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DI REPUBBLICA DOMENICA 25 GENNAIO 2015 NUMERO 516 Cult CONCITA DE GREGORIO Ì, VA BENE, TRE OSCAR. Certo: King Kong, Alien, naturalmente E.T. Sì, sì, l’America. I laboratori degli Studios. Tutto il tempo tutto il de- naro, il riguardo e il sostegno di cui un genio ha bisogno per dare anima e movimento alla materia inanimata. Sì, lo sapete: Spiel- berg, Ridley Scott, David Lynch. Nessuno al mondo è meglio di te, Carlo. Please, we need you. Tutti gli onori, tutti i premi. Però Carlo Rambaldi da Vigarano Mainarda — i portici e il bar Eden, i pioppi allineati sul tavolo del- la pianura padana, la latteria e la bicicletta — quello che voleva davvero, da tutta la vita, era diventare Geppetto. Fin da piccolo e sempre: essere Geppet- to, fare Pinocchio. «Ne collezionava edizioni in tutte le lingue, vecchie e nuo- ve», racconta suo figlio Victor. «Per lui era il libro dei libri. Il suo sogno fin da quando costruiva marionette per il teatrino di Vigarano». Dare lo sguardo, il sorriso, il movimento al burattino di legno. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN RICORDO DI VICTOR RAMBALDI Pinocchio telefono casa Il reportage. Quel che resta della Berlino di Hitler L’officina. John Berger, diario di un’operazione alla cataratta Spettacoli. Perché i Verdena fanno pochi dischi Next. Cosa scopriremo nel 2015 L’incontro. Ken Follett: non solo thriller, fatemi parlare di politica La copertina. La serializzazione di un’idea Straparlando. Angela Bianchini, vivere in esilio Mondovisioni. Metti una sera a cena a Lima Carlo Rambaldi, papà di E.T., aveva un sogno: dare vita al burattino più amato del mondo Prima di andarsene ci è riuscito. Eccolo qua S “...IN QUEL MOMENTO GIUNSERO DUE CARABINIERI CHE GIUDICARONO PINOCCHIO UNICO RESPONSABILE...”. DISEGNO DI CARLO RAMBALDI, 2002 la domenica

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DI REPUBBLICADOMENICA 25 GENNAIO 2015 NUMERO 516

Cult

CONCITA DE GREGORIO

Ì, VA BENE, TRE OSCAR.Certo: King Kong, Alien, naturalmente E.T. Sì,sì, l’America. I laboratori degli Studios. Tutto il tempo tutto il de-naro, il riguardo e il sostegno di cui un genio ha bisogno per dareanima e movimento alla materia inanimata. Sì, lo sapete: Spiel-berg, Ridley Scott, David Lynch. Nessuno al mondo è meglio di te,

Carlo. Please, we need you. Tutti gli onori, tutti i premi. Però Carlo Rambaldida Vigarano Mainarda — i portici e il bar Eden, i pioppi allineati sul tavolo del-la pianura padana, la latteria e la bicicletta — quello che voleva davvero, datutta la vita, era diventare Geppetto. Fin da piccolo e sempre: essere Geppet-to, fare Pinocchio. «Ne collezionava edizioni in tutte le lingue, vecchie e nuo-ve», racconta suo figlio Victor. «Per lui era il libro dei libri. Il suo sogno fin daquando costruiva marionette per il teatrino di Vigarano». Dare lo sguardo, ilsorriso, il movimento al burattino di legno.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN RICORDO DI VICTOR RAMBALDIPinocchiotelefonocasa

Il reportage.Quel che resta della Berlino di Hitler L’officina.John Berger, diario di un’operazione alla cataratta Spettacoli. Perchéi Verdena fanno pochi dischi Next. Cosa scopriremo nel 2015 L’incontro.Ken Follett: non solo thriller, fatemi parlare di politica

La copertina. La serializzazione di un’ideaStraparlando. Angela Bianchini, vivere in esilioMondovisioni. Metti una sera a cena a Lima

Carlo Rambaldi, papà di E.T., aveva un sogno:dare vita al burattino più amato del mondoPrima di andarsene ci è riuscito. Eccolo qua S

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la domenica

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 26LA DOMENICA

Ci ha provato tutta una vita, ma non glielo hanno mai lasciato fareCosì il genio degli effetti speciali decise di disegnarlo per i nipotiniE ora, per la prima volta, il suo Pinocchio si può finalmente ammirare

La copertina. Telefono casa

<SEGUE DALLA COPERTINA

CONCITA DE GREGORIO

I ERA ARRIVATO VICINISSIMO, nel 1969. Lo aveva fat-to, in verità: i progetti e i disegni per il PinocchioRai di Comencini erano pronti, il prototipo —magnifico — realizzato. Un Pinocchio con gli oc-chi enormi, liquidi, umani. Come sarebbe statoE.T. tanti anni dopo: quegli occhi che bastano so-li. Non si fece per ragioni di soldi, ma questa èuna storia che racconteremo fra poco.

Prima bisogna dire della favola: c’era una vol-ta un re, il re delle macchine animate e fantasti-che, che prima di morire voleva realizzare il pri-mo e più semplice dei desideri, quello che avevacoltivato per tutta la vita e che nessuno dei gran-

di dignitari di corte, dei sovrani dei paesi vicini, dei suoi alleati nelle battagliee dei sultani proprietari di tesori gli aveva mai chiesto, mai permesso di co-struire. Voleva fare Pinocchio. Quando ormai vecchio si ritirò, con tutti gli ono-ri, chiamò a raccolta i suoi nipoti bambini e disse loro. Ecco, piccoli: adesso chenon ho più da viaggiare e combattere, da dirimere questioni di terre e di re-gni farò per voi ciò che ho sempre desiderato. Aspettate e vedrete.

Portano la data del 2002 i disegni magnificenti che Carlo Rambaldi ha rea-lizzato per la sola gioia domestica deisuoi nipoti, facendosi finalmente, daultimo, Geppetto. Che, vedete, gli so-miglia. Ha i suoi capelli i suoi ciuffisulle tempie, il suo viso scavato, lesue mani grandi, la sua gioia bambi-na davanti all’oggetto compiuto. Del-le tavole che l’editore Rubbettinomanda in stampa in un grande pre-zioso libro a colori davvero fantasticaè la numero dodici, quella dove Gep-petto Rambaldi salta di gioia sulla se-dia davanti al burattino in tredicipezzi ancora da assemblare. Il pezzonumero uno sono i capelli, il tredice-simo i piedi. Il celebre naso arriva so-lo al quarto posto, dopo gli occhi. Per-ché sono gli occhi, anche nel buratti-no di legno, i custodi dell’anima. Sologli occhi resteranno gli stessi quandoalla fine della fiaba diventerà bambi-no. Solo gli occhi, in ogni essere vi-vente, non cambiano mai.

Il Pinocchio di Rambaldi è, natu-

ralmente, semplicissimo. Come po-teva essere una marionetta fatta daun pezzo di legno da un povero fale-gname? Poteva somigliare al Pinoc-chio di Disney, l’unico visto al cinemaquando alla fine degli anni Sessantagliene commissionarono uno? Certoche no. Doveva essere fatto con unoscalpello e un martello, il busto unatavoletta rettangolare quasi bidi-mensionale, sottile, le braccia e legambe due coppie di parallelepipedisnodati, il collo lungo, i piedi grandi.Non poteva far altro che questo, il fa-legname del paese. E del resto i bel-lissimi disegni di Carlo Chiostri edEnrico Mazzanti, i primi illustratoridelle prime edizioni del libro, lo ave-vano immaginato così. Ruvido, rigi-do. Un burattino. A quei disegni si eraispirato il padre, racconta Victor, nel‘69 quando felice della commissioneaveva proposto ai produttori del film

SU RTV-LAEFFE

IN REPTV NEWS (ORE 19.45,CANALE 50 DEL DIGITALEE 139 DI SKY) IL VIDEORACCONTO DI CONCITA DE GREGORIOSUL PINOCCHIODI CARLO RAMBALDI

C

CarloRambaldi

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 27

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per la tv un Pinocchio esile, longili-neo, «gli occhi grandi e rotondi, labocca smorfiosa e impertinente, sim-paticissimo e tenero». Il prototipo diquel Pinocchio fu scelto per rappre-sentare l’Italia all’Expo di Osaka. Fuscartato dal regista e dai produttoriitaliani, invece. Lo ritennero troppocaro, costoso da realizzare. Rambaldiaveva immaginato una sorta di ani-mazione a distanza utilizzando mi-cro motori a servo. Qualcosa che an-ticipava di decenni quella che oggi sichiama motion capture. Attraversoun’imbracatura l’animatore riuscivaa far muovere a distanza il burattino.Il quale però, un metro e dieci di al-tezza, non poteva contenere tutti imeccanismi in un solo corpo. Dunquene servivano diversi, uno per ognispecialità: il Pinocchio che corre,quello che salta, quello che ride, quel-lo che piange. Nei provini con gli at-tori risultò formidabile. Rambaldi loaveva realizzato a sue spese. Scrive,negli appunti dell’epoca: «Ho comin-ciato a modellare il viso in creta e ges-so, infine ho usato una materia pla-stica che imita molto bene il legno. Mihanno aiutato i miei studi fatti in gio-ventù a Bologna, dove mi laureai inAccademia di Belle Arti. Ho final-mente realizzato il Pinocchio che so-gnavo grazie ad alcuni ritocchi es-senziali, primo tra tutti una maggio-re grandezza dell’iride degli occhi,mobilissimi in tutte le direzioni». Gliocchi, sempre, il segreto. Il progettofu bocciato dalla Rai. Anonimo il fun-zionario. Scrisse Sergio Saviane sul’Espresso, l’11 ottobre 1970: «La Raiha già sacrificato decine di milioniper il burattino. L’unico che tra tantine ha visto poco più di uno è stato ilpovero Geppetto (Rambaldi) che halavorato dei mesi rimettendoci perfi-no di tasca propria». Fu una grande

delusione. Scrisse Carlo, dopo lo stopai lavori: «Pinocchio non è mica Giam-burrasca e nemmeno Cappuccettorosso. Pinocchio è un pezzo di legnocon una personalità precisa e compli-cata, pieno di sorprese e imprevisti.Non si può farlo in questi termini. Èun’assurdità». Non se ne faceva unaragione.

Tredici anni dopo i grandi occhi diPinocchio sono diventati i laghi az-zurri nel volto di E.T. Trentatré annidopo, quando ormai era solo per la fe-licità dei nipoti che lavorava, hannoriempito i quaderni che vedete oggiriprodotti qui. Il tratto a volte è sem-plice, quasi solo abbozzato. Altre vol-te precisissimo, da progettista. Inqualche tavola sembra di riconosce-re un omaggio futurista, o impressio-nista, oppure anche una semplice al-lusione ironica ai molti grandi illu-stratori di Pinocchio che certo Ram-baldi aveva nella sua collezione, daSergio Tofano a Jacovitti. Certo il pri-mo, quello di Enrico Mazzanti, è quel-lo che più si affaccia sotto il cappellobianco di mollica di pane, morbidofungo di bosco.

Aveva cominciato, ragazzo, dise-gnando e progettando uno storioneper il documentario di un amico sullapesca nel delta del Po. Ha finito —Carlo Rambaldi il genio, il mito, ilmaestro — disegnando un pesceca-ne. Un «terribile pescecane», scrivedi suo pugno in stampatello, nelle cuiviscere Pinocchio ridente lo incontra:lui, Geppetto, seduto a un tavolucciodi legno, al lume di una candela, da-vanti a un piatto vuoto. In mezzo a ti-moni divorati, ancore di navi e inte-stini alza mani e piedi in un balzo ver-so la sua creatura. Alla fine della vita,gli occhi stretti nel più largo dei sor-risi, felice.

Mio padre, un ragazzinocon un burattino per amicoVICTOR RAMBALDI

CARLO RAMBALDI HA SEMPRE PENSATO A PINOCCHIO. Fin da bambinomio padre lo ha sognato, lo ha plasmato con la creta, ci hagiocato. In una parola, lo ha amato. Era il suo personaggio difantasia preferito, il suo eroe adolescenziale, quello che più diqualunque altro stuzzicava la sua immaginazione. Per Carlo,

Pinocchio era il libro dei libri. A casa ne custodiva una preziosa collezione,alcuni molto antichi, e persino diverse edizioni in lingua straniera. Forseperché Pinocchio un po’ rispecchiava la sua personalità, così dinamica evivace. Infatti, anche al futuro “mago” degli effetti speciali per il cinema, daragazzo piaceva fare gli scherzi. Nel piccolo paese natale, raccoglieva intornoa sé un manipolo di amici e insieme a loro, attraverso burle innocenti di ognitipo, si divertiva a studiare le reazioni, osservare i comportamenti delle sue“vittime”. Ai suoi occhi, quel burattino magico era l’amico perfetto, con ilquale partire per mille avventure e condividere momenti felici. Una volta,per un progetto televisivo, ne costruì uno tutto suo, cercando però dirispettare, almeno in parte, i disegni degli illustratori originali della fiaba.Studiò molti tipi di legno, selezionandoli per individuare le venature giuste,l’esatto colore e aspetto. Poi, duplicò il legno in materiale plastico. Ne vennefuori un capolavoro di tale simpatia e stile da essere esposto anche inGiappone.Queste tavole, realizzate in tempi recenti per i propri nipotini,rappresentano un tributo affettuoso e personalissimo alla saga di Collodi,che lo aveva così tanto appassionato da ragazzo. Carlo come Pinocchio,dunque, ma anche come il suo creatore Geppetto, per continuare adisegnare e costruire pupazzi ai quali dare un cuore e una vitacinematografici. Ma soprattutto un’anima umana, la stessa che continua apulsare in Pinocchio oggi, icona e simbolo immortali del fanciullo che è innoi, nell’immaginario collettivo di infinite generazioni di adulti e bambini.

IL LIBROLE ILLUSTRAZIONI DI QUESTE PAGINE SONO TRATTEDA “IL MIO PINOCCHIO” DI CARLO RAMBALDI, EDITODA RUBBETTINO (215 PAGINE, 48 EURO) IN LIBRERIADA MERCOLEDÌ 28 GENNAIO. LA PREFAZIONE, PUBBLICATAQUI SOTTO, È DEL FIGLIO VICTOR. NELLA FOTO IN BASSOA SINISTRA, CARLO RAMBALDI (1925-2012) CON E.T.,LA CREATURA CHE GLI VALSE IL TERZO OSCAR NEL 1982DOPO “KING KONG” (1976) E “ALIEN” (1979)

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di Geppettosono io

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 28LA DOMENICA

Là dove sorgeva il bunker in cui settant’anni fasi uccise il Führer, oggi c’è un parco giochiDal Reichstag all’Olympiastadionviaggio alla ricerca dei luoghi del nazismo In una capitale che ancora non sase ha davvero voglia di ricordare

Il reportage. Giornata della memoria

STRASSE DES 17 JUNI

VILLA DI WANNSEE1

3OLYMPIASTADION

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Cosa resta

di Hitler

WLODEK GOLDKORN

BERLINO

LÀ, DOVE SORGEVA ilbunker in cui Adolf Hi-tler scese per non uscir-ne più, il 16 gennaio1945, undici giorni pri-ma che i soldati dell’Ar-mata rossa aprissero icancelli di Auschwitz,oggi c’è un minuscoloparco giochi: un piccolovariopinto scivolo e unbox con sabbia a uso dei

bambini. Attorno un parcheggio con decine diutilitarie da impiegati di medio livello e grigi pa-lazzi, Plattbauten li chiamano in tedesco, co-struiti in materiale prefabbricato negli ultimianni della Ddr. Al margine del parcheggio, a duepassi da una sbarra che ne segna l’ingresso, unabacheca, difficilmente visibile, segnala l’im-portanza storica di questo luogo. La bacheca èstata messa lì pochi anni fa per venire incontroalle esigenze di centinaia di turisti che ogni gior-no, a Berlino, cercano di ripercorrere le orme delFührer. Altrimenti, e per decenni, tutto quelloche riguarda l’uomo che ordinò lo sterminio disei milioni di ebrei e l’annientamento definiti-vo di un mondo, l’universo di coloro che parla-vano, scrivevano, cantavano e sognavano inyiddish, era condannato alla damnatio memo-riae. O forse lo è ancora.

Il bunker, posto nel giardino dell’imponenteedificio della Cancelleria del millenario Reich,un palazzo che Hitler ha voluto monumentalecon un cortile d’onore lungo quasi settanta me-tri e un ingresso addobbato da due sculture di

maschi nudi, raffiguranti il Partito e la Wehr-macht, fu a sua volta teatro di eventi che i loroprotagonisti pensavano avessero i caratteri diun’epocale tragedia, ma che invece assomi-gliavano a un farsesco kitsch. Quel che accade-va lì, mentre i soldati sovietici avevano scoper-to da mesi i resti dei campi di sterminio di Tre-blinka, Belzec e Sobibor, e stavano entrandonella capitale tedesca in rovine, è stato magi-stralmente narrato ne La caduta di Oliver Hir-schbiegel. In quel film l’attore Bruno Ganz sem-bra più Hitler di Hitler per quanto riesce a nondistinguere tra recitazione e verità. Qui dun-que il Führer, che il giorno prima aveva verga-to il suo testamento politico e sposato EvaBraun, il 30 aprile commette il suicidio.

Ma, finita la guerra, una delle prime preoc-cupazioni dei vincitori, soprattutto dei sovieti-ci, cui in base agli accordi tra gli alleati toccò lagestione del settore orientale e del centro dellacittà, è stata cancellare ogni traccia del regimenazista. La memoria di quel periodo doveva es-sere annullata; come se si volesse esorcizzare ilMale, ma anche non lasciare intatto alcun luo-go dove potessero affluire gli eventuali nostal-gici del nazismo. Dei tedeschi non ci si fidava. Ilbunker fu fatto saltare in aria. Qualche resto èrimasto però, data la resistenza del cemento ar-

mato. Finché negli anni Ottanta tutto il terre-no, che nel frattempo confinava con il Muroeretto nel 1961, venne bonificato per far postoalle nuove abitazioni. Neanche dell’edificio del-la Cancelleria ci sono tracce.

Strana città Berlino. In apparenza la capita-le della Germania riunificata, dell’esibizionedella sua complicata e violenta storia ha fattouna specie di marchio di fabbrica. Monito allacoscienza della nazione ed esca per le masse divisitatori di tutto il pianeta, tra musei d’arteeredità del periodo guglielmino e memoriali al-le vittime del nazismo: ebrei, omosessuali, sin-ti e rom. Ma se chiedete a un giovane nei pressidella Wilhelmstrasse, la ricostruita strada cen-tro del Potere (del bunker e dei più importantiministeri), dove erano i luoghi di Hitler, la rea-zione sarà un sorriso, un gesto sconsolato dellemani, un’alzata di spalle, un girare la testa perevitare lo sguardo di chi fa l’imbarazzante do-manda. Hitler è tabù, un fantasma da non evo-care. La Wilhelmstrasse è a due passi dalla Por-ta di Brandeburgo e dall’edificio del Reichstag,dove alla vigilia della guerra il Führer fece il suo“discorso profetico”: annunciò l’annientamen-to dell’“ebraismo mondiale”. L’edificio oggi hauna cupola di vetro a simbolo della trasparen-za e un recinto, sempre trasparente con sopra

LUOGO DI VILLEGGIATURA SULLA SPONDA DEL LAGO OMONIMO. QUI IL 20 GENNAIO 1942, IN UNA VILLA DELLE SS, SI TENNE UNA CONFERENZA DI QUINDICI FUNZIONARI NAZISTI, GUIDATI DA REINHARD HEYDRICH, PER COORDINARE I MODI E I TEMPI DELLO STERMINIO DEGLI EBREI

1 Wannsee

AEROPORTO FIORE ALL’OCCHIELLO DI HITLER. I LAVORI DI COSTRUZIONE INIZIATI NEL 1936 VENNERO COMPLETATINEL 1941, CON ABBONDANTE USO DI OPERAI-SCHIAVI. AI TEMPI DEL BLOCCO DI BERLINO OVEST DA PARTE DEI SOVIETICI (1948-49), QUI ATTERRAVANO GLI AEREIMILITARI OCCIDENTALI CON GLI AIUTI ALLA POPOLAZIONE.CHIUSO NEL 2008, OGGI È UN PARCO

8 Tempelhof

della Berlino

2 Olympiastadion

INAUGURATO NEL 1936 PER LE OLIMPIADI, IL PROGETTO DI OTTO E WERNER MARCH FU RIVISTO DA ALBERT SPEER E DA HITLER STESSO. IL BALCONE DEL FÜHRER VENNE DEMOLITODOPO LA GUERRA. LO STADIO ÈSTATO RISTRUTTURATO IN VISTA DEI MONDIALI DI CALCIO DEL 2006.NELLE FOTO, HITLER CON UMBERTOII DI SAVOIA DURANTE LE OLIMPIADIDEL 1936 E, SOTTO, MARCELLO LIPPICON LA NAZIONALE AZZURRA LA SERA DELLA VITTORIA DEI MONDIALI IL 9 LUGLIO 2006

stampati alcuni articoli della Costituzione. Ilprimo recita: “La dignità umana è inviolabile”.Di fronte, sull’ansa della Sprea, i nuovi palazzidella Cancelleria: dotati di finestre enormi. Tra-sparenza, e ancora trasparenza. La Wilhelm-strasse è ricostruita e tirata a lucido in modo danon poter riconoscere nulla del passato. Deivecchi edifici è rimasto in piedi solo l’enorme exministero dell’aviazione, regno di Göring, oggisede del dicastero delle finanze; altrettanto im-portante. Là invece dove sorgeva il lussuosoHotel Kaiserhof, abitazione di Hitler, prima didiventare cancelliere e dove al caporale au-striaco venne conferita nel 1932 la cittadinan-za tedesca, c’è oggi l’austero edificio dell’am-basciata nordcoreana. Nella vicina Unter denLinden nessun ricordo delle marce con le fiac-cole e con libri che venivano bruciati davanti al-l’edificio dell’Opera, in una piazza che oggi por-ta il nome di August Bebel, colui che definì l’an-tisemitismo come “socialismo degli imbecilli”.

Hitler non amava Berlino; troppo caotica, fa-cile a smarrirvisi come annotava Walter Benja-min, un autore che il Führer certamente igno-rava. Sognava assieme al suo architetto AlbertSpeer di trasformarla in Germania, una me-tropoli di otto milioni di abitanti, geometrica emonumentale. Intanto stava cambiando l’esi-

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TEMPELHOF

WILHELMSTRASSE

BUNKER

TOPOGRAPHIE DES TERRORS

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LA STRADA FA PARTE DELL’ASSEEST-OVEST DELLA CAPITALETEDESCA E INIZIA DALLA PORTA DI BRANDEBURGO. ALLARGATA AI TEMPI DEL NAZISMO,AL SUO CENTRO FU POSTALA STATUA DELLA VITTORIA ALATA. IN RICORDO DELLA RIVOLTAOPERAIA A BERLINO EST NEL 1953FU RIBATTEZZATA 17 GIUGNO.NELLE FOTO, LA STRADA NEL 1945 E, SOTTO, OGGI

3 Strasse des 17 Juni

A HITLER NON PIACEVAL’ARCHITETTURA ROCOCÒDELLA VECCHIA CANCELLERIANEL PALAZZO RADZIWILL.INCARICÒ NEL 1938 ALBERTSPEER DI COSTRUIRE UN NUOVO EDIFICIO. I LAVORIFURONO ULTIMATI IN TEMPIRECORD GRAZIE A MIGLIAIA DI SCHIAVI. NEI SOTTERRANEI E NEL GIARDINO VENNEEDIFICATO IL BUNKER IN CUI IL FÜHRER SI SUICIDÒ.NELLE FOTO, LA CANCELLERIADISTRUTTA NEL 1945E, SOTTO, IL PARCO GIOCHI DOVE OGGI UNA BACHECA SEGNALA L’IMPORTANZASTORICA DEL LUOGO

6 Bunker

stente. Allargò l’asse Est Ovest, la strada che daMosca porta a Parigi e che ora si chiama Stras-se des 17 Juni in ricordo della rivolta del 1953 aBerlino Est. Vi portò la statua della vittoria ala-ta e la issò altissima al centro di una rotonda.Oggi, vi sciamano orde di turisti tra bancarelledi souvenir. In direzione Ovest dell’asse c’èl’Olympiastadion, costruito da Werner March.Qui, in una struttura di dimensioni faraoniche,e con rimandi a simbologia esoterica, in pietramarrone scuro, sovrastata da un’alta torre sim-bolo dell’orgoglio nazionalsocialista, Hitler nel1936 festeggiò il (provvisorio) trionfo della suaestetica, con la regia di Leni Riefenstahl. Il bal-cone da cui il Führer si mostrava al mondo è sta-to demolito per ordine dei britannici. Lo stadiovenne ristrutturato per i mondiali di calcio del2006, che l’Italia vinse battendo la Francia pro-prio su quell’erba e oggi nella postmodernastruttura gioca l’Hertha Berlin, una squadracon una delle tifoserie più miti e politicamentecorrette del pianeta. Del complesso fa parte laWaldbühne, un teatro all’aperto con all’in-gresso bassi rilievi nazisti, visibilmente non re-staurati. Questo luogo da alcuni anni è il predi-letto dal direttore d’orchestra ebreo e pacifistaDaniel Barenboim.

Tempelhof, nelle intenzioni di Hitler, entu-

siasta degli aerei e dell’aviazione e che da quipartiva e tornava dai suoi viaggi, doveva esse-re l’aeroporto più grande del mondo. Le pistedell’atterraggio sono oggi un gigantesco parcocittadino. L’edificio, invece, enorme, in pietracalcarea gialla, con strette e alte finestre chedanno a tutto il complesso l’aria di un luogo ver-ticale e marziale, ospita fiere, congressi, ma an-che un night club, “La vie en rose”, dove tra i va-ri “amusement” (a Berlino adorano le parolefrancesi) c’è un “travestie show”. A pochi me-tri dall’ingresso di questo paradiso di trasgres-sione alcune targhe piccolissime, bianche e ne-re, in metallo, ricordano i lavoratori forzati, glischiavi del Reich che qui hanno patito indicibi-li sofferenze.

Il regno dell’indicibile vero è però Wannsee,un luogo in cui Hitler non c’era, ma dove il suospettro è sempre stato presente ed è più vivoche mai. Il paesino, in cui nel gennaio 1942 siriunirono sotto la direzione di Reinhard Hey-drich quindici burocrati di vari ministeri percoordinare “la soluzione finale del problemaebraico”, sembra una specie di Walhalla: vil-lette tra i boschi, piccole pensioni sulla spondadell’incantevole lago. Una di queste, Sanssou-ci, è accanto alla villa dove si svolse la confe-renza. Sanssouci vanta una Sonnenterasse

(terrazza per fare bagni di sole) e organizza fe-ste di matrimonio. Nel menù: tortellini al tar-tufo e scampi. Nella villa adiacente che appar-teneva alle SS, durante la conferenza ci fu pu-re un sontuoso buffet, con ottimi vini e cognac.Quella riunione è stata ricostruita, ma controppi colpi di scena alla maniera di Hol-lywood, in un film con l’istrionico Kenneth Bra-nagh nel ruolo di Heydrich. Dopo la guerra, l’e-dificio venne adibito a scuola. In seguito, un su-perstite di Auschwitz, Joseph Wulff, ebbe l’i-dea di trasformarlo in museo. Le resistenze fu-rono molte e Wulff si suicidò. Oggi, con orgo-glio, il direttore didattico Wolf Kaiser raccontadi oltre centomila studenti che lo visitano ognianno e mostra la biblioteca intitolata a Wulff,appunto. Negli ampi saloni ci sono pannelli contante foto e tante scritte: raccontano la sortedegli ebrei. In uno di questi si intravede, tra isoldati della Wehrmacht, la faccia sconvolta diLeni Riefenstahl. Era il 12 settembre 1939 aKonskie, in Polonia. I militari tedeschi aveva-no appena fucilato ventidue ebrei. Lei protestòcon il comandante, un generale dall’altiso-nante nome prussiano. Venne allontanata dalfronte, ma perdonata da Hitler. Poi la macchi-na dello sterminio si mise in moto.

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4 Reichstag

UNA DELLE PRINCIPALI STRADEDEL CENTRO DI BERLINO DOVEFINO ALLA FINE DELLA GUERRAAVEVANO SEDE I MINISTERIPIÙ IMPORTANTI E LA CANCELLERIA DEL REICH.DEVASTATA NEL CORSO DELLA BATTAGLIA PER LA CITTÀ E AI TEMPI DELLA DDR, TAGLIATAIN DUE DAL MURO NEL 1961,

È STATA RICOSTRUITADOPO

LA RIUNIFICAZIONE.NELLA FOTO IN ALTO, LA FOLLA DÀ IL BENVENUTO A HITLER DURANTE

LA SECONDAGUERRA MONDIALE

5 Wilhelmstrasse

LÀ DOVE C’ERA LA SEDE DELLA POLIZIA SEGRETA NAZISTA,NELLA EX PRINZ ALBRECHTSTRASSE (FOTO IN ALTO, 1945),OGGI SORGE “TOPOGRAPHIE DES TERRORS”,SPAZIO ESPOSITIVO CON MOSTRA PERMANENTE IN CUI LO SPETTATORE SEGUE L’EVOLUZIONE DEL REGNO DEL TERRORE: DALLE FOTO DI HITLER ACCLAMATODALLA FOLLA NEL 1933 AI PROCESSI AI CRIMINALI NAZISTI

7 Gestapo

SEDE DEL BUNDESTAG, IL PARLAMENTO. L’EDIFICIO FU INAUGURATO NEL 1894. NEL 1933 VENNE INCENDIATO.LA COLPA FU DATA AI COMUNISTI. PARZIALMENTEDISTRUTTO DURANTE LA SECONDA GUERRAMONDIALE, È STATORISTRUTTURATODALL’ARCHITETTO NORMAN FOSTER DOPO LA RIUNIFICAZIONE DELLA GERMANIA (NELLA FOTOIN BASSO). SOPRA, HITLERPARLA AL PARLAMENTO IL 18 MARZO 1938

REICHSTAG

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 30LA DOMENICA

SEBASTIANO TRIULZI

SE DAVVERO ESISTE UNA MALATTIA dell’occhiooccidentale, John Berger ne è ancora oggi, aottantotto anni, uno dei più fieri avversari. L’attodello sguardo, che secondo lui viene prima dell’attodi parola, possiede un valore laicamente

miracoloso: aiuta a dare un senso all’esperienza, svela lapresenza di problematiche irrisolte, nella vita come nell’arte,offre la possibilità di interrogare la realtà, di rappresentarla, apatto che l’attenzione sia desta, a patto di fuggire a gambelevate dai luoghi comuni. I suoi libri sono incentrati sul senso della vista (talvolta fin daltitolo: Questione di sguardi, Fotocopie, Sul disegnare),narrano le immagini, dai capolavori alle opere dimenticatealle pubblicità ai luoghi visitati, precipitandole in unconfronto continuo con la vita quotidiana. Così è anche per Cataratta, libricino in cui riporta i suoipensieri dopo un intervento chirurgico agli occhi: siopera il sinistro lasciando passare un anno primadi intervenire sul destro, proprio per capirecome cambia la visione e raffrontaresguardo nuovo, incontaminato, e quellocorrotto. Lo accompagna in questaesplorazione del corpo, il trattointerrogativo, sorridente, leggero deldisegnatore Selçuk Demirel. Berger annota che si sono potenziatelateralità, distanza, profondità, esoprattutto si lascia sommergeredalla luce, «dal carattere di primità»che trasmette: è l’intimità deicolori che cambia, come sevolesse ritrovare la primaapertura sul mondo.L’operazione alla catarattasi trasforma così «in unarinascita visiva», il dolore inun’occasione di conoscenza;e forse con emozione Bergerritorna al bianco della cucinabianca della sua infanzia, superandole amnesie cui è soggetta la vistada adulti: un’epifania del colorecolto da bambino, che sicontrappone ai colori assuefattidalla cataratta, simbolo dellosguardo sporcato dallaconsapevolezza, e cioè grata,prigione che chiude in te stesso lavisione. Per cui, alla fine, è un po’ comespecchiarsi nel proprio occhio invece che nel mondo.

Prima lo sguardoe poi la parola

“Questo dilatato senso

di larghezza e lateralità

invita a immaginare

(come succede da bambini)

una moltitudine

di orizzonti alternativi”

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L’officina. Punti di vista

JohnBerger

Ci vuoleocchio

Page 7: S2501NZ0XXXX025025N000 col Edownload.repubblica.it/pdf/domenica/2015/25012015.pdfa sé un manipolo di amici e insieme a loro, attraverso burle innocenti di ogni tipo, si divertiva

la Repubblica

DOMENICA 25 GENNAIO 2015 31

JOHN BERGER

UALCHE APPUNTO DOPO UN’ASPORTAZIONE

DI CATARATTA DALL’OCCHIO SINISTRO.

“Cataratta”, dal greco kataraktes, cascata oinferriata, un’ostruzione che discende dall’al-to. Rimozione della grata che sbarrava l’occhiosinistro. Sull’occhio destro la cataratta resta alsuo posto.

Mi diverto a guardare un oggetto chiuden-do prima l’occhio sinistro, quindi il destro. Ledue visioni sono nettamente diverse. Definirela (le) differenza (e).

Con il solo occhio destro pare tutto usurato,con il solo occhio sinistro pare tutto nuovo. Nonvuol dire che l’oggetto osservato dimostriun’età diversa; i segni relativi alla sua età o al-la sua freschezza restano gli stessi. Quel checambia è la luce che cade su di esso e ne è ri-flessa. È la luce a ringiovanirlo o, quando dimi-nuisce, a invecchiarlo.

Un’altra differenza tra la visione dei due oc-chi riguarda la distanza. L’inferriata si chiude.Con l’occhio sinistro posso avventurarmi all’e-sterno e la distanza aumenta in due modi. Ve-do più lontano e, nello stesso tempo, ogni mi-sura di distanza si estende: un chilometro di-venta più lungo, e così un centimetro. Diventopiù cosciente dell’aria, dello spazio tra le cose,perché quello spazio è pieno di luce come unbicchiere può essere pieno d’acqua. Con la ca-taratta, ovunque ci si trovi, si è, in un certo sen-so, in interni.

La mia accresciuta percezione dello spaziofa sì che il mio senso della lateralità — di quelche accade da sinistra a destra, di quel che è pa-rallelo all’orizzonte — sia potenziato. Ho mag-

gior coscienza di quel che mi passa davanti, ri-spetto a quel che viene verso di me. Mentre ladistanza diventa più lunga, la larghezza si fapiù ampia.

30 maggio. Cielo insolitamente blu, da tuttii punti di vista, sopra Parigi. Alzo gli occhi ver-so il pino e ho l’impressione che i piccoli fram-menti frattali di cielo che vedo tra i ciuffi di aghisiano i fiori blu dell’albero, del colore deldelphinium.

Domani saranno trascorse tre settimanedall’intervento. Se provassi a riassumere l’e-sperienza che ha trasformato il mio modo diguardare, direi che è come trovarsi d’un trattoin una scena dipinta da Vermeer. Per esempioLa lattaia (Rijksmuseum, Amsterdam). Os-servi gli oggetti e il pane sul tavolo su cui è po-sata una ciotola; la fanciulla versa il latte da unbricco, e la superficie di tutto quel che guardi ècoperta da una rugiada di luce…

QUALCHE ALTRO APPUNTO DOPO L’OPERAZIONE

ALL’OCCHIO DESTRO (26 MARZO 2010),LA CUI CATARATTA ERA PIÙ RIGIDA E OPACA.

Questa volta l’afflusso di luce è meno speci-fico e più generalizzato. Non è tanto che le co-se mi appaiano illuminate meglio, quanto piut-tosto che sono acutamente consapevole di co-me tutto sia circondato dalla luce. L’elementoariaè diventato l’elemento luce. Mentre i pescivivono e nuotano nell’acqua, noi viviamo e cimuoviamo nella luce.

L’asportazione di una cataratta è paragona-bile alla rimozione di una particolare forma dismemoratezza. I vostri occhi cominciano a ri-ricordare le prime volte. Ecco perché quel chesperimentano dopo l’intervento somiglia auna specie di rinascita visiva.

Facciamo chiarezza sulle implicazioni diquel che sto dicendo. Va da sé che, finita l’in-fanzia, per vari decenni ho visto fogli di cartabianca bianchi come questo. A poco a poco,però, il biancore si è smorzato senza che me neaccorgessi. Perciò quel che chiamavo cartabianca cambiava, diventava più spento. Que-sto pomeriggio non sono io a rendermene con-to con l’intelligenza: è il biancore del foglio aprecipitare incontro ai miei occhi, e sono i mieiocchi ad abbracciarlo come si fa con un amicoche non si vede da molto tempo.

Quando si apre un dizionario per consultar-lo, si ritrova o si scopre per la prima volta la pre-cisione di una parola. Non soltanto la precisio-ne di ciò che quella parola denota, ma anche ilposto preciso che essa occupa nella varietà del-la lingua.

Adesso che mi sono state asportate entram-be le cataratte, quel che vedo con i miei occhisomiglia a un dizionario che posso consultareriguardo alla precisione delle cose. Riguardoalla cosa in sé, e anche al suo posto fra le altrecose.

La familiare eterogeneità dell’esistente èmeravigliosamente tornata. I due occhi, toltadi mezzo l’inferriata, non si stancano di regi-strare la continua sorpresa.

(Traduzione di Maria Nadotti)

“Sono acutamente consapevole

di come tutto sia circondato

dalla luce. Mentre i pesci

vivono e nuotano nell’acqua,

noi viviamo e ci muoviamo

nella luce”

“Per me la nuova visibilità

non è soltanto un dono,

ma una conquista. La vittoria

dei medici e degli infermieri

nonché, in misura minore,

del mio stesso corpo”

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Un banale intervento chirurgico diventa occasione di conoscenzase chi lo ha affrontato è uno scrittore e critico d’arte particolarmenteattento a ciò che vede. Eccoil suo diario di un’operazione alla cataratta

Q

IL LIBRO

IL TESTODI JOHN BERGERE I DISEGNIDI SELÇUKDEMIRELSONO TRATTIDA “CATARATTA”IN LIBRERIADA MERCOLEDÌ(GALLUCCI,70 PAGINE,12,50 EURO,TRADUZIONEDI MARIANADOTTI)

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 32LA DOMENICA

Spettacoli. Fuori dal coro

Ha ormai vent’anni la band italianapiù talentuosa e meno conosciuta(ma soltanto dagli over quaranta)Viene dalle valli bergamasche e suonadodici ore al giorno in un pollaio Sforna cd solo quando si sente pronta: ora

LUCA VALTORTA

ROMA

HOTEL VICINO ALLA STAZIONE TERMINI. Alberto, voce, chitarra e in-numerevoli altri strumenti tra cui il pianoforte, davanti a unatazza di doppio caffè nero all’americana. Nora, la sua compa-gna, capelli decolorati praticamente bianchi e molti tatuaggi“indielike”. Alberto gioca con lo zucchero, Nora torna in ca-mera: «Nora guarda che ho fatto un casino con la caffettiera,non so: è un po’ esplosa, c’è caffè dappertutto, non ho mica ca-pito come funziona...». Vabbé, e gli altri? «Arriveranno».Quando non si sa. Sono passati quattro anni dall’uscita del lo-ro ultimo album, Wow, altri quattro dal precedente Requiem.Chi ha più di quarant’anni forse non li ha mai neppure sentitinominare i Verdena, probabilmente la più grande speranza

della musica italiana oggi. Lo sono diventati fregandosene di qualsiasi regola legata al co-siddetto show business e portando la loro casa discografica sull’orlo di una crisi di nervi. Wowera un cd doppio considerato dalla Universal «un suicidio commerciale». «Ci dicevano: dopoIl suicidio del samurai, che era un nostro disco del 2004, adesso avete deciso di suicidarvivoi». Contro qualsiasi legge di mercato, invece, Wow debutta al secondo posto in classificae viene salutato dalla critica e dal pubblico, per una volta compatti, come un capolavoro, tan-to che alla fine dell’anno è al primo posto ovunque. Segue tournée trionfale: in un periodo incui molte band faticano a riempire i club, i Verdena fanno ovunque il tutto esaurito. Poi, do-po un anno di live, basta: «Ci sarebbe sembrato di stancare la gente a farne di più», e torna-no in studio. Lì inizia il «solito delirio». I Verdena vengono da Abbazia, provincia di Berga-mo, lontano dal mondo. Lì hanno ricavato uno studio da un pollaio e l’hanno chiamato con

un nome inglese dallo stesso significato“Henhouse”.

Intanto, finalmente è arrivata anche Ro-berta. Suona principalmente il basso ma an-che pianoforte, tastiere e altro. Come vi sie-te conosciuti? «Nel 1996 sono andata a ve-dere un loro concerto quando ancora si chia-mavano Verbena. Avevo visto in giro un vo-lantino con su scritto: “Verbena” e tra pa-rentesi “(punk)”. Suonavano in un postogigante. C’erano cinque persone. Ma eranobravissimi. L’incontro tra di noi non è statomolto positivo perché ero andata subito arompere le palle dicendo che, secondo me,non erano per niente punk». Roberta Sam-marelli suonava con un gruppo femminile,le Porno Nuns (“pornosuore”, in pieno stileriot grrrls, il movimento femminista del pe-riodo grunge con band come Bikini Kill o leHole di Courtney Love, compagna di KurtCobain dei Nirvana). Gli altri Verdena sonodue fratelli: Alberto e Luca Ferrari. Alberto èil cantante ma è anche un multistrumenti-sta e di fatto l’implacabile (soprattutto ver-so se stesso), ossessivo, geniale produttoree custode del suono del gruppo. Luca è il bat-terista ma anche l’autore di disegni e colla-

ge spesso utilizzati per le copertine e gli al-bum: è una persona timida e gentile che amavivere lontano dal mondo in una casa tra lemontagne. Quando si è rotto il riscaldamen-to non l’ha aggiustato. E nelle valli fa freddo.Una delle sue passioni, nei pochi momenti incui non suona, è andare a funghi. Sa quali sce-gliere.

Ancora Roberta: «Il basso ho iniziato a suo-narlo per caso quando loro hanno mandatoa casa il vecchio bassista perché non si erapresentato a una prova». Alberto: «Il gruppol’abbiamo creato io e mio fratello nel 1995.Da sempre siamo stati intransigenti: se qual-cuno mancava a una prova era fuori perchévoleva dire che non c’era la passione». Ro-berta: «A quel punto il nostro scopo era farepiù concerti possibile perché era l’unico mo-do per farci conoscere. Abbiamo partecipa-to a un concorso di band, anche se non ci pia-cevano i concorsi. Nella giuria c’era quelloche sarebbe poi diventato il nostro managerche adesso abbiamo lasciato. Due mesi dopoabbiamo registrato un demo a spese nostre,trecento copie. In due giorni abbiamo messogiù dodici pezzi. Con quello il manager habussato alle case discografiche. Alla Univer-sal il demo è piaciuto, sono venuti a vedercisuonare e poi ci hanno fatto un contratto. Erail 1997». Chi è il vostro manager adesso? «Io»dice Roberta. «Ma non è un vero lavoro per-ché mica vengo pagata».

Un raggio di sole illumina il tavolino. «Cer-to che Roma è bellissima», dice Alberto.«Non venivamo qui da un bel po’ e ieri seraquando siamo arrivati, ci siamo rimasti: lun-go la strada per venire in albergo c’era unapiazza piena di gente che dormiva per ter-ra». L’Italia di questo periodo. Non a caso ilvostro nuovo disco si chiama Endkadenz,che suona come “in decadenza”. A Bergamola crisi è meno forte? «Mah forse la gente haancora un po’ di soldi, e no, non c’è questa si-tuazione, magari è più facile trovare l’im-prenditore che si suicida». Luca (nel frat-tempo è arrivato), jeans e capelli lunghi, co-me nel primo periodo di Kurt Cobain: «Mi fasentire male stare in un hotel e parlare di mu-sica quando la gente non ha i soldi per man-giare. Comunque per me va bene se nel tito-lo del disco qualcuno ci vede questo senso didecadenza ma in realtà l’album è ispirato aun’altra cosa». Alberto: «È assurdo vedere lagente per terra. Mi viene in mente una frasedi John Lennon che dice: “Ciascuno dovreb-be avere una casa”. Vabbé anche noi non èche abbiamo tutti questi soldi. Con il tempoche sono durate le registrazioni abbiamo fi-nito tutto quello che avevamo guadagnatocol tour». Roberta: «Abbiamo pagato il trenocon la carta di credito perché contanti in cas-sa non ce ne sono più». Per il disco preceden-te era stata costretta a un certo punto a farela cameriera in un ristorante: «Avevamo de-biti con tutti, ma li abbiamo ripagati appenaabbiamo iniziato a fare concerti».

Anche questa volta la preparazione del di-sco è stata un’impresa mostruosa. Alberto:«Un anno di jamin cui suonavamo a caso dal-le sette alle dodici ore al giorno. Io poi di not-te riascoltavo e scremavo, fino a che ho mes-

I TESTI

PER ALBERTO CHE NE È L’AUTOREHANNO UN SIGNIFICATO COMPIUTO.IN REALTÀ SONO SUGGESTIONI CHENASCONO COME SEMPLICE SUONO

IL PAESE

ABBAZIA DI ALBINO (BERGAMO),BADÉA IN DIALETTO, È IL PAESE IN CUI SI TROVA LO STUDIO DI REGISTRAZIONE DEI VERDENA

I DISCHI

IN SENSO ORARIO:LA COPERTINA DELL’ALBUM

“REQUIEM”, DEL 2007. IL DOPPIOCD “WOW” DEL 2011,

CONSIDERATO DA CRITICAE PUBBLICO IL CAPOLAVORO

DELLA BAND E, INFINE,“ENDKADENZ”, IL VOLUME

UNO DI DUE ALBUM GEMELLI.IL SECONDO USCIRÀ

ALL’INIZIO DELL’ESTATE

“Se facciamo pochi dischiè per non rompere troppo le balle”

Chiedichi sono

iVerdena

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 33

so insieme dodici cd da trenta pezzi l’uno». Euna canzone vera e propria come nasce?«Prendiamo i cd e risuoniamo i pezzi e ve-diamo se da lì si sviluppa qualcosa, cosa pos-siamo tenere e cosa no. Poi arriva la parte piùcervellotica, quella delle sovraincisioni incui devi essere molto preciso. Anche per que-sto lavoro è andato via un anno». Ma tu co-nosci la musica? «No». Però suoni anche ilpiano? «Io non so suonare il piano. Faccio tut-to a orecchio». Come hai scoperto la musica?«A sei anni ho visto Ritorno al futuroe alla fi-ne c’era una jam session. Mi piaceva da mat-ti quella cosa lì. Poi c’era mio zio che facevafree jazz e suonava un piano tutto scordato,che mi ha passato una cassetta dei Beatles:per sei anni ho ascoltato solo loro, non me nefregava niente di altro, in casa mi odiavanotutti. Un giorno ho comprato un metodo dichitarra in edicola e così ho imparato gli ac-cordi: “che figata, si possono mischiare!”. Poic’è stato il punk: il gruppo preferito di nostrozio erano i Germs e io e Luca quando ascol-tavamo questo pezzo, No God, andavamofuori di testa: urlavamo, ci picchiavamo».Quando funziona una canzone? «Quando c’èil testo in italiano. Una volta che il pezzo èpronto musicalmente ragiono solo seguen-do il suono, poi è una cosa inspiegabile le pa-role vengono: ci può volere un giorno o unmese. In questo disco le linee vocali sono mol-to ritmiche, il che ha reso le cose complica-tissime». I vostri testi sono molto particola-ri... Alberto: «Io so di cosa parlano i miei testi.Non hanno diversi significati, come pensaqualcuno. Io non vorrei dar fastidio alla mu-sica con un concetto troppo forte. Ma nonvorrei nemmeno essere troppo poco fasti-dioso da non essere forte nel testo». L’altravolta un doppio cd, questa volta due album,uno che esce martedì, l’altro invece all’iniziodell’estate. Perché? Alberto: «Non voleva-mo rompere le palle. A parte che la casa di-scografica ci ha detto che oggi, vista la crisi idoppi cd non li fanno più. Questa volta i di-schi durano centoventi minuti in tutto, qua-ranta in più di Wow». Roberta: «Un po’ comeper il mio regista preferito, Lars Von Triercon Nymphomaniac: se avesse fatto un solofilm sarebbe stato un po’ pesantino credo.Lui è molto simile a noi». In che senso? Ro-berta: «Fa solo le cose che vuole lui».

Alla fine, possiamo rivelare il vero signifi-cato di Endkadenz? Luca: «Alberto e Rober-ta mi hanno regalato un libro con tutti i tipidi percussioni del mondo. Mi è caduto l’oc-chio su un compositore, Mauricio Kagel, unpazzo che voleva dare un effetto teatrale al-le sue performance obbligando il percussio-nista a infilarsi con tutto il busto nel timpa-no e rimanerci dentro alcuni minuti. È la “ca-denza finale”, l’ultimo “colpo”. Ci piaceva l’i-dea che il nostro disco fosse questo: il colpofinale del concerto».

Mentre se ne vanno Alberto sfrega lebraccia lungo il bancone bianco luccicanteal centro del bar dell’hotel saltellando edemettendo qualche strano suono, quasi co-me se una lieve Tourette lo obbligasse a far-lo. «Non ho dormito niente per finire il discoe la settimana scorsa mi è anche venuto viaun dente». Nella hall di sotto Luca e Robertasi sono appollaiati su modernissimi divanidi design sfogliando riviste, mentre elegan-ti businessmen passano accanto guardan-doli con una certa curiosità. La visione in ef-fetti è strana e, non so perché, mi sembrache sappia di libertà.

I TESTI

ECCO COME NASCE UN TESTODEI VERDENA: IN “HO UNA FISSA”CHE APRE IL NUOVO ALBUM“SIMULA UN’IDEA” DIVENTA “STIPULA”

LA SEQUENZA

I BRANI HANNO NOMI DI PROVACHE CAMBIANO NEL TEMPO. ANCHELA SEQUENZA È IL RISULTATODI UN LUNGO LAVORO DI ASCOLTO

IL LIBRETTO

PARTICOLARE CURA SEMPRE ANCHENEL LIBRETTO E NELLA COPERTINA:“PER SCEGLIERLA DEVE ANDAREBENE PER TUTTI I BRANI”

LA BAND

DA SINISTRA: ALBERTO FERRARI È VOCE, CHITARRA E PRODUTTORESUO FRATELLO LUCA È ALLA BATTERIA,ROBERTA SAMMARELLI AL BASSO

LO STUDIO

“HENHOUSE” LETTERALMENTESIGNIFICA “POLLAIO”: È IL LUOGODOVE I VERDENA SI SOTTOPONGONOA QUOTIDIANE, INFINITE JAM SESSION

LE ICONE

GLI ISPIRATORI DELLA BANDBERGAMASCA SONO ASSAI DIVERSI:DAI BEATLES AL PUNK PIÙ ESTREMO,DAI BEACH BOYS AI NIRVANA

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 34LA DOMENICA

Next. In laboratorio

ROBERTO

BATTISTON

PRESIDENTEDELL’AGENZIASPAZIALEITALIANA

20,5 miliardi di euroÈ LA SPESA PER LA RICERCA SCIENTIFICA IN ITALIANEL 2012, PARI ALL’1,26 PER CENTO DEL PIL:RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE È AUMENTATASIA IN TERMINI REALI (+1,9 PER CENTO)CHE NOMINALI (+3,5 PER CENTO),MA È SEMPRE SOTTO LA MEDIA UE, DOVE SI INVESTE OLTRE IL 2 PER CENTO DEL PIL

Astrofisica Nanotecnologie Epidemiologia

MENTRE SI CELEBRA il centenario della

relatività generale di Einstein, saràlanciato in orbita il satellite LisaPathfinder (finanziato da Asi e Isti-

tuto nazionale di fisica nucleare e guidato da unitaliano, Stefano Vitale, dell’Università diTrento), uno strumento che dovrà testare letecnologie alla base dell’interferometro Lisa,destinato alla misura delle onde gravitazionalinello Spazio. E nei primi mesi dell’anno i dati ri-levati dal satellite Planck, dell’Esa, permette-ranno di verificare i risultati dell’esperimentoBiceps2 sulle onde gravitazionali primordiali,ma soprattutto di ricostruire una mappa detta-gliata dell’universo nei primi istanti di vita.

Ma il 2015 sarà soprattutto l’anno dei piane-ti nani. Il 6 marzo la sonda Dawn, della Nasa, ar-riverà nell’orbita di Cerere, il corpo più volumi-noso della fascia degli asteroidi. Il 14 luglio, in-vece, New Horizon, sempre della Nasa, lancia-ta nel 2006, raggiungerà Plutone, per studiarela geologia e la morfologia del pianeta e del suosatellite Caronte.

ROBERTO

CINGOLANI

DIRETTORESCIENTIFICODELL’ISTITUTOITALIANODI TECNOLOGIA

QUANDO PARLIAMO DI SVILUPPO di nuovimateriali pensiamo ai materiali su-perleggeri per i trasporti, allo svilup-po di contatti nanostrutturati per

batterie di altissima capacità e basso peso, allosviluppo di catalisi per applicazioni ambientalied energetiche. Un settore in crescita è quellodei materiali ecosostenibili, come plastiche bio-degradabili e materiali biocompatibili con pro-prietà multifunzionali: spugne che scelgonoche cosa assorbire, catalizzatori in grado di eli-minare gas nocivi dai carburanti ecologici, car-ta che diventa antibatterica o idrorepellenteper applicazioni sanitarie o di imballaggio dei ci-bi. Infine, una possibile rivoluzione dietro l’an-golo include genomica computazionale e speri-mentale, sviluppo di tessuti artificiali semprepiù simili a quelli naturali e studio di nanoparti-celle in grado di identificare una mutazione a li-vello molecolare per la diagnostica super pre-coce e a bassissimo costo, e di trasportare nellecellule malate dosi infinitesime di medicinaliper terapie selettive e personalizzate.

GIUSEPPE

IPPOLITO

DIRETTORESCIENTIFICODELL’ISTITUTONAZIONALEPER MALATTIEINFETTIVESPALLANZANI

L’EPIDEMIA DI EBOLA apparsa in Africa oc-

cidentale nel 2014 è solo l’ultima del-le epidemie virali che destano allarmesociale. Finora ha infettato più di ven-

timila persone e ne ha uccise oltre ottomila, nu-meri destinati ad aumentare. Secondo l’ultimastima, prodotta dalla Columbia University loscorso 31 dicembre, continuerà a crescere, an-che se più lentamente, nei prossimi tre mesi. Perbloccarla occorre un’azione coordinata, con l’i-dentificazione certa dei casi, l’isolamento deipazienti, la raccolta sistematica dei dati, l’infor-mazione della popolazione, la formazione deglioperatori sanitari, un’adeguata gestione clini-ca. Nel 2015 continueranno gli studi su patoge-nesi e modalità di trasmissione, finora poco chia-re, e procederà la valutazione delle centinaia difarmaci candidati. Secondo la Banca Mondiale,Ebola potrebbe costare fino a 32,6 miliardi didollari entro la fine del 2015, e per questo biso-gna creare un team internazionale di esperti inmalattie infettive in grado di operare anche inaree della logistica e di evacuazioni mediche.

Eureka 2015

MARCO CATTANEO

INCONTRO DIROSETTAcon la cometae i robot cooperativi, l’origine de-gli uccelli e l’elisir di eterna giovi-nezza. Ma anche microchip che si-mulano il cervello, metodi perestendere l’alfabeto della vita ag-giungendo nuove basi al Dna, cel-lule che potrebbero curare il dia-bete, immunoterapia del cancro elotta all’Ebola. Come ogni anno, leprincipali riviste scientifiche han-no da poco stilato le loro classifi-

che delle scoperte più sensazionali del 2014, e già sirincorrono le previsioni su quali saranno le novitàdell’anno appena iniziato. C’è chi punta sulla matu-razione di nuove tecnologie basate sul grafene, una

forma di carbonio costituita da strati dello spessoredi un solo atomo. E chi invece è pronto a scommettere

che con la riaccensione di Lhc, il grande collisore del Cern,potrebbero esserci sorprese sul fronte dell’enigmatica mate-ria oscura, per esempio, che costituisce l’85 per cento della

Spugne che scelgonocosa assorbire,genisu misura, pianeti nani

L’

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 35

Medicina

Clima Genetica

ALBERTO

MANTOVANI

DIRETTORESCIENTIFICODELL’ISTITUTOHUMANITASE DOCENTEALL’HUMANITASUNIVERSITY

NEGLI ULTIMI ANNIle armi del sistema im-

munitario si sono affiancate alle tera-pie tradizionali nella lotta al cancro.Gli anticorpi, innanzitutto, hanno

cambiato la storia dei linfomi e di tumori solidi co-me mammella e polmone. Tra i nuovi farmaci insperimentazione, uno su tre è un anticorpo, e lanuova frontiera è coniugare agli anticorpi i che-mioterapici, veicolandoli contro il cancro e ridu-cendone la tossicità sui tessuti sani. Ancora, so-no in fase di sviluppo metodi mirati a togliere al-le nostre difese i “freni molecolari” che il tumoreattiva. E stanno muovendo i primi passi in clini-ca farmaci e anticorpi che bloccano componentidel sistema immunitario che aiutano il cancro.Grandi speranze, poi, sono legate alle terapie cel-lulari, che già danno risultati incoraggianti neitumori ematologici: oggi possiamo prelevare cel-lule del sistema immunitario, farle crescere,educarle e poi reinfonderle nei pazienti. Infine,abbiamo imparato a usare i vaccini: quelli pre-ventivi sono già realtà, quelli terapeutici unasperanza su cui si lavora in tutto il mondo.

DONATELLA

SPANO

PRESIDENTEDELLA SOCIETÀITALIANAPER LE SCIENZEDEL CLIMA

NEL2015 CISIASPETTANOscelte politiche

forti sulle emissioni di gas serra, an-che in seguito agli accordi bilateralitra Stati Uniti e Cina dello scorso an-

no. Scelte che dovrebbero arrivare con la Con-ferenza sul clima di Parigi che si aprirà il 30 no-vembre. A quell’appuntamento la scienza do-vrà arrivare con nuovi modelli climatici che per-mettano di avere informazioni locali e detta-gliate. Senza trascurare i modelli globali, sononecessarie analisi sul piano locale, perché l’im-patto del cambiamento climatico è molto di-verso da regione a regione. E questi modelli do-vranno permettere di valutare non solo le con-seguenze ambientali, ma anche quelle socioe-conomiche dei mutamenti in atto.

Dal punto di vista scientifico, l’attenzionesarà puntata sullo studio delle aree più fragili,come l’Artico, le regioni costiere, le barriere co-ralline. Ma occorrerà concentrarsi anche sul-l’incremento degli eventi meteorologici estre-mi, di cui fino a oggi molti modelli climatici nonriuscivano a tenere conto.

EDOARDO

BONCINELLI

GENETISTAE RICERCATORE

LE NUOVE CONOSCENZE riguarderanno pro-

babilmente il ruolo regolativo dei mi-croRna, piccole molecole di Rna non piùlunghe di 20-22 nucleotidi. Per essi sco-

priamo sempre nuove funzioni e nuove implica-zioni nei fenomeni biologici più diversi. Sarannoi protagonisti della biologia del prossimo futuro.Sono anche in corso molti studi sulla geneticadelle malattie ereditarie a carattere complesso,come la schizofrenia o l’autismo. Sono studi chenecessitano la collaborazione di più laboratori,perché occorre analizzare migliaia di casi, pro-cedendo “alla cieca”: si analizza il genoma dei pa-zienti e lo si confronta con quello di parenti sani,una forma di “caccia ai geni” impossibile da at-tuare prima di oggi. Sul piano applicativo invecesi moltiplicano i metodi per modificare i geni apiacimento. L’ultimo grido è la Crispr, una tec-nica che sfrutta sequenze ripetute presenti nelgenoma della nostra specie. Faremo geni su mi-sura e cellule su misura; ma anche uomini e don-ne su misura? Non perdiamoci questo capitoloappassionante e allo stesso tempo inquietante.

Sei scienziati italianici raccontanole scoperte dell’annomassa dell’universo. E chi pensa invece che potrebbero co-minciare a dare qualche frutto i grandi investimenti di Euro-pa e Stati Uniti nello Human Brain Project e nella Brain Ini-tiative, i due programmi decennali per lo studio del cervelloavviati all’inizio del 2013. Secondo Nature, che ha azzardatouna lista di temi caldi per il 2015, potrebbero arrivare sul mer-cato nuovi farmaci anti-colesterolo, anche considerati i risul-tati positivi dei trial clinici condotti quest’anno. Ma potreb-bero esserci scoperte rivoluzionarie anche nel campo della pa-leoantropologia. Se si dovesse riuscire a sequenziare il geno-ma completo di un esemplare di Homo sapiens di quattro-centomila anni fa, proveniente dal sito spagnolo di Sima delos Huesos, si chiarirebbero i legami evolutivi tra i nostri an-tenati, l’uomo di Neanderthal e un altro enigmatico gruppoumano, i denisoviani, scoperto solo pochi anni fa.

Per ricordare una cautela che molti attribuiscono al grandefisico danese Niels Bohr, «è difficile fare previsioni, soprat-tutto sul futuro». Tuttavia abbiamo chiesto ad alcuni dei piùcelebri scienziati italiani di raccontarci che cosa si aspettanoda sei settori di ricerca in particolare fermento, alcuni dei qua-li erano già stati sotto i riflettori lo scorso anno. Ecco il quadroche ne è uscito.

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Page 12: S2501NZ0XXXX025025N000 col Edownload.repubblica.it/pdf/domenica/2015/25012015.pdfa sé un manipolo di amici e insieme a loro, attraverso burle innocenti di ogni tipo, si divertiva

la Repubblica

DOMENICA 25 GENNAIO 2015 36LA DOMENICA

LICIA GRANELLO

NA PYREX È PER SEMPRE”. Se esistono punti di nonritorno nella storia dell’evoluzione in cucina,uno è sicuramente fissato all’inizio del 1915,quando le primissime pirofile in vetro borosi-licato furono immesse sul mercato.

Un secolo dopo, la magia del vetro che resi-ste al freddo e al fuoco desta ancora un piccolobrivido. Negli anni, abbiamo imparato a leg-gere i libri sui tablet e a programmare intereserie televisive con un clic sullo smartphone.La tecnologizzazione di utensili e stoviglie ciaffascina come l’affaccio su una nuova fron-

tiera. Malgrado la crisi persistente, il successo di reality e tutorial televisi-vi ha trasformato i negozi di utensili da cucina — upgrade dei buoni, vec-chi empori di casalinghi — in luoghi di culto gastronomico, dove spenderetempo e denaro per ispirarsi, vuoi in cimenti personali, vuoi in regali mi-rati. Il guaio è che abbiamo conservato la memoria degli attrezzi da cucinatradizionali, senza più saperli (o volerli) usare, ma ancora fatichiamo a

8 utensili di precisione

Il libro

In doppia edizione, italiana e inglese, il primo libro

di Massimo Bottura si intitola“Vieni in Italia con me”:

racconta la storia e l’evoluzione del cuoco italiano che più di tutti ha saputo interpretare la cucina di territorio adattandola ai gusti

del nuovo millennio

Il festival

Sifoni, essiccatori e cotturesottovuoto saranno protagonisti

in cucina lunedì prossimo in occasione di “Tour-tlen -

il festival del tortellino” che ognianno mette a confronto le ricette

tradizionali e creative di otto tra i migliori chef della scena

bolognese e modenese

L’appuntamento

Si svolgerà dall’8 al 10 febbraioa Milano l’undicesima edizione

di Identità Golose, congressointernazionale di cucina

d’autore. Tra i temi, la cucinaestrema declinata da alcuni

tra i più creativi cuochi italiani e internazionali, come Paolo

Lopriore e Daniel Burns

UN SECOLO ESATTODOPO L’INVENZIONE

RIVOLUZIONARIADEL PYREX,

CIOÈ IL VETROBOROSILICATO

DELLE PIROFILE,LA TECNOLOGIA

OFFRE OGGI TANTIALTRI STRUMENTI

SOFISTICATIE GENIALI

PER COTTURESEMPRE PIÙ

SORPRENDENTI.A SAPERLI USARE

Sapori. Per gastronauti

CaramellizzatoreMetà cannello della fiamma ossidrica e metà pistola, caricato a gas butano, sprigiona una fiamma regolabile,ideale per caramellizzare la crème

brûlée, scaldare, scottare le superficidi pesci e carni

Abbattitore domesticoNato sull’onda del rischio anisakis(parassita del pesce che muoresotto i -18° e sopra i 72°), surgela così rapidamente da formaremicro-cristalli di ghiaccio, che nonrovinano la consistenza della polpa

CoravinHa un ago sottilissimo che perforacapsula e tappo insufflando argon (un gas naturale) e facendo defluireil vino. Il contenuto della bottiglia,senza ossigeno, si conserva intatto per anni

iGrillSincronizzato con la app dedicata,il termometro digitale connessovia Bluetooth permette di controllarele temperature di cottura direttamentedallo smartphone e di modificareeventualmente i gradi

La cucina hi-tech.Addio vecchio mattarellotutto ilpotereaiGrillabbattitori emicroplane

“U

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 37

maneggiare con disinvoltura i nuovi gioielli della tecnologia casalinga. Co-sì, mandati in soffitta mattarelli e trinciapolli, guardiamo con ansia da pre-stazione culinaria i nuovi chef che soffiano, evaporano, essiccano, adden-sano come piccoli chimici cresciuti.

Eppure, la gastro-tecnologia è un supporto straordinario per una cucinapiù buona, sana, diversa. Se la generazione dei cuochi cinquantenni è sta-ta illuminata dalle intuizioni geniali di Ferran Adrià e Joan Roca, quella suc-cessiva cerca di trovare la sintesi tra sperimentazione e semplicità. Gustinetti, puliti, a volte anche inconsueti, estratti ed esaltati grazie ai nuovistrumenti. La ricerca ha spesso la faccia e il genio di artigiani con la pas-sione del cibo addosso. Il veronese Paolo Schirò, da venticinque anni nelcampo delle macchine per la cucina, ama le verdure. La bollitura le uccide,il vapore mitiga i danni, il microonde abbrevia i tempi di cottura, ma nonentusiasma. La cottura sottovuoto è inapplicabile alle foglie (spinaci, er-bette...) che ne escono snervate e malamente appiattite.

La soluzione è una teglia in acciaio con coperchio, valvola per estrarrel’aria e termometro digitale. Tra i primi a credere nell’invenzione di Schirò,la famiglia Baudracco, storica proprietaria di una delle migliori gastrono-mie d’Italia (a Torino). I Baudracco provano, scoprono che i pesci riesconomorbidissimi, gli arrosti succulenti, le verdure verdi e croccanti come ap-pena colte, pur se cotte, con volume e consistenza intatti. I clienti, delizia-ti e stupiti, non capiscono come si possa ottenere una cottura tanto spe-ciale. Nei prossimi mesi, la teglia con sottovuotatore Tecla verrà lanciatain formato domestico. Discorso analogo per il vino. I Ceretto, famiglia di ba-rolisti illustri, hanno deciso di importare l’utensile ideato da Greg Lam-brecht, ingegnere biomedico americano innamorato del vino. La gravi-danza della moglie — costretta a limitare l’assunzione di alcol — l’avevamesso di fronte a un bivio: smettere di aprire le bottiglie migliori o lasciar-le aperte a metà. L’idea di utilizzare un ago da endovena per forare il tap-po senza danneggiarlo si è trasformata in un prototipo sperimentato su vi-ni importanti, invecchiati. A distanza di cinque anni, nessuna differenzadal primo assaggio. E il Coravin è stato messo in produzione. Tempi duriper l’aceto fatto in casa.

JOAN ROCA

ALGRADO I MIEI FRATELLI E IO

siamo nati e cresciuti inuna famiglia di ristoratorimolto tradizionali, negliultimi anni abbiamo

sviluppato tecniche che hanno rinnovatoil Dna del nostro ristorante, dando altempo stesso, credo, un contributo allacucina contemporanea. Abbiamo impostato il nostro lavoro —Josep nel mondo del vino edell’accoglienza, Jordi in pasticceria e ioin cucina — affascinati dall’idea diinseguire il non evidente. Nascondere latecnica per potenziare il sapore, come inun gioco di specchi. Abbiamo cominciatoa studiare il sottovuoto nel 1997,sviluppando un termostato aimmersione termica, il Roner, per ilcontrollo della temperatura dell’acqua dicottura. In questo modo, si sono allungatii tempi e abbassati i gradi, attuando dellecotture lente e delicate. Quattro anni piùtardi, è stata la volta di una macchina ingrado di aspirare il fumo di un sigaro einsufflarlo nella gelatiera, per avere inbocca il sapore del fumo di un sigaroAvana. Il dolce in cui abbiamo messo inpratica questa tecnica, “Viaggio aL’Avana”, composto da un finto sigaro dicioccolato riempito con gelatomantecato al fumo, è uno dei dessert acui siamo più legati. Un’altra tecnica checi è molto cara è quella dello zucchero,soffiato e modellato come un vetro diMurano, colorato con l’aerografo efarcito con una mousse ricavata dallapolpa del frutto imitato, come l’albicocca.Nel 2005 abbiamo poi ideato il Rotaval,ovvero un distillatore sottovuoto a bassatemperatura, così da non bruciare gliaromi. Il piatto-simbolo di questainnovazione è l’ostrica con distillato diterra. L’ostrica è protagonista anchedella texturizzazione dello spumantespagnolo, il Cava: una tecnica chepermette di addensare il vino, facendoneuna salsa di accompagnamento, senzadisperdere l’anidride carbonica al suointerno. Il vino abbiamo imparato anchea cuocerlo davanti ai nostri clienti,trasformandolo in vapore per profumareun determinato piatto. La nostra nuovasfida si chiama ora Tierra Animada:vogliamo distillare l’anima del nostroambiente botanico — piante, foglie, fiori,steli e radici — elaborando oli essenziali,profumi e distillati. Per far questo,abbiamo inserito nella nostra squadra unbotanico, due chimici e un alchimista. Ilnostro intento è coinvolgere tutti i sensidi chi si siede ai nostri tavoli, dandopiacere e facendo riflettere sullameraviglia dei cibi che madre Natura cimette a disposizione.

(Traduzione di Luis E. Moriones)Joan Roca gestisce insieme ai fratelli

“El Celler de Can Roca” di Girona,tre stelle Michelin

e al secondo posto nella classifica“The World’s 50 Best Restaurants”

Così creaiil gelatoal fumodi sigaro

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Alla giustatemperaturaBistecca di manzo alla grigliacotta sul barbecue,con termometroper carne

MicroplaneUtilizza il sistema delle raspeda falegname, la grattugia specialeche polverizza o taglia a scagliefinissime — a seconda delle lame —regalando un effetto nuvola a tartufi,agrumi, noce moscata

Bilancino digitaleUn tempo solo ad appannaggiodegli orafi, il bilancino che misuraa partire da 0.01 grammi (fino a 100-120 grammi) calcola le grammatureminime di polveri addensanti per le ricette della nuova cucina

Piastra di saleArriva dalle saline dell’Himalayala mattonella rosa che una voltascaldata sul fuoco basso o in forno(200°C) cuoce senza bruciaree mantiene a lungo il calore. Ottimaanche per servire il pesce crudo

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Big Green Egg MiniIl più piccolo dei barbecuein commercio (diametro internodi 25 centimetri) ha pareti e coperchiodi ceramica e temperatura finementeregolabile. Può funzionare da grill,affumicatore o per cotture lente

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DOMENICA 25 GENNAIO 2015 38LA DOMENICA

“Vengo da una famiglia del Galles molto religiosa. A quindici annicominciai a cercare nei filosofi la risposta ai grandi interrogativi:esiste Dio? La Bibbia è vera? Durò poco, le risposte trovate mi han-

no convinto a diventare ateo e laburista” racconta lo scrittore da

centocinquanta milioni di copie vendute nel mondo. Che qui parla

di welfare (“la ricetta? il sussidio di disoccupazione”), Obama (“è

vero che i neri vengono ancora

ammazzati per strada da poli-

ziotti bianchi, ma almeno adesso

fanno notizia”) e generi letterari:

“Preferisco il thriller al misteryperché nel thriller la domandanon è chi è stato oppure ce lafarà?Bensì: ce la farò? “

sono convinto che in un momento di crisi come questo lachiave per salvare il welfare sia nel sussidio di disoccupa-zione. E le dirò un’altra cosa: abbiamo il sussidio, possiamopermettercelo, grazie al vituperato capitalismo. Proprioperché produciamo ricchezza possiamo farci carico deglistrati più bassi della società. Tuttavia, il capitalismo ha biso-gno di un principio di temperamento, non può essere lasciatoa se stesso. Senza la socialdemocrazia, il capitalismo è fuoricontrollo. Dobbiamo riprenderci il welfare, vigilare perché nonvenga distrutto. Ma io non riesco a essere pessimista. Ce la fare-

sere tanti errori, gli uomini cambiano, e senza cambiamento c’è solomorte. Prenda l’Europa: sino a metà del secolo scorso tedeschi e fran-cesi si combattevano senza tregua. Oggi sono alleati in un grandeprogetto politico comune. Cambiamento, cambiamento. Negli anni

della Guerra Fredda i più conservatori erano i comunisti. Non vole-vano saperne del cambiamento. Il peggio viene dopo Kruscev,

quando è chiaro che il sistema agonizza, ma loro non inten-dono ragioni. E tuttavia, quello di Kennedy e di Kruscev eraun tempo di grandi speranze. Si confrontavano carattericomplessi, ma di grande intelligenza. Kruscev era un uo-mo abile. I Kennedy erano amabili e cinici. Tutti insiemesalvarono il mondo dalla crisi di Cuba». E chissà come sa-rebbe andata a finire, senza il piombo di Dallas. Follettsi concede una bella risata. «Chiesi una volta a Gore Vi-dal: ma che sarebbe successo se JFK non fosse stato uc-ciso a Dallas? Lui rispose: Onassis non avrebbe sposatola vedova. Comunque, senza i Kennedy non ci sarebbestato Obama, il primo presidente nero della storia ame-

ricana. Una svolta epocale». E come la mettiamo con la po-lizia razzista, la rabbia dei neri e via dicendo? Sembra che

sia cambiato poco o niente, in realtà. «Al contrario. È cam-biato tutto. L’elezione di Obama ha mandato su tutte le fu-rie i conservatori. Cinquant’anni fa se un poliziotto biancouccideva un nero era un fatto normale, oggi se ne parla intutto il mondo, dall’Asia all’Europa. Continuo a essere otti-mista». E allora perché non salutare i lettori con una fraseottimistica? Follett allarga le braccia. «Una frase? Ma come

può uno come me abituato a scrivere minimo tremila pagine?Poche parole non è il mio campo, sorry».

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IL ROMANZO STORICO CI FA SCOPRIRE CHE PERSONETANTO LONTANE NEL TEMPO AVEVANO LE NOSTRESTESSE ESIGENZE: SPOSARSI, FARE FIGLI, LAVORARE,MA IN UN CONTESTO MOLTO PIÙ FEROCE. COSÌ CI CHIEDIAMO: E IO, COME MI SAREI COMPORTATO?

NON BASTA DIRE:SCRIVERE

MI DIVERTE SE IO DICESSI

MIA MOGLIEMI PIACE

DIREI LA COSASBAGLIATA.

LA FRASE GIUSTA È:AMO MIA MOGLIE

COSÌ È ANCHEPER LA SCRITTURA.

NON ÈIL DIVERTIMENTO

LA MOLLA, È LA NECESSITÀ

L’incontro. Bestsellers

Ken

mo». Una professione di fede a tutti gli effetti, non c’è che dire. La parola “fe-

de” strappa a Follett un sorriso. «Vengo da una famiglia molto religiosa ecominciai presto a discutere di religione con mio padre. A quindici anni hocominciato a cercare nei filosofi la risposta alle grandi domande: esiste Dio?La Bibbia è vera? Grazie alla filosofia ho trovato una risposta importante:sono ateo. Non credo alla fede perché mi chiede di credere senza prove, eio senza prove non credo a niente. Peraltro, ne I pilastri della Terra ho rac-contato un prete profondamente animato da una vera fede. Padre Philipcostruisce la cattedrale per la gloria di Dio. È il mio personaggio più riusci-to». Pausa. «Ironia», precisa, tanto per essere chiari.

Se politica e filosofia scaldano mister Follett, cancellando quell’inizialesensazione di educato distacco, parlare di scrittura lo eccita. «Potrei dire:scrivere mi diverte. Ma non basta. Se io dicessi: mia moglie mi piace, direila cosa sbagliata. La frase giusta è: amo mia moglie. Amore. Così è per lascrittura. Non è il divertimento la molla. È la necessità. Scrivere coinvolgel’intero mio essere».

Ma non c’è amore, naturalmente, senza metodo. «In genere parto da unasituazione che mi colpisce. Una volta catturata l’idea, spendo molto tem-po a preparare il progetto del libro, anche sei mesi, un anno. Alla fine houno schema di una settantina di pagine dal quale non mi distacco mai. Hotutto in mente prima ancora di scrivere la prima parola. Mi tengo fedele al-lo schema, ma mi prendo tutto il tempo del mondo per scrivere». Scrittorepuro, Follett considera con benevola tolleranza i numerosi adattamentidelle sue opere letterarie. «Nella serie tratta dai Pilastri ho recitato nellapiccola particina di un mercante francese. Ma la serie l’hanno fatta senzadi me. In genere mi tengo alla larga dalle trasposizioni cinematograficheo televisive delle mie opere. A volte vengono bene, altre meno. Però La cru-na dell’ago è un gran film. Sono uno scrittore solitario, la fiction è un’atti-vità di gruppo, perderei tempo e ne farei perdere agli altri». Fra thriller emistery non ha dubbi: la sua preferenza va al primo. «Nel mistery la do-manda è: chi è stato? Come fare a prenderlo? Ce la farà? Nel thriller la do-manda è: ce la farò? È questo che mi interessa. Per esempio, in Una fortu-na pericolosa fui ispirato dalla vicenda di un banchiere vittoriano finito inmiseria, abbandonato da tutti, letteralmente costretto a lavarsi da sé labiancheria, una disperazione totale, insomma. Ma nello stesso tempo que-sto ex potente caduto in disgrazia è finalmente costretto a misurarsi conla realtà. E a porsi la domanda fatidica: ce la farò?». È la stessa domanda del-le grandi epopee storiche che Follett ama reinventare. «Nel romanzo sto-rico c’è un nucleo maledettamente affascinante. Sta nello scoprire che levite di persone tanto lontane da noi nel tempo, in fondo, rispondono allenostre stesse esigenze di oggi: sposarsi, fare figli, lavorare, sopravvivere,ma in un contesto molto più feroce, brutale. Perciò la domanda è: io, tra-sportato in quel tempo, come mi sarei comportato? Ce l’avrei fatta?».

La sua ultima fatica, I giorni dell’eternità, che chiude la monumentaletrilogia del secolo passato, è una grande narrazione che dagli anni Sessantaarriva sino ai giorni nostri. «Anche questo è un romanzo storico, con qual-che tratto autobiografico. Io c’ero, per dire, alle manifestazioni contro laguerra del Vietnam. Il romanzo è percorso da una dialettica continua fraconservazione e cambiamento. Anche se nel cambiamento ci possono es-

FollettNELLA SERIE TRATTA DAI “PILASTRI” HO FATTO UNA PARTICINA, MA IN GENERE MI TENGO LONTANO DALLE TRASPOSIZIONISU PICCOLO E GRANDE SCHERMOPERÒ “LA CRUNA DELL’AGO” È UN GRAN FILM

GIANCARLO DE CATALDO

ROMA

KEN FOLLETT ADORA IL BLUES. Suona il basso a orecchio «da quan-do ero alto così». A sentire quelli di Mondadori (il suo edito-re italiano) quando Ken si lascia andare è un vulcano. In que-sta mattina di pioggia, però, sprofondato in una poltrona nel-la “Sala delle Capre” dell’elegante hotel Hassler Medici di

Trinità dei Monti, con la chioma candida, l’aria concentrata, l’impecca-bile grisaglia con cravatta e fazzoletto al taschino e una altrettanto im-peccabile pronuncia posh, più che uno scatenato bluesman, Follett sem-bra il ritratto vivente del perfetto gentiluomo anglosassone. Distac-cato, lucido, ironico. In ogni caso, l’inglese rotondo e vagamente af-fettato dell’upper class sorprende in un figlio del Galles minera-rio. Per giunta orgogliosamente socialista. «Sono laburista, dasempre. Non proprio un amico di Blair, se vuole saperlo. E co-munque l’antipatia era ricambiata. Il Ventesimo secolo è statoil secolo della grande socialdemocrazia. Welfare, istruzione e sa-nità per tutti: non riesco a pensare a un modello migliore. La be-stia nera dei reazionari: il popolo legge, si istruisce, vuole progre-dire. Tutto questo è molto più pericoloso di qualunque rivoluzione.Il comunismo, che predicava la rivoluzione, è stato un fallimen-to totale».

Toni piacevolmente controcorrente, oggi che welfare suo-na quasi come una parolaccia. Follett scuote la testa. «Le dirò: