no secondo vari gradi corrispondenti ai sei stadi. Tranne una breve cita-zione, il concetto gramsciano di gruppi subalterni non viene delimitato né discusso ulteriormente. In effetti, in contrasto con la nozione di Gramsci, Guha definisce i gruppi subalterni come “il popolo” o la “non-élite”. Alla maniera di Weber, egli classifica le élite in tre categorie ideali – gruppi dominanti stranieri, gruppi dominanti indigeni e gruppi regionali e locali che agiscono per conto degli altri due insiemi. “È compito della ricerca,” scrive Guha, “indagare, identificare e quantificare la natura specifica e il grado di deviazione di questi elementi dall’ideale, inquadrandolo storica-mente”56.

54 R. GUHA, Subaltern Studies I: Writings on South Asian History and Society, Delhi, Oxford University Press, 1982, VII-VIII. 55 Ibidem. 56 Ivi, 8.

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Nella sua critica all’approccio usato da Guha per una riscrittura della storia coloniale indiana da una prospettiva subalterna, la Spivak sostiene che l’idea di definire i subalterni “una differenza rispetto all’élite” e cerca-re di “indagare, identificare e quantificare lo specifico” sia “essenzialista e tassonomica”57. Il principale problema di un tale progetto è che esso ri-chiede non solo che si conosca la consapevolezza e la condizione dei su-balterni, ma anche che si rappresenti tale consapevolezza. Questo pro-blema è evidente nel fatto che i fautori della subalternità, per le loro ricer-che e per conferire validità al proprio lavoro, si basano su testimonianze britanniche, nazionaliste e colonialiste. Per la Spivak, i subalterni lasciano poche tracce, o nessuna, della loro esistenza all’interno dei documenti co-loniali dell’élite; e se essi sono rappresentati in qualche modo, lo sono come “l’Altro”, all’interno dell’ideologia dominante dell’élite. È in questo senso che i subalterni non possono parlare, secondo la Spivak, perché le loro rappresentazioni sono incluse nel discorso dominante.

Collegata alla prospettiva della Spivak sulla concezione gramsciana di subalterno è la questione della rappresentazione, che ella solleva riguardo ai lavori di Foucault e Deleuze. Facendo seguito alla definizione di classe data da Marx come concetto descrittivo e trasformativo ne Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte – dove egli sottolinea che la classe è una con-dizione economica trasformabile attraverso la rappresentazione politica organizzata – la Spivak mette in evidenza che esistono due tipi o sensi di rappresentazione: “rappresentazione nel senso di ‘parlare per,’ come in politica, e rappresentazione nel senso di ‘ri-presentazione,’ come nell’arte o in filosofia”58. In tedesco, questi due sensi differenti sono espressi da due diverse parole: Vertretung si riferisce alla rappresentazione politica e Darstellung alla rappresentazione estetica o al concetto di messa in scena come rappresentazione59. La Spivak sostiene che Foucault e Deleuze con-fondano questi tipi distinti di rappresentazione con l’idea di un soggetto europeo unificato, mentre in Marx tale distinzione risulta evidente ri-guardo al concetto di classe, poiché egli riconosce che la classe è una con-dizione ma che le classi non sono unificate60. La Spivak ritiene necessario capire la distinzione tra i due sensi della rappresentazione per poter evita-

57 G. C. SPIVAK, Can the Subaltern Speak?, in Marxism and the Interpretation of Culture, ed. C. Nelson and L. Grossberg, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1988, 284-285. 58 Ivi, 275-277. 59 Ivi, 278. 60 Ivi, 276; 279.

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re l’essenzialismo soggettivo e per comprendere che le rappresentazioni macrologiche (Darstellung) influenzano le rappresentazioni politiche (Vertretung). Scrive: “La relazione tra capitalismo globale (sfruttamento in economia) e alleanze tra stati-nazione (dominio in geopolitica) è così macrologica che non può dar conto del tessuto micrologico del potere. Per avvicinarsi a una tale testimonianza è necessario spostarsi verso teorie dell’ideologia – di formazioni del soggetto le quali mettono in azione, mi-crologicamente e spesso erraticamente, gli interessi che congelano le ma-crologie. Queste teorie non possono permettersi di trascurare le categorie della rappresentazione nei due sensi. Debbono notare come la messa in scena del mondo nella rappresentazione – la sua scena di scrittura, la sua Darstellung – dissimuli la scelta e la necessità di eroi, deleghe paterne, a-genti di potere – Vertretung. A parer mio la prassi critica radicale dovreb-be tenere conto di questa doppia sessione di rappresentazioni anziché reintrodurre il soggetto individuale attraverso i concetti totalizzanti di po-tere e desiderio”61.

Dopo la sua discussione sulla rappresentazione, la Spivak passa ad e-saminare la natura del subalterno. Commenta brevemente il concetto gramsciano di classi subalterne: “Il lavoro di Antonio Gramsci sulle «classi subalterne» amplia la questione «condizione di classe/coscienza di classe» isolata nel Diciotto Brumaio. Gramsci, forse perché critica la posizione a-vanguardistica dell’intellettuale leninista, si interessa al ruolo dell’intellet-tuale nel tendere culturale e politico dei subalterni verso l’egemonia. Que-sto movimento dev’essere operato in modo da determinare la produzione di storia come narrazione (di verità). In testi quali La Quistione Meridio-nale, Gramsci considera il movimento dell’economia storico-politica in Italia all’interno di ciò che si può intendere come un’allegoria della lettura tratta da, o prefigurante, una divisione internazionale del lavoro. Tuttavia in Gramsci il resoconto dello sviluppo dei subalterni per fasi risulta scon-volto quando la macrologia culturale viene gestita, sia pure a distanza, dall’interferenza epistemica con le definizioni legali e disciplinari che ac-compagnano il progetto imperialista”62.

In questo passo la Spivak sembra considerare la nozione gramsciana di subalterno solo rispetto al proletariato e ai contadini. Gramsci nel suo

61 Ivi, 279. Cfr. anche G. C. SPIVAK, Critica della ragione postcoloniale. Verso una storia del pre-sente in dissolvenza, trad. di Angela D’Ottavio, Roma, Meltemi, 2004, 85. 62 G. C. SPIVAK, Can the Subaltern Speak?, cit., 283. Cfr. anche G. C. SPIVAK, Critica della ragio-ne postcoloniale. Verso una storia del presente in dissolvenza, cit., 90.

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saggio Alcuni temi della quistione meridionale non usa il termine “subal-terno”, ma si interessa comunque alla questione “condizione di clas-se/coscienza di classe” illustrata da Marx nel Diciotto Brumaio, poiché af-ferma: “Il proletariato può diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli per-metta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggio-ranza della popolazione lavoratrice”63. Comunque, non è chiaro in che senso in Gramsci “il resoconto dello sviluppo dei subalterni per fasi risulti sconvolto quando […] la macrologia culturale viene gestita”, come soste-nuto dalla Spivak. Quest’ultima forse pensa che l’attenzione rivolta da Gramsci ai subalterni sia troppo macrologica, perché li colloca entro un complesso di relazioni sociali: relazioni di produzione, funzioni dello sta-to “legali e disciplinari” e relazioni egemoniche all’interno della società civile. Ad ogni modo, appare chiaro che la Spivak non concorda con la nozione gramsciana di sviluppo per fasi. La ragione di questo è che ella definisce i subalterni in maniera differente sia rispetto a Gramsci che a Guha. Per lei, i subalterni non sono semplicemente la non-élite; essi sono le “vittime paradigmatiche” della divisione internazionale del lavoro, cioè “le donne del sottoproletariato urbano e della manodopera contadina non organizzata”64. Per la Spivak, i subalterni non sono solo gli oppressi; sono quelle persone talmente marginalizzate da non essere politicamente orga-nizzate né rappresentate. È in questo senso che la Spivak non ritiene il proletariato un gruppo subalterno, perché nella maggior parte dei casi es-so è organizzato65. Questa concezione è ben diversa da quella gramsciana, in quanto manca di specificità. Per Gramsci, la disorganizzazione è un e-lemento di subalternità, ma non l’elemento determinante, poiché un gruppo subalterno può attuare un certo grado di organizzazione politica

63 A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 443. Cfr. A. GRAMSCI, La que-stione meridionale, cit., 159. Per Gramsci (A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 443; 460-462; cfr. A. GRAMSCI, La questione meridionale, cit., 159; 188-190) il proleta-riato ha il potenziale per dirigere “un sistema di alleanze di classe” che comprenda i contadini. Ma una tale alleanza di gruppi subalterni richiede una massa di intellettuali di sinistra in grado di esprimere le aspirazioni ed esigenze dell’alleanza, ed egli vede lo sviluppo di questi intellet-tuali all’interno del proletariato. 64 G. C. SPIVAK, The Rani of Sirmur: An Essay in Reading the Archives, in Europe and its Others, ed. F. Barker, Colchester, University of Essex, 1985, 128-151. 65 G. C. SPIVAK, Gayatri Spivak on the Politics of the Subaltern. Interview with Howard Winant, in “Socialist Review”, July-September 1990, 20 (3), 90-91; G. C. SPIVAK, Interview with Gayatri Chakravorty Spivak: New Nation Writers Conference in South Africa, interview conducted by L. de Kock, “Ariel: A Review of International English Literature”, July 1992, 23 (3), 45-46.

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senza alcun grado di egemonia e perciò essere comunque soggetto all’atti-vità dei gruppi dominanti66. Secondo Gramsci, l’organizzazione da sola non può risolvere la marginalizzazione dei gruppi; solo la trasformazione delle relazioni di subordinazione può farlo.

In due interviste67, la Spivak insiste sul fatto che Gramsci nei suoi Qua-derni del carcere avrebbe utilizzato il termine “subalterno” per la necessità di autocensurarsi dall’utilizzo della parola “proletariato”. In un’intervista del 1992 dichiara: “Allora, come sappiamo la parola ‘subalterno’ descrive qualcosa di militare. Si sa che Gramsci la utilizzò perché costretto ad au-tocensurarsi essendo in carcere. Si sa anche che l’utilizzo della parola cambiò quando Gramsci, con preveggenza, iniziò ad accorgersi di ciò che oggi definiamo ‘problemi tra nord e sud’, stando in prigione in Italia, per-ché parlava dell’Italia meridionale; da sole le questioni di formazione di classe non avrebbero risolto nulla. E così la parola ‘subalterno’ è divenuta pregna di significato”68.

Non metto in dubbio che Gramsci avesse in mente la questione meri-dionale quando, in carcere, scriveva e rifletteva sui gruppi subalterni; tut-tavia, come ho cercato di spiegare in precedenza, Gramsci usa la parola “subalterno” – in senso letterale e figurato – in molti passi69. Metto in di-scussione comunque l’idea che il termine sia un eufemismo per “proleta-riato” o qualsiasi altra parola, come pure il fatto che Gramsci ne abbia modificato l’utilizzo solo in relazione alla “formazione di classe” nell’Italia meridionale, poiché egli adopera il termine in molti altri contesti storici.

Comunque la Spivak, nella sua analisi della rappresentazione altrui dei subalterni, è senz’altro coerente con l’approccio gramsciano, dato che lo storico subalterno deve sempre mettere in discussione le interpretazioni, le motivazioni, i pregiudizi politici e ideologici evidenziati da un autore nella scrittura di un testo e nella rappresentazione di gruppi marginalizza-ti. Per contro, la definizione e visione politica del subalterno espresse dalla Spivak sono in dissonanza con la concezione gramsciana. Per lei, come

66 Q 25, § 2; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 55. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 25, § 2, 2283. 67 G. C. SPIVAK, Interview with Gayatri Chakravorty Spivak: New Nation Writers Conference in South Africa, cit., e G. C. SPIVAK, The New Subaltern: A Silent Interview, in Mapping Subaltern Studies and the Postcolonial, ed. V. Chaturvedi, New York, Verso, 2000, 324-340. 68 G. C. SPIVAK, Interview with Gayatri Chakravorty Spivak: New Nation Writers Conference in South Africa, cit., 45. 69 Per esempio, si veda Q 1, § 48; § 57; § 139; Q 3, § 14; § 18; § 48; § 90; § 117; Q 4, § 1; § 38; § 49; § 53; § 59; § 66; § 95.

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esposto in precedenza, i subalterni non sono organizzati e spesso non par-lano, nel senso che non rappresentano se stessi politicamente o testual-mente. Per la Spivak, rappresentazione ed organizzazione sono fonda-mentali rispetto alla subalternità, e una volta che esse vengono raggiunte i subalterni cessano di essere tali. In un’intervista afferma: “Non credo di potermi dichiarare affine ai subalterni. Subalterno è tutto ciò che non è élite, ma il problema con questo tipo di nomi è che se si ha un qualche ge-nere di interesse politico gli si dà un nome, nella speranza che questo spa-risca. La coscienza di classe è funzionale proprio alla sparizione delle clas-si. Ciò che politicamente vogliamo vedere è che il nome non sia possibile. Dunque quello che mi interessa è considerarci come coloro che danno un nome ai subalterni. Se il subalterno potrà parlare, allora, grazie a Dio, non sarà più un subalterno”70.

In questo senso, se i subalterni sono organizzati e rappresentano se stessi, non sono più subalterni. Ma ciò significa che si siano in qualche modo trasformati in gruppi dominanti all’interno della società? Significa che abbiano trasformato le relazioni sociali e politiche di subordinazione che avevano provocato la loro marginalizzazione? Nelle prime opere della Spivak sarebbe arduo trovare una risposta a queste domande, ma nel suo libro più recente ella scrive: “Quando viene creata una linea di comunica-zione tra un membro dei gruppi subalterni e i circuiti di cittadinanza o istituzionalità, il subalterno è stato avviato alla lunga strada verso l’ege-monia”71. In termini gramsciani, creare “una linea di comunicazione” ed essere “avviato alla lunga strada verso l’egemonia” richiede una lotta poli-tica. I gruppi subalterni debbono diventare consapevoli della loro condi-zione sociale, organizzarsi e lottare per trasformare le loro condizioni so-ciali, poiché l’organizzazione e la rappresentazione da sole non trasforme-ranno i rapporti di subordinazione. Nonostante questi aspetti dell’attività dei subalterni possano non sfociare, per la Spivak, nell’idea di uno svilup-po per fasi, per Gramsci avviene proprio questo.

70 G. C. SPIVAK, The Postcolonial Critic: Interviews, Strategies, Dialogues, ed. S. Harasym. New York, Routledge, 1990, 158. 71 G. C. SPIVAK, A Critique of Postcolonial Reason: Toward a History of the Vanishing Present, Cambridge, Mass. & London, Harvard University Press, 1999, 310.

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Progetto rivoluzionario di Gramsci per la liberazione dei subalterni Come ho affermato in precedenza, l’interesse di Gramsci per i subalterni è di triplice natura: egli è interessato a creare una metodologia per un’ana-lisi storica della subalternità, inoltre una vera e propria storia dei gruppi sociali subordinati, e da questi due progetti desidera formulare una stra-tegia politica, pratica e rivoluzionaria che liberi tali gruppi dalla loro con-dizione. Da questo punto di vista, Gramsci concorda con le dottrine del materialismo storico, per il quale è l’analisi storica che dà forma alla teoria e la teoria che dà forma alla pratica. Per Gramsci, non esiste soltanto un’unità di teoria e pratica, ma un’unità di analisi storica, teoria e pratica o, come egli afferma, una “filosofia della praxis”. Egli ritiene che la storia vada studiata in tutte le sue sfaccettature con il proposito di dar forma ad un’analisi politica di taglio storico e formulare una strategia politica rivo-luzionaria72. Come ha spiegato nell’articolo de “L’Ordine Nuovo” intitola-to La scuola di partito: “Nelle nostre fila si studia per accrescere, per affi-nare le capacità di lotta dei singoli e di tutta l’organizzazione, per com-prendere meglio quali sono le posizioni del nemico e le nostre, per poter meglio adeguare ad esse la nostra azione di ogni giorno. Studio e cultura non sono per noi altro che coscienza teorica dei nostri fini immediati e supremi, e del modo come potremo riuscire a tradurli in atto”73.

Gramsci considerava le analisi socio-storico-culturali come finalità di per sé parziali – per esempio con l’obiettivo di scrivere libri – ma in defi-nitiva utilizzava le sue analisi allo scopo di dar forma all’attività politica pratica, di giustificare particolari azioni, iniziative e tattiche74. Essenzial-mente il compito dello storico integrale o dell’intellettuale subalterno è quello di contribuire alla forma e allo sviluppo di strategie politiche con-crete, fondate su un’analisi socio-storica. Per Gramsci una direzione con-sapevole, conscia e storicamente informata, in combinazione con l’attività politica spontanea del popolo costituisce “l’azione politica reale” dei gruppi subalterni75.

72 Q 11, § 27; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 465. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 11, § 27, 1437. 73 Citazione da Gramsci in J. A. BUTTIGIEG, Introduction, cit., 20. Cfr. A. GRAMSCI, La scuola di partito, in “L’Ordine Nuovo”, 1 aprile 1925. 74 Q 13, § 17; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 185. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 13, § 17, 1588. 75 Q 3, § 48. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 48, 330.

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Gramsci, partendo da un’analisi storica, ha concluso che la liberazione dei gruppi subordinati richieda necessariamente una trasformazione dello Stato e delle sue relazioni sociali oppressive, poiché tali gruppi possono cessare di essere “subalterni” solo dopo aver trasformato le relazioni di subordinazione che ne causano la marginalizzazione. Secondo Gramsci, “i gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, an-che quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria ‘permanente’ spezza […] la subordinazione”76. “La vittoria permanente”, in questo caso, è la trasformazione dello Stato oppressivo e la formazione di un nuovo “Stato etico”. “[Lo] Stato”, nella sua analisi, “è tutto il complesso di attività pra-tiche e teoriche con cui la classe dirigente giustifica e mantiene il suo do-minio non solo ma riesce a ottenere il consenso attivo dei governati...”77. I gruppi sociali dominanti, in questo senso, conservano il controllo dello Stato attraverso una presa egemonica sulla società civile, e mantengono la loro egemonia su quest’ultima attraverso la promozione della loro ideolo-gia, dei loro valori culturali, pratiche sociali, moralità, modi di pensare, religione, costumi etc. – come osservato ad esempio nei lavori di Lombro-so, Barzellotti e Manzoni. “La supremazia di un gruppo sociale”, scrive Gramsci, “si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intel-lettuale e morale”78. Se un gruppo sociale riesce a promuovere con succes-so i propri valori come quelli dominanti nella società, può allora ottenere il potere e la legittimità per il dominio su altri gruppi sociali. Ad esempio, se i gruppi sociali dominanti sono borghesi, cattolici, maschili, di una par-ticolare razza e hanno un’inclinazione aristocratica, e se tali gruppi sociali dominanti sono gli organizzatori e i fondatori dello Stato corrente, allora le relazioni sociali prevalenti rappresenteranno valori e norme di quei gruppi dominanti, che questi ultimi descriveranno come “neutrali” e “u-niversali” e i gruppi sociali subordinati accetteranno come “verità” e “sen-so comune”.

Per Gramsci, lo sviluppo di un nuovo Stato basato su relazioni sociali egualitarie può essere raggiunto tramite una larga alleanza fra i gruppi so-ciali subalterni, che hanno la capacità di prevalere nella lotta per l’egemo-

76 Q 25, § 2; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 55. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 25, § 2, 2283. 77 Q 15, § 10; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 244. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 15, § 10, 244. 78 Q 19, § 24; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 57. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 19, § 24, 2010.

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nia. Poiché esistono vari gradi di organizzazione politica dei gruppi subal-terni, quelli più organizzati debbono cominciare ad esercitare una dire-zione morale e intellettuale, cercando di creare un’alleanza tra classi su-bordinate in grado di presentare un nuovo complesso di valori culturali, relazioni sociali e una nuova concezione dello Stato79. Dunque, prima di creare un nuovo Stato, i gruppi subalterni debbono diventare una forza contro-egemonica, capace di mettere in discussione i valori culturali do-minanti e ottenere il controllo sulla società civile. Gramsci paragona le superstrutture della società civile a “una robusta catena di fortezze e di ca-sematte” che difendono lo Stato e la struttura economica dal cadere ed essere attaccati80. Perciò egli insiste perché questi gruppi si impegnino in una “guerra di posizione”, in cui promuovano un nuovo complesso di va-lori sociali come controforza rispetto ai valori del gruppo dominante, nel tentativo di prendere il controllo della società civile e favorendo una nuo-va concezione della stessa. La guerra di posizione rappresenta in questo caso la lotta per l’egemonia, e tale contesa richiede che le classi subalterne costruiscano una propria forza socio-culturale in grado di unire le masse in una lotta politica comune81. Se le classi subordinate avranno successo in questo scontro, avranno il potenziale per divenire i nuovi gruppi sociali dominanti e fondare un nuovo Stato.

Come illustrato nella quinta e sesta fase dello sviluppo dei subalterni e in precedenti esempi storici, una guerra di posizione da parte di questi non rappresenta solo un confronto ideologico, ma anche una lotta pratica e politica, con cui i subalterni organizzano le formazioni politiche che rappresentano i loro punti di vista: così promuovono la propria conce-zione del mondo, affermando autonomia e potere politico. Per Gramsci un partito politico subalterno è l’organizzazione politica e pratica che può fornire una direzione intellettuale e morale ai gruppi subordinati e funge-re da embrione che si svilupperà diventando Stato. I subalterni, come par-tito, possono operare all’interno di raggruppamenti politici già consolida-ti (quinta fase), conquistando posizioni come personale dello Stato, del

79 Nel suo saggio Alcuni temi della quistione meridionale (A. GRAMSCI, Selections from Political Writings 1921-1926, cit., 443; 460-462; cfr. A. GRAMSCI, La questione meridionale, cit., 159; 188-190) Gramsci sostiene che il proletariato abbia la capacità di diventare classe dirigente creando “un sistema di alleanze di classe”. 80 Q 7, § 16; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 235, 238. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 7, § 16, 866. 81 Q 10, § 44; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 349. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 10, § 44, 1330-1331.

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governo e di altre istituzioni, mentre altri membri continuano a promuo-vere una contro-egemonia82. Una volta che la lotta per l’egemonia viene vinta, incomincia la “guerra di movimento”, o sesto stadio evolutivo, in cui i membri del partito che costituiscono il personale del vecchio Stato diventano il personale e la dirigenza del nuovo. In altre parole, se i subal-terni hanno intenzione di promuovere una nuova egemonia e cercare di creare un nuovo Stato, prima di conquistare il potere debbono diventare gruppo dirigente nonché leader politici e intellettuali all’interno della vec-chia società, cosa che richiede “masse sterminate di popolazione”83.

In tale strategia, perciò, questi gruppi sociali non cercano soltanto pro-tezioni legali rispetto allo Stato per superare la loro subordinazione, ma assumono la direzione culturale della società, organizzano un partito poli-tico, diventano i nuovi gruppi sociali dominanti, e infine diventano lo Sta-to84. Ciò che Gramsci ha in mente è la formazione di uno “Stato etico”, il quale possa trasformare lo Stato oppressivo e i rapporti di subordinazione che hanno creato e perpetuato la marginalizzazione dei gruppi. “Il gruppo sociale che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico, tendente a porre fine alle divisioni interne di dominati ecc. e a creare un organismo sociale unitario tecnico-morale”85. Idealmente, ciò che Gramsci ha in mente è uno Stato post-subalterno, uno Stato democratico che non permetta il dominio di un gruppo su un altro.

In breve, secondo l’analisi gramsciana, i gruppi sociali subalterni deb-bono guardare oltre le loro attuali identità, situazioni e posizioni subor-dinate; debbono storicizzare e concettualizzare le relazioni che ne causano la subordinazione e cercare di trasformare i rapporti e i sistemi di potere che hanno creato e mantenuto queste relazioni. Un tale progetto richiede una trasformazione rivoluzionaria dello Stato e della società; una trasfor-mazione egemonica che includa una coalizione tra tutti i gruppi sociali subordinati con un obiettivo politico comune: ovvero la creazione di uno Stato e una società che si fondino sui principi di uguaglianza e democra-zia, liberi dalla subordinazione e dallo sfruttamento in ogni sfera della vita.

82 Q 3, § 119. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 3, § 119, 386-388. 83 Q 6, § 138; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 238-239. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 6, § 138, 802. 84 Q 25, § 5; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 52. Cfr. A. GRAMSCI, Qua-derni del carcere, cit., Q 25, § 5, 2288. 85 Q 8, § 179; A. GRAMSCI, Selections from the Prison Notebooks, cit., 259. Cfr. A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Q 8, § 179, 1050.

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In definitiva, lo studio e la concezione del subalterno da parte di Gram-sci sono trasformativi. Gramsci è senza dubbio interessato ad una tra-sformazione storica, politica, sociale e culturale che produca la liberazione dell’essere umano, ed egli vede avvenire questa trasformazione dal basso; cioè i gruppi subalterni, che sono subordinati e non detengono alcun po-tere socio-politico, tenteranno di superare la loro condizione attraverso un’ampia lotta che influenzerà ogni aspetto della società e, di conseguen-za, la loro esistenza sociale. Poiché il potere politico risiede all’interno del-lo Stato ma viene rafforzato entro pratiche sociali e culturali, Gramsci ve-de avvenire la lotta per la trasformazione dei subalterni secondo modalità egemoniche, attraverso le quali viene presentata una nuova concezione di società non solo in politica, ma anche negli ambiti superstrutturali del-l’ideologia, cultura, filosofia, letteratura etc. Perciò egli nella sua analisi cerca di cogliere la totalità dell’esistenza dei subalterni. È interessato alla relazione integrale tra le loro condizioni economiche, politiche e sociali; alle fasi del loro sviluppo nella storia; al loro rilievo nelle forme culturali; alla loro rappresentazione in letteratura etc. Lo studio gramsciano del su-balterno rivela non solo le difficoltà implicate nell’analisi di questa cate-goria, ma anche i molti fattori che contribuiscono alla marginalizzazione dei gruppi così come gli elementi che impediscono a questi di uscirne. Il concetto gramsciano di subalterno crea non soltanto un nuovo terreno di lotta, ma anche un criterio metodologico per l’elaborazione di tale con-fronto, fondato sull’analisi integrale delle radici economiche, storiche, culturali e ideologiche della vita quotidiana.