10 50 sfumature di morte - pennematte.it · all'ultimo capitolo e il racconto era terminato senza...

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Cinquanta sfumature di morte

Un giorno, io anima mite, scrissi un racconto dove per cause varie lui finì con il morire. Lui, il mio amatissimo fidanzato. La cosa mi piacque. A lui no. Poi ci lasciammo ed io scrissi un altro racconto dove caso volle le feci morire un'altra volta. La cosa mi ripiacque tantissimo. E ora è giusto che vi narri le altre quarantotto volte che lo feci morire ancora e ancora e di come la cosa mi piacque talmente tanto da volervelo ora raccontare. Il primo racconto fu questo: Lui era un bravo dottore e per salvare il suo paziente psicopatico si beccò due pallottole da un sicario malavitoso. Insomma, lo feci morire come un martire, con le donne che amava al suo capezzale e tutti che piangevano attorno. C'è da dire che se non gli sparavano moriva lo stesso perché soffriva di cuore, e un attacco prima o poi magari glielo facevo venire. Però devo anche aggiungere che quel dottore mi stava simpatico, era una mia creatura, allora succedeva che se gli creavo un torto, poi lo salvavo sempre, esaltandolo sempre di più a salvatore della patria. Era un ibrido il mio dottoruccio, con le sue fattezze e la mia anima. Insopportabile ma grande uomo! Quando morì feci lutto e da quel lutto nacque il bisogno di lasciare anche l'originale, già che c'ero. Siccome però il sentimento non mi era scomparso ancora all'ultimo capitolo e il racconto era terminato senza rendermene conto scrissi un secondo racconto, che finì con la sua morte. Fu un lutto più breve. Breve ma intenso, come la mia idea di commemorare ogni mese la sua dipartita letterale ma simbolica con una scritta e una inventata. Non sono matta ero solo innamorata e quel giorno in cui io lo lasciai, doveva essere ricordato ancora e ancora fino a che giungesse la fine (vera). Inutile che aggiunga anche che ogni racconto veniva immediatamente inviato alla sua email. (ma questa è tutta un'altra storia). Un altro racconto molto piacevole era stato quello in cui mentre facevamo del sesso perdevo la testa e lo ammazzavo. Il paziente

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psicopatico aveva lasciato spazio alla sua donna perfetta. Si era andati al cinema, mangiato di gusto i suoi pop corn preferiti, mentre li ingurgitava in modo assolutamente animale lo guardavo dal basso con un certo schifo. Qualche pezzo gli cadeva sulla camicia, qualcun altro finiva nel bicchiere dove erano i pop corn, osò anche offrirmeli. Alla fine li mangiò tutti lui. Nel mio racconto potevo fare di noi qualsiasi cosa volessi. Lui pensava che stavolta avessi scritto una di quelle cose erotiche che tanto piacciono ai maschi porci, invece il soggetto della mia perversione psicotica era sempre lui, e il finale era sempre scritto col suo di sangue. Il letto cigolava sotto il nostro peso, io fingevo mi piacesse, ma avevo in testa ancora la scena disgustosa dei pop corn, mentre sembrava raggiungere il culmine della felicità umana gli piazzai un coltello da macellaio giusto in mezzo al petto. Gli schizzi di sangue rimbalzarono fino al quadro appeso al muro, gli occhi della Maria vergine sembravano giudicarmi, ma forse ero io a giudicare lei di come se ne stesse a guardare quella scena assurda. Ebbe il tempo di capire, provare dolore, mentre con le dita cingevo la lama e la ruotavo prima in un senso poi nell'altro. Non mugolava più di piacere, ma di dolore. Poi divenne freddo, era finalmente morto, ed io sfilando il coltellaccio dal suo petto mi tagliai una fetta di pane cospargendola di nutella. Pensavo che questo racconto pseudo romantico gli piacesse più degli altri, mi rispose soltanto che se non avessi finito di scrivere quelle cose mi avrebbe prima denunciata e poi scopata. Non sarebbe stato capace di fare né una né l'altra cosa. Poi ci fu la terza, del primo mese che ci lasciammo, anche questa fu significativa perché diede il via alle altre 47 morti successive. Se la precedente era incentrata sul sesso, questo era naif ed era concentrato sulla magia. In pratica una strega bellissima s'innamoro di lui, un aitante principe nero azzurro. Ma lui come al solito fece lo "sciecco" e lei si arrabbiò, maledicendolo, la strega per inciso ero io, e si arrabbiò così tanto che lo trasformò in una palla da calcio. Sì, la palla da calcio della sua squadra del cuore. Sembrava una cosa bella per un appassionato ed invece no! Perché era una palla Jellata che faceva perdere e far male i suoi giocatori. Quindi non solo nessuno lo voleva come palla, ma ben presto iniziarono a fargli dispetti di ogni genere, e lui stava male, fino al

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tragico evento in cui il suo allenatore (Special One e il suo super capitan Zanetti per una volta insieme nel racconto) lo presero a coltellate. Poi ricomparve la strega (io) e presa la sua gomma bucherellata e gli diede di nuovo vita. Successe che lui cercò di rimbalzare via da quel triste destino ma la strega glielo impedì ogni volta. Finché un tifoso a fine di quel campionato se lo rubò e lo incorniciò così morto e bucherellato e lui visse a casa di una coppia di Juventini\Milanisti che avendo perso l’Inter grazie al pallone maledetto vinsero il campionato (il Milan) Ogni festa che davano portavano il quadro del pallone maledetto come trofeo. Un po' alle feste Milaniste e un po' alle feste Juventine ( che erano arrivati secondi). Il giorno dopo che gli inviai il racconto, mi maledisse in 29 lingue differenti ma gli portò male perché L'Inter perse quella settimana. Ed io gli feci lo schizzo del quadro con lui pallone con tanto di squarci sanguinolenti. Non rispose più da quella volta. Io festeggiai. Il giorno dopo lo vidi (casualmente) con una bionda e io ebbi un'altra idea sul suo prossimo assassinio. E ci fu un quarto, quinto e anche sesto e un settimo racconto, perché non era solo un racconto ma un racconto a simposio dove analizzavo le sue tragedie amatorie in quattro salse diverse. La bionda Federica che da ubriaco pensava una venere nera poi scoprì essere Federico il vichingo, che lo prese e lo fece sedere sulle sue gambe, prima gli raccontò tutta la sua vita e poi pretese che lui gli facesse da mamma (maniaca) con lui. La Mora Valentina che aveva il marito pazzo, scoperto a letto con la moglie, lo legò al letto e gli fece rivivere le scena cult da shining a non aprite quella porta. La rossa Anastasia che aveva sdoppiamenti di personalità multipla e quasi tutti molto pericolosi. Un minuto era Hitler e un secondo dopo Cicciolina. In tutti e tre i casi moriva senza comunque concludere con un niente di fatto. Se non nel settimo come postilla conclusiva. In cui faceva sesso con la spregiudicata Alessandra conosciuta on line su twitter, s'incontrarono e dopo una velocissima cena, fecero sesso e poi gli attaccò l'AIDS e così moriva solo e dimenticato da tutti in un letto di ospedale. Dopo questo simposio in quattro atti, mi bloccò su tutti i suoi canali, da facebook a twitter. Poco male avevo comunque ancora la sua password e zitta e

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mosca controllavo tutto e qualche volta aggiustavo un po' di sue cose. Ovviamente essendo un maschio non si accorse mai, che dietro quei presunti sbagli (tipo messaggi cancellati, amicizie levate e utenti defwollolati) c'ero io. Non paga, presi a stalkerarlo e questo mi fece venire in mente un altro paio di racconti dove lui da carnefice diventava vittima e ben presto finiva che veniva inseguito da una ventina di fidanzate che lo volevano e lo volevano e per averlo lo tagliarono a pezzi. In un angolo la mano, poi in un altro un braccio, la gamba i capelli, gli occhi, io fui l'ultima e mi presi il cuore, che tutte avevano schifato. Tutte tranne io. A lui piaceva leggere, è il nostro libro "comune" cult preferito rimaneva cime tempestose. E bhe che-ve-lo-dico-a-fare sì certo, ambientai il mio altro racconto, il decimo mi pare, sulla falsa riga di Heathcliff e Chaty. Lui era Heathcliff ed io Chaty. Lui morì, io no. Mi parve brutto morire insieme a lui, come in un grande amore tragico. Lui doveva morire ed io rifarmi una vita. Non fu un gran racconto e quindi ne dovetti scrivere uno più allegro per riparare il flop. Nell'undicesimo racconto feci un remake di un film italiano la casa stregata, scena per scena ma prima del lieto finale Gaetano (il cane) lo azzanna diventa lui marrano e si gode la notte con neo vedovella ormai ricca (io). Non contenta del film italiano lo rifeci con un film thriller The Call (non rispondere) ovviamente lui rispose e morì. Adieu. Nel dodicesimo m'ispirò la canzone di P!nk - please don't Leave Me. Ed io una P!nk all'ennesima potenza e lui morì. Descrissi scena per scena come nel video e aggiunsi particolari agghiaccianti e anche un po' truculenti. Esagerai lo riconosco, ma non potei fare a meno, perché il mostro un po' mi mancava e doveva essere trucidato per benino. Non volevo che tornava, non volevo farlo tornare, quindi m'inventai un thriller psicologico dove lui veniva congelato e quando veniva scongelato, si ritrovava in mondo di robot. Allora si dava alla resistenza, di pochi umani, ma veniva venduto ai nemici Macchine per compromesso da uno di loro (io). Alla fine del racconto, loro ebbero il loro pezzo di terra e la vita e lui morì perché io mi ero fidanzata con il Re macchina ( dalle sembianze umane) e avevo deciso che lui era un traditore e dovesse morire. In realtà se lo meritava perché nella realtà

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mi aveva rigato la macchina e nel racconto aveva rubato dei progetti, per costruire robot e darsi al Robottinaggio clandestino. Insomma non se fa. Non se fa. Manco chiamare alle 3:00 di mattina e riattaccare si fa. Poi un giorno, c'incontrammo per strada, così per caso. Io uscivo dalla mia banca e lui vi entrava con la sua meravigliosa ventiquattrore di pelle marrone. Amavo quella borsa, ho sognato tante volte di annusarla. E dopo la rottura altrettante volte di tagliarla, dopo un grido liberatorio. La portava con disinvoltura sulla sua bella spalla ampia. Amavo anche quella spalla, quando ci appoggiavo la testa o la faccia e poi respiravo il suo odore, il suo profumo buono. Sì, perché lui sapeva sempre di buono. Anche dopo una partita a tennis, gli altri caproni di alta montagna invece lui no, sapeva di buono solo più intensamente, si capisce. Su quella spalla il mondo non mi faceva più paura. Oh quante volte gliela feci rompere lo sa solo Dio, una volta gliela feci staccare a morsi da una licantropa di nome Oana. Ebbene sì, era il periodo di Twilight. Bhe uno davanti all'altra, era strano, lui mi guardò sorpreso e abbassò per un attimo lo sguardo, quando lo faceva era perché era emozionato. Poi riprese lo sguardo beffardo da jack lo squartatore e io feci la principessa scesa in paese per pietà e misericordia. Cercai inoltre di fargli una battuta arcigna ma balbettai confusamente, e lui rise. Non di me, lui si divertiva sempre a farmi perdere l'autocontrollo, era come rivedere una scena che tempo fa lo divertiva. Rossa in viso, me ne andai e quella notte sognai un sogno erotico su di lui. Era troppo, scrissi un racconto alla Misery di Stephen King. Solo più lussurioso e con la sua morte finale. Iniziavo dalla sua spalla con i morsi e poi finivo al cavallo da battaglia in puro stile Lorena Bobbit. Nel racconto iniziava con un "uhh" e finiva con un "AHH" BEN FATTO SIA. Ma non mi sentii meglio, quella risata mica la potevo far tacere dalla mia testa, nemmeno con un altro racconto in cui lui si inghiottiva la lingua all'indietro e poi soffocava e moriva. Decisi quindi che lui non esisteva. Altro che morte, la trasparenza in persona. L'indifferenza per eccellenza. Non c'eravamo amati e nemmeno mai conosciuti. Per battezzare la mia idea scrissi un racconto in cui si risvegliava una mattina e si ritrovava da solo, con nessuno che

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lo conosceva, una cosa tristissima, continuò per un po' a vagare, fin quando decise di riconquistare la sua vita. Iniziando da me. Ovvio, che ve lo state ancora a chiedere? Io ero l'amore della sua vita. Solo che io non lo volevo, quindi nel racconto non lo conoscevo e neppure lo volevo perché ero innamoratississimissima di un certo principe Blu cielo. Lui allora sfidò il principe, che non era un cagasotto come in sherek, era un principe principe Blu blu mica stinto all'azzurro. Lo disfò in due secondi. Ma siccome era buono non lo uccise e lo gettò nelle segrete per un po', finché non si rinsavì e poi riconciò lontano lontano lontano da me la sua vita da solo. Glielo inviai come da copione e lui mi chiamò e mi disse urlando così: SEI PAZZA SEI PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA PAZZA!!!! Inutile dirvi pure che lo uccisi immediatamente, appena riattaccai e smisi di piangere. Andai nelle segrete e gli cavai il cuore, poi gli occhi e gli mozzai la lingua e non solo bevvi pure il suo sangue e mangiai il suo cervello ma gli rubai la borsa e la regalai al mio principe Blu cielo. Quella borsa mi era costata un capitale, non doveva avercela più lui. Quella notte sognai di morire io, e non solo quella notte, un sacco di notti morii io al suo posto. Non mi arresi, perché non si fa! Una persona, una cosa, una frase ha potere solo se glielo dai, quindi io dovevo negargli quel potere. Sottrarglielo e nasconderlo affinché lui non lo trovasse più e io potevo rinascere. Una mia amica mi disse. «Metti in pratica sorella! Non ucciderlo ma fagli male fisico e dacci un taglio con tutta questa storia!!» Dunque, scrivere era una cosa ma mettere in pratica un'altra. Decisi di procedere per gradi, tipo quando lui era al parco mi travestii e sulla bici (non mia) lo superai e nel superarlo gli diedi un calcio e lo feci cadere. Lui cadde davvero e io pure perché per guardarlo non vidi un albero e bang! Piede ingessato. Allora un pochino nervosa decisi di umiliarlo davanti alla sua ragazza di

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turno. Lo stalkerizzai e quando mi presentai all'appuntamento assieme a loro, li guardai e niente rimasi senza parole. Era da una vita che non metteva la camicia che gli avevo regalato io. Non ricordavo quanto gli stesse bene. Corsi via senza salutare o parlare, io e il mio piede rotto corremmo al bar per bere via la vigliaccheria. Ma la fortuna mi venne in aiuto e la bionda barbie venne a sedersi al bar vicino a me. Molto vicino, praticamente incollata. La guardai e con lo sguardo da che cavolo vuoi, ma poi presi respiro per inventargli una qualsiasi cattiveria su di lui. siccome non mi veniva in mente niente, la inventai. Le dissi: «Lui è gay, io lo so perché ero la sua ex ragazza. Ma non una ragazza qualsiasi o solo fissa, io ero la sua FIDANZATA! QUEL FALSISSIMO GAY NO CIOÈ ETERO, quel falsissimo etero che è gay mi ha chiesto di sposarlo!!» e anche in modo favoloso. Aggiunsi nella mia testa con un bruttissimo schiocco alla coscienza. Lei niente fece? Mi baciò. Che schifo... ma anche no! Su via ammettiamolo, baciava bene bene bene... comunque mi tirai indietro e caddi dalla sedia. Lui arrivò (sempre nel più bello tanto per cambiare) e si mise a ridere e mi presentò sua cugina Esmeraldo o Esmeralda. Boh insomma essa! A quel punto, mi ritirai alla bella e meglio, prima che il "coso" gli raccontasse la mia piccola verità fantasiosa. La sua voce mi arrivò mentre accendevo la macchina. Scappai via e per un po' non mi feci vedere. Non che io avessi paura o mi sentissi in colpa... Non sentii neanche il bisogno di ucciderlo per iscritto, volevo fisicamente fargli male. Io di persona però non ci sarei mai riuscita e non chiedetemi perché tanto non lo sapevo manco io. Mi venne in mente una cattiveria che fece a sua sorella, che tanto cattiveria non era ma sua sorella l'aveva presa male e non aveva mai saputo chi fosse stato. Bhe il giorno dopo bevendo il caffè con lei gli raccontai di come lui l'aveva fatta lasciare con quel poco di buono del suo ex ex ex ex ex ex ragazzo. Io avevo perso il conto e lei pure. Solo

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che non mi ero resa conto che doveva essere sotto ciclo e aveva una forza bestiale in quelle braccine sottili. Mi afferrò con un mano e con l'altra sbraitò al telefono, dopo dieci minuti di terrore, lui accorse dalla sorella che appena lo vide che gli lanciò la sua borsa addosso. Poi prese una sedia e fece l'atto di tirargliela addosso. E io mi misi in mezzo e me la presi io la sediata in testa. Svenni e lei si calmò all'istante per ricominciare a piagnucolare di avermi ucciso. Non ci riuscì maledetta e io mi svegliai al pronto con lui che mi fissava dalla sedia. Aveva gli occhi di chi non aveva dormito e lo sguardo del " che cappero stai combinando" Io ad occhi così che cosa avrei dovuto rispondere? Lui si avvicinò a me e mi mise la mano sulla testa, come faceva sempre... Io allora prima che lui potesse parlare, disse che dovevo far pipì e scappai dall'ospedale. Infantile lo so, ma non avrei sopportato ancora quegli occhi tanto vicino a me... Ma fra il piede e il pigiama, lui arrivò prima di me a casa mia e me lo ritrovai davanti al portone. Era seduto nei gradini e mi fissava. E io non respiravo perché un emozione ora voleva uscire, se non che quella pazza del secondo pieno non gli cadde di mano il vaso di gerani e io gridando non gli caddi addosso per spostarlo di lato. I cocci ci graffiarono ma almeno lui era in vita. Gli avevo salvato la vita, io che per cinquanta volte gliela avevo tolta. Rimasi senza parole scioccata da me stessa, lo guardai confusa... Allora lui mi baciò, mettendomi le mani sul viso come se avesse avuto paura che scappassi via. Ma non sarei scappata, da quel bacio non avrei potuto neanche a volerlo poter scappare. Mi disse: «Ti prometto che prima o poi ci riuscirai a farmi morire, ma prima voglio invecchiare con te, pazza isterica assassina, voglio vedermi vecchio e sazio di giorni e di te. Tutti i giorni che non sei stata con me, sono morto ma adesso mi hai riportato in vita.» «Tu mi hai trattato male...» iniziai io non convincendo nemmeno me stessa. «Sono stato anch'io un pazzo sclerato assassino di noi, ma voglio poter

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ricominciare. Poi se decidessi che non ne vale più la pena, potresti farmi morire per sempre... lasciandomi di nuovo. Dimmi vuoi salvarmi la vita o vuoi togliermela?» Aveva preso le mia mani e mi stava guardando con due occhioni inquietamente belli e che ve-lo-dico-a-fare gli salvai la vita e raddoppiai quando gli diedi alla luce la nostra piccola. Di racconti non ne scrissi più ma un coccio del vaso fu salvato a memoria di quando alla cinquantunesima volta invece di ucciderlo lo salvai.

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