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4° Congresso Internazionale di Danze Orientali Centro “Le Conchiglie” 31 maggio -1-2 giugno 2008 dal tema “CALEIDOSCOPIO DELLE DANZE ORIENTALI” 1

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4° Congresso Internazionale di Danze Orientali

Centro “Le Conchiglie” 31 maggio -1-2 giugno 2008

dal tema

“CALEIDOSCOPIO DELLE DANZE ORIENTALI”

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PresentazioneSiamo arrivati alla 4° edizione del Congresso Internazionale di Danze Orientali, con l'intento sempre presente di creare una manifestazione trainante di cultura e ricerca sia pratica sia teorica di ciò che viene definito in senso lato “danze provenienti dal mondo arabo” nonché del suo sviluppo, anche al di fuori di esso, nel mondo occidentale e orientale nel suo complesso.

Nella miriade di eventi che trattano il tema, qui si vuole attuare una panoramica in quattro dimensioni, spettro cromatico a 360° ed espressivo di ciò che ogni popolo, attraverso la sua esperienza, trae da questa danza ancestrale.

“CALEIDOSCOPIO DELLE DANZE ORIENTALI” vuole essere un “modo” d'intendere, di vivere, d'interpretare e di agire sia la danza sia la cultura ad essa legata.

Ogni “frammento colorato” diventa elemento centrale d'analisi e riflessione. Dopo temi come “Tradizione e Modernità” e “Percorsi Trasversali” ora vogliamo andare oltre a ciò che è il nostro presente, guardando il futuro della nostra danza, cercando proposte, studi che vadano oltre l'acquisito.

Specchio di mille facce e gradazioni, di emozioni e nozioni, di espressione e tecnica. Non vogliamo fermarci solo a descrivere le forme e gli stili della danza, ma vogliamo andare oltre, scavandone significati e motivazioni.

Al di là delle definizioni, l’Evento vuole essere spettro cromatico di fenomeni, partendo dalle codifiche federative del mondo delle competizioni sportive all'universo del teatro-danza in quanto espressione pura, dalla tecnica dell'isolamento corporeo alla presa di coscienza dell'energia dei Chakras e delle tecniche Yoga, dal mondo dell'arte a quello della cultura millenaria, a quello della politica tormentata del mondo arabo pervaso di guerre e sessismo.

Arricchiti dal PASSATO e dalla coscienza della tradizione, consapevoli del nostro ruolo nel PRESENTE, ciò che vogliamo è costruire il nostro FUTURO come danzatrici, insegnanti, musicisti, ricercatori, appassionati e osservatori delle Danze Orientali in quanto patrimonio mondiale dell'umanità.

Il '900 in Occidente prende coscienza del ruolo centrale della fisicità del corpo nella Danza Contemporanea. Nietzsche definisce i presupposti filosofici, Marta Grahm dà la Tecnica di “Contrazione e Rilassamento”, Bejart il concetto di “Costruzione Spaziale” e di dinamiche energetiche del disegno coreografico. La Danza oggi necessita di nuova linfa e di strumenti creativi ed espressivi: questo sarà lo scopo trainante della nostra ricerca congressuale.

Non semplicemente “vetrina” di artisti e di stili, ma caleidoscopio di forme e colori, in cui ognuno di noi sarà artefice dell'evento, dal maestro e ricercatore all'allievo e congressista. Tre giorni di confronto d'idee, danza, proposte, definizioni e conoscenze per lasciare tracce e segni di cui noi o altri potranno costruire il domani.

Zaza Hassan, Sharon Kihara, Wael Mansour, Saida, Sandy D'Alì, Sarah Shahine, Giulia Mion, Olivia Mancino, Orianna Ferrante, Margarita, Mouna Bounouar, Shereen, Ailema, Parvani, Najma Hassan, Donatella Padiglione, Raja, Barbara Pettenati, Zahyra, Alice Nuar, Hunaida, Walid Hussein, Mohamed Antr, Stolfo Fent, Chiara Ferrari, saranno con voi nel costruire questo progetto di cui sarete assieme a loro partecipi.

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Maria Rita Gandra “Margarita”

LA FEMMINILITA’ NELLA DANZA DEL VENTRE

di Giulia Mion

Cara donna, proporre questo argomento richiede sicuramente molto tempo, ricerca e pagine, per questo mi pongo l’obiettivo di darti degli spunti di riflessione che possono essere approfonditi in molte direzioni. Prima di tutto desidero che tu ponga l’attenzione al concetto di femminilità, precisamente ti chiedo di farti questa semplice domanda: “Cosa significa per me essere femminile?”. Inoltre, ti

ricordi il motivo per cui ti sei avvicinata a questa meravigliosa danza? Forse hai letto o sentito un’intervista nella quale si affermava che la danza del ventre riattiva il tuo femminile, ma cosa significa esattamente? E’ una frase che quasi tutti pronunciano ma molto spesso non ne viene indagato il contenuto, l’essenza. Bene, per aiutarti puoi iniziare a riflettere leggendo questo semplice articolo che riporto qui sotto, lascia la mente libera dai pensieri e semplicemente leggi, dopo di che vedremo di collegarlo alla amata danza del ventre.

Il Femminile: Essere Donna è Dono di Loretta Martello (articolo riportato con il permesso dell’autrice, dal sito www.ilcerchiodellaluna.it

Cosa vuol dire essere donna?Questa domanda vive nel cuore femminile dagli antichi tempi in cui per la donna era semplice operare all'interno del proprio clan, del gruppo sociale o della famiglia, dai tempi in cui il legame con la Terra, l'Acqua e la Luna pulsava in armonia con la vita e con lo spirito che la pervade. Allora la donna trovava in sè le risposte, poiché queste le erano fornite dalla vita stessa, dall'esempio delle altre donne e dal rispetto che il mondo maschile aveva per lei.La donna guidava la sua stessa vita e quella degli altri fidandosi della propria intuizione, dell'innata saggezza, percorrendo il sentiero interiore già tracciato dalla madre e da tutte le madri che erano venute prima di lei. Conosceva i ritmi della terra, l'insegnamento degli animali, i poteri curativi di piante ed erbe, la ciclicità della vita, accettava le tappe del cammino iniziatico femminile con sincerità e devozione. Così il menarca, la maternità, e la menopausa erano sempre vissuti come momenti sacri, momenti in cui la Divinità entrava più profondamente nel corpo e attraverso il corpo manifestava il suo potere creativo, il potere di dare la vita e con esso la magia della Creazione.

Ma cosa accade oggi quando una donna si chiede cos'è una donna? Sembra che di fronte a questa domanda la donna avverta sulle prime come un risuonare nella mente di un'eco lontana, e senta poi quest'eco scenderle al cuore e poi al ventre, e poi il risalire a spirale di un'energia potente lungo la colonna vertebrale. E mentre l'energia risale, l'eco si trasforma in migliaia di voci pulsanti che chiamano la donna per nome. Ma al momento di darsi la risposta non le escono più le parole, e il battito dell'universo appena percepito sembra cessare.

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Eppure quel battito esiste, laggiù, nello strato profondo della psiche, sepolto da secoli e secoli di regole, impedimenti, convenzioni, pregiudizi, "buona educazione". Non è stato solo il mondo maschile a recludere il femminile laggiù, ma le donne stesse, ormai sradicate dal loro Sé al punto da non riconoscere più le forze che lo animavano mentre si adeguavano ad un modello sociale piatto e repressivo.I recenti movimenti femministi hanno aperto alcune strade, hanno scardinato con grinta e con rabbia i cancelli della libertà sociale e della parità dei diritti, ma questa lotta impetuosa non è stata in grado (non per debolezza, ma perché nella lotta non può ancora esserci equilibrio) di recuperare il seme antico, la luce antica, la verità antica, l'antica bellezza che ogni donna porta con sé...

La natura femminile non è quella dell'obbedienza nel silenzio, nè quella di vivere una parità che strozza l'anima con irruenza, ma quella di vivere in sé il proprio mistero, impregnarsi della propria Luce, godere della propria canzone, impossessarsi del Nume e farlo vibrare.Non occorre più parlare, abbiamo parlato abbastanza, non occorre più fare, abbiamo fatto abbastanza. Occorre Essere, essere Donna, essere Dono.

I termini "donna" e "dono" sono così simili nel suono da evocare il medesimo simbolo del dare. Ma "dare" non è quell'obbligatorietà a cui siamo state educate, quel cercare un perfezionismo che soddisfi l'idea di noi che ci siamo costruite, o che altri hanno contribuito a farci costruire, per sentirci dire che "così va bene", "così sei brava", in altre parole per poter meritare un pò di amore . Essere dono non vuol dire solo donare, ma fare della propria natura femminile un dono, al punto da essere luce per gli altri in modo assolutamente naturale, senza ostentazione, senza sforzo. Luce che arriva dal profondo per il semplice fatto che arriva, per il semplice fatto che c'è e che può manifestarsi così com'è...

..il femminile non è il femminismo. Il femminile è "ciò da cui tutto deriva", eppure non se ne vanta. Il femminile ama il maschile perché le è complementare. La donna che è donna desidera l'uomo, ama, gode, partorisce, soffre, cura, difende, sorride, condivide, crea, dona. Non separa, non allontana, non dice mai al maschile: io sono meglio di te, o sono più di te, o sto bene anche senza di te. La donna unisce, crede, persevera, aspetta. La donna ha pazienza e sa aspettare perché grande è il suo amore...

Quando ci si incontra insieme tra donne con il fine comune di condividere un cammino di conoscenza, con l'unico scopo di riappropriarsi della corrente sacra e istintuale che permea l'essere, accade una cosa strana: la percezione del fuoco interiore... quando la donna esprime se stessa, libera, con altre donne, emerge una forza straordinariamente calda, avvolgente, lucente, un'energia capace di sconvolgere ordini, leggi, istituzioni, sistemi, di andare oltre qualsiasi limite, di scardinare le porte d'acciaio di secoli di repressione, di far vivere la fata e la strega nello stesso momento. E ciò può accadere senza grida, senza collera, può avvenire con gentilezza e amore, con libertà e rispetto, poiché è attraverso l'abbandono a sè stessa che la donna può sentire quanto è grande il potere che porta in sé....

La donna ha mani dal tocco leggero e potente, mani in grado di tessere tele infinite d'amore e pazienza e compassione e perdono. La donna ha piedi ancorati al suolo per attingere l'energia della Madre Terra e distribuirla ad altri, piedi che sanno camminare e camminare e camminare per trovare le Verità più nascoste e che sanno poi danzare per condividere le verità con il cielo. La donna ha un ventre che può generare, accogliere, nutrire e partorire, ha un ventre caldo e magico che è stato scelto per deporvi il seme della vita. La donna ha seni morbidi che danno cibo, calore, riposo, coccole e gioia, seni in cui l'anima neonata può ritrovare l'abbraccio divino appena perduto. La donna ha un corpo che canta la vita e i suoi continui passaggi di gioia e dolore, di morte e rinascita, un corpo che sa, da sempre sa, che in questa fusione di opposti è il potere della Luce nascosta, quella che può conquistare qualsiasi amante, nutrire quasiasi figlio,

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ripartorire la vita fisica, psichica e spirituale ogni qualvolta sia necessario.La donna sa, se solo vuole sapere, sa.

La danza del ventre racchiude certamente in sé il linguaggio della femminilità, intesa come un universo di codici semplici e allo stesso tempo misteriosi, non sempre decifrabili. Possiamo elencarli in modo breve ma è solamente uno spunto per la nostra mente, mentre il nostro sentire più profondo sa che non ci sono limiti, a questo linguaggio di codici…

° Il gesto: il movimento delle mani parla, può raccontare storie, può allontanare, avvicinare, abbracciare, rifiutare, pregare… non essendo accompagnato dalla parola, come ad esempio nel teatro, il gesto può essere compreso solamente con molta attenzione e conoscenza.

Nella danza del ventre popolare ci sono linguaggi abbastanza espliciti poiché provengono dal mondo polare, possono essere compresi dalla gente nativa (ad esempio nello stile Baladi oppure nello stile Shaabi).

Nello stile classico egiziano invece il gesto si fa più implicito e a volte mistico, non sempre è decifrabile. Da un lato si manifesta come pura decorazione artistica, dall’altro come un messaggio di qualcosa che è solamente nel cuore. Nello stile classico egiziano è molto presente la gestualità sacra della danza classica persiana, nella quale il linguaggio è mistico e codificato. Emerge il concetto della donna angelo, che tramite la danza si fa canale tra il cielo e la terra. Il gesto mistico è decifrabile solo da pochi eletti. La femminilità nella danza comunica in buona parte attraverso il gesto…qual è la tua gestualità preferita mente danzi?

° Lo sguardo: anche gli occhi comunicano, ma a differenza del gesto lo fanno solamente in modo implicito. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, quanto più stai bene con te stessa, tanto più questo linguaggio si fa intenso e luminoso. Tanto più riesci ad utilizzarlo nella tua danza senza filtri, schemi o artifizi.

Prova ad osservare lo sguardo delle danzatrici che conosci, cosa ti stanno raccontando? La danzatrice ti sta dicendo qualcosa di sé oppure trasmette solamente una perfetta esecuzione tecnica, all’interno della quale rientra anche lo sguardo? Ti provoca un’emozione? (ricorda che le emozioni non sono sempre costruttive ma anche distruttive, come ad esempio l’invidia, la gelosia…).

° la bocca: la bocca comunica attraverso sorrisi, smorfie…un linguaggio non sempre esplicito, dipende. Può essere di due tipi, impostato per la scena oppure legato direttamente alle emozioni che prova la danzatrice.

Nel primo caso sarà sempre fisso e uguale, nel secondo caso muterà in simbiosi con il cuore della danzatrice. Nota questo elemento nelle danzatrici e anche nelle persone mentre parlano, nella tua insegnante a lezione, nelle tue compagne, in te stessa.

° Il corpo: il corpo è lo strumento attraverso il quale possiamo esprimere noi stesse. Si dice sempre che la danza del ventre è adatta a donne di ogni età e corporatura, ma ti invito a riflettere su quali sono i modelli di danzatrici proposte oggi. Come si propongono le danzatrici molto famose nel mondo? Che modello di corpo ti invitano a seguire? Secondo te contrastano oppure accondiscendono il messaggio che ci arriva sempre, che questa danza sia per tutti i corpi? Fai una ricerca accompagnata da una riflessione sui modelli di corporatura proposti in Egitto dagli anni ’30 ad oggi, cosa è cambiato, se noti che qualcosa è cambiato?

° Il vestito: l’abito è lo strumento attraverso il quale possiamo mettere in maggiore evidenza la danza nel suo complesso di movimenti, forme e colori e nel caso di stile popolare far conoscere la cultura di quella determinata gente o popolazione. Fai una ricerca breve su come sta cambiando la moda nell’ambito della danza del ventre. I costumi cosa puntano a valorizzare di te? Ti è mai stato detto da qualcuno per essere brave danzatici è necessario possedere bei costumi?

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Secondo te è obbligatorio indossare un costume di lusso per eseguire una danza? Cosa hai provato quando hai indossato il tuo primo costume? Qual è l’emozione che hai provato più intensamente? Ti piace farli da oppure preferisci comprarli? Hai mai notato che in periodi diversi colori diversi ti richiamano? Credi che il costume sia solamente un involucro di tessuto oppure dentro di te senti che lo puoi arricchire di te stessa e trarne beneficio? Può l’abito…comunicare?

° Il trucco: il trucco ha la funzione di dare maggiore forza espressiva l nostro corpo, può rientrare anch’esso nella campo della comunicazione! Fai una breve ricerca su come si è evoluto il trucco dagli anni ’30 ad oggi nella danza del ventre, trovi che ci siano state delle mode? Credi di poter avere la libertà di scegliere come truccarti oppure pensi di dover seguire un clichè? Ti ha mai colpito in particolare una danzatrice in base al trucco che aveva?

° Il contenuto: forse per te questa voce è nuova…il contenuto è l’essenza della comunicazione, ovvero, cosa ti sta raccontando questa danza? Se è un brano cantato, sicuramente il contenuto è esplicito e potrai comprenderlo non solo attraverso la parola del cantante o della cantante bensì anche tramite tutti i linguaggi che sopra ho elencato. Se è una canzone senza testo, dovrai intuire cosa la danzatrice ti sta dicendo. Stai attenta, non sempre una danzatrice riesce a comunicare una parte di se. Se ad esempio basa la propria danza solamente su dati tecnici è molto improbabile che possa darti qualcosa che ti porti a casa, quella magia che non ti lascia per qualche giorno e, a volte, per qualche anno. Prova ad osservare le danzatrici che maggiormente conosci, osservale con il cuore aperto e guardale negli occhi…ti stanno dicendo qualcosa?

C’è un contenuto nella loro danza? Osserva non con la mante ma, ripeto, con il cuore. I loro gesti, il loro corpo, il trucco, il costume…è tutt’uno con la loro danza oppure sono elementi separati e freddi? Il sorriso è un sorriso che scalda il cuore oppure è un sorriso “di scena” impostato? Secondo te come stanno vivendo la loro danza…se la vivono?! In poche parole…sono danze autentiche? Che valore dai ad una danza autentica rispetto ad una solo tecnica? Qual è secondo te ciò che fa scattare la differenza tra una e l’altra? Osserva lo stato generale delle danzatrici, in che direzione sta andando? C’è attenzione al contenuto?

Ancora domande di riflessione…qual è il motivo per cui non riusciresti più a rinunciare a danzare? Cosa ti ha regalato questa danza? Cosa significa per te condividere con le tue compagne un’esperienza di lezione, di danza o semplicemente di chiacchere? Potresti danzare libera e felice anche senza indossare un costume ricchissimo e prezioso? Quali sono le emozioni che provi mentre danzi la tua canzone preferita? Dolore? Gioia? Sensualità? Abbandono? Paura? Cosa ti dice il tuo corpo?

Cara donna, in ultima analisi ti chiedo di mettere in ordine di importanza questi valori elencati. Se la femminilità, essere dunque donna e dono nella delicatezza e nella forza insieme, è la potenza di comunicare e cantare la vita attraverso il tuo corpo,sii certa di poterlo fare in estrema libertà, libera da clichè e schemi, consapevole e salda nell’espressione del tuo cuore che, senza libertà, non può cantare. La donna è creatività e radicamento, l’una senza l’altro non sussiste.La danza del ventre è creatività e radicamento, è donna, è un ottimo strumento poiché risveglia questi codici ma come li risveglia, se attraverso solo l’involucro, oppure solo il contenuto….oppure unendo il tutto in una meravigliosa armonia…sta solo a te e al tuo coraggio di essere ciò che sei.

Giulia Mion

Accademia di danza del ventre Ma-Alilat www.danzadelladea.it

Via Maniago 4/a 33100 Udine

Lun. – giov. dalle 18.30 alle 21.00 al 0432.548832 [email protected]

Giulia 347.3365063 [email protected]

DANZATERAPIA a cura di Chiara Ferrari-”Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”-Nietzche

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La Danzaterapia è una tecnica relativamente giovane in campo clinico ma in realtà antica quanto il mondo, che permette di “curare” attraverso il movimento.

Già dalla vita intrauterina al suono del battito cardiaco materno, la nuova vita si muove in un ambiente protetto sperimentando possibilità e confini. Studi ecografici hanno evidenziato come una competenza a nascere si sviluppi nel bambino a partire dal secondo trimestre di gravidanza nell’esplorazione e nell’attività motoria. Il Movimento è parte integrante del processo evolutivo oltre che di quello emotivo .L’osservazione di persone con problemi di tipo affettivo ha evidenziato come ad un disagio emotivo corrisponda un alterato comportamento motorio ,più povero o al contrario eccessivo e afinalistico.

La Danzaterapia trova applicazioni in vari settori, da quello clinico con pazienti con ridotta autonomia motoria,ai disagi relazionali alla cura delle dipendenze etc. etc.

I miei studi mi hanno portato alla Danzaterapia in chiave simbolica , una forma di ricerca che si basa sui contenuti psichici simbolici, presenti in ognuno di noi, concetti universali perché propri della razza umana.Un viaggio affascinante che applicato alla Danzaterapia ha lo scopo di connettere chi lo pratica al proprio essere più profondo e più autentico .

Quello che mi piace proporre in questi incontri è la ricerca dell’energia dentro di noi , parafrasando il titolo di uno spettacolo di Daniel Ezralow “ perché essere straordinario se puoi essere te stesso?”Ciò significa riconoscere di per sé ad ogni essere danzante il talento di rappresentarsi al meglio, al di là del risultato artistico, del virtuosismo, della tecnica, in stretta aderenza alle emozioni e al proprio vissuto personale e unico di essere umano.

Questo tipo di lavoro si rivolge a persone che vivono la danza anche come un percorso di crescita personale indipendentemente dal proprio livello artistico.La premessa di questa proposta è che sicuramente abitiamo in un certo tipo di corpo o di forma che bene o male ci rappresenta e soprattutto rappresenta il nostro percorso ma questo non deve essere vissuto come un limite ma come lo strumento per crescere ed evolversi ancora.

Un approccio che ho più volte utilizzato in questo percorso di crescita è il lavoro sui chakra, termine derivato dal Sanscrito che significa ruota,utilizzato dalla filosofia e dalla fisiologia tradizionale indiana per identificare centri energetici disposti lungo la colonna vertebrali .I chakra sono centri simbolici del corpo umano associati a zone e ad organi ben precisi, i principali sono sette e agiscono come valvole energetiche, uno squilibrio al loro livello determina uno squilibrio anche agli organi associati, secondo la medicina indiana il corpo fisico ed il corpo sottile,( emozioni pensieri e stato di coscienza),formano un insieme collegato dai chakra, quindi lavorando sul corpo fisico otterrò benefici sul corpo sottile e viceversa. Conoscere i chakra significa accedere a inaspettate informazioni su di noi stessi e imparare a sentire la nostra energia vitale.

Ho utilizzato spesso la mappa dei chakra per il mio lavoro d’insegnante di Danza Orientale e anche quando danzo cerco di essere consapevole rispetto al brano e allo stile che ho scelto a quale di essi sto attingendo energia .Quello che ho scelto di proporre a Riccione è l’approccio ai primi due chakra, muladhara o centro della radice e svadhisthana o centro sacrale .

Il primo è collocato nella zona del perineo,il suo elemento è la terra il senso l’olfatto ,il colore che lo rappresenta è il rosso scuro e il marrone.

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Scopo del lavoro che propongo con questo chakra è il radicamento alla terra , (grounding )Come danzatori ben sappiamo quanto sia importante il radicamento a terra,senza questo, non si va letteralmente da nessuna parte.

Il secondo è collocato approssimativamente due dita sotto l’ombelico corrispondente posteriormente all’area del sacro , il suo elemento l’acqua, il suo colore l’arancione l’ambra e l’oro ,il senso il gusto.Il lavoro che propongo in questa parte riguarda più propriamente la creatività, la fluidità di movimento e la relazione con gli altri.

Praticamente il seminario si svolge con una prima parte di riscaldamento che ha lo scopo di attivare la parte di corpo e di vissuto emotivo su cui s'intende lavorare.Dopo di che,utilizzando della musica o dei suoni estranei il più possibile alla musica orientale, uscendo quindi da canoni tecnici e già consolidati, invito i partecipanti a sperimentare la possibilità di gesti anche inusuali rispetto ad una consegna verbale ben specifica.Gran parte del lavoro viene svolto ad occhi chiusi e naturalmente in assenza di giudizio, lo scopo del lavoro è connettersi alle proprie energie profonde, danzandole,portando in superficie la qualità più autentica e personale del gesto. In conclusione del lavoro viene chiesto di lasciare una traccia,utilizzando grandi fogli e dei pennarelli a punta grossa ,di solito si lascia poi spazio alla verbalizzazione dei vissuti.

Bibliografia:

Dove danzano gli sciamani Vincenzo Bellia, Franco Angeli editore

Frammenti di vita nella Danzaterapia , Maria Fux edizioni del Cerro Chakra , Ruth White edizioni Sonzogno

Lavorare con i Chakras , Marlene Silveira e Pierluigi Lattuada ,edizione Meb

Danze Orientali, Maria Rita Gandra, Sonia Lorenzon,8lauca Castelluber edizioni Prandi Sound RecordIl Linguaggio Segreto della Danza del Ventre, Maria Strova edizioni Macro.

Chiara Ferrari, fisioterapista, danzaterapeuta insegna danza orientale dal 2001 presso “il Melograno “ di Alessandria di cui è anche sociofondatore e il T.S.D di Voghera (PV)

Nel 2006 consegue con la maestra Gandra il diploma di Maestro Danze Orientali F.I.P.D, è Maestro di 2° grado ISDAS, tecnico F.I.D.S e associato MIDAS.

 Continua la sua formazione con il maestro Wael Mansour  e con Olivia Mancino

DANZA DELL’ORIENTE …. INTRECCIO DI EMOZIONI

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a cura di Ailema

La Danza del Ventre in se stessa è un caleidoscopio!

L' intreccio di culture ha influenzato i diversi stili e generi presenti nel grande ventaglio delle danze

orientali.

L' intreccio di contrasti e contraddizioni ha reso da sempre questa danza come la più affascinante

e misteriosa .

L'intreccio delle varie interpretazioni possibili la annovera fra le danze piu variegate

Osserviamo da vicino questi aspetti.

La Danza Orientale oggi giunge a noi occidentali da un lontano Oriente, ben piu lontano dell'Egitto,

dove pure e non a caso, viene chiamata Raks Sharki, letteralmente "danza dell'oriente".

Riecheggia però anche da un lontano passato, che riaffiora magicamente dentro di noi alle prime

movenze, comprovando che tanto estraneo al nostro ancestrale esso non è.

La Danza Orientale dunque non infrange solo le barriere geografiche, oggi con un "tam tam" di

tutte le donne da ogni parte del mondo così come ieri grazie al nomadismo di alcuni popoli gitani,

ma valica anche i limiti del tempo. Si sa che appartiene alle prime danze sacre, e le sue movenze

più naturali lasciano credere facilmente che potessero far parte addirittura dei primi movimenti in

armonia con i suoni della natura; eppure, col suo continuo dare e ricevere di culture e stili che

persiste tuttora, ci appare una delle danze in maggiore evoluzione. Ha saputo, e sa, arricchire ed

arricchirsi artisticamente di ogni tipo di fusione, grazie anche a lungimiranti Maestri e Coreografi

che hanno letto nei confini religiosi e geografici non dei limiti, ma al contrario delle invitanti frontiere

da superare. E' una danza nomade e libera per natura e storia, limitarla all'interno di confini non

sarebbe stato possibile per sempre !

Inoltre, pur annoverando anche molte danze maschili e folk, essa resta soprattutto forte

appannaggio femminile. Molto preponderante è il suo legame con il femminino, grazie forse a quel

suo passato di danza sacra, legata soprattutto ai riti della fertilità. Passato da cui traggono origine

la maggior parte dei movimenti cardini della danza, cosiddetta oramai ovunque "del ventre",che

ogni donna al mondo riconosce come suoi, abbia ancora agile memoria di essi oppure no, e di cui

è pronta e decisa a reimpossessarsi. Sotto questo aspetto la varietà delle danze orientali, da

quelle folk al cabaret, a quelle piu stilizzate o baladi, ben si presta al variegato ed incostante

femminile, che trova in esse una maggiore scelta interpretativa e alle quali al contempo ha la

possibiltà di conferire, piu che in altre danze, impronte personali.

Ecco un altro aspetto di quel fantastico caleidoscopio che è la danza orientale.

Persino il nome non è uno, ma molti. E nessuno riesce ad inquadrarla: sembra sfuggire ad ogni

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etichetta. Orientale? sappiamo quanto possa risultare ingiustamente limitativo, addirittura improprio

se si pensa ai riti sacri, e, in alcuni casi disperati, anche equivoco (c'è chi confonde il nome con il

lontanissimo oriente asiatico o chi lo lega comunque all'immaginario del maschio occidentale).

Mediorientale? Araba? ancora più limitativo ed improprio forse. Infine "del Ventre"? un

soprannome: l'unica danza ad averne uno! più atipica e meno convenzionale di così !. Però se

leggiamo questo “Ventre”, questo nome divenuto oramai internazionale, tradotto così in tutte le

lingue del mondo (è la danza ballata nel maggior numero di Paesi al mondo), come "culla della

vita", allora notiamo come invece siamo vicini etimologicamente ad "oriente" (orios=nascere) !

Arricchita non solo da tutto quanto ciò, ma anche da intriganti contrasti e misteriose contraddizioni,

questa danza si insinua sempre piu in ogni essere umano in grado di intravedere che il suo

bagaglio va ben oltre una serie di passi e di costumi di scena.

Dalle origini incerte, di cui si trovano antichi reperti un pò ovunque, si consolida con il tempo in

Oriente. Lì resta reclusa per epoche intere, vittima di estremismi sociali e religiosi. Ma non muore,

anzi si mantiene, sempre al limite, fra sacro, trasgressivo e celebrativo. Ed evade anche, passa i

confini con i popoli nomadi e gitani e giunge a noi trasformata, arricchita, e ancora pronta a nuove

fusioni e ri-fusioni, quasi volesse riprendersi ciò che ci ha lasciato nelle migrazioni, invasioni e

colonizzazioni che l'hanno riguardata in epoche passate !

Se a questo aggiungiamo che oggi è ben lungi dall'essere considerata solo un 'insieme di danze

folcloristiche e popolari, o di cabaret, ma sta finalmente calcando grandi palcoscenici, grazie a

compagnie emergenti e a noti

coreografi che hanno saputo arricchirsi anche delle eleganti tecniche occidentali, possiamo

facilmente intravedere come il caleidoscopio delle danze orientali non abbia ancora esaurito i suoi

colori.

Amelia Di Lorenzo “AILEMA”Maestra in Danze Orientali e Tecnico FIDS – associata MIDAS

Insegnante e Danzatrice di Genova - Presidente dell'associazione “Ailema danza e dintorni”Coreografa della compagnia Ensemble Ailema

curatrice e traduttrice del libro del Maestro Amir Thaleb

“La millenaria danza del ventre, il linguaggio occulto” edito Ananke

www.genovadanzaorientale.it

Mille colori per esprimere la nostra anima!a cura di “Hunaida” Daniela Russo

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“La prima volta che ho danzato è stato nell’utero di mia madre” cosi’ si legge nell’autobiografia “La mia vita” di Isadora Duncan una delle madri della danza moderna e prima ballerina ad esibirsi scalza con indosso pochi veli come gli antichi Greci, per esaltare la purezza e la naturalezza del movimento.

Antesignana del balletto e del concetto di danza, senza saperlo ha anticipato la scienza che afferma che il bambino ,all’interno dell’utero materno , si muove seguendo il ritmo scandito del battito cardiaco della madre. (F. Silvestri)La danza dunque è qualcosa di istintivo, che scorre nelle vene di ogni essere umano , da prima di nascere fino alla morte.

Dietro l'apparenza di forme  e codifiche di passi, indispensabile per la tecnica del danzatore, ogni danzatrice esprime la sua anima traduce i suoni , fonde forme e un infinità di  movimenti per trovare un proprio linguaggio corporeo che corrisponde al proprio bioritmo della propria personalità è esperienza artistica.La tecnica non è la danza, ma solo una chiave per accedervi.. ( F. De Luca)

La vera danzatrice è colei che mediante i movimenti  rende viva l'espressione della sua anima! Spesso rimango estremamente colpita come in ogni movimento di un allieva o di una maestra traspare il suo carattere le sue emozioni. A parità di condizioni, esperienza e musicalità non troveremo mai una danzatrice che si esprime alla stessa maniera.E’ questa la magia della danza “la libertà d’espressione”.

Credo che la  metafora "Caleidoscopio della danza Orientale” proposta da Maria Rita Gandra, sia eccezionale perché le variazioni che presenta questa danza in ogni danzatrice si perdono nell'infinito!Ho sempre paragonato il corpo di una ballerina a un pennello colorato, lo spazio a una grande tela bianca .La danzatrice danzando riempie di mille colori il vuoto dello spazio.Rivolgo un messaggio a tutte le maestre, allieve e appassionate di questa disciplina:contemplate ogni esibizione come un quadro, e pensate che così come in una tela ogni forma e colore ha una significato recondito, ogni gesto e movimento di una ballerina è dettato inconsciamente dalla sua anima dalle sue emozioni, sia essa allieva, maestra, professionista.

La danza è arte e come ogni forma d’arte è comunicazione, ma non bisogna però dimenticare ch’è figlia del proprio tempo!E’ giusto che ci sia innovazione! La danza si evolve al pari di tutte le altre forme d’arte, musica, teatro , arti visive ecc.

Penso che l’importante sia non perdere di vista la tradizione. Non può esistere innovazione senza conoscenza della tradizione. Per me innovazione è fusione di movimenti stili, attrezzi e non invenzione o eccessive contaminazioni di discipline a volte molto lontane per tecnica e finalità dalla nostra, altrimenti si rischia di trasformare la danza orientale in danza contemporanea.

Daniela Russo in arte “Hunaida”Maestra ISDAS in Danze Orientali -Tecnico Federale e Giudice di Gara FIDS [email protected] - www.hunaida.it

“CALEIDOSCOPICA DANZA ORIENTALE”

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a cura di Barbara Pettenati

Faccio i complimenti alla M° Gandra per la scelta del tema di questo Congresso.

Caleidoscopio delle danze orientali definizione decisamente calzante.

La danza del ventre, una danza estremamente versatile, oggetto di controversie socio/politiche, un

mezzo di evoluzione e, perché no, anche di cura fisica/emotiva per le donne.

In questi anni di ricerche e studi, osservando, ascoltando, leggendo, vivendo di persona questa

danza, sono arrivata ad una considerazione: la danza del ventre è la danza di tutte le donne, di

tutto il mondo.

Nel Natyashastra, o V Veda, una delle maggiori fonti sulla rappresentazione teatrale e sulla danza

indiana, si parla di una danza, descritta come un dono degli dei, come mezzo di comunicazione

con essi, la danza non era mero esercizio fine a se stesso, bensì preghiera in movimento,

esecuzione dinamica della bellezza, del ritmo e dell’equilibrio cosmico, aveva funzione rituale,

espressiva, narrativa e suggestiva.

Il V Veda spiega i movimenti stessi della danza del ventre, e ne descrive il processo in questo

modo: la danzatrice percepisce un dato evento, ne risulta emotivamente coinvolta e sente

insorgere dentro di sé uno stato d’animo che la induce a riprodurre l’esperienza emotiva che ha

vissuto.

Nasce così l’opera d’arte, che viene espressa utilizzando un preciso linguaggio verbale, musicale,

formale, elaborato dai veggenti e codificato dalla tradizione, volto a contenere l’individualismo

dell’artista e a fornirgli uno strumento di comunicazione corale.

La disciplina che gli impone di non abbandonarsi a un produrre arbitrario e personalistico, gli

insegna equilibrio e chiarezza espressiva.

Grazie a ciò il vero artista – formato da una lunga preparazione, esperto e capace d’introspezione

psicologica – riesce a indurre nello spettatore la stessa emozione che ha ispirato la sua opera

d’arte, regalandogli l’esperienza del rasa, termine che allude a un processo di alchimia spirituale

ove le emozioni dell’animo umano vengono sublimate. E’ la descrizione dell’essenza della danza

del ventre.

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Questa danza la percepisco come il vento primaverile che trasporta la vita, ha viaggiato di paese

in paese, dall’India , all’Arabia Saudita, alla Siria, Turchia, Egitto, Grecia, Libia, Tunisia, Marocco,

Spagna, Italia, America, in ogni paese il vento ha fatto cadere un seme e in base al tipo di terreno

e alle situazioni climatiche ha dato vita ad un fiore nuovo con colori differenti, questa danza ha

viaggiato con le donne e per le donne, si è fermata e cresciuta dove c’è n’era più bisogno, ha

continuato il suo cammino sfiorando alcuni posti e soffermandosi più a lungo in altri,

sviluppandosi dove era più necessaria, la danza del ventre è un bene comune delle donne di tutto

il mondo.

La danza del ventre è come la creta che in base al proprio bisogno si plasma a nostro uso e

consumo, può essere un mezzo per sbloccare emozioni, per ritrovare noi stesse, un modo per

ritrovare uno stimolo nella vita, per metterci alla prova, o semplicemente una danza.

Comprendo i malumori di chi, originario di paesi arabi, nel vedere questa danza che considera

propria, perché attecchita e sviluppata maggiormente in quei paesi fin dalle dinastie faraoniche,

stravolta e riproposta con contaminazioni occidentali, inorridisce guardandola; ma io non sono

araba, ho provato a comprendere il mondo mediorientale, la religione, il pensiero, il modo di

reagire agli eventi, ma non riesco a capire, non comprendo le contraddizioni, il loro modo di

pensare e di vivere quello che per me è oppressione.

Il mio modo di essere, la mia cultura è troppo differente dalla loro perché io possa trasmettere

l’essenza della danza dei paesi arabi.

Il vento mi ha portato il seme della danza del ventre, l’ho curato, accudito, fatto crescere secondo

le tradizioni arabe, ma il fiore bianco appena nato stava morendo, perché in Italia c’è un altro

clima, ci sono altre tradizioni, altre motivazioni, altre emozioni, l’ho contaminato con l’occidente e

con il mio sapere ed ha ripreso vita e forza diventando un arcobaleno di colori.

Questa caleidoscopica danza mi da la possibilità di proporre corsi aperti a tutte le donne che

hanno obiettivi differenti, c’è chi vive questa danza come ricerca personale, per stare bene con il

proprio corpo e con se stesse tramite la danza, c’è chi la considera un’alternativa ad una seduta di

yoga o di ginnastica, chi l’affronta con costanza e determinazione per ottenere una preparazione

tecnico/artistica per spettacoli e gare, tutto questo per permettere alla donna, che affronta il corso,

di far crescere il proprio fiore in base alle proprie esigenze e aspettative.

M° Barbara PettenatiMaestra ISDAS in Danze Orientali -Tecnico Federale e Giudice di Gara FIDS - Associata [email protected] - www.barbara-ara.it

Danzando ad Occhi Chiusi… di Alice Nuar

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Vortice di colori, trasparenze, luci, sovrapposizioni, luccichii, suoni.. ogni donna che danza è

caleidoscopica, crea stupore nei nostri occhi di bimbe, è incantata, meravigliosa, astratta,

fantastica.. è magica.. ..Ricordo quando per la prima volta ho visto le mie maestre danzare…“

oooohh! ”…

le stesse sensazioni ed emozioni di quando, per la prima volta da bambina ho guardato attraverso

quel buco magico: vetri sfaccettati, riflessi e forme sempre uniche nelle loro evoluzioni.

E quando chiudo gli occhi e danzo posso ancora sentire quella gioia, quello stupore..

Immaginare di essere dove vanno i pensieri, lasciarsi guidare altrove, dove la mente desidera

portarci, in una fiaba, in un bosco, vicino ad una cascata o fra i fiori di campo, laddove il ritmo è

unico: quello del cuore della Terra..

Un viaggio fantasioso, ognuna col proprio bagaglio, il proprio linguaggio, la propria meta, ma tutte

con energie comuni, desiderio di rapportarsi e voglia di Danzare tutte queste emozioni in Cerchio

l’una per l’altra..

Il Cerchio Magico

Un rituale perpetrato nei secoli

Il "Cerchio Magico" è un rituale che ha origini molto antiche. Se ne trova traccia sin dai tempi dei

Babilonesi e più frequentemente al tempo dei Maghi Cerimoniali del Medioevo e del Rinascimento,

così pure in diverse tribù degli indiani d'America, con ragioni e pratiche diverse.

L'obbiettivo comune era di creare con l'energia della mente uno spazio immaginario che dividesse

il mondo del soprannaturale da quello materiale per facilitare la concentrazione, il rituale della

sacralità e la comunione con le divinità.

Il Cerchio rappresenta simbolicamente la forma esteriore della sfera magica, all'interno della quale

gli officianti sarebbero al sicuro da qualsiasi agente esterno. Molti ritengono che l'uso del Cerchio

sia dovuto alla sua forma particolare: si può considerare senza inizio né fine, quindi rappresenta

bene l'infinito, l'universo e il ciclo della vita che si ripete di continuo. Secondo gli antichi l’energia

cosmica che anima l’universo è divisa in cinque forme diverse: Terra - Aria - Fuoco - Acqua -

Spirito.

E sono questi elementi che in genere vengono chiamati a vigilare sulla sfera.

Il Simbolo del Cerchio

Il Cerchio Magico come identità femminile

Molto eloquente in se l’immagine del Cerchio ci aiuta ad identificarci con le diverse forze che

simboleggia.

Il Cerchio è stato uno dei principali simboli femminili, a differenza della linea o della croce che

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rappresenta lo spirito maschile. La realtà ciclica è espressa nella danza, anche nel ritmo

d’espansione e contrazione del ventre, come nelle tipiche ondulazioni: l’espansione è il momento

ciclico di crescita e pienezza del cerchio-ventre, durante l’inspirazione, mentre la contrazione che

accade quando espiriamo è il riposo ciclico, il ritorno al centro, all’ombelico. Una danza vissuta

bene crea il rapporto giusto fra espansione-inspirazione e rilassamento-espirazione. Per questo è

importante sentire questo movimento lentamente e darsi il tempo di respirare. In questa

successione di opposti: inspirazione-espirazione, espansione-contrazione è insita la sensualità

della danza del ventre, quell’abbandonarsi tipico dei suoi passi, dove si nasconde un equilibrio tra

lo sforzo necessario per eseguire i movimenti e il rilassamento del corpo, gli opposti.

Nei gruppi di danza, la conformazione del Cerchio è associata all’idea di “Cerchio Magico” o

Cerchio protettivo, che ricorda il solco intorno ai territori tribali, una sorta di cinta di protezione che

delimitava lo spazio sacro dell’appartenenza del gruppo. Il Cerchio è anche una formazione molto

ugualitaria, perché tutti i membri si possono vedere e stanno alla stessa distanza dal centro;

l’energia centrica coinvolge tutti e tende a creare unione e collaborazione fa i membri.

Questa qualità unificante è molto importante in un’arte che, formando “soliste”, può a volte isolare

le persone mentre danzano, e rimane una formazione costruttiva perché contrasta gelosie e

divisioni che possono venire a crearsi nel gruppo. Non a caso il Cerchio è una formazione molto

antica: cerchi di pietra e danze circolari sembra fossero una viva raffigurazione di tutti i cicli del

cosmo e della vita.

Come energia rigenerante è rappresentata la circolarità della Danza del Ventre da simboli che si

sciolgono uno nell’altro: cerchi, spirali, figure a otto motivi a serpenti, vortici che stimolano il

processo del divenire in una danza fluida e continua.

Danze Circolari di Buon Augurio

Il Cerchio Magico nelle danze corali

In epoca arcaica vi erano anche altri tipi di danze femminili che non avevano un aspetto erotico

sensuale legato all'autotrascendimento ma, piuttosto, la funzione di diffondere armonia e buon

augurio. Si riteneva infatti che le donne e le fanciulle, attraverso la danza, fossero in grado di

emanare delle energie buone ed armoniose, apportando gioia, fortuna ed abbondanza su tutto ciò

che vi era intorno.

Per tale motivo esse probabilmente danzavano per richiamare i favori della Grande Madre per tutto

il popolo, ovvero per onorare altre Divinità femminili sotto i cui diversi nomi si celava sempre la

stessa amorosa Grande Dea, ovvero per chiedere un buon raccolto od una pioggia propizia o per

consacrare determinati luoghi. Sia che si trattasse di danze legate a culti femminili segreti, sia che

si trattasse di danze pubbliche, in ogni caso la modalità di questo tipo di danza femminile arcaica

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era spesso quella in cui le donne o le fanciulle danzavano insieme in circolo, tenendosi per mano.

Forse così danzando esse sentivano e manifestavano agli astanti di appartenere tutte ad una

stessa dimensione, intuibile per analogia nel cerchio stesso, che rappresentava un anello di

coralità che le rendeva tutte simili, pur nelle loro caratteristiche diverse, così come tutti i punti che

compongono un cerchio.

A questo proposito si potrebbe affermare che, per le antiche donne, le danze in circolo avessero

una corrispondenza nella natura ed in particolare nel movimento della Terra e dei pianeti intorno al

Sole od il movimento del firmamento intorno alla Stella Polare.

"…coloro che ricercano le origini più veritiere della danza ti direbbero che essa nacque

contemporaneamente alla prima origine dell'universo e che apparve insieme all'antico Eros; per

esempio il movimento circolare degli astri, l'intreccio dei pianeti con le stelle fisse, l'euritmico

rapporto e la regolata armonia che li governa, sono la prova dell'esistenza primigenia della

danza…".

Probabilmente quindi, danzando in cerchio tenendosi per mano per un tempo prolungato, si può

provare un senso di stordimento, di ebbrezza ed in certi casi percepire in modo differenziato il

proprio corpo e la propria mente fino a non sentirli quasi più, proprio come forse succede prima di

avere fenomeni estatici e di trascendimento.

In effetti il danzare insieme con le mani o le braccia intrecciate, compiendo gli stessi passi e

cercando di richiamare dentro se stesse le medesime energie, poteva far nascere nelle

partecipanti alla danza un senso di comunione e di unione che permetteva loro di sentirsi parte di

qualcosa di infinitamente più grande. Si potrebbe ritenere che, attraverso tali tipi di danze, le donne

avessero la possibilità di vivere e coltivare dentro se stesse la loro più vera essenza femminile che

permetteva loro di fondersi insieme nello stesso amoroso archetipo divino, come l'essere tante

gocce d'acqua in uno stesso limpido mare o tanti riflessi di una stessa realtà luminosa.

Quell'archetipo Divino era per le donne di quei tempi facilmente tangibile in ogni manifestazione

naturale, negli animali, nei boschi, nelle cascate o nel cielo stellato e percepibile in certi casi

nell'interno di se stesse. Quell'archetipo Divino dolce, languido, voluttuoso, armonioso, sensuale

ed inebriante che fu denominato Grande Madre.

Fonti BibliograficheDelle antiche danze femminili di Irina NaceoIl linguaggio segreto della Danza del Ventre di Maria StrovaLa Danza del Ventre ricerca svolta da Irene Borg

Alice Nuar - Cerchio Magico Club Tel. 02.30061125 - Mob. 340.1843870info@cerchiomagicoclub.comwww.cerchiomagicoclub.comwww.myspace.com/alicenuar

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“CALEIDOSCOPIO: far si che questa danza ti appartenga”

a cura di Zahyra

Movimenti sinuosi e ondulanti… mani che sembrano disegnare figure nello spazio, un bacino

grintoso che vibra al ritmo di un tamburo.

Perché ti affascina tanto questa danza?

Pensando e ripensando alla mia relazione per questo congresso, che cosa mi suggerisce la

parola “caleidoscopio”?

Mi pongo la domanda: Che cosa ha di misterioso questa danza che affascina tutti, soprattutto alle

donne, comprese quelle che non la praticano, forse perché ci sono nel nostro codice genetico dei

geni che vengono svegliati da certi ritmi e movimenti dell’antica danza femminile, che ci fa rivivere

la nostra entità archetipa?

Per questo, nell’instante nel quale si coniuga la mia essenza di essere donna con questi suoni ,

ritmi e movimenti si crea un rapporto intimo fra me e la danza … ed in questo momento posso dire

…. anzi sentire che questa danza mi appartiene.

E’ come chi lascia un orma sulla sabbia per seguire un percorso.

Questa danza lascia un’impronta su di noi donne nel momento in cui l’intraprende il viaggio

attraverso la propria conoscenza femminile, che non sarà mai cancellata dal vento, ma segnerà i

nostri cuori.

Da questa straordinaria alchimia fra l’anima ed il corpo che danza, nascono le diverse forme di

interpretazione che ci rende uniche, ognuna nel suo stile.

Per questo il nome Caleidoscopio ci indica le tante sfaccettature della Danza Orientale nella quale

possiamo sentirci identificate senza allontanarsi dalle radici, rispettando la tecnica e dando parte

di noi stesse.

…………… fai che questa danza divenga tua.

Silvana Balestrieri “Zahyra” – Insegnante e danzatrice argentina residente a PratoCoreografa e Direttrice del Gruppo “le Dune del deserto”Maestra ISDAS – Tecnico FIDS – associata MIDAS [email protected] - www.zahyra.it

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I MILLE VOLTI DELLA DEARicerca storico – antropologica a cura di Maria Rita Gandra “Margarita”

Non è possibile aprire un discorso partendo dal tema congressuale “Caleidoscopio delle Danze

Orientali” senza prima affrontare un’analisi storico - antropologica sui culti della Dea Madre e le

forme archetipe e simboliche a cui le Danze Orientali intrinsecamente sono legate.

Cercherò di approfondire il discorso attraverso i “MILLE VOLTI DELLA DEA” intesa come Dea

Madre ed i culti ad essa legati nella storia dell’umanità, dalla preistoria indo-europea a quella

assira – babilonese ed egiziana, fino ad arrivare alle forme medioevali e contemporanee di culti e

riti, e come essi subirono una trasformazione in negativo nel periodo oscurantista dell’Inquisizione

del 1500.

Simboli e Forme ricorrenti nella danza si trovano lungo il percorso della ricerca: cerchio che

diventa spirale ed a sua volta diventa triade nella sfaccettatura poliedrica della figura della DEA MATRIS. Le forme a loro volta acquistano valore simbolico ed esoterico ed attraverso esse la

danza nei millenni arriva fino a noi, attraversando culture ed usanze, con la sua carica energetica.

Il valore archetipo delle Danze Orientali e la sua forza stanno proprio nel perdurare universale e

simbolico di cui sono portatrici. Sono, queste, forme pre-patriarcali legate ai valori primari delle

culture matriarcali e matrilineari. Le forme che all’origine erano proprie della danza poi si

trasformano in simboli astratti proiettati nelle forme architettoniche delle Chiese e delle Moschee.

La danza acquista un valore “carnale” in negativo, deprivata dai suoi simboli archetipi, e diventa

danza “lasciva” e d’intrattenimento nel mondo arabo o danza del demonio e patrimonio delle

streghe nel mondo cristiano.

Il Monoteismo, dall’Ebraismo al Cristianesimo, all’Islamismo, pur adottando simboli ad essi legati,

hanno perseguitato condannandoli questi culti della Dea Madre ed assieme ad essi ovviamente le

danze destinate ai culti. Solo nel mondo arabo l’isolamento delle donne all’interno delle loro case

ha potuto custodire la danza, tramandata dalla nonna alla mamma e da essa alla figlia ….

Continuando il moto perpetuo dell’evoluzione del Culto della Dea, della sua Triade, tramandata

dall’anziana nonna alla madre e da essa a sua volta alla figlia.

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La Dea Triplice

Un simbolo rappresentante la Dea triplice, raffigura i tre aspetti della Luna

Gli dei principali sono la Madre Terra (spesso chiamata mia/nostra Madre), vista come personificazione delle realtà materiali e identificata con il concetto della Dea Triplice.

Bèal , è la personificazione delle realtà non materiali.

Dalon Ap Landu, il Signore dei Boschi.

Ai primi due vengono solitamente associati la Terra e il Sole . Ma la cerchia delle divinità non si chiude qui.

Il Druidismo si basa anche sulla credenza di spiriti e divinità della natura come:

Cernunnos, il Dio Cervo chiamato spesso anche Re Cervo;

Morrigan, la dea della guerra rappresentata sotto le spoglie di un corvo; lo stesso Piccolo-popolo

Lugh, il Dio della luce e di tutte le arti.

Arkan Sonney, è un piccolo maialino e si dice che chi lo acchiappi trovi fortuna per tutta la vita. Sono anche conosciuti con il nome di Lucky piggy.

Banshee, al contrario di come spesso si pensa la banshee è un folletto socievole, femminile, divenuto però solitario per i dolori patiti.

Leanhuan Shee, è un bellissimo spirito femminile Irlandese che vaga alla ricerca dell'amore degli uomini.

Tra le divinità druidiche ci sono anche animali come il lupo e il serpente, che non sono vere e proprie divinità ma incarnano simbolicamente degli spiriti della natura. Il serpente ad esempio è lo spirito della medicina, della salute, del mistero, della magia, ad esso si attribuisce conoscenze e saggezza.

Druidismo o Celtismo è una religione neopagana nata come continuazione dell'antica religione celtica. Il Druidismo è una religione che promuove pace, preservazione e armonia della e con la natura. Negli ultimi anni sta riscuotendo particolare successo, attirando soprattutto le nuove generazioni.

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Molti si convertono al Druidismo o ad altre religioni neopagane per la semplicità e la spontaneità dei loro insegnamenti che si basano sulla pace, il rispetto e l'armonia con la natura. Per il Druidismo inoltre, l'essere umano non è superiore al resto del mondo e degli esseri viventi, ma fa parte di esso.

Con l'arrivo del Cristianesimo, divinità e simboli delle religioni pagane vengono assimilati per essere convertiti in demoni infernali e simboli satanici. Il serpente è infatti uno dei principali simboli maligni cristiani.

L'immagine della Madonna che calpesta la testa del serpente è esemplare della trasformazione avvenuta.

Per divinità che non è stato possibile cancellare sono stati creati santi, primo tra tutti San Patrizio, nonché l'uso del trifoglio che si fa nella sua leggenda: originariamente usato per la triplice immagine della Dea diviene simbolo della Trinità.

Raffigurazione della DeaLa Luna spicca come ricorrente elemento iconografico.

La Wicca è la più diffusa e influente delle religioni appartenenti al movimento neopagano.

La religione wiccan viene presentata per la prima volta nel 1954 attraverso gli scritti di un ex

funzionario pubblico britannico esperto di esoterismo, Gerard Gardner. Questi afferma

di essere stato iniziato ad una vecchia tradizione misterica, continuazione dei culti esoterici

medievali etichettati come stregoneria, a loro volta imperniati sulle religioni pagane dell'Europa

antica. Wicca non è sinonimo di Paganesimo, così come Wiccan non è sinonimo di pagano né

tantomeno è correlabile alle branche recenti del paganesimo, come il Druismo e l’’Odinismo. Un altro nome attraverso cui viene indicata la Wicca è quello di Vecchia Religione, denominazione

ereditata quasi certamente dalla Stregherai e tutt'oggi condivisa sia da questa tradizione sia dalla

Wicca. Tale definizione è radicata nella

convinzione sull'effettiva veridicità delle teorie di un ipotetico culto ancestrale della Dea Madre —

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universalmente diffuso nell'Europa Preistorica e trasversalmente nelle spiritualità pagane del

mondo classico — da cui la religione wiccan discenderebbe.

Rappresentazione dell'unione mistica tra i due principi del cosmo;il Dio e la Dea base di tutte le cose.

Nelle antiche mitologie indo-europee, varie dee o semidee costituivano triadi.

Le greche Moire, Grazie, Parche e le nordiche Norne erano singole divinità ma raffigurate in tre

aspetti (la greca Ecate).

Origini del concetto di Dea Triplice

L'emblema di Diana di Poitiers1 - costituito da tre mezzelune intrecciate - è un altro simbolo, meno

comune, adottato dai neopagani per rappresentare la Dea Triplice. Il termine Dea Triplice viene popolarizzato da Robert Graves che constata come l'archetipo delle

triadi di dee ricorra frequentemente nelle mitologie indo-europee.

Il tema della trinità della Dea è studiato nelle opere di Jane Ellen Harrison, A.B. Cook, George

Thomson, Sir James Frazer, Robert Briffault e Jack Lindsay per nominarne alcuni. La Dea triplice

1 Diana di Poitiers (Anet, settembre 1499 – 26 aprile 1566 ) è stata una nobildonna francese, contessa di Saint-Vallier, duchessa d’Etampes, duchessa del Valentinois, la favorita del Re di Francia Enrico II. Era celebre per la sua bellezza e il suo ruolo influente nella politica del re.

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è anche studiata da psicologi studiosi degli archetipi come Károly Kerényi, e Carl Jung. Uno degli

studiosi che ha trattato il tema più di recente è l'archeologo Marija Gimbutas i cui studi sull'Europa

antica hanno aperto nuove strade di ricerca.

I testi completi pubblicati di antichi papiri dell'Egitto greco-romano sono esempi esaustivi del fatto che il concetto della Dea triplice sia stato ampiamente diffuso nelle culture antiche.

Nei testi la Selene a tre facce è identificata con le tre Grazie, le tre Moire e le tre Parche; spesso ci

si rivolgeva ad essa con i titoli di parecchie dee:

« ... loro ti chiamano Ecate,dea dai molti nomi, Mene,Artemide lanciatrice di dardi, Persefone,Signora dei cervi, luce nel buio, dea dai tre suoni,dea dalle tre teste, Selene dalle tre voci,dea dal triplo volto, dea dal triplo collo,dea delle tre vie, che tiene,la fiamma perpetua in tre contenitori,tu che offri la tripla via,e che regni sulla tripla decade. »

All'interno del poema è ampiamente descritta come giovane, portatrice di luce ... figlia di Morn,

come madre di tutto, prima ancora che gli dèi nascessero, e come dea del buio, portatrice di

quiete. È esaltata in qualità di divinità suprema del tempo e dello spazio:

« ...madre degli dèi,degli uomini, della natura, madre di tutte le cose......l'Originetu sei la fine, e tu sola regni su tutto.per tutte le cose che provengono da te, e che agiscono in te...tutte le cose, giungono alla loro Fine. »

Il papiro rivela elementi dell'Egitto greco-romano non solo presi dalla tradizione classica egiziana

ma anche dalle culture della Mesopotamia e del Medio Oriente in generale. La triplicità della Dea,

in questi testi, è uno dei tempi più ricorrenti.

L'immagine della Dea ha anche influenzato la poesia inglese. Da un'opera di John Skelton:

« Diana in the leavës green,Luna that so bright doth sheen,Persephone in Hell. »

La Dea triplice è inoltre un elemento caratterizzante dello Shaktismo, una forma di Induismo in cui

le tre entità di Sarasvati, Lakshmi e Kali e le loro sotto-manifestazioni sono tre aspetti di Maha Devi (La Grande Dea) e in questo caso esse vengono chiamate MahaSarasvati, MahaLaksmi, e

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MahaKali. Nel festival annuale di Navarati, raffigurazioni della Dea triplice vengono portate in

processione nelle città indiane e nelle comunità induiste del resto del mondo.

Il tema della triade appare anche nelle tradizioni folkloristiche medievali cristiane — in particolare

con il culto delle Tre Marie.

In una delle ironie della storia religiosa, un santo rinunciò alla sua religione d'origine per convertirsi

al culto di una dea che poteva essere una e tre allo stesso tempo. Questo è riportato nel suo

secondo libro, La città di Dio. Con il tempo scrisse un terzo libro, Sulla trinità, e divenne un fermo

sostenitore della natura triplice della divinità.

Descrizioni delle relazioni tra la religione greca e la Dea triplice possono essere trovate in molti dei

miti tradotti e pubblicati da Robert Graves nei libri I miti greci, La dea bianca e Mammon e la dea nera.

Nell'introduzione del libro che scrisse con Idries Shah, intitolato I Sufi, offre una traduzione del

mistico sufista Ibn Arabi2 (1165-1240) che illustra come il concetto della Dea triplice era un tema

ricorrente anche tra i Sufi medievali:

« Io seguo la religione dell'Amore,Adesso vengo spesso nominatoora monaco cristiano,ora saggio persiano. »

« La mia appartenenza è il tre,tre che può essere anche uno;molte cose appaiono come tre,ma non sono più di una cosa sola. »

« Non datele nome,Come se servisse a limitarla ad una cosa solaalla vista della qualetutte le limitazioni si confondono. »

In questo libro, Robert Graves e Idries Shah analizzano le influenze che il Cabalismo medievale e

le credenze pre-islamiche hanno sulle sopravvissute tradizioni pre-cristiane dell'Europa.

2 Abū ʿAbd Allāh Muḥammad ibn ʿAlī ibn Muḥammad ibn al-ʿArabī al-Ḥātimī al-Ṭāʾī (in arabo عبد أبوالطائي الحاتمي العربي بن محمد بن علي بن محمد (الله

Nacque nel 1165 a Murcia, in al-Andalus, e morì nel 1240 a Damasco. Fu un filosofo e mistico e scrisse più di 846 opere. La sua opera ha influenzato moltissimi intellettuali e mistici sia orientali che occidentali. Si pensa che abbia influenzato anche Dante e San Giovanni della Croce.

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Nell'Arabia pre-islamica un gruppo di tre dee chiamate le tre figlie di Allah era costituito da: al-Lat (la dea), Uzza (il potere) la giovane, e Manat (il fato) la vecchia. Erano conosciute collettivamente

anche come le tre gru.

Il nome al-Lat è conosciuto attraverso le opere di Erodoto in cui è presente nella versione Alilat.

Ma l'archetipo della Dea triplice non si limita alle culture indo-europee, e può essere rintracciato anche in culture africane e asiatiche.

Immagini di dee triplici possono essere trovate anche in raffigurazioni apolitiche. Le stanze del

santuario di Catal Huyuk datate 7500 anni avanti Cristo contengono bassorilievi di una dea in tre

forme.

I tre aspetti della Dea

La triplice spirale druidista, altro simbolo per rappresentare i tre aspetti.

I fedeli alla religione Wiccan e altre correnti neopagane credono che, tempo prima della diffusione

dei culti monoteistici, la Dea triplice impersonava i tre aspetti della Dea Madre (o Madre Natura, o

Grande Dea), spesso erroneamente identificata con Gaia, la Madre Terra (la Magna Mater

romana).

I tre aspetti della Dea sono la Giovane, pura e rappresentazione del nuovo inizio; la Madre, generatrice della vita, disponibile e compassionevole; e la Vecchia Saggia, rappresentante il

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culmine della vita nella totale conoscenza ed esperienza. Questi aspetti rappresenterebbero il ciclo della vita: nascita, vita e morte, che si riproducono all'infinito in un cerchio continuo.

In alcune religioni neopagane che hanno inglobato il concetto della Dea triplice spesso i tre ruoli vengono assegnati a varie dee.

La Giovane

La giovane rappresenta la nascita, lo sviluppo futuro, l'incanto, il principio femminile. Dee identificate in questo aspetto possono essere: Brigid, Nimue, Durga, Verdandi, e altre.

La Madre

Rappresentante la fertilità, l'equilibrio, il potere, la misericordia. Può essere identificata con: Aa, Ambika, Cerere, Astante, Lakshmi, Urd, e altre.

La Vecchia

Rappresentante la saggezza, il riposo e la compassione può essere identificata con: Hel, Maman Brigitte, Oya Yansa, Skuld, Sedna, Kali, e altre.

Iconografia

Sempre il simbolo wiccano, ma con i colori simbolici.

In La dea bianca, Graves scrive:

« La Luna nuova è la dea bianca della nascita e della crescita;la Luna piena, la dea rossa dell'amore e della battaglia;la Luna calante, la dea nera della morte. »

Graves identifica il triplice aspetto della Dea con le tre fasi della Luna.

Un errore frequente nelle scritture neopagane è la confusione della Luna nuova con la Luna

crescente. Il termine Luna nuova si riferisce alla fase della Luna in cui essa è totalmente oscurata

e non può essere confuso con la Luna crescente, la fase in cui avviene il passaggio da Luna

nuova a Luna piena.

Dee del destino

Un altro archetipo inter-culturale è quello delle tre dee del fato. Nella mitologia greca erano le

Moiren, in quella nordica le Norne. La manifestazione della dea del fato in forme multiple è anche

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attestata in un papiro dell'antico Egitto, in cui si descrive la nascita di un figlio come una grazia

della Sette Hathor.

Nel folklore greco, è ancora diffusa la pratica di preparare, la sesta notte dopo la nascita, un tavolo

basso con cibo e bevande per invitare il destino ad entrare nella casa per benedire il neonato. Una

cerimonia simile è praticata in India, dove la dea che visita la casa è Sashthi (la sesta). Persino nei

racconti scandinavi ricorre la visita delle Norne in caso di nascite. Le raffigurazioni delle dee del

fato sono spesso donne in vesti di sacerdotesse.

L'Enneade

Un'espansione del concetto di triade è l'enneade, ovvero un gruppo di nove aspetti o nove dee,

come ad esempio le nove Muse. Un'enneade può essere anche costituita dall'unione di tre triadi,

come le Moire, le Grazie e le Parche.

Moire

Raffigurazione delle Moire mentre filano

« Notte poi partorì l'odioso Moros e Ker nerae Thanatos (morte, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;e le Esperidi che, al di là dell'inclito Oceano, dei pomiaurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortaliquando son nati danno da avere il bene e il male,che di uomini e dei i delitti perseguono;né mai le dee cessano dalla terribile iraprima d'aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato. »(Teogonia di Esiodo)

Le Moire è il nome dato alle figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke. Ad esse era connessa l'esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile.

Erano tre: Cloto, che filava lo stame della vita; Lachesi che lo svolgeva sul fuso e Atropo che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente

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come quella della vita degli uomini. A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.

Si tratta di tre donne dall'anziano aspetto che servono il regno dei morti, l'Ade. Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci. Pindaro, in epoca più tarda, le indicò invece come le ancelle di Temi, al suo matrimonio con Zeus. Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti. Si dice che avessero un solo occhio che usassero a turno.

Le Grazie sono personaggi della mitologia greca. Erano figlie di Eurinome (o di Egle) e Zeus. Secondo Esiodo, le grazie sono:

Aglaia lo splendore

Eufrosine la gioia

Talia la prosperità

Nella letteratura, Ugo Foscolo canta la loro figura nel suo carme intitolato, appunto, Le Grazie.

Le Grazie, protette da Mercurio, sono spesso definite anche Càriti e rappresentano, nella figurazione classica, la perfezione a cui l'uomo deve tendere nonché le tre qualità che una donna dovrebbe avere.

Le Tre Grazie nella Primavera del Botticelli 1478

ISHTAR

Come spesso accade i numerosi miti riguardanti Ishtar sono spesso in contrasto tra loro.In alcuni

racconti è figlia di Sin, dio della luna, e sorella di Shamash, dio del sole mentre in altri è descritta

come figlia di Anu, dio del cielo.

In tutti i racconti si mantiene comunque l'associazione della dea con il pianeta Venere che le

comporta l'appellativo di Signora della Luce Risplendente, e l'iconografia della dea è associata

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alla stella ad otto punte (un simbolo che si ritrova anche nell'iconografia cristiana correlato alla

Vergine Maria).

Il simbolo della stella ad otto punte rievoca il fatto che il pianeta Venere ripercorre le stesse fasi in

corrispondenza di un ciclo di 8 anni terrestri, cosa già ampiamente conosciuta agli

astronomi/astrologi sumeri.

Nell'Epopea di Gilgamesh3 Ishtar rappresenta l'amore sensuale e viene descritta come

innamorata via via del pastore Tammuz poi di un uccello, di un leone, di un cavallo, di un

giardiniere ed in ultimo di Gilgamesh stesso che la rifiuta a causa della crudeltà della dea che

aveva condannato ad un triste destino tutti i suoi precedenti amanti. La morte di

Tammuz è anche descritta nell'opera Discesa di Ištar negli Inferi4 dove la dea, dopo essere

discesa nell'oltretomba ed essere stata giudicata e giustiziata, rinasce scambiando il proprio corpo

con quello dello sposo Tammuz.

Diffusione del culto in Egitto

Il culto di Ishtar si diffuse anche in Egitto durante la XVIII dinastia5.

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Secondo la tradizione il culto potrebbe essere stato importato in Egitto da Amenhotep III con la

richiesta fatta a Tushratta, re di Mitanni, di poter avere la statua della dea conservata a Ninive allo

scopo di curare una malattia del sovrano egizio.

Nell'iconografia egizia la dea è talvolta raffigurata nell'atto di allattare.

3 L'Epopea di Gilgamesh è un poema epico assiro-babilonese, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla che risale a circa 3000 anni fa. L'Epopea di Gilgamesh, raccoglie tutti quegli scritti che hanno come oggetto le imprese del mitico re di Uruk ed è da considerarsi il più importante dei testi mitologici babilonesi e assiri pervenuti fino a noi.

4 La Discesa di Ištar negli Inferi è un racconto della mitologia mesopotamica che narra la discesa della dea Ištar nell'oltretomba. Ci è pervenuto in diverse redazioni in lingua accadica, principalmente da siti archeologici assiri di Assur e Ninive, in molti casi frammentarie e datate a partire dalla fine del II millennio a.C.5 La XVIII dinastia si inquadra nel periodo della storia dell'antico Egitto detto Nuovo Regno e copre un arco di tempo dal 1530 a.C. al 1290 a.C. (± 30 anni).

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Sincretismo con altre divinità

La figura di Ishtar si trova connessa con molte altre divinità del Medio e Vicino Oriente come

Anath, Anutit, Aruru, Asdar, Asherat, Astarte, Ashtoreth, Athtar, Belit, Inanna, Innimi, Kiliti, Mash,

Meni, Nana, Ninhursag, Ninlil e Nintud.

Da questo fatto deriva anche la grande quantità di simboli diversi associati alla dea.

Essendo in origine una Dea Madre talvolta Ishtar è raffigurata nell'atto di allattare.

Ishtar (italianizzazione Istar) è la principale divinità femminile del pantheon babilonese e assiro, e

il suo culto si estese dai paesi mesopotamici a quelli circonvicini.

Suoi attributi erano l'amore, sia sacro che profano e la guerra; nel culto astrale s'identificava col

pianeta Venere. Assimilata alla sumerica Inanna, dea della terra madre feconda, divenne

protagonista di numerosi poemi epico-mitologici, tra cui quello della sua discesa agli Inferi. E'

questa una bella storia che ricorda l'alternarsi delle stagioni sulla terra ed il perpetuo ciclo della

vita:

Nell’ Epopea di Gilgamesh, Ishtar scende agli Inferi per strappare loro il suo amato Tammuz; e

davanti all'ingresso del mondo delle ombre minaccia, per poter entrare, le più gravi calamità e

rovine, tanto che la sorella, dea dei morti, dà ordine di farla passare.

Impone tuttavia che tutti gli ornamenti con i quali si presentava sulla terra le vengano tolti, poiché

nel mondo degli Inferi si può accedere soltanto se nudi e senza armi di difesa ed offesa: il

guardiano la priva della corona che ha sul capo, poi degli orecchini, della collana di perle e dello

splendente pettorale d'oro e di pietre preziose, infine le toglie la cintura che costituisce il simbolo

del perpetuarsi della vita; per ultimi gli anelli e l'abito.

Mentre Ishtar si trova negli Inferi, la terra isterilisce, non produce frutti, gli animali non procreano e

tutto è desolazione. La dea degli Inferi, per sconfiggere Isthar, le manda contro ogni genere di

spiriti malefici recanti malattie e distruzione, ma Ishtar è anche dea della guerra: nulla la sorella

può contro di lei.

Gli dei, comunque, non vogliono che Ishtar resti prigioniera degli Inferi e la dea dei morti è

costretta ad accettare le condizioni che le vengono imposte: dopo aver chiamato a raccolta il

tribunale infernale, restituisce la vita a Ishtar e le concede di riportare sulla terra Tammuz; le rende

tutti gli ornamenti mentre a Tammuz viene dato un flauto di lapislazzuli, perché possa esprimere il

tripudio del ritorno alla vita.

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INANNAInanna è la dea sumerica della Terra Madre e il suo culto ebbe larghissima diffusione presso i

popoli del Mediterraneo orientale.

La mitologia la mostra protagonista di varie vicende, tra le quali la principale è quella della sua

discesa agli inferi; qui essa è uccisa dalla sorella Ereshkigal; ma gli dei intervengono e la

restituiscono alla vita.

Il racconto costituisce la concretizzazione letteraria del ciclo stagionale, in cui Inanna si lega a

Dumuzi, il dio che muore e risorge, a rappresentare le fine e la ripresa annua delle stagioni.

Nel culto astrale Inanna è identificata con Venere; nelle rappresentazioni artistiche viene

simboleggiata in un fascio di canne, che termina in una voluta, da cui pende una banderuola.

Quando i Babilonesi e gli Assiri subentrarono in Mesopotamia ai Sumeri, identificarono con Inanna

la loro dea Ishtar.

ISIDE

Iside o Isis o Isi (in lingua egiziana Aset cioè trono), originaria del Delta, è la dea della maternità e

della fertilità nella mitologia egizia. Divinità in origine celeste, associata alla regalità (il suo

geroglifico include la parola "trono"), faceva parte dell'Enneade6.

6 Con Enneade si intende un gruppo di nove dei che stanno alla base della cosmogonia egizia. Nella religione egizia si distingue una Grande Enneade, composta da Atum e da quattro coppie di dei: Shu e Tefnut, Geb e Nut, Osiride e Iside e Seth e Nefti; ed una Piccola Enneade, nella quale, oltre ai precedenti, o talvolta in sostituzione, sono presenti Anubi, Horo, Thot e Maat.Il centro di culto originario dell'Enneade fu a Eliopoli (dal greco: città del sole), uno dei maggiori luoghi di culto di tutto l'Egitto.

Il mito della creazione legato all'enneade narra che:in principio vi era il Nun, il caos incontrollato, elemento liquido e turbolento, il non creato. Dal Nun emerse una collinetta dalla quale nasce Atum (visto come Atum-Ra). Quest'ultimo sputando o masturbandosi diede vita a Shu (l'aria) e Tefnut (l'umido), i quali a loro volta generarono Geb (la terra) e Nut (il cielo). Il mito racconta che questi ultimi se ne stavano sempre uniti e impedivano alla vita di germogliare, così Atum ordinò al loro padre, Shu, di dividerli. Con le mani Shu spinse Nut verso l'alto facendole formare la volta celeste e con i piedi calpestò Geb tenendolo sdraiato. In questo modo l'aria separò il cielo dalla terra. Geb e Nut, a loro volta, generarono quattro figli: Osiride, Iside, Nefti e Seth.

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Figlia di Nut e Geb, sorella di Nefti, Seth ed Osiride, di cui fu anche sposa e dal quale ebbe Horo.

Secondo il mito, raccontato nei Testi delle Piramidi e da Plutarco nel suo Iside ed Osiride, con

l'aiuto della sorella Nefti assemblò le parti del corpo di Osiride, riportandolo alla vita. Per questo era considerata una divinità associata alla magia ed all'oltretomba.

Tempio di Iside - Aswan – Egitto

Iside, fu una delle divinità più famose di tutto il bacino del Mar Mediterraneo. Dall'epoca tolemaica

la venerazione per la dea, simbolo di sposa e madre e protettrice dei naviganti, si diffuse nel

mondo ellenistico, fino a Roma. Da qui il suo culto, diventato misterico per i legami della dea con il

mondo ultraterreno e nonostante all'inizio fosse ostacolato, dilagò in tutto l'impero romano.

Nel sincretismo7 tipico della religione romana Iside venne assimilata con molte divinità femminili

locali, quali Cibele, Demetra e Cerere, e molti templi furono innalzati in suo onore in Europa, Africa

ed Asia. Il più famoso fu quello di File, l'ultimo tempio pagano ad essere chiuso nel VI secolo.

Durante il suo sviluppo nell' Impero il culto di Iside si contraddistinse per processioni e feste in

onore della dea molto festose e ricche.

7 Sincretismo: Termine di derivazione sumero-accadica stà a significare unione e sovrapposizione di dogmi e credeze.

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Le sacerdotesse della dea vestivano solitamente in bianco e si adornavano di fiori; a Roma,

probabilmente a frutto dell' influenza del culto autoctono di Vesta, dedicavano talvolta la loro

castità alla dea Iside. La decadenza nel Mediterraneo del culto di Iside fu per lo più determinata da

nuove religioni misteriche quali lo Zoroastrismo e lo stesso Cristianesimo.

Inno a Iside Rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto; risalente al III-IV secolo a.C.:

Perché io sono la prima e l’ ultimaIo sono la venerata e la disprezzata,Io sono la prostituta e la santa,Io sono la sposa e la vergine,Io sono la madre e la figlia,Io sono le braccia di mia madre,Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli,Io sono la donna sposata e la nubile,Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,Io sono la consolazione dei dolori del parto.Io sono la sposa e lo sposo,E fu il mio uomo che nutrì la mia fertilità,Io sono la Madre di mio padre,Io sono la sorella di mio marito,Ed egli è il mio figliolo respinto.Rispettatemi sempre,Poiché io sono la Scandalosa e la Magnifica.

Iside e la Vergine Esistono tratti comuni nell'iconografia relativa a queste due figure, ed è ragionevole supporre che

già l'arte paleocristiana si sia ispirata alla raffigurazione classica di Iside per rappresentare la figura

di Maria: la comunanza in vari dipinti si ritrova per esempio nei tratti delicati ed eterei, nel tenere

entrambe in braccio un infante, che è Gesù Bambino nel caso della Madonna ed Horus per Iside.

Ancora, con il primo vero affermarsi del Cristianesimo nell'Impero Romano, sotto imperatori come

Costantino e Teodosio e con il conseguente rifiuto e persecuzione delle altre religioni a Roma e nei

domini,

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il fatto che vari templi consacrati ad Iside siano stati riadattati e consacrati come basiliche dedicate alla Vergine, così come a volte modificati i dipinti e le opere raffiguranti la dea egiziana,

ha sicuramente aiutato l'accomunarsi delle due figure a livello iconografico.

7 VELI DI ISIDE LA NERAdi Selene Ballerini8

Le valenze occulte della Dea-Madre dell'antico Egitto. Punteremo la nostra attenzione nel tentativo di togliere i 7 successivi veli - un numero simbolico - che hanno ricoperto con il tempo l’identità originaria di Iside e carpirne così l’essenza più intima e radicale.È ormai ipotesi accreditata che nel 2.450 a.C., quando cioè la Grande Piramide sarebbe stata costruita (anche se a parere di qualcuno esisteva già), i due condotti sud dell’edificio - quelli che partono dalla Camera del Re e dalla Camera della Regina - puntassero rispettivamente verso la costellazione di Orione e la stella Sirio, che erano identificate nell’antico Egitto con Osiride e Iside9.

Se così fosse, la colossale costruzione veniva forse percepita dallo spirito egizio come un luogo di unione e fecondità, dove la vita del Nilo - le cui acque, s’ipotizza, furono fatte confluire proprio lì - si rinnovava tramite un processo di rigenerazione simbolica di Osiride (nel suo aspetto di Dio morente e risorto) a contatto con la Dea10.

E proprio su uno dei poli di questo scenario mitico, Iside, punteremo qui la nostra attenzione, nel tentativo di togliere i 7 successivi veli (un numero simbolico, ovviamente) che ne hanno ricoperto con il tempo l’identità originaria - facendone una Dea stratificata e multiforme - e carpirne, così, l’essenza più intima e radicale.Il primo velo che toglieremo a Iside è appunto quello della sua versatile adattabilità, che l’ha resa plasmabile in differenti contesti religiosi, misterici e sapienziali. E per farlo partiremo dalla celeberrima descrizione che nell’XI Libro dell’"Asino d’oro" ne ha data Lucio Apuleio.

8 Selene Ballerini, giornalista, ricercatrice dell’associazione "Akkademia Pansophica", partecipe di "Progetto Elissa" per lo studio delle tradizioni sibilline, sceneggiatrice della pièce teatrale Crezia su un caso di Stregoneria del XVI secolo e autrice del libro "Il Corpo della Dea", si occupa da anni di Sacralità femminile e - in campo professionale - di letteratura rivolta all’infanzia e all’adolescenza.

9 Iside (il cui nome egizio era Aset) è proprio figlia del Dio-Terra (Geb) e della Dea-Cielo (Nut).

10 Scrive Plutarco nel suo "Iside e Osiride": "La morte di Osiride corrisponde, secondo il mito egiziano, al 17 del mese, quando cioè il plenilunio si compie e risulta perfettamente visibile. [...] Gli anni della vita di Osiride, o [...] quelli del suo regno, furono 28: tale infatti è il numero delle lunazioni e anche quello delle giornate necessarie perché il ciclo lunare si compia. Il tronco che viene tagliato nel rito detto ‘Sepoltura di Osiride’ serve a costruire un’urna funeraria a forma di falce di luna: questo perché la luna, quando si avvicina al sole, prende l’aspetto di una falce fino a diventare invisibile" (cap. 42).

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La Dea Iside di Hathor ad Abu Simbel: rilievo sul terzo pilastro a destra

PRIMO VELO: LA DEA UNIVERSALE"Avevo appena chiuso gli occhi, quand’ecco che sulla superficie del mare apparve una divina immagine, un volto degno d’essere venerato dagli stessi dei.Poi la luminosa parvenza sorse a poco a poco con tutto il corpo fuori dalle acque e a me parve di vederla, ferma, dinanzi a me.

Mi proverò a descrivervi il suo aspetto mirabile [...]Anzitutto i capelli, folti e lunghi, appena ondulati, che mollemente le cascavano sul collo divino.Una corona di fiori variopinti le cingeva in alto la testa e proprio in mezzo alla fronte un disco piatto, a guisa di specchio ma che rappresentava la luna, mandava candidi barbagli di luce.

Ai lati, a destra e a sinistra, lo stringevano le spire irte e guizzanti di serpenti e, in alto, era sormontato da spighe di grano.

Indossava una tunica di bisso leggero dal color cangiante [...] ma [...] soprattutto confondeva il mio sguardo [...] la sopravveste nerissima, dai cupi riflessi, che - girandole intorno alla vita - le risaliva su per il fianco destro fino alla spalla sinistra e di qui stretta da un nodo le ricadeva sul davanti in un ampio drappeggio ondeggiante [...]

Quei lembi e tutto il tessuto erano disseminati di stelle scintillanti e in mezzo a esse una luna piena diffondeva la sua vivida luce: lungo tutta la balza di questo magnifico manto, per quanto esso era ampio, correva un’ininterrotta ghirlanda di fiori e di frutti d’ogni specie.Gli attributi della dea erano poi i più diversi.Nella destra recava, infatti, un sistro di bronzo [...]

Dalla mano sinistra, invece, pendeva un vasello d’oro a forma di barca dal manico ornato da un’aspide con la testa ritta e il collo rigonfio.Ai suoi piedi divini calzava sandali intessuti con foglie di palma, il simbolo della vittoria.

Tale e così maestosa [...] si degnò di parlarmi la dea.

Eccomi o Lucio, [...] io la madre della natura, la signora di tutti gli elementi, l’origine e il principio di tutte le età, la più grande di tutte le divinità, la regina dei morti, la prima dei celesti, colei che in sé riassume l’immagine di tutti gli dei e di tutte le dee, che con il suo cenno governa le altezze

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luminose del cielo, i salubri venti del mare, i desolati silenzi dell’oltretomba e la cui potenza, unica, tutto il mondo onora sotto varie forme, con diversi riti e differenti nomi. Per questo i Frigi [...] mi chiamano Pessinunzia Madre degli dei, gli autoctoni attici Minerva Cecropia, i Ciprioti circondati dal mare Venere Pafia, i Cretesi arcieri famosi Diana Dittinna, i Siculi trilingui Proserpina Stigia, gli antichi abitatori di Eleusi Cerere Attica, altri Giunone, altri Bellona, altri Ecate, altri ancora Ramnusia, ma [gli] Etiopi [...] e gli Egizi, così grandi per la loro antica sapienza [...], mi chiamano con il mio vero nome: Iside Regina."

Siamo nel II secolo d.C., in piena epoca alessandrina e la Dea egizia ha ormai acquisito quei tratti universalistici che permetteranno al suo culto di sopravvivere ancora a lungo sotto le più svariate maschere. Lo stesso Apuleio era iniziato ai Misteri di Iside, una forma cultuale ellenizzata che s’ispirava ai poteri rivitalizzanti della Dea. Lo scrittore propone Iside come fonte originaria e prototipo di tutte le Dee, quasi che nella "Regina" egizia si concentrasse ogni possibile aspetto della Femminilità, quello oscuro di morte e guerra al pari di quelli luminosi dell’amore, della maternità, della magia, della virtù terapeutica.

In particolare Iside fu sovrapposta in una quasi assoluta identità di alcuni episodi mitici (non abbiamo agio di ripercorrerli ma chiunque può procedere a rapidi confronti su un qualsiasi testo divulgativo) con la greca Demetra, Dea del grano, tema su cui peraltro avremo modo di tornare e già accennato nella connotazione iconografica fornita da Apuleio, dove appunto la Iside-"Cerere Attica" è raffigurata con le spighe di grano che sormontano il disco lunare. Inoltre Iside era chiamata "la Nera" proprio come Demetra (nel mondo antico era il colore della fertilità) e tale caratteristica sarà forse il principale veicolo del proliferare di Madonne Nere in Europa, tutte - non a caso - dotate di virtù curative.

Dea-Uccello (le sono sacri l’avvoltoio, l’anatra, la rondine) e Dea-Serpente come la Grande Madre della preistoria europea, Dea-Vacca in quanto Signora della Luna e sposa di Osiride-Toro, e ancora Dea del mare e della navigazione (funzione poi ereditata in epoca cristiana da Maria), Iside è stata, e per molti versi è ancora, un personaggio di forte rilievo in ambiti magici e alchemici: basti pensare - ma è solo un esempio - ai documenti ermetici dei primi secoli d.C., come "Kore Kosmou", "Fanciulla del Cosmo", o l’alchemico "Iside la profetessa a suo figlio Horo", nei quali viene effigiata quale detentrice di Sapienza.

Il culto di Iside ebbe straordinaria diffusione nel mondo ellenistico-romano e ancora il suo mito fu recuperato nel Rinascimento, che la sovrappose anche alla Dea Fortuna.Ritroviamo Iside perfino nel secolo dei lumi, quando certi studiosi francesi, e poi Napoleone con loro, dettero credito alla leggenda che voleva la Dea fondatrice di Parigi: argomento per una lettura approfondita del quale rimandiamo al celebre saggio "La ricerca di Iside" di Jurgis Baltrusaitis, dove sono appunto analizzati i molteplici modi con cui l’Egitto ha continuato ad affascinare per secoli l’Occidente, talora sotto forma di una vera egittomania.

SECONDO VELO: LA DEA MADRE

Un ulteriore filone di persistenza dell’immaginario religioso di Iside nella cultura europea è quello - a cui si è già fatto cenno - del sovrapporsi di elementi cultuali mariani su precedenti peculiarità isidiane.

E non solo per quanto riguarda la tradizione delle Madonne Nere, bensì soprattutto per l’immagine egizia di Iside che seduta in trono allatta il Figlio Horus, sorta di prefigurazione iconografica della Vergine con Gesù. Inoltre le ali tese con cui Iside copre e protegge Osiride e i defunti sembrano un modello dei grandi manti con cui molte Madonne coprono e proteggono i santi e i fedeli.

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Iside nascosta tra i canneti del Nilo allatta il figlio Horus.

TERZO VELO: LA DEA LUNA

Il terzo velo è costituito dall’aspetto che più di ogni altro ha permesso a Iside di coincidere con varie altre Dee e che abbiamo rilevato anche nel ritratto apuleiano: il suo legame con la Luna. Legame che tuttavia assume connotati diversi da quelli cui siamo abituati se si pensa che nelle concezioni egizie la Luna era attinente non soltanto a Iside ma anche al suo sposo e fratello Osiride (10), il cui rapporto con la nostra Dea, articolato e complesso, sarà appunto il quarto e quinto velo che adesso solleveremo.

QUARTO VELO E QUINTO VELO: LA DEA SPOSA, CELESTE E TERRESTRE Ecco, io tua sorella ti amo più di tutto quanto in terra e tu non ami un’altra come ami tua sorella, certo non ami un’altra come ami tua sorella! [...]Procede da te il forte Orione nel cielo vespertino, quando i giorni vanno a riposo uno dopo l’altro!Ché sono io - all’approssimarsi del periodo di Sothis - che veglio su di lui.Questi frammenti tratti da un antico papiro conservato a Berlino in cui Iside si rivolge allo sposo, e che confermano l’identificazione di queste due Divinità con Sirio ("Sothis" in egizio) e Orione, mostrano l’intensità dell’amore che secondo il mito li legava.La leggenda - riportata anche da Plutarco (47-127 d.C.) - narra che Osiride fu prima ucciso e in

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seguito smembrato in 14 pezzi dal fratello Seth, che li gettò nei 7 bracci del Nilo. Iside andò alla ricerca dei pezzi per ricomporre il corpo dell’amato, ma ne trovò solo 13, perché il fallo era stato ingoiato dai pesci. Horus, il figlio di Osiride e Iside, vendicherà la morte del padre, che dal canto suo diventerà sovrano dell’oltretomba (o Duat), acquisendo peculiarità inferiche. D’ora in poi il Faraone identificherà se stesso con Horus finché sarà in vita e con Osiride una volta che avrà varcato la soglia dell’aldilà, trasformandosi in stella di Orione.

L’episodio dello smembramento collega Osiride a Dioniso, il Dio greco che secondo il mito fu appunto fatto a pezzi dai Titani, gli oscuri Figli di Madre Terra, e il cui animale sacro era parimenti il Toro, le cui corna segnalano la natura lunare di ambedue i personaggi.E qui occorre una digressione mitologica per comprendere l’intensa pregnanza e i significati di un topos delle religioni euroasiatiche: quello del "Dio morente", che risalirebbe addirittura alla preistoria.

Iniziamo la nostra deviazione proprio da Dioniso, alter ego di Osiride in terra greca insieme a Ade, Dio degli Inferi. Firmico Materno e Clemente d’Alessandria sono i primi a riferire il mito della sua morte. Secondo il loro racconto i Titani avrebbero fatto a pezzi il Dio ancora bambino, per poi cuocerne le membra e mangiarle. Ma Minerva riuscì a sottrarre il cuore e denunciò il crimine al padre Zeus, che diede la morte ai colpevoli.

Della sua rinascita né Firmico né Clemente parlano e non ne parlerà il cristiano Arnobio, per non accomunare un Dio pagano al Cristo nel miracolo della vittoria sulla morte. Ma quando fra IV e V secolo d.C. rifiorirono le correnti orfiche il mito di Dioniso si consolidò proprio sulla resurrezione, il fulcro più attivo nelle aspirazioni soteriologiche dei Misteri orfici.Evidenti le corrispondenze con gli antichi culti orientali che in periodo ellenistico affluirono

Iside protegge Osiride assiso davanti a lei. Bronzo egizio (Torino, Museo Egizio)

nell’impero di Roma. Tali culti, le cui radici erano probabilmente mesopotamiche, avevano come tema comune proprio il rito di morte e resurrezione di un Dio, motivo sia naturistico - l’alternarsi delle stagioni - sia sviluppato successivamente in senso animistico o spirituale, come esemplificazione del percorso dell’anima immortale.

Forse il più diffuso in tarda epoca ellenistica è il culto di Cibele e Attis, importato a Roma nel 204 a.C. Attis, Dio della vegetazione, moriva e risorgeva e all’equinozio di primavera la sua vicenda veniva commemorata da una festa scandita in vari momenti: lutto, processione funebre, sepoltura e resurrezione.

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Dalla Siria proveniva il culto di Adone, adorato, come Dioniso, soprattutto dalle donne. La sua amante era Astarte - Dea della bellezza e dell’amore - e come Attis anche Adone muore, risorge, viene pianto e infine festeggiato in riti primaverili.La vicenda di Cristo è analoga ai mitologemi degli Dei asiatici. Infatti Gesù, come Dioniso, nasce da una mortale e dona al la madre l’immortalità.

Compaiono inoltre in ambedue i miti il vino, la grotta con un asino, la culla, la persecuzione. E sia Cristo sia il Dioniso misterico assumono la figura di Salvatore e soffrono una Passione in quattro momenti, pur se disposti in differente ordine cronologico): uccisione, spezzettamento delle membra, cannibalismo e resurrezione.Vicende, periodi dell’anno implicati e molteplici altri indizi rivelano il risvolto naturalistico racchiuso in questi miti, che fa di Osiride - come di Attis, di Adone e degli altri Dei citati - una Divinità connessa alla natura e in particolare alle fasi lunari.

Del resto il mito egizio ce lo testimonia con palese evidenza: il corpo di Osiride viene diviso in 14 parti (numero dei giorni di un emiciclo lunare: il ciclo dura infatti 28 giorni), che sono gettati in 7 bracci del Nilo (numero ritmico delle fasi) e infine recuperati tutti fuorché uno (e il 13 è il numero di volte in cui nel corso di un anno la Luna effettua il suo giro completo).

Osiride rappresentava dunque tutto ciò che è fasico: Luna, stagioni, vegetazione, messi... e in Egitto ovviamente il sacro Nilo, la più potente esemplificazione della ciclicità, dato che ogni anno per nutrire la terra con il suo prezioso limo il fiume esondava così puntualmente che l’evento fu usato come momento d’avvio per il calendario.Ecco perché Apis, Dio-Toro con cui il fiume era identificato, fu assimilato con il tempo a Osiride, del quale condivideva appunto l’attitudine ai corsi e ricorsi che scandiscono i ritmi dell’esistenza.

In origine invece Osiride più che il fiume ne rappresentava l’esondazione, quindi il principio di fertilità, quasi che il limo simboleggiasse il suo sperma divino.Va pure detto che in siffatto scenario mitologico Iside recitava la parte della terra fecondata, quella che si adagiava intorno al fiume, mentre i suoi fratelli Seth il "Rosso" e Neftys, altra Coppia del pantheon egizio, alludevano Lui all’aridità solare del deserto - la "terra rossa" - e Lei ai terreni lontani dal Nilo e dunque quasi mai raggiunti dalle acque esondate.

Si narra in effetti che Neftys ottenne la sua unica gravidanza dopo un amplesso con il fratello equoreo Osiride, dal momento che Seth era sterile.Ma se Osiride è l’esondazione, Iside che ne ricompone il corpo risulta essere, oltre che terra fecondata, anche la Natura che organizza e determina, nella funzione di potenza primeva, il ciclo stagionale. Occorre inoltre ricordare che il primo giorno dell’anno era determinato in Egitto dal coincidere della levata eliaca di Sirio (quella cioè che precede immediatamente l’alba) e della piena del Nilo.

E poiché il fiume/Osiride era visualizzato zoomorficamente come un toro e Sirio/Iside in forma di vacca la loro contemporaneità sottintendeva anche un’unione sessuale, che in quanto tale era propiziatoria, tanto feconda quanto fecondante.

Un’altra spia dell’iperfunzione di Iside quale regolatrice della Natura ce l’offre l’episodio mitico in cui la Dea invece di uccidere Seth, catturato da Horus per vendicare Osiride, libera questo suo fratello rosso, incarnazione sia del principio di secchezza e aridità sia delle acque salate, e quindi non potabili, del mare.

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Il magnanimo gesto è interpretato da Plutarco - nel suo "Iside e Osiride" - come una decisione saggia della nostra Dea, che in tal modo, Signora di Ordine e Misura, "non volle annullare completamente il principio opposto all’umidità, ma intese unicamente ridurlo e poi lasciarlo di nuovo libero per mantenere la composizione dell’atmosfera", poiché "il cosmo non può essere perfetto se viene a mancare in esso l’elemento igneo".

Plutarco ci segnala anche che le vesti rituali dei culti isiaci erano "di color variegato: il suo ambito, infatti, è quello della materia, la quale si evolve in tutte le forme e a tutte le forme si presta, luce e oscurità, giorno e notte, fuoco e acqua, vita e morte, principio e vita".Iside, c’informa ancora lo studioso e sacerdote greco (che scriveva tra il I e il II secolo d.C., quindi in epoca tarda), personifica l’essenza della materia che porta in sé i semi di vita, la "casa cosmica" delle concezioni, il principio generativo che dissemina elementi germinali in ogni parte del mondo.E questo c’introduce al sesto, decisivo velo che dobbiamo alzare e che imprevedibilmente ci riporterà a Sirio...

SESTO VELO: LA DEA FERMENTOContinuando a dissertare con Plutarco merita rilevare come a suo parere gli egizi ritenessero la natura di Iside un "movimento animato e intelligente", concetto a cui alluderebbe anche il suo strumento musicale: il sistro.

Il termine "seistron" - spiega infatti l’erudito - deriva da "seiesthai", "scuotere", e significa che gli esseri viventi devono essere scossi e non possono mai smettere di muoversi, e se si trovano a essere [...] addormentati e intorpiditi bisogna svegliarli e incitarli.

Un’espressione dove par risuonare quel frammento in cui il filosofo Eraclito parlando della bevanda sacra alla Dea Demetra (che abbiamo visto fu identificata con Iside) scrisse: "kai o kiukeòv diìstatai mè kinoùmenos", ossia: "anche il ciceone si disfa se non viene agitato".

Il riferimento a Demetra è particolarmente significativo perché anche Iside fra le sue tante forme assunse quella di "campo di grano", quella cioè della matrice in cui il grano nasce e si sviluppa. E il grano, come tutti i vegetali, specie da coltura, altro non è che la trasposizione naturistica del mitologema del Dio morente, che appunto si sprofonda nelle regioni ctonie durante ogni inverno per poi rinascere a ogni primavera.

Sul tema, e proprio in base ai motivi che c’interessano, la mitoarcheologa Marija Gimbutas offre uno spunto illuminante nel suo pregevole saggio "Il linguaggio della Dea", dove scrive: "Il dio morente ha discendenti, nell’antica Grecia e nelle credenze popolari europee, nel dio del lino, o del grano, nato dalla terra sotto forma di lino, o grano, e che troviamo torturato, morente e risorto fuori dalla terra". E fa l’esempio di un vaso di steatite nera del XIV secolo a.C. in cui è ritratta "una danza di mietitori che portano spighe di grano agitando i sistri".

Legame forte e antico, dunque, quello fra campo di grano fecondato e sistro, un oggetto la cui precipua funzione sarebbe perciò di risvegliare, incitare, stanare le energie vitali assopite nel ventre di Madre Terra e condurle a resurrezione.

E giunge allora a proposito un’altra interessante citazione, tratta stavolta dalla monumentale indagine antropologica di Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend "Il mulino di Amleto", laddove i due storici della scienza ricordano che Istar - corrispondente assiro-babilonese di Iside - era la Dea che "sommuoveva" l’Apsu (le "acque dolci" primeve) davanti a Ea, il Dio dell’acqua.

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Nell’"Avesta" - continuano i due ricercatori - si dice che Sirio "fa sì che il lago ribolla [...] che fermenti [...] che rifluisca", mentre il romano Plinio assicura che "il mare intero è consapevole del sorgere di questa stella, come si vede nei Dardanelli, ove appunto le alghe e i pesci vengono a galla e ogni cosa vien portata su dal fondo".

E Plinio aggiunge che quando Sirio sorge "il vino nelle cantine si agita e le acque stagnanti si muovono", tutti fenomeni che peraltro il mondo antico associava alla sfera femminile, con forte riferimento alla Luna, alle sue fasi e all’energia perturbante del sangue mestruale.

In breve tutte queste considerazioni inquadrano Iside secondo la radicale prospettiva di una Forza dinamica e scardinante che non soltanto genera l’universo ma lo fa anche fermentare, in un processo ininterrotto di nascita-morte-rinascita affinché non degeneri mai nel ristagno.

SETTIMO VELO: LA DEA TRONOSe queste successive testimonianze mitiche - la cui valenza antropologica nell’immaginario sacrale è incontestabile - ci mostrano Iside come Signora dell’"Ank",

Chiave della Vita, e dei meccanismi rigenerativi che sottendono alla sua perpetuazione, non dovrebbe far meraviglia che i sapienti egizi la indicassero con il geroglifico che effigia il simbolo del potere sacro: il "Trono", posto anche sulla sfera tra le corna della Dea e con il quale Iside s’identificava tout court.

Un’immagine che nasconderebbe, quindi, un grande segreto: il Faraone, quale sintesi microcosmica del macrocosmo Egitto, acquisirebbe la sua Energia, la sua Saggezza, la sua Salute fisica e interiore ma soprattutto il suo misterioso Potere fecondante dal Trono su cui siede e al quale aderisce come fosse sia la propria matrice occulta, sia il ventre della Madre Celeste da cui è sorto e da cui continua a suggere nutrimento.

Un’interpretazione plausibile se si pensa che il Faraone personificava in vita Horus, figlio appunto di Iside, e dopo la morte Osiride, cui la Dea aveva ridonato esistenza in un contesto mitico di resurrezione.

Il Trono manifesterebbe così il fermento vitale che proviene da Iside e che come una corrente elettrica investe e fa rinascere il Faraone ogniqualvolta vi si siede nella solenne pienezza della sua regalità.

E ora che anche quest’ultimo velo - il settimo - è stato tolto, ecco la complessità della nostra Dea, straordinaria quanto ancora imperscrutabile, abbagliarci, nuda eppure ancora colma di maschere da scoprire, da indagare e sulle quali riflettere, nella certezza che Iside dai Nomi infiniti e dagli innumerevoli Anni abbia ancora molti, moltissimi veli da svelare.

STREGHE DI CARTAdi Selene Ballerini11

11 Selene Ballerini, giornalista, ricercatrice dell’associazione "Akkademia Pansophica", partecipe di "Progetto Elissa" per lo studio delle tradizioni sibilline, sceneggiatrice della pièce teatrale Crezia su un caso

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La Grande Storia è colma di storie che reclamano di non essere dimenticate. Una di queste è la Caccia alle Streghe, uno spaventoso evento plurisecolare che ha fatto parlare di sé troppo poco e la cui realtà di accadimenti e motivazioni resta ancora oscura. Dalla Stregoneria storica alla letteratura giovanile un volo tra le magie delle donne.

"NON LASCERAI VIVERE COLEI CHE PRATICA LA MAGIA …" 

Le Cacce a Streghe e Stregoni, con i loro innumerevoli roghi collettivi e le atroci violenze di ogni tipo, iniziarono nel XIV secolo quando - con la Bolla "Super illius specula" - il Papato equiparò la Stregoneria all’eresia, reato per il quale era contemplata la pena di morte.

In precedenza, nel Medioevo, la situazione si presentava assai diversa, come si evince dal "Canon Episcopi", un documento carolingio in cui si raccomandava ai vescovi di non credere ai poteri magici di "certe femmine perverse" che, schiave di Satana e sedotte dai "fantasmi di demoni", "affermano di cavalcar la notte in groppa ad animali con Diana, dea dei pagani, e un’infinita moltitudine di donne". Si tratta solo di allucinazioni, decretava il "Canon".

Ai gruppi femminili che si riunivano per praticare la Magia venivano del resto assegnate, in quell’epoca, le stesse peculiarità di cui erano detentrici le "Dominae Nocturnae", le Signore della Notte, demoni femminili della tradizione folclorica medievale simili alle fate: perlopiù innocue, queste donne non avevano contatti espliciti con il Diavolo e quindi erano soltanto redarguite e non perseguitate dalla Chiesa.

Ma la questione si ribaltò - come si accennava - quando papa Giovanni XXII con la citata Bolla identificò la Stregoneria con un culto reale e pericoloso nel quale era tangibile la presenza di Satana.Inizia così la "Caccia alle Streghe", la cui gestione fu affidata nel Cinquecento a un ente istituito per scovare e reprimere le eresie a Roma e dintorni: la Santa Romana e Universale Inquisizione, divenuta poi Sant’Uffizio.

Questo cruciale passaggio antropologico fu caratterizzato inizialmente dall’intrecciarsi della primeva credenza in una società magica di donne, orchestrata da una figura femminile detta "Diana", "Erodiade" o "Signora del Buon Gioco", con quella parimenti tradizionale nelle Streghe malefiche, mentre dalla prima metà del XIV secolo si assisté all’irrompere definitivo di quegli elementi satanici che la percezione collettiva attribuirà alle "società di Diana" trasformandole in bande di scellerate pronte a ogni misfatto pur di soddisfare il loro amante Lucifero.

………………

STREGHE E STREGHERIEIn verità ciò che sappiamo sulle Streghe e sulle loro attività lo si ricava soltanto dai processi.Esistono così due gravi problemi per la corretta comprensione del fenomeno: a parlarne sono solo gli accusatori - e quindi testimoni di parte avversa - e a causa delle "traslitterazioni" dai dialetti alla lingua giuridica non si ha alcuna certezza che i resoconti delle imputate siano stati trascritti in modo fedele. La situazione è inoltre complicata dal fatto che le confessioni erano estorte con la tortura, circostanza che induce a diffidare ulteriormente sulla veridicità degli eventi narrati.

Seguendo il fil rouge cronologico degli atti processuali si rileva tuttavia come le "società di Diana", dapprima esclusivamente femminili, accolsero con il tempo al centro dei riti anche un "sacerdote"

di Stregoneria del XVI secolo e autrice del libro "Il Corpo della Dea", si occupa da anni di Sacralità femminile e - in campo professionale - di letteratura rivolta all’infanzia e all’adolescenza.

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che, presentatosi come una sorta di "Dio cornuto" compagno di Diana, assunse poco a poco le sembianze del Diavolo detronizzando la "Dama" dal gruppo.

D’ora in poi delle Streghe si racconta che uccidono infanti, si trasformano in bestie, stringono patti diabolici, suscitano tempeste, sterilità e impotenza, compiono atti osceni e sacrileghi e si ritrovano al Sabba, una festa rituale i cui momenti clou sono: il volo notturno per raggiungere il luogo della riunione ("effettuato" forse con sostanze allucinogene inserite anche nella vagina con la celebre scopa), omaggi adoranti al Diavolo, il "banchetto che non sazia", danze frenetiche, orge sessuali... Elementi su cui tutte le documentazioni concordano.

Fra le analisi storiche sulla Stregoneria condividiamo quella di Pinuccia Di Gesaro, studiosa che - rielaborando argomentazioni di autori quali Margaret Murray, Giorgio Galli e Marija Gimbutas - inquadra la Stregoneria come la sopravvivenza di una cultualità pre-cristiana in cui confluirono molteplici componenti, fra cui un sincretismo religioso venato di matrismo. Quanto al motivo per il quale le Streghe furono così ferocemente combattute è individuabile - sempre secondo quest’interpretazione - nel tipo di cosmovisione di cui erano portatrici.

Le Streghe infatti, versione popolare dei colti Maghi rinascimentali, con cui condividevano una concezione magico-olistica del mondo, rappresentavano un movimento incompatibile con la cultura di tipo scientifico-illuministico del nascente Stato moderno …………

C’ERA UNA VOLTA...Data la perdurante demonizzazione della Stregoneria, e particolarmente delle donne che la praticavano, non fa meraviglia che il folclore fiabistico europeo - soprattutto nei paesi dove la Caccia fu più pervicace - abbia presentato la Strega con quei connotati di perfidia, laidità e orripilante bruttezza che tutti e tutte ben conosciamo!

La Strega è "cattiva" per antonomasia, ogni suo pensiero è rivolto al male altrui e ama distruggere ciò che è buono, bello e felice.

I racconti popolari che furono raccolti, trascritti, rielaborati dai tedeschi Grimm sono infarciti di donne - streghe, maghe e matrigne - dai poteri magici utilizzati con malvagie intenzioni. I veleni, le metamorfosi animalesche, gl’incantesimi, il cannibalismo sono le armi che queste donne scatenano contro fanciulle giovani e avvenenti, uomini ingenui, bambini irrequieti.

E proprio da questa funzione punitiva nei confronti della prole umana sembra derivi una certa tipologia di Strega proposta dall’odierna narrativa rivolta a ragazze e ragazzi. …………….

Bibliografia:

Wikipedia, Enciclopedia Web Libera.

Selene Ballerini brani tratti dai suoi testi:

Le Streghe di Carta, Archeomisteri, www.edicolaweb.net, n° 13 gennaio-febbraio 2004

I Sette Veli d’Iside, tratto dal mensile “L’Isola Possibile”, 12 ottobre 2006

Il Corpo della Dea, Roma, Atanor, 2002

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Maria Rita Gandra “Margarita”Coordinatrice della Commissione Italiana FIDS in Danze Orientali – Maestra ISDAS 3° livello – Giudice di Gara nazionale FIDS & Internazionale IDO Formatrice Professionale in Danze Orientali abilitata dalla FIDS www.ccmargarita.com - [email protected] Ricercatrice e Coautrice di testi per professionisti della danza come Danze Orientali, manuale di preparazione all’esame di Maestro in questa disciplina presentato assieme alla collega Sonia Lorenzon “Parvani” nel 2006Direttrice Artistica ed Ideatrice del Congresso Internazionale Danze Orientali di Riccione

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