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Giovanni GiuseppePintore

3025JK

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Anno 3025

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“Si parte per la grande missione, verso ilPianeta Blu?” esordì un vocione dagli altopar-lanti installati davanti ad una vetrata a spec-chio. Un centinaio di individui con indosso del-le tute color arancio e bianco stavano sfilandoverso una porta sul fondo della struttura di me-tallo. Tutto era ampiamente illuminato da unamiriade di lampade al neon. “Ci vedremo dal-l'altra parte, Ed?”

“Baystar!?” esclamò con sorpresa. “Figliodi un cane lunare! Avevo sentito dire che la tuaunità si fosse schiantata su uno degli anelli diSaturno!”

“Avanti, Romeo!” aggiunse una donna dailunghi capelli blu raccolti in una coda di caval-lo, dandogli una decisa pacca sul sedere. Il suoviso era un ovale perfetto, con zigomi aristo-cratici ed un mento con fossetta. Il sorriso mali-zioso ne generò delle altre sulle guance. “Senon ti sbrighi, lasceremo le tue belle chiappe

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sul Pianeta Rosso, anche se sarebbe uno spre-co. Rivedrai la tua Giulietta, ne sono certa!”.

“Stronza come al solito, Alexy?!” replicò ilvocione dietro la vetrata.

“Non è per questo che mi sogni tutte le not-ti?” chiuse il discorso, prima di scoccare un ba-cio verso la sua postazione. Il minuscolo neoche aveva sopra il labbro superiore, simile adun piercing, le aveva da sempre dato un'ariasensuale. Proseguì verso la porta insieme alproprio gruppo.

“La comunicazione è sempre stato un tuopregio” commentò Ed, sinceramente divertito.“Ti avevo avvisato che Saturno era un grossoazzardo”.

“E avrei dovuto darti ascolto? Ed, sei l'uni-co idiota ad aver piantato in asso la donna piùbella della Alastor!” riprese il vocione. “Dopoun secolo e mezzo da quella scelta, non ci haiancora ripensato? Cerca di farglielo capire tu,Asair!”.

“E fra altri cento anni sarò della stessaidea. Impara a farti i fatti tuoi, Baystar!”

“A tutti i Juggernaut Keepers: siete attesi alla vostra Criomadre.” risuonò l'allarme dai

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vari altoparlanti, per mezzo di una voce ma-schile impostata.

“Dobbiamo andare, Edo” affermò con voceroca una terza figura, che era rimasta al suofianco per tutto quel tempo. Aveva la carnagio-ne scura e le iridi dello stesso colore dell'am-bra. Una cicatrice bianca, dai contorni frasta-gliati, gli spuntava sotto l'occhio destro, sinoallo zigomo, inasprendo i suoi tratti già marcatie autoritari. “Avrai tempo per meditare sul fu-turo”.

Il ricordò balenò nella sua mente con una fe-rocia e definizione tali da fargli credere si stes-se verificando in quello stesso momento. Loscenario di metallo e luci al neon si sgretolònella realtà che lo circondava.

Nel cielo notturno, l'enorme globo rosso sta-va per abbandonare lo sfondo lunare, accompa-gnato dal canto degli adepti di Ishvara. L'ulti-ma, una giovane sprovvista di maschera, avevaportato al collo del grosso pastore svizzero unalama sacrificale.

Era stato poco prima di quell'attimo che JKaveva trovato nelle maschere rosse indossate

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dagli altri sette una certa familiarità; una fratutte: un volto con un neo poco sopra il labbrosuperiore.

«No!» esclamò JK, fiondandosi in avanti,sfuggendo alla presa di Kunja. Scaraventò aterra la sacerdotessa con una spallata, ed afferròcon estrema rapidità il polso dell'adepta, tor-cendolo e volgendo il pugnale contro il suo pet-to. La giovane cacciò un urlo strozzato, primadi afflosciarsi priva di vita.

Il cane, libero dalla presa letale, si avventòtuttavia sul braccio di JK, mordendolo. Affon-dò i canini i profondità, ma l'uomo dalla pellerossa non diede impressione di avvertire alcundolore.

«Il Deamhan parla!» esclamarono all'uniso-no le restanti adepte, interrompendo il loro can-to.

«Per Rātō Dēvatā, non spezzerai il rituale!»tuonò Ishvara, rialzandosi a fatica. «Kunja:prendi il suo posto, svelta!» ordinò senza riser-ve. Il coro, seppur tremante, riprese.

«Pazzi! Siete dei fottuti assassini!» gridò JK.Poi sollevò il cane da terra, affinché smettessedi morderlo. Nello stesso istante incassò il fur-

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tivo pugno di Kunja, prima di vederla rotolaresul fianco, per raccogliere il pugnale dal cada-vere.

JK, seppur sfinito, sentì il corpo reagirecome già era accaduto all'interno della galleria:spostò d'istinto il peso del cane, ancora attacca-to al braccio, alla sua destra, favorendo ed ac-celerando la torsione del proprio busto, quindieseguì un violento calcio rotante: per quantoscoordinato, con quel gesto riuscì a colpire Ku-nja alla testa, mettendola fuori gioco.

Ishvara ed i suoi adepti rimasero di sasso.I canini del pastore svizzero erano ormai an-

dati a fondo, e JK non poté far altro che afferra-re la gola dell'animale per spezzargli il fiato.Presto mollò la presa. Tuttavia, l'uomo nonaveva alcuna via di fuga: scendere dalla torresarebbe stata un'impresa del tutto folle, consi-derata la stanchezza. Si chinò sulla guida, e laprese in ostaggio, puntandole il coltello allagola.

«Deamhan! Osi ribellarti alla tua stessa natu-ra, alla volontà di Rātō Dēvatā?!» intimò la sa-cerdotessa. «Tu sei nato per essere sacrificato.Sottomettiti al rituale!».

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«Quanti ne avete uccisi, prima di me? Daquanto va avanti questa follia?» pretese rispo-ste JK, nel mentre che si avviava verso la cupo-la, trascinando con se l'ostaggio. Un gran ru-more di passi si levò dalle scale che conduce-vano alla terrazza.

«Finché la volontà del Dio Rosso non si ma-nifesterà a noi per mezzo del sacrificio!» rispo-sero all'unisono gli adepti.

«Allora aprite gli occhi, razza di trogloditi:perché il vostro sacrificio vi sta dicendo chesiete delle stupide teste di cazzo!» gridò JK, ab-bandonando il pugnale per il machete di Kunja.«A chiunque oserà risalire quelle scale, lo avvi-so che si ritroverà con un machete conficcatonel cranio!».

Una testa spuntò sul limitare del piano, ma siritrasse altrettanto celermente.

«Non hai via di scampo. Arrenditi!» gli con-sigliò la guida.

«Ti sbagli: è la vostra sacerdotessa ad essereintrappolata qui con me» ribadì.

«Somma Ishvara...» ammutolì poi un'adepta.Il globo rosso aveva appena abbandonato losfondo lunare.

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«Il rituale è perso... A causa tua, saremo tuttidestinati all'oblio!» affermò la donna. «Uccide-telo!».

«Non ti interessa la vita di Kunja? Sarà laprima a morire!» minacciò JK sporgendosi ver-so le scale, così da poter tenere d'occhio even-tuali tentativi di soccorso.

«Il fallimento è nato da lei. Che muoiapure!» sputò l'aspra sentenza la sacerdotessa.

La sua meschinità lasciò l'uomo perplesso.Non riuscì a capacitarsi di come un essere vi-vente potesse avere così poco rispetto per lavita altrui. Ma ciò che più lo colpì fu il cinismocon cui aveva lanciato quell'ordine, soprattuttoperché gli era parso di comprendere che la gio-vane fosse un membro importante e rispettatodella loro comunità.

«Schifosa...» Kunja si morse le labbra dalnervoso. Poi fischiò: un suono prolungato e fa-stidioso.

Sulle scale cominciò ad esserci un certotrambusto.

«Liberami. Ti porterò via di qui» gli sussur-rò.

JK la lasciò andare, prima di calare il mache-

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te sulla gola di un guardiano. Il corpo mortotravolse i compagni che lo stavano seguendo.

Kunja, invece, afferrò il pugnale e lo scagliòcon rabbia contro la sacerdotessa, colpendolaalla spalla. La donna ricadde all'indietro, libe-rando la via. Quindi la guida, dopo aver lancia-to uno sguardo al cielo, corse verso una delleestremità della stella e spiccò un lungo balzo.

L'imponente pegaso si sollevò in aria con lagiovane in sella. Dopo aver eseguito una speri-colata virata, l'animale tornò in picchiata versola terrazza. Senza indugiare oltre, JK si precipi-tò sul cane svenuto, e subito dopo si lanciò nelvuoto. Quella frazione di secondo persa per sal-vare il pastore svizzero gli fece mancare ilbraccio di Kunja. Riuscì tuttavia ad aggrapparsialla zampa posteriore del Pegaso.

«Ci farai ammazzare!» gridò la giovane, ve-dendo Alpaux perdere subito quota. Alcunefrecce sfregiarono il suo manto pezzato.

La velocità era elevata, ma in certe condizio-ni non sarebbero mai riusciti a superare le altepareti del cratere. Planarono ad oltre un centi-naio di metri di distanza dalla torre.

JK si lasciò cadere, finendo rovinosamente

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contro un carro. Custodì il cane col proprio cor-po. Il Pegaso, invece, proseguì la corsa, scardi-nando il fragile tetto di una piccola abitazione,prima di balzare ai suoi piedi.

L'acuto e repentino rintocco di una campanariempì la conca, dalla quale si levò subito unurlo di terrore, quando alcune frecce vibraronosopra le teste dei cittadini, conficcandosi controalberi, porte o sulla strada. Da una voce all'altrarimpallò l'ordine di cattura o uccisione di Kun-ja e del Deamhan.

“Tirati su!” gli impartì l'ordine una vocemetallica nelle sue orecchie, senza nascondereuna certa delusione. “Annoverato fra i migliorinei test preliminari dell'Alastor? Ad ora vedosolo un bellimbusto senza palle, destinato allamorte”.

Ed sputò un fiotto di sangue arancione, giàimpastato con la sabbia rossa trasportata dallatempesta che infuriava tutto attorno ai due. Unamiriade di piccole pietruzze gli avevano sfre-giato la tuta, ma il danno maggiore gli era statoinferto dalla donna che aveva dinanzi: il suopugnale gli aveva trapassato il palmo della

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mano, prima di pungergli il ventre.“L'uomo incapace di dominare i propri sen-

timenti è niente più che un animale!” affermòla voce. “Lascerai davvero che il tuo passatosventri il tuo futuro?”.

Ed schivò l'affondo rotolando sul fianco,quindi recuperò la posizione eretta con una tor-sione acrobatica, quasi fosse una trottola. Il do-lore era intenso, anche dovuto a tutto il sangueche aveva perso. Gli rimanevano pochi minutiancora per mettere fine alla prova, e con essaalla proiezione della donna che l'aveva cresciu-to. Era una mera questione di sopravvivenza:rimanere intrappolato nel passato, oppure ab-bracciare il futuro.

«Che tu sia maledetto!» protestò Kunja, por-gendogli la mano. «Non capisci più la mia lin-gua?!».

JK ritornò alla realtà senza alcun preavviso.Era in piedi, fermo come una statua, a fissare ilvuoto. Accettò il braccio della giovane e montòin sella. Il cane, stretto fra il suo petto e laschiena di Kunja, diede segni di ripresa.

Alpaux s'impennò e scosse le ali per gettare

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a terra due soldati che li avevano raggiunti, poicorse rapido fra le case, eseguendo gli ordinidella sua padrona, affinché le frecce mancasse-ro il bersaglio. Infine, nella prima zona priva diostacoli, incrementò la velocità e spiccò un bal-zo, poi un altro, ed infine spiegò le enormi alipiumate per prendere il volo.

Il carico era ben superiore ai suoi standard,ed incorse in non pochi problemi per stabiliz-zarsi. Tuttavia, i tre furono presto fuori perico-lo, lontano dalla portata degli archi e ben di-stanti dal suono delle campane. Privi dei giustiindumenti, in sella al Pegaso soffrirono entram-bi del freddo notturno.

Quando Alpaux atterrò in una zona boschiva,ben oltre i confini del cratere, JK e Kunja si af-frettarono a recuperare della legna e ad accen-dere un fuoco. A poco a poco ripresero sensibi-lità alle dita dei piedi e delle mani. Il pastoresvizzero, dopo aver ringhiato un bel po' versol'uomo, si accucciò davanti al focolare, vicinoalla giovane.

Lo stomaco di JK smise di brontolare soloquando la guida gli porse delle bacche blu e deiramoscelli rossi dal dubbio gusto ed odore.

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Erano altrettanto terribili al gusto.«Che cos'è?» chiese schifato.«Madherbs. Non è un granché, lo so. Viene

principalmente trattata per disinfettare le ferite»gli spiegò Kunja, subito dopo aver ammorbidi-to con la bocca un impiastro che applicò sulleferite dei canini nell'avambraccio dell'uomo.«Chi viaggia, come me, sa però che è anche unottimo rimedio per lo stomaco, quando non siha niente da mettere sotto i denti».

JK la guardò con circospezione. Quasi un'oraprima lo aveva consegnato nelle mani di unafolle setta pronta a strappargli la faccia, ed orastavano tranquillamente conversando come seniente fosse accaduto, mentre lei lo medicava.Per quanto desse l'impressione di essere serena,negli occhi di Kunja gravava una certa preoc-cupazione.

«Perché mi hai aiutato?» chiese dopo averassaporato una bacca. Il suo sapore era simileallo stesso dell'intruglio che gli aveva rifilatonella grotta. Avrebbe vomitato, se solo il suostomaco non fosse stato vuoto. «Sei stata tu aportarmi da loro» si sentì in dovere di puntua-lizzare.

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«Perché hai parlato, stupido Deamhan!»sbottò all'improvviso, alzandosi e raggiungen-do Alpaux. Il Pegaso era notevolmente provato,ma spinse il muso contro la padrona, per rin-cuorarla. «Se avessi parlato sin da subito, tuttociò non sarebbe accaduto. Credevo fossi cometutti gli altri...».

«Che intendi dire?» la incalzò, fuori di sé.«Sacrificabile?». Si alzò anche lui, scatenandola reazione del cane, che si mise subito sull'at-tenti, ringhiando. «Il fatto che non parlassi mirendeva una bestia da macello? Quanti ne aveteucciso, prima di me?».

Kunja si volse di scatto. «Che vuoi che nesappia?! È sempre stato così!». Gli andò incon-tro, sostenendo il suo sguardo. Quello che JKaveva creduto preoccupazione, era invece sen-so di colpa. Profondo. Sincero. «I dettami diRātō Dēvatā. La tradizione. Chiamala comevuoi. Se ti ho salvato è stato solo perché tantoavrebbero ucciso anche me!».

JK scosse il capo. «Avresti potuto andartene.Invece sei tornata indietro» sottolineò.

Kunja aveva il viso infuocato dalla rabbia,ed anche il suo tono si era inasprito. «Kukura.

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Lo hai risparmiato, uccidendo Ayali, l'adepta»poi dopo un lungo sospiro, lanciò uno sguardoal cane. La sua voce andò via via rilassandosi.«Ti ha morso... e probabilmente non ti perdone-rà mai per aver assassinato la sua padrona. Ep-pure è qui, con noi. Vivo».

Tornarono entrambi a sedere, mentre il pa-store svizzero alternava il suo sguardo ora rab-bioso, ora uggioso, da uno all'altra, muovendofreneticamente le zampe sul posto. Anche luipareva indeciso. Mangiarono senza aggiungerealtro, sinché il fuoco fu prossimo a spegnersi eloro ad assopirsi.

«Voglio ringraziarti per ciò che hai fatto. Escusarmi. La mia forse ti sarà parsa comeun'accusa» riprese il discorso JK. «Ma intende-vo solo capire il perché dietro tutta questa fol-lia. Una reazione che sarebbe scattata in chiun-que, suppongo, vedendo i volti dei propri cono-scenti indossati a mo' di maschere da dei crude-li selvaggi. A quale scopo sacrificare anche ilcane?».

Kunja lo guardò di sottecchi. Le riusciva dif-ficile valutare le proprie tradizioni con distac-co, come qualsiasi individuo cresciuto all'inter-

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no di una società che bandisce qualsiasi com-portamento evasivo dai canoni religiosi. Nellasua mente scattava subito una rabbia scono-sciuta, incontrollata, intollerante nei confrontidel diverso. Il tono si inaspriva, quasi a volersottolineare l'indecenza di tali affermazioni.Dovette compiere un grande sforzo per andareoltre i pregiudizi, e conciliare finalmente ilpensiero reale alla risposta che voleva davveropronunciare.

«Ho sempre creduto vi fosse qualcosa di fol-le in tutto ciò, ma sono l'unica a pensarla così.La mia posizione poi, è sempre stata abbastan-za precaria da lasciarmi ben poche possibilitàdi esprimermi», tese poi l'orecchio verso il bo-sco, attratta da un suono sospetto. Un barba-gianni dalle piume dorate roteò il capo in lorodirezione, scrutandoli con i suoi immensi occhiscuri. La giovane riprese: «Si tratta di un ani-male sacro. Riunire otto Deamhan, versandoneil sangue in sacrificio a Rātō Dēvatā e agliOtto, permetterà alla Sacerdotessa di acquisirel'illuminazione. Il potere concessole abbatteràogni forma di oppressione: le guerre cesseran-no, le malattie svaniranno, e finalmente i Yello-

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wraith saranno esiliati, ed il loro immenso po-tere sarà spezzato».

JK sollevò il capo ad osservare il globo rossoancora visibile nel cielo. «Di che potere parli?Quale guerra?».

Quelle informazioni e quei nomi erano perlui del tutto sconosciuti. Si sentiva un estraneoin quel mondo, benché tutto gli dicesse di farneparte. Inoltre, nelle sue visioni, ogni cosa appa-riva differente, addirittura con colori alternati-vi.

«La magia» affermò Kunja. Rabbrividì alpensiero. «La guerra scoppiò ben prima dellamia nascita. Circa 133 anni fa, quando la RossaArca di Rātō Dēvatā si schiantò sull'Himalaya.La mia antenata, Ishvara, sua sacerdotessa, sa-crificò il primo Deamhan. Fu allora che i Yello-wraith, prima pacifici, ci attaccarono con lamagia, sterminandoci. Ci confinarono all'inter-no della Valle degli Otto, unico luogo ove i loropoteri sono inefficaci».

«In che anno siamo?» mormorò JK, spaesa-to.

«Nel 375 dopo la Grande Fiamma» risposeKunja.

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Entrambi avvertirono un rapido rumore dipassi nei dintorni dell'accampamento. Viderouna miriade di occhi scintillare nelle tenebre,prima che un fascio arancione partisse dal foltodella foresta per esplodere in un globo infuoca-to che illuminò a giorno la loro posizione.

Una voce maschile gridò qualcosa in una lin-gua monosillabica, dai toni grevi. Poi, un altroraggio luminoso centrò Alpaux alla testa; il cor-po del Pegaso si smaterializzò in un nanosecon-do, lasciando a terra perlopiù l'ombra del mae-stoso animale che era stato.

Continua...

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Ringrazio Marta Simula e Simone Muzzoni per lacorrezione delle bozze.

Grazie per aver dedicato il tuo tempo a questa lettura.

Sùilad!

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