Gennaio-marzo 2015 Rivista Diocesinel segno della pace” (1 febbraio 2015) in L’Osservatore...

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ANNO CIV - n° 1 - Gennaio - Febbraio - Marzo 2015 Rivista della Diocesi di Treviso Atti ufficiali e vita pastorale 2015 ANNO CIV n° 1 GENNAIO FEBBRAIO MARZO Editore: Diocesi di Treviso Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, DCB Treviso. Finito di stampare nel mese di novembre 2015 Stampa: Grafiche Dipro - Roncade/TV C.C.P. 120311

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    2015 Rivista della Diocesi di Treviso

    Atti ufficiali e vita pastorale

    2015

    ANNO CIVn° 1GENNAIOFEBBRAIOMARZO

    Editore: Diocesi di Treviso

    Poste Italiane s.p.a.Spedizione in AbbonamentoPostale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004n. 46) art. 1, comma 2 e 3,DCB Treviso.

    Finito di stampare nel mese dinovembre 2015

    Stampa:Grafiche Dipro - Roncade/TV

    C.C.P. 120311

  • IndiceATTI DEL SOMMO PONTEFICE

    Angelus 5Catechesi settimanali 6Discorsi 7Lettere 9Messaggi 10Omelie di gennaio, febbraio, marzo 11

    ATTI SANTA SEDE 13

    ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA 15

    ATTI DEL VESCOVOOmelie 17Impegni del Vescovo 50

    ATTI DELLA CURIA VESCOVILENomine del clero 59Altre nomine 59Note del Cancelliere per la gestione degli Archivi parrocchiali 60Regolamento per la Gestione degli Archivi parrochiali 62Sacerdoti defunti 73

    DOCUMENTAZIONEOmelia di mons. Adriano Cevolotto , Vicario generalein occasione delle esequie di don Emilio Vidotto 77Omelia di mons. Adriano Cevolotto, Vicario Generalein occasione in occasione delle esequie di don Antonio Magnabosco 80Verbale del Consiglio Presbiterale 23‑24 febbraio 2015 82

    Rivista della Diocesi di TrevisoAtti ufficiali e vita pastorale

    Editore: Diocesi di Treviso, Piazza Duomo 2 - 31100 TrevisoDirettore responsabile: Mons. Giuliano Brugnotto, cancelliere vescovile - Stampa: Grafiche Dipro - Roncade/TV

    Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, DCB Treviso

    Anno CIV Gennaio - Febbraio - Marzo N. 1

  • Angelus

    � All’Angelus Francesco invita alla preghiera perché tutti siamo chiamati a co‑struire fraternità: “Alla radi ce della pace” (1 gennaio 2015) in L’Osservatore Ro‑mano, 2‑3 gennaio 2015, p. 7.

    � All’Angelus in piazza San Pietro il Pontefice annuncia la nomina di venti car‑dinali nel concistoro del 14 febbraio: “Non c’è futuro senza pace” (4 gennaio2015) in L’Osservatore Romano, 5‑6 gennaio 2015, p. 7.

    � L’Angelus in piazza San Pietro: “Un viaggio dell’anima” (6 gennaio 2015) inL’Osservatore Romano, 7 gennaio 2015, p. 7.

    � All’Angelus il Pontefice chiede ai fedeli di pregare per il viaggio in Sri Lankae nelle Filippine: “Questo è il tempo della misericordia” (11 gennaio 2015) inL’Osservatore Romano, 12‑13 gennaio 2015, p. 8.

    � L’Angelus del Papa con i ragazzi dell’Azione Cattolica a conclusione del mesedella pace: “Anche Dio ha sete” (25 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 26‑27gennaio 2015, p. 6.

    � All’Angelus il Papa annuncia il viaggio del prossimo 6 giugno: “A Sarajevonel segno della pace” (1 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 2‑3 febbraio2015, p. 8.

    � All’Angelus il Papa prega per le persone schiavizzate e ricorda la giornata delmalato: “La tratta è una piaga vergognosa” (8 febbraio 2015) in L’Osservatore Ro‑mano, 10 febbraio 2015, p. 7.

    � All’Angelus il Pontefice parla della guarigione del lebbroso e rivolge un augu‑rio agli orientali che si pre parano a celebrare il capodanno lunare: “Paura di toc‑care” (15 febbraio 2015) in L’Osservatore Roma no, 16‑17 febbraio 2015, p. 8.

    � All’Angelus il Papa ricorda che la Quaresima è un tempo di combattimento:“Attraverso il deserto” (22 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 23‑24 febbraio2015, p. 8.

    Atti del Sommo Pontefice5

  • 6 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    � All’Angelus il Papa indica la meta del cammino quaresimale: “Dopo la Croce lafelicità” (1 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 2‑3 marzo 2015, p. 7.

    � L’Angelus dell’8 marzo in piazza San Pietro: “Senza donne un mondo sterile” (8marzo 2015) in L’Os servatore Romano, 9‑10 marzo 2015, p. 8.

    � All’Angelus il Papa ricorda i cristiani vittime degli attentati in Pakistan: “La per‑secuzione che il mondo nasconde” (15 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 16‑17marzo 2015, p. 8.

    � All’Angelus il Papa parla del desiderio di incontrare Gesù: “Quelli che voglionovedere” (22 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 23‑24 marzo 2015, p. 5.

    � All’Angelus il saluto ai giovani riuniti per la trentesima giornata mondiale: “Ver‑so Cracovia” (29 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 30‑31 marzo 2015, p. 8.

    Catechesi settimanali

    � All’udienza generale Papa Francesco prosegue il ciclo di riflessioni sulla fa‑miglia: “Inno alle madri” (7 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 7‑8 gen‑naio 2015, p. 8.

    � All’udienza generale il Papa ricorda il viaggio in Sri Lanka e Filippine: “Nella fe‑de e nella missiona rietà” (21 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 22 gennaio2015, p. 8.

    � All’udienza generale nell’aula Paolo VI il Papa si sofferma sulla figura delpadre: “Orfani in famiglia” (28 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 29 gen‑naio 2015, p. 8.

    � Nell’udienza generale il Papa torna a parlare di una presenza fondamentale inogni famiglia: “Cosa in segna un padre” (4 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 5febbraio 2015, p. 8.

    � All’udienza generale Francesco parla dei figli “Come le dita della mano” (11 feb‑braio 2015) in L’Osservatore Romano, 12 febbraio 2015, p.8.

    � All’udienza generale il Papa parla dei fratelli “Dalla stessa carne” (18 febbraio2015) in L’Osservatore Romano, 19 febbraio 2015, p. 8.

    � All’udienza generale Papa Francesco parla dei nonni: “Gli anziani siamo noi” (4marzo 2015) in L’Os servatore Romano, 5 marzo 2015, p. 8.

  • Atti del Sommo Pontefice

    � Francesco parla del ruolo dei nonni nella famiglia: “Poeti della preghiera” (11marzo 2015) in L’Osser vatore Romano, 12 marzo 2015, p. 8.

    � All’udienza generale il Papa parla dei bambini: “Ricchezza dell’umanità” (18marzo 2015) in L’Osserva tore Romano, 19 marzo 2015, p. 8.

    � All’udienza generale Papa Francesco invita a pregare per tutte le famiglie: “Den‑tro e fuori l’ovile” (25 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 26 marzo 2015, p. 8.

    Discorsi

    � Papa Francesco incontra il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede:“La cultura dell’incontro è possibile” (12 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano,12‑13 gennaio 2015, pp. 4‑5.

    � All’arrivo in Sri Lanka il Papa auspica un impegno comune per la riconcilia‑zione: “La diversità non è u na minaccia” (13 gennaio 2015) in L’Osservatore Ro‑mano, 14 gennaio 2015, p. 7.

    � Papa Francesco incontra gli esponenti delle varie comunità religiose dello SriLanka: “Con la riconci liazione nel cuore” (13 gennaio 2015) in L’Osservatore Ro‑mano, 14 gennaio 2015, p. 8.

    � A Madhu il Papa prega per la riconciliazione delle comunità tamil e singale‑se: “Il balsamo del perdono” (14 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 15 gen‑naio 2015, p. 7.

    � A Manila il Papa invita a combattere esclusione sociale e corruzione: “Per spez‑zare le catene” (16 gen naio 2015) in L’Osservatore Romano, 17 gennaio 2015, p. 6.

    � Nella Mall of Asia Arena di Manila il festoso incontro con le famiglie: “Il tesoropiù grande” (16 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 17 gennaio 2015, p. 8.

    � L’incontro nella cattedrale di Palo: “Si faccia di più per i poveri” (17 gennaio2015) in L’Osservatore Ro mano, 18 gennaio 2015, p. 7.� L’incontro con i giovani nell’università Santo Tomas: “Con gli occhi puliti dal‑le lacrime” (18 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 19‑20 gennaio 2015, p. 7.

    � Discorso che Papa Francesco aveva preparato per l’incontro con i giovani nel‑l’università Santo Tomas di Manila: “Tre sfide per un mondo migliore” (18 gen‑naio 2015) in L’Osservatore Romano, 19‑20 gennaio, p. 7.

    7

  • � Il Papa alla delegazione ecumenica della Chiesa luterana di Finlandia “Bisognaessere insieme” (22 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 23 gennaio 2015, p. 8.

    � All’Ispettorato di pubblica sicurezza presso il Vaticano: “Custodi premurosi” (22gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 23 gennaio 2015, p. 8.

    � Papa Francesco riceve la Rota romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario:“Il diritto è per la salvezza” (23 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 24 gennaio2015, p. 7.

    � Agli operatori dei tribunali locali per le cause di nullità di matrimonio: “Proces‑si sicuri e veloci” (24 gen naio 2015) in L’Osservatore Romano, 25 gennaio 2015, p. 6.

    � Contro la violenza l’antidoto più efficace è l’accettazione della differenza: “Il dia‑logo inizia con l’incon tro” (24 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 25 gennaio2015, p. 7.

    � Il Papa ai partecipanti al colloquio ecumenico di religiosi e religiose: “Quel mo‑nastero invisibile” (24 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 25 gennaio 2015, p. 7.

    � Costernazione e dolore del Papa per il perdurare del conflitto in MedioOriente: “Immensa tragedia” (30 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 31gennaio 2015, p. 8.

    � Papa Francesco torna a denunciare lo spreco inaccettabile del cibo e chiede di ri‑pensare il sistema di produzione e distribuzione: “Sorella e madre Terra” (31 gen‑naio 2015) in L’Osservatore Romano, 1 febbraio 2015, p. 8.

    � Il Pontefice ai prefetti d’Italia: “Autorità significa servizio” (6 febbraio 2015) inL’Osservatore Romano, 7 febbraio 2015, p. 7.

    � Nel discorso conclusivo ai partecipanti all’incontro di Scholas Occurrentes: “Ar‑monia nelle differenze” (5 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 7 febbraio 2015,p. 8.� Il Papa al Pontificio Consiglio dei laici: “Città e anticittà” (7 febbraio 2015) inL’Osservatore Romano, 8 febbraio 2015, p. 6.

    � Le donne nella vita sociale ed ecclesiale secondo Papa Francesco: “Non ospiti maprotagoniste” (7 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 8 febbraio 2015, p. 7.

    � Il Papa apre i lavori del concistoro straordinario: “Comunione e collegialità” (14febbraio 2015) in L’Os servatore Romano, 13 febbraio 2015, p. 8.

    Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 18

  • Atti del Sommo Pontefice

    � Nel discorso al moderatore della Chiesa di Scozia il Papa ricorda gli Egiziani cop‑ti assassinati: “Una te stimonianza che grida” (16 febbraio 2015) in L’Osservatore Ro‑mano, 16‑17 febbraio 2015, p. 7.

    � All’associazione Pro Petri sede il Pontefice chiede di pregare per la pace: “Abbia‑mo molto da ricevere dai poveri” (16 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 16‑17febbraio 2015, p. 7.

    � Appello di Papa Francesco durante l’udienza ai fedeli della Diocesi di Cassanoallo Jonio: “O Gesù o il male” (21 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 22 febbraio2015, p. 7.

    Lettere

    � Lettera ai cardinali che saranno creati il 14 febbraio: “Chiamati a un nuovo ser‑vizio” (4 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 24 gennaio 2015, p. 8.

    � Il Papa chiede la collaborazione piena e attenta dei vescovi e dei superiori degliistituti religiosi: “Per sradicare la piaga degli abusi” (2 febbraio 2015) in L’Osserva‑tore Romano, 6 febbraio 2015, p. 8.

    � Cordoglio del Papa: “La morte del Cardinale Becker” (10 febbraio 2015) in L’Os‑servatore Romano, 11 febbraio 2015, p. 1.

    � Per il quarto centenario del martirio di San John Ogilvie: “Il Cardinale Murphy‑O’Connor inviato del Papa a Glasgow” (25 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano,1 marzo 2015, p. 7.

    � Cordoglio del Papa: “La morte del Cardinale Egan” (5 marzo 2015) in L’Osserva‑tore Romano, 7 marzo 2015, p. 1.

    � Nel centocinquantesimo anniversario della scoperta dei «cristiani nascosti» delGiappone: “Il Cardina le Quevedo inviato del Pontefice a Nagasaki” (25 febbraio2015) in L’Osservatore Romano, 8 marzo 2015, p. 7.

    � Il Papa per i cento anni della Facoltà di teologia della Universidad Católica Ar‑gentina: “Studiosi di fron tiera” (3 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 9‑10 marzo2015, p. 6.

    � Lettera di Papa Francesco ai vescovi della Nigeria: “Il coraggio della riconcilia‑zione” (2 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 18 marzo 2015, p. 7.

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  • 10 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    � Il Pontefice alla Commissione internazionale contro la pena di morte: “Dopo laCroce la felicità” (20 mar zo 2015) in L’Osservatore Romano, 20‑21 marzo 2015, p. 7.

    � Per il quinto centenario di Santa Teresa di Gesù: “Donna eccezionale” (28 marzo2015) in L’Osservato re Romano, 29 marzo 2015, p. 7.

    Messaggi

    � Messaggio papale all’incontro tra la Congregazione per la dottrina della fede egli episcopati europei: “Collegialità e missione” (13 gennaio 2015) in L’OsservatoreRomano, 14 gennaio 2015, p. 6.

    � Telegramma del Pontefice a Giorgio Napolitano: “Sincera stima e vivo apprez‑zamento” (14 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 15 gennaio 2015, p. 1.

    � La famiglia al centro del messaggio per la giornata mondiale del 17 maggio: “Do‑ve si impara a comuni care” (23 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 24 gennaio2015, p. 8.

    � II messaggio di Papa Francesco per la Quaresima: “Cuori forti per vincere l’in‑differenza” (4 ottobre 2014) in L’Osservatore Romano, 28 gennaio 2015, p. 8.

    � Videomessaggio ai bambini: “Lo scrigno e il tesoro” (5 febbraio 2015) in L’Osser‑vatore Romano, 7 febbraio 2015, p. 8.

    � Nel trentennale della Giornata mondiale della gioventù: “Esploratori della bel‑lezza” (31 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 18 febbraio 2015, p. 8.

    � Messaggio per la campagna di fraternità brasiliana 2015: “Amare servendo” (2febbraio 2015) in L’Os servatore Romano, 19 febbraio 2015, p. 8.

    Omelie

    � Nell’omelia per la solennità della Madre di Dio: “Contro le schiavitù di oggi”(1 gennaio 2015) in L’Os servatore Romano, 2‑3 gennaio 2015, p. 7.

    � Alla Messa dell’Epifania il Papa parla della ricerca dei magi: “La stella e ilcammino” (6 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 7‑8 gennaio 2015, p. 7.

  • 11

    � Nella Cappella Sistina il Papa battezza trentatré neonati: “Il latte e la parola”(11 gennaio 2015) in L’Os servatore Romano, 12‑13 gennaio 2015, p. 8.

    � Appello di Papa Francesco durante la Messa celebrata a Colombo per la ca‑nonizzazione di Giuseppe Vaz, primo santo dello Sri Lanka: “Libertà religiosaper tutti” (14 gennaio 2015) in L’Osservatore Ro mano, 15 gennaio 2015, p. 8.

    � Nella Messa a Manila Francesco chiede di trasformare la società alla luce delVangelo: “Alla radice di diseguaglianze e ingiustizie” (16 gennaio 2015) in L’Os‑servatore Romano, 17 gennaio 2015, p. 7.

    � Sotto la pioggia il Pontefice celebra a Tacloban la Messa con quanti hanno su‑bito la devastazione del tifone Yolanda: “Dovevo venire qui” (17 gennaio 2015)in L’Osservatore Romano, 18 gennaio 2015, p. 6.

    � Papa Francesco ricorda le vittime e ringrazia quanti si sono prodigati nei sal‑vataggi e nei soccorsi: “Miracoli del bene” (17 gennaio 2015) in L’Osservatore Ro‑mano, 18 gennaio 2015, p. 6.

    � Davanti a una folla oceanica il Papa celebra la Messa conclusiva della visitanelle Filippine: “Come bam bini” (18 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 19‑20 gennaio 2015, p. 8.

    � A conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani il Papa ce‑lebra i vespri a San Paolo e ricorda i martiri di oggi: “Ecumenismo del sangue”(25 gennaio 2015) in L’Osservatore Romano, 26‑27 gen naio 2015, n 7.

    � Il Papa per la giornata della vita consacrata: “Con il Bambino in braccio” (2febbraio 2015) in L’Osser vatore Romano, 4 febbraio 2015, p. 8.

    � Papa Francesco nella parrocchia romana di San Michele Arcangelo a Pietrala‑ta: “Su quale canale par la Gesù” (8 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 10febbraio 2015, p. 8.

    � Durante il concistoro ordinario pubblico nella basilica vaticana Papa France‑sco ha creato venti cardi nali: “Incardinati e docili” (14 febbraio 2015) in L’Osser‑vatore Romano, 15 febbraio 2015, p. 8.

    � Durante la Messa con i nuovi cardinali nella basilica vaticana Papa France‑sco ricorda che la Chiesa non deve emarginare ma reintegrare: “All’incrociodi due logiche” (15 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 16‑17 febbraio2015, p. 8.

    Atti del Sommo Pontefice

  • 12 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    � Papa Francesco celebra il mercoledì delle Ceneri a Santa Sabina: “Il dono del‑le lacrime” (18 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 20 febbraio 2015, p. 7.

    � Francesco nella parrocchia romana di Santa Maria Madre del Redentore: “Conla frusta della miseri cordia” (8 marzo 2015) in L’Osservatore Romano, 9‑10 marzo2015, p. 7.

    � Omelia del Pontefice nella parrocchia romana di Ognissanti: “Liturgia e vita”(7 marzo 2015) in L’Os servatore Romano, 9‑10 marzo 2015, p. 8.

    � Durante la celebrazione penitenziale nella basilica vaticana Francesco annun‑cia l’Anno santo della mi sericordia: “Il grande perdono” (13 marzo 2015) inL’Osservatore Romano, 15 marzo 2015, p. 8.

    � Papa Francesco invoca la conversione dei malavitosi e chiede alla popolazio‑ne di reagire alla crimina lità: “Tempo di riscatto” (21 marzo 2015) in L’Osserva‑tore Romano, 22 marzo 2015, p. 7.

    � Nella domenica delle Palme il Pontefice ricorda i cristiani perseguitati e invi‑ta a seguire Gesù sulla stra da dell’umiltà: “Con i martiri di oggi” (29 marzo 2015)in L’Osservatore Romano, 30‑31 marzo 2015, p. 8.

  • 13

    � Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: Il documento «Potenziarel’impegno della Chiesa cat tolica nella risposta all’emergenza ebola»: “Cosa biso‑gna concretamente fare” (27 novembre 2014) in L’Osservatore Romano, 7‑8 gen‑naio 2015, p. 7.

    � Congregazione delle cause dei Santi: “Promulgazione di decreti” (22 gennaio2015) in L’Osservatore Ro mano, 24 gennaio 2015, p. 6.

    � Congregazione delle Cause dei santi: sarà beatificato l’arcivescovo Romero:“Promulgazione di decre ti” (3 febbraio 2015) in L’Osservatore Romano, 4 febbraio2015, p. 8.

    � Congregazione per le Chiese orientali. Lettera in occasione dell’annuale col‑letta per la Terra Santa: “Dove non tace il grido delle armi” (18 febbraio 2015) inL’Osservatore Romano, 11 marzo 2015, p. 8.

    � Congregazione delle Cause dei Santi: “Promulgazione di decreti” (18 marzo2015) in L’Osservatore Romano, 19 marzo 2015, p. 7.

    Atti della Santa Sede

  • 15

    � Prolusione pronunciata dal Cardinale Angelo Bagnasco in apertura del Con‑siglio Episcopale Permanente: “Il popolo degli onesti non si lasci demoralizzare”(26 gennaio 2015) in Avvenire, 27 gennaio 2015, pp. 5‑6.

    � Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente: “Prima di ogni altracosa il lavoro e l’occu pazione” in Avvenire, 31 gennaio 2015, p. 14.

    � Messaggio della presidenza della CEI per la 91° Giornata per l’Università Cat‑tolica: “Porre i giovani al centro per dare un futuro certo” (28 gennaio 2015) inAvvenire, 6 marzo 2015, p. 23.

    � Prolusione pronunciata dal Cardinal Bagnasco in apertura del Consiglio Epi‑scopale Permanente: “Una bestemmia tagliare gole in nome di Dio” (23 marzo2015) in Avvenire, 24 marzo 2015, pp. 5‑6.

    � Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente: in Avvenire, 28 mar‑zo 2015, p. 21.

    Atti della ConferenzaEpiscopale Italiana

  • 17

    Omelia nella Messa del 1° gennaio 2015,Giornata mondiale della Pace

    � Cattedrale di Treviso, 1° gennaio 2015

    Nel dare il benvenuto a tutti i fedeli presenti in questa cattedrale, rivolgo unsaluto fraterno ai Canonici che formano il Capitolo della Cattedrale e al Vicario epi‑scopale per il coordinamento della Pastorale. Saluto con particolare deferenza e cor‑dialità le Autorità civili e militari, e altri responsabili di istituzioni che operano peril bene dei cittadini: penso al servizio prezioso che tante persone, qui presenti o quirappresentate, rendono in maniere e ambiti diversi alla comunità civile, svolgendoquotidianamente compiti spesso assai impegnativi, per garantire una convivenzaordinata e sicura, dove siano rispettati i diritti di tutti e sia incentivato l’esercizio deidoveri. Saluto con simpatia anche i responsabili e rappresentanti di varie aggrega‑zioni ecclesiali laicali: ognuna di esse, con la peculiarità che le è propria, contribui‑sce a rendere la comunità cristiana testimone autentica e credibile del Vangelo.

    Ringrazio tutti per aver accolto l’invito a partecipare a questa celebrazione eu‑caristica, nel primo giorno del nuovo anno, scelto dal beato Paolo VI come Giorna‑ta mondiale della Pace.

    Credo che si debba dire che questa intuizione di Paolo VI non cessa di esserefelice e benedetta, in un mondo in cui la pace nel suo significato più esteso ‑ non so‑lo quella data dal tacere delle armi ‑ continua ad essere obiettivo da perseguire conconvinzione, determinazione e, per i credenti, con la mite forza della preghiera.

    È anche significativo che questo momento di comune riflessione sull’impor‑tanza e necessità della pace, e di preghiera per essa, si collochi a otto giorni dal Na‑tale di Cristo. Raccontandoci la nascita di Gesù, l’evangelista Luca fa risuonare ilcanto degli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini,che egli ama» (Lc 2,14).

    E non vogliamo dimenticare che l’odierna festa liturgica ci fa venerare e im‑plorare la Vergine Maria con il titolo di Madre di Dio. Questo titolo i cristiani di tut‑te le generazioni lo ripetono abitualmente nella preghiera più amata dopo il Padrenostro: l’Ave Maria. In quelle poche parole, Santa Maria, Madre di Dio, prega per noipeccatori, adesso e nell’ora della morte, si concentrano, in certo senso, teologia e pietàpopolare, coscienza della fragile condizione umana e sguardo rivolto fiducioso alCielo, desiderio della Patria celeste e affidamento alla Madre di tutti i cristiani. AMaria affidiamo l’intercessione della nostra preghiera per la pace.

    Atti del Vescovo

  • 18 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    La riflessione e la preghiera per la pace è aiutata ogni anno da un messag‑gio del Papa, il quale mette a fuoco un tema particolare che attiene alla realizza‑zione della pace. Il messaggio di questa Giornata del 2015 porta il titolo: Non piùschiavi, ma fratelli. Sembra riecheggiare l’espressione di Paolo ai Galati che ab‑biamo ascoltato nella seconda lettura: «Dio mandò il suo Figlio … perché rice‑vessimo l’adozione a figli... Quindi non sei più schiavo, ma figlio» (Gal 4,4‑7). E se,come ci ricorda Paolo, siamo tutti figli dello stesso Padre, ovviamente tra noi sia‑mo tutti fratelli.

    Può forse sembrare lontano dalla nostra cultura e dalla nostra civiltà, e anchedalla nostra esperienza, il tema della schiavitù. Ma le parole che motivano la sceltadi questo tema ci aiutano a comprendere perché Papa Francesco abbia voluto sce‑glierlo per il messaggio della sua seconda Giornata della Pace. Egli, partendo dallaferma convinzione che è fondamentale per lo sviluppo dell’uomo, essere relazio‑nale, che siano riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e autonomia», osser‑va: «Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte del‑l’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioniinterpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno,che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertàe dignità, assume molteplici forme» (n. 2).

    È vero che «oggi ‑ scrive il Papa ‑, a seguito di un’evoluzione positiva della co‑scienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente aboli‑ta nel mondo», e che «il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schia‑vitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderoga‑bile»; ciononostante ‑ egli osserva ‑ «ancora oggi milioni di persone ‑ bambini, uo‑mini e donne di ogni età ‑ vengono private della libertà e costrette a vivere in con‑dizioni assimilabili a quelle della schiavitù» (n. 3).

    E qui Papa Francesco passa in rassegna alcune di queste condizioni assimila‑bili alla schiavitù. Richiama così, per esempio, situazioni che si verificano nel mon‑do del lavoro e nella condizione di molti migranti. A proposito di questo fenome‑no il Papa dichiara, tra l’altro: «Numerose persone… si trovano costrette a emigra‑re, lasciando tutto ciò che possiedono: terra, casa, proprietà, e anche i familiari… So‑no spinte a cercare un’alternativa a tali condizioni terribili anche a rischio della pro‑pria dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal modo, in quel circolo vi‑zioso che le rende preda della miseria, della corruzione e delle loro perniciose con‑seguenze» (n. 4).

    E ricorda ancora le persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti mino‑ri, e le schiave e gli schiavi sessuali; ricorda minori e adulti che sono fatti oggetto ditraffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati,per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefa‑centi, o per forme mascherate di adozione internazionale. E poi «tutti coloro chevengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi co‑me combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come

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    schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, sevi‑ziati, mutilati, o uccisi» (n.3).

    Di questo quadro, certo impressionante, vanno individuate le cause. La radi‑ce di tutto è, secondo il Papa, una concezione della persona umana che ammette lapossibilità di «trattarla come un oggetto». Ma poi vanno individuate altre causeprofonde. Le cito rapidamente ricavandole dalla rassegna più descrittiva presentenel messaggio: la povertà, il sottosviluppo, l’esclusione, il mancato accesso all’e‑ducazione o al lavoro, la corruzione, i conflitti armati, le violenze, la criminalità, ilterrorismo.

    Naturalmente il Papa invita ad un impegno comune per sconfiggere questovariegato ed allarmante fenomeno della schiavitù. «Spesso ‑ egli osserva ‑ si ha l’im‑pressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale». E riconoscendo l’operadi chi lodevolmente lavora a favore delle vittime, fa appello a Stati, organizzazioniintergovernative, imprese, organizzazioni della società civile (n. 5). E invita tutti a«globalizzare la fraternità, non la schiavitù e l’indifferenza» (n. 6).

    Dicevo che ci sentiamo forse lontani dal fenomeno e dal problema della schia‑vitù. Ma tale fenomeno non si manifesta solo nelle forme esteriori drammatiche chesono state richiamate. Vi è anche una schiavitù meno visibile, che invade l’interio‑rità, la psiche, l’anima, lo stile di vita di chi si considera libero, ma forse tale non èveramente. Non siamo così sicuri di essere detentori di una libertà autentica, quel‑la che ci rende desiderosi e operosi facitori del bene. E non dimentichiamo che laschiavitù degli altri può dipendere anche dalla nostra incapacità di usare retta‑mente della libertà o di pervenire alla libertà propria delle persone mature, nonsemplicemente delle persone che non intendono disciplinare la propria vita facen‑do riferimento a valori irrinunciabili e a opportune regole di vita.

    Essere persone autentiche domanda il coraggio della libertà interiore, che èfrutto di un esigente cammino formativo e autoformativo. Osservava, per esempio,ancora papa Francesco nell’omelia pronunciata ieri sera nella celebrazione conclu‑siva dell’anno, facendo riferimento a noti fatti accaduti nella città di Roma: «Sen‑z’altro le gravi vicende di corruzione richiedono … una rinascita spirituale e mora‑le, come pure un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale,dove i poveri, i deboli e gli emarginati siano al centro delle nostre preoccupazionie del nostro agire quotidiano». E aggiungeva: «È necessario un grande e quotidia‑no atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella no‑stra città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorreservire i deboli e non servirsi dei deboli!».

    L’augurio per l’anno che inizia potrebbe essere allora, per tutti noi, quello dicrescere in una libertà interiore profonda, che divenga spazio di assimilazione con‑vinta di quei valori indispensabili per l’edificazione di una società più giusta, piùrispettosa di ogni persona, più promotrice di autentica libertà per tutti.

    Ci accompagni la Santa Madre di Dio a cui anche questa sera ripetiamo confiducia: prega per noi, che siamo peccatori.

    Atti del vescovo

  • 20 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Omelia nella celebrazione della Santa Messain onore di San Giovanni Antonio Farina

    � Cattedrale di Treviso, 5 febbraio 2015

    «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostrofrutto rimanga» (Gv 15,16). Mandato dal Signore, Pastore dei pastori, nella no‑stra Chiesa trevigiana, il vescovo Giovanni Antonio Farina ha “portato frutto” eil frutto della sua santità “rimane”, appartiene per sempre al tesoro prezioso diquesta nostra Chiesa.

    Dal 23 novembre scorso, quando, nella solenne celebrazione svoltasi inPiazza San Pietro, Papa Francesco ha dichiarato Giovanni Antonio Farina santodella Chiesa universale, abbiamo sentito il bisogno e il dovere di essere più con‑sapevoli di questo dono, e di guardare con maggior attenzione a questa figura diPastore e Padre della nostra Chiesa, primo Vescovo di Treviso canonizzato.

    La celebrazione che stiamo vivendo vuole essere rendimento di grazie al Si‑gnore per questo Santo, che è anche trevigiano, e invocazione della sua interces‑sione perché la nostra Chiesa sia fedele testimone del Vangelo come lui lo è stato.

    La santità è vissuta nella Chiesa ‑ ci insegna il Concilio Vaticano II ‑ «da quan‑ti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adorando inspirito e verità Dio Padre, camminano al seguito del Cristo povero, umile e caricodella croce (…) Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanza‑re per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo dellacarità» (Lumen gentium 41). E qui il testo conciliare, descrivendo i tratti propri del‑la santità di ogni particolare vocazione, così delinea quella a cui sono chiamati i ve‑scovi: «I pastori del gregge di Cristo devono (…) compiere con santità e slancio,umiltà e forza il proprio ministero. Chiamati per ricevere la pienezza del sacerdo‑zio, è loro data la grazia sacramentale affinché, mediante la preghiera, il sacrificioe la predicazione, mediante ogni forma di cura e di servizio episcopale, esercitinoun perfetto ufficio di carità pastorale, non temano di dare la propria vita per le pe‑corelle e, fattisi modello del gregge (cf. 1 Pt 5,3), aiutino infine con l’esempio laChiesa ad avanzare verso una santità ogni giorno più grande» (Ivi).

    Ministero compiuto con santità e slancio, umiltà e forza; e poi preghiera, sa‑crificio, ogni forma di cura e di servizio, carità pastorale, disponibilità a dare lavita per il gregge: non ci è difficile ritrovare in forma evidente ed eminente que‑ste caratteristiche nella vita santa del vescovo Giovanni Antonio Farina.

    Non possiamo certo, in questo momento, soffermarci sui diversi passaggidella sua lunga vita. Diciamo solo che, dei suoi 85 anni (il nostro Santo è nato nel1803 e ha concluso la sua vita nel 1888), dieci anni furono donati alla nostra Dio‑cesi, di cui fu Pastore dal febbraio del 1851 al dicembre del 1860; il resto della suavita si svolse in diocesi di Vicenza, dove fu sacerdote dal 1827, e poi vescovo, do‑

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    po la parentesi trevigiana, per 28 anni. Mi limito a segnalare, con pochi cenni, al‑cuni tratti del nostro santo Vescovo. Volendo gettare uno sguardo d’insieme sul‑la sua esistenza, potremmo dire che essa è stata una vita totalmente donata e dis‑seminata di molte croci portate nella fede.

    Quanto alla sua totale disponibilità a spendersi per gli altri, considero inparticolare il decennio trevigiano del suo episcopato, quando egli era nel pienodelle sue energie, dai 47 ai 57 anni.

    Appena giunto a Treviso si getta con passione e senza risparmio nel mini‑stero episcopale, aprendo, per così dire, molti fronti di attività: da quello dellaistruzione cristiana dei fedeli, soprattutto dei giovani (in nessuna parrocchia do‑veva mancare, come si chiamava allora, la “scuola della dottrina cristiana”), allaassidua cura del seminario e della formazione teologica e culturale del clero, al‑la formazione più propriamente spirituale, per la quale riuscì ad avviare in dio‑cesi una “Congregazione dei sacerdoti addetti al ministero gratuito degli eserci‑zi spirituali”. Sentiva fortemente la sua responsabilità di pastore davanti a Dio:essa «gli pesava sull’anima», e per questo si dichiarava deciso a fare il bene «aqualunque costo».

    Ed era un ministero svolto con umiltà, convinto che il compito era superio‑re alle sue capacità. Infatti quando gli fu comunicata la nomina a vescovo di Tre‑viso dal vescovo di Udine, vicentino, che gli scrisse da Vienna (la nomina spet‑tava all’imperatore, anche se esigeva la conferma del Papa), gli rispose dichia‑randosi «frastornato e incredulo», dicendosi «il più miserabile di tutti i preti», eaggiungendo: «La vostra lettera mi colpì e mi mette in una costernazione gran‑dissima». Dovette accettare, e richiedendo al Papa la conferma scrisse: «Prego laSantità Vostra a benedire questo infelice. E aggiunse la richiesta di non essereconsacrato a Roma (come voleva la prassi), dove ‑ scriveva ‑ «per le angustie fi‑nanziarie in cui mi trovo non potrei assolutamente venire».

    Le angustie finanziarie erano dovute certamente all’opera di cui, ancoragiovane sacerdote ventottenne, aveva preso la direzione: era la Pia Opera S. Do‑rotea, cui si unì una Scuola di Carità. Erano, si può dire, i primi passi di quelloche sarebbe poi stato l’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea Figlie dei SacriCuori, che avrà il suo riconoscimento ufficiale cinque anni dopo. Istituto tantoamato dal vescovo Farina, e da lui seguito fino alla morte con dedizione, vici‑nanza, delicatezza, intelligenza. Presente molto presto nella nostra Diocesi, connumerose religiose che hanno ovunque seminato, e tuttora seminano, tanto be‑ne. Durante l’episcopato di Farina a Treviso le suore giunsero, per sua iniziati‑va, nell’ospedale della nostra città. E qui il pensiero corre al nome di una suorala cui figura è rimasta impressa nella memoria di questa città. Nata nell’annodella sua morte, ha preceduto il suo Padre fondatore sulla via degli altari: l’u‑mile, piccola, dolce Santa Maria Bertilla Boscardin.

    L’Istituto delle Suore Dorotee nacque per l’educazione cristiane delle bam‑bine povere; successivamente si allargò ad altre categorie svantaggiate: le bam‑

    Atti del vescovo

  • 22 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    bine sordomute, quelle cieche; e poi alle persone ammalate e alle persone anzia‑ne. Era la carità senza confini del vescovo Farina che si dilatava sempre più.

    Non vi è dubbio che l’attenzione amorosa ai piccoli, ai poveri, agli emargi‑nati, che la società del tempo difficilmente si prendeva a carico, furono la suagrande passione e l’espressione della sua santità eroica, della sua vita fatta van‑gelo. In una lettera pastorale del 1853 scrisse: «Il sovrappiù dei facoltosi è patri‑monio dei poveri, l’elemosina è debito, è restituzione».

    Nel 1855 le terre trevigiane furono colpite dal colera. San Giovanni Antonio,istituì un turno di assistenza di sacerdoti nell’ospedale, e lui si mise primo delturno, di giorno e di notte, nell’esercizio di cappellano dell’ospedale.

    Fin dall’inizio gli stettero a cuore due grandi impegni del suo ministero: lavisita pastorale, che svolse con grande dedizione dal 1852 al 1858 (fu in quel‑l’anno che a Castelfranco Veneto ordinò presbitero Giuseppe Sarto, futuro SanPio X), e un Sinodo diocesano, che non si celebrava a Treviso dal 1727. Ma allarealizzazione del Sinodo, pur preparto con cura, egli dovette rinunciare, ancheper l’opposizione da parte del clero.

    E qui si apre una pagina penosa dell’esperienza episcopale trevigiana diSan Giovanni Antonio, quella dove si ebbero le sue maggiori sofferenze: le op‑posizioni che la sua opera trovò in alcune figure del clero trevigiano. Una vi‑cenda che è doveroso ricordare: la storia della Chiesa, e delle Chiese, dove allasantità si mescola il peccato, si compone anche di fatti tutt’altro che edificanti.

    L’opposizione più dura gli venne dal Capitolo della Cattedrale, quando eglivolle finalmente risolvere una antica querelle, che vedeva il vescovo richiedere ilgiusto riconoscimento di uno spazio giuridico adeguato allo svolgimento del suoministero, mentre i canonici consideravano intoccabili alcuni loro privilegi. Il ve‑scovo portò la diatriba davanti alla Santa Sede, che alla fine riconobbe, sostan‑zialmente, i diritti da lui rivendicati.

    Ma le inimicizie, i contrasti, perfino le offese, furono tali, che gli procuranoun cocente conflitto di coscienza. Chiese e ottenne di essere trasferito nella suaVicenza. Ma non fu rabbia, o risentimento, o una reazione piccata; fu un proble‑ma di coscienza: come poteva egli continuare a svolgere il suo compito di pa‑store, avendo accanto persone che manifestavano tanta dura opposizione? Comeessere fautore di comunione, quando il clima si era fatto così pesante? Ritennepiù saggio, o forse doveroso, concludere il suo ministero a Treviso. Ma quantogrande dovette essere la sua pena, quante le sue notti insonni, come egli stesselasciò intuire in alcune lettere. Quando lasciò Treviso, peraltro, molti sacerdotigli manifestarono la loro gratitudine e gli testimoniarono il loro affetto.

    E qui scorgiamo un’altra virtù di questo Pastore (virtù che anche a Vicenzaavrà modo di esprimersi): la fortezza interiore, pur in mezzo a prove, a ostacoli,a opposizioni. Il suo motto episcopale era «suaviter et fortiter»: con dolcezza e for‑tezza. La fortezza gli veniva dalla sua fede incrollabile e dalla sua profonda ret‑titudine; la dolcezza dalla sua carità attinta a quella di Cristo.

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    Diciamo dunque il nostro grazie al Padre di ogni bene, che ha donato allanostra Chiesa, e alla Chiesa di Vicenza, questo Pastore buono e fedele, amantedel suo gregge anche nella tribolazione. Davvero scorgiamo in lui ciò che abbia‑mo sentito chiedere da Paolo ai cristiani di Roma: «Siate ferventi nello spirito;servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseve‑ranti nella preghiera» (Rom 12,11s.).

    Atti del vescovo

  • 24 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Omelia nella S. Messa del Mercoledì delle Ceneri

    � Cattedrale di Treviso, 18 febbraio 2015

    Abbiamo iniziato la nostra celebrazione chiedendo al Padre di compiere uncammino di vera conversione. È il cammino quaresimale.

    Il segno delle ceneri, le parole del profeta Gioele che invitano al pianto, unacerta maggior austerità della liturgia, e anche la stessa idea popolare della quaresi‑ma che spegne (spegneva?) l’allegria del carnevale, possono farci percepire questotempo come un tempo triste, quasi cupo. E tuttavia nel prefazio diremo, proprio inriferimento al tempo quaresimale: «Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi congioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché … attingano aimisteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo» (Prefazio di Quaresi‑ma I). La Quaresima non è un tempo triste. È un tempo da dedicare, certo, anche aduna “purificazione” che può essere laboriosa, può richiedere una lotta interiore (icristiani dei primi secoli dicevano un “combattimento spirituale”). Ma è tempo incui dovremmo saper gustare una straordinaria bellezza. È la bellezza riconoscibilenel grande dono, nell’evento stupendo che è il mistero pasquale di Cristo, al qualela Quaresima ci conduce. Lì celebreremo, vivremo, comprenderemo ancora unavolta in maniera particolarmente evidente “la pienezza della vita nuova in Cristo”.È la bellezza del Cristo morto e risorto per noi, che rende bella, splendida, lumino‑sa anche la nostra esistenza.

    Del resto la parola di Gioele, nella prima lettura, si è aperta con l’invito a “ri‑tornare al Signore” (cf. Gl 2,13). Questo ritorno è un ritrovare un’origine certa, unprendere coscienza di un dono già ricevuto, anche se, purtroppo, spesso dimenti‑cato, misconosciuto, messo da parte, posposto a tanti altri piccoli doni non decisiviper la vita. Il Papa ha inviato, come ogni anno, un messaggio per la Quaresima. Èintitolato «Rinfrancate i vostri cuori», e inizia con queste parole: «Cari fratelli e sorel‑le, la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singolifedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nullache prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo”(1Gv 4,19)». Ritornare al Signore, come chiede il profeta, è riaprire il libro, il rac‑conto della sua misericordia verso di noi. Questo ci è stato detto con parole davve‑ro impressionanti da Paolo, credo tra le più forti di tutto il Nuovo Testamento: «Co‑lui [Gesù] che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, per‑ché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21). Dunque non solodalla morte di Gesù, ma anche dalla sua abiezione, dal suo prendere su di sé il pec‑cato del mondo intero, immane cumulo di male che lo schiaccia e lo abbrutisce, vie‑ne la nostra vita e la trasformazione della nostra condizione da peccatori in inno‑centi. Altrove Paolo dice: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, di‑ventando lui stesso maledizione per noi» (Gal 3,13). In quell’abbruttimento del Fi‑

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    glio di Dio reso peccato per amor nostro, appare, paradossalmente, la inarrivabilebellezza del suo dono.

    Il cammino quaresimale potrebbe essere allora, in sostanza, un itinerario di ri‑scoperta dell’amore del Padre e del suo dono per noi che è Cristo. Questo viene pri‑ma di ogni intervento ‑ certo, sempre desiderabile e fruttuoso ‑ sui nostri grandi opiccoli difetti.

    Le parole del messaggio del Papa proseguivano così: «Lui [Dio] non è indiffe‑rente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cercaquando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di es‑sere indifferente a quello che ci accade». Possiamo dire: la logica di Dio è unica‑mente quella del dono; mentre la nostra è spesso quella della ricerca dell’interessepersonale, che causa il disinteresse verso gli altri e verso Dio stesso.

    È illuminate allora anche il brano del vangelo di Matteo (cf. Mt 6,1‑6.16‑18),tratto dal discorso della montagna. Parlando delle tre pratiche della preghiera, deldigiuno e dell’elemosina, Gesù osserva, in sostanza, che esse possono essere com‑piute con uno spirito contrario a quello di Dio, che è lo spirito del dono, della gra‑tuità; possono essere compiute con la ricerca dell’interesse per sé: guadagnare la ri‑compensa dell’ammirazione degli uomini, della quale, tra l’altro, si può diventareschiavi (se nessuno mi ammira sto male, o addirittura vivo delusioni cocenti). Men‑tre la ricompensa di Dio è la liberazione interiore, la capacità di decentrarsi da séper farsi dono agli altri, umilmente e gioiosamente.

    Ecco allora una piccola ma importante sollecitazione, quasi una chiave di im‑postazione del cammino quaresimale: riconoscere i doni di Dio e dei fratelli e farci,a nostra volta, dono per gli altri, assumere lo spirito, l’attitudine del dono di sé.

    Nel suo messaggio quaresimale il Papa suggerisce, in particolare, il supera‑mento dell’indifferenza che spesso viviamo verso gli altri (una “chiusura mortale”),per aprirci al dono, alla misericordia. Scrive: «Quanto desidero che i luoghi in cuisi manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, di‑ventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!». E verso laconclusione del messaggio osserva: «Avere un cuore misericordioso non significaavere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore for‑te, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetraredallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorel‑le». Ecco perché abbiamo bisogno, certo, anche della purificazione, del combatti‑mento spirituale.

    Vorrei ripetere: la Quaresima è tempo di gioiosa conversione. Infatti è conver‑sione al Vangelo (“Convertitevi, e credete al Vangelo”), cioè alla bella notizia che èGesù, espressione impensabile della misericordia del Padre, la cui manifestazionesuprema celebreremo nella Pasqua.

    Ci auguriamo e preghiamo che questo tempo che il Signore ci dona attra‑verso la Liturgia, sia davvero, come ci ha detto Paolo, “momento favorevole”, ri‑scoperta della bellezza e della bontà del Signore.

    Atti del vescovo

  • 26 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Omelia nell’Eucaristia esequiale di don Mario Manente

    � Chiesa parrocchiale di Fossalta di Piave, 10 gennaio 2015

    Vogliamo che la Parola che è appena stata proclamata in questa liturgia dicommiato di don Mario risuoni come Parola che illumina la nostra fede e anche ilsenso di questa morte inattesa che ci addolora; una Parola che ispiri la nostra pre‑ghiera e ci aiuti a comprendere che in Gesù Cristo morto e risorto, che noi celebria‑mo in questa Eucarestia, il nostro don Mario passa dalla morte alla vita vera.

    Anzitutto, don Mario ci sembra appartenere proprio a quei giusti, di cui ci haparlato il Libro della Sapienza: quei credenti che ripongono in Dio tutta la loro fi‑ducia e la cui «speranza è piena di immortalità» (cf. Sap 3,4). Ci piace insomma ve‑dere in lui, anzitutto, il cristiano, che ha conosciuto, creduto, amato il Signore, e cheha sempre pensato la sua esistenza come un cammino verso la Patria, verso l’in‑contro con il Dio che pone fine ad ogni fatica e ad ogni attesa.

    Lo scorgiamo pastore, che si è preso cura del gregge affidatogli, dedicando adesso la sua vita «volentieri, come piace a Dio, ‑ secondo le parole dell’apostolo Pie‑tro che abbiamo ascoltato ‑ non per vergognoso interesse, ma con animo generoso,non come padrone delle persone a lui affidate, ma facendosi modello del gregge»(cf. 1Pt 5,2‑3). Credo che soprattutto i fedeli di Signoressa, che lo hanno avuto par‑roco per 18 anni, e voi, fedeli di questa comunità parrocchiale di Fossalta di Piave,ai quali ha dedicato 22 anni della sua maturità sacerdotale, avete riconosciuto eamato in lui l’autentico pastore, che si è donato con semplicità e generosità; con sti‑le evangelico, con la logica del perdere la propria vita alla maniera del chicco di gra‑no ‑ come ci ha detto Gesù ‑ che genera vita morendo (cf. Gv 12,24s.). È quella fe‑conda morte di sé che si attua in una vita spesa quotidianamente per gli altri, met‑tendo gli altri e il loro bene davanti a se stesso e alle proprie esigenze. E questo fi‑no alla fine, fino ad un’età avanzata. Ricordo di essere rimasto colpito e ammiratoquando, incontrando per la prima volta don Mario, parroco già ultraottantenne, miraccontava che si occupava ancora dei campiscuola dei suoi ragazzi.

    In effetti, potremmo dire che don Mario, a dispetto della sua età, non ha avu‑to tempo di invecchiare. Anche quando, poco più di due settimane fa, è giunto inCasa del Clero per la convalescenza dopo la grave operazione, è apparso smagrito,indebolito, ma vivo nello spirito. Certo, il suo sguardo si era fatto più fisso e pro‑fondo, segno di una sofferenza e di un male con cui stava lottando. E la rapidità del‑la sua fine ci ha lasciato tutti sorpresi e addolorati.

    Si può dire che la sobrietà di gesti e parole che ha sempre caratterizzato donMario ha guidato anche i suoi ultimi giorni, e anche la conclusione della sua vita èstata all’insegna della sobrietà, quasi a voler disturbare il meno possibile.

    Anche la sua corrispondenza con i Superiori diocesani, che ho preso in manoieri, nei diversi passaggi del suo servizio pastorale, è sempre precisa e chiara, ma

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    soprattutto essenziale, senza fronzoli o parole inutili. Nell’assunzione del suo ulti‑mo impegno pastorale, passando dalla guida della parrocchia di Signoressa a quel‑la di Fossalta di Piave, così scriveva al vescovo mons. Magnani, il 10 maggio 1990:«Ho sempre cercato di fare la volontà di Dio e del mio Vescovo: perciò accetto il tra‑sferimento e chiedo, con la benedizione del Signore, la vostra fraterna benedizionesperando di poter adempiere nel modo migliore questo nuovo mio ministero”. Po‑che parole, capaci però di contenere il senso completo, spiritualmente e pastoral‑mente, della sua vita presbiterale.

    Anche il suo testamento, stilato quando era ancora quarantacinquenne ‑ conlo spirito, si direbbe, di chi desidera che ogni cosa sia compiuta senza rimandi ‑esprime con essenzialità ciò che per lui è importante: «Spero che il Signore e tuttele anime che mi hanno conosciuto possano avere misericordia e compassione per lemie debolezze e imperfezioni. Chiedo perdono a coloro ai quali non avessi fatto ilbene che dovevo, a quanti avessi offeso o involontariamente allontanato da Dio conla mia vita. Professo la mia fede cristiana cattolica, la mia speranza nella vita eter‑na, la mia carità verso Dio e i fratelli». È l’animo del credente e del pastore che hamodellato tutta la sua esistenza.

    Don Mario è stato davvero un pastore. Se Fossalta fu il suo approdo finale, dal1990, altre comunità avevano conosciuto e apprezzato don Mario. Egli aveva ini‑ziato il suo ministero di cappellano a Loreggia nel settembre 1953, anno della suaordinazione sacerdotale, passando nel 1959 a Zero Branco e nel 1965 a Salvarosa,dove lo raggiunse la nomina a parroco di Signoressa, il 21 gennaio 1972.

    Come altri sacerdoti della sua generazione, il suo ministero presbiterale fu se‑gnato dalla ricca esperienza ecclesiale del Concilio Vaticano II e del post Concilio.Tempo di entusiasmi e anche di fatiche, con una consapevolezza crescente dei nuo‑vi compiti che si ponevano alla Chiesa e, segnatamente, ai sacerdoti. Immaginiamol’impegno del giovane parroco a farsi interprete delle esigenze del Vaticano II e del‑le istanze, spesso contraddittorie, che salivano dalle comunità cristiane, anche quel‑la di Signoressa. Uno dei “laboratori” più operosi e dialettici di quell’epoca ormailontana furono le congreghe, cioè le riunioni vicariali dei preti, dove essi si con‑frontavano vivacemente, magari non riuscendo sempre a capirsi, ma comunquesentendosi coinvolti nel cammino di una chiesa chiamata a riconoscere e a far rico‑noscere i lineamenti evangelici del suo volto.

    È significativo che i preti del vasto e importante Vicariato di Montebelluna ab‑biano scelto, per due tornate elettive, dal 1977 al 1984, don Mario come Vicario fo‑raneo. Grazie a questo servizio di autorità e fraternità egli, partecipando alle ses‑sioni di lavoro dei Vicari foranei e quale membro del Consiglio Pastorale Diocesa‑no, ha potuto avere una visione sempre più obiettiva della realtà diocesana in ra‑pido e complesso mutamento.

    Sono giunti infine gli anni di Fossalta di Piave. Per lui, nato nell’alto Venezia‑no, a Spinea, e impegnato da prete, brevemente, nell’alto Padovano, a Loreggia, masuccessivamente sempre nel Trevigiano, la zona del Piave poteva rappresentare

    Atti del vescovo

  • 28 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    una novità ma anche una sfida. Non si trattava infatti solo di un territorio geogra‑fico e amministrativo, ma di una storia, di una tradizione religiosa e civile, di unafisionomia specifica delle istituzioni, di una economia e di una cultura nelle quali ilPiave ha avuto profonda e talora tragica influenza. Non dimentichiamo che di quiè passato il fronte della prima guerra mondiale, cento anni fa.

    Don Mario entra dunque a Fossalta portando la sua esperienza, la sua umani‑tà, il suo grande equilibrio.

    Il lavoro di un parroco, essendo fatto prevalentemente di relazioni, sia sacra‑mentali, sia spirituali, sia umane e sociali, è per molta parte invisibile. Tuttavia lo sipuò cogliere attraverso alcuni aspetti visibili: per esempio la concordia all’internodella comunità parrocchiale, o la sua efficacia nel far fronte alle esigenze della pro‑pria vita spirituale e pastorale e delle attività connesse. Così è avvenuto a Fossaltacon don Mario e la sua gente, quando ha affrontato, per esempio, i complessi pro‑blemi della chiesa parrocchiale e, negli ultimi anni, quando ha dato vita al Nidod’Infanzia, accanto alla scuola materna.

    Ogni elenco, peraltro, sarebbe riduttivo. Mi piace qui ricordare, a onore di donMario e a conforto della comunità di Fossalta, la presenza delle associazioni giova‑nili di Azione Cattolica e Scout. Egli le ha seguite con passione e amore. E negli ul‑timi anni, cari fedeli, siete stati testimoni della sua fedele disponibilità al ministerodelle confessioni.

    Dicevo che lo stile che ha caratterizzato la vita di don Mario è stata la sobrie‑tà. Anche nella lettera al vescovo mons. Mazzocato in cui rassegnava le dimissionida parroco al compimento del 75° anno, nel 2004, scriveva semplicemente: «Sonogiunto al “capolinea”. Resto in attesa di sapere: quando cesserà il mio incarico, e do‑ve posso avere la mia sistemazione». E poi: «Ringrazio Dio di questi 51 anni di mi‑nistero sacerdotale» ‑ sono diventati poi 61 ‑ «e, consapevole di tutte le mie incorri‑spondenze, chiedo perdono a Dio e ai fedeli delle comunità che ho servito, per tut‑te le volte che non sono stato di esempio come sacerdote e come pastore».

    Sobria la sua vita, sobrio il suo saluto a voi e alla Chiesa di Treviso.A lui, che ha amato il mondo degli Scout, potremmo applicare il messaggio

    che Baden Powell, fondatore dello scoutismo, ha voluto porre sulla sua tomba: «So‑no venuto, ho svolto il mio lavoro e sono tornato a casa».

    La Vergine Immacolata, patrona di questa comunità, tanto fervidamente e tan‑to lungamente pregata da don Mario, lo prenda per mano fino alla presenza di Dio.

    «I fedeli nell’amore rimarranno presso di lui [Dio]» ci ha detto il Libro dellaSapienza ‑ «perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti» (Sap 3,9). Vogliamopregare in questa Liturgia perché, grazie al mistero pasquale di Cristo, don Mario,che il Signore ha eletto, ha fatto suo, mediante il Battesimo, l’Ordine sacro, la quo‑tidiana celebrazione dell’Eucarestia, la carità esercitata verso tante persone, sia av‑volto dalla grazia e dalla misericordia di Dio. È questo il nostro grazie affettuoso ecommosso a questo pastore umile, buono e fedele.

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    Omelia nell’Eucaristia esequiale di don Giovanni Foschini

    � Chiesa arcipretale di S. Ambrogio di Fiera, 27 gennaio 2015

    Carissimo Vescovo Paolo, carissimi fratelli e sorelle, noi siamo convinti cheal Signore che bussava alla sua porta ‑ per riprendere l’immagine usata da Gesùnel brano evangelico appena proclamato (cf. Lc 12,35‑40) ‑ don Giovanni haaperto con prontezza. E noi crediamo che per don Giovanni Colui che bussavaera non solo il padrone, servito a lungo con fedeltà e con generosità: era l’Ami‑co, il Fratello, lo Sposo. Così come crediamo che la sua porta è stata aperta congioia, perché giungeva Colui che era atteso. Il suo testamento spirituale si con‑clude infatti con le parole: «Io credo e aspetto con gioia».

    Certo, siamo di fronte al mistero di una vita, alla storia di una persona chesolo Dio conosce nell’intimo, alla vicenda di un sacerdote che ha esercitato il suoministero per vari decenni (don Giovanni era stato ordinato presbitero quasi 67anni fa): un ministero svolto chissà con quante gioie ma anche con quante fati‑che, chissà con quanto bene seminato, ma di cui magari egli non ha potuto ve‑dere sempre i frutti, chissà con quante porte che davanti a lui si sono aperte men‑tre altre sono rimaste chiuse.

    Viene in mente la prima sofferenza e la prima umiliazione patita da donGiovanni già in occasione della sua prima destinazione, appena un mese e mez‑zo dopo essere stato ordinato, il 29 giugno 1948. Il 16 agosto gli giunge una scar‑na lettera del Vicario generale che lo destina al Collegio Filippin di Paderno delGrappa in qualità di assistente degli alunni. A quanto pare egli desiderava in‑tensamente un altro ministero, probabilmente in parrocchia, e perciò non esita aprendere carta e penna e a scrivere al direttore del Collegio la sua delusione, par‑lando di «sogni spenti d’incanto...»; ne spiega le ragioni e dice candidamente disentirsi egli stesso «spento»; e conclude: «Scusate, Monsignore, questa schiettez‑za, ma sentivo proprio di parlare così». È durissima la reazione del direttore, ilquale però sembra essersi fermato alle prime righe e non aver letto il resto dellalettera, in cui don Giovanni scriveva: «La volontà dei superiori è volontà di Dio:fiat e non si discute». E aggiungeva: «Sono un povero pretino molto giovane, ine‑sperto: ho bisogno di tutti per mantenermi in quello spirito di disciplina e di ob‑bedienza che spero di avere». Questo era già il giovane don Giovanni: umile eobbediente, ma schietto.

    Alla vita, alla storia, alla figura di questo sacerdote noi ci accostiamo dun‑que con rispetto, quasi con timore, sapendo che ne possiamo scorgere solo alcu‑ni tratti, magari piuttosto esteriori, solo quelli che la sua semplicità e modestiaha lasciato trasparire. Eppure noi siamo convinti di dare oggi l’estremo saluto adun sacerdote che è stato un dono prezioso per questa chiesa trevigiana e per tan‑te persone.

    Atti del vescovo

  • 30 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Dicevo che non gli sono mancate le sofferenze. Nel suo testamento egli ri‑corda di essere nato già orfano, perché venuto al mondo due mesi dopo la mor‑te di suo padre. Ma poi ricorda anche quella che lui definisce «la mia grandemamma, con i suoi tre bambini, i miei fratelli, non ricca di beni ma di fede… Gra‑zie, perché mi ha insegnato a pregare»... E sente il bisogno di dire grazie ancheai nonni materni, alla famiglia Durigon e a «chi mi ha edificato ‑ scrive ‑ in unavita povera ma felice...». E poi il pensiero va alla sua parrocchia, Sant’Alberto,nel cui cimitero ha chiesto di riposare: «la piccola comunità ‑ così la definisce ‑in cui tutti mi hanno voluto bene». E ancora un particolare: la grazia che ricono‑sce di aver vissuto da bambino, quella di aver avuto come catechista suor Mad‑dalena Volpato, ora Venerabile, delle Figlie della Chiesa, donatasi al Signore conentusiasmo, anche nella terribile malattia che la stroncò nei suoi giovani anni,avendo in mente l’unità della Chiesa per la quale si offrì.

    La pietà personale di don Giovanni non è stata banalmente infantile, perché‑ come mi è stato testimoniato ‑ egli amava frequentare anche opere teologichesostanziose; ma ha saputo conservare anche tratti di semplicità, di immediatez‑za, di confidenza, che appartenevano all’esperienza di fede della sua fanciullez‑za. Nel suo testamento c’è spesso il richiamo alla Santa Trinità evocata nel segnodella croce; e poi alla Madonna, all’angelo custode, come pure è frequente il ri‑cordo dei morti. È quella pietà popolare che ha nutrito la fede di innumerevoligenerazioni cristiane, guidando alla santità tantissime umili persone.

    Dopo essere stato due anni assistente al Filippin di Paderno, don Giovannipassa a Santa Cristina, poi a Casale sul Sile, a Cornuda e a Mirano, svolgendoviil ministero di cappellano. A Mirano viene nominato assistente delle ACLI delMiranese, mostrando una sensibilità sociale acuta, moderna, coraggiosa, tantoda non temere di affrontare accuse di politicizzazione, come testimoniano gior‑nali dell’epoca.

    È simpatico poi leggere negli archivi che, quando, essendo poco più chequarantenne, giunge il momento di pensare alla sua nomina a parroco, attornoa lui si muovono in tanti a fare ipotesi diverse: il Vescovo, il Vicario generale,l’arciprete di Mirano, ciascuno con una proposta che poi non si concretizzò. Laparrocchia di S. Ambrogio di Fiera veniva esclusa perché, diceva un autorevoleinterpellato, don Giovanni «non ha la salute né la forza per affrontare i complessiproblemi di Fiera». E, contro ogni ipotesi, egli giunge a Fiera, e «molto volentie‑ri», come testimonia il Vescovo di allora, mons. Mistrorigo. La sua nomina por‑ta la data del 15 agosto, solennità dell’Assunzione di Maria, del 1967.

    Qui, a Fiera, per 37 anni si esplicò il “progetto e lo stile pastorale” di don Gio‑vanni. Egli seppe capire la singolarità della fisionomia sociale, economica e anchespirituale di Fiera. E fu capito dagli abitanti di Fiera, e non solo dai praticanti.

    Ho voluto far parlare i ricordi di un sacerdote che fu per qualche tempo vi‑cario parrocchiale di don Giovanni in questa parrocchia di Fiera. Ho raccoltoquesti suoi flash, che riprendo nella sostanza con gratitudine e commozione.

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    «Don Giovanni era un sacerdote innamorato della Parola di Dio ‑ mi ha rac‑contato questo sacerdote ‑ in particolare delle Lettere di San Paolo. Ricordo cheogni pomeriggio sostava in chiesa, dove si dedicava alla lettura continua dellaScrittura. In questo modo l’ha riletta più volte nella sua vita. Ricordo pure comela sua preghiera personale e il suo rimanere a lungo in silenzio in chiesa sianostate note che lo hanno sempre caratterizzato».

    «Ogni giorno riservava del tempo per una visita agli ammalati ricoverati al‑l’ospedale. Non si fermava a lungo, per non stancarli, ma passava per le stanzea salutarli tutti. Anche la sua attenzione verso gli ammalati presenti nelle fami‑glie e verso le persone sole è stata costante, come pure la benedizione alle fami‑glie. Questo ministero, svolto con tanta disponibilità, gli apriva le porte di tantecase, che altrimenti sarebbero rimaste chiuse».

    Un’altra attenzione tutta particolare è stata quella riservata «ai poveri, cheaiutava anche di tasca propria. I poveri e gli anziani sapevano di ricevere da luiascolto e accoglienza. Ricordo in particolare ‑ riferisce sempre questa testimo‑nianza ‑ tre espressioni della carità di don Giovanni. A Natale e a Pasqua invita‑va in canonica persone sole e anziane per condividere con loro la festa in unpranzo comune. Ospitò in canonica a Fiera, per più anni, un uomo povero, sen‑za famiglia e senza casa. Ed è stato don Giovanni ad accogliere don Agostino, sa‑cerdote vietnamita tuttora presente nella nostra diocesi, appena giunto in Italianegli anni in cui, come è noto, molti vietnamiti hanno abbandonato il loro pae‑se. Il direttore della Caritas di allora sapeva bene che don Giovanni avrebbe cer‑tamente accolto questo giovane prete, fuggito dalla sua terra e incapace di qual‑siasi comunicazione in italiano».

    E ancora: «Don Giovanni è stato un sacerdote che ha scelto la povertà comestile di vita, anche nell’abito e nella sobrietà di qualsiasi spesa personale. Schivodi fronte ad ogni elogio o apprezzamento, preferiva agire in silenzio, senza darealcuna pubblicità al bene che faceva». Mi piace, a questo proposito, riprendereancora alcune espressioni del suo testamento spirituale: «Desidero che tanti mieifratelli in Cristo sappiano che me ne vado contento, perché è stata una grazia na‑scere povero, aver vissuto questa lunga vita da povero, sempre benedetto dal Si‑gnore, contento di stare vicino ai poveri».

    Un altro ricordo incancellabile di don Giovanni: «Fu strenuo difensore del‑la giustizia; quello della giustizia era un argomento per il quale si accalorava. At‑tento alle questioni sociali, si poneva sempre in difesa dei diritti dei più deboli».Io vorrei applicare a lui in questo senso l’espressione del libro della Sapienza cheapriva la prima lettura: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio» (Sap 3,1),anche se il termine “giusto” nella Bibbia ha un significato più vasto di quello danoi inteso. Ma è bello affermare, in questo momento, che don Giovanni è statoun autentico uomo giusto, appassionato difensore della giustizia, cioè dei dirittidegli sfruttati e dei senza voce.

    Riprendo la testimonianza. «Da parroco è stato amato anche dai giovani.

    Atti del vescovo

  • 32 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Pur non riuscendo, soprattutto da anziano, a mettersi in un dialogo con loro al‑la pari, è stato sempre da loro apprezzato per la sua coerenza. Ricordo il caso dialcuni ragazzi coinvolti in problemi di droga e di furti: li invitò in canonica perparlare dei loro comportamenti, incoraggiandoli a cambiare, e poi ha affrontatoil problema con le loro famiglie».

    Così si conclude la testimonianza: «Don Giovanni è stato il prete di tutti, vi‑cini e lontani, qualunque fosse il loro credo religioso, la loro appartenenza poli‑tica, il loro paese di origine. A tutti ha voluto offrire la carità del Signore. Ed èstato un vero prete del Concilio: si può dire che abbia vissuto ogni giorno la Gau‑dium et spes: ha saputo cioè mettere la Chiesa al servizio del mondo, portando nelmondo il Vangelo».

    Ho voluto riferire questi ricordi raccolti da un suo confratello e collabora‑tore, non per tessere facili elogi o inopportuni panegirici. In verità noi abbiamobisogno di testimoni del Vangelo; e nel momento in cui affidiamo al Signore unfratello che ci ha lasciato, il quale certamente è stato anche un peccatore, ci pia‑ce quasi accompagnare l’invocazione della misericordia di Dio su di lui con il ri‑cordo del bene da lui compiuto, quasi a dire: non dimenticare, Signore, che, ac‑canto alle mancanze, nella sua vita vi è stato anche tanto bene. Di esso diciamograzie al Padre, fonte di ogni santità, e alla sua persona di prete umile, laborio‑so, evangelico.

    Ci piace pensare, in questo momento, che don Giovanni, assiduo lettore diSan Paolo, si presenti davanti al Padre con le parole che abbiamo ascoltato nellaseconda lettura (una delle più belle pagine dell’Apostolo); dicendogli più o me‑no così: so bene di essere peccatore, ma tu sei un “Dio per me”, non contro di me(«Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?», abbiamo sentito da Paolo). E so an‑che con certezza che né morte né vita… né alcun’altra creatura e nessuna cosa almondo potrà mai separarmi dal tuo amore, o Padre, riversato nella mia vita gra‑zie a Cristo Gesù (cf. Rom 8,31.38s.).

    Nel suo testamento don Giovanni ha scritto che la sua vita è stata “lunga efelice”. Siamo convinti che tale felicità proveniva soprattutto dalla sua fede e dal‑la sua carità. Chiediamo ora per lui, uomo di limpida fede e di autentica carità,la felicità piena e definitiva: quella che solo l’abbraccio del Padre sa donare.

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    Omelia nell’Eucaristia esequiale di don Luigi Feltrin

    � Chiesa arcipretale di Cornuda, 10 febbraio 2015

    Ci insegna la Chiesa che «la liturgia cristiana dei funerali è una celebrazio‑ne del mistero pasquale di Cristo Signore» (Rito delle esequie. Premesse). È infattinella morte e risurrezione di Cristo, evento di cui la Liturgia ci rende partecipi,che noi riconosciamo il passaggio dalla morte alla vita anche di tutti i figli di Dio;in particolare di coloro che, grazie al battesimo, sono stati incorporati alla vitastessa di Cristo. Abbiamo sentito la parola illuminante di Paolo, che siamo chia‑mati a fare nostra esprimendo una verità centrale della nostra fede: «Noi siamoconvinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi conGesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi» (2Cor 4,14).

    Ancora una volta, la morte di un nostro fratello ‑ il nostro carissimo donLuigi ‑ provoca la professione della nostra fede; essa ci fa dichiarare che noi cre‑diamo con profonda e incrollabile convinzione nella forza vitale di questo even‑to, unico e stupendo, che è la morte e risurrezione di Cristo. Esso conduce alla“vita in Dio”, che Paolo descrive come una «quantità smisurata ed eterna di glo‑ria» (2Cor 4,17). Per questo la nostra celebrazione è anche un sincero rendimen‑to di grazie al Signore: «La grazia faccia abbondare l’inno di ringraziamento, perla gloria di Dio» (2Cor 4,15).

    Vogliamo dunque lodare Dio, in questo momento, per il dono di questa vi‑ta divina, che proviene dal Cristo risorto, si riversa sui figli di Dio e apre le por‑te dell’eternità beata. Nell’affidare alla bontà di Dio questo nostro sacerdote, noiripetiamo: quanto grande è questo dono di Dio: la vita di Cristo che entra nellanostra persona e nella nostra esistenza. Nemmeno la morte è in grado di spe‑gnerla. «Tutto infatti è per voi» (2Cor 4,15), ci ha detto ancora Paolo. Tutto! Pernoi! Dovremmo sentire la forza e la misura di questo “tutto” che proviene da Dioed è “per noi”. Nella prima lettera alla stessa comunità di Corinto, Paolo avevascritto: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22s.).

    Noi chiediamo che anche don Luigi, rigenerato da Cristo nel Battesimo, ereso suo ministro dal sacramento dell’Ordine, possa ora appartenere totalmentea Cristo per essere per sempre “di Dio”.

    Ed è con commozione che noi presentiamo oggi al Signore la sua persona ela sua ampia vicenda terrena. Era il decano del presbiterio trevigiano. Pensava‑mo ormai di stringerci con gioia attorno a lui il prossimo settembre per celebra‑re i suoi cento anni; ma anche senza raggiungere il traguardo del secolo la suaesistenza è stata un lungo cammino. In esso pensiamo soprattutto ai suoi ben 72anni di sacerdozio.

    Scorrendo la sua storia di uomo e di prete, ci viene da dire: quanto bene,quanto annuncio del Vangelo, quanta Grazia divina accolta e dispensata, quan‑

    Atti del vescovo

  • 34 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    to servizio alla Chiesa ci possono stare nella vita di un prete, soprattutto se gui‑data da un progetto divino a cui egli, pur negli immancabili limiti dovuti dallafragilità umana, ha risposto con fede e con generosità.

    Il Signore gli fece riconoscere fin dalla giovinezza il cammino a cui era chia‑mato. Dopo gli anni dell’infanzia nella famiglia, che egli nel suo testamento, ri‑corda con tenerezza per la fede e la scuola di vita buona appresa dai genitori,don Luigi passò a Possagno, alunno dei Padri Cavanis, ai quali è rimasto legatofino alla fine della vita, continuando anche a beneficiare le missioni della Con‑gregazione in Brasile ed Ecuador.

    Frequentò poi il liceo presso il nostro Seminario Vescovile, avendo sceltodefinitivamente la vita del sacerdote diocesano. Dopo tre anni egli lascia il se‑minario di Treviso per entrare in quello di Zara, allora città italiana, dove è ret‑tore mons. Giovanni Andreini, sacerdote trevigiano. A Zara viene ordinato sa‑cerdote il 14 giugno 1943. Ma il precipitare della situazione bellica e, soprattut‑to, l’affacciarsi delle violenze dei partigiani titini nei confronti dei religiosi, inparticolare italiani, gli impedì di svolgere il suo ministero nella città dalmata. In‑fatti, tornato a Treviso per celebrare qui a Cornuda la sua prima Messa solenne,fu raggiunto da una lettera del Vescovo di Zara che lo invitava a rimanere a Tre‑viso e mettersi a disposizione del Vescovo di questa diocesi.

    Il Vescovo di Treviso, mons. Mantiero, senza incardinarlo in diocesi, lo in‑via al Collegio Pio X come assistente alla disciplina. Vi rimarrà dieci anni, fino al1953. In quell’anno accetta l’invito del Vescovo ad esercitare il suo ministero co‑me cappellano militare. Con questo compito fu per breve tempo a Firenze, quin‑di per quattro anni a Gorizia, e poi per lunghi anni a Trieste, dove ricevette lanomina di primo cappellano capo della Polizia di Stato. Il suo ministero fu mol‑to apprezzato.

    Nel 1967 don Luigi viene finalmente incardinato fra i presbiteri della dio‑cesi di Treviso. Rientra in diocesi però solo nel 1978 e viene nominato direttoredella Casa degli Esercizi spirituali di S. Maria in Colle a Montebelluna. È un nuo‑vo inizio, a cui don Luigi si avvia con generosità e intraprendenza, risanando,anche di tasca propria, le traballanti finanze.

    Ancora un altro passaggio nel 1978: lascia la direzione della Casa di S. Ma‑ria in Colle e viene nominato penitenziere del Duomo di Montebelluna e, pocodopo, canonico onorario della Collegiata di Asolo. Ancora una volta egli si adat‑ta ed obbedisce, anche se, con sincerità e senso di responsabilità, fa presente al Vi‑cario generale la sua limitata esperienza di confessore; dichiara perciò di volersiconfrontare con sacerdoti esperti e anche di dedicarsi allo studio della Teologiamorale per essere all’altezza del ministero affidatogli. Ancora dieci anni di lavo‑ro intenso a Montebelluna, in Asolo e in altre parrocchie come collaboratore oc‑casionale. Verso la fine del 1997 si trasferisce nella Casa del Clero di Treviso.

    Don Luigi era persona vivace e socievole; anche se negli ultimi tempi l’etàassai avanzata gli aveva in parte tolto la lucidità, la sua mente non aveva perso

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    qualche reminiscenza di canzoni alpine che intonava volentieri, a sorpresa, su‑scitando il sorriso fraterno dei confratelli.

    La sera di venerdì scorso il Signore ha raccolto il suo desiderio consegnatonel testamento: «Vergine Santa aiutami a vivere sempre da sacerdote e a morirecol nome di Gesù e vostro sulle labbra».

    Quello che stupisce ed è ammirevole di don Luigi è la disponibilità con cuiegli ha attraversato gli anni e i decenni in luoghi e mansioni così vari, mante‑nendo, come dicono le numerose testimonianze raccolte nel suo fascicolo perso‑nale, una coerenza spirituale, uno zelo pastorale, una immediata umanità, capa‑ce di incontrare, via via, le persone più diverse e lasciando in tutti un segno. Nel1976, in una relazione dei suoi Superiori dell’Ordinariato militare al Vescovo diTreviso, si legge per esempio: «Don Luigi Feltrin è stato qualificato “Ottimo” peril servizio reso durante il 1975. Egli ha compiuto un lavoro metodico, equilibra‑to, discreto, con ottimi risultati. Gode della stima e della fiducia anche dell’am‑biente ecclesiastico della città».

    Uno dei motivi ricorrenti nei suoi scritti ai superiori è la stima che egli, vis‑suto per anni altrove, esprime nei confronti dei preti trevigiani, di cui, del resto,ha sempre sentito di far parte, anche se l’incardinazione canonica è giunta mol‑to più tardi. Di questo clero egli è stato un fedele testimone.

    «Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato unposto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi»(Gv 14,2s.). Questa parola di Gesù ci fa credere e sperare che don Luigi, purifi‑cato da ogni peccato e accolto dalla tenerezza del Padre, gusti tutta la gioia di ri‑trovare “il suo posto”, preparato dall’amore redentore di Cristo.

    Noi preghiamo che davanti a lui si spalanchi l’eternità beata. Ed egli sia pernoi, per la nostra diocesi, per questa comunità cristiana di Cornuda, un fratelloche intercede. Ottenga anche il dono di nuove e generose vocazioni sacerdotali,che come lui servano a lungo e con umile fedeltà la Chiesa di Dio.

    Atti del vescovo

  • 36 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Omelia nell’Eucaristia esequialedi don Gelindo Campagnaro

    � Chiesa arcipretale di Santa Bona, 13 febbraio 2015

    «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita» (1Re 19,4). Questa invocazione diElia al Dio di Israele ‑ l’abbiamo ascoltata nella prima lettura ‑ è salita molte vol‑te alle labbra di don Gelindo in questi ultimi tempi, come testimoniano personeche gli sono state vicine. E se non c’erano parole, bastavano, in alcuni giorni dif‑ficili, i tratti sofferenti del suo volto, i suoi occhi stanchi.

    Per i confratelli sacerdoti della Casa del Clero, nella quale risiedeva, donGelindo è stato l’icona del dolore e della pazienza. Negli ultimi mesi arrivava insala da pranzo un po’ dopo gli altri, a piccoli passi, sorretto più dalla volontà chedalla forza. Alla fine, martedì scorso, alcune ore dopo i funerali di un altro sa‑cerdote della stessa comunità, egli è giunto di fronte a Dio, dopo il suo lungo fa‑ticoso “esodo”. E anche a lui, come ad Elia, Dio rivolge la domanda: «Che cosafai qui, Elia?» (1Re 19,9). «Che cosa fai qui, don Gelindo?». E come Elia, anchedon Gelindo racconta al Signore la propria vita. Perché l’unico merito che ab‑biamo di fronte al Signore è la fedeltà obbediente e serena alla nostra vita.

    Egli racconta della sua famiglia, della scuola di fede, di laboriosità, di buo‑ni esempi che essa è stata per lui. Racconta della sua parrocchia di origine, Ro‑begano, Casa di Maria, dove, nel piccolo Santuario, dentro la chiesa arcipretale,si conserva nei secoli la memoria di una visita della Madre del Signore ad unafanciulla e ad un’intera comunità, segnata spiritualmente da questo amore ma‑terno di Maria.

    Racconta del parroco della sua giovinezza, don Attilio Semenzato, attornoal quale è cresciuto un gruppo di giovani divenuti sacerdoti diocesani, insiemecon altri, ragazzi e ragazze, consacrati a Dio nella vita religiosa e anche missio‑naria. Racconta di un mondo, certo ormai appartenente al passato, che rendevale nostre parrocchie ricche di fervore, di umanità, di generosa solidarietà.

    Questo spirito antico don Gelindo lo ha portato sempre con sé e lo ha tra‑smesso alle anime alle quali il Signore lo ha inviato lungo i 59 anni della sua vitapresbiterale. A Lancenigo, anzitutto, parrocchia nella quale rimase per oltre undecennio, dal 1956 al 1967, lasciando un ricordo di serena operosità e stringendorelazioni che hanno resistito nel tempo. E poi a Zero Branco, dal 1967 al 1975.

    Giunse poi la prima esperienza di parroco, a S. Maria delle Vittorie, sulMontello, dove i terribili ricordi della prima guerra mondiale si facevano piùlontani e lasciavano il posto ad un tempo di prosperità; e un territorio che veni‑va trasformato dal lavoro trovava nella parrocchia il proprio punto di riferi‑mento e la propria identità cristiana, ma anche civile e sociale.

    Nel 1984 don Gelindo viene nominato arciprete di questa parrocchia, S. Bo‑

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    na, importante quartiere cittadino. Bisogna dire che le nostre parrocchie dellacintura urbana non sono mai state periferie, avendo ciascuna conservato unapropria identità, riconoscibile e originale, capace di fermentare forme vive di re‑ligiosità, ma anche di animazione sociale, caritativa e, per giovani e ragazzi, an‑che sportiva. Ogni parroco che arrivava era chiamato, quasi sfidato, ad immer‑gersi in un preciso contesto, con le sue caratteristiche e la sua storia. E questo fe‑ce don Gelindo, con una disponibilità pastorale che lo rese caro alla gente e aiconfratelli del vicariato di S. Maria del Rovere.

    Cominciò la casa canonica a mostrare le porte aperte del suo cuore, primache della sua abitazione: ospitò, insieme con il vicario parrocchiale, altri sacer‑doti, con i quali iniziò una vera e propria vita comune. E poi accettò ben volen‑tieri che la sua casa fosse scelta perché l’intuizione di alcune giovani, desiderosedi dedicarsi al Signore nella pastorale parrocchiale e diocesana, potesse deli‑nearsi e maturare, e fosse infine riconosciuta dal Vescovo come un dono per lanostra Chiesa, quello delle Cooperatrici pastorali.

    Ho voluto raccogliere proprio la testimonianza di una di loro, una coope‑ratrice della prima ora.

    «Non posso non ricordare ‑ ha raccontato ‑ l’accoglienza che don Gelindo ciha riservato in canonica nel novembre 1992, permettendo la nascita della comu‑nità formativa. Abbiamo respirato accoglienza ed affetto. È stata una disponibi‑lità immediata, non fatta di molte parole, ma messa in atto dal suo stile schietto,paterno e al tempo stesso rispettoso, assolutamente discreto. Noi respiravamo lasua carità pastorale, la sua capacità di condividere spazi e tempi, riservando persé l’essenziale. Abbiamo avuto la fortuna di nascere con un prete che ci ha testi‑moniato una consistente solidità interiore».

    Ma mi piace anche riferire quanto la stessa testimone ha raccontato dellapersona e dello stile pastorale di don Gelindo.

    «Era un uomo tutto d’un pezzo, di grande finezza interiore, umile. Pastorezelante, il cui fervore apostolico si esprimeva in un amore per tutta la comunitàcristiana, ma in particolare per gli ammalati, gli anziani, le famiglie in difficoltà ei poveri. Il fluire dei poveri alla sua porta era continuo. Noi li chiamavamo “gliamici di don Gelindo”. E anche quando abbiamo cambiato casa e suonavano allaporta, alla domanda: “chi è?”, la risposta era: “un amico di don Gelindo”. Il gior‑no di Natale venne alla sua porta un povero infreddolito e lui gli diede il suo cap‑potto. Prima di noi aveva ospitato in canonica alcuni immigrati. Lasciava apertala porta esterna del vano della caldaia perché sapeva che per qualcuno poteva es‑sere un rifugio di fortuna. E anche la sua auto poteva offrire un riparo…

    Per certi versi incarnava il volto di un prete di altri tempi. Ma, anche se siera formato prima del Concilio, avvertiva la necessità di cambiamenti pastorali,che la storia ormai richiedeva. Non era dotato di particolare creatività e proget‑tualità pastorale per metterli in atto, ma accoglieva ben volentieri tutte quelleproposte che potevano orientare la comunità cristiana verso un vissuto ecclesia‑

    Atti del vescovo

  • 38 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    le ispirato dal Vaticano II. Nonostante il carattere un po’ ruvido, era ben volutoda tutti: dai giovani che vedevano in lui un punto di riferimento sicuro ma nonrigido, dalle famiglie che riconoscevano in lui il parroco ben ancorato nella fedee animato da grande passione per la gente, dagli anziani che, soprattutto negliultimi anni, trovavano in lui un compagno di viaggio. Manifestava un autenticoaffetto da pastore che sa avvicinare ogni età con gesti semplici e sinceri.

    Squisita la sua fede mariana. Quante volte lo si poteva trovare in chiesa all’al‑tare della Madonna; e quando accadevano in parrocchia disgrazie particolarmentedolorose, era lì più spesso. E ripeteva: “Ghe go dito che sta volta a ga da scoltarme”».

    Nel 2002 il terribile incidente stradale, il lungo periodo di riabilitazione, ilrecupero psicologico, il rientro in parrocchia, avendo accanto tutta la sua gentee la comunità delle Cooperatrici pastorali. Ma, alla fine, l’inevitabile decisione dirinunciare alla parrocchia di S. Bona, nel 2003.

    Cominciava per don Gelindo, come per Elia, l’arduo viaggio, lungo un per‑corso che sembrava sottrargli via via tutto ciò che egli aveva amato e per cui eravissuto fino ad allora. Ci sono due racconti di questo periodo.

    Anzitutto quello delle sue sofferenze: i postumi, mai superati, dell’invalidi‑tà subita a causa dell’incidente; poi una rovinosa caduta, che lo costrinse a lettoper mesi, dentro una corazza di gesso; e ancora la scoperta e la dolorosa cura chi‑rurgica di un tumore al cuoio capelluto; la progressiva rinuncia all’autonomianegli spostamenti e nella cura di sé…

    Ma c’è un altro racconto, che è un miracolo quotidiano di generosità e didisponibilità. Don Gelindo, nonostante la sua invalidità, accettava volentieri ilministero domenicale in qualche parrocchia, e donava il suo essenziale mes‑saggio di fede e di amore alla gente. Così, se richiesto e accompagnato, si de‑dicava particolarmente alle confessioni. E nel monastero della Visitazione ilministero della riconciliazione fu un suo prezioso apostolato, assai apprezza‑to, e rimpianto quando chiese al Vescovo di esserne esonerato per motivi di sa‑lute. Anche per il canonicato, che aveva onorato con la presenza fedele agli ap‑puntamenti di preghiera liturgica in cattedrale, chiese al Vescovo di accoglierele dimissioni nel 2013.

    Cominciava l’ultimo tratto della sua vita: come per Elia il più misterioso enon facilmente comunicabile, fatto di molti silenzi, di molta preghiera. Un tem‑po vissuto nel segreto tra lui e il suo Signore. Fino al momento in cui Dio gli hadetto, come ad Elia: «Esci e férmati alla presenza del Signore» (cf. 1Re 19,11). DonGelindo aveva già attraversato il vento impetuoso della prova, il terremoto dicambiamenti imprevisti, il fuoco delle rinunce anche brucianti. Ora era prontoper il «sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,11,12), o era pronto ad ascoltare,come dice il testo ebraico originale, «una voce di silenzio sottile». Un sussurro eun silenzio fatto voce che lui ‑ noi vogliamo credere ‑ ha saputo subito ricono‑scere con gioia, esclamando forse, come il discepolo amato di fronte al Risortoapparso presso il lago: «È il Signore!» (Gv 21,9).

  • 39

    Don Gelindo è stato un prete che ha fatto della sua vita un dono quotidia‑no di sé agli altri. Autentico uomo delle Beatitudini: povero, mite, misericordio‑so, costruttore di armonia e di pace; prete dal cuore puro e grande, ricco di sen‑sibilità e di affetto, sia pur dietro gesti sobri e modi apparentemente asciutti.

    Di fronte alla sua vita, io Vescovo avverto una profonda venerazione e il bi‑sogno di rendere quella testimonianza commossa e riconoscente che ogni Ve‑scovo rende ‑ deve rendere ‑ ad ognuno dei suoi preti la cui vita è stata un aper‑to, pieno, incondizionato “eccomi” detto al Signore ogni giorno, anche nell’oradella prova, e fino all’ultima ora.

    Ci ha ricordato Paolo: «Se moriamo con lui [con Cristo], con lui anche vi‑vremo» (2Tim 2,12). Questo tuo prete è morto con te, o Cristo, perché per te è vis‑suto: purificato da ogni colpa, con te e in te possa vivere per sempre.

    Atti del vescovo

  • 40 Rivista della Diocesi di Treviso/Anno CIV (2015) N. 1

    Omelia nell’Eucaristia esequiale di mons. Vittorio Simeoni

    � Chiesa arcipretale di Mogliano Veneto, 25 febbraio 2015

    «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conosconome» (Gv 10,14). Mons. Vittorio Simeoni che, sull’esempio di Gesù, è stato per qua‑si trent’anni pastore buono di questa comunità cristiana, è tornato qui, nella suaMogliano. Ed è davvero commovente questo stringersi attorno a lui del suo greg‑ge; quasi a dirgli: noi ti siamo ricono