Gli Italiani della settimana 21/28 novembre 2010

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Aspettando la parodia della caduta dell’impero

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L’Italia, due mondiAspettando la parodiadella caduta dell’imperoDi Pietro Orsatti

Scende in piazza il mondo della scuola e dell’università così come quello della cultura e dello spettacolo. Scende in piazza la Cgil il 27 e non è una manifestazione qualsiasi. Dopo quella della Fiom di alcune settimane fa sarebbe impossibile. Centinaia di manifestazioni locali e proteste in tutto il Paese: per il lavoro, per i diritti. Sono ancora su una torre dopo 17 giorni i migranti a Milano. Altri arrivano a cucirsi la bocca con ago e filo in un Cie a Torino. Scende in piazza L’Aquila per chiedere la ricostruzione che non è mai davvero partita dopo il fiume di denaro sperperato in quartieri satellite senza senso se non per le note di bilancio. Un migliaio di persone sono andati a gridare la loro solidarietà ai magistrati di Palermo che si stanno occupando delle inchieste sui rapporti fra mafia e politica e sulla trattativa fra un pezzo dello Stato e Cosa nostra. Inutile dire che da un momento all’altro riesploderà la rivolta in più punti della Campania. Napoli, e tutta la regione, si è trasformata in una polveriera. Scende in piazza perfino il Pd l’11 dicembre. Sarebbe facile ironia far intendere che non ci sono più abituati. Ma tant’è, andiamo avanti.

Intanto il Paese è inchiodato nello psicodramma del governo e nella tragedia del padrone della maggioranza che si avvicina alla fine del suo ciclo politico. Un tragedia goffa e grottesca, come se andasse in scena una parodia di Ciccio e Franco del Re Lear di William Shakespeare. Anche “la ministra più bella del mondo”, l’ex soubrette Mara Carfagna, sembra intenzionata a uscire sbattendo la porta dal governo e dal Pdl. Il premier per cercare di tranquillizzarla al telefono ha fatto più di un’ora di ritardo al vertice Nato. La cosa non ha fatto scalpore più di tanto visto che ormai i leader stranieri si sono abituati alle uscite di quel simpatico intrattenitore di Silvio. O forse, più semplicemente, hanno tirato un sospiro di sollievo non vedendolo arrivare. Niente gaffe e siparietti e scherzi da caserma. Almeno per una volta.

Ma torniamo alla Carfagna. Dice, Mara, che ormai il partito non è più riconducibile alle origini berlusconiane. Che a guidarlo sono il trio Verdini, Cosentino, La Russa. Se n’è accorta solo ora? E ringrazi, Mara, che il braccio

armato, Bertolaso, è andato in pensione. Per ora, temiamo.

A proposito di Bertolaso, continuo ad avere difficoltà a capire se i complimenti e i ringraziamenti fatti all’inossidabile Guido da Legambiente siano stati una garbata presa in giro o se dicevano sul serio. Se poi qualcuno quella dichiarazione me la spiega...

Intanto non si capisce chi voglia davvero le elezioni oltre alla Lega e a Vendola. La Lega vuole fare il pieno al nord sulle spalle del Pdl. Vendola sa di poter correre per le primarie ma anche di non avere struttura e tempo per reggere ancora per molto l’attesa. Se non si andrà presto al voto Vendola rischia di arrivare al traguardo delle primarie logorato. Se si dovesse andare a un governo tecnico, o peggio a un governo di centrodestra a guida Tremonti o leghista, Vendola rischia davvero molto. Rischia di essere tagliato fuori dai giochi e rischia di non riuscire a prolungare la spinta di consensi che dalla Puglia lo ha scagliato sulla scena nazionale. L’unica sua possibilità, e forse lo sta già facendo, è quella di ricompattare le tante anime disperse della sinistra e ridare spinta a quell’area del 10% liquidata dal porcellum e dalle divisioni.

Vendola fa paura. Fa paura ai centristi. Fa paura al Pd che non ha ancora un leader credibile da candidare come premier. Fa paura perfino a Di Pietro, perché la radicalità razionale di Vendola rischia di cancellare i successi di consensi dell’Idv ottenuti fra i cosiddetti

“movimenti” della cosiddetta “società civile”. Altro che 8% per Tonino. Con Vendola sulla piazza, il partito dell’ex magistrato del pool Mani Pulite sarebbe costretto a fare i conti con le azzardate campagne acquisti degli ultimi anni. E con quella base soprattuto di giovani che da tempo mugugnano contro la gestione paternalistica del partito del “gabbiano”.

Ma anche qui, il gioco prolungato di una politica tutta centrata sul palazzo e sull’autoreferenzialità - anche nell’opposizione - divarica a dismisura la doppia realtà di questo Paese sfinito da 16 anni di promesse e realtà camuffate, di propaganda da televendita e di imposizione di un progetto culturale, quello del berlusconismo.

C’è un Paese che è davvero convinto che l’emergenza dei rifiuti sia stata risolta da Berlusconi e che la monnezza a Napoli la scarichino i comunisti di notte. C’è davvero un sacco di gente che crede sul serio nel miracolo de L’Aquila. Come che noi italiani siamo stati i più bravi in Europa a reggere la botta della crisi economica mondiale. Perfino i leghisti sono più scettici verso i propri leader dei militanti/clienti/ elettori del Pdl. C’è un mare di gente che pensa sul serio che la magistratura sia un’associazione eversiva che vuole fare una sorta di golpe attraverso i tribunali. È questa l’Italia che dobbiamo capire, che dobbiamo inquadrare, che dobbiamo sconfiggere. Culturalmente. Con la ragione. Mentre questo Re Lear impomatato si avvia al tramonto.

Il 28 a Partinicoper TeleJato

Dopo l'ennesima lettera minatoria nei confronti di TeleJato scendiamo in piazza a Partinico, per non accettare il ricatto della mafia e il silenzio di chi non crede nella necessità di una voce libera.28 Novembre alle ore 10:00, presso il salone riunioni del Palazzo dei Carmelitani, per dire ai mafiosi locali che Pino Maniaci e la sua famiglia non sono soli. Al termine un corteo che si concluderà davanti la sede di Telejato.

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La questione sociale diventa con sempre maggiore evidenza, nel nostro Paese, una questione generazionale. Si riducono le aspettative di benessere delle nuove generazioni, crescono le divaricazioni tra i destini sociali dei giovani e tornano ad essere come un tempo determinanti le eredità familiari e geografiche nello sviluppo della personalità.

La crisi e le politiche finalizzate a contrastarne gli effetti hanno drammaticamente peggiorato la condizione giovanile, mettendo a nudo l’insostenibilità del nostro squilibrato modello sociale, perseguito più o meno lucidamente negli ultimi vent’anni con responsabilità diffuse. Un mercato del lavoro duale, che espelle i lavoratori con contratto precario e a termine lasciandoli privi di tutele in tempo di

crisi – gli stessi che “sottoimpiega” e precarizza nei momenti di “crescita” -, che mostra una cronica incapacità di impiegare produttivamente la generazione più qualificata della storia della repubblica, e che contribuisce alla crescita della diseguaglianza dei redditi. Chi non può contare sulla protezione familiare è esposto al rischio povertà con livelli allarmanti nel Mezzogiorno, dove si concentrano inoccupazione, precarietà, sottoinquadramento, abusi, nero e economia criminale. Si assiste ad un ritorno della disoccupazione di massa, all’estendersi della sottoccupazione e di quel grave fenomeno di inattività “totale”, per cui si stima che oltre due milioni di giovani italiani non siano inseriti né in un percorso formativo né nel mercato del lavoro.

Gli effetti sul modello di sviluppo sono chiari: si sacrificano le forze più innovative, contribuendo a definire il destino di un paese più iniquo e meno dinamico.  Dove, per la prima volta dal dopoguerra, la condizione dei figli rischia di essere peggiore di quella dei padri.

La precarietà non si riduce alla sola dimensione lavorativa e non si esaurisce nel rapporto tra singolo lavoratore e datore di lavoro, ma investe l’intera sfera delle scelte di vita degli individui. Una precarietà “esistenziale” che mina le potenzialità espressive e creative di ciascuno, alterando persino i tempi “biologici”:  dalla scelta di formare nuove famiglie e famiglie “nuove”, all’affermazione dell’autonomia e della responsabilità individuale.

Basta con “i giovani disposti a tutto” pur di sopravvivere! Adesso siamo disposti a tutto pur di cambiare e migliorare questo Paese! Chiediamo rispetto, dignità, pieni diritti sul lavoro e autonomia dalla famiglia!

Nell’attuale modello di sviluppo, l’etica del lavoro sembra aver perso ogni significato. La nostra generazione è rimasta intrappolata in un sistema

dominato dalla logica della cooptazione, impossibile da combattere individualmente. Istituzioni e organizzazioni collettive non sono riuscite a contrastare efficacemente questi modelli,  e spesso hanno finito per assecondarne i meccanismi clientelari e familistici.

D’altra parte, essere dipendenti dalla famiglia d’origine in Italia non

Da solonon ti salviIl 27 Novembre in piazzaper cambiare (insieme) l’Italia

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significa solamente la possibilità o meno di avere una casa o di accedere a quei servizi che un inefficiente e imperfetto sistema di welfare non e’ in grado di offrire, ma anche che sarà la rete di legami sociali familiari a consentire di trovare un lavoro, bloccando spesso qualsiasi forma di mobilità sociale e anche di creatività e rinnovamento nei più diversi settori economici e  anche nelle aree più ricche del Paese. Un’immobilità che è fattore determinante del declino.

In questa fase di crisi, le forze sociali e collettive devono avere il coraggio e la forza di invertire la rotta, promuovendo la valorizzazione del merito, il rispetto delle regole, le garanzie di trasparenza: mutamenti nel costume necessari per combattere l’ingiustizia sociale e restituire libertà alle nuove generazioni.

Vogliamo affermare una rinnovata etica nei comportamenti pubblici e privati, come base della difesa dei diritti individuali e collettivi, per un diverso modello di sviluppo che comporti nuovi investimenti, nuove scelte economiche e nuove tutele sociali.

Alla nostra generazione è stato detto che formarsi avrebbe comportato maggiore “occupabilità”, più libertà di scegliere tra diversi lavori, maggiore reddito, più possibilità di districarsi in un mercato del lavoro altamente flessibile. La realtà è un’altra: un’intera generazione ha studiato, ha conseguito lauree, specializzazioni, master e dottorati per poi scoprire che il sistema produttivo italiano non riesce ad aprirsi alle nuove competenze, ed essere troppo spesso costretta a cercare altrove le possibilità di una realizzazione individuale all’altezza delle proprie ambizioni e aspettative.

Anche la rigida distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale è ormai fuorviante e superata: è evidente che, nei processi di lavoro, entrambi vengono penalizzati dalla scarsa qualità dell’organizzazione del lavoro e dei beni e servizi prodotti, dalla mancata valorizzazione del lavoratore e delle sue conoscenze, dal basso grado di dialogo sociale.

Oggi la crisi economica si combina con scelte politiche miopi, volte a restringere ulteriormente le opportunità di esercitare professioni intellettuali: da un lato vengono introdotte ulteriori misure corporative per l’accesso alle

“professioni protette” e dall’altro si continua a disconoscere l’universo delle “professioni non regolamentate”. Il quadro è drammaticamente aggravato dai continui tagli all’università, alla ricerca, alla scuola, all’informazione, all’editoria, alla cultura, al cinema, agli archivi, ai musei, al patrimonio culturale, artistico e ambientale.

Una politica lungimirante dovrebbe investire proprio su questi settori, affinché il Paese trovi all’uscita dalla crisi le condizioni di uno sviluppo migliore rispetto a quello perseguito in precedenza. Non vogliamo rassegnarci al pessimismo e al disincanto irresponsabile che viene predicato con fare paternalistico e spesso interessato: non lo accettiamo per noi ma soprattutto non lo accetteremo per i nostri figli!

Chiediamo che si affronti con decisione la “questione generazionale” che sta maturando, forse ancora

inconsapevolmente e silenziosamente, nel Paese.

Il Futuro è dei giovani e del lavoro. Diritti e più democrazia, cosi’ recita lo slogan della manifestazione che la Cgil ha convocato per il prossimo 27 Novembre.

Chiediamo una riforma degli ammortizzatori sociali che sappia rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro e alle trasformazioni della società italiana.

Chiediamo misure immediate per contrastare il precariato e la disoccupazione giovanile.

Chiediamo che la flessibilità non sia sinonimo di precarietà e solitudine del lavoratore ma sia accompagnata da misure di regolazione e di protezione sociale.

Affrontare di petto la questione generazione oggi significa dare una speranza e un futuro al nostro paese. Occorre una decisa politica dello

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sviluppo che sposti risorse dalle rendite agli investimenti produttivi per un modello economico innovativo e sostenibile; occorre dare diritti e tutele a tutto il mondo del lavoro, a prescindere dalla tipologia d’impiego;

Chiediamo che il Sindacato allarghi la propria base di rappresentanza a tutto il mondo del lavoro, estendendo la contrattazione collettiva alle forme di lavoro non subordinato, chiediamo al Sindacato di promuovere nuove politiche sociali che favoriscano una maggiore autonomia e mobilita’ delle persone, a partire dalle nuove generazioni.

E’ un impegno rivolto al futuro, che potrà essere onorato solo se la nostra generazione contribuirà direttamente ad una nuova stagione di mobilitazione e di conquiste sociali.

Troppo spesso, negli ultimi anni, abbiamo commesso l’errore di cercare risposte individuali a problemi collettivi. Ma ormai si é infranta per sempre l’illusione della salvezza individuale: senza un’azione collettiva e diretta dei giovani, anche in presenza di una nuova attenzione delle organizzazioni sociali, non si produrranno i necessari profondi cambiamenti di cui ha bisogno la società italiana.

Per questo, il 27 novembre, saremo affianco ad una Cgil che vorremmo sempre al nostro fianco,  occuperemo lo spazio pubblico, per affermare attraverso la nostra libera partecipazione la soggettività di una generazione che non fugge e non diserta, ma che anzi vuole essere

protagonista di un nuovo patto sociale tra le generazioni e di una nuova stagione per l’Italia.

Promotori:Salvo Barrano, 34 anni, archeologo free-

lanceMartina Di Simplicio, 32 anni,

psichiatra, dottoranda di ricerca presso l’Universita’ di Oxford

Emanuele Toscano, 34 anni, e’ ricercatore a tempo determinato in Sociologia all’Universita’ La Sapienza di Roma

Mattia Toaldo, 32 anni, e’ assegnista di ricerca in Scienze Politiche all’Universita’ di Roma III

Peppe Provenzano, 28 anni, ricercatore presso lo Svimez

Per informazioni e adesioni:   [email protected]

www.molecoleonline.it

L’Onda lungaDella protesta studentescaDi Giuliano Rosciarelli

Duemila a Cagliari, diecimila a Torino e Milano, ventimila a Roma e ancora: Bologna, Palermo Pisa, Reggio Calabria, Venezia. L’onda lunga della protesta studentesca ieri ha travolto nuovamente  tutta Italia con cortei, sit-in, blocchi improvvisati del traffico. A fare da cornice all’ennesima mobilitazione della scuola e dell’università, questa volta è stata la giornata mondiale del diritto allo

studio. Una manifestazione celebrata in tutto il mondo che ricorda il sacrificio degli studenti cecoslovacchi uccisi dalle truppe tedesche nel ’39 scesi a manifestare contro la guerra.  Ai cortei mattutini che hanno coinvolto cento città, si sono aggiunti altri appuntamenti pomeridiani: a Napoli, Ragusa, Siracusa si sono svolti concerti di band studentesche ed emergenti; a Cagliari, dove alla manifestazione si sono uniti anche i pastori, si è svolta una lezione in piazza tenuta dai ricercatori precari. A Roma, una parte del corteo ha raggiunto Montecitorio e improvvisato un sit-in a piazza Navona organizzato da Flc-Cgil e studenti con musica e dibattiti  mentre gli universitari “recintavano” l’ateneo con il nastro usato per limitare le aree a rischio crolli a simboleggiare “le macerie” cui hanno ridotto l’università. «Dimissioni» e «Vergogna» gli slogan più battuti, ma anche «Resistenza!», contro una riforma «fatta di 5 in condotta, rimandati e bocciature, tagli alle borse di studio e alle assunzioni, di  prestiti d’onore, limite di assenze, didattica e ricerca indirizzati da privati».

 Quella del 17 è solo l’ultima tappa di una mobilitazione senza precedenti del mondo dell’istruzione. Negli ultimi dodici mesi, lavoratori e ricercatori, hanno bloccato il traffico, organizzato sit in, occupato scuole e aule universitarie. Si sono rifiutati di fare lezione o al contrario le hanno organizzate in piazza. Hanno dato vita

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alla notte bianca della ricerca e diffuso comunicati. Ma tutto questo non è stato sufficiente ad ottenere  l’unica risposta che vogliono: garanzie sul futuro della scuola e dell’università. «Se il disegno di legge dovesse essere approvato - sostiene Claudio Riccio, leader della Rete della Conoscenza, network tra i più attivi nella protesta - l’università italiana vedrebbe banche, finanziarie, aziende all’interno dei luoghi decisionali, il diritto allo studio smantellato e trasformato in un meccanismo di perversi prestiti d’onore e i ricercatori resi precari a vita».

 «Fondi per l’Università e la Scuola pubblica da investire prima di tutto sull’edilizia scolastica e sulle borse di studio – è la richiesta degli studenti – contro il potere dei baroni e il controllo della qualità della didattica e dei servizi offerti dagli atenei», ma anche «una didattica fatta di insegnanti competenti e non licenziati, un mondo dell’istruzione pubblico e aperto a tutti». La giornata è scivolata via tranquilla, senza incidenti particolari, a parte qualche tensione a Pisa dove alcuni studenti medi hanno forzato il blocco di polizia perché volevano  arrivare sotto la sede di Confindustria, o a Torino dove hanno invaso per un’ora e mezza i binari della stazione Porta nuova prima di occupare la facoltà di Medicina.

 Duecentomila circa le persone che hanno risposto all’appello alla mobilitazione e che nei prossimi giorni

si faranno ancora sentire con iniziative e occupazioni «fino ad arrivare al 27 novembre», data della manifestazione nazionale della Cgil. Perché per gli studenti, la loro protesta è solo un tassello di un percorso più ampio: «Vogliamo contrapporre alla guerra tra poveri un nuovo vissuto di solidarietà e cooperazione – recita l’appello alla manifestazione - Vogliamo che la battaglia in difesa del sapere intraprenda una strada nuova: quello della Ripubblicizzazione». Una strada vecchia ed obsoleta, «che vuole negare il processo di cambiamento», secondo la ministra Gelmini. «Una speranza  per l’Italia» per il presidente dei Verdi Angelo Bonelli e per tutta l’opposizione. 

anche su Terra

Una scuola fintaPer accogliereil ministro Gelminidi  Cristina Luoni  e altri 40 docenti (dell’Istituto Falcone di Gallarate)

La visita di venerdì 12 Novembre all’IS Falcone di Gallarate da parte del Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini (VareseNews) rievoca certe atmosfere asettiche e rarefatte dei periodi bui della nostra e dell’altrui storia, quando si eliminava qualsivoglia elemento di disturbo: ciò che non si inquadrava, andava rimosso. Nel caso specifico pare che a stonare fossero professori e studenti dell’istituto stesso, i quali per l’occasione sono stati invitati a non presentarsi a scuola per il pomeriggio e la sera: ogni legittima

richiesta di spiegazioni è stata respinta in modo evasivo e talora sgarbato.

Solo il giorno successivo, l’incontro segreto si è mostrato in tutto il suo grottesco splendore: la ministra che visita una scuola semideserta, circondata da un manipolo di studenti/fotografi e cuochi accuratamente selezionati secondo criteri imperscrutabili; le sue parole di elogio per la splendida scuola, in un italiano per la verità non sempre degno dell’Accademia della Crusca, i nostri dirigenti raggianti davanti ad una tavola imbandita a festa e, infine, la maestrina di turno che si affanna a spiegare l’uso della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), magicamente comparsa insieme alla maestra stessa, per l’occasione.

La sensazione che ci pervade è di profonda amarezza: non sappiamo se l’ordine di “evacuare” l’edificio sia stato calato dall’alto perché la Signora dell’istruzione teme – forse a ragione – un confronto diretto o se l’iniziativa sia stata frutto dello zelo della nostra Dirigente che ha così voluto regalare alcune ore serene all’illustre ospite; certo è che si è fatto un grave torto a una categoria di lavoratori che ha l’importante compito di educare e formare gli individui di domani, e ai loro studenti che sono i veri protagonisti nel mondo della formazione. Essere trattati come potenziali disturbatori dell’ordine pubblico ci indigna.

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Facce senza GelminiFotoreportage dalla manifestazione degli studentiDel 17 novembre a RomaFoto di Salvatore Contino

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010Di rassegna.it

Il sindacato ha tappezzato le città italiane con offerte di lavoro “indecenti” per i giovani. Poi ha coperto i manifesti con la scritta “Non +”. Camusso: “Vogliamo raggiungere i ragazzi invisibili perchè ricattabili”. In vista della manifestazione del 27

“Giovani non+ disposti” a tutto è una campagna lanciata dai giovani della Cgil addosso a molti altri giovani e a tutti quelli che l’hanno letta, notata”. E’ quanto si legge sul sito www.nonpiu.it. La Confederazione svela la paternità dell’iniziativa, che ha tappezzato le città italiane, in vista della manifestazione nazionale del 27 novembre a Roma.

E’ stata una campagna in tre fasi, spiega il sindacato. Il 31 ottobre sono apparse online “le prime quattro proposte di lavoro indecenti”. Per rappresentare la situazione dei giovani in Italia, si leggono offerte del tipo: “Gruppo bancario cerca giovani con master MBA, disponibili a fare il caffè al loro capo o, se nervoso, la camomilla”. In contemporanea, viene aperta la pagina Facebook e il profilo Twitter dei giovani “disposti a tutto”.

Lunedì 8 novembre, prosegue, “il sito, la pagina FB e il profilo Twitter vengono virtualmente occupati dai Giovani ‘Non+’ disposti a tutto. Gli annunci affissi vengono coperti dalla scritta ‘Non+’”.

Quindi venerdì 12 novembre cade l’anonimato. “E’ nata con una provocazione anonima – spiega la Cgil -. Bene, adesso non è più anonima. Ma rimane una provocazione, questo sì. Una denuncia per dare un nome alle cose. E la realtà dei giovani che cercano lavoro ha nomi molto precisi: umiliazione, sfruttamento, frustrazione, rabbia”.

“Il ‘Non +’ è per i giovani che sono costretti a lavorare in un modo che non rispetta la loro dignità e i loro diritti”. Lo afferma in conferenza stampa la segretaria generale, Susanna Camusso. “Ciò che giustamente i giovani ci rimproverano – continua – è che non riusciamo a dare loro abbastanza voce. Pensiamo che lo sforzo vero di questa campagna sia stato quello di raggiungere i giovani che sono invisibili perché ricattabili, condizione che non permette loro di essere iscritti al sindacato”. Un’iniziativa che a pochi giorni dal lancio registra straordinari

risultati: in circa dieci giorni sono state 70mila le visite al sito web (www.giovanidispostiatutto.com), 700 i commenti e oltre11mila gli utenti attivi su facebook.

Ma questo è soltanto un primo passaggio. La campagna, infatti, non si ferma alla sola comunicazione. “Si farà rete e proposta – spiegano i giovani Cgil – per trasformarsi in azione collettiva e intervenire concretamente sui temi della vita quotidiana dei giovani: lavoro, welfare, conoscenza”. Le prime proposte sono la rivendicazione di

“un paese a precarietà zero, contratti veri per tutti, stop all’abuso degli stage, sostegno al reddito per tutti i precari, green economy per rilanciare lo sviluppo del paese”. Proposte che saranno al centro della manifestazione nazionale promossa dalla Cgil per il 27 novembre e dal titolo ‘Il futuro è dei giovani e del lavoro’.

I manifesti della campagna “Giovani non+ disposti”: fotogalleria

Giovani non +disposti a tutto

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Bombe a Terzigno: tre ordigni esplosivi ritrovati nei pressi della discarica.

Secondo il capo della Digos i tre ordigni appartengono a gruppi armati, naturalmente degli ignoti.

In una area sotto l’assoluto controllo dei militari, in una strada presidiata da agenti armati, un ”gruppo di violenti”, così definiti dalla Digos, riesce a piazzare, eludendo la sfilza di controlli, tre ordigni esplosivi. Il luogo del ritrovamento varia a seconda della testata giornalistica in libera interpretazione.

Addirittura la Repubblica parla di ordigni di fabbricazione jugoslava e dà come luogo di ritrovamento la Via Zabatta. Su questo tratto di strada che vede l’accesso alla discarica la presenza delle camionette degli agenti, polizia e carabinieri è continua, di giorno e di notte. Saranno stati eversivi invisibili? Il dubbio rimane.

Ma cosa diavolo sta succedendo in Campania?

Il sindaco di Terzigno, Auricchio, è stato iscritto nel registro degli indagati, dalla Procura di Nola, per aver bloccato un servizio pubblico; pubblico di cosa? Semmai un servizio

imposto alla popolazione. Questa l’ordinanza del sindaco Auriccho.

Leggendo l’ordinanza si capisce benissimo su cosa si basa, sulle analisi effettuate presso la discarica di Terzigno e poco importa stabilire se la contaminazione accertata sia direttamente correlabile alla discarica; il sito è contaminato, punto. « Tuttavia pur ritenendo necessario approfondire

lo studio anzidetto, nonostante i risultati delle analisi dell’Arpac e quelli dell’Asia, abbiamo puntualmente evidenziato il superamento delle CSC di molti parametri e tra questi, quelli di metalli pericolosi e sostanze fortemente cancerogene, appare grave e incomprensibile che non siano state adottate dall’Asia e dagli organi preposti al controllo tutte le procedure previste dall’art.242 del D.Leg.vo 152/2006. l’adozione di tali misure andava attuata sin dai primi rilievi affidati all’Arpac nel 2009, in una area in cui lo stato ambientale risultava già fortemente compromesso, erano auspicabili solo interventi volti al suo risanamento. Sono invece state adottate, scelte non solo in deroga alle normative vigenti, ma volte a compromettere in maniera irreversibile tutta una area protetta ».

La Procura di Nola avrebbe dovuto scrivere sul registro degli indagati coloro che hanno violato la legge 152 del 2006, art.242: – Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà

“Appare grave e incomprensibile che non siano state adottate dall’Asia e dagli organi preposti al controllo tutte le procedure previste dall’art.242 del D.Leg.vo 152/2006. l’adozione di tali misure andava attuata sin dai primi rilievi affidati all’Arpac nel 2009, in una area in cui lo stato ambientale risultava già fortemente compromesso, erano auspicabili solo interventi volti al suo risanamento”

Bombe a TerzignoTerroristi invisibiliiDi Roberta Lemma

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immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. Qualora l’indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati con attività in esercizio, garantisce una adeguata sicurezza sanitaria ed ambientale ed impedisce un’ulteriore propagazione dei contaminanti. Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, fatto salvo l’obbligo di garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente. – Invece, sempre la Procura di Nola, ha ritenuto giusto indagare su un sindaco che non ha fatto altro che difendere cittadinanza e ambiente, facendo sorgere dubbi sull’azione giuridica che appare più come un atto di intimidazione contro gli stessi sindaci vesuviani e popolazione.

Perché parlo di puro atto intimidatorio, forse perchè la velocità

dell’esecuzione contro Auricchio l’avrei voluta vedere contro i proprietari degli autocompattatori sequestrati davanti la discarica di Terzigno per trasporto abusivo di materiale radioattivo. La stessa veloce esecuzione l’avrei voluta vedere contro chi, per anni, ha gestito camorristicamente le assunzioni all’Arpac e tutta la gestione dei rifiuti in Campania, la stessa velocità l’avrei voluta vedere contro gli autori di queste intercettazioni. I consorzi affidatari dell’intera gestione dei rifiuti in Campania, come le aziende addette alla raccolta o alla costruzione di impianti idonei a garantire un efficiente piano integrato dei rifiuti sono tutte sotto inchiesta, indagate per truffa, corruzione, per essere in odor di mafia. Chiedo alla procura di Nola se è a conoscenza di questa altra inchiesta, e se ne era a conoscenza sulla base di quale moralità agisce, con tanto impeto, su Auricchio e su tutta la popolazione vesuviana e campana, con quale stato d’animo accoglieva e accoglie le delegazioni dei comitati civici, come può ignorare la dichiarazione del numero uno dell’Ente Parco Vesuvio che chiedeva, a gran voce, il sequestro preventivo della discarica di Terzigno.La Procura di Nola ha letto la

relazione dell’Ente Parco del 30 marzo 2010?

Ha capito, procuratore, perchè penso che il suo gesto contro Auricchio sia solo un atto intimidatorio? Infine le tre bombe ritrovate in Via Zabatta, all’imbocco per la discarica.

Resto dell’idea che Terzigno faccia paura, una paura tremenda allo Stato politico italiano e ancor più ad Impregilo. Vorresi sapere, procuratore, cosa ha pensato della visita fatta dalla Commissione Bicamerale sulle ecomafie cui presidente è Gaetano Pecorella, ha trovato giusta tale visita, l’ha trovata – democratica -.

Chiedo infine alla Procura di Nola cosa pensa di Caldoro Commissario dei rifiuti, pensa sia anche questo giusto o trova sia un ricavalcare l’onda che ha distrutto una intera regione?

Infine cara procura di Nola, lei che ha dichiarato alla stampa, – la provincializzazione dei rifiuti è un errore, – crede quindi sia giusta e doverosa, quanto legale, la proposta dei comitati civici di tutta la Campania che chiedono l’indipendenza territoriale della gestione dei rifiuti, dalla raccolta, al conferimento, o si debba fare come impone il governo, cioè dare tutto in gestione ai consorzi, plurindagati?

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Una flotta completamente a terra. È quella del servizio antincendio della Protezione civile. Da venerdì scorso diciannove Canadair giacciono inutilizzati e inutilizzabili negli hangar dell’aeroporto di Ciampino, alle porte di Roma. Un investimento di 400 milioni di euro bloccato. Con il nostro Paese che si trova nella paradossale situazione che, nel caso scoppiasse un incendio in qualunque parte d’Italia, non ci sarebbero i mezzi per spengerlo. La vicenda è legata con l’inchiesta Flying money, che  lo scorso ottobre ha portato all’arresto di 13 persone. Tra queste, Giuseppe Spadaccini, noto imprenditore pescarese a capo di diverse società di trasporto aereo, tra cui la Itali Airlines e la Sorem Srl che utilizzano la flotta dei Canadair della Protezione civile per lo spegnimento degli incendi boschivi sul territorio nazionale. Imprenditore aeronautico, socio con Bud Spencer e proprietario del “Aeroservice group” che comprende quattro società: oltre alle due già citate, fanno parte del gruppo anche San/Aem (manutenzione) e Air Columbia

(aerotaxi). Vicende pubbliche e private che si intrecciano, con la conseguenza che da due mesi oltre trecento famiglie sono senza stipendio. E con le aziende del gruppo che non hanno più soldi per carburanti, parti di ricambio e manutenzione. Con quest’ultima – come sottolineano Cgil, Cisl, Uil Ugl-Ipa piloti – finora garantita gratis dai lavoratori. Una dimostrazione di buona volontà che, invece, si è andata a scontrare con l’intransigenza della Protezione civile che ha rescisso il contratto mezz’ora dopo che Igor Catania,   il custode giudiziario che sta seguendo la vicenda, aveva avanzato delle proposte volte ad assicurare  il regolare svolgimento delle attività delle aziende coinvolte e il conseguente pagamento degli stipendi dei dipendenti. Non solo.

La protezione civile, «a titolo precauzionale», sta trattenendo i venti milioni di euro che dovrebbe dare proprio alla Sorem. Dimenticando l’esistenza di una polizza assicurativa stipulata proprio per coprire eventuali inadempienze contrattuali. Di fronte a

questo atteggiamento, una delegazione di piloti sarà protagonista di un sit-in in via Vulpiano, presso la sede della Protezione civile,  nelle stesse ora in cui ci sarà un incontro tra i sindacati, Igor Catania – custode giudiziario dei beni di Scapagnini – e  Angelo Borrelli, vice capo del dipartimento area tecnico amministrativa della Protezione civile.  Scopo dell’incontro sarà quello di avere risposte sulle richiesta avanzate nell’incontro del 12 novembre circa il futuro delle aziende e dei loro lavoratori.

«Qualora non dovessero essere soddisfacenti – afferma Francesco Alfonsi, segretario nazionale dell’Ugl trasporto aereo – siamo pronti ad andare a manifestare sotto Palazzo Chigi. I lavoratori sono esasperati. E temo che questa disperazione si tramuti in gesti clamorosi».

Uomo molto vicino a Gianni Letta, amico di Sabatino Aracu e in ottimi rapporti con molti altri personaggi politici dell’arco costituzionale, Giuseppe Spadaccini balza agli onori della cronaca nel 1997 quando, a

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Antincendio a terraTre servizi che raccontano come il servizio aereo della protezione civile, privatizzato, esista ormai solo sulla carta. E trecento posti di lavoro a rischio. Nel silenzioDi Vincenzo Mulè

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sorpresa, gli viene assegnato attraverso una trattativa privata il servizio antincendio. Sono in molti a guardare con curiosità e scetticismo all’imprenditore abruzzese, capace di ottenere il secondo appalto più ricco della Protezione civile con una società che nel 1995 dichiarava zero dipendenti, una produzione annua di 220 milioni di lire, cioé cinquanta volte inferiore al prezzo annuo del servizio aggiudicatosi, ed un capitale sociale di 99 milioni e 500.000 lire. E che, nel suo statuto prevedeva «servizi aerei, voli pubblicitari, voli per riprese fotografiche, fotogrammetriche, cinematografiche e televisive, per rilevamento, per spargimento di sostanza (antigrandine), riprese aeree prospettiche, cinematografiche e televisive, fotografie planimetriche», attività che avevano poco a che fare con l’oggetto dell’appalto. Una stranezza che non sfuggì alla Corte dei Conti che  nel 2002 stabilì che l’azienda non aveva i requisiti per partecipare alla prima gara. Bertolaso, allora direttore della Protezione civile, era entrato così nell’ordine di idee di non rinnovare il contratto alla Sorem alla scadenza del 2003.  Nel corso dell’ultimo interrogatorio, Spadaccini ha svelato come superò il boicottaggio

di Bertolaso: «Davo milioni all’Avanti di Lavitola per blindare il mio appalto». L’editore-giornalista, protagonista della campagna contro Fini sulla sua casa  a Montecarlo,  si mise al lavoro, coinvolgendo circa 200 parlamentari di Forza Italia e di An che con una lettera, primo firmatario Fabrizio Cicchitto, indirizzata a Silvio Berlusconi denunciarono le «intenzioni discriminatorie nei confronti della Sorem». Spadaccini mantenne l’appalto.

Caso canadairLa corsa contro il tempo per salvare il servizio anti incendio e 300 posti di lavoro

Il problema ora è trovare la copertura finaziaria. E una soluzione per circa 300 lavoratori. Sono ore di angoscia queste per i dipendenti del gruppo Aeroservices, holding che faceva capo a Giuseppe Spadaccini, arrestato lo scorso ottobre con l’accusa di evasione fiscale, e che attraverso la Sorem e la San, gestiva la flotta dei canadair per la Protezione civile. Un appalto milionario andato in fumo. Con la conseguenza che il servizio antincendio non è più in grado di rispondere a eventuali emergenze e che i circa 300 dipendenti non solo sono senza stipendio da tre mesi, ma non sanno neppure cosa sarà di loro e dell’azienda dove hanno lavorato finora. Sulla questione si è aperto un tavolo di trattative, che vede coinvolti la Protezione civile, i sindacati e Igor Catania, custode giudiziario dei beni di Spadaccini. Un tavolo dal quale, finora, non sono uscite soluzioni ma che – come ribadito anche ieri dai sindacati – «rimane aperto».

Finora è stato respinto dalla Protezione civile un piano proposto dall’amministratore giudiziario nominato dalla Procura della Repubblica di Pescara; così come il  progetto della Protezione Civile che prevedeva l’approvazione di un

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decreto legge che però non è riuscito a superare il filtro legislativo, sia per la violazione di alcune leggi sia perchè non aveva la necessaria copertura finanziaria. Anche ieri l’incontro che si è svolto nella sede della Protezione civile non ha portato grandi novità. Spostando la partita presso gli uffici del ministero dell’Economia, dove Protezione civile e Tremonti stanno cercando di limare i contrasti sorti finora.

Si lavora ora a un nuovo decreto legge, che affidi temporaneamente al Dipartimento della Protezione Civile la gestione e la manutenzione della flotta aerea, da una settimana ferma all’aeroporto di Ciampino. L’intervento normativo,  che potrebbe approdare già al Consiglio dei ministri del prossimo venerdì, consentirebbe alla Protezione civile di avvalersi del personale della Sorem e della San, fino alla gara comunitaria e comunque non oltre il 31 dicembre del 2011. Se il decreto non dovesse essere approvato, rimarrebbe un’unica alternativa: affidare tramite trattativa privata l’intera gestione e la manutenzione della flotta, ad un soggetto che abbia i requisiti per occuparsi del servizio fino allo svolgimento della gara comunitaria. Intanto, replicando a notizie di stampa che riferivano sul contenuto dell’ultimo interrogatorio reso da Spadaccini davanti al pm di Pescara Mirvana De Serio, Bertolaso ha tenuto a precisare di non aver mai «svolto attività per favorire qualcuno». Non sarebbe vero nemmeno che «il fratello di Bertolaso era direttore della Cai quando la Sorem si è aggiudicata l’appalto». «Rimase infatti alla Cai fino al 2004, mentre la firma del contratto con cui fu assegnata la gestione della flotta dei Canadair alla Sorem è dell’anno 2005». Fonti vicine a Bertolaso, poi aggiungono che, trattandosi di una gara ad evidenza pubblica europea  «non si capisce come Bertolaso avrebbe potuto svolgere attività d’indirizzo».

CanadairDoppio no

Doveva essere ieri la giornata della svolta per i lavoratori della Sorem e della San, le due aziende che gestivano la flotta di aerei antincendio Canadair ferma da oltre tre settimane in seguito alla crisi del gruppo Aeroservices,

guidato fino allo scorso ottobre da Giuseppe Scapaccini. L’imprenditore abruzzese è in carcere con l’accusa di evasione fiscale . La cronaca della giornata ha raccontato di un doppio schiaffo ricevuto dai dipendenti del gruppo. Il primo è arrivato alle prime ore del mattino, quando dal previsto vertice presso la Protezione civile tra i rappresentanti sindacali e il dipartimento della presidenza del Consiglio non è emerso nulla di nuovo, se non l’anticipazione del secondo schiaffo, ossia la bocciatura in Consiglio dei ministri del decreto legge proposto per la gestione provvisoria della flotta aerea antincendi dello Stato.Il provvedimento, d’iniziativa della presidenza del Consiglio, prevedeva la richiesta di accesso all’amministrazione straordinaria in deroga. Sul modello dei salvataggi effettuati per Tributitalia e Tirrenia. Così non è stato.

La prima reazione è stata, da parte di tutti i sindacati, la richiesta di un incontro urgente a Palazzo Chigi. Tra l’altro, in molti erano stati a storcere il naso di fronte al contenuto del decreto, lo stesso che era stato presentato nelle scorse settimane e che il Consiglio dei ministri aveva bocciato per la mancata copertura finanziaria. Il testo, infatti, prevedeva l’impiego a tempo determinato – un anno – per tutti i dipendenti Sorem e San. Allo scadere del termine, la Protezione civile avrebbe indetto una gara d’appalto europea senza però alcuna garanzia per il prosieguo del lavoro degli attuali dipendenti.

La gestione diretta avrebbe permesso il ritorno al lavoro del personale, con pagamento degli stipendi dalla data di ripresa del lavoro, ma soprattutto la continuità addestrativa e manutentiva in vista della stagione antincendio invernale. Un aspetto, quest’ultimo, che non andrebbe sottovalutato. L’attività della flotta Canadair, composta da 19 velivoli, è regolata da due campagne, quella estiva e e quella invernale. «E vero che siamo nella stagione invernale e il rischio è minore – racconta Massimo Lucioli, capo pilota e responsabile del Dipartimento nazionale Lavoro aereo-settore antincendio dell’Ugl Trasporti – ma ci sono stati anni in cui tra febbraio e marzo abbiamo registrato centinaia di ore di volo».

C’è poi da considerare l’aspetto della manutenzione degli aerei, fermi e inutilizzati presso l’aeroporto di Ciampino, cadenzato da rigide tabelle di manutenzione. Ormai ferme da tre mesi. Un danno e, soprattutto, un rischio, del quale forse ci si renderà conto durante la stagione estiva. La paura di molti, espressa da Lucioli, è che la Protezione civile superi le difficoltà di questo momento facendo volare «quattro aerei e chiamando piloti non italiani». Un espediente già utilizzato, come ricorda il pilota, nell’inverno del 1997 quando, per superare le difficoltà che seguirono il passaggio da Sisam a Sorem, gli incendi in Liguria vennero spenti da aerei francesi.

anche su terranews

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“Dopo di presentare il libro ritornerò all’anonimato”. Parla George Bush figlio, il quarantatreesimo presidente, mentre spiega a Matt Lauer della Nbc, che il suo ritorno alla ribalta era dovuto solo alla promozione del suo libro “Decision Points”.Il libro, edito da Crown Books, costa trentacinque dollari ed è stato scritto da Bush con l’aiuto del ventottenne Christopher Michel, il quale era stato stagista alla Casa Bianca nel 2003.Quando un ex presidente scrive le sue memorie lo fa per due ragioni. La prima è di giustificare il suo operato e la seconda consiste di assolversi di qualche colpa.Bush non ha scritto una completa autobiografia ma ha seguito l’esempio di Ulysses Grant concentrandosi su un periodo specifico, il suo tempo alla Casa Bianca. Ha spiegato che nonostante qualche piccolo sbaglio, come l’inadeguata risposta a Katrina, lui rifarebbe tutto alla stessa maniera.Nessun mea culpa dunque per la guerra

in Iraq iniziata con la “scusa” delle armi di distruzione massiva che Sadam Hussein possedeva e che poi si è saputo non esistevano. Bush spiega la guerra come un conflitto per portare la democrazia a un popolo eliminando un tiranno.Nessun rimpianto per il waterboarding, un tipo di interrogazione che molti considerano tortura, perché dà il senso di naufragare alla vittima. Bush rimpiange però il fatto di avere fallito a catturare Osama bin Laden.Appena uscito dalla Casa Bianca, Bush era il presidente meno popolare in tempi moderni eccetto Richard Nixon. Di questi giorni è visto un po’ meglio dagli americani con un indice di approvazione del quarantaquattro percento, solo un po’ meno di Barack Obama che ottiene il quarantasette percento.In parte gli americani hanno dimenticato la disastrosa politica di Bush sia dal punto di vista economico come pure in campo internazionale.

Inoltre il silenzio di Bush mantenendosi al di fuori della politica senza mai criticare Obama gli ha dato una certa rispettabilità. Poi l’emergenza dell’estremismo del Tea Party gli aggiunge una misura di repubblicano moderato mediante il contrasto. Rimanendo fuori dal dialogo politico ha reso Bush immune ai problemi del Paese ed ha aiutato non poco il Partito Repubblicano a conquistare la Camera dei Rappresentanti. Ciò è avvenuto perché gli elettori americani hanno cominciato ad addossare la colpa della situazione economica ai democratici quando invece le radici della crisi sono da trovare nell’amministrazione di Bush.Il silenzio di Bush lo ricopre di un certo rispetto che si deve ad ogni ex presidente. La sua mancanza di partecipazione nella vita pubblica forma però un grande contrasto con gli altri ex presidenti viventi.Il più ovvio è Bill Clinton che continua a partecipare in eventi politici a volte di partito ma

Bush vendi e fuggiPrima parte del dossier in cinque puntate di China Files

di Domenico Maceri

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spesso anche per il bene del Paese. Si ricorda facilmente la liberazione di due giornalisti americani dalla Korea del Nord nel 2009. Clinton ha anche cooperato con il presidente George Bush padre in attività di beneficenza. L’altro presidente vivente, Jimmy Carter, è anche lui molto attivo con le sue iniziative di pace ma anche di volontariato nella costruzione di case per i poveri mediante la sua collaborazione al gruppo Habitat for Humanity.

Il nostro Bush non ha una buonissima reputazione a livello internazionale. Bush è riuscito a distruggere tutta la buona volontà del mondo verso gli Stati Uniti subito dopo i tragici eventi dell’undici settembre. Riparare la sua immagine nel campo internazionale sarà difficile ma con il tempo forse è possibile.

Bill Clinton ha detto che il libro di Bush è interessante “dall’inizio alla fine” e che tutti, senza riguardo di persuasione politica, dovrebbero leggerlo.

I libri degli ex presidenti fruttano non pochi quattrini agli autori i quali spesso non ne hanno bisogno. Un’eccezione fu il libro di Grant. Negli ultimi anni della sua vita Grant e la sua famiglia si trovavano in una situazione economica molto precaria. Le sue memorie, completate poco prima della sua morte nel 1885, fruttarono alla sua famiglia più di 450.000 dollari. Fu inoltre uno dei pochi libri del genere con notevole valore letterario.

Domenico Maceri PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria,

California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali ed alcuni hanno

vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

PerùIl leader della rivolta indigena candidato alla presidenzaIl leader della rivolta degli indigeni peruviani di Bagua, Alberto Pizango, si candidera’ alle elezioni presidenziali peruviane del 2011.Pizango e’ sotto processo per aver istigato alla rivolta gli indigeni della zona amazzonica contro lo sfruttamento delle risorse naturali

dell’area di Bagua. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine portarono lo scorso anno alla morte di oltre tenta persone. In seguito a questo episodio il leader indigeno si rifugio’ per diversi mesi in Nicaragua per poi fare ritorno nel Paese e rilanciare il suo ruolo politico a livello nazionale. Pizango, dopo essere stato “incoronato” nel corso di una cerimonia tradizionale a Lima, si e’ detto pronto ad assumere “questo impegno enorme” ma ha aggiunto che la sua candidatura dovra’ essere confermata da un referendum interno al movimento politico Alianza para la alternativa de la humanidad. L’ingresso di Pizango sulla scena potrebbe tagliare definitivamente fuori dai giochi il leader nazionalista Ollanta Humala, sottraendogli i voti di una parte della sinistra e delle comunita’ indigene. Nel 2006 Humala arrivo’ fino al ballottaggio con l’attuale presidente Alan Garcia, uscendo poi sconfitto con un ridotto margine di voti. Al momento in testa alle intenzioni di voto, secondo l’ultimo sondaggio di Ipsos Apoyo, c’e’ l’ex sindaco di Lima Luis Castañeda con il 24 per cento dei consensi, seguito a un solo punto di distanza da Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto. Piu’ indietro c’e’ l’ex presidente Alejandro Toledo al 16 per cento, e quindi Humala all’undici per cento.Secondo un altra inchiesta diffusa ieri da Compañía Peruana de Investigación y Mercados Toledo starebbe registrando un forte recupero e si attesterebbe al 20,5 per cento dei consensi, superando Fujimori ferma al 19,6 per cento.

CinafricaQuei disordini a CantonDi Daniele Massaccesi

Se il maggior numero di coreani in terra cinese vive nel nord-est e in particolare nella metropoli commerciale di Dalian o se le comunità di occidentali sono per lo più sparse tra Pechino e

Shanghai, la comunità africana in Cina di più grandi dimensioni la troviamo nel profondo sud, a Canton, non distante dalla ex colonia britannica di Hong Kong.Sono più di 20.000 gli africani che vivono a Canton, centro economico e commerciale della provincia del Guangdong, meglio conosciuta come «fabbrica del mondo». Secondo la polizia sono molti di più, perché molti

dei residenti non sarebbero registrati o avrebbero un visto scaduto. Vivono nell’area che dai cinesi è chiamata «Little Africa» o «Chocolate City». Sono soprattutto giovani che arrivano da ogni parte del continente nero e sono per lo più dediti ad attività di commercio ed import-export con la Cina. Tramite Canton appunto, importantissimo porto cinese al pari di

Shanghai, Hong Kong o Tianjin.Il 15 luglio dello scorso anno la

comunità africana di Canton si è vista puntare addosso i riflettori dei media di mezzo mondo. Un numero imprecisato tra le cento e le duecento persone ha marciato di fronte ad una stazione di polizia per protestare contro le molestie subite dalla popolazione nera e chiedere al governo nigeriano di intervenire.

La manifestazione fu organizzata a poche ore dalla morte di Emmanuel Egisimba, un ragazzo nigeriano che si era lanciato dal secondo piano di un centro commerciale per sfuggire ad un controllo di polizia. Ferito ma fuori pericolo un altro ragazzo che era con Emmanuel. I due sono volati da un’altezza di diciotto metri. Discordanti sono state le versioni della polizia e dei testimoni: secondo quanto riportato dagli agenti, Emmanuel, mercante di indumenti, non sarebbe morto sul colpo ma sarebbe rimasto gravemente ferito; l’altro, dedito al cambio non autorizzato di valute straniere, avrebbe invece riportato solo lievi ferite.

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Di certo è rimasta solo la protesta spontanea ed improvvisata dei duecento africani, che si sono radunati fuori dall’ufficio di polizia dove i due ragazzi sono stati trasportati. È stato il primo caso di una manifestazione di protesta ad opera di stranieri in Cina.

Già mesi prima il Global Post aveva a lungo parlato dei problemi burocratici che la comunità africana stava avendo in Cina, specialmente nella provincia del Guangdong. A ridosso delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (primo ottobre 1949), i controlli si stavano facendo più serrati da parte delle autorità ed ottenere un visto (o un’estensione di permesso di residenza) era sempre più difficile. Per questo molti commercianti africani a Canton hanno scelto la via dell’illegalità, suscitando un inasprimento delle pene (imprigionamento e multe salatissime) su tutta la comunità africana. Con le conseguenze anche più drammatiche, come nel caso di  Emmanuel Egisimba.

A volte sono i soliti luoghi comuni o l’intolleranza a sfavorire gli africani di Canton. «Forse qualche cinese pensa che gli africani non siano brava gente. Non vogliono troppo africani nel loro paese» ha detto Chuks Nwafor, commerciante di indumenti, ai microfoni del Global Post. E chi ha un visto scaduto o qualche problemino con la legge finisce per chiedere aiuto ai leader religiosi. Padre James, nigeriano in Cina dal 2004, è uno di quelli che offre protezione ai giovani africani di Canton: una via di mezzo tra pastore e operatore sociale.

Nelle chiese protestanti della Cina comunista la comunità africana si sente quasi a casa: «Questo è l’unico posto dove ci sentiamo completamente al sicuro» racconta Austin Jack, commerciante nigeriano di 27 anni, «una volta che lasci la chiesa sai che può accaderti di tutto».

CHINA FILES

MadagascarArrestati i militari golpisti

Arrestati nel Madagascar tutti gli ufficiali che mercoledì avevano tentato il golpe contro il presidente, Andry Rajoelina, l’ex dj che avevano invece

sostenuto quando aveva preso il potere nel marzo dello scorso anno.

I militari lealisti hanno fatto irruzione nella base navale di Ivato in cui i dissidenti si erano asserragliati, vicino all’aeroporto di Antananarivo, e posto così fine al tentativo di insurrezione. Nessuna resistenza da parte dei golpisti, a parte qualche sporatico colpo d’arma da fuoco,

l’operazione si è conclusa velocemente e senza vittime. Ieri il capo di stato maggiore delle forze armate, il generale Ndriarijaona Andre, si era recato alla base di Ivato per colloqui con i dissidenti, dopo che il ministro della difesa, Rakotoarimasy Andre Lucien, aveva ordinato l’evacuazione della zona.

Sembra quindi stabilizzarsi la situazione politica del Madagascar. Fino a quando? Siamo ormai abituati, in molti paesi africani, a frequenti tentativi golpisti. Il loro numero è certamente inferiore rispetto a quanto si verificava nel passato.

Ma in molti paesi dell’Africa non si è ancora ottenuta quella stabilità politica che rappresenta, senza dubbio, una delle condizioni necessaria affinchè quei paesi possano essere interessati da un intenso processo di sviluppo economico indispensabile per migliorare considerevolmente le condizioni di vita di milioni di africani.

In Cile il governo di destravuole cancellare il ricordo della dittatura

Il governo del Cile, il primo di destra dalla fine della dittatura di Pinochet, ha proposto di non concedere più finanziamenti a tutte quelle istituzioni impegnate nella difesa dei diritti umani e della memoria, per non dimenticare i “desaparecidos” e, più in generale, quanto avvenuto nel Cile di Pinochet. Più precisamente ha ritenuto che fosse opportuno valutare ogni singolo

progetto per verificare se sarà o no meritevole di ricevere finanziamenti pubblici.

Se la proposta di legge in questione fosse approvata sarebbe in pericolo la sopravvivenza di luoghi della memoria quali il Parco per la pace “Villa Grimaldi” e Londres 38.

Considerando la vera e propria azione di revisionismo portata avanti dal governo di destra, il finanziamento attraverso singoli progetti di questi luoghi della memoria diventerebbe molto difficile, in considerazione del fatto che nel 2010 le autorità governative hanno, in più occasioni, evitato di finanziare progetti artistici e culturali che richiamassero il periodo della dittatura di Pinochet.

In una dichiarazione congiunta, firmata anche dalla Commissione etica contro la tortura, gli enti che gestiscono quelle due realtà hanno accusato il governo di voler cancellare il passato, invece di riconoscerlo come parte del patrimonio e della memoria nazionale, e hanno lanciato una raccolta firme per chiedere al Parlamento di non ratificare la soppressione dei finanziamenti.

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Un’altra crepa nel fortino di BerlusconiLa Carfagna conferma la sua uscita dal governo e dal partito

Ci sta diventando imprevedibilmente simpatica Mara Carfagna. Che dopo due anni e passa da ministro si rende conto di quale sia il “blocco di potere” all’interno del Pdl. E soprattutto quello in Campania dove il coordinatore, Cosentino, gestisce il partito con mano di ferro.  E allora arriva la conferma che il ministro si dimetterà da ogni incarico lasciando il partito del suo mentore Berlusconi. “Non farò mancare la fiducia a Berlusconi, ma il 15 dicembre rassegnerò le mie dimissioni dal partito. Lascerò anche lo scranno di parlamentare, perché a differenza di altri sono disinteressata e non voglio dare adito a strumentalizzazioni. Mi dimetterò ovviamente anche da ministro visto che il mio contributo pare sia ininfluente”. Questo quello che ha dichiarato il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna in un’intervista al “Mattino” di Napoli. A quanto pare il tentativo fatto da Berlusconi di farla rientrare e di rassicurarla non ha funzionato. Mara Carfagna fa in particolare riferimento alla gestione del partito in Campania su cui il ministro accusa: “E’ una guerra tra bande”. Ultimo episodio l’emergenza rifiuti: “Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri ho fatto presente la mia preoccupazione sullo scontro istituzionale tra Comune e Provincia di Salerno che rischia di portare alla paralisi assoluta compromettendo la realizzazione dell’impianto. Non posso permettere che per una guerra di potere si faccia

saltare un’operazione di vitale importanza per la Campania con la conseguenza che dopo Napoli anche Salerno possa essere sommersa dai rifiuti”.

Un durissimo colpo per Berlusconi. Perché Mara, al di là delle apparenze, in Campania pesa e non poco. E soprattutto per il premier diventa intollerabile che una delle sue fedelissime lasci il Pdl e in questo modo alla vigilia di quel 15 dicembre, snodo fatidico per il governo e per la sua storia personale. Voto di fiducia e sentenza della Consulta sul legittimo impedimento: una giornata quella del 15 che sarà per Silvio Berlusconi una sorta di prova del fuoco.

Certo è che forse il gesto di Mara Carfagna sarebbe stato più coerente con le sue dichiarazioni degli ultimi giorni se le sue dimissioni fossero arrivate prima del voto di fiducia.

Italiache stringe la cinghiaDi Paolo Borrello

L’annuario 2010 dell’Istat come ogni anno fornisce una “fotografia” molto interessante del nostro paese. E l’Italia di oggi è notevolmente influenzata dalla crisi economica e finanziaria che da alcuni anni la colpisce. Certamente permangono i problemi strutturali che da tempo la contraddistinguono ed anch’essi sono rilevati nell’annuario 2010. E una sintesi ben fatta e quindi molto utile dell’annuario dell’Istat è contenuta in un articolo di Rossella Bocciarelli pubblicato da “Il Sole 24 ore”:

“Un paese in cui aumentano le tempie grigie e si diventa madri da ‘primipare attempate’, dove il tasso di occupazione, già basso, appare in ulteriore riduzione, e dove i laureati impiegano non meno di tre anni per trovare un lavoro. Anche se, poi, la vita di tutti i giorni procede bene, se non altro perchè si può contare sulla crescita del gruzzolo in banca (90 miliardi di depositi in più) e sulla casa di proprietà (ne dispone il 74,3% degli abitanti). l’Italia statisticamente scolpita dall’Istat nel suo annuario 2010 è così: un paese ancora agiato (tanto che un italiano su due si dichiara soddisfatto della sua condizione economica) ma non molto friendly verso i giovani.La fecondità ha subìto un stop. I dati demografici, sulla base dei quali i residenti in Italia italiani sono 60 milioni 340mila 328 e uno su cinque ha più di 65 anni, dicono anche che per la prima volta dal 1995, anno in cui aveva ricominciato a crescere, il tasso di fecondità interrompe il ciclo crescente, attestandosi nel 2009 a 1,41 figli (1,42 nel 2008). All’interno dell’Unione europea a 27 Paesi (dati 2008), Irlanda e Francia sono in cima alla graduatoria con rispettivamente 2,1 e 2,0 figli per donna mentre l’Italia, pur posizionandosi nella parte bassa, è comunque sopra Germania (1,38) e Portogallo (1,37) e alcuni paesi dell’Est europeo (Polonia, Ungheria e Romania). Ma in Italia le donne diventano madri più tardi: 31,1 è l’età media al parto nel nostro Paese, il valore più alto dell’Ue27.

Ci si sposa di meno, anche se si continua a preferire il rito religioso (62,5%); in compenso ci si lascia spesso: ogni 1000 matrimoni ci sono

286 separazioni e 178 divorzi. In un anno, tra il 2007 e il 2008, i divorzi (54.351) sono aumentati del 7%, mentre le separazioni (84.165) sono cresciute del 3,4%.

In generale le famiglie italiane risentono della crisi: tirando la cinghia, la spesa media mensile è ammontata a 2.442 euro, 43 euro in meno del 2008. Poichè tale dato, si legge nell’annuario, «incorpora sia la dinamica inflazionistica (+0,8%) che la diminuzione del valore del fitto figurativo (-1,1%), la riduzione in termini reali appare alquanto significativa».I dati sui comportamenti degli italiani riservano anche qualche inattesa novità.

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Per esempio, sono più di 12 milioni gli ‘internauti’, per la maggior parte concentrati nel Nord Ovest e, a sorpresa, nel Mezzogiorno, che batte Centro e Nord Est. A livello territoriale, si legge nel rapporto, si contano 3,6 milioni di utenti della rete nell’Italia nord-occidentale, pari al 29,7% del totale, 3,3 milioni nel Mezzogiorno (27,6%) e 2,7 milioni nell’Italia centrale (22,3%). Ultima ripartizione geografica per numero di amanti della rete è l’Italia del Nord Est, con 2,4 milioni di utenti internet, pari al 20,4%. Buone notizie anche dal mondo giovanile: in un quadro generale di scarsa propensione alla lettura da parte di papà e mamme, i teen ager divorano libri e il 71,3% dei ragazzini tra gli 11 e i 14 anni è da considerare un “lettore forte” (12 libri e più letti in un anno).

Intanto, però, flette l’occupazione: nel 2009 sono 23.025.000 gli occupati rilevati dall’Istat, in calo, per la prima volta dal 1995, di 380.000 unità rispetto all’anno precedente (-1,6%). Questo risultato é la sintesi di una riduzione marcata della componente italiana, controbilanciata dall’aumento di quella straniera (+147.000 unità), il cui ritmo di crescita é comunque inferiore rispetto agli anni precedenti. La quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati raggiunge l’8,2% (7,5% nel 2008). La flessione più marcata (-2%) riguarda gli uomini, ma anche le occupate risultano in calo (-1,1%), interrompendo un andamento sempre positivo negli ultimi dieci anni. Aumentano, poi, le persone in cerca di occupazione, sono infatti 1.945.000, 253.000 in più rispetto al 2008. Il tasso di disoccupazione sale al 7,8% dal 6,7%, quello di inattività al 37,6% dal 37% di un anno prima.

Lo scorso anno, inoltre, è aumentata per effetto della crisi anche la spesa per la protezione sociale: quasi 424 miliardi (il 93,5% della spesa totale per questa funzione) sono stati spesi dalle amministrazioni pubbliche, annota l’Istat e destinati per 402 miliardi alle prestazioni per i cittadini, il 4,3% in più dell’anno precedente, con un’incidenza sul pil del 26,5%, quasi due punti percentuali in più rispetto al 2008. Quasi due terzi di questa spesa peraltro, sono stati destinati alla previdenza: come ha sottolineato ieri il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, il grande tema di policy sarà ora come riqualificare la spesa per la protezione

sociale «in modo da sostenere le famiglie numerose e l’occupabilità delle persone»”.

Italia un paese ancora agiato? Forse è meglio rilevare che la crisi non ha colpito tutti nello stesso modo.  A parte il fatto che, inevitabilmente, la crisi ha esercitato effetti più negativi su coloro che già erano in maggiori difficoltà, è necessario aggiungere - nell’articolo per la verità si affronta questo aspetto - e sottolineare con forza che sono i giovani ad  essere contraddistinti dai problemi più gravi che, peraltro, riguardano non solo la loro situazione attuale ma anche le loro prospettive future.

Albero di Tiffany a MilanoAbete gigante tagliato a pezzi e rimontato in piazza Duomo Di www.blogeko.it

Che scempio l’albero di Natale in piazza Duomo a Milano, altrimenti detto albero di Tiffany per via della gioielleria che lo allestisce e che, in cambio, attorno al tronco realizza un temporary shop di 200 metri quadrati. Un negozio non esattamente per tutte le tasche che stride con la crisi economica e con il significato del Natale.

Per realizzare questo monumento fuori luogo al lusso è stato abbattuto un rigoglioso gigante vegetale, un bell’abete rosso alto 48 metri: come un palazzo di 15-16 piani. Trascinato in città, tagliato a pezzi e rimontato sulla piazza. Un insulto alla natura e a chi la ama.

Un’amica milanese che passava in piazza Duomo ha fatto le foto con il cellulare e me le ha mandate.

Il comunicato stampa del Comune di Milano dice che l’albero “è stato

selezionato tra gli esemplari destinati alla rimozione dal piano di risanamento boschivo della zona”

Una signora si è presa la briga di telefonare alla Forestale, apprendendo che la salute del bosco non c’entra: l’abete è stato tagliato su richiesta del Comune di Milano e il “risanamento” si riferisce solo al fatto che i ranger hanno certificato la regolarità dell’abbattimento. L’ha scritto in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera; trovate il link in fondo.

Ecco l’albero issato davanti al Duomo. I due operai nel cestello danno l’idea delle dimensioni.

L’abete è stato letteralmente fatto a pezzi e poi rimontato come se fosse una costruzione con i mattoncini del Lego. Lo si nota ancor meglio osservando la sommità in un’immagine scattata da un’altra prospettiva

Ecco i rami dell’abete che attendono di essere rimontati: la punta (a sinistra) è alta da sola quanto un grande albero di Natale. Sulla destra si vede il tronco già innalzato sulla piazza.

In questi giorni arriveranno anche 100.000 luci. A Led: ecchediamine, Milano è una città ecologica. Arriverà

soprattutto la gioielleria ai piedi del tronco. Per la cronaca, il sindaco Moratti ha detto che non lo sapeva, che non le sembra giusto e ha preteso una “valenza sociale” all’operazione. Cioè la donazione di una parte dell’incasso alla Lega Italiana Tumori e alla Fabbrica del Duomo.

Monsignor Luigi Manganini, l’arciprete del Duomo, si è rifiutato di fungere da paravento: “E’ vero che la Fabbrica del Duomo ha grossi problemi, ma non accettiamo soldi a qualunque costo”, sono le sue parole riferite dal Corriere della Sera.

Riso ScottiSette arresti per truffaSulla bioenergiaDi Ecoblog

Tutti conoscono il marchio Riso Scotti e i suoi prodotti. Quasi nessuno, però, è a conoscenza del fatto che la stessa azienda gestisce anche una centrale a biomasse, tramite la controllata Riso Scotti Energia. La centrale elettrica in questione si trova a Pavia e altro non è che un piccolo

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inceneritore nato per bruciare gli scarti del riso.

Negli anni è stato trasformato in

centrale elettrica con il permesso di bruciare anche legna. Proprio l’inceneritore è al centro dell’inchiesta che ha visto sette persone finire agli arresti per truffa e traffico illecito di rifiuti. L’ipotesi degli investigatori, il Corpo Forestale, è che dentro quel forno non ci finissero solo legna e riso ma un po’ di tutto.

Una specie di termovalorizzatore campano in miniatura, che avrebbe bruciato negli anni 40 mila tonnellate di rifiuti tra plastica, imballaggi vari, fanghi essiccati di depurazione di acque reflue urbane e industriali. Di tutto un po’, quindi, con la connivenza di un laboratorio analisi compiacente che avrebbe falsificato i certificati per mettere le carte a posto e poter dire che, in quell’inceneritore, si produceva solo energia pulita.

Per approfondimenti: http://laprovinciapavese.gelocal.it/dettaglio/riso-scotti-energia-sette-arresti/2768250

La sentenzaDell’Utri mediatore tra la mafia e BerlusconiDi Monica Centofante

Ha svolto per quasi vent’anni un’attività di “mediazione” ponendosi come “specifico canale di collegamento” tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi.

Marcello Dell’Utri, l’amico dei boss, ha agevolato l’una e l’altro.

Apportando a Cosa Nostra “un consapevole rilevante contributo” al proprio rafforzamento grazie alla “cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo” che sarebbe divenuta, nel volgere di pochi anni, “un vero e proprio impero finanziario economico”. E risolvendo, contemporaneamente, i problemi di Silvio Berlusconi, minacciato dalla mafia, che ha preferito pagare pur di

non denunciare le estorsioni subite e di “stare tranquillo”.

Nelle 641 pagine di motivazione della sentenza d’appello, con la quale il senatore è stato condannato a giugno a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, la Corte fornisce un’importante conferma all’impianto accusatorio dei giudici di primo grado. E ricostruisce due decenni di relazioni e contatti tra l’odierno parlamentare del Pdl ed esponenti di primo piano dell’organizzazione mafiosa.Non incontri sporadici quindi, come la difesa li aveva più volte definiti, ma “amichevoli rapporti” mantenuti da Dell’Utri negli anni “con coloro che erano gli aguzzini del suo amico e datore di lavoro”. E “che gli consentivano di porsi in diretto collegamento con i vertici della potente mafia siciliana”: prima Stefano Bontade, il più influente esponente dell’epoca, e poi Salvatore Riina.

Tutto nasce dall’ormai noto incontro a Milano, negli uffici della Edilnord, tra lo stesso Bontade e Silvio Berlusconi, alla presenza, ovviamente, di Marcello Dell’Utri e altri boss.E’ in quell’occasione, confermano i giudici, che viene stipulato l’accordo al quale seguirà l’invio ad Arcore di Vittorio Mangano. Non uno “stalliere”, ma la garanzia contro i sequestri.In quell’occasione, prosegue il documento, Stefano Bontade “si impegnò personalmente ad assicurare con la sua indiscussa autorità mafiosa indicando a Berlusconi proprio l’imputato (Dell’Utri, ndr) per ogni eventuale futura esigenza” “e contestualmente stabilendo che avrebbe mandato o comunque incaricato specificamente qualcuno che gli stesse vicino”.In cambio l’imprenditore aveva iniziato

a versare importanti somme di denaro all’associazione mafiosa. Una vicenda che si intreccia, sottolineano i giudici, “con il tema dei pagamenti avvenuti per la cosiddetta ‘messa a posto’ relativa alle antenne televisive che Fininvest avrebbe cominciato a gestire iniziando ad acquisire nel palermitano alcune emittenti Tv”.

Siamo all’inizio degli anni Ottanta, protagonisti della violenta guerra di mafia che avrebbe lasciato sul campo di battaglia lo stesso Stefano Bontade, ma non i rapporti dell’imprenditore milanese con l’associazione criminale.“Infatti – si legge nel documento – anche dopo la morte di Bontade, nell’aprile del 1981 e l’ascesa in seno all’associazione mafiosa di Riina”, Dell’Utri “ha mantenuto i suoi rapporti con Cosa Nostra specificamente adoperandosi, fino agli inizi degli anni ’90, affinché il gruppo imprenditoriale facente capo a Silvio Berlusconi continuasse a pagare cospicue somme di denaro a titolo estorsivo in cambio di ‘protezione’ a vario titolo assicurata”.Un’operazione che l’imputato ha potuto portare avanti grazie proprio a quei rapporti mai interrotti negli anni con Antonino Cinà e Vittorio Mangano, “i due esponenti mafiosi in contatto con i vertici di Cosa Nostra i quali hanno accresciuto nel tempo il loro peso criminale … proprio in ragione del fatto che l’imputato ha loro consentito di accreditarsi come tramiti per giungere a Silvio Berlusconi, destinato a diventare uno dei più importanti esponenti del mondo economico-finanziario del paese, prima di determinarsi anche verso un impegno personale in politica”.

Tale condotta, scrivono in un modo un po’ sbrigativo i giudici, può però “ritenersi sussistente” solo fino a quando è provato il pagamento da parte di Silvio Berlusconi “delle somme richiestegli a favore di Cosa Nostra”. Ossia fino al 1992, “difettando invece elementi certi per affermare che ciò sia avvenuto anche negli anni successivi ed in particolare dopo la strage di Capaci e nel periodo in cui, dalla fine del 1993, l’imprenditore Berlusconi decise di assumere il ruolo a tutti noto nella politica del Paese”.Secondo i giudici mancherebbero infatti “prove inequivoche e certe di concrete e consapevoli condotte di contributo materiale ascrivibili a Marcello Dell’Utri aventi rilevanza causale in

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ordine al rafforzamento dell’organizzazione criminosa”. E quindi non sarebbe provato neppure il “patto elettorale” tra le cosche e Forza Italia, ai tempi della “discesa in campo” del Cavaliere.Tuttavia il documento non esclude che tra “la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, in concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia … all’interno di Cosa Nostra maturò diffusamente la decisione di votare per la nuova formazione così come confermato da tutti i collaboratori di giustizia esaminati al riguardo”.Segno che la tra le fila di Cosa Nostra quel partito doveva rappresentare quantomeno una garanzia.

“Mentre in Sicilia magistrati e uomini delle forze dell’ordine perdevano la vita nella lotta alla mafia – ha commentato questa mattina il senatore Lumia, componente della Commissione Antimafia – Marcello Dell’Utri faceva da canale di collegamento tra la mafia e Berlusconi. Questo è un fatto incontrovertibile che conferma i legami organici e collusivi tra il braccio destro dell’attuale presidente del Consiglio e fondatore di Forza Italia e Cosa nostra”. Ed “è scandaloso – ha aggiunto – che i principali mezzi d’informazione, il Tg1 e il Tg5, non abbiano dato la notizia”.

DOCUMENTO Scarica la motivazione della sentenza di primo grado

ANTIMAFIAduemila

Professione giornalistaIl Quarto potere precarioDi Marcello Frigeri

L’altro giorno parlavo con una ragazza. Intende prendere il tesserino da giornalista pubblicista. Le chiedo perché, e lei risponde che un giorno vorrebbe scrivere per una rivista specializzata, e che ha sempre avuto il

pallino della scrittura. Bene, questa ragazza non può diventare pubblicista. Vorrebbe, ma non può. Perché i giornali a cui ha chiesto un “contratto” da collaboratore non intendono pagare i collaboratori. Cioè questa ragazza dovrebbe lavorare gratis, e scrivere i pezzi che su commissione le propinano. E si sa: se per due anni consecutivi di lavoro non si riceve retribuzione, nessuno potrà mai diventare pubblicista. Dunque addio sogno. Non è un caso isolato, oggi è la prassi: i giornali non pagano i collaboratori. E pretendono che i collaboratori lavorino senza essere pagati. Un po’ come se un calzolaio, che di mestiere fa soltanto questo, fosse costretto a lavorare senza guadagnare; come se un operaio lavorasse in fabbrica senza stipendio, e così via.  I giornalisti che hanno avuto fortuna (come me) di diventare, appunto, giornalisti, sono pagati per sopravvivere. Sì, esatto, per sopravvivere, e non per vivere, che è diverso. Non riusciamo a metter soldi da parte. E lavoriamo per voi che ci leggete, e lo facciamo perché è un dovere e diritto del cittadino ad essere informato. Male che vada, poi, incappiamo in querele: denuncie da centinaia di migliaia di euro che pendono sul capo di giovani precari, colpevoli per qualche frase scritta alla brutto dinci. Colpevoli per qualche refuso: capita che una parola di troppo equivalga ad una sentenza di condanna. E una condanna ci porta via anche lo stipendio di un anno. A volte mi chiedo chi ce lo fa fare. Com’è che un lavoro e un impegno così importanti, fondamentali in uno Stato di Diritto, vengano sfruttati sotto gli occhi di tutti, e nel silenzio generale? Abbiamo un Ordine di autogoverno, che quando si tratta di punire, di certo non si tira indietro. Ma a che ci serve, e soprattutto che ci frega di un Ordine muto e inerme davanti a questa realtà? Solo una parola: che schifo.

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Noi lavoratriciDella Dussmann

Sono undici anni che lavoriamo in questo settore, ma come tanti altri non per scelta, come diceva uno dei direttori di Dussmann di Bergamo, ma perché non abbiamo alternative. Abbiamo

sempre avuto tante difficoltà che negli anni sono aumentate a dismisura. Siamo sottoposti a continue umiliazioni, discriminazioni, minacce, sfruttamento nonché sottovalutazione.

Abbiamo visto tanti colleghi “sotto pressione dei capo servizio” piangere cosi’ stressati e nervosi che diverse volte sono finiti addirittura al pronto soccorso. Ho visto tanti altri che non c’è la facevano più, abbandonare il posto di

lavoro prima di trovarne un altro. Alla fine di ogni giornata si sente la frase “per fortuna è andata anche oggi ”. La frase nella quale si sente il sollievo di aver finito un’altra giornata pesante.Unica soddisfazione in tutti questi anni è stata conquistare il nostro primo contratto aziendale con l’aiuto della Filcams-Cgil, ottenendo 10 punti per noi molto importanti che ci hanno migliorato le condizioni lavorative.

 Siamo sempre stati sotto organico ma negli ultimi due anni, da quando c’è in corso il cambio d’appalto, il personale continua a diminuire drasticamente.

Pure in queste pessime condizioni riusciamo a coprire il lavoro di tutti gli ospedali del trentino con smisurato aumento di lavoro e l’apertura di nuovi reparti. Costretti a svolgere dei lavori che non entrano nelle nostre competenze, lavori che fino a ieri facevano operatori ospedalieri specializzati nel campo, senza essere pagati per questo, senza nemmeno un’ora di formazione e sempre nel nostro orario già definito. Per coprire tutto il lavoro datoci stiamo facendo

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tantissime ore di straordinario, chi per aggiungere qualche euro in più nella busta paga, chi sotto pressione del capo servizio, chi per paura di perdere il posto di lavoro. In particolar modo gli immigrati, legati alla legge razziale Bossi Fini.

Dopo tutto questo sacrificio da parte degli operai la nostra ditta Dussmann ci toglie l’unica cosa bella che siamo riusciti ad ottenere in questi anni – il contratto aziendale. Forse non tutti sono consapevoli di quello che ci sta succedendo non accorgendosi che ci stanno riportando indietro nei tempi della schiavitù. Ci stanno togliendo tutti i diritti ottenuti lavorando e lottando. Togliere tre settimane di ferie estive è molto grave in quanto la maggior parte di noi sono immigrati e come tali perdiamo una settimana solo in viaggio per non parlare delle spese. Perdere l’anticipo di infortunio è un fatto gravissimo visto che nel nostro campo gli infortuni sono sempre in crescita per stress nonché per il sovraccarico di mansioni da svolgere. Nessuno di noi è in condizione di poter aspettare ad essere pagato dal Inail dopo 5 -6 -7 mesi. Chi aspetterà noi quando ci sarà da pagare l’affitto, le bollette, le rate bancarie e cosa mangeremo nel frattempo? Il premio di presenza: non erano tanti soldi però ci davano una mano a coprire uno dei tanti buchi nella nostra casa. Per ottenere questo premio ho visto le colleghe lavorare zoppicando, con la febbre e con tanti malori. E adesso pure questo ci è stato negato come se il nostro stipendio fosse troppo alto.Cosa dire della mensa? Non è umiliante togliere un piatto caldo degli operai che si trovavano a lavorare a mezzo giorno? Devono andare come anni fa a mangiare nei puzzolenti spogliatoi.

Nemmeno gli altri punti del nostro contratto sono da meno ma per ora ci fermiamo qui. Purtroppo la nostra realtà è questa e per tutto ciò che avete sentito chiedo il vostro aiuto. Vi chiedo di fare tutto il possibile per ridarci la dignità e lottare insieme a noi nel tentativo di riconquistare il contratto aziendale.

Chiediamo un aiuto speciale al compagno Martini di Filcams nazionale (segretario generale della categoria ndr) con l’augurio che riesca a comprendere tutti i problemi sopra elencati mettendosi nei nostri panni prima di

firmare il contratto nazionale ormai scaduto da tre anni.

Firmato da alcune delle lavoratrici della Dussmann

SilenzipericolosiDi Roberto Morrione

Ci sono diversi modi per impedire di cercare verità scomode per il potere. Le mafie e le zone grigie in cui si sviluppano, li praticano tutti. Se in Russia decine di giornalisti sono stati uccisi e altri vengono selvaggiamente aggrediti, a esaltazione di quel “dono di Dio” con cui Silvio Berlusconi definì l’illuminato amico Putin, se la censura vige nei regimi dittatoriali, dal Medio Oriente all’Asia, dall’Africa all’America Latina, l’Italia presenta opzioni certo meno tragiche, ma altrettanto valide per il fine che si prefiggono: il silenzio sulle illegalità, gli affari sporchi, la corruzione diffusa. La memoria è venuta meno e vengono distrattamente ricordati gli undici giornalisti che negli anni hanno perso la vita per mano mafiosa e mandanti ignoti. La buona informazione affoga ogni giorno nella cronaca nera soggiogata dalle 3 “esse” di un pessimo bagaglio informativo privo di radici etiche e culturali: “sesso, sangue, soldi”.

Il panorama dei telegiornali, per il Censis unica fonte d’informazione di oltre il 70 % dei cittadini, è dominato dall’irrisolto conflitto d’interessi berlusconiano, mentre sulla carta stampata – insieme con decisioni governative che colpiscono i finanziamenti alle iniziative più indipendenti e senza sponsor – incombono falsi editori e veri appartenenti a comitati d’affari. Sfruttamento di giovani precari, quasi sempre costretti a lasciare la passione del giornalismo o a emigrare, isolamento di cronisti di vaglia, mancanza di inchieste, notizie prive di storia e contesto: è la situazione di tanti giornali nel Meridione dominato dagli

interessi illegali e mafiosi. E per certi aspetti non è dissimile, in contesti diversi, la situazione al Centro-Nord. E quando cronisti coraggiosi riescono a superare la cortina delle contiguità editoriali, magari animando blog d’inchiesta che fanno opinione, scattano le minacce mafiose, gli attentati intimidatori, le richieste terroristiche di risarcimenti milionari o a volte i licenziamenti.

I dati dell’osservatorio Ossigeno, che presentiamo, sono  impressionanti, ma il governo, le autorità, come l’ informazione stampata e televisiva, li

ignorano. E’ un drammatico errore, che colpisce il cuore stesso della Costituzione , ricordando quanto scrisse quasi un secolo fa Joseph Pulitzer: “Al di là della conoscenza, al di là delle notizie, al di là dell’intelligenza, il cuore e l’anima di un giornale albergano nel suo senso morale, nel suo coraggio, nella sua integrità, nella sua umanità, nella sua solidarietà verso gli oppressi, nella sua indipendenza, nella sua dedizione al bene comune”.

LiberaInformazione

Maroni non ci staPer lui la ‘ndrangheta é solo roba da terroniDi Pietro Orsatti

Saviano descrive la penetrazione della ‘ndrangheta al nord, e spiega come l’organizzazione criminale cerchi sempre di coinvolgere e inquinare e condizionare la politica e il potere. Al Sud come al Nord. E lo fa in diretta televisiva nel corso della trasmissione “Vieni via con me” su rai3. E Saviano sa, come raccontano le recenti inchieste coordinate dalle procure di Milano e di

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Reggio Calabria, che la ‘ndrangheta stia cercando di “avvicinare” anche amministratori del Carroccio. Perché chi governa ha il controllo dei cordoni della borsa, ha il controllo degli appalti e degli affari. E questa è l’unica cosa che interessa la criminalità. Il denaro.

Ma il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che ben sa quale sia la situazione nelle regioni del Nord diventate qualcosa di più che una semplice colonia delle mafie, non ci stà all’accusa dello scrittore.

Ecco la reazione del ministro. ”Mi sento offeso e indignato dalle parole infamanti di Saviano – ha detto Maroni – animate da un evidente pregiudizio contro la Lega”. Il ministro poi ha confermato di aver chiesto al Cda della Rai il diritto di replica. ”Chiedo risposta – ha spiegato il ministro – anche a nome dei milioni di leghisti che si sono sentiti indignati dalle insinuazioni gravissime di Saviano e quindi auspico che mi venga concesso lo stesso palcoscenico per replicare ad accuse cosi’ infamanti che devono essere smentite”. Chiedere scusa solo per i leghisti? E gli altri abitanti delle regioni del Nord non contano? Sempre che si debba chiedere scusa di qualcosa.

”Non c’e’ neanche bisogno – ha proseguito Maroni – di replicare ora nel merito, ma chi ha sentito ieri sera Saviano parlare senza contraddittorio potrebbe essere indotto a pensare che in quelle parole c’e’ qualcosa di vero e siccome non e’ cosi’ voglio poter replicare a quelle stupidaggini”. Lui, ha detto ancora il titolare del Viminale, ”mi ha definito uno tra i migliori ministri nella lotta alla mafia e ora vorrei che ripetesse le accuse di ieri guardandomi negli occhi: e’ facile lanciare il sasso senza il contraddittorio”. Se l’invito della Rai non arriverà, ha sottolineato, ”sarà dimostrata a tutti che quella e’ una trasmissione contro la Lega e che la democrazia è  un optional. Chiunque ha diritto di replicare, altrimenti vuol dire che siamo tornati al tribunale della Santa Inquisizione. Non credo – ha aggiunto – che alla Rai si sia arrivati a questo punto, ma non mi stupirei di nulla. Attendo risposta”.

Fa male a Maroni che la questione dell’insediamento stabile della criminalità organizzata, in particolare in Lombardia e nel milanese, venga sdoganata e resa pubblica da Saviano. Anche se Saviano non ha scoperto nulla

di nuovo. Lo scrittore infatti ha riportato solo le informazioni delle inchieste giudiziarie in corso e delle inchieste giornalistiche non di oggi ma di anni e anni. Perché della questione se ne parla, ma nel disinteresse (peloso) della televisione. Si sa della penetrazione dei clan negli appalti, nella ristorazione, nella distribuzione da anni. Si sa del controllo del traffico della cocaina e delle estorsioni. Tutto pubblico e conosciuto. Tutto documentato dalle forze dell’ordine, dalla magistratura e dalla Commissione Antimafia. Ma la mafie, o meglio le mafie, al Nord non devono esistere. Non bisogna parlarne. La mafia è roba da terroni. Il Popolo Padano è immune dal richiamo dei soldi.

E quindi fa male che Saviano, con gli ascolti che ha, in prima serata sveli al Paese una realtà abilmente tenuta sotto la linea dell’attenzione. Non è la denuncia, ma la forza del media che preoccupa Maroni.

Perché Maroni sa cosa sta avvenendo. Non può non sapere visto il ruolo che ricopre e le informazioni a cui può accedere. Perché i soldi non puzzano e sono arrivati, da decenni, nel Nord. Perché la ‘ndrangheta gestisce affari leciti e illeciti coinvolgendo e inquinando tutto ciò che incontra. Perché ci sono intere zone del Nord sotto scacco da parte della criminalità. Perché a furia di sottovalutare il fenomeno questo è diventato una realtà enorme e radicata.

Faccia la persona seria, Maroni. La smetta di indignarsi e di fare propaganda. La criminalità organizzata nel nostro Paese e in Europa è diventata un potere di dimensioni incalcolabili a furia di nascondere la testa sotto la sabbia. A furia di indignarsi quando qualcuno ha abbastanza coraggio di dire chiaramente, a tutti e pubblicamente, come stanno le cose, le mafie sono prosperate quasi indisturbate. E con loro un metodo, rodato e efficace, di controllo delle amministrazioni e degli affari. La ‘ndrangheta al Nord c’è, inquina politici di ogni colore, anche della Lega, e gli affari del pezzo ricco di di questo Paese. Si rassegni e si metta a lavorare davvero. Perché una spiegazione quei milioni di leghisti, di cui Maroni si sente portavoce, prima o poi la chiederanno. E non solo loro.

p.s. (il giorno successivo alla pubblicazione dell’articolo la Dia ha consegnato la relazione al parlamento che conferma le dichiarazioni di Saviano)

Approvato il nuovo regolamento sull’editoriaÈ la fine della libertà di informazioneDi Marco Barone

Dopo la sospensione delle agevolazioni postali per la spedizione di periodici, libri e quotidiani che ha comportato di punto in bianco che dal   primo aprile 2010  editori di quotidiani, periodici e libri non potevano e non possono più usufruire di tariffe agevolate, ma delle normali tariffe di Poste Italiane, ovvero che se fino al 31 marzo una casa editrice per spedire un pacco di libri fino a 3 Kg pagava 1,35 euro (costo peraltro già abbondantemente lievitato da inizio anno), dal giorno successivo  paga 7 euro. Intervento posto in essere proprio per colpire l’editoria piccola indipendente di contro informazione, colpire chi contribuisce in questo paese dal regime democratico a far ragionare le persone, a svegliare le menti spesso annichilite dai media e dalla stampa di Stato; ecco che il Consiglio dei Ministri, dopo anni di tentativi, oggi ha approvato il nuovo regolamento che riordina le procedure di erogazione dei contributi diretti ed indiretti all’editoria.

Occorre precisare che  con il decreto incentivi, solo ed unicamente  per l’editoria non profit sono state riattivate le agevolazioni di cui sopra.

In una nota del Governo si legge che : “Il regolamento tende a premiare i giornali che arrivano effettivamente nelle edicole, eliminando dal calcolo le copie vendute in blocco e quelle attraverso lo strillonaggio. Altro obiettivo, premiare le imprese giornalistiche che hanno un numero minimo di dipendenti.

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Il regolamento contiene altre disposizioni per favorire e tutelare l’occupazione nel settore giornalistico: le cooperative editrici potranno infatti percepire i contributi solo nel caso in cui siano composte in prevalenza da giornalisti e la maggioranza dei soci sia titolare di un rapporto di lavoro subordinato. Sono previste riduzioni fino al 20% dei contributi nel caso in cui l’impresa non utilizzi un numero minimo di giornalisti dotati di regolare contratto di lavoro.

Per quel che riguarda l’erogazione dei contributi, le copie effettivamente distribuite sostituiscono la tiratura quale parametro del calcolo, la distribuzione complessiva e la vendita dovranno essere certificate da una società di revisione. Il regolamento prevede infine la possibilità per le imprese di inviare le domande di contributo in via telematica, accelerando così i tempi, e misure di controllo più stringenti rispetto al passato.

Il varo del regolamento è arrivato stamani con l’approvazione del Consiglio dei Ministri, dopo aver superato il prescritto parere del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari del Senato e della Camera”.

fonte http://www.governo.it/Presidenza/Comunicati/dettaglio.asp?d=60945

Se mettiamo insieme le due norme ovvero le sospensioni delle agevolazioni postali che colpiscono l’editoria piccola ed indipendente, ed il presente regolamento che vincola l’erogazione dei contributi alle copie effettivamente distribuite il gioco è fatto.Come si possono distribuire copie di libri, quotidiani ecc se non si possono coprire i costi della spedizione?Quindi prima mi togli le agevolazioni postali, di spedizione e successivamente vincoli i contributi dello Stato per l’editoria alla distribuzione effettiva.Per distribuzione  di copie,si deve intendere, come sembrerebbe emegere all’interno di tale regolamento, “quelle poste in vendita in edicola o presso punti vendita non esclusivi, entrambi tramite contratti con società di distribuzione esterne e quelle distribuite in abbonamento a pagamento. Non potranno essere inserite nel calcolo le copie vendute in blocco a un prezzo inferiore a quello indicato sulla testata”.Se qualcuno pensa che questa sia una

forma di regime volta a reprimere la libertà d’informazione ha tutte le ragioni per affermare ciò.Semplicemente perchè non si è nella possibilità materiale, concreta di poter concorrere con le grosse catene di distribuzione che monopolizzeranno sempre di più il controllo dell’informazione, filtreranno le notizie che vorranno loro e come vorranno loro.Il prossimo passo, dopo i falliti tentativi pregressi, sarà internet, unica risorsa,ad oggi, libera ed incondizionata.

Mafia nel VenetoDalla mala del BrentaAi boss di Cosa nostraDi Alessandro Ambrosin

Sono finiti i tempi in cui la mala del Brenta terrorizzava il Veneto. Tuttavia la sua nascita si può considerare come una sorta di apripista per altre organizzazioni di stampo mafioso che si sono insinuate in questo territorio grazie ad un fitto rapporto collaborativo tra diverse realtà del crimine.

Dopo la cattura definitiva di Felice Maniero, avvenuta a Torino nel novembre del 1994, c’è stata una sorta di frammentazione criminale, durante la quale le cosche hanno avuto la possibilità di radicare maggiormente la loro presenza sul territorio, agendo senza dover più rendere conto ai propri affiliati veneti, ormai finiti tutti in manette, molti dei quali successivamente diventarono -come lo stesso Maniero – collaboratori di giustizia.Insomma si può parlare di un cambio di consegne, in cui le cosche, questa volta provenienti dal sud prendono il sopravvento, si sostituiscono lentamente a quella rete che Maniero e il suo clan avevano creato in vent’anni di attività criminale, ma che non sono mai riusciti a controllare in assoluta autonomia.

D’altra parte alla banda di “Felicetto” come lo chiamavano gli amici, era già stato riconosciuto lo status di associazione mafiosa, nonostante i suoi componenti fossero tutti veneti e non delle regioni del sud, come un luogo comune vorrebbe far credere.

Fu proprio la Corte d’Assise di Venezia a stabilirlo, tanto che la definì “un complesso di affari tra persone legate tra di loro da un vincolo associativo di carattere mafioso.” Regole ferree, ordine gerarchico stabilito, compiti differenziati, insomma Maniero tra omicidi, rapine, e il redditizio traffico di droga aveva creato una vera e propria holding del crimine con divisione dei ruoli e ripartizione di aree d’influenza fra i consociati, almeno così la definisce uno studio del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma tutto questo non sarebbe avvenuto se Maniero per allargare i suoi confini illeciti non fosse sceso a patti, siglando alleanze con

altre cosche mafiose.Totuccio Contorno

Infatti, i primi approcci tra la banda del Brenta e i boss di cosa nostra risalgono ai primi anni ’80 quando Totuccio Contorno e Gaetano Fidanzati, si trovavano nel Veneto in soggiorno obbligato.

La Questura di Venezia, nella sua relazione del 2003 scrive che “Il vero e proprio salto di qualità della mala del Brenta avvenne in seguito agli incontri con esponenti di primo piano della mafia siciliana”. Incontri che plasmarono la struttura della banda del Brenta, tanto da fargli acquisire tutte le caratteristiche tipiche delle attività mafiose, in primis il traffico delle sostanze stupefacenti. Tuttavia, nonostante la grande mole di atti giudiziari prodotti in quegli anni restano meno noti i percorsi del denaro illegale proveniente dalle attività mafiose. Transazioni nebulose, investimenti sull’immobiliare e sulle attività economiche sono da sempre l’obiettivo delle organizzazioni, che con questa strategia non solo riescono a ripulire i capitali sporchi, ma riescono ad inserirsi nel tessuto economico del territorio, spesso con appoggi politici e prestanomi scelti ad hoc per non destare sospetti.

D’altra parte il Veneto, specie dopo il periodo del cosiddetto “boom del nord est”, è diventata una ricca piazza

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che fa gola alla criminalità organizzata. Sempre nel rapporto della Dia del 2008 si parla di un “indissolubile legame tra criminalità organizzata e tessuto economico”. La stessa Prefettura di Venezia fece notare che “il contesto economico regionale appare permeabile alla penetrazione di capitali provenienti da attività illecite per il loro riciclaggio e reimpiego in attività legali.” Un particolare che viene accompagnato da strane anomalie sul territorio veneto, tra il proliferare di nuove imprese che aumentano in maniera spropositata il loro volume d’affari, – spesso gestiti da imprenditori che nonostante siano apparentemente sprovvisti di un’adeguata esperienza imprenditoriale dispongono di finanziamenti quasi illimitati.

Gaetano FidanzatiAll’inizio degli anni 2000 appaiono alcune cosche criminali, questa volta legata ai clan camorristici campani, che tentano d’investire in attività legate al commercio del pellame specialmente nelle cittadine balneari di Caorle e Bibione e altre tentano di estorcere denaro agli imprenditori del turismo a Cavallino Treporti, dove fu coinvolto anche un consigliere comunale di maggioranza.

Poi ci sono le minacce nel sandonatese fatte pervenire al professor Gianni Corradini, il commercialista che nel 1998 fu chiamato dal sindaco di Venezia Massimo Cacciari per rimettere in sesto i conti del Casinò. Intimidazioni che secondo la prefettura lagunare erano indirizzate dalle cosche mafiose della Sicilia per prendere il controllo della succursale del Casinò a Malta e di conseguenza permettere il riciclaggio del denaro sporco. Tant’è che nel 2002 venne a galla il tentativo da parte di una cosca del ragusano di produrre un danno economico al casinò di Cà Vendramin, tale da indurre l’amministrazione a vendere la sede maltese. Ad avvalorare l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa nel Veneto esiste anche un copioso rapporto stilato nel 2003 dalla Guardia di Finanza, inviata successivamente alla Commissione Antimafia, nel quale s’intravede il pericolo delle organizzazioni criminali attraverso gli investimenti immobiliari, specie nelle zone turistiche come Cortina D’Ampezzo. Le Fiamme Gialle, infatti, scoprirono che ad opera di soggetti riconducibili alla sacra corona unita le

imprese edili nel bellunese e gli stessi operai erano costretti a versare il pizzo sotto la minaccia di eventuali ripercussioni sui familiari. L’operazione della GdF denominata “Doppio passo” riuscì a sgominare questa organizzazione portando in carcere 14 persone, tra le quali anche tre albergatori della provincia montana. Ed è proprio nel settore turistico che la mafia punta gli occhi, dove c’è più movimento di denaro e dove gli investimenti sono più cospicui, sempre ammesso e concesso che il territorio in questione possa garantirgli coperture e l’adeguato sostegno politico, perchè le mafie spesso riescono abilmente ad adattarsi al territorio e al contesto sociale.

Vito Roberto PalazzoloA Vicenza, Treviso e Padova fu scoperta una truffa a livello internazionale nel settore produttivo dell’argento pari a 28 milioni di euro. 142 persone sono state rinviate a giudizio con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato e frode fiscale. La base operativa – secondo gli investigatori – era un’azienda svizzera di Lugano gestita direttamente da Vito Roberto Palazzolo, ritenuto il cassiere del clan siciliano di Corleone e inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi al mondo.

Insomma nemmeno il Veneto è indenne all’infiltrazione delle attività criminali. D’altra parte – come fa notare la Guardia di Finanza – è noto che fin dai tempi della mafia del Brenta ingenti quantità di denaro sporco furono convogliate nel Veneto. Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha rivelato la permeabilità nel territorio veneto. In pratica sussistono varie ipotesi che fanno pensare a innumerevoli possibilità di infiltrazioni criminali, sempre tramite prestanomi e in determinati settori economici. D’altronde è risaputo che il Veneto è una delle regioni più ricche d’Italia per quanto concerne la circolazione di liquidità e quindi si presta perfettamente agli scopi illeciti del riciclaggio. Ci sono state indagini su vari investimenti di persone collegate al clan siciliano dei Madonia. In un’indagine denominata Las vegas, fu aperta un’inchiesta sul fallimento del tour operator Clipper, nel quale

affiorarono legami tra gli indagati. Molti erano noti bancarottieri, altri esponenti della ‘ndrangheta.

Nel Veneto nel rapporto stilato dall’agenzia del Demanio sono state 72 le aziende confiscate nel Veneto al 31 marzo del 2010, mentre circa 8milioni di euro in beni confiscati all’attività criminale. Recentemente dall’incontro sulle infiltrazioni nel Veneto tenutosi nel veronese è emerso che questa regione non è affatto esente dal fenomeno della criminalità organizzata. Si è parlato di Verona epicentro del traffico di sostanze stupefacenti, di operazioni finanziarie sospette, delle mille transazioni che numericamente fanno schizzare questa regione al quarto posto della classifica nazionale. Come ha detto il Procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli: “I mafiosi non sono quelli di una volta con coppola e lupara. Oggi le mafie comprano i migliori cervelli su piazza per architettare strutture societarie occulte dietro imprese legali di copertura. In questo modo l’impresa criminale diventa impresa economica”.

Aveva ragione un noto magistrato che per stanare i clan consigliava una semplice strategia: “Seguite i soldi…”. Si chiamava Giovanni Falcone.

DazebaoNews

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Denise FasanelliPietro OrsattiGiuliano Rosciarelli

Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate”

Anna Ferracuti, Massimo Scalia, Sebastiano Gulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani, Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, Marco Stefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca, Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi, Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci, Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari, Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto, Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi, Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, Raffaele Langone, Paolo Borrello, Mila Spicola, Francesco Saverio Alessio, Riccardo Orioles e... altre 312 persone che hanno pubblicato e continuano a pubblicare contenuti sulla nostra piattaforma

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Tordo di Pompei

Chi fa tutto a tempo debito, di un buon-giorno ne fa tre;ma chi fa di tutto un debito, ne fa tre in un BON-DÌ

Qui, Quo e Qua

Le unioni vogliono tre cose: piedi leggeri e FINI, pochi CASINI, borsa aperta e monete RUTELLantI

Vipera dal MUS(s)O LINdo della CARFAGNAna

Il triangolo no

Lui chi é? Come mai l’hai portato con te? Il suo ruolo mi spieghi qual é?

Quale eventualità, trovarmi una collocazione, ora spiegami dai, l’atteggiamento che dovrò adottare

Lui chi é? Si potrebbe vedere…si potrebbe inventare…si potrebbe rubare….

Serpe romana

Donna iraconda, Mara senza sponda

Formica SAVIA

Di sole e di acqua si gonfia la lappa; di acqua e paroloni si gonfia Maroni

Torna a CASA-LESsI

Gatto vecchio cattura topo Iovine. Bene.

Bisce di Brescia

Disonesti sono coloro che potendo far giustizia, deliberatamente non la fanno. Male.

L’ingiustizia in qualsiasi luogo è una minaccia alla giustizia ovunque (Marter Luther King)

Er Ghiro d’Italia (che se sveja piano piano)

Così scrivea er poeta de noantri:

Un vecchio sorcio, in un giro

de propaganda rivoluzionaria

chiese un aiuto a la Marmotta e ar Ghiro.

- E tu, compare Ghiro, nun te movi?

Perché nun canti l’Internazzionale?

Bisogna che te formi un Ideale

verso la luce de li tempi novi…

- Io – fece quello – poco me ne curo:

ché l’Ideale mio nun me lo formo

antro che quanno dormo.

Viva la faccia de restà a lo scuro!

E se a li giorni nostri fosse campato

Er poeta che parlava a porci e cani

Chissà dove l’avrebbero mannato

Pe no svejà i BEi ghiRi SANI

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a cura di Sonia Ferrarottiwww.soniaferrarotti.wordpress.com

per contributi scrivi a [email protected]

«Non è una favola a lieto fine», racconta Marisa Masciari. «La paura non mi abbandona e la libertà non me la restituirà nessuno. Hanno messo una bomba nell’ufficio di Pino in Calabria, come a dire che là non dobbiamo farci vedere. Una notte siamo stati sorpresi da due sconosciuti in camera da letto, che si sono dileguati senza rubare nulla: possono entrare in casa nostra quando vogliono». E come si riprende in mano la vita dopo un lungo limbo? «Aprendo gli scatoloni» ride lei. «Erano rimasti chiusi, come a congelare la mia precarietà. Ho riposto le foto di famiglia nelle cornici d’argento. E ho letto un libro: prima scorrevo solo carte burocratiche, la mia testa era immersa in quel mondo irreale. Sognavamo che lo Stato ci proteggesse nella nostra terra: sarebbe stato un segnale forte per la ‘ndrangheta»