Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

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Corso di Laurea in Asia meridionale occidentale: lingue, culture, istituzioni Prova finale di Laurea Frammenti di storia Gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano Relatore Ch. Prof. Rosella Dorigo Correlatore Ch. Prof. Antonella Ghersetti Laureando Enrica Camporesi Matricola 826173 Anno Accademico 2009 / 2010

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Tesi di laurea discussa il 22/2/2011 all'Università Cà Foscari di Venezia.Si consente la diffusione del testo nella sua totalità purché non a scopi commerciali o di lucro e a condizione che questa dicitura sia riprodotta e che siano citati l'autore e il contesto di provenienza

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Corso di Laurea in Asia meridionale occidentale: lingue, culture, istituzioni Prova finale di Laurea Frammenti di storia Gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano Relatore Ch. Prof. Rosella Dorigo Correlatore Ch. Prof. Antonella Ghersetti Laureando Enrica Camporesi Matricola 826173 Anno Accademico 2009 / 2010

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A Ruggero, Roberto e Malù

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Indice

Introduzione 6

15 المقدمة

I capitolo

Questioni identitarie, politiche della memoria e indagini storiografiche nel Libano moderno 20

1. Il processo di nation building del Libano moderno: guerra civile e questioni identitarie 22 2. Politiche della memoria 28

• La questione degli sfollati e degli scomparsi 29 • Riappropriazione dello spazio urbano 30

3. Memory Cultural Agents 32 4. Questioni di storia e di storiografia 33 5. Il caso di 'Umam 36 6. Fonti orali 37 7. La pretesa storiografica, tra imparzialità e interpretazione 39 8. “Guerra latente” e “stato di urgenza” 40

II capitolo

Storia e immaginari di Beirut. Dalla mutasarrifiyyah ai progetti di ricostruzione del dopoguerra 44

1. Beirut, fuoco centrale: un approccio riduzionista alla storia nazionale 45 2. Beirut Porta d'Oriente, vetrina della modernità ottomana: 48 la città durante la mutasarrifiyyah (1861-1915) 48 3. Libano fenicio e Beirut “Piccola Parigi”: 53 urbanistica e nazionalismi durante il Mandato francese 53 4. Il Patto Nazionale e l'Indipendenza: 57 Beirut Montecarlo e Libano Svizzera del medio Oriente 57 5. Le guerre civili: Beirut “capitale del dolore” 61

• L'immaginario nostalgico delle ra bānāt: ba ibbak ya Lubnān!  61 • Le linee di demarcazione 62

6. Politiche della ricostruzione del centro storico nel dopoguerra 66 • Beirut “fenice che risorge dalle sue ceneri" 66 • La ricostruzione secondo arīrī: 1992 67 • SOLIDERE : 1994 70 • Memoria dei luoghi: Sā at al‐Šuhadā' 72

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III capitolo

Sintomi isterici e eventi inconsci: rappresentazioni della storia nel Libano del dopoguerra 75

1. Una “generazione di guerra”? 76 2. I protagonisti: artisti, intellettuali e curatori del primo dopoguerra 77 3. Politiche culturali, spazio pubblico e fondi stranieri: 79 4. Al‐fann al‐multazim: 83

• Rū īh‘Assāf 85 • 'Ilyās  ūrī 87

5. Il teatro politico in Libano tra il 1968-1973 89 6. Dall'impegno militante all'impegno elusivo 90 7. Arte di guerra e politiche della rappresentazione 92 8. Arte e critica storiografica 94

• Zones of Conflict 95 9. From horror to beauty, with love: immagini di guerra 98

• I documentari di Borgmann e Slim 99 • Walīd Ra‘ad, il falsario 101

10. Resti desolanti: rovine e fantasmi 104 • Nous sommes juste de mourantes: sul concetto di latenza/1 105

IV capitolo

Al-Masra Al-Mufakkir di Rabih Mroue e Lina Saneh 107

1. Una biografia di Rabih Mroue: l'incontro con Lina Saneh 107 2. Sul concetto di latenza/2: di promesse, bugie e altri stratagemmi 115 3. Nancy e la storiografia 116 4. Telecamere, microfoni e pc: dispositivi della rappresentazione immediata 119 5. Testimonianze orali e tazyī‘ al-waqā’y‘ (falsificazione degli eventi) 122 6. Relativismo estremo e pubblico elitario: Rabi Mroue secondo Fawwāz  arābulsī 126 7. Ultimi sguardi e nuove metafore: le esperienze teatrali di Zuqāq, Māyā Zbīb, Khulūd Nāsir 129

Bibliografia 137

Appendice 154

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Introduzione

Chi racconta la guerra civile e chi scrive la storia contemporanea del Libano?1

Come è stata ricordata l’esperienza del conflitto dai governi che hanno guidato la

ricostruzione materiale del paese? Quali narrative sub-nazionali competitive sono state invece

messe in essere dagli altri attori sociali (partiti politici, comunità religiose, famiglie, …) che

strutturano il senso di appartenenza nazionale?

Come parlare della guerra e come rappresentarla, a vent’anni di distanza?

Tali domande sono le linee guida di questo elaborato nella misura in cui costituiscono le

questioni chiave attorno a cui si strutturano le ricerche di numerosi artisti libanesi

contemporanei, che hanno fatto della memoria e della storia del Libano recente, il proprio

principale terreno di indagine estetica e concettuale.

In questa sede si tenta infatti di esaminare le strette connessioni che legano numerose opere di

teatro, cinema e arti visive al dibattito pubblico sulla riconciliazione, sulle memorie private,

sull’amnistia generale e l’amnesia collettiva, sulla storia e la storiografia. O meglio: si tenta di

argomentare come spesso la società civile, la scena culturale e le produzioni artistiche si siano

incaricate di proporre letture storico-politiche radicalmente alternative a quelle ufficiali.

• Questioni identitarie, politiche della memoria e indagini

storiografiche nel Libano moderno

La questione delle identità nazionali libanesi, con il loro relativo carico di miti e

immaginari, è centrale per contestualizzare tali domande, poste con rinnovata urgenza dalla

guerra civile ma caratterizzanti il dibattito politico libanese sin dall’epoca dei primi 1 Da un punto di vista storiografico, sarebbe opportuno seguire la definizione proposta da Kassir (2000) di guerre civili libanesi, al plurale, per sottolineare i numerosi attori e le diverse fasi del conflitto. Tuttavia, si usa in questa sede la nozione di guerra civile, al singolare, per indicare l’intero processo che ha destabilizzato il paese nel periodo 1975-1990, date concordate – quasi – all’unanimità come i riferimenti di inizio e fine degli scontri.

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nazionalismi, nati durante il mandato francese.2 Alle problematiche identitarie, oggetto di

tanta letteratura accademica e descritte in questa sede principalmente secondo gli studi

Ġassān Salāmah,3 si somma il tema del settarianismo sintetizzato in campo politico.

Il sistema del confessionalismo politico prevede infatti una spartizione proporzionale delle

cariche politico-istituzionali del paese in base al peso demografico di ogni “comunità

storicamente riconosciuta”,4 secondo il principio politico del Libano “somma di minoranze”.

Tale visione, sistematizzata nella filosofia del libanismo elaborata negli anni ’40 da Mīšāl 

Šī ā, trovò una prima applicazione pratica nel Patto Nazionale del 1943 e venne ripresa come

principio guida degli accordi di pace di al- ā'if del 1989, che segnarono la fine della guerra

civile e l’inizio della II° Repubblica.5

L’esistenza di progetti politici nazionali, sub-nazionali e supra-nazionali promossi in

competizione reciproca da comunità religiose, partiti politici e società civile e, dunque, il

mancato accordo sulla definizione di “identità e nazione libanese” rientra non solo tra le cause

politiche profonde che portarono allo scoppio della guerra civile, ma ne resta una delle

conseguenze irrisolte.

E’ opportuno chiedersi, dunque, come le diverse retoriche politiche prodotte da tali progetti

nazionali competitivi abbiano raccontato e ricordato la guerra civile del 1975-1990.

• Amnestia generale e amnesia collettiva

A Beirut nulla era davvero cambiato. Mi sembrava strano camminare per le vie della città senza le grida dei miliziani, senza il rumore delle pallottole. Nel giro di qualche giorno la città avrebbe cambiato completamente faccia, tutti avevano fretta di voltare pagina, di dimenticare i centocinquantamila morti per niente. In un batter d’occhio i cecchini, i tiratori, gli assassini si sono confusi con la folla. Un esercito di assassini volatilizzati da un colpo di bacchetta magica che si chiama amnesia. La guerra aveva causato oltre trecentomila feriti, ma per strada non si vedeva un invalido. La società libanese si vergognava dei suoi handicappati, li aveva nascosti o cancellati come errori di ortografia. Ognuno aveva voltato pagina, senza leggerla, con la massima rapidità. I libanesi si sono sbarazzati della storia della guerra come di un cadavere.6

2 Si fa qui riferimento agli intellettuali e politici cristiani e filo-francesi riuniti dal 1919 nel movimento dei néo-pheniciens. Cfr. infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1920”). 3 Salamé (1986). 4 Oggi, le “comunità storicamente riconosciute” (espressione risalente all’epoca mandataria francese) sono 18: 12 cristiane, 4 musulmane, 1 drusa, 1 ebrea. Il sistema del confessionalismo prevede principalmente che i cittadini godano dei diritti politici sanciti dallo Stato solo in quanto membri di una delle comunità religiose riconosciute. Vedi infra, I capitolo. 5 Mīšāl Šīḥā, pubblicista e banchiere greco ortodosso, è stato il promotore del libanismo come filosofia politica negli anni ’40 per risolvere una duplice ambiguità incompatibile con una qualsiasi forma di nazionalismo unitario: da un lato l’ambizione panaraba dei musulmani libanesi, dall’altro il sentimento filo-francese del campo cristiano. Il principio di Šīḥā trovò una prima applicazione pratica nel Patto Nazionale (al-mīṯāq al-waṭaniyy) del 1943 e sostanzialmente venne riapplicato negli accordi di aṭ-Ṭā'if (1989). Vedi infra, II capitolo. 6 Al-Joundi (2009: 117).

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Nella prima fase del dopoguerra, le precise volontà della classe politica e lo stato di

emergenza in cui versava il paese, caratterizzato dall’occupazione israeliana al sud,

dall’instabilità politica del paese sotto la guida di Rafīq al‐ arīrī e dalla forzata tutela siriana,

non condussero all’apertura dei processi di riconciliazione nazionale che in altri paesi

avevano aiutato a rielaborare gli effetti traumatici della guerra civile. Il caso dei tribunali

sudafricani, ad esempio, ispirati al principio giuridico di “verità e riconciliazione” venne

evocato più volte, ma senza successo, nello stentato dibattito pubblico libanese del primo

dopoguerra.7

In questa fase (1989-2000) le classi politiche dirigenti promossero piuttosto retoriche

riassumibili nel principio “dimenticare per ricominciare” che trovò immediata concretezza

tanto nella legge di amnistia generale, quanto nei progetti di ricostruzione della capitale.

La legge di amnistia generale (n°84/91) copriva tutti i crimini di guerra commessi dal 1975

fino al 28 marzo 1991, consentendo di fatto agli ex-miliziani più potenti di riciclarsi come

deputati parlamentari, nonché di accedere a cariche istituzionali di rilievo, come dimostra

l’ascesa politica di Nabīh Birrī, leader della milizia 'Amal, eletto rappresentante del

Parlamento nel 1992 e fino ad oggi figura intoccabile della leadership sciita. O la parabola di

'Ilī ubayqah, capo dei servizi segreti delle Al-quwwāt al-lubnāniyyah/le Forze Libanesi,

probabile mandante dei massacri di abrā e Šātīlā e eletto nel primo governo arīrī alla carica

di ministro degli sfollati, in seguito ministro degli invalidi e handicappati in quanto sostituito

all’incarico precedente da Walīd anbulā (Jumblat): leader druso del izb al-taqaddum al-

'ištirākiyy (Partito Socialista del Progresso, d’ora in poi PSP). Il neo-eletto ministro degli

sfollati anbulā si era contraddistinto, durante la “guerra delle montagne” del 1982-1983,

per essere stato il principale responsabile del dislocamento di interi villaggi cristiani dalle

montagne dello Šūf.8

Tali esempi sommari servono a contestualizzare gli ostacoli politici incontrati dalla società

civile libanese, impegnata nell’immediato dopoguerra a chiedere provvedimenti concreti in

direzione di una riconciliazione pubblica (al-mu āla ah al-mīdāniyyah).

In secondo luogo, le retoriche ufficiali elaborate dal governo trovarono piena espressione

nella pianificazione della ricostruzione del centro di Beirut, attraverso il rilancio di una

7 Cfr. http://www.justice.gov.za/trc/ (consultato a febbraio 2011). Per un’analisi dell’applicabilità dell’esperienza sudafricana in Libano cfr. Haugbolle (2002). 8 Vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1983”).

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visione mitologica della capitale che la collegava direttamente con l’età dell’oro dei favolosi

anni ’50 e ’60, escludendo volontariamente e significativamente cause e conseguenze della

guerra civile.

A questo proposito, si indagano in questa sede i miti e le narrative prodotte sulla capitale,

dall’epoca tardo-ottomana all’ultima guerra israeliana del 2006 ( arb tammūz), cercando di

sottolinearne le riappropriazioni e le strumentalizzazioni politiche.

Il tema della ricostruzione del centro di Beirut, in particolare della riqualificazione di Sā at

al-Šuhadā' (Piazza dei martiri), polarizzò infatti il dibattito pubblico per farsi terreno di

scontro politico e intellettuale, come si cerca di dimostrare attraverso l’analisi di Prospects for

Lebanon, primo convegno sull’argomento, organizzato a Londra nel 1992. Gli atti del

convegno, raccolti da 'Usāmah Qabbānī, cercano di argomentare le posizioni di tanti

ingegneri, architetti, urbanisti ed economisti libanesi, contrari ai piani di ricostruzione previsti

dal governo arīrī relativi al periodo 1992-1994. Si cita inoltre, come riferimento

bibliografico fondamentale, la miscellanea Beyrouth, la brûlure des rêves9 curata nel 2001

dall’ingegnere e scrittore ād ābit, che raccoglie i contributi -accademici e non- di molti

intellettuali (storici, sociologi, scrittori, urbanisti …) di rilievo: ūr Kūrm, Samīr Qa īr,

Nabīl Bayhūm, 'A mad Bay ūn, 'Iliyās ūrī, May e Michael Davie.

• Una guerra per gli altri o una guerra degli altri?

Quanto ai miti sviluppatisi attorno alla guerra civile, spiccano le definizioni di una guerra per

gli altri, espressione coniata nel 1985 dal giornalista e intellettuale Ġassān Tuwaynī 10 per

indicare una guerra combattuta dai libanesi in nome di altri paesi (alludendo ai partiti libanesi

filo-palestinesi, filo-siriani, filo-israeliani, attivi durante la guerra), e di una guerra senza

vincitori né vinti (lā ġālib walā maġlūb), espressione codificata dal governo del generale

Fu'ād Šahāb per congelare e superare la rivoluzione del 1958.11

Risemantizzati dalle politiche ufficiali dei governi durante e dopo la fine della guerra, tali

denominazioni diventarono spiegazioni passepartout utili a deresponsabilizzare i miliziani, la

classe politica e la stessa società civile, attori molteplici che avevano perpetuato, anche se a

9 Tabet (2001). 10 Tueni (2004: 24, 1985¹). En parlant d’une "guerre pour les autres" notre intention n’est pas de déculpabiliser les Libanais qui ont mené cette guerre, à quelque bord ils appartiennent. Victimes de cette guerre nous en avons été également les acteurs. 11 Vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1958”).

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titolo diverso, un conflitto che in 15 anni di scontri aveva causato tra i 150.000 e i 250.000

morti e oltre 17.000 dispersi. L’espressione una guerra per gli altri, travisando le intenzioni di

Ġassān Tuwaynī, entrò così nel vocabolario politico degli anni ’90 come una guerra degli

altri o come una guerra degli altri combattuta sul suolo libanese, a spiegare il conflitto civile

esclusivamente in termini di ingerenza esterna (tada ul) e di destabilizzazione degli affari

nazionali da parte delle potenze straniere (Siria, Palestina, Israele, USA, Francia, ...).

L’expression est, en effet, entrée dans le vocabulaire libanais. Si bien entré qu’elle a été remodelée et, je dirais, appauvrie en devenant chez certains « la guerre des autres » ou, encore mieux, « la guerre des autres sur notre terre ». (…) Tandis qu’au Liban on dénombrait encore les morts, les Seigneurs de la guerre se lavaient les mains, chacun du sang des autres, multipliant non sans une certaine insolence les protestations d’amitié et les marques de respect. A croire que les gens s’étaient trompés de guerre, de chefs ou de victime!12

• Società civile e coscienza nazionale

La seconda metà degli anni ’90 costituì un momento di svolta nella scena culturale libanese

(intellettuale e artistica), grazie al radicamento di movimenti civili di protesta pacifica che, già

attivi durante la guerra ma fortemente minoritari,13 chiesero più apertamente ai governi e alla

leadership politica di affrontare i capitoli della guerra rimasti irrisolti: in particolare, la

questione degli scomparsi, degli sfollati e della riconciliazione civile.

L’inizio degli anni 2000 attesta da un lato alcuni avvenimenti di grande importanza storica (la

fine dell’occupazione israeliana e la morte di āfi al-'Asad)14 e di rilevanza politica-

economica (elezione del secondo governo arīrī e piani efficaci per il rilancio economico del

paese, lasciato in ginocchio dall’indebitamento maturato negli anni ‘90). Dall’altro, il

consolidamento di processi “culturali” di lungo corso, come l’apertura del dibattito civile

sulla memoria, sulla storia e sulla riconciliazione nazionale ad un pubblico più ampio grazie a

convegni (il primo dei quali si intitolava ākirah li-l-mustaqbal/Mémoire pour l’avenir,

organizzato a Beirut nell’aprile del 2001), eventi di massa (concerti e manifestazioni di

piazza), pubblicazioni,15 produzioni cinematografiche, fondazione di associazioni e ONG

impegnate sui temi della memoria e della pace civile, fino alla prima celebrazione della

12 Cfr. la postfazione scritta da Ġassān Tuwaynī per l’ultima edizione del libro, Tueni (2004: 419). 13 Karam (2006). 14 Vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “2000”). 15 Makarem (2002).

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Giornata della memoria delle vittime della guerra civile, il 13 aprile 2003,16 riconosciuta dal

governo come Giornata Nazionale della Memoria solo nel 2005.

Tra gli intellettuali protagonisti dei movimenti civili di questo periodo spicca lo storico e

giornalista Samīr Qa īr, citato a più riprese in questo elaborato non solo per la sua Histoire

de Beyrouth (2003),17 ma anche per la lucidità intellettuale e l’impegno sul campo in favore di

un Libano unito e indipendente. Qa īr pagherà con la vita l’intransigenza delle proprie

posizioni anti-regime siriano, cadendo vittima di un attentato il 2 giugno 2005.

Dopo l’assassinio del premier al- arīrī (14 febbraio 2005) e le conseguenti manifestazioni di

piazza (14 marzo 2005) dell’'Intifā ah al-'Istiqlāl (Rivolta dell’indipendenza, trad.

“Rivoluzione dei Cedri”, nella stampa estera)18 il ritiro definitivo delle truppe siriane stanziate

in Libano dagli anni ’70 segna un importante tornante storico nella vita politica del paese e

marca un cambiamento significativo anche a livello dei discorsi ufficiali sulla memoria. Alle

retoriche di “amnistia generale e amnesia collettiva”19 proposte dalla classe politica

dell’immediato dopoguerra, subentra infatti una nuova terminologia propria del campo

psicologico che fa della “riconciliazione nazionale” il principale mezzo per “guarire dal

trauma collettivo della guerra civile”.

Lungi dal fornire risposte, l’approdo raggiunto dalla società civile (in netta discontinuità

rispetto alle politiche dei governi) costituisce solo un punto di partenza per riformulare la

contrapposizione frontale “memoria vs oblio” che caratterizzava il dibattito pubblico

all’indomani della guerra civile. Dall’inizio degli anni 2000, infatti, attivisti, artisti e

intellettuali lanciarono interrogativi più sottili: “chi ricorda, cosa ricorda e perché?” e “chi

scrive e chi insegna quale storia del Libano contemporaneo?”.

Le commissioni ministeriali impegnate sin dal 1990 sulla stesura di un libro di storia

condiviso da tutte le comunità e i partiti politici del paese è un caso di studio che è stato solo

accennato nelle pagine seguenti.

• Chi si ricorda?

A mo’ di documento, si cita la testimonianza di  Mārī  Ša ūrah, inviata del quotidiano 16 In ricordo del 13 aprile 1975, vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1975”). 17 Kassir (2009). 18 ’05 Īstiqlāl era uno degli slogan della manifestazione inventati da Samīr Qaṣṣīr. Cfr. Kassir (2005). 19 Per una sistematizzazione delle tematiche della memoria della guerra civile vedi tra l’altro Neuwirth – Pflitsch (2001: pp. 1-40). La definizione di state sponsored amnesia to practice oblivion è stata coniata nel 1998 da Michael Young, editorialista del quotidiano libanese angolofono The Daily Star, cit. ivi.

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francofono libanese L’Orient-Le Jour: Pourquoi ce recueil? Un devoir de mémoire pour ne pas oublier? Ne pas oublier pour ne pas recommencer? Pour tirer les leçons d’une guerre, celle des autres sur le sol libanais? Pour éviter aux nouvelles générations les erreurs du passé? Parce qu’une nouvelle page de l’histoire du Liban vient d’être tournée? Ou peut- être pour tout cela à la fois … il devenait donc urgent de témoigner. Certains l’ont fait dans des émissions télévisées ou des tables rondes. Pour raconter les années noires à ceux qui ne les avaient pas vécues. A ceux qui étaient encore trop jeunes pour comprendre. Pour exorciser les traumatismes de ceux qui les avaient subis. 20

Oltre a sottolineare l’uso dell’espressione “una guerra degli altri sul suolo libanese” (guerre

des autres sur le sol libanais), si riporta questo testo perché riassume i concetti di

“testimoniare per non dimenticare”, “per non ripetere gli errori del passato”, “per raccontare a

chi non c’era”, intenti trasversali a buona parte della produzione culturale qui considerata, che

pure si differenzia al suo interno proprio rispetto alle scelte estetiche e concettuali messe in

essere per esprimere questo senso di “dovere della memoria”.

In un surplus di memorie e di simboli privati della guerra21 e di fronte al disinteresse ufficiale

circa una problematica riconciliazione nazionale, il devoir de mémoire e il fardello della

rappresentazione della guerra civile sono caduti nelle mani di alcuni “operatori culturali della

memoria”, che, come la giornalista citata, hanno sentito la necessità di affrontare

pubblicamente le tematiche della riconciliazione, della memoria e della storia nazionale. A

questo proposito, gli studi di Sune Haugbolle, docente danese e ricercatore al Saint Anthony’s

College di Oxford, sono stati fondamentali per le analisi presentate in questa sede.

Ulteriore compito di questo elaborato è, dunque, approfondire alcuni casi esemplari utili a

indagare una “cultura della memoria” alternativa a quella ufficiale: si introduce così il caso

dell’ONG ‘Umam e, soprattutto, si presta attenzione alle narrative proposte da alcuni artisti

contemporanei.

Infatti, le rappresentazioni della memoria e della storia della guerra civile – e, più in generale,

della storia del Libano indipendente – occupano uno spazio privilegiato nella produzione

artistica libanese dal dopoguerra ad oggi.

20 Il testo riportato è contenuto nel prologo del 2007 di un volume che raccoglie i reportage di guerra realizzati dalla giornalista nel periodo tra 1975 e il 1988. Chaktoura (2007: 9). 21 Vedi ad es. la mostra kutub min al-mīdān (“Libri dal campo di battaglia”), presentata nei locali dell'associazione ‘Umam, a Beirut, 20aprile - 9maggio 2010.

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• Sintomi isterici ed eventi inconsci: arte e storia nel dopoguerra 22

In questa sede si presentano alcuni spettacoli teatrali, film e opere d’arte visiva (installazioni

video, fotografie, proiezioni, …) che, facendo degli archivi, delle testimonianze orali e delle

fonti storiche il proprio principale terreno di ricerca concettuale ed estetica, si impegnano a

mettere in discussione le narrative ufficiali proposte sulla guerra civile e sulla sua storiografia.

Attraverso la descrizione delle opere significative di alcuni artisti visivi ('Akram Za‘a ari,

Walīd Ra‘ad, Ġassān Salhāb, … ) si introduce il lavoro teatrale di Rabī‘ Muruwwah23 e Līnā

āni‘,24 attori e registi contemporanei, i cui spettacoli vengono presentati nel dettaglio grazie

all’analisi diretta dei testi delle performance e degli scritti lasciati dagli autori stessi.

Nelle opere considerate, infatti, l’audace sperimentazione estetica e formale affianca una

ricerca concettuale radicale che decostruisce le retoriche ufficiali vigenti sui temi della storia e

della storiografia della guerra, delle testimonianze orali e dei poster di propaganda, delle

immagini dei martiri e dei miliziani. Attraverso queste sperimentazioni i due artisti mettono in

discussione anche gli elementi tradizionali del linguaggio teatrale, costretto a misurarsi con

gli stravolgimenti imposti dalla guerra civile e dalle sue conseguenze, che impongono al paese

di vivere in una condizione di “guerra civile latente”.

La rappresentabilità della guerra e lo stato di latenza del corpo dell’attore sul palcoscenico,

pongono agli spettatori pregnanti questioni metodologiche, poetiche e epistemologiche sugli

scivolosi confini che distinguono e confondono i dispositivi propri della fiction dalle

peculiarità della narrazione storica.

La relazione di tali produzioni con le pratiche dell’arte impegnata degli anni ’70 (di cui qui si

citano le esperienze dello scrittore 'Ilyās ūrī e dell’attore e regista Rū īh/Roger ‘Assāf) e il

confronto con alcuni spettacoli teatrali realizzati dall’ultima generazione di artisti (in

particolare, le produzioni della compagnia Zuqāq, di Māyā Zbīb e di ulūd Nā ir) mette in

luce come le innovazioni introdotte dagli artisti considerati in questa sede si inseriscano sulla

ricca e diversificata scena culturale beirutina contemporanea.

22 Raad (2004:29). 23 Nelle pagine seguenti questo nome è usato nella traslitterazione di uso comune Rabih Mroue. 24 Nelle pagine seguenti questo nome è usato nella traslitterazione di uso comune Lina Saneh.

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Le mie ricerche svolte a Beirut da settembre 2009 a giugno 2010 costituiscono il punto

di partenza per la stesura di questo testo che si avvale di alcune interviste agli autori, agli

artisti e agli studiosi qui descritti, in particolare all’attore e regista Rabih Mroue, al regista

Rū īh ‘Assāf, allo storico Fawwāz arābulsī, allo staff di ‘Umam25 e i frequenti incontri con

il collettivo teatrale Zuqāq, in particolare con unayd Sarī al-Dīn, che mi hanno permesso di

seguire più da vicino pratiche e ricerche della compagnia.

L’esperienza sul campo mi ha aperto le porte degli archivi di 'Aškāl 'Alwān -Associazione per

le arti plastiche in Libano, del Markaz Bayrūt li-'l-Fann/Beirut Art Center e dell’ONG

‘Umam; oltre alle sale accoglienti delle biblioteche dell’Orient Institut of Beirut e

dell’Université Saint Joseph.

Infine, mi ha consentito di frequentare regolarmente i teatri (Masra Bayrūt, Masra Bābil,

Masra Madīnah, Dawwār al-Šams), le gallerie d’arte (Sfair Zimlār/Sfeir Simler, Markaz

Bayrūt li-'l-Fann/Beirut Art Center), gli eventi e i festival che animano la primavera di Beirut

('Ašġāl Dā iliyyah/Home Work, Spring Festival, 'Irti āl, …).

Ad indirizzarmi nel percorso di analisi qui proposto sono stati soprattutto gli incontri,

casuali e non, con le persone generose e intelligenti che lavorano su questi temi da anni, tra

Venezia, Beirut e Marsiglia.

25 Vedi. infra, Bibliografia: interviste.

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المقدمة

شظايا التاريخ

فنانون وروايات الحرب األهلية في لبنان

هذه األطروحة هي تحليل لبعض المسرحيات المعاصرة في لبنان وعالقاتها بكيفية التمثيل التاريخي

وممثل وعروف وناشط في الستيانات وما زال في لبنان وفي بالنسبة لروجيع عساف وهو مخرج . لها

صوصا لديه الوسائل لينتقد السياسات الحكومية والحالة اإلجتماعية خإن الفن والمسرح فالخارج،

. والثقافية بطريقة عميقة

فيجب على المخرجين والممثلين أن يبحثوا عن العنف والعدل والمشاعر الشخصية والجماعية المنتشرة

بالنسبة له فإن الفن وسيلة أساسية لبناء تاريخ قومي وطبي واحد ووسيلة و .في البلد بعد الحرب األهلية

.ين ذاكرة مشتركة للوقائع التي حدثت في اآلونة األخيرةولتك

ما هي إذا. 1975عام ألتي بدأتإن موضوع تمثيل الحرب اللبنانية حاضر منذ بداية الحرب األهلية

لجديدة بين تذكير الحوادث وتمثيلها؟ وما هي العالقة بين هذا التطور والسياسات الحكومية؟ العالقة ا

.مشكلة الهوية القومية اللبنانية وعالقتها بنظام الطائفية السياسيةبالفصل األول لألطروحة يتعلق

ة اإلدارة الغربية حكوم ، وتم قباله من)1861/1910(قرر هذا النظام على لبنان منذ زمان العثمانيين

" الجمهورية اللبنانية"، ولكن كانت الطائفية مقبولة بطريقة رسمية من قبل )1920/1943ة خالل فتر(

في " الميثاق الوطني"لما وقع بشارة الخوري، رئيس الجمهورية، مع رياض الصلح، رئيس الحكومة،

.1943عام

.طائفة لبنانية بقدر عدد سكانها 18السيسية بين على توزيع المناصب " الميثاق الوطني"وبالفعل يعتمد

Page 17: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

16

والتي حاولت ان تأزم 1989إلى 1975مرت من توالحرب األهلية التي اس 1958بالرغم من ثورة

نظام الجديد الدستور يأكدوفعال . سياسة الطائفية، جعل من نظام الطائفية النظام الرسمية في لبنان

.)مدينة في المملكة العربية السعودية" (إتفاق الطائف"بمناسبة 1989في عام الموافق عليه طائفيةال

فترة قبل الالمكونة من العسكريين السياسيين ناشطين في (وبعد الحرب أصدرت الحكومة األولى

.1991فيما يتعلق كل الجرائم التي حدثت قبل 1991أذار عام 27في " العفو العام"قانون ) الحرب

صحفي ومؤرخ قتل بسبب التزامه من أخل إستقالل (مثقفين وبينهم سمير قصير وفي رأي الكثير من ال

.فإن العفو العام كان وسيلة لتمديد الحالة الطارئة بوجود الحرب بطريقة قنونية) لبنان

:ثم بعد الحرب يقسم اللبنانيون إلى فريقين إثنين فيما يتعلق ذاكرة وروايات الحرب

."صفحة الماضي"ومعها " طي الملفات"األول ينادي بالنسيان و -

الثاني ال يرى في نسيان القسري بصيغة العفو العام السبيل إلى مستقبل آمن ومصالحة، بل إلى مزيد -

.من العنف الظاهر والمستتر

في هذا السياق العام كان للمجتمع المداني ومؤسساته والنشاطين مواقف مختلفة بالمقرنة مع القرارات

" ذاكرة سالم"بصيغة العفو العام ،ألن ليست " النسيان"انوا يرددون أنهم يرفضون سياسات الرسمية وك

.وهي منظمة غير حكومية ناشطة في هذا الميدان منذ التسعيانات" أمم"وفقا لكلمات " ذاكرة هدنة"بل

ري ان يفتح بعكس السياسات الرئيسية يقترح المفكرون الملتزمون والناشطون والفننانون أنه من الضرو

حوار مشترك بين األحزاب وزعماء الطوائف والمسؤلين العسكريين والسياسيين عن المفاهيم األساسية

".العدالة والحقيقة والمحاسبة: "للمصالحة المدنية مثال

أما الفصل الثاني فيعبر عن كيف تظهر السياسات الرسمية بميدان المشاريع إعادة البناء من أجل

Page 18: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

17

1992وفعال كانت مشاريع رفيق الحريري، رجل أعمال ورئيس الحكومة من العام . ةبيروت الجديد

، "مدينة عريقة للمستقبل"، تخلق أحالم وأسطورات حول التجديد للعاصمة اللبنانية، أي 1998إلى العام

.وفقا لإلعالنات ، وهي شركة مسؤولة إلعادة البناء SOLIDERE الصادرة من

كانت فترة الحرب تمحى من ذاكرة . شروع إنصاب لتذكير فترة الحرب األهليةولكن لم يكن موجودا م

.البالد بل كان موشومة على جسم المدينة وسكانها

في الفصول األخيرة أشرح رأي الفنانين وخصوصا رأي ربيع مروه ولينا صانع ونقدهم السياسي

.والعلماني ضد الروايات الجزئي وكالم األحزاب والطوائف

Page 19: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

18

FIG.1. Cartina geografica del Libano. Al‐Nadaf  2003: 40

Page 20: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

19

FIG.2. Cartina politica del Libano Ottomano e francese. Traboulsi  2007: 42 .

Page 21: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

20

I capitolo

Questioni identitarie, politiche della memoria e indagini storiografiche nel Libano moderno

The republic born from the Ta'ef Accords, wholly subordinate to Sirya's control, the cesarean-delivered child of an agreement between militias and oil rich-capital, and as such, by virtue of its constitutional make-up, could not sever the past from the present, and writing the history of

the war was impossible. 'Ilyās ūrī1

Obiettivo di questo elaborato è indagare alcune produzioni culturali apparse sulla

scena artistica del Libano contemporaneo e accomunate dal tentativo di fare della storia

recente il proprio principale terreno di sperimentazione.

Per capire perché le speculazioni sul passato libanese lontano e recente caratterizzano la

produzione di numerosi artisti contemporanei, è necessario introdurre alcuni elementi di

analisi storica e concettuale intrecciati sia alle narrazioni conflittuali prodotte attorno alle

“memorie di guerra”, che al problematico processo di stesura di una storia nazionale

condivisa nel Libano del dopoguerra.

La produzione storiografica dell'età contemporanea, in Libano come altrove, pone agli storici

una duplice problematica: da un lato l'inaccessibilità delle fonti ufficiali, custodite negli

archivi governativi; dall'altro il surplus di fonti primarie che caratterizzano l’epoca

contemporanea (documenti ufficiali, testimonianze orali, archivi governativi e miliziani, …)

entro le quali è inevitabile operare una drastica selezione.

Inoltre, la riflessione storiografica del Libano contemporaneo si trova a far fronte ad un ampio

apparato di miti e cliché storici elaborati a partire dalla nah ah2 e ampliati dai primi

movimenti nazionalisti dell'inizio del XX° secolo. I miti di un “Libano fenicio”, di un 1 Khoury (2007: 5). 2 Per una panoramica letteraria del periodo di rinascita culturale (nahḍah) vissuto dal mondo arabo durante il XIX°secolo, vedi ad es. Allen (2006), Camera d’Afflitto (2007).

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21

“Libano mosaico, somma di minoranze” e di un “Libano cuore commerciale della Grande

Siria”, popolano lo spazio pubblico (media, pubblicazioni, …) e orientano il dibattito politico

e ideologico attorno alla costruzione dello Stato-Nazione moderno.

Per quanto riguarda la guerra civile, invece, altri miti occupano la scena: il mito di un Libano

che, come una fenice, “rinasce perpetuamente dalle proprie ceneri”, il mito di “una guerra

degli altri” e di una guerra “senza vincitori né vinti”.

Questi immaginari sono interessanti in quanto riflettono versioni e visioni parziali della storia

libanese e sono pertinenti all'analisi qui sviluppata in quanto retoriche alternative a quelle

ufficiali.3 Rappresentano infatti altrettanti nodi concettuali intimamente intrecciati al dibattito

sull’identità nazionale, sviluppatosi in Libano dalla fine del XIX° secolo.

La questione dell'identità nazionale e dell'autorappresentazione si declina storicamente in

Libano attraverso l'esperienza della colonizzazione francese, il conflittuale processo di

costruzione di uno Stato-Nazione sul modello europeo4 e il lungo periodo -ancora aperto?- di

tensioni sociali e guerre civili sviluppatosi a partire dagli anni '50.

E' opportuno sottolineare come le concorrenti aspirazioni familiari, confessionali, ideologico-

politiche che caratterizzano il senso di appartenenza identitaria “libanese”, producano

altrettante retoriche competitive tra loro e sfidanti il debole nazionalismo ufficiale, fondato sin

dall’Indipendenza del paese (1943) sul principio del libanismo elaborato dal pubblicista e

banchiere Mīšāl Šī ā negli anni ’40. Il Patto Nazionale (al-mī āq al-wa aniyy) del 19435

sancì la fortuna del concetto di libanismo in campo politico, descrivendo il Libano come una

“somma di minoranze”, e identificò nel liberalismo economico e nel confessionalismo

politico i principi fondativi del Libano indipendente.6

Per contestualizzare le produzioni culturali di cui è oggetto questo elaborato, si presentano

nello specifico alcune tematiche e alcuni avvenimenti necessari a seguire il dibattito storico in

corso sulla formazione del Libano moderno.

3 Su questi temi cfr. in particolare Haugbolle (2010). 4 Il Trattato di San Remo del 1920 nel quadro delle conferenze di Pace di Versailles (1919-1921) sancisce in particolare la spartizione dell'Impero Ottomano in zone di influenza britannica e francese, amministrate attraverso lo strumento giuridico del “mandato”. Vedi infra, Appendice. 5 Vedi infra, Appendice. 6 Il confessionalismo politico è il principio cardine che regola la vita civile e politica dei cittadini libanesi, i quali godono dei propri diritti politici in quanto appartenenti ad una delle 18 comunità religiose storicamente riconosciute. Cfr. ad es. Salamé (1986).

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22

1. Il processo di nation building del Libano moderno:

guerra civile e questioni identitarie

Pietà per la nazione divisa in frammenti, ognuno dei quali si considera una nazione. ubrān alīl ubrān 7

La maggior parte della letteratura accademica qui considerata8 rivolge un’attenzione speciale

agli immaginari confessionali, partitici, nazionali e sopranazionali che hanno forgiato milizie

e individui, opinione pubblica e dibattito politico. Immaginari, miti e cliché che fondano i

sentimenti di appartenenza ad una determinata comunità e, contemporaneamente, le

permettono di presentarsi alle altre comunità.

Le questioni attorno a cui si articola il senso di appartenenza al Libano in quanto Stato-

Nazione sono quelle legate alla definizione dei confini geografici, al confessionalismo

religioso sistematizzato in campo politico, al ruolo delle comunità cristiane in Libano, al

legame storico con Damasco, all’intervento coloniale, al panarabismo, al panislamismo, alla

diffusione delle ideologie secolari. A queste domande sull’identità libanese, ogni elite

politica, confessionale e intellettuale (ottomana, araba, francese e libanese, dunque) ha

risposto diversamente a partire dalla fine del XVIII° secolo, momento riconosciuto come

fondativo dello Stato libanese moderno, le cui origini vengono fatte risalire alle esperienze

autonomiste del Monte Libano di Bašīr Šahāb II° (1788-1840) e della muta arrifiyyah

(1861/1915).9

La questione di una pretesa identità “libanese” è centrale. L'analisi di Ġassān Salāmah

contenuta nel saggio del 1986 Lebanon’s injured identities: who represents whom during a

civil war? mette in luce le identità conflittuali che caratterizzano il processo di unificazione

nazionale in Libano: the creation of modern Lebanon typically called for the transfer of an individual’s loyalty from a family, a sectarian, or a tribal community which provided the security of yesteryear, to an abstract and alienating structure – the State. 10

Ġassān Salāmah definisce tre principali linee attraverso cui si è articolata storicamente la

7 Jibran (1986). 8 Cfr. ad es.: Beydoun (1984), Salamé (1986), Hanf (1993), Kassir (1994) e (2000), Traboulsi (2007). 9 Vedi infra, Appendice. 10 Salamé (1986: 2)

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23

definizione di un'identità libanese: l’appartenenza geografica-familiare, l’appartenenza

comunitaria, l’appartenenza ad un partito politico o ad una milizia.

La prima fa riferimento alla complessa rete clientelare degli zu‘amā' (sing. za‘īm, leader dei

clan familiari) di tradizione feudale pre-ottomana, figure che fino alla fine del XIX° secolo

svolgevano il ruolo di intermediari tra il potere centrale del governatore ottomano e i sudditi

delle singole comunità, raccogliendo tasse e ridistribuendo privilegi e favori personali. Il loro

ruolo si esplicitava nella soluzione dei conflitti sociali e intercomunitari, tanto che, secondo il

giudizio della letteratura accademica contemporanea,11 essi ebbero un importante funzione

stabilizzatrice dei conflitti e delle tensioni comunitarie nel Libano pre-bellico.12

Tali reti informali sub-statali erano inoltre garantite quotidianamente dal controllo diretto

esercitato dai (sing. qaba āy), bande criminali al servizio degli zu‘amā', spesso ingaggiati in

scontri armati con i qaba āyyāt di uno za‘īm avversario.

La situazione politica regionale, lo straordinario e spregiudicato sviluppo economico degli

anni '60 e il governo del generale Fu'ād Šahāb (1958-64) portarono un duro colpo al vecchio

sistema di rappresentazione delle elite, strutturate sulle reti clientelari garantite da zu‘amā' e

qaba āyyāt, per fare spazio al nuovo sistema delle milizie e dei partiti di massa radicati sin

dagli anni ’30, come ad esempio al- izb al-sūriyy al-qawmiyy al-'i timā‘iyy (il partito

socialista nazionalista siriano: PSNP, fondato nel 1932 da 'An ūn Sa‘ādah); o izb al-katā'ib

(il partito delle falangi, fondato nel 1936 da Biyār al- umayyal/Pierre Jumayel).

Come commenta Haugbolle:

the system of elite representation was restored and reinstalled through the Ta'ef accord of 1989, but only as a result of a compromise that accomodated both the old and the new orders. The history of modern Lebanon could thus be summarised as a conservative order that was challenged, broke down and eventually restablished itself, albeit in an altered form that integrated some of the groups that challenged the system during the war.13

Del resto, traccia degli zu‘amā' tradizionali resta nelle elezioni politiche del dopoguerra, in cui

il numero dei deputati indipendenti eletti in parlamento ha continuato a superare il numero dei

candidati presentati nelle liste di partito, come spiega in particolare lo storico Fawwāz

arābulsī:

11 Cfr. ad es. Traboulsi (2007) e Haugbolle (2010). 12 Come spiega Haugbolle (2010: 37): as in feudal times, the za‘īm in the First Republic represented his subjects by acting as intermediary between the powerless individuals and the state. Such informal networks were the basic ingredient of politics in pre-war Lebanon. 13 Ivi, 38.

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24

In post war elections, the percentage of candidates having a party affiliation has remained around 30 per cent, thus almost two thirds of the deputies in the parliament are non-partisan independents.14

In secondo luogo, Ġassān Salāmah cita come elemento di costruzione identitaria, il sistema

del confessionalismo politico: è infatti l'appartenenza confessionale (acquisita esclusivamente

per via paterna) a una delle 18 comunità religiose storicamente riconosciute in Libano che

permette di godere dei diritti politici basilari, come il diritto di voto.

A questo proposito, le problematiche poste dalla legge elettorale hanno polarizzato le

attenzioni dei diversi governi: il diritto di voto, infatti, è fondato sul duplice criterio del luogo

di nascita (“si vota dove si è nati e non dove si vive”),15 e sul criterio dell'appartenenza

comunitaria. La rappresentanza parlamentare è infatti proporzionale agli elettori di ciascuna

comunità e, teoricamente, variabile in base allo sviluppo demografico. L'ultimo censimento

ufficiale, tuttavia, risale al 1932, sotto mandato francese, e fotografa una situazione di debole

maggioranza assoluta cristiana sulle comunità musulmane, secondo i dati:16 

 Maroniti 226.000 28% Greci Ortodossi 76.000 10% Greci Cattolici 46.000 6% Altri Cristiani 53.500 7% Sunniti 176.000 22% Sciiti 154.000 20% Drusi 53.000 7% Popolazione totale 785.000

Nei decenni successivi, invece, i notevoli cambiamenti demografici intercorsi non trovarono

alcuna corrispondenza a livello di rappresentanza parlamentare, almeno fino alla parziale

riforma elettorale degli anni '60. Questo periodo, che sfociò nella guerra civile del 1958, vide

il radicalizzarsi dello scontro politico e confessionale attraverso l'affermazione di movimenti

di protesta e moti di piazza, anche ad opera di comunità penalizzate dalla legge elettorale. È il

caso della comunità sciita, economicamente più povera e socialmente emarginata, la cui

crescita demografica risultava sub-rappresentata in Parlamento.17

La legge elettorale ha cristallizzato la problematica del confessionalismo politico fino ad oggi.

In effetti, l'ultima riforma istituzionale, approvata nel quadro degli accordi di al- ā'if nel 14 Traboulsi (2007). 15 In nome di tale principio è stata finora rifiutata la naturalizzazione dei palestinesi rifugiati in Libano, stimati in 400.000 persone, aprendo un ampio dibattito politico, descritto in arabo dall’espressione rafḍ al-tawṭīn. 16 Traboulsi (2007). 17 Ivi.

Page 26: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

25

1989, riorganizzava il Parlamento così che i 128 seggi a disposizione fossero spartiti

equamente tra i deputati cristiani e i musulmani (64+64 parlamentari) a riequilibrare la

rappresentanza politica delle diverse comunità religiose, ma lasciava aperta la questione della

riforma della legge elettorale, indicata come una priorità del Libano del dopoguerra. Gli

accordi stabilirono anche il ridimensionamento delle funzioni esecutive del Presidente

maronita a favore del Primo Ministro, sunnita, e del portavoce del Parlamento, sciita (carica

ricoperta dal 1992 ininterrottamente da Nabīh Birrī, ex-miliziano di 'Amal)18. Tali

provvedimenti contribuirono ad un diffuso senso di frustrazione tra le elite cristiane che

boicottarono in massa le prime elezioni del 1992, svoltesi secondo la nuova legge elettorale,

finalmente approvata.19 La Legge allargò i confini territoriali dei distretti elettorali, definiti in

precedenza secondo strette linee confessionali che erano state tracciate in modo tale da creare

mu āfa āt (dipartimenti, distretti elettorali) quasi omogenei dal punto di vista religioso così

da disperdere i voti delle minoranze.

L'opposizione al confessionalismo politico, animata negli anni '50-'60 dai partiti secolari

progressisti spesso vicini alla causa palestinese, trova oggi i suoi successori

nell'associazionismo civile, impegnato in particolare sui temi del matrimonio civile e della

parità di diritti di uomini e donne.

È proprio all'interno di tali movimenti contestatari che si inseriscono le produzioni culturali

considerate in questo elaborato.

Dārīnā al- undī, attrice di teatro e cinema, descrive questo senso di non-appartenenza

comunitaria in un monologo presentato al Festival di teatro di Avignone nell'estate del 2007 e

pubblicato in varie lingue: La vita era bella, sì, ma noi, le mie sorelle e io, eravamo consapevoli fin da piccole di non essere come le altre. Nostro padre era un rifugiato politico siriano, con un semplice permesso di soggiorno rinnovabile ogni tre mesi e, per via della legge in vigore in tutti i paesi arabi, nostra madre non poteva trasmetterci la sua nazionalità libanese perché era una donna. Eravamo tutte e tre clandestine nel paese dove eravamo nate. E in quel Libano dove ognuno esiste solo grazie alla propria confessione religiosa, non avevamo né comunità né confessione. Non sapevamo se eravamo cristiane o musulmane. Quando lo domandavamo a nostro padre, lui rispondeva: - Siete ragazze libere. Punto e basta.20

La terza linea di appartenenza identitaria, secondo Ġassān Salāmah, riguarda l'orizzonte

18 Ḥarakah al-'āmal o 'Āmal (“speranza”) è l’acronimo di 'Āfwāǧ al-muqāwamah al-lubnāniyyah (Raggruppamenti della resistenza libanese), milizia fondata nel 1975 come braccio armato del Ḥarakah al-maḥrumiīn/Movimento dei diseredati, partito politico fondato nel 1974 da Mūsā al- Ṣadr. 19 Kassir (2000). 20 Al-Joundi (2009: 19).

Page 27: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

26

politico aperto dai partiti di massa e dalle milizie che popolano la sfera pubblica dalla fine

degli anni '50, proponendosi come reti sociali estese e radicate in interi quartieri di Beirut e in

tutto il Paese, veri e propri apparati sub-statali in grado di sostituirsi alla debole presenza dello

Stato centrale sia dal punto di vista funzionale (erogazione dei servizi minimi: fogne, pozzi,

strade, gestione del traffico) che ideologico. Si consideri il caso di izbu-llāh: partito sciita

nato nel 1982 per contrastare l'occupazione israeliana e attivo soprattutto a al- ā iyyah (al-

ā iyyah al- anūbiyyah, periferia meridionale di Beirut, indicata anche come Dahyeh),

nella città meridionale di ūr (Tiro) e nella al-Biqā'‘(“valle” situata tra le catene del Monte 

Libano e dell’Anti‐Libano .  izbu-llāh emerge come soggetto politico credibile solo dopo la

svolta moderata del 1996, quando si impone come vero e proprio partito di massa capace di

elaborare un'intera retorica sub-nazionalista alternativa a quella ufficiale e a diffonderla grazie

alla rete di assistenza sociale, servizi e propaganda radicati nel territorio.

Page 28: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

27

FIG.3. Distribuzione dei seggi parlamentari su base confessionale e geografica. Traboulsi  2007: 241 .

Page 29: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

28

2. Politiche della memoria:

Legge di Amnistia Generale, retoriche ufficiali, movimenti di contestazione

Le ideologie nazionaliste e le identità competitive qui accennate esplosero durante la guerra

civile, che si è andata così definendo come tappa fondamentale nel processo di nation

building del Libano contemporaneo. Nell’attenta analisi di Theodor Hanf,21 il senso di

appartenenza alla Nazione libanese sarebbe dunque venuto in essere ex negativo dal collasso

dello Stato e dalle ceneri della guerra, così come una forma di memoria collettiva sarebbe

venuta in essere ex negativo dal trauma collettivo che aveva colpito trasversalmente famiglie,

comunità, milizie, partiti.

Nella fragilità delle politiche ufficiali orientate alla riconciliazione, le scelte governative

successive agli accordi di al- ā'if si sono dirette piuttosto verso un tentativo di state-

sponsored amnesia to practice oblivion, secondo l'efficace descrizione del giornalista libanese

Michael Young.22 Le parole dell'editorialista del quotidiano libanese The Daily Star, che

riassumono il punto di vista di buona parte delle elite culturali del paese, descrivono il preciso

intento politico di “dimenticare per ricominciare” caratteristico della classe dirigente degli

anni '90 e concretizzato nella legge di amnistia generale (al-‘ufū al-‘āmm) del 1991 (legge n.

84/1991)23 e nel piano di ricostruzione del centro storico di Beirut (approvato nel 1991, legge

n. 117).24

La legge di amnistia generale decretò la rinuncia da parte dello Stato a perseguire i crimini

compiuti dai cittadini libanesi fino al 1991 (escludendo dunque i combattenti palestinesi,

siriani, ecc.) e interruppe le azioni legali e i processi già avviati. L’amnistia non riguardava

tuttavia gli omicidi di personalità religiose, politiche, diplomatiche (art. 3). La legge

imponeva inoltre il disarmo delle milizie e il loro reinserimento nell'esercito libanese regolare.

I principali detrattori di questi provvedimenti, organizzatisi a livello di mobilitazione sociale

sin dall’immediato dopoguerra, sottolineano la precisa volontà politica che, attraverso la legge

di amnistia generale, intendeva incoraggiare un'amnesia collettiva delle responsabilità e delle

cause profonde della guerra. 21 Hanf (1993: 13). Il titolo significativo di quest'opera fondamentale sulla storia politica libanese è Coexistence in Wartime Lebanon. Decline of a State and rise of a Nation. 22 Michael Young, The Daily Star, 21/2/1999. Cit in Neuwirth-Pflistch (2001). 23 La legge di amnistia generale promulgata il 26 agosto 1991 copre tutti i crimini perpetrati dalle milizie e dai gruppi armati della guerra civile fino al 28 marzo 1991. 24 Vedi infra, II capitolo.

Page 30: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

29

Il processo innescato dagli accordi di al- ā'if del 1989, che indubbiamente portò alla fine

degli scontri armati, al ripristino della libertà di circolazione nel Paese, al disarmo delle

milizie e alle elezioni del 1992, tuttavia, costituì per molti solo un tentativo incompiuto di

consolidare lo stato nazionale:25 un'occasione mancata di riconciliazione profonda e di

rinnovamento del sistema istituzionale e politico del Libano, secondo Samīr Qa īr. Il

giornalista e storico si afferma come una delle voci più autorevoli e più critiche della classe

dirigente libanese e delle ingerenze siriane, fino a pagare con la vita il proprio dissenso26:

La déresponsabilisation et l’absence de mémoire ne sont pas de questions de morale mais des facteurs politiques, permettant aux chefs de guerre de maintenir leur contrôle sur leur base populaire.27

Tra gli effetti della mancata applicazione integrale degli accordi di al- ā'if, due questioni in

particolare sono rimaste volutamente irrisolte, vere e proprie ferite aperte in seno alla società

civile libanese: la questione degli sfollati e la questione degli scomparsi .

• La questione degli sfollati e degli scomparsi

Nel 1992, Walīd umblā , leader druso del izb al-taqaddum al-'ištirākiyy (Partito

Socialista del Progresso: PSP), venne nominato ministro degli sfollati per ricollocare i

rifugiati libanesi stimati tra le 50.000 e le 500.000 persone, in maggioranza cristiani dello Šūf

(pari al 75% degli sfollati totali) e sciiti dal Libano meridionale. I provvedimenti del ministro

destinarono tuttavia la maggior parte dei fondi alle comunità druse di cui era anche il

principale rappresentante, alimentando il forte senso di ingiustizia già avvertito dalle

comunità cristiane, che avevano già boicottato in massa le elezioni politiche del 1992.28 Solo

dall’inizio degli anni 2000 i rinnovati contatti tra umblā e il patriarca maronita Bu rus

faīr e le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Mīšāl Sulaimān sembrano aprire la

strada verso una risoluzione egualitaria della questione degli sfollati, che preveda anche

versamenti e aiuti economici concreti per le famiglie coinvolte.

Anche la questione degli scomparsi e dei sequestrati– stimati tra le 17.000 e le 20.000 persone

- ha suscitato le feroci proteste della società civile: i familiari delle vittime si organizzarono

sin dal 1982 nel La nah Ahāl al-Ma ufīn wal-Mafqūdīn fī-Lubnān (Comitato delle famiglie

25 Vedi ad es. Kassir, 2000. 26 Lo storico, giornalista e intellettuale Samīr Qaṣṣīr è stato ucciso il 2 giugno 2005 in un attentato rimasto per ora senza mandanti. 27 Kassir (2000: 14) 28 Vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1992”).

Page 31: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

30

dei sequestrati e degli scomparsi), per chiedere alle milizie e ai governi di aprire indagini

speciali e reperire le liste dei nominativi dei rapimenti effettuati dalle diverse milizie, liste

custodite in archivi privati. Le risposte elusive, delle milizie prima e dello Stato poi, erano

accomunate dalla stessa urgenza di superare rapidamente le conseguenze dolorose dei fatti di

guerra, così come efficacemente descritto in un dialogo del film aīf al-madīnah (L’ombra

della città) di ān Šama‘ūi'

Il film, ispirato a fatti reali, illustra le opposte reazioni di un uomo e una donna di fronte alla

scomparsa rispettivamente del padre e del marito, immaginando l'incontro tra la fondatrice del

Comitato (ispirata a Widād ālwāni, figura di riferimento per il mondo dell’associazionismo

durante e dopo la guerra) e un capo miliziano, mandante ed esecutore di numerosi rapimenti e

omicidi: − (la protagonista del film) Chiudere gli occhi significa essere complici di un crimine! − (il miliziano) Noi vogliamo mettere fine alla guerra, diversamente da voi! Torna a

casa, convinci le altre e dimentica il passato … − Dimentica?! Come possiamo dimenticare? Quelli che si dimenticano sono coloro che

si preparano per una nuova guerra! Noi continueremo a chiedere per i nostri diritti, per ritrovare quelli che sono scomparsi (…) Come è possibile uccidere 17.000 persone senza lasciare traccia? Io sto cercando gli scomparsi mentre tu li seppellisci e occupi le loro case!

− Tu pensi ancora che tuo marito sia ancora vivo? Vivere nel passato ti seppellirà viva! − Non sono pazza. Forse sono tutti morti, ma io voglio credere il contrario per far venire

fuori la verità. Voglio solo sapere la verità.29

Il Comitato, articolatosi successivamente in varie associazioni, ottenne nel 1996 e nel 2000

l'apertura di una speciale commissione d'inchiesta che tuttavia non ha portato ad alcun

risultato concreto, ma si è invece risolta in un provvedimento emanato nel 2001, dopo solo 6

mesi di indagini, che dichiarava “morti tutti gli scomparsi da più di 4 anni il cui corpo non è

stato ritrovato”. 30 Il Comitato ha rifiutato l'applicazione di tale provvedimento, interpretato

come un atto di deresponsabilizzazione della classe politica e un ulteriore affronto alla

memoria degli scomparsi.

• Riappropriazione dello spazio urbano

Come mostrato dalla questione degli sfollati e degli scomparsi, di fianco alle retoriche di

29 Ṭaīf al-madīnah (2000). 30 Karam (2006: 188).

Page 32: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

31

riconciliazione formale proposte dai governi del dopoguerra hanno trovato spazio alcune

rivendicazioni alternative promosse da altri attori sociali, provenienti dall'associazionismo

civile, dai media, dalle elite intellettuali, dal mondo dell'arte.31

Le politiche ufficiali sulla memoria risultano sistematicamente sfidate anche dalle pratiche

contestatarie dei partiti politici che agiscono a livello di radicamento e riconquista di alcuni

quartieri simbolo della città, come al- ā iyyah e al-'Āšrafiyyah. La ri-appropriazione dello

spazio urbano della capitale, in particolare, è divenuto terreno di scontro diretto tra discorsi

ufficiali e ideologie comunitarie-politiche, come mostra la mole di letteratura, accademica e

non, pubblicata su al- ā iyyah, la periferia meridionale di Beirut, oggi dominio incontestato

di izbu-llāh. O come mostra il radicamento del partito al-Katā'ib nel quartiere di al-

'Ašrafiyyah (Ashrafiyeh) attraverso il culto della figura di Bašīr al- umayyal.32 Il culto del

leader che fu capace di unificare la destra nazionalista cristiana, alla fine degli anni ‘70, è

celebrato in commemorazioni pubbliche di massa, nei poster, nei graffiti e nei monumenti che

invadono le strade del quartiere a maggioranza maronita di al‐'Ašrafiyyah, così come

l'appropriazione dello spazio pubblico di al- ā iyyah attraverso le foto dei martiri caduti in

nome della muqāwamah  (resistenza) contro Israele, mostrano il tentativo di mantenere la

profonda parcellizzazione dello spazio urbano, venuta in essere durante la guerra.

Citate a titolo esemplificativo, le retoriche elaborate dai due partiti si possono definire come

concorrenti a quelle ufficiali-nazionaliste di riconciliazione in quanto propongono un modello

radicalmente diverso per pensare il territorio di Beirut (con la sua carica simbolica) e

l’identità nazionale.33

Allo stesso modo, altre retoriche della guerra civile e altri soggetti si fanno spazio nel dibattito

pubblico contemporaneo: come spiega Haugbolle, se i governi libanesi dal dopoguerra ad

oggi sono stati incapaci di promuovere un discorso ufficiale autorevole e necessario al

processo di riconciliazione nazionale, sono state la società civile e la scena artistico-

intellettuale a farsi carico di aprire una riflessione critica sulle memorie delle guerre civili in

Libano.

31 Rispetto ai diversi approcci alla questione degli scomparsi, cfr. la mostra Missing/ … wa lam ya‘ūdu di 'Umam, realizzata al Beyrut City Center, aprile-maggio 2010. 32 Amatissimo leader della milizia falangista e figlio di Biyār al-Ǧumayyal fondatore di Ḥizb al-katā'ib, Bašīr al-Ǧumayyal fu eletto Presidente della Repubblica per un qualche settimana ad agosto 1982, prima di essere assassinato, il 14 settembre 1982. 33 Haugbolle (2010: 171)

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32

A law of general amnesty was passed in order for the morally deprived Lebanese to give each other a chance to wipe the slate clean, and for the leaders to remain in their seats. The official justification for this lack of justice is the magic formula of la ghalib, la maghlub. There is no victor and no vanquished, so the argument goes, all Lebanese were equally guilty and should forgive each other and go on with their lives. This situation has left the memory of the war unresolved.34

Le osservazioni di Sune Haugbolle riassumono efficacemente alcune riflessioni ricorrenti nel

dibattito pubblico sulla memoria: il senso di pacificazione forzata a seguito della legge di

amnistia del 1991 e il garantismo dei confronti dei leader delle milizie vengono spiegate in

nome della formula lā ġālib walā maġlūb (né vincitori, né vinti). L’espressione, già usata

nell’ambito della rivoluzione del 1958, stende un velo di oblio e di corresponsabilità politica

sugli avvenimenti di guerra, senza indagarne le cause scatenanti.

Secondo lo studioso danese, gli animatori di un dibattito critico sulla memoria di guerra

cercano di affermare la necessità di una riflessione profonda sulla riconciliazione e la

giustizia, sulla stesura di una storia nazionale e sui fondamenti dello stato libanese, tasti

dolenti per tutti i signori della guerra convertiti politici, che preferiscono azzerare il dibattito

in nome della pace civile.

Si intende a questo punto presentare chi sono queste voci alternative, a chi si rivolgono e quali

problematiche sollecitano, con particolare attenzione all'aspetto di critica storiografica che

mettono in essere.

3. Memory Cultural Agents

Gli studi di Sune Haugbolle si focalizzano su quella parte della società civile e artistica che

promuove il dibattito ed il lavoro di riconciliazione sulle memorie di guerra: Art, media, activism and public debate in Lebanon suffers at once too much and too little memory. This conclusion emerged in reaction to the scarce efforts by the successive post-war governments in Lebanon to promote public debate and commemoration of the civil war. In the vacuum of what many critics have called state-sponsored amnesia, political groups and parties recreated hardened memories from the war within closed-off discursive and physical realms, such as particular media and the neighborhoods. Consequently, the burden of creating and sustaining civilian memory has fallen squarely on civil society. Their challenge has been to break the silence and involve the population in memory work that would show how similar the war experience had actually been for ordinary people.35

In particolare, lo studioso danese definisce i componenti della società civile libanese attivi in

34 Haugbolle (2002: 5) 35 Haugbolle (2002).

Page 34: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

33

questo dibattito come memory cultural agents36 (“operatori della cultura della memoria”) a

identificare le persone, le associazioni e gli enti coinvolti nella produzione di memorie di

guerra destinate ad un uso pubblico.

L’autore precisa inoltre che chi ha accesso ai mezzi della produzione culturale esprime

soprattutto il proprio vissuto, la propria esperienza di guerra, fatto salvo che non tutti i gruppi

hanno pari accesso alla produzione e alla diffusione pubblica delle memorie di guerra. Così,

considerato che i principali memory cultural agents appartengono alla sinistra secolare e

all’attivismo pacifista, la cultura della memoria alternativa a quella ufficiale esprime

soprattutto l’esperienza della resistenza alla presenza israeliana, l’opposizione all’ordine delle

milizie confessionali e afferma una nuova retorica nazionalista supra-comunitaria fondata

sull’avversione al sistema confessionale, che pure costituì parte integrante del conflitto e che

fino ad oggi regola il sistema politico libanese.

E’ una cultura della memoria che si propone come nazionale e condivisa, ma che di fatto è

anch'essa profondamente parziale ed esclusiva, marginalizzando, ad esempio, sia l’esperienza

della resistenza sciita di 'Amal e izbu-llāh nel sud del paese, che la retorica cristiana

falangista dei quartieri borghesi di Beirut e abayl/ (Jbeil).

Secondo lo studioso danese, esiste dunque uno scollamento tra le espressioni delle molteplici

memorie confessionali, partitiche, familiari, e le produzioni culturali dei memory cultural

agents. Le prime non riescono a raggiungere i fondi (soprattutto stranieri, in particolare

europei) necessari ad un’ampia diffusione, le seconde ottengono ingenti finanziamenti,

libanesi e stranieri, parlando al pubblico cosmopolita di Beirut e inserendosi nei circuiti

internazionali dell’arte contemporanea.37

Si applica in questa sede la definizione di memory cultural agents elaborata da Haugbolle per

identificare e semplificare il background culturale degli artisti qui considerati.

Da questo elaborato restano dunque escluse le produzioni degli artisti operativi fuori da Beirut

(ad es. le stagioni del Festival di Ba‘albak , nelle altre città libanesi o all’estero, le produzioni

delle università e degli istituti d’arte, gli spettacoli e le esposizioni di partito o delle comunità

confessionali che attirano con più difficoltà l’interesse dei media e degli osservatori stranieri.

4. Questioni di storia e di storiografia

36 Haugbolle (2010: 96). 37 Si considera ad esempio la stagione dei festival di arte, musica e teatro che in primavera conquista Beirut, invasa da curatori internazionali interessati a scoprire e distribuire le nuove produzioni del Medio Oriente sul mercato dell’arte contemporanea.

Page 35: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

34

Un'ulteriore urgenza sollecitata a più riprese dalla società civile è la necessità di una

riflessione sulla storia nazionale e sulla sua storiografia, in quanto strumento di coesione e di

costruzione del consenso nazionale.

Si cerca in questa sede di introdurre alle difficoltà contemporanee di “fare storia” in Libano,

sia a livello epistemologico, intendendo le difficoltà a rintracciare un passato condivisibile da

tutti gli attori sociali e le forze politiche attive nel dibattito sul nazionalismo libanese, sia a

livello pratico-metodologico, si pensi ad esempio all'inaccessibilità dei documenti d'archivio.

In effetti, se abbondano le biografie e le autobiografie di personaggi notevoli e le

pubblicazioni dei partiti, come messo in luce dalla recente mostra Kutub min al-mīdān,38 è

ancora assente un’indagine storiografica della guerra basata sulla consultazione degli archivi

miliziani e governativi, ancora coperti dal segreto di Stato e i cui documenti sono stati spesso

persi, trafugati o censurati.

E’ pertinente citare una lunga testimonianza del giornalista inglese Robert Fisk, sul ruolo

degli storici e dei giornalisti durante il conflitto. Corrispondente da Beirut per il Times durante

la guerra civile e, oggi, giornalista per l’Indipendent, Fisk contribuì infatti a raccontare il

conflitto libanese al pubblico europeo e americano. I suspect that is what journalism is about - or at list what it should be about: watching and witnessing history and then, despite the dangers and constraints and our human imperfections, recording it as honestly as we can. Academic historians see their role differently. They go to the primary sources, to the documents of opposing sides in a conflict, to the minutes of Cabinet meetings and commitees and military field signals. (...) No such documentary evidence is forthcoming in the Middle East just now. In Israel, scholars can research the early years of the Jewish state, but there are no contemporary documents available for those who wish to study Israel's catastrophic involvement in Lebanon over the past 14 years. When they left Beirut in 1982, the PLO took some of their files with them on the evacuation boats to Tunisia and Yemen. A few fell into Israeli hands. Most were destroyed in Beirut before the Isarelis entered the city. Syrian records on Lebanon should in theory be housed behind the imposing façade of the new state archives building at the end of Quwwatli Street in Damascus, an edifice of titanic proportions in front of which sits a statue of Hafez el-Assad- These files, needless to say, are not available for public inspection.39

Inoltre, alcuni storici sottolineano un generale disinteresse governativo alla stesura di una

“storia nazionale”, interpretando come segni espliciti in questa direzione il fatto che i

38 Kutub min al-mīdān (Libri dal campo di battaglia): mostra di libri, fotografie e altre fonti scritte (telegrammi, articoli di giornali, dichiarazioni ufficiali) della guerra civile, organizzata presso i locali di 'Umam a al-Ḍāḥiyyah, Beirut (20 aprile - 9 maggio 2010). 39 Fisk (2001: x).

Page 36: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

35

programmi di storia nelle scuole superiori si fermano al 1943-46 con l’indipendenza del Paese

dalla Francia, che i libri di testo variano notevolmente in base alla località della scuola,40 che

finora esistono solo due corsi universitari dedicati alla storia contemporanea (uno tenuto da

Fawwāz arābulsī all’American University of Beirut, l'altro tenuto da Karlah  'Iddah

all’Université Saint Joseph), che le cifre degli iscritti ai corsi di Storia sono in forte calo.41

Come riassume efficacemente 'Usāmah Maqdīsī42 in un saggio dal titolo significativo di

Beirut, a city without History? The Republic of Lebanon gained its independence in 1943; its history came to a sudden end in 1946. For, according to government education policy, there is no history of Lebanon after 1946, the year in which the official unified history curriculum draws to a close (…) as a result, the last centralized history curriculum in Lebanon was defined in 1946 and has not officially been modified on a national scale since then.

Nel testo citato, Maqdīsī cerca inoltre di descrivere il senso di confusione storica promosso

dalle politiche governative del dopoguerra, faticosamente impegnate a rinnegare il periodo

traumatico appena conclusosi, come dimostrano le politiche di ricostruzione del centro storico

della capitale.43

Infatti, i discorsi pubblici e le strategie ufficiali promotrici di un senso diffuso di amnesia

collettiva, non sono certo i frutti casuali del disordine politico del dopoguerra, ma rispondono

piuttosto al disegno della classe politica dirigente di promuovere una narrazione storica

nostalgica, che privilegi i momenti rampanti della nazione libanese a discapito del conflitto

civile, in nome di un oblio selettivo che conduca a pronta guarigione l’intero corpo sociale

libanese.

In questo quadro è possibile apprezzare l'opera di associazioni civili, artisti e cineasti, che

facendo delle fonti primarie il terreno privilegiato della propria sperimentazione artistica

hanno contribuito all'archiviazione di documenti e di testimonianze di ex-combattenti, vittime

e familiari di rapiti e scomparsi, filmando i luoghi della guerra e registrando la voce di civili,

militari e politici.44

Se Karām Karām, studioso dei movimenti civili libanesi, illustra il ruolo svolto

dall’associazionismo civile sin dal primissimo dopoguerra, è opportuno mettere in luce anche 40 Abou Moussa (1996). 41 Intervista allo storico Fawwāz Ṭarābulsī, 2/6/2010, AUB, Beirut. 42 Vedi Makdisi-Silverstein (2006: 201). 43 Makdisi (2006: 204). Vedi infra, II capitolo. 44 Vedi filmografia.

Page 37: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

36

il fondamentale contributo che le associazioni considerate dall’autore45 sono in grado di

fornire ad una indagine storica futura, grazie all’ampia mole di documenti raccolti in questi

anni.

5. Il caso di 'Umam

Si introduce qui la testimonianza di Mārī Klūd Su‘ayd, responsabile delle pubbliche relazioni

dell'associazione 'Umam. Organizzazione non governativa riconosciuta nel 2005 dal

Ministero dell’Interno, 'Umam conduce attività sugli avvenimenti della guerra civile per

stimolare il governo e l’opinione pubblica sui temi della memoria e della riconciliazione

postbellica, muovendo dal presupposto che il Libano non abbia affrontato adeguatamente il

proprio passato, ma che, anzi, stia ancora vivendo in una condizione di guerra civile latente.46

Secondo il motto memory at work, 'Umam si propone di dare spazio a tutti gli attori coinvolti

a vario titolo nella guerra, cercando di costituire un archivio di documenti (fonti scritte,

fotografiche, orali) per preservare quanti più possibili documenti esposti all’incuria del tempo

e dei governi. Costituendo un ricco archivio per gli storici del futuro, l’associazione 'Umam si

propone come un contenitore aperto a chiunque voglia lasciare una qualsiasi testimonianza

sulla guerra civile, senza operare selezioni qualitative dei materiali recuperati, nella

convinzione che non si ancora giunto il momento dell'indagine storiografica:

Writing history is writing the future, not the past: “something to remember and something to forget” it is not for now, it is for the future, but there is a lack of consensus on what future for Lebanon we want. In the middle of this lack of consensus, 'Umam archives, preserves the memory of this period and one day somebody will utilize it. We don’t want to select, because the time of selection is not come yet.47

Questo approccio ai temi della memoria e del trauma si fonda sull'idea che sia possibile (e che

per ora sia sufficiente) archiviare e documentare senza interpretare. È l'approccio denotativo

di un osservatore che pretende di limitarsi a fotografare, raccogliere e a conservare dati che

considera come “parlanti”, già espliciti di per sé, negando il proprio intervento al momento

della raccolta dei dati.48 Tale approccio alla storiografia, fondato sulla pretesa imparzialità e

oggettività del ricercatore, del fotoreporter di guerra, del regista documentarista, apre

45 Le associazioni analizzate dall’autore sono impegnate in prima linea in difesa della libertà di stampa, della tutela ambientale, della riforma giudiziaria e dell’indagine sugli scomparsi durante la guerra. Karam, 2006. 46 Vedi infra. 47 Intervista a Mārī Klūd Su‘ayd, 'Umam, 2/4/2010, al-Ḍāḥiyyah, Beirut.. 48 Sulla stessa linea si colloca la produzione cinematografica documentaria di 'Umam, vedi infra, III capitolo.

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37

complesse questioni epistemologiche circa il ruolo dello storico rispetto al proprio oggetto di

indagini. Si rimanda alle pagine successive per un ulteriore accenno all’argomento.49

6. Fonti orali

Come già spiegato, le ricerche sviluppate dai memory cultural agents rispondono da un lato

ad un'esigenza interpretativa dei violenti eventi di guerra, bisogno trasversale a buona parte

della popolazione coinvolta; dall'altro, si fanno a loro volta documenti storici significativi.

Tra tanti tipi di fonti primarie, le testimonianze orali hanno attratto le attenzioni di molti artisti

libanesi dalla seconda metà degli anni '90, a partire in particolare dal video del fotografo e

regista 'Akram Zā‘a ari al-Šarī bi- ayr/All is well on the border (1998).50

Lo scarto temporale che caratterizza le testimonianze orali, uniche fonti primarie non

contemporanee agli eventi narrati, e la natura dialogica delle testimonianze, che vengono in

essere solo nello scambio tra il ricercatore e l'informatore, costituiscono il fascino artistico e il

limite storiografico all'utilizzo delle fonti orali per la ricostruzione storiografica, come è stato

messo in luce da numerosi critici della storia orale.51

La sperimentazione con le fonti orali (filmate, registrate o trascritte) consente agli artisti

libanesi di giocare sulle ambiguità che caratterizzano la testimonianza orale, di marcare

l’aspetto narrativo di chi si definisce testimone “non tanto perché ha visto ma perché afferma

di avere visto e ha ritenuto quello che ha visto degno di essere raccontato come fatto

suscettibile di interesse morale”.52

Permette inoltre di riportare l’attenzione alla dimensione umana del conflitto. Si citano a

questo proposito le riflessioni dello storico Paul Thomspon, sul ruolo della storia orale:

… War especially highlights the essence of oral historical work, contrasting the public history of wars, of victorious narrations, with private tragedies, above all in the deaths of husbands-wives and children … They are the price paid for this victory they do not share, and they are its meaning. Recognizing the indissoluble bond between history and personal experience, between the private unique and solitary spores of sorrow in houses, kitchen and anguished memories, and the historians’ perception and reconstruction of broad, public historical events is the task and theme of oral history, an art dealing with the individual in social and historical context, is to explore this distance and this bond.53

49 Vedi infra, I capitolo, paragrafo successivo, e III capitolo. 50 Vedi infra, III capitolo. Si indica il titolo in inglese in quanto titolo di uso corrente insieme al titolo in arabo. 51 Per una panoramica sulla problematica vedi ad es. Tosh (1989, cap.10). 52 Dulong (2004) in Schreiber (2004: 43). 53 Thompson (1978: 96).

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38

Lo studioso inglese, tra i fondatori negli anni ’60 di una rinnovata storia sociale from the

bottom up basata sulle fonti orali, focalizza la nostra attenzione sulla rinnovata relazione tra lo

storico e il suo oggetto di studio, incitando gli storici a indagare la dimensione umana, privata,

soggettiva delle vicende storiche (a “umanizzare la storia”). Inoltre, secondo la storica Luisa

Passerini, Thompson pone anche le questioni del rapporto tra conscio e inconscio nella storia

e nella relazione tra sforzo individuale e cambiamento sociale, in una prospettiva marxista di

emancipazione delle classi subordinate che, una volta inserite nel processo storiografico sul

piano degli storici, si potrebbero finalmente appropriare della produzione culturale delle

“classi dominanti”. La ricerca storica può esercitare una critica in modo da demistificare i processi con cui si genera la coscienza “necessariamente falsa”, che è propria anche della cultura e della ideologia popolari. Può cioè tentare di ricondurre agli individui concreti ogni produzione, non solo di merci e di capitale, ma anche di idee, vere e false, di rappresentazioni collettive, di forme di espressione e di pensiero. 54

Così la storia orale potrebbe costituire anche la possibilità di un rovesciamento, della

riappropriazione dell’intelletto sociale complessivo da parte dei soggetti viventi.55

Tuttavia, da un punto di vista non solo metodologico, John Tosh, storico e studioso di

metodologia storica, mette in guardia da un equivoco: prestare ascolto alle testimonianze

raccolte sul campo non significa attribuirgli pieno valore dal punto di vista storiografico,

poiché nelle fonti orali è presente un inevitabile elemento di giudizio a posteriori, che le rende

strutturalmente diverse dalle fonti storiche primarie, fondate proprio sul principio della

contemporaneità con gli eventi narrati.56

Così, se il coinvolgimento emotivo dell’informatore è spesso ciò che autentica e rende

credibile la testimonianza, l’informatore non è un contenitore innocente e neutrale del proprio

passato: la “voce del passato”57 è inevitabilmente anche “voce del presente” (non fosse altro

per la natura dialogica dell’intervista).

La vivacità dei ricordi personali, forza delle testimonianze orali, rivelerebbe dunque il loro

maggior limite storiografico.

In questa fertile ambivalenza, solo indicativa a livello teorico delle problematiche aperte, il

54 Passerini (1988: 53). La Passerini, dunque, sottolinea le molteplici connessioni tra storia orale, materialismo dialettico e analisi freudiana. 55 Ivi: 61. 56 Tosh (1989: cap.10). 57 Per questi accenni alla letteratura sulla storia orale, vedi ivi. The voice of the past: oral history (1978¹) era il titolo del volume metodologico dedicato da Thompson alle sue ricerche per The Edwardians: the remaking of British society (1975).

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39

passato libanese si apre alle sperimentazioni artistiche e ai tentativi di raccogliere le

testimonianze orali per formare un archivio dei “senza voce”, degli esclusi dalla narrazione di

un conflitto che pure hanno contribuito a combattere.

Si possono citare numerosi esempi cinematografici a questo proposito come 'Āšbā Bayrūt/Beyrouth Phantôme58 (1998) di Ġassān Salhāb e alcuni esempi di film documentari o semi-documentari come Massaker (2004) e 'Awwaluhā na wā … wā aruhā/In Place (2006) di Monika Borgmann e Luqmān Slīm, registi e fondatori di 'Umam.59 In questa sede, si intende sottolineare la contaminazione dei generi in molta produzione

cinematografica libanese contemporanea, caratterizzata dal montaggio di testimonianze orali e

filmati storici d'archivio in cornici narrative propri dei film di fiction.

7. La pretesa storiografica, tra imparzialità e interpretazione

The twilight zone that lies between living memory and written history is one of the favourite

breading places of mythology. Vann Woodward60

Il sociologo e storico 'A mad Bay ūn aveva messo in luce la parziale faziosità di buona parte

della produzione storiografica libanese già nel 1984, anno di edizione del suo Identités

confessionnelle et temps social chez les historiens libanais contemporains.61

Secondo Haugbolle, lo studio di 'A mad Bay ūn sulle storie redatte durante la guerra civile

mostra come molti degli storici libanesi della guerra civile siano talmente schierati

ideologicamente, che le loro ricerche spesso costituiscono poco più che un’altra faccia del

genere letterario delle memorie di guerra: Historians of the Lebanese Civil War can be divided into apologetics of the consocionalist system in Lebanon, who tend to emphasize the external factors that led to the war and its protraction (Messara, Al-Khazen, Khalaf), and proponents of secular reform, who often stress internal Lebanese factors (Nasr, Beydoun, Abul-Husn).62

Inoltre, continua Haugbolle, diversamente da altri paesi in cui gli intellettuali e gli storici hanno

giocato un ruolo importante nella produzione di efficaci narrative nazionali, “questo non fu il

caso del Libano del dopoguerra dove la storia accademica della guerra raramente influenzò la

58 Si fornisce anche il titolo in francese in quanto più ricorrente dell’originale in arabo. 59 Vedi infra, III capitolo. 60 Cit. in Simoni (2010: 57). 61 Beydoun (1984). Vedi infra, II capitolo. 62 Haugbolle (2010: 11)

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40

produzione di una memoria storica”.63

“Fare storia” in Libano emerge dunque come un'attività profondamente legata alle simpatie

politiche, alle appartenenze comunitarie, alle scelte identitarie dello storico. Se seguiamo

questa analisi, si può arrivare al nucleo della critica che numerosi artisti contemporanei

rivolgono agli storici attivi durante la guerra: nel mare delle analisi di date e di avvenimenti

che gli storici (sempre più supportati dai media) hanno elaborato, non esisterebbe una

versione forte, nazionale (e nazionalista), capace di accomunare i diversi progetti delle forze

politiche sul Libano, ma esisterebbero solo innumerevoli versioni plausibili e in reciproco

conflitto. Il ruolo dello storico e della stesura di una Storia nazionale, momento privilegiato

nel processo di nation building all’europea, risultano così profondamente screditati e minati

nelle loro fondamenta.

In questa sede, è opportuno mettere in luce come, di fronte ai problemi posti dalla storia e

dalla storiografia, siano gli artisti (o almeno, una certa corrente di artisti contemporanei,

oggetto dell’analisi qui sviluppata) a produrre narrative critiche e a mettere in discussione i

presupposti metodologici sui cui tradizionalmente si basa il sapere storico (ad es. l’analisi

degli archivi e la comparazione di più testimonianze).

8. “Guerra latente” e “stato di urgenza”

Our officials miss no occasion to candidly proclaim that “the war is over” and that “religious divisions have proven artificial” (…) since the end of the fighting in 1990, the same officials,

through their decisions ad actions, miss no occasion to furnish proof of the contrary. Mīšāl u‘mah, L'Orient-Le Jour, 21 giugno 199764

Se la guerra civile libanese finisce formalmente con la firma degli accordi di al- ā'if

nell’ottobre del 1989, tuttavia numerosi fattori impediscono una netta cesura tra il periodo

della guerra e il periodo del dopoguerra, alimentando una diffusa sensazione di “guerra

latente”, secondo l'espressione di Samīr Qa īr.65

Da un punto di vista prettamente storico, si assiste infatti al proseguimento degli scontri tra

delle forze del generale Mīšāl ‘Aūn contro i miliziani di Samīr a‘a a‘a e i soldati siriani fino

al 1990, anno della cessazione definitiva del conflitto civile. Occorre aspettare fino al 30

aprile 1990 per il disarmo delle milizie, con l'eccezione di izbu-llāh e 'Amal, che

mantengono le armi in nome della Resistenza al Sud. Inoltre, il perdurare dell'occupazione

63 Ivi. 64 Cit. in The Routine di Paola Yacoub e Michel Lasserre, in David (2002: 150 ) 65 Kassir (2000).

Page 42: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

41

israeliana fino al 2000 e le numerose operazioni militari (1993 e 1996); l’ingerenza siriana

militare e politica66, fino al ritiro delle truppe nella primavera del 2005, rafforzano un

sentimento di instabilità profonda, proprio come durante la guerra civile.

Come spiega Samīr Qa īr, anche se nel primo biennio 1990-1992 si ristabiliscono le

condizioni minime necessarie alla pace civile (il disarmo delle milizie e la riunificazione

territoriale), tuttavia, una leadership politica incapace e succube del regime siriano sembra

proseguire la guerra a livello politico:

la sortie de la guerre dans la vie quotidienne, perceptible au silence des canons et à la liberté retrouvée de circuler (…) n'a pas été pensée, encore moins théorisée comme une sortie de guerre en politique. D'où cette curieuse absence de la catégorie d'“après-guerre” chez la plupart des Libanais.

Samīr Qa īr, intellettuale e giornalista simbolo del movimento di resistenza culturale

all’ingerenza siriana, assassinato il 2 giugno 2005, mette in luce un sentimento molto diffuso

di “guerra latente”, un sentimento spesso apertamente espresso che “la guerra non è realmente

finita e che una nuova guerra sarebbe inevitabile”,67 una sensazione motivata tanto dallo

scarto temporale tra la firma degli accordi di pace e la loro applicazione, quanto dall’assenza

di efficaci politiche di riconciliazione nazionale promosse dai governi di unità nazionale

prima (1990-91) e dai governi di Rafīq al- arīrī poi (1992-98 e 2000-2004). La filosofia del

neo-libanismo espressa negli accordi di al- ā'if sarebbe dunque stata stravolta e accantonata,

in favore di una profonda de-responsabilizzazione della leadership politica libanese sui temi

dell’amnistia generale, del ritorno dei rifugiati, delle responsabilità dei miliziani, delle

indagini per gli scomparsi.

Questa nozione di “guerra latente” sembra ancora più pertinente in quanto effettivamente

utilizzata dalla maggior parte degli operatori della cultura della memoria considerati in

questo elaborato, che la applicano per mettere in luce la continuità di alcuni elementi

traumatici irrisolti dalla seconda metà degli anni '80 fino almeno al 2005-2006, biennio di

cambiamenti politici rilevanti.

Mermier68 affianca a questa percezione un’analisi più specifica della condizione degli

intellettuali attivi in Libano, spiegando come le continue pressioni a scegliere uno

schieramento riproducano sulla scena artistica-intellettuale le condizioni di guerra materiali 66 Sancita tra l'altro dal “trattato di fratellanza, cooperazione e coordinamento”, firmato tra Siria e Libano nel maggio 1991. 67 Kassir (2000: 6) Trad. mia di: un sentiment très répandu et souvent exprimé que la guerre n’est pas finie ou qu’une nouvelle guerre serait inévitable. 68 Picard-Mermier (2007: 66).

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42

sperimentate nei decenni precedenti. Questo “stato di urgenza” inciderebbe dunque

profondamente sulle condizioni e i contenuti della produzione culturale del dopoguerra, anche

a distanza di vent’anni.69

Del resto, numerosi artisti si riferiscono ad uno “stato di urgenza” come caratterizzante le

condizioni di produzione culturale in tutti i paesi arabi, a causa della censura e della polizia

politica come in Egitto e in Siria, ad esempio.70

Il Libano si era affermato fino agli anni '60 come un palcoscenico libero e ospitale della

diaspora intellettuale degli altri paesi più conservatori, come la Siria, e delle elite culturali e

politiche palestinesi. Tuttavia, dalla guerra civile all'occupazione israeliana del Sud (fino al

2000), dalla ingerenza siriana (fino al 2005) alla guerra del 2006 fino alle tensioni interne del

2007-08, un nuovo e duraturo “stato di urgenza” sembra caratterizzare il Paese, radicando un

sentimento di instabilità politica cronica e di strutturale conflittualità sociale.71

A questo proposito, l'architetto libanese Māzin aidar 72 nota che la guerra del 2006 è

diventato un punto di svolta utile a storicizzare il dopoguerra del conflitto civile: il nuovo

trauma della guerra israeliana del 2006 (detta arb tammūz 73) avrebbe provocato dunque quel

distacco necessario a troncare il periodo della guerra civile (1975-1991) e del primo

dopoguerra (1991-2005) con i loro carico di immaginari.

Le immagini di un anteguerra idealizzato (ci riferiamo all'epoca d'oro precedente al 1975) sono improvvisamente invecchiate nel momento presente; come se, nel nuovo dopoguerra, il passato avesse cambiato funzione e avesse definitivamente smesso di prospettarsi come un periodo felice (…) Il percorso del dopoguerra sembra aver di colpo acquisito una sorta di nuova storicità, entrando anch'esso, dopo il tragico periodo dell'ultima guerra [del 2006], a fare parte di un passato.74

Questa complessa testimonianza introduce le problematiche legate alla percezione della

temporalità: il rapporto della guerra civile con la retorica ufficiale dei favolosi anni '60, il

rapporto degli anni '90 con il nuovo dopoguerra del 2006, contribuiscono a problematizzare il

discorso storiografico in Libano. Le definizioni di “guerra latente” e “stato di urgenza”, lungi

dall'essere mere allusioni psicologiche a situazioni collettive border-line, rispondono ai fattori

69 Mermier (2006) in Picard-Mermier (2006). 70 Vedi ad es. gli incontri pubblici dal titolo Théatre arabe in région PACA, organizzati da Système LaFriche, a Marsiglia, febbraio 2010 – novembre 2010. 71 Muruwwah Rabī‘/Mroue Rabih, regista, attore e drammaturgo, 9/1/2010, al-Ḥamrā', Beirut. Cfr. con intervista a ‘Assāf Rūǧīh / Assaf Roger, regista, attore e drammaturgo, 26/5/2010, Dawwār al-Šams, Beirut. 72 Haidar (2006: 21). 73 La “Guerra di Luglio”. Per un'analisi del conflitto, cfr. Picard-Mermier (2007). 74 Haidar (2006: 22).

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43

di destabilizzazione storici e politici già elencati, cui occorre aggiungere la “guerra a bassa

intensità” che contrappone senza interruzioni dagli anni '80 le forze paramilitari di izbu-llāh

all'esercito regolare israeliano. Le operazioni israeliane del 1993, 1996, 1999, 2000, 2001,

2006,75 seppure con obiettivi e esiti molto diversi, hanno spesso colpito la centrale elettrica di

Beirut, come un simbolico attacco alla normalizzazione della vita urbana nel dopoguerra.76

Secondo molte testimonianze, la condizione di pericolo e incertezza, propria della natura del

conflitto, costringe ad una forma di abitudine allo stato di guerra, all'interiorizzazione delle

sue logiche eccezionali, fino a farne routine e noia.

Si sottolinea inoltre come il lessico proprio della psicologia utilizzato per descrivere la vita

durante e dopo il conflitto entri a pieno titolo nel linguaggio metaforico ricorrente in tanta

letteratura libanese e straniera per descrivere la città, lo spazio pubblico, l'identità nazionale,

come messo in luce in particolare da Haugbolle.77 Così, ad esempio, la città di Beirut,

spaccata secondo le linee confessionali, devastata dalle sue stesse milizie, annientata in nome

della sua stessa ricostruzione, è rappresentata come un paziente compulsivo, schizofrenico,

dissociato, smemorato, colpevole e recidivo: sentimenti amplificati dallo scarto tra i discorsi

di riconciliazione ufficiale e tra le retoriche comunitarie, familiari, partitiche elaborate in

competizione reciproca.

Nel prossimo capitolo si prendono in considerazione miti e immaginari relativi alla

città di Beirut e al suo centro storico sia in quanto oggetto delle indagini artistiche considerate

in seguito, sia in quanto luogo simbolo della costruzione dell'identità nazionale.

75 Vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1993”, “1996”, “2006”). 76 Fino a oggi (gennaio 2011) l'energia elettrica a Beirut è distribuita a singhiozzo, secondo i razionamenti imposti dalla distruzione delle centrali nella guerra del 2006. 77 Cfr. Samman (1993); Neuwirth-Pflistch (2001); Haugbolle (2010).

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II capitolo

Storia e immaginari di Beirut Dalla muta arrifiyyah ai progetti di ricostruzione del

dopoguerra

De cette ville nous avons fait une légende, mais une légende coupée de l’histoire. Ou alors une légende bâtie sur une histoire tronquée.

'Iliyās ūrī 1

Come introdotto nel capitolo precedente, se il tema degli immaginari e dei miti che

preludono alla storia del Libano sembra una preoccupazione condivisa da numerosi storici

contemporanei, in questa sede si indagano alcune tematiche caratteristiche del dibattito

storiografico ritenute centrali nella produzione culturale di una nuova generazione di artisti

libanesi, che ha trasformato avvenimenti e miti storici nel proprio campo principale di

sperimentazione.

In questo capitolo si introducono i miti costruiti attorno alla città e alla storia di Beirut

dall'epoca della muta arrifiyyah alla ricostruzione degli anni '90, fino alle conseguenze

dell'ultima guerra israeliana (luglio 2006).

Tali narrative -connesse alla problematiche identitarie già introdotte- hanno infatti assunto

un'importanza crescente nel primo dopoguerra in quanto sollecitate dal dibattito sviluppatosi

attorno ai piani di ricostruzione della capitale. Si riserva dunque una particolare attenzione

allo sviluppo del centro storico di Beirut, nelle aree di Sā at  al‐Na mah  e  di  Sā at  al‐

Šuhadā'/al‐Bur  in quanto luoghi simbolici a livello istituzionale e in quanto storici centri di

aggregazione e di mescolanza sociale.2 

Dal passato fenicio alla conquista islamica, dal ruolo delle comunità cristiane maronite alle

dispute sulle frontiere dell'epoca mandataria, dalla vocazione panarabista alla svolta

panislamista, affrontare la storia del Libano significa per gli studiosi e per gli artisti

1 Khoury (2001) in Tabet (2001: 58). 2 Beyhum (1995).

Page 46: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

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contemporanei scontrarsi con il vasto repertorio di immaginari sub-nazionali messi in essere

dalle diverse comunità, come già messo in luce da 'A mad Bay ūn in Identité

confessionnelle et temps social chez les historiens libanais contemporains.3 In questo testo del

1984, lo storico libanese aveva già sottolineato le difficoltà del fare storia in Libano,

contestando le opere fortemente ideologiche degli storici contemporanei, a suo avviso troppo

schierati per uno dei partiti o delle milizie in campo, a cui fornivano gli apparati ideologici

necessari alla propria legittimazione politica.4 Ulteriori ricerche più recenti5 hanno inoltre

indagato come i libri di testo di storia proposti nelle scuole primarie del Libano propongano

analisi storiografiche e programmi molto diversi a seconda delle scelte dei professori, delle

case editrici, della distribuzione geografica delle scuole sul territorio nazionale.

In mancanza di una narrativa ufficiale egemonica, dunque, numerosi sono i discorsi politici e

confessionali competitivi che, come mitologie autoreferenziali, popolano lo spazio pubblico

sotto forma di poster,6 fotografie, campagne pubblicitarie e elettorali, biografie e

autobiografie, pamphlet,7 programmi radio e tv, canzoni.

Lo spazio urbano e i miti di Beirut possono costituire dunque un caso di studio efficace per

esemplificare le dinamiche di autorappresentazione messe in essere da diversi attori sociali, a

partire dalla muta arrifiyyah fino all'inizio del XXI° secolo.

Si descrive la formazione storica di Beirut anche per mettere in luce come l'atteggiamento

nostalgico dei governi del dopoguerra abbia selezionato -ai fini dei piani di ricostruzione- un

preciso repertorio di immagini e immaginari dal ricco passato pre-bellico della capitale,

eliminando il gravoso periodo della guerra civile. Queste riflessioni sulla storia della città si

spiegano considerando che la capitale ha attirato le attenzioni di numerosi artisti e

intellettuali, libanesi e stranieri, primo fra tutti, lo storico e giornalista Samīr  Qa īr  in

Beirut. Storia di una città.8

A livello terminologico, la toponomastica della città è indicata nella versione più in uso, a

seconda dei casi, in arabo, francese o inglese.

1. Beirut, fuoco centrale: 3 Beydun, 1984. Vedi infra, I capitolo. 4 Maasri, (2009). 5 Vedi Abou Moussa (1996). 6 Maasri (2009: 17). 7 Vedi la mostra Kutub min al-midan, organizzata da UMAM nella sede di Dahyyieh, aprile-maggio 2010. 8 Kassir, 2009. Edizione originale, in francese, 2003.

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un approccio riduzionista alla storia nazionale

Si tout semble avoir été dit sur Beyrouth, cette ville reste une urbs incognita, un territoire foisonnant qui n'a été saisi et représenté qu'à travers des clichés et vers lequelle il faut aller la

tête vide et le coeur grand ouvert. ād ābit 9

Da città marginale esclusa dall’entità statale del Monte Libano a ruolo di fulcro economico e

culturale del Libano e della regione, Beirut si affacciò alla modernità, all’indipendenza e

all’opulenza tra la seconda metà del XIX° secolo e la prima metà del XX° secolo.

Nel 1948, dopo la nakbah palestinese, quando gli intellettuali e i dissidenti di tutto il mondo

arabo cercarono un rifugio sicuro che garantisse la piena libertà d’espressione negata in patria,

Beirut divenne la culla delle rivendicazioni laiche e panarabe dei dissidenti di sinistra filo-

palestinesi esiliati dagli altri Stati forti della regione.10

La centralizzazione procede a ritmo serrato fino allo scoppio della guerra civile che

libanesizzò la capitale,11 radicando sempre più e in modo irreversibile le parcellizzazioni

confessionali della Montagna12 in città.

Nell’immediato dopoguerra, la ricostruzione della capitale emerge come una questione

centrale nel dibattito pubblico degli anni '90: in particolare, gli interventi di recupero del

centro storico di Beirut si caricarono di significati metaforici molto potenti perché la necessità

e l'urgenza di ricostruire si scontrarono con l'eccezionale valore simbolico assunto dalle

rovine e dalle memorie dei luoghi nell'opinione pubblica.

Come spiega il sociologo Nabīl Bayhūm: Le déclenchement du conflit, puis son évolution, ont vu l'importance de l'urbain croître dans la guerre: de théâtre, il en est devenu un enjeu, puis un objectif. Trop peu questionnée, trop peu rarement traité en tant que telle, la ville est aujourd'hui au coeur des interrogations, elle est devenu l'axe de la formulation de la reconstruction, le levier de sa mise en oeuvre, la clé de l'avenir. L'urbain décentré est ainsi revenu au centre des interrogations sociales.13

In una società lacerata dalle contrapposizioni ideologiche mai ricomposte nel dopoguerra, da

sentimenti di appartenenza nazionale concorrenti e da progetti politici per il futuro 9 Tabet (2001: 13). Nel 2001, l'architetto e intellettuale libanese Ǧād Ṭābit cura la redazione del volume Beyrouth: la brûlure des rêves. Il testo, citato da buona parte della letteratura successiva sulla città, raccoglieva le voci di una ventina di intellettuali che si impegnavano a offrire un ritratto della capitale come città storica, e come spazio lirico della memoria. 10 Khoury, 2001, in Tabet (2001). 11 Haugbolle, 2010. A livello terminologico, il neologismo libanesizzare (come balcanizzare) allude al tragico precipitare di situazioni di grande mescolanza sociale e religiosa in conflitti civili drammatici. 12 Sulla definizione della Montagna come centrale nella definizione identitaria libanese, cfr. Hourani (1981). 13 Beyhum (1991: 14).

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contraddittori, il processo di ricostruzione del centro di Beirut avviato nel 1992 riassumeva

simbolicamente il programma politico del primo governo arīrī (1992-1998), impegnato a

rilanciare l'immagine di una Beirut centro internazionale degli affari e capitale dei servizi,

secondo il modello economico liberale affermatosi a partire dall'Indipendenza (1943).

Viceversa, per le opposizioni (il blocco di 'Amal e izbu-llāh, impegnati nella resistenza

contro Israele nel Sud del Paese e radicati nei sobborghi meridionali della capitale;

l'opposizione dell'associazionismo civile e degli operatori della cultura), i piani di

ricostruzione, almeno fino al 1994,14 simboleggiano l'incapacità totale della classe dirigente di

affrontare in profondità le cause e le conseguenze della guerra civile.

Per questi motivi, la discussione scaturita nel primo dopoguerra attorno ai piani di

ricostruzione del centro di Beirut promossi da SOLIDERE (Societé Libanaise pour le

Dévelopement et la Reconstruction), compagnia edile e finanziaria fondata nel 1994, assunse i

caratteri di uno scontro politico sul futuro nazionale dell'intero Libano.

Contribuendo alle richieste degli attivisti per l’apertura di un dibattito pubblico e partecipato15

sulla ricostruzione del centro città, Nabīl Bayhūm scriveva nel 1992 il suo Manifeste pour une

ville plus harmonieuse (avec moin de blessures et plus de douceur de vivre):

Une nouvelle culture de la reconstruction est nécessaire, c'est celle du débat public et de l'appel à l'opinion publique, de l'espoir en un avenir commun et une gestion structurante de l'altérité, de la participation populaire. La réussite du débat sur la reconstruction ne concerne pas seulement le cadre du bâti mais l'ensemble de la vie sociale. Elle ne se restreint pas à la ville mais s'étend à l'ensemble du pays. Elle ne concerne pas une période mais l'ensemble des dures années à venir. La reconstruction est une pédagogie de l'avenir, de la citoyenneté, de l'immersion dans le monde sans peur.16

14 Vedi infra. Il 1994 è uno anno di svolta nelle politiche di ricostruzione del centro città e vede la fondazione ufficiale di SOLIDERE, compagnia edile-immobiliare-finanziaria privata, emanazione dello stesso Rafīq al-Ḥarīrī. 15 Vedi anche Chaktoura (2007). 16 Beyhum (1995: 15).

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2. Beirut Porta d'Oriente, vetrina della modernità ottomana:17

la città durante la muta arrifiyyah (1861-1915) Il 9 giugno 1861, una commissione internazionale composta dai consoli inglesi, francesi,

prussiani, russi e austriaci elaborò il Règlement organique per istituire la muta arrifiyyah del

Monte Libano (o Petit Liban): il territorio unì le due unità amministrative precedenti

(qā'immaqāmiyyatain)18 in un unico distretto sotto la guida di un governatore ottomano

cristiano non-arabo, relativamente autonomo e dotato di estesi poteri esecutivi, che dipendeva

direttamente dalla Sublime Porta. Il Consiglio Amministrativo istituito in questo quadro

regolava la concessione di diritti politici secondo l'appartenenza comunitaria, gettando le basi

del confessionalismo politico, sistema di gestione politica sistematizzato durante il periodo di

colonizzazione francese diretta.

La seconda metà del XIX° secolo rappresentò dunque, nel quadro dell'Impero Ottomano e

nella regione del Monte Libano in particolare, un momento di cambiamento amministrativo

significativo e di rapido sviluppo economico, potenziato dall'interesse coloniale francese.

Formalmente motivato dal desiderio di tutelare l'enclave cristiano-maronita libanese dopo i

massacri comunitari del 1860, lo sbarco a Beirut delle truppe di Napoleone III° si prestò

infatti a servire le mire commerciali della Francia, che si andava affermando come il

principale paese investitore in Libano grazie alla monocultura della seta, impiantata sin dagli

anni '20 del XIX° secolo.

Beirut, anche se formalmente non apparteneva alla muta arrifiyyah,19 si sviluppò in questi

anni come la capitale economica, giuridica e culturale, anche se non ancora politica, della

provincia autonoma del Monte Libano.

La centralizzazione delle funzioni economiche, giuridiche e culturali dai centri urbani della

qā'immaqāmiyyatain alla città di Beirut si realizzò grazie alla congiuntura di fattori diversi: i

flussi migratori interni al paese, la rapida urbanizzazione (tra il 1830 e il 1860 il numero dei

suoi abitanti passa da 6.000 a 50.000, supera i 100.000 abitanti a fine secolo per raggiungere

le 180.000 persone sotto il Mandato, pari al 22% di tutto il Paese), la diffusione di istituti

17 Kassir (2009: 131). 18 Sistema di amministrazione del Monte Libano istituito nel 1843 dopo la fine dell'emirato degli Šahāb: era composto da due territori amministrativi elaborati per ricomporre i conflitti tra le famiglie druse e cristiane che costituivano il tessuto sociale della montagna libanese. Vedi Traboulsi (2007: 52). 19 Vedi infra, Appendice.

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scolastici e di formazione universitari nel più ampio quadro della nah ah, l'intesa economica

tra borghesia locale e investitori stranieri, il potenziamento delle relazioni economiche,

politiche e strategiche con Damasco, come ad esempio la realizzazione nel 1863 della prima

strada diretta che collega le due città. 20

Inoltre, la volontà ottomana riformatrice espressa nelle Tan īmāt,21 l'economia della

sericoltura (che all'epoca impiegava circa la metà dela popolazione e costituiva quasi un terzo

delle entrate totali del paese), gli immaginari orientalisti francesi e le élites intellettuali

libanesi del periodo della nah ah attribuirono alla capitale il ruolo di intermediaria per

eccellenza tra la costa e il Monte Libano, tra l'occidente europeo e l'oriente arabo-ottomano.

Siamo diventati la porta attraverso cui l'Occidente entra in Oriente e l'Oriente accede

all'Occidente,22 scriveva nel 1872 il giornalista Salīm al-Bustānī (1848-84) in un articolo

intitolato Markazunā (letteralmente, “la nostra posizione”), che ben illustra le prospettive e le

aspettative sulla città a fine XIX° secolo.

Secondo arābulsī,23 che identifica questo testo come fondatore delle giustificazioni

intellettuali al ruolo di Beirut intermediaria e “Beirut-porta”, al-Bustānī si sarebbe riferito

all'unità economico-politica della Siria Naturale, fuoco centrale della nazione araba, estesa da

Tunisi fino ai confini con la Turchia. In questo immenso territorio, Beirut avrebbe potuto

risplendere come “il gioiello nella corona dell'impero” (per riprendere le impressioni

dell'imperatore tedesco Guglielmo II° in visita alla città nel 1898), assecondando la

tradizionale vocazione commerciale che la caratterizzava sin dall'epoca fenicia.

Durante la muta arrifiyyah si affermò così una visione riduzionista in seguito molto diffusa,

un approccio secondo cui la storia di Beirut (in necessaria dipendenza e stretta armonia con la

Montagna) sarebbe la storia del Libano: questa interpretazione, applicata nella seconda metà

del XX° secolo alla straordinaria crescita economica e demografica della capitale, è un lascito

intellettuale dei processi di centralizzazione politici ed economici che riguardarono il Libano

a partire dalla seconda metà del XIX° secolo.

Di certo le potenze europee incoraggiarono il ruolo di Beirut come nuovo nodo portuale e

20 Traboulsi (2007: 22) e Kassir (2009: 507). 21 Riforme ottomane, promosse in primo luogo dal sultano Mehmet II e di Mehmet Pascia, per innescare processi di modernizzazione della giustizia, dell’esercito, del sistema scolastico, politico, economico, amministrativo, nel segno di un rinforzato ottomanismo imperiale. 22 Traboulsi (2001) in Tabet, (2001: 32). 23 Traboulsi (2007: 55).

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commerciale (dimenticato nei secoli mamelucchi a favore di Tripoli e Sidone) per raggiungere

Damasco, il cui controllo costituì fino a metà del XX° secolo un elemento di tensione costante

tra Francia e Gran Bretagna. Si spiegano così i massicci investimenti europei nei settori delle

comunicazioni (rete telegrafica), delle infrastrutture (ammodernamento del porto, attivo dal

1895), dei trasporti (realizzazione di una rete tramviaria, e ferroviaria) e dei servizi (dal 1889,

la Compagnie Belge de Gaz de Beyrouth installò la prima rete di illuminazione a gas nel

centro storico della città, poi elettrica). A discapito di uno sviluppo industriale locale, nuovo

slancio vitale all'economia beirutina viene piuttosto dalle attività finanziarie che si

svilupparono attorno al porto: le compagnie di servizi marittimi, le assicurazioni, le banche, le

compagnie che tra il 1860 e il 1914 organizzarono l'emigrazione più o meno legale di circa un

terzo della popolazione totale del Monte Libano, stimata all’epoca pari a 400.000 persone.24

Dal punto di vista economico, la sericoltura intensiva (seguita dalla produzione di olivi e

tabacco) si affermò sulla cerealicoltura tanto da determinare una crescente dipendenza dalle

importazioni alimentari della wilāyah di Damasco, in un trend che non mutò fino alla terribile

carestia del 1919.

A livello amministrativo, il nuovo ruolo assunto da Beirut venne riconosciuto dalla Sublime

Porta, che nel 1887 nominò ufficialmente la città capitale di una nuova wilāyah estesa da

Nablus a Latakia.

Dal punto di vista urbanistico-architettonico, gli anni della muta arrifiyyah segnarono una

profonda trasformazione formale e strutturale della città che, fino all’inizio del XIX° secolo,

coincideva con la madīnah intra muros: area di esercizi commerciali integrati ad uno spazio

residenziale dalle condizioni igienico-sanitarie precarie, tale zona era caratterizzata dalla sola

mobilità pedonale. Ai margini dello spazio propriamente urbano (detto semplicemente al-

Balad, il paese), la Sā at al-Bur (poi Sā at al-madāfi‘ poi Sā at al-Šuhadā') segnava

l'accesso e il confine orientale della città, circondata da fasce semi-rurali in lenta

urbanizzazione.

Dalla seconda metà del XIX° secolo, invece, la febbre modernizzatrice ottomana impose il

proprio stampo pianificatore su Beirut attraverso la riorganizzazione del centro e del porto,

l'ampliamento degli assi longitudinali e trasversali per razionalizzare la nuova viabilità

sempre più legata al traffico delle carrozze, la decentralizzazione delle zone residenziali e

delle nuove zone di divertimento. Tali provvedimenti rispondevano alle esigenze di

24 Ivi, 260.

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51

affermazione di un potere politico in declino, una vera e propria “rivoluzione dall'alto”25 che

riorganizzò lo spazio urbano beirutino cercando allo stesso tempo di rispondere

all'inurbamento informale dei rifugiati della montagna, in fuga dagli scontri confessionali del

1860-61.

Il neonato Consiglio Municipale, che raggruppava gli esponenti del notabilato urbano di

Beirut, progettò il centro città secondo un nuovo gusto razionalista-militare ottomano,

realizzando giardini pubblici alla francese in Sā at al-Bur (i giardini al- amīdiyyah, in

onore del sultano ottomano ‘Abd al- amīd), al‐Sarāy al‐ aġīr (il Piccolo Serraglio), costruito

sull'antica fortezza di Fa r al-Dīn ed edificando nuove strutture pubbliche nella madīnah,

come al-sarāy al-kabīr (il Grande Serraglio, futura sede dell'autorità mandataria francese e, in

seguito, Palazzo del Governo).

Sā at al-Bur divenne così la porta principale della città da cui si snodavano le due

passeggiate pubbliche: la via verso la Foresta di Pini (futura Šāri‘ Dimašq/Rue de Damas) e il

lungomare di ‘Ayn marayssah verso il faro, fino a oggi uno dei luoghi pubblici più frequentati

della capitale. 26

Contemporaneamente, nei quartieri di al- inā'i‘, Zuqāq al-blā fino a i‘tāwī, al-

'Ašrafiyyah, prossimi alla27 città vecchia intra muros, l'aristocrazia, la borghesia mercantile e

le autorità municipali avevano eretto residenze private ed edifici pubblici (scuole, ospedali,

caserme di polizia) secondo uno stile ottomano “orientalizzato” dalla mano degli architetti

veneziani chiamati a lavorare in città: edifici a due piani con facciata a tre arcate spezzate,

balconi con vetrate dalla Serenissima (vetri, candelabri e arredamenti importati anche da

Murano), tetto “a fez” (bassa piramide in tegole rosse, marsigliesi). Se il modello trovava le

sue più antiche origini all'inizio del XIX° secolo, almeno secondo le testimonianze di

Lamartine,28 la casa, di regola circondata da un ampio giardino, si afferma come la forma

architettonica caratteristica del paesaggio urbano mutato, come risulta dalle prime fotografie

panoramiche della città.29 Quella che nella seconda metà del XX° secolo veniva considerata

come la casa tradizionale del notabilato beirutino, si presentò a metà '800 come un pastiche di

25 Kassir (2009: 163). 26 La questione di “spazio pubblico” in Libano è recentemente divenuta l’oggetto d'indagine di molti artisti contemporanei. L'associazione 'Āškāl 'Ālwān si è impegnata, nel suo primo periodo di attività, a indagare le connotazioni artistiche e politiche dell'idea di spazio pubblico a Beirut in progetti site specific, come l'esibizione collettiva del 1995 nel giardino pubblico di al- Ṣinā'i‘ e a al-Ḥamrā', nel 2000. Wright (2002) e vedi infra, III capitolo. 27 Davie(2007: 277). 28 Lamartine (1836). 29 Vedi ad es. la raccolta fotografica di Debbas (2001).

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stili e di elementi architettonici dall'antica epoca islamica al gusto ottomano coevo, riassunti

da architetti stranieri in una sintesi eclettica.

La rapida urbanizzazione degli anni '80 del XIX° secolo continuò il movimento di espansione

fuori dalle antiche mura già iniziato a metà del secolo, fondando i quartieri piccolo borghesi

di Bāšūrah e Mu āytbah e i quartieri popolari di Bas a e Mazra‘at al-‘Arab.

Oltre alla rete elettrica, a fine XIX° venne approvata la pavimentazione e l'allargamento delle

strade principali e l'imposizione di nuove tasse per il mantenimento della rinnovata rete

stradale. La città vecchia ospitò i nuovi sūq dedicati ai beni di lusso e di importazione

europea, come i prodotti industriali inglesi e i manufatti artigianali francesi. Si popola inoltre

di numerosi hotel e banche: gli affari sono animati dalla vivace aristocrazia mercantile locale

e da una borghesia finanziaria attiva nel commerciale-manufatturiero, spesso di origine

cristiana.30

L'emancipazione economica della città avanzava di pari passo a quella culturale, nel più

ampio clima di rinascita intellettuale della nah ah che proprio in Beirut ha visto uno dei suoi

centri di propulsione, grazie ai proficui insediamenti delle missioni religiose arabe ed europee,

alla fioritura di giornali e riviste, alla creatività di famiglie di intellettuali e di traduttori (gli

al-Yāzī ī, gli al-Bustānī), alle nuove scuole pubbliche ottomane. Tra i nuovi istituti di

istruzione universitaria, si cita la fondazione del Protestan Syrian American College (poi

American University of Beirut) nel 1866 a Ra's Bayrūt, cui seguirà nel 1874-75 la fondazione

dell'Université Saint Joseph in Rue de Damas. La frenesia edilizia contagiò anche le comunità

religiose che contribuirono attivamente alla ridefinizione del nuovo paesaggio urbano del

centro città: a fine secolo si moltiplicarono infatti gli edifici religiosi entro le mura, come la

chiesa di San Giorgio dei maroniti, non lontano dalla chiesa omonima di culto greco-

ortodosso.

Spiega Qa īr:

la monumentalità religiosa del centro, insieme agli spazi ufficiali di piazza Hamidiyyeh, ai quartieri commerciali sul porto e alla perdita della funzione residenziale della città intra muros, sottolineava ancora di più il nuovo statuto commerciale-istituzionale del centro, punto focale di un agglomerato che ne debordava ogni giorno di più.31

Il tentativo di Rivoluzione Costituzionale dei Giovani Turchi del 1908 e l'ingresso in guerra

dell'Impero Ottomano nel 1915 (in seguito anche all’episodio del bombardamento italiano su 30 Vedi ad es. la Banque Pharaon-Chiha, prima banca libanese fondata nel 1876 grazie ai proventi del commercio della seta grezza. Traboulsi (2007: 59). 31 Kassir (2009: 155).

Page 54: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

53

Beirut nel 1912), segnarono l'ultimo periodo di dominazione imperiale sulla muta arrifiyyah

del Monte Libano. Gli episodi della ribellione di alcuni nazionalisti libano-siriani e la

conseguente ondata di feroci repressioni lascerà il segno anche sulla toponomastica della città,

dove l'ottocentesca Sā at al-madāfi‘ (Piazza dei Cannoni) sarà ribattezzata Sā at al-Šuhadā'

(Piazza dei Martiri), in memoria dei patrioti uccisi il 6 maggio 1916 dal comando ottomano di

stanza ne al-Sarāy al-Kabīr (il Gran Serraglio).

L'ascesa economica e la centralizzazione delle funzioni politiche a Beirut sembrano del resto

svincolate dalla sorte dell'Impero Ottomano morente: saranno sempre più gli ingenti

investimenti francesi a delinearsi come nuovi garanti della stabilità politica ed economica di

Beirut, nel più ampio quadro della spartizione coloniale del Medio Oriente.

Città millenaria, Beirut, appariva come una città giovane capace di immettere, nello stampo di una modernità modellata al Cairo e a Istanbul, le influenze che venivano dall'altro lato del Mediterraneo e, insieme, il retaggio dell'arte islamica. Alla vigilia della Grande Guerra, niente sembrava in grado di frenarne l'ascesa.32

3. Libano fenicio e Beirut “Piccola Parigi”:

urbanistica e nazionalismi durante il Mandato francese

La vivacità intellettuale della capitale partecipò ad una più ampia riflessione sul nazionalismo

arabo contribuendo profondamente al dibattito in corso dall'Egitto alla Siria. Gli ideali

protonazionalisti (panarabisti, pansiriani, panislamici, nazionalisti) discussi alla fine del XIX°

secolo entrarono a pieno titolo nell'arena politica del Grande Libano durante il mandato

francese (1921-1943) stabilito sul Libano nel quadro della conferenza di San Remo (1920).33

Il Grande Libano sotto mandato francese, i cui confini non corrispondevano a nessuna delle

richieste avanzate dalle forze politiche libanesi, esasperò alcune caratteristiche di Beirut in

direzione di una subordinazione della capitale agli interessi coloniali, in particolare attraverso

il potenziamento dell'economia dei servizi, del terziario e la centralizzazione delle funzioni

politiche e culturali.

Le ideologie nazionaliste competitive proposte dalle elite intellettuali durante la nah ah

trovarono un'eccezionale linfa politica nei neonati partiti di massa, nelle riaffermate

aspirazioni coloniali e nei rinnovati progetti confessionali-politici, alimentando un feroce

dibattito sull'identità nazionale libanese. In particolare, i partiti che nacquero negli anni '30

32 Ivi: 163. 33 Laurens (2007).

Page 55: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

54

ispirati dai modelli nazifascisti europei (ad esempio, il PSNS o le Falangi Libanesi) furono i

principali promotori di un simbolico recupero di immaginari, miti e cliché strumentalizzati a

legittimare l'esistenza del Libano moderno secondo un movimento di retour aux sources

caratteristico dei progetti di nation building sul modello europeo.34

Dal punto di vista della gestione mandataria, tuttavia, le cose erano molto più chiare: la

Francia considera i territori geograficamente distinti di Siria e Libano in una simbiosi

economica affidata alle compagnie di interessi comuni (compagnies d’intérêts communs) e

alle società concessionarie (sociétés concessionnaires)35 monopoliste nei servizi pubblici e nei

principali settori dell'economia (ad esempio, la produzione e trasformazione del tabacco). I

vincoli con la Siria erano più stretti che mai e, come spiega lo storico Fawwāz arābulsī,

l'unione economica dei due paesi avrebbe significato la morte politica del Libano. Tuttavia il

distacco politico dalla Siria avrebbe significato la morte economica del Libano, totalmente

dipendente dalle importazioni alimentari siriane.36

Dal punto di vista economico, il sistema della sericoltura non sopravvisse alla crisi degli anni

'30 e alla concorrenza della seta di importazione indocinese: un'ampia ondata migratoria dal

Monte Libano verso Beirut e all'estero diffuse l'idea di riconvertire i territori della montagna

all'economia del turismo, secondo un progetto politico suggerito dagli intellettuali de La

Revue Phenicienne (1919) e assecondato dall'amministrazione mandataria.

Il “fenicismo”, proposto tra gli altri da Mīšāl Šī ā, āk ābit, Šārl Kūrm, Fū'ad al- ūrī, i

fratelli Nakkāš, era espressione dello storico sodalizio tra le città della costa e della montagna

libanese.37 Protetto dalla benedizione cristiana (greco-ortodossa, greco-cattolica e soprattutto

maronita) e dalla missione civilizzatrice francese, il movimento si poneva così in aperto

contrasto con le contemporanee proposte del pansirianismo e, in seguito, del nazionalismo

panarabo.

L'affinità maronita-francese era del resto incoraggiata dalle politiche linguistiche dell'epoca

mandataria che riconobbero il francese come seconda lingua ufficiale, ad affiancare l'arabo

nell'amministrazione, nella giustizia, nella stampa, nella segnaletica stradale e nei neologismi

del dialetto libanese, divenendo così un forte fattore di demarcazione confessionale e

sociale.38

34 Salamé (1986) 35 Traboulsi (2007: 263). 36 Ivi, 91. 37 Hourani (1981). 38 Kassir (2009: 369).

Page 56: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

55

I neo-phéniciens39 si articolarono ben presto in varie correnti distinte sul piano dell'ideologia

politica: da un lato il nucleo del futuro Blocco Nazionale di 'Imīl 'Iddah, filo-francese e

marcatamente cristiano, dall'altro il Blocco Costituzionale di Bišārah al- ūrī e Mīšāl Šī ā,

nazionalisti convinti del Grande Libano dei confini mandatari e aperti alle alleanze con i

nazionalisti moderati musulmani, proponendo di pensare il Paese come “una somma di

minoranze”. Questa linea, marginalizzata nel primo periodo dell'amministrazione mandataria

a favore delle elite beirutine e cristiane, si rivelò vincente nel progetto politico del libanismo

sancito dal Patto Nazionale del 1943.40

Il passato fenicio veniva recuperato come fondamento storico e modello culturale unificante

per giustificare tanto l'economia moderna dei servizi, quanto le ondate migratorie degli anni

'20, che i néo-pheniciens spiegarono nei termini romantici del desiderio d'avventura tipico

dell'identità fenicia.

Il neonato settore del terziario, centralizzato nella capitale, si affermò soprattutto grazie alla

crescente attenzione mostrata dai francesi per i lavori di elettrificazione della città, la

ristrutturazione del porto, la costruzione di un aeroporto, la riorganizzazione del centro

storico, i trasporti pubblici, lo sviluppo di un'industria turistica per l'aristocrazia libanese,

francese e egiziana. Il cambiamento degli stili di vita e dei consumi, dai divertimenti ai

trasporti, sempre più alla portata della classe media beirutina, condussero negli anni '20 a

quella che Qa īr definisce una vera e propria “rivoluzione del tempo sociale”:41 i massicci

investimenti e i nuovi piani di razionalizzazione urbanistica del periodo mandatario cercarono

di trasformare Beirut in una Piccola Parigi, una città all'altezza delle ambizioni coloniali

francesi.42

Così, la pianificazione del centro della capitale (al-Balad) rispose ad un preciso intento di

affermazione e di legittimazione politica messo in atto dall'amministrazione mandataria che a

Beirut propose un modello di sviluppo “francese”. Del resto, l'intervento francese coltivò

l'immagine di una città mediterranea borghese che, con l'eccezione del centro città, si

collocava in sostanziale continuità architettonica con il periodo precedente: in particolare la

metafora della “città-giardino” prese piede nelle prime guide turistiche dedicate alla Siria e al

Libano negli anni Venti e Trenta e indirizzate all’alta borghesia francese. E non a torto,

considerato che le ville aristocratiche e i palazzi del governo spiccavano nel paesaggio

39 Traboulsi (2007: 91). 40 Rabbath (1973: 522). 41 Kassir (2009: 368). 42 Ivi, 344.

Page 57: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

56

circostante rimasto rurale, toccato solo nella sua zona centrale dalla razionalizzazione

francese.

Quanto agli interventi architettonici nel centro, sembrava che la città

non possedesse molto di originale o di spettacolare da proteggere, così le autorità come gli imprenditori potevano sciorinare lo spettacolo della modernità senza preoccuparsi della conservazione dell'antico.43

In pratica, le autorità risistemarono il settore dei sūq per instaurare un preciso reticolo

geometrico che avrebbe avuto il suo centro nella geometrica Sā at al-Na mah: anche se il

progetto non fu ultimato come previsto, la nuova piazza ben simboleggiava le ambizioni

urbanistiche del Mandato. Mantenute le caratteristiche formali precedenti, l'amministrazione

aveva sostituito gli angusti spazi della città vecchia intra muros (settore del porto, sūq,

botteghe del piccolo commercio) con ampi viali dagli incroci ortogonali e dai palazzi

irrobustiti e innalzati al fine di fondare un nuovo quartiere “verticalizzato” destinato a

lussuosi edifici d'affari e palazzi istituzionali, come il Parlamento, la ristrutturazione del al-

Sarāy al-Kabīr, antistante la nuova Sā at al-Na mah, o il Palazzo municipale.44

A un anno dall'insediamento delle autorità mandatarie, in occasione della Exposition

Coloniale Française del 1921, un nuovo quartiere d'affari centrale si aggiunse allo spazio del

Sarāy al-Kabīr rinnovato. Tuttavia, la prevista Sā at al-Na mah, piazza a otto punte con

facciate aggettanti e ampi viali venne realizzata solo parzialmente perché gli urbanisti francesi

non poterono riposizionare i numerosi edifici di culto, tra cui l'antica Chiesa di San Giorgio,

simbolo intoccabile della comunità ortodossa in città.

Sā at al-Na mah emerse nella pianificazione francese come il cuore pulsante del nuovo

centro d'affari, di banche e di sūq di lusso, prossimo al lungomare degli alberghi,

funzionalmente diverso da Sā at al-Bur che svolgeva la funzione di porta e stazione della

città (luogo di scambio per i mezzi di trasporto che entravano e uscivano dalla città), di

“filtro” tra una massa sempre più indistinta di passanti che lì si mescolavano, seppure in modo

epidermico. Una funzione centralizzatrice, unificante, sopracomunitaria, profondamente

simbolica. La dinamicità dello scambio culturale e commerciale (il centro risultava ormai

praticamente sgombro da qualsiasi zona residenziale) creò un luogo condiviso di spazi

eterogenei tra loro comunicanti, proprio mentre emergevano le prime linee di demarcazione

43 Ivi, 325. 44 Kassir (2009: 320).

Page 58: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

57

confessionale legate alla urbanizzazione informale delle periferie.45

Come già nel XIX° secolo, Beirut si estendeva secondo le logiche dei raggruppamenti

identitari, accogliendo l'esodo rurale dai villaggi della Montagna e le comunità di rifugiati

(armeni, curdi, iracheni, siriani). La pressione demografica era molto alta ai confini della

municipalità di Beirut, dove le baraccopoli della cintura suburbana inghiottivano i villaggi

della campagna formando sacche di povertà insalubri, senza reti fognarie né strade, nel

completo disinteresse dell'amministrazione beirutina. Quanto ai vincoli sociali delle nuove

zone, si tendeva a riprodurre su scala ridotta i raggruppamenti familiari e paesani dei villaggi

di provenienza, secondo una modalità che rafforzò i riferimenti identitari, familiari e

confessionali. Il quartiere popolare sunnita di Bas a, ad esempio, avviò una competizione

diretta con le zone popolari a maggioranza maronita di immayzah, Furn al-Šubbāk, al-

Šiyyā , ‘Ayn al‐Rummānah che, come una cintura ai piedi della collina borghese di al-

'Ašrafiyyah, assorbirono le ondate migratorie di maroniti in fuga dallo Šūf. Allo stesso tempo,

la periferia meridionale ospitò le minoranze sciite in esodo dal Libano meridionale.46

Secondo Kassir47, tali fenomeni di frammentazione degli spazi urbani secondo linee

confessionali, in particolare, la distinzione tra Beirut Est e Ovest lungo la Rue de Damas,

iniziarono a radicarsi già durante il Mandato.

4. Il Patto Nazionale e l'Indipendenza:

Beirut Montecarlo e Libano Svizzera del medio Oriente

Il mito orientalista di un Libano “Svizzera del Medio Oriente”, secondo la fortunata metafora

geografica proposta da Lamartine,48 assunse sempre maggiore concretezza tanto dal punto di

vista economico che della “cantonizzazione politica”, elementi riaffermati nel Patto Nazionale

del 1943.

La discussione sull'identità nazionale sembrò approdare ad un'alleanza stabile tra le forze

maronite e sunnite libanesi, grazie al riconoscimento da un lato del carattere arabo dei

maroniti libanesi che rinunciano alla protezione francese, dall'altro del nazionalismo libanese

dei sunniti, che si allontanarono dalle tendenze panarabiste emergenti in particolare in Siria e

in Iraq. 45 Vedi Haidar (2006). 46 Vedi Kassir (2009: 341). 47 Ivi, 339. 48 Lamartine (1836).

Page 59: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

58

Dopo l'Indipendenza effettiva del 1946 (ritiro delle ultime truppe francesi), il “libanismo” di

Mīšāl Šī ā affermò nel liberismo economico e nel confessionalismo politico i due fondamenti

dello Stato libanese contemporaneo risemantizzando in senso economico il mito di un Libano

“Svizzera del Medio Oriente”.

La rottura dell'unione doganale con la Siria del 1950, la riforma del sistema fiscale e la legge

sul Segreto Bancario del 1956 si inserirono in questo disegno, tracciato per attirare capitali dai

vicini stati arabi e per promuovere un'economia liberale di segno opposto al dirigismo

statalista emergente in numerosi paesi arabi contemporanei (Egitto, Siria, Iraq dal 1958).

Lo storico ed economista ūr Kūrm riassume efficacemente la filosofia politica del

libanismo Mīšāl Šī ā, pubblicista e banchiere egli stesso, figura che ben riassume la

leadership politica beirutina degli anni '40:

lo Stato deve preservare la diversità nella società e non deve intervenire nella gestione delle comunità così come nella gestione dell'economia.49

Fawwāz  arābulsī evidenzia invece le ricorrenze lessicali che descrivono la nuova immagine

della città negli scritti di Mīšāl Šī ā dagli anni '40 al 197550:

les définitions d'un rôle nouveau pour la ville abondent: “place publique”, “lien”, “comptoir”, “marché”, “carrefour”, “zone franche”, “tête de pont”, “entrepôt”, ecc. La fonction extravertie d'une économie libanaise axée sur le tertiaire est alors renforcé par le développement impressionant, quoique anarchique, du secteur bancaire. (…) La métaphore du “ventre” s'enrichit d'un vocabulaire nouveau: “bourse”, “cache” , “coffre”, “cage”.

Durante gli anni '50, le politiche economiche liberiste, l'intermediazione finanziaria legata ai

traffici petroliferi con gli emergenti paesi del Golfo e l'avvicinamento alla dottrina

Eisenhower del governo Šam‘ūn ebbero effetti profondi nell'attirare le antipatie dei

panarabisti convinti e i capitali finanziari del Medio Oriente. Iniziò ad affermarsi il mito di

una Beirut Montecarlo: paradiso fiscale, città dei casinò e delle banche, delle notti folli e degli

affari d'oro, della discrezione statale e della vitalità culturale. Questa immagine rampante, di

uno Stato la cui popolazione godeva di un arricchimento reale51 anche se profondamente

diseguale (a differenza della situazione contemporanea in altri Stati arabi), apparirà ancora più

forte nell'immediato dopoguerra (anni '90) quando gli anni '50-'70 saranno ricordati come

49 Corm (2006: 106). 50 Traboulsi in Tabet (2001: 37). 51 Corm (2006: 111) spiega anche l'affermazione della Lira Libanese come moneta forte, grazie alle politiche di libera convertibilità e risanamento economico promosse nel decennio '40-'50.

Page 60: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

59

un'età dell'oro favolosa, senza indagare più a fondo sulle cause profonde i germi che

portarono allo scoppio della guerra civile.

Di fatto, la prosperità economica affiancò un'instabilità politica cronica, come mostra l’analisi

della “Rivoluzione bianca” del 1952, della Rivoluzione del 1958, degli scontri del '67 in

seguito alla disfatta araba nella guerra dei Sei Giorni, o dell'insediamento della leadership

palestinese nel periodo 1948-1970.52 Dopo la nakbah, gli accordi del Cairo del 1969 e il

Settembre Nero di Giordania del 1970 portano al radicamento di un’elite palestinese

consapevole, organizzata e armata nei campi profughi libanesi: uno “Stato nello Stato”,

secondo Corm (2006).

Anche il poeta palestinese Ma mūd Darwiš, che visse a Beirut dal 1972 per quasi un

decennio,53 descrisse come la capitale divenne una città-rifugio per i rivoluzionari in fuga dai

regimi arabi vicini, una città estremamente politicizzata, l'ultima frontiera da cui partire per

liberare la Palestina:54

Beyrouth, des rues dans les navires

Beyrouth, ports pour amarrer les villes.55

Per quanto riguarda la pianificazione urbanistica del periodo post-indipendenza, le

istituzioni libanesi chiamarono negli anni '40 Michel Écochard, “architetto terzomondista” già

operativo in Siria e Palestina, per un nuovo piano regolatore della città che si ispirava a

principi di tutela ambientale e frenava le speculazioni immobiliari limitando i terreni

edificabili e le altezze degli edifici. Del piano proposto venne applicata tuttavia solo la parte

relativa al necessario ammodernamento delle reti viarie: la nuova classe dirigente sembrava

infatti piuttosto impegnata ad affermare i principi di una “repubblica mercantile” in cui lo

Stato agisse il meno possibile e, soprattutto, non frenasse gli investimenti e le speculazioni del

settore privato, primo investitore e beneficiario di un settore edilizio sregolato.

A livello architettonico, Beirut divenne la sede di numerosi nuovi edifici, spesso identificati

come i simboli di uno stile di vita lussuoso e occidentale56 che ben rispondeva alle politiche

economiche della presidenza di Bišārah al- ūrī e Kamīl Šam‘ūn, fino alla svolta chehabista

del 1958: banche (le cui sedi si affacciavano sul rinnovato asse stradale intitolato a Riyyā al- 52 Vedi infra, Appendice (Cronologia ragionata: “1952”, “1958”). 53 Vedi ad es. Poème de Beyrouth, cit. in Tabet (2001). 54 Vedi Traboulsi in Tabet (2001: 40). 55 Ivi, 28. da Le Poème de Beyrouth nella raccolta del 1981, Beirut. 56 Simbolici di un nuovo stile di vita occidentale contemporaneamente disprezzato altrove, in quanto identificato con le invise potenze colonizzatrici, cfr. ad es. gli episodi degli “incendi del Cairo” del 1952, vedi Laurens (1999).

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60

ul ), cinema (come il Cinema Rivoli in Sā at al-Bur e al- amrā' nella strada omonima, su

cui trovavano spazio i locali notturni a luci rosse), la madīnah riyyā iyyah (città sportiva,

edificata in occasione dei Giochi Panarabi), il Palazzo dell'UNESCO, i teatri, i centri

commerciali, gli hotel.57

Di fianco a questi edifici notevoli, tuttavia, dal punto di vista architettonico la

cementificazione massiccia della periferia della capitale era ormai avviata in modo

irrefrenabile per rispondere alle nuove ondate migratorie e all'insediamento di numerose

comunità nazionali in diaspora: armeni, curdi, siriani, iracheni, palestinesi. La Svizzera d'Oriente sopravviveva solo nelle banche o nei collegi, la Nizza del Levante esisteva ormai solo per la passeggiata lungo il mare e per gli svaghi dei ricchi. Con l'urbanistica - o con la sua assenza - Beirut abbandonava le sue maschere. Era innanzitutto una città del Terzo Mondo, ormai sulla china di un'urbanizzazione destrutturata.58

Di fronte allo scempio architettonico e urbanistico della capitale perpetrato in poco meno di

15 anni, il governo di Fu'ād Šahāb (1958-64) richiamò Michel Écochard per una nuovo piano

di razionalizzazione funzionale degli spazi e delle risorse della capitale, in particolare per

ridurre gli squilibri tra il centro e le periferie beirutine e tra la capitale e il resto del Paese. La

proposta dell'urbanista francese di decentrare le attività istituzionali e economiche,

concentrate nell'area intra muros, a nuovi poli funzionali delocalizzati in periferia non ebbe

seguito se non in minima parte per la realizzazione di un anello viario attorno al centro

(l'attuale ring Fu'ād Šahāb) e di un nuovo asse parallelo a Šāri‘ Dimašq/Rue de Damas, il

viale Bišārah al- ūrī.

L'apertura di ampie strade che tagliavano il tessuto urbano mirava probabilmente a minare

l'omogeneità interna dei quartieri, già contraddistinti da una forte identità comunitaria.

Tuttavia, svuotata delle analisi e dai provvedimenti legali necessari e previsti da Écochard per

razionalizzare la città, la “Grande Beirut” (estesa a nord fino a ūniyyah), con una

popolazione che nel 1970 raggiungeva il milione di abitanti (pari al 42% dei libanesi),59

continuò a gonfiarsi anello dopo anello soffocando sempre più il centro.

Oltre all'esplosione demografica delle periferie povere e sovraffollate, gli anni '60 e '70 videro

l'edificazione di alcuni edifici pubblici significativi che, superata la guerra civile e la

ricostruzione, restarono come corpi feriti, immagini d'archivio svettanti nella scenografia della

57 Vedi Kassir (2009: 492). 58 Ivi, 487. 59 Ivi, 507.

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61

città contemporanea.60

Tra questi, il Beyrut City Center diventerà il simbolo del modernismo architettonico

imperante a Beirut durante il governo chehabista. Progettato dall'architetto Yūsūf  Karām

(autore tra l'altro dell'hotel Phoenicia),61 il profilo sospeso della cupola di cemento armato del

Beirut City Centre avrebbe indicato il centro commerciale-cinema-parcheggio più grande del

Medio Oriente.62

All'inizio degli anni '70 venne edificata anche la Bur Murr (torre Murr), dal nome dei

committenti, una ricca famiglia greco-ortodossa di politici e imprenditori edili: la posizione e

l'imponenza (era all'epoca l'edificio più alto della città) resero la torre uno dei punti strategici

per le milizie che durante la guerra si disputavano il controllo della città.63

5. Le guerre civili: Beirut “capitale del dolore”64 

• L'immaginario nostalgico delle ra bānāt: ba ibbak ya Lubnān! 65 

Sin dagli anni '50, al miracolo economico e alle problematiche del nazionalismo contestato, si

affiancò un nuovo immaginario mitico-nostalgico che riguarda la vita di montagna, entroterra

vitale ma dimenticato dall'ipertrofia della capitale.

Le operette musicali dei fratelli ‘A ī e Man ūr Al-Ra bānī (le ra bānāt) cantate da

Fayrūz, 

voce mitica dell'identità nazionale libanese e ascoltata via radio in tutto il Medio Oriente,

riassumono proprio questo approccio nazionalista,66 cantando di un remoto passato di pace e

prosperità nei villaggi di montagna: un atteggiamento nostalgico che sarà premiato dal vasto

successo di pubblico, sia colto che popolare, rapito dalle rappresentazioni in costume messe in

scena nella suggestiva cornice del Festival di Ba‘albak.

L'immagine idilliaca di un “Libano-mosaico”, “crogiolo di culture”e “somma di minoranze”

verrà decostruita dalla successiva generazione di artisti, nati negli anni '50-'60 e spesso attivi

durante la guerra civile, tra gli altri, proprio da Ziyyād Al-Ra bānī, figlio di Fayrūz e ‘A ī

60 Brones (2009: 459). 61 http://www.joseph-philippe-karam.com. L'Hotel è tristemente noto per aver ospitato la “guerra degli Hotel”, biennio di combattimenti tra falangisti e palestinesi, arroccati tra il Phoenicia e l'Holiday Inn tra il 1975/76. 62 Brones in Mermier-Varin (2009: 462): Cet édifice, dont le nom décrit sans équivoque la vocation centrale et commerciale, apparaît aussi comme la cristallisation d'un désir de synthèse de la ville. 63 Cfr. How Nancy wished that everything was an April fool’s joke? (2007), vedi infra, IV capitolo. 64 Vedi Kassir (2007: 617). 65 Oh Libano, ti amo! È il titolo di una canzone di Fayrūz, vedi tra l'altro Chakar (2002: 61). 66 Vedi Traboulsi (in Neuwirth-Pflitsch, 2001a: 499-509).

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62

Al-Ra bānī .67

L'immagine di un “Libano della concordia”, del passato, definito ex negativo dalla nostalgia e

dalla ricerca di un'autenticità perduta, veniva ridicolizzata mentre si esasperavano le

contraddizioni -endogene ed esogene- accumulate nel momento di massima crescita

economica del Paese.

Contraddizioni filmate dalla telecamera del giovane Mārūn Baġdādī in Bayrūt, yā Bayrūt!

(1974), un film sulle angosce politiche, intellettuali, artistiche ed esistenziali del giovane

regista e della sua generazione, girato allo scoppio della guerra civile.

La “città della mescolanza” non era riuscita nell'arduo compito della redistribuzione delle

reali ricchezze prodotte dal Paese, aveva anzi amplificato gli elementi di disparità sociale già

messi in luce negli anni '50, aggravati dalla mancata risoluzione della questione palestinese e

dall'esasperazione dei toni politici in tutto il mondo arabo (in particolare dopo la naksah, la

disfatta del 1967) che trovavano nella “repubblica delle lettere” libanese una valvola di sfogo

e uno spazio di libertà senza pari. Di fronte ai radicati sentimenti di ingiustizia sociale e

nell'assenza di una classe politica capace di gestire la situazione di crisi (in particolare,

durante la presidenza Sulaimān Fran iyyeh dal 1970 al 1976), la logica delle milizie e dei

gruppi paramilitari e delle milizie si sostituì gradualmente al dibattito politico e parlamentare

per esplodere violentemente nel 1975. 

• Le linee di demarcazione

Immediata conseguenza dello scoppio del conflitto, il 13 aprile 1975, fu la frammentazione68

del territorio urbano e nazionale secondo linee di demarcazione comunitarie, tese a creare una

nuova geografia identitaria basata sul solo principio confessionale. Non che questo principio

non esistesse già in precedenza, ma in epoca ottomana il sistema elettorale e di appartenenza

municipale si basava piuttosto su una doppia appartenenza confessionale-territoriale. Inoltre

Beirut era emersa come città di mescolanza, in particolare il suo centro intra muros, e, anche

se era possibile identificare la comunità predominante in quasi tutti i quartieri extra muros,

nessuna zona si presentava come completamente omogenea al suo interno.

Le linee di demarcazione confessionali non erano un'invenzione propria degli “eventi” del

1975 ma si radicarono nel corso degli anni, come scrive abbūr al- uāy ī nel romanzo

67 Vedi Chabrol (2007: 77) in Puig-Mermier, consultato online. 68 Vedi Kabbani (1992).

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Ma ar  uzayrān  Pioggia di giugno)69 dedicato ai fatti di sangue intracomunitari di un

villaggio maronita nella Montagna libanese, alla vigilia della guerra civile del 1958: 

linea di demarcazione. Non la chiamavano ancora Khatt al-tamass. E' un termine - خط التماسraffinato, con cui i giornali di Beirut definirono i fronti contrapposti che divisero la capitale vent'anni più tardi, una linea che iniziava sulle colline che affacciano sulla città, passava per rue de Damas e arrivava fino al porto. Non aveva un nome, da noi. O magari non eravamo riusciti a trovarne uno che andasse bene per quella linea artificiosa che divideva il quartiere della famiglia al-Sama'ani, cioè la parte sud del paese, da quello della famiglia al-Rami, cioè la parte nord. Eppure era una sorta di tratto in rilievo che tutti gli abitanti conoscevano. Conoscevano perfettamente ogni suo dettaglio, dove passava e dove si attorcigliava e dove si perdeva in uno spazio neutro senza identità. La linea di demarcazione, che divideva la città in due gruppi distinti, dava alla famiglia al-Sama'ani il controllo dell'uscita a ovest del paese, quella in direzione della città, mentre invece l'uscita a est, quella che portava ai paesi sul fianco della montagna, era giurisdizione della famiglia al-Rami. La piana a loro, il monte a noi. Non appena si entrava nei quartieri popolosi e nei vecchi vicoli, però, la linea si ingarbugliava. Creava anche delle zone franche a metà tra i due quartieri, zone in cui, se erano visibili dalle barricate della fazione avversa, era impossibile vivere, per chiunque. Insomma, quella linea era disegnata nella mente di chiunque, dal più vecchio al più giovane. (...) Sapevano tutti che se avessero fatto altri dieci passi in questa o quella direzione, sarebbero entrati nel quartiere degli avversari. E non è che la via principale coincidesse esattamente con la linea di demarcazione. No, la faccenda era molto più complessa, talmente complessa che era sempre fastidioso doverlo spiegare a quelli che venivano da fuori. La linea si era andata formando per gradi, via via che aumentavano le tensioni ma la libertà di movimento si ridusse drasticamente quando furono montate le postazioni di tiro. Sembrò allora, che un abisso insondabile dividesse i due quartieri.70

Durante la guerra, invece, la logica confessionale che prese il sopravvento sulle altre

dimensioni della composita appartenenza nazionale libanese riuscì a spartire città, villaggi,

famiglie, come spiega tra gli altri Ġassān Salāmah (1986) nel suo saggio Lebanon's injured

identities: who represented whom during the lebanese civil war?.71

L'escalation della tensione esplose negli anni '70 e l'asse geografico di Šāri‘ Dimašq/Rue de

Damas divenne in effetti la prima linea netta a dividere una Beirut Est a prevalenza cristiana

da una Beirut Ovest a maggioranza musulmana. La demarcazione comunitaria dei quartieri

era una delle logiche cui rispondevano i nuovi insediamenti poveri dell'esodo rurale degli anni

'50, che confermavano la pratica di stabilirsi in un quartiere-emanazione del villaggio o della

famiglia di provenienza, così da rafforzare i riferimenti identitari all'interno della comunità e

da definire gli “altri”: estranei e esterni, confinati in un altro quartiere.

Infatti, se le colline di al-'Ašrafiyyah si articolavano attorno alle residenze in stile ottomano di

69 Douhayri (2010: 222). 70 Douhairy (2010: 222). 71 Vedi infra, I capitolo.

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64

ricche famiglie greche ortodosse del campo della politica o delle professioni liberali, i

sobborghi di immayzah, Furn al-Šubbāk, al-Šiyyā e ‘Ayn al-Rummānah si popolavano

sempre più di diseredati maroniti in fuga dalle Montagne, cui si aggiungevano i profughi

armeni e iracheni, in un primo momento ammassati nel campo di al-Karantīnā e poi

installatisi a Bur ammūd, oltre il Nahr al-Kalb. Sul fronte ovest, oltre agli emigrati curdi,

siriani e al massiccio esodo palestinese organizzato in campi profughi, si aggiungevano gli

sciiti del abal ‘Āmil (Libano meridionale) nella zona di Ra's al‐nabī' e nelle periferie extra-

urbane, che andavano a costituire, attorno ai primi sobborghi della capitale, una sempre più

ampia “cintura della miseria”.72 Collocato alle spalle di Šāri‘ Dimašq/Rue de Damas, il

quartiere di Bas a ospitava soprattutto il popolino urbano sunnita, spesso manodopera

portuale, i cui qaba āyyāt (bravi, malviventi protetti da influenti leader locali, gli zu‘amā') si

scontrarono a più riprese sin dagli anni '60 con i qaba āyyāt dei vicini quartieri di

immayzah, Mazra‘at al-‘Arab e Mu āytbah.73

Descritta in un primo tempo dai giornali come una sequenza di affrontamenti, come

'A dā / awādi (“avvenimenti”, il termine è usato ancora oggi per indicare l’intero periodo

della guerra civile), la crescente militarizzazione della società e la sempre più limitata libertà

di circolazione tradivano la gravità della situazione:

(…) dalla polarizzazione confessionale al contrasto frontale, la guerra cominciò quartiere contro quartiere, città contro città e, ovunque, una dinamica della prossimità sovrintese alla mobilitazione armata. Il quartiere vicino diventava all'improvviso terra incognita, dove non ci si poteva avventurare senza esporsi al rapimento o alla morte.74

Le linee di demarcazione che separarono la capitale e, in particolare, la macro-frattura tra

Beirut Est e Ovest segnata dalla Green Line vennero mantenute fino agli accordi di pace del

1989 e alla definitiva sconfitta del generale Mīšāl ‘Aūn nel 1990. Anche se la guerra concesse

delle tregue al centro città (ad es. durante la “guerra delle montagne” del 1983), la nuova

geografia comunitaria della capitale non cambiò e il centro del Balad, ormai deserto, rimase a

lungo il campo di battaglia per eccellenza, dominio dei cecchini, delle milizie e degli sciacalli:

(…) nel suo cuore, tra le piazze dei Martiri e dell'Etoile, le vie Foch e Allenby e il suq at-Tawileh, ormai circolavano solo i cani randagi. Una vegetazione selvatica che nulla frenava invadeva la pietra, come a significare la morte della civiltà. Vigilata nel suo cuore dalle carcasse carbonizzate del Phoenicia e del Saint-Georges, la metropoli cosmopolita del Levante

72 Vedi Kassir (2007). 73 Vedi Kassir (2007: 340). 74 Ivi, 617.

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65

era ormai diventata una capitale del dolore.75

75 Ivi, 626. Vedi anche Kassir (2001) in Tabet (2001).

FIG.4. Linee di demarcazione durante la guerra civile. Haugbolle  2010: 169

Page 67: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

66

6. Politiche della ricostruzione del centro storico nel dopoguerra

• Beirut “fenice che risorge dalle sue ceneri" Sept fois détruite et sept fois reconstruite ainsi affirme la légende, Beyrouth se réveille tous le matins comme si elle venait de naître. Etrange ville qui semble avoir toujours vécu en ignorant superbement son passé, tout en refusant de se représenter son avenir.76

La guerra e lo scempio della città hanno contribuito a diffondere un forte sentimento di

nostalgia77 verso la mitica età dell’oro degli anni '50-'70 che, se era storicamente giustificata

dall'arricchimento reale e diffuso della popolazione nel periodo precedente alla guerra,

tuttavia dimenticava i fattori strutturali di instabilità politica che portarono allo scoppio del

conflitto.

Elemento strutturale dei sentimenti di nostalgia affermatisi nel dopoguerra, la ricostruzione

della città e in particolare del suo centro storico divenne il catalizzatore principale del

discorso pubblico dei primi anni '90, facendosi simbolo della pretesa capacità beirutina e

libanese di risorgere dalle difficoltà come una fenice rinasce dalle sue stesse ceneri, immagine

sfruttata dalle politiche liberiste del primo governo di Rafīq al- arīrī (1992-1998).

Contrariamente alla classe politica del dopoguerra, composta da ex-miliziani, Rafīq al- arīrī

si presentava come l'homo novus della politica libanese: sunnita e liberale, solidamente

appoggiato dall'Arabia Saudita che gli concede perfino il raro privilegio della cittadinanza

onoraria, incarna l'immagine del benefattore e del filantropo, grazie alla promozione di borse

di studio e di fondi speciali dedicati all'istruzione universitaria.78

Rafīq al- arīrī giocò  d'anticipo sui due piani di riqualificazione urbanistica varati ma mai

applicati dal governo nei periodi di tregua del 1977 e nel 1983, interessandosi alla

ricostruzione edilizia della città sin dal 1982 e, all'indomani della guerra, commissionò un

nuovo piano di ricostruzione del centro storico alla società privata Dār al‐ andasah, sotto la

direzione dell'architetto anrī  Henri   'Iddah.  Rispetto ai piani ufficiali approvati a più

riprese dai governi libanesi durante le tregue nella capitale, il piano del 1991 è molto diverso,

come spiega ūr  Kūrm economista e ex-ministro delle finanze:

76 Tabet (2001: 11). 77 Descritto tanto dalla letteratura accademica che dalla produzione culturale libanese degli anni '80 e '90. Per una panoramica vedi Haugbolle (2010: 96). 78 Corm (2006: 247) lo definisce un “Babbo Natale” che, attraverso gli ingenti fondi destinati alle borse di studio all'estero, costruì un’imponente rete clientelare di studenti universitari e delle loro famiglie.

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l'approche du problème, qui était en 1977 des plus classiques en termes d'architecture et de moyens juridiques à mettre en œuvre, est devenu de plus en plus ambitieuse et extravagante au fur et à mesure que les destructions ont pris de l'ampleur entre 1978 et 1990 et que certains intérêts privés se sont mis à s'intéresser à la question.79

• La ricostruzione secondo arīrī: 1992 I progetti di ricostruzione proposti durante le tregue del 1977 e 1983 vennero scartati dal

Parlamento che approva nel 1991 (legge n. 117/91) il nuovo piano proposto da Dār al-

andasah.

Come spiega  ūr  Kūrm, tale legge pose numerose questioni di illegittimità sia sul piano

costituzionale che sul piano finanziario e politico, tra cui:

- il macroscopico conflitto di interessi, considerato che la società finanziaria privata prevista

dalla legge ai fini della pianificazione urbanistica del centro storico è allo stesso tempo

concessionaria finanziaria e agente immobiliare degli immobili espropriati;

- il mancato rispetto dei diritti di proprietà privata, considerato che la vendita forzata dei

terreni da parte dei legittimi proprietari alla società finanziaria e remunerata con azioni della

stessa azienda corrisponde ad una espropriazione ingiusta imposta per legge;

- l'indebolimento dello Stato e degli aventi diritto ad esclusivo vantaggio della società

finanziaria, che non è sottomessa per legge a nessun obbligo finanziario.80

La legge e gli strumenti finanziari, edilizi immobiliari che essa metteva in gioco, avrebbero

permesso la realizzazione del sogno haririano di una nuova Beirut iperlussuosa: il plastico del

nuovo centro storico, presentato da Rafīq al- arīrī all'AUB nel 1991, prevedeva infatti la

realizzazione di viali trionfali “più larghi degli Champs-Elysées” spianando la storica piazza

del Bur verso il mare, dove avrebbe dovuto essere costruita un'isola artificiale affollata di

alberghi di lusso e ristoranti internazionali. Collegata con ponti sullo stile del Ponte Vecchio

fiorentino alla terraferma, l'isola avrebbe accolto grattacieli ispirati al World Trade Center per

completare il quadro di un centro storico rinnovato all'altezza del rinnovato ruolo auspicato

per Beirut, centro medio-orientale della finanza e dei servizi.81

79 Corm (1995b: 310). 80 Vedi Corm (1995a) e (1995b). 81 Kabbani (1992).

Page 69: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

68

FIGG.5. Primi progetti di ricostruzione del centro di Beirut. Kabbani  1992 . 

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FIG.6. Piante del centro di Beirut e proposta di Dār al‐ andasah. Kabbani 

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70

• SOLIDERE : 1994

(Société Libanaise pour le développement et la reconstruction) In assenza di concorrenza reale e in tempo per le elezioni del 1992, Rafīq al- arīrī smise i

panni dell'imprenditore edile per vestire quelli di uomo politico e, dopo tre governi di

transizione nel periodo 1990-1991, nel 1992 venne eletto Presidente del Consiglio. Il piano di

Dār al- andasah, facilitato dalla Legge immobiliare appena varata, è riassumibile in tre

concetti, relativi passaggi chiave del processo di ricostruzione previsto: espropriazione

finanziaria, tabula rasa, gigantismo edilizio, implementati da SOLIDERE.

In primo luogo, la società finanziaria SOLIDERE (costituita ufficialmente nel 1994 e

incaricata di progettare e finanziare i lavori, considerata la situazione di bancarotta delle casse

statali) si preoccupò di appropriarsi dei beni 'awqāf (donazioni perpetue conformi alle

tradizioni del diritto islamico) e di espropriare i legittimi proprietari (piccola proprietà privata,

enti pubblici, proprietà collettive) degli immobili del Balad, risarcendoli simbolicamente con

azioni della società stessa per poter immediatamente passare alla fase delle demolizioni

massive nella zona del Bur , al‐ ā'ifī, di Bāšūrah, del quartiere ebraico Wādī 'Abū  amīl e 

dei sūq.

A titolo di documento si fa riferimento a Prospects for Lebanon: the reconstruction of Beirut,

pubblicazione curata dall’ingegnere 'Usāmah Qabbānī, che riassume gli interventi di numerosi

studiosi libanesi presentati al convegno omonimo, tenutosi a Londra nel 1992.82 Posizione

concorde espressa da questi professionisti (architetti, ingegneri, urbanisti, storici) è la critica

all'“archeofilia di facciata”83 che ispirava le ricostruzioni e i rari restauri condotti da

SOLIDERE, oltre che la denuncia dei metodi illegali di espropriazione dei terreni dai loro

legittimi proprietari e le strategie di reperimento di capitali messe in atto dalla compagnia.

I lavori iniziarono noncuranti delle proteste della società civile e l'autorità municipale rase al

suolo ciò che la guerra aveva risparmiato. Dal 1992 vennero abbattuti edifici storici come i

vecchi sūq, la caserma della polizia di epoca ottomana, il cinema Rivoli di epoca mandataria,

fino a quando, nel 1993, i lavori vennero fermati per avviare alcune campagne archeologiche,

sollecitate a gran voce dalle proteste civili e dall'UNESCO.

Il piano di ricostruzione venne così rallentato e riformulato al ribasso accettando il contributo 82 Vedi Qabbānī (1992). 83 Cfr. anche Tabet (2001).

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71

di alcuni storici, architetti e ingegneri, attivi oppositori delle politiche edilizie haririane, in

particolare ūr Kūrm, ād ābit, Salīm Sa‘ādah, Yūsuf aklah, Fu'ād 'Āwwada, Nabīl

Bayhūm, Michael Davie, …

Dal 1994 SOLIDERE lanciò una campagna pubblicitaria che affiancava ai programmi di

demolizioni, gli scavi archeologici: Bayrūt,  madīnah ‘arīfah  li‐'l‐mustaqbal/Beirut, an

Ancient City for the Future fu lo slogan di questo approccio che, se nella pratica si impegnava

a preservare resti di epoche antiche (le mura fenicie, i bagni romani e altre rovine

mamelucche e ottomane), di fatto fondava la sua strategia comunicativa sulla distruzione delle

tracce del passato recente della guerra civile, inserendosi nel solco tracciato dalla legge di

amnistia generale approvata dal Parlamento nel 1991.

Come commenta Samīr Qa īr, in perfetta armonia con l'immagine di “uomo nuovo e senza

memoria” del premier

(…) il progetto Hariri con la sua proposta di una configurazione in rottura con la morfologia urbana nota e di una finalità economica eterocentrata, aveva tutti i tratti di un progetto di città nuova, senza continuità con il passato, in altre parole privo di memoria. La memoria architettonica (…) la memoria sociale (...), la memoria della rottura [il periodo della guerra]. Spazio durevole del confronto, il centro invocava invece la conservazione, anche solo stilizzata, del fuori-tempo della guerra, almeno come anamnesi o come rituale di profilassi collettiva.84

Secondo il volantino pubblicitario di SOLIDERE, il piano di ricostruzione del centro città

(definito per la prima volta all'inglese come BCD-Beirut Central District, a sostituire anche

linguisticamente il più antico Balad) intendeva mettere in valore l'antico passato di Beirut: per

raggiungere lo scopo, la società stilò una lista di 265 “edifici architettonicamente

significativi” dislocati nel BCD, immobili che si impegnava a preservare e eventualmente a

restaurare “accertandosi che nessuna traccia del passato fosse persa nelle operazioni”:

(…) by sponsoring and financing most of the archeological fieldwork, SOLIDERE hopes to ensure that the reconstruction of the Beirut Central District integrates the results of archeological fieldwork and research, preserving the city's identity and creating meaningful new space where past and future meet.85

Senza avanzare un'analisi dei risultati raggiunti dalle politiche di SOLIDERE, è opportuno

notare come il piano di ricostruzione abbia occupato un posto centrale nel dibattito pubblico

sviluppatosi nell’immediato dopoguerra. Ciò che nel dibattito intellettuale della seconda metà 84 Vedi Kassir (2007: 637). 85 Vedi campagna pubblicitaria di SOLIDERE del 1994-1995: cfr. http://www.solidere.com

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72

degli anni '90 è stato maggiormente criticato di tali politiche è la nozione di identità della città

proposta, sospesa tra un passato ricco di glorie archeologiche e un futuro passatista, che tende

ad eguagliare il ruolo di capitale internazionale giocato da Beirut nel periodo 1950-'70.

Rileggendo la citazione della campagna pubblicitaria di SOLIDERE, è dunque legittimo

chiedersi: quale identità della città si intende preservare per quale incontro tra passato e

futuro? In questo continuum, esiste uno spazio dedicato alla rottura costituita dalla guerra

civile? Secondo la versione ufficiale proposta, la guerra civile è rappresentabile?

Secondo molti intellettuali, in effetti, una visione attiva del presente, che includa anche il

traumatico passato recente, sarebbe del tutto assente da tali piani: del resto, gli effetti

devastanti della guerra civile, chirurgicamente asportati dal tessuto del centro urbano e dai

principali luoghi “pubblici” della città (come la strada commerciale di al- amrā' o la

corniche),86 resistono nei quartieri popolari o nella Rue de damas/ Šāri‘ Dimašq, ancora

fortemente marcati dalla frammentazione comunitaria, come mette in luce Haughbolle a

proposito dei confini sociali che marcano ancora oggi al-'Ašrafiyyah, immayzah, Bas a,

Bāšūrah, al- ā iyyah e i campi profughi palestinesi.87

• Memoria dei luoghi: Sā at al‐Šuhadā' Per comprendere più a fondo tali critiche strutturali dell'intero piano di ricostruzione, occorre

almeno accennare all'ampio dibattito sulla memoria dei luoghi scatenatosi nell'immediato

dopoguerra, argomento in cui Sā at  al‐Šuhadā' (Piazza dei Martiri) spicca per potenza

simbolica e centralità geografica.

Da spazio vitale, centro unificante e unificato in quanto porta degli scambi commerciali e dei

trasporti, punto di accesso ai quartieri istituzionali e ai quartieri del divertimento, incrocio

supra-comunitario e di mescolanza sociale, Sā at  al‐Bur era stata svuotata di tutte le sue

funzioni sociali sin dalla “guerra dei due anni” (1975-76). Le tregue successive contribuirono

a radicare in città le logiche della guerra civile, come la parcellizzazione del territorio urbano

e il recupero di appartenenze feudali-familiari-comunitarie più antiche: persino il nome del

Balad aveva perso di concretezza come “centro del paese” per lasciare spazio ai nuovi confini

della città (Beirut Est/Beirut Ovest) e a nuovi spazi dell'economia (ad esempio l'asse costiero

settentrionale verso ūniyyah diventa il nuovo punto di riferimento decentralizzato per i

86 Eccezioni alla regola, le carcasse del Beirut City Center, della Burǧ Murr, della chiesa di SS. Vincent et Paul, si erigono fino a oggi nel cuore della città. 87 Haugbolle (2010: 192).

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73

traffici commerciali di Beirut Est).

Dopo un ampio dibattito sugli effetti della decentralizzazione informale imposta dalla guerra

come fenomeno di “dislocamento” involontariamente vantaggioso, secondo l'economista

ūr Kūrm, o come “distruzione di qualsiasi centralità”, secondo Nabīl Bayhūm o ād

ābit,88 Sā at al-Bur era emersa nuovamente nella sua potenza aggregatrice, utile a

ricostituire uno spazio pubblico centrale. Come scrive Māzin aidar:

(…) l'immagine del Balad restava l'unico modello riconoscibile di luogo condiviso, concepito come insieme di spazi eterogenei, ma percettivamente comunicanti fra loro (…) Beirut, ricostruita nei racconti dei libanesi, è idealizzata in un corpo unitario agevolmente individuato nell'immaginario collettivo (il Bur ) che ribadisce la sua centralità diventando, da perno della mobilità, nucleo generatore di memoria.89

Secondo l'autore e architetto Māzin aidar, il Bur si era definito durante la guerra in quanto

terra di nessuno, esclusa dalla spartizione Est/Ovest, un “territorio inaccessibile” (ma non per

questo risparmiato dagli scontri urbani) ma conosciuto e idealizzato da tutti, trasformato in

luogo della nostalgia, lontano dalla vitalità di un tempo e definito ex negativo dal suo stesso

passato.

La costruzione iconografica ed emotiva di Sā at al-Šuhadā'/ Sā at al-Bur emerge tra l'altro

in una pièce dei fratelli Al-Ra bānī del 1981, La settima primavera:

A piazza del Borj, sono cresciuti alberi selvatici a piazza del Borj, l'erba ha divorato le mura ha divorato le voci, e l'età di una volta a piazza del Borj, il tempo ha serrato gli accessi e non ci passa più nemmeno l'oblio. Raccontami dove sono i nostri posti ci avranno lasciato loro, o saremo noi ad averli abbandonati raccontami ancora del suq degli orefici degli anelli delle spose e dei loro braccialetti delle vecchie colombe che con noi leggevano il giornale e bevevano dalle tazzine. O piazza del passato, e dei momenti limpidi a me vicina, e diventata esilio aspettami, arrivo, ti porto canzoni, ti porto la gioia delle confusioni, i suoni delle macchine e al passero che ha resistito e non è partito doni dal mio amante, grano, poesie e tanti saluti.90

Al potenziale emotivo condensato in Piazza dei Martiri, tuttavia, il progetto di SOLIDERE ha 88 Vedi Corm (2006). 89 Haidar (2006: 61). 90 Haidar (2006: 62).

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74

preferito la rivalutazione della più elitaria Sā at al-Na mah (Place de l'Etoile), ristrutturata

secondo il modello mandatario francese: il giudizio dei contemporanei, che a volte91 esprime

un apprezzamento tecnico per il tentativo di sintesi tra edifici restaurati e nuove funzionalità,

sembra tuttavia unanime nel descrivere la piazza come un'“isola di lusso”, vetrina per le

passeggiate dei turisti sauditi e degli europei da crociata.

Per quanto riguarda la ristrutturazione di Piazza dei Martiri, diversamente dallo spazio

circoscritto e familiare del vecchio Bur , la nuova spianata aperta verso il mare sembra

ricordare il prolungamento della Green Line fin nel cuore della città. Secondo l'interpretazione

dell'architetto ād ābit, la natura di luogo pubblico e il potenziale di luogo della memoria

costituito dal Bur sono dimensioni sacrificate ad altre logiche economico-politiche:

L'objectif ultime de cette logique urbaine qui veut exclure de la ville nouvelle les “déviances” et les “anormalités”, c'est d'y ériger une citadelle purifiée, un espace idéal débarrassé à jamais du désordre et de la confusion. Si l'on détruit les restes du centre ancien, c'est qu'ils peuvent constituer une réalité dangereuse, impossible à maîtriser puisqu'elles abrite une pluralité d'usages, une multiplicité de relations, d'échanges, de modèles hétérogènes et parfois même contradictoires, difficiles à intégrer dans la gestion efficace d'une ville “moderne”. Traduction spatiale d'un fantasme issu des débordements de la guerre libanaise, celui d'une société normalisée, ordonnée, disciplinée, qui servirait d'assise à un néo-liberisme débridé, l'enjeu réel du projet apparaît alors dans toute sa clarté: non pas l'aménagement de l'espace, mais, tant au niveau économique que symbolique, la prise de possession des lieux.92

Nel prossimo capitolo si introducono alcuni artisti che hanno fatto della città, delle sue rovine

e dei suoi fantasmi il soggetto delle loro opere, contribuendo così attivamente al dibattito

animatosi nel dopoguerra libanese attorno alle questioni della definizione dello spazio

pubblico, della memoria dei luoghi, delle politiche della ricostruzione.

91 Kassir (2007). 92 Tabet (2001: 68). 

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75

III capitolo

Sintomi isterici e eventi inconsci: 1

rappresentazioni della storia

nel Libano del dopoguerra

- artisti e curatori, spazi e finanziamenti, pratiche e iconografie -

In questo capitolo si presentano le opere di alcuni artisti visivi, cineasti e registi di teatro

contemporanei accomunati dall'intenzione di fare della storia di Beirut e del Libano il proprio

principale terreno di ricerca estetica. Le riflessioni sulla guerra e sulle memorie di guerra si

affermano così nella pratica artistica ad un duplice livello: tali opere si fanno infatti da un lato

atto di commemorazione pubblica e, allo stesso tempo, rendono le memorie e le tracce del

conflitto (rovine, documenti, testimonianze) i materiali primari di un nuovo linguaggio

estetico.2

Gli elementi prettamente storici sul Libano del dopoguerra introdotti nei capitoli precedenti

contribuiscono in tal senso a chiarire l'oggetto di indagine e lo scenario in cui tali opere

vengono in essere.

Si indaga in questa sede il sistema di produzione specifico che ha permesso la distribuzione di

tali opere, permettendo il rapido affermarsi di un linguaggio artistico d'avanguardia,

disomogeneo ma riconoscibile, nel Libano del dopoguerra. Inoltre, per contestualizzare la

portata innovatrice delle nuove sperimentazioni, in particolare nel campo del teatro, si

presentano alcune esperienze di spicco nella scena del teatro politico degli anni '70.

In seguito si sottolinea la stretta relazione tra arte documentaria e critica storiografica come

dimensione centrale indagata da questi artisti, dei quali vengono presentate alcune tematiche 1 Raad (2004:29). 2 Chabrol (2010) in Mermier-Varin (2010: 485).

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76

ricorrenti. Si introduce infine l'idea di latenza come concetto emergente dall’analisi delle

opere presentate, che si possono ricollocare nella specificità del contesto culturale libanese del

dopoguerra.

1. Una “generazione di guerra”? Al fine di descrivere i tratti comuni degli artisti qui approfonditi, è necessario innanzitutto

interrogarsi sulla pertinenza della categoria di generazione.

Per la problematica definizione del termine, si segue la definizione proposta da Arnaud

Chabrol, nel suo studio sulle politiche culturali libanesi in relazione al mercato dell'arte

internazionale:

“L'événement dateur” et fédérateur d'une génération est la période d'émergence du groupe dans la sphère publique, celle-ci correspondant peu ou prou à la confrontation à un système idéologique dominant; dans notre cas, la sortie de guerre et le système politique issu de l'accord de Ta'ef.3

Da un punto di vista prettamente cronologico, gli artisti citati in questa sede sono nati in

Libano negli anni '60, si sono formati negli anni '70 e '80 in patria e all'estero e sono attivi dal

primo dopoguerra sulla scena dell'arte libanese e internazionale.

Elemento anagrafico condiviso da questa generazione di artisti, che costituisce in effetti un

gruppo disomogeneo di una ventina di persone più che un movimento di ricerca estetica

coerente, è dunque l'aver vissuto la guerra sin dall'adolescenza. Tuttavia, rispetto alla

semplicistica definizione di “generazione di guerra”, abusata dai media stranieri, Chabrol

chiarisce:

Ce que nous permet ici d’identifier cette génération se trouve bien plus dans le faisceau de pratiques commune mises en œuvre au cours de leur émergence dans la sphère publique que dans l’expérience concrète de la guerre civile dont il ont tous un vécu particulier.4

A questo proposito, la pièce Bīū rāfīyyah/Biokhraphia (2002) di Lina Saneh decostruisce in

modo ironico e irriverente la dicitura semplicistica di “generazione di guerra”, abusata dai

media libanesi e stranieri. Lo spettacolo teatrale Biokhraphia prende le forme di un'intervista

tra l'attrice, che interpreta se stessa, e un giornalista fittizio, interpretato dalla stessa attrice, la

cui voce registrata in cassetta è trasmessa da un registratore, manovrato da Lina Saneh.

3 Chabrol (2010) in Mermier-Varin (2010). 4 Ivi, 491. Cfr. anche intervista a Arnaud Chabrol, 14/4/2010, Beirut.

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77

Spesso l'attrice, indispettita, ferma il nastro, lo riavvolge e il dialogo ricomincia da capo, con

risposte diverse:

AUDIO: All right. Can we consider Biokhraphia a political work that attempts to showcase

your problems as part of a younger generation, and you critical stance against authority?

ARTIST: Maybe … That's possible. If you'd like it. Why not? But no … Definitely, no …

Biokhraphia doesn't, at all, have anything to do with the stance and views of my generation.

Actually, yes. Maybe. It depends on which generation and which age. For exemple, if we take

all those born between the sixties and seventies, it would work. Yes. But, no. Because in the

eighties, you have a generation who were born in 1975, 1976 … These people might be

included within our generation – especially the ones born in April, May, as well as some of

whom did their military service. In any case, we need to reevaluate those from 1966 and 1967 –

maybe they shouldn't be included in our generation. Actually, they most likely shouldn't be

included.

AUDIO: But you're all the war generation. You lived the civil war. You were affected by it. It's

imprinted on you.

ARTIST: No. Me, for exemple … I have nothing to do with the war generation. I always felt

different (…)5 Senza analizzare in modo esaustivo tutti gli artisti e le opere prodotte dagli anni '90 in poi, in

questa sede si approfondiscono i contributi pertinenti al dibattito nazionale sui temi della

storia e della storiografia. Tali riflessioni meritano attenzione, in quanto mettono in

discussione le retoriche ufficiali della memoria di guerra, l'uso delle testimonianze delle

vittime e dei documenti storici, la gestione dello spazio pubblico. Archivi, testimonianze orali,

memorie pubbliche e private vengono così indagate nelle elaborazioni artistiche sia dal punto

di vista epistemologico che estetico, fino a produrre opere dissacranti e critiche dell'ordine

politico sviluppatosi in seguito agli Accordi di al‐ ā'if (1989). L'attenzione a queste

problematiche è il principale tratto che accomuna questa generazione “anagrafica” d'artisti,

che rifiuta però di riconoscersi come movimento unitario.

2. I protagonisti: artisti, intellettuali e curatori del primo dopoguerra

Un primo elenco incompleto dei protagonisti include i cineasti Ġassān  Salhāb  1958 , 

Mu ammad  Su‘ayd  1959 ,  Pawlah  Yaqūb  1966 , la coppia di video artists e fotografi

uhāna  ad itūmas e  alīl  uray   1966 ,  l'artista visiva e pittrice Lamiyā  uray , gli

5 Il testo dello spettacolo, in inglese e in arabo, è pubblicato nel volume di Home Works I°, Tohme(2002). Vedi infra, IV capitolo.

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artisti concettuali Walīd Ra‘ad  1967 , Walīd  ādiq  1966  e Bilāl  abayz  1963 , gli attori

Lina Saneh (1966) e Rabih Mroue (1967), gli architetti ūnī Šākar  1968  e Bernard  ūrī 

1968 , gli accademici alāl Tūfīq  1962  e Sirī Maqdīsī  1964 , il fotografo Fū'ad al‐  ūrī.  

Come già sottolineato, gli artisti elencati, che non si riconoscono in un movimento omogeneo

ma riconoscono una profonda influenza reciproca, condividono alcune preoccupazioni

politiche e alcune scelte espressive, nonché una critica strutturale all'arte commerciale che li

colloca, almeno agli esordi, nei circuiti dell'arte indipendente. 

Momento determinante per l'affermarsi delle nuove pratiche fu il dibattito suscitato attorno ai

piani di ricostruzione del centro storico di Beirut, tema che, come già accennato, caratterizzò

le mobilitazioni della società civile libanese nel primo dopoguerra.6 I confini tra impegno

militante, produzioni culturali e artistiche, associazionismo si sfumano:

L'effervescence de la période favorise le passage entre pôle générationnels: entre association estudiantines et lieux de “causerie” animés par les ex-militants partie prenante des débats les frontières sont souvent inexistantes. [Les artistes ici considerés] oscillent aussi entre ces pôles de mobilisations. En période d'insertion professionnelle, leur position dans le champ artistique illustre tantôt des logiques de réseaux, tantôt les conditions de leur émergence au sein de l'espace public; elle rend cependant toujours compte d'une implication personnelle dans le problématique du moment.7

Quanto ai mezzi espressivi e alle scelte stilistiche, che verranno approfonditi in seguito, la

scena artistica libanese alla fine degli anni '80 attesta, di fianco ad una produzione più

tradizionale, la diffusione di nuove forme di ricerca estetica (arte concettuale, performance,

installazioni) e di nuovi strumenti (video art, fotografia digitale).

Come riassume efficacemente la curatrice cinematografica Rašā  al i 1969):8

Conceptual, installation, performance, and video art were not immediately accessible to audiences in Lebanon. In effect, there was a rupture between the familiar engagement with abstract visual art and the emergence of artistic works of the conceptual ilk. That rupture is multilayered. During the war, between 1983 and 1991, there was a shrinking of cultural production. Even as artists were working in their ateliers, galleries reduced their activities and nearly all had shut down by 1989. A great number of artists left the country, and a new generation of artists was training abroad. With the end of the war and the election of the postwar government, artistic and cultural production was revived with zeal, and artists of all

6 Karam (2006) cit. infra, vedi I capitolo: Memory cultural agents. 7 Chabrol (2010: 493) in Mermier-Varin (2010) 8 Rašā Ṣalṭi è attualmente curatrice del progetto ArteEast, con sede negli Stati Uniti, dedicato in particolare alla diffusione della produzione cinematografica libanese e araba contemporanea.(http://www.arteeast.org). Nel primo dopoguerra è collaboratrice di 'Ilyās Ḫūrī al Masraḥ Bayrūt e di Samīr Qaṣṣīr per L'Orient-Express, supplemento culturale de L'Orient-Le Jour. La rivista, fondata nel 1995 da Qaṣṣīr, ha cessato le sue pubblicazioni nel 1998.

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generations repatriated.The art market also resurrected with an avid appetite for consumption. The rupture can be seen in several ways: when established artists making classically modern visual art returned to the local scene, a new generation of artists experimenting with new forms had meanwhile emerged. Yet local commercial galleries, being entirely bound to the market, were initially neither structurally, financially nor intellectually amenable to showcasing conceptual or video art, and in the early 1990s there was an absence of critics willing to engage with new forms of artistic expression.9

Si cerca ora di analizzare chi sono i protagonisti e quali sono i luoghi centrali delle produzioni

culturali dell'immediato dopoguerra.

3. Politiche culturali, spazio pubblico e fondi stranieri:

Masra  Bayrūt  e 'Aškāl 'Alwān 

In merito ai finanziamenti alla cultura del primo dopoguerra, il recupero delle macerie della

scena artistica libanese passa principalmente dai centri culturali delle ambasciate straniere,

come il Goethe Institute, il Centre Culturel Français o il Russkij Kulturnij Centr. Gli

investimenti pubblici ancora non esistono, le risorse statali sono infatti destinate ad altre

priorità.

In un'intervista del 1993 condotta da Michel Young per il quotidiano libanese The Daily Star,

lo scrittore 'Ilyās  ūrī esprime la propria perplessità circa la creazione di un ministero della

cultura da parte del neo-eletto premier Rafīq al‐ arīrī:

For someone like me it's a very frightening thing to have a ministry of culture. Not because a ministry of culture is bad in itself. The ministry of culture in France is very good. But all over the Arab world you have ministries of culture and what happened to culture under these ministries was very bad. Culture was totally dominated by the state, and when culture is dominated by the state it becomes a part of oppression. Culture can be only part of expression. What frightens me now is that, even though the minister, whoever he is, may be a good man who believes in democracy, he may not remain the minister of culture forever. We are waiting to see how this ministry will function. Apart from this problem of principle, there are many problems that a normal ministry of culture must deal with. If you look at the situation of culture in Lebanon it is unbelievable: for example, in terms of taxation, theaters are treated like cabarets. We don't have a national theater in Lebanon. In Britain and France theaters are subsidized by the government, otherwise they cannot work. Here we reopened the Beirut Theater and we are collecting money from private individuals so we can keep it alive. Writers have no rights, no rights at all in Lebanon. There is censorship of films and plays. Do you know who is responsible for censorship here? The ministry of the interior. Any policeman can come and censor Shakespeare. All these things must change if there is to be a good ministry of culture. I think it will have a lot of work to do to separate culture from the police, to protect the

9 Demos (2007:115).

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rights of the writers, and to forbid pirating. All this must be dealt with by the ministry of culture.

Al momento dell'intervista, 'Ilyās  ūrī era appena stato nominato direttore del Masra  

Bayrūt nel quartiere di ‘Ayn marayssah, teatro simbolo della vitalità culturale della capitale

che, costretto a chiudere durante la guerra, riapriva finalmente le sue porte nel 1992,

immediatamente seguito dal Masra  Madīnah, in al‐ amrā'.

Secondo le ricerche sviluppate dall'attrice annān  al‐ ā   ‘Alī,10 la storia del Masra  

Bayrūt, è esemplare dei difficili equilibri tra le scelte di una direzione artistica che vuole

incoraggiare le produzioni culturali sperimentali e l'effettiva sostenibilità economica di tali

attività. 

Il comitato direttivo del Masra  Bayrūt fonda in un primo tempo l'associazione di fund-rising 

al‐Funūn,  rapidamente trasformata in impresa economica e impegnata nel management

culturale del teatro, in particolare sotto l’amministrazione di Baskāl  Pascale  Finġālī e Rašā 

al i. I partenariati firmati con le televisioni locali e i finanziamenti della Faransabank non

bastarono tuttavia a coprire i fabbisogni del teatro, costretto a chiudere nel 1998-99.11 

Nonostante il breve periodo di attività, il Masra  Bayrūt era divenuto un'importante spazio di

espressione per la nuova generazione artistica qui considerata e punto di incontro di pratiche

teatrali molto diverse. Il Festival del 1998, ad esempio, organizzato per il 50esimo

anniversario della nakbah, di fianco alla partecipazione di registi affermati come 

Rū īh‘Assāf, lasciava ampio spazio agli spettacoli, alle installazioni e alle proiezioni video di

Rabih Mroue, ūnī Šākar, Walīd  ādiq, 'Akram Za‘a ari:

le théâtre de Beyrouth se présente comme un lieu d'innovation et préfigure les évolutions et ruptures en gestation dans le champ artistique contemporain (…) la place privilégiée accordée dans la programmation aux artistes consacrés et les impasses du modèles de gestion adopté ont cependant favorisé l'élaboration d'un regard critique sur la production des pères. Malgré son échec, l'expérience du Théâtre de Beyrouth ainsi à la constitution d'un modèle alternatif de gestion artistique.

Ulteriore passo innovativo nelle strategie di politica culturale del secondo dopoguerra è la

creazione ex novo di festival ed eventi come il Mahra ān  'Aylūl (Festival Ayloul) primo

banco di prova per numerosi artisti della “nuova generazione”, fondato da Baskāl  Pascale  

Finġālī e Rašā  al i nel 1997 (e attivo fino al 2001), in aperta rottura con la direzione del 10 al‐ ā  ‘Alī (2010). 11 Vedi Chabrol (2010: 500) in Mermier-Varin. Nell'ultimo decennio il teatro ha ripreso le sue attività a singhiozzo, ospitando alcuni Festival e spettacoli ma senza proporre un calendario autonomo.

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Masra  Bayrūt.

Nel 1995, inoltre, l'associazione per le Arti Plastiche 'Aškāl  'Alwān, fondata nel 1994 da

Kristīn  u‘maha  1964 , si era messa in luce grazie all'organizzazione del Sanayyeh Garden

First Meeting, festival d'arte contemporanea organizzato nei giardini pubblici di al‐inā'iyyah, per emergere in seguito come importante centro di aggregazione di questa nuova

generazione d'artisti:  It [the association] was born in the wake of civil war from a desperate need – not merely from a artistic need, but in reponse to a feeling of being boxed in on all levels. (…) The people I work with do not form a self-conscious group with a pre-defined agenda – we are too diverse for that, each with a different emphasis in his or her work. It brings together people who have “a third eye” turned on the days that go by, an eye not for seeing but for critical analysis, for reflexive introspection vis-à-vis themselves, their work, their city, the region, the Arab world. (…) These projects are not so much exhibitions as they are landmarks, a form of self-affirmation to mark out our space in the city.12

In un primo periodo, infatti, 'Aškāl 'Alwān sviluppa le proprie attività attorno all'indagine del

concetto di spazio pubblico, stravolto durante la guerra e centrale nella nozione di evento,

organizzando ulteriori festival nei luoghi pubblici dei giardini al‐siūfī (1997), la strada di al‐

amrā' (2000), la corniche (2000).13

L'attività dell'associazione 'Aškāl 'Alwān è esemplificativa, secondo Chabrol, dei meccanismi

di produzione culturale tuttora vigenti: una produzione “per progetto”, che da un lato implica

le logiche della committenza, coinvolgendo gli artisti in eventi e festival effimeri e puntuali

per definizione; dall'altro svincola le opere dalla valutazione del pubblico, visto che

garantisce per altre vie i finanziamenti necessari.14

Occorre a questo punto introdurre il peso dei fondi stranieri nella produzione nazionale

contemporanea, ricordando che la Comunità Europea e la Ford Foundation sono i primi

investitori in Libano in campo culturale: L'arrivé de fonds étrangers dédiés à la culture dans le courant des années 1990 ouvre un espace d'opportunité qui révolutionne les normes de la production artistique libanaise. Ces logiques de financement transforment rapidement l'espace de production culturelle en mettant les artistes à l'abri d'une carence remarquable de public. Paradoxalement, ces nouvelles logiques de financement de l'art autorisent dans le même temps la gratuité des événements et rendent ainsi les œuvres accessibles à tous. 15

12 Intervista raccolta da Wright (2002 : 20). 13 Chakar (2002: 77) in David (2002). 14 Chabrol (2010: 502) in Mermier-Varin (2010). 15 Chabrol (2010: 502) in Mermier-Varin (2010).

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Senza affrontare in modo dettagliato la problematica posta dai finanziamenti stranieri

nell'orientamento della produzione culturale locale, sia in relazione alle arti plastiche e visive

che per il cinema,16 si sottolinea come tali fondi -elargiti da enti e istituzioni europei e

americani in nome dello sviluppo autonomo della società civile libanese- contribuiscono ad

operare una forte selezione a livello degli interlocutori locali cui vengono destinati. Come

riassume Chabrol, i finanziamenti stranieri agiscono infatti: da un lato indirizzando

l'attenzione della comunità internazionale verso quella parte della società civile libanese che

produce discorsi comprensibili e condivisibili dagli spettatori non libanesi; dall'altro

incoraggiando riflessioni artistiche che fanno della memoria del conflitto una delle chiavi

principali del proprio linguaggio. L'espace de production ainsi créé, spécifique parce que apparemment soustrait aux logiques de marché propre à l'art, répond de fait à une demande venue de l'extérieur qui agit doublement sur les pratiques culturelles. Elle contribue d'une part à l'épanouissement d'un langage artistique aux dimensions critiques et citoyennes affirmées, langage au sein duquel le discours mémoriel tient une place prédominante. D'autre part, elle favorise l'émergence de conceptions managériales étrangères au monde de l'art libanais au début des années 1990. De fait, les associations artistiques se multiplient entre 1997 et 2005.17

Inoltre, se il mercato dell'arte entra in modo massiccio sulla scena libanese, viceversa, i

curatori stranieri si occupano di promuovere le opere libanesi sul mercato internazionale: (…) le soutien renouvelé d'institutions étrangères [offre] une visibilité accrue aux œuvres et aux artistes. Le rapport de confiance qui s'instaure entre bailleurs de fonds et associations artistiques constitue de fait un nouveau critère de légitimation qui favorise l'accès à la scène artistiques internationale.18

Quando nel 1999 Beirut fu insignita del titolo annuale di Capitale Culturale del Mondo Arabo,

la città assistì alla proliferazione di associazioni e progetti tuttora in corso, ben radicati nella

scena culturale nazionale, come 'Ašġāl  Dā iliyyah:  muntadā'  ‘alā  al‐mumārisāt  al‐ aqāfiyyah/Home Works, forum on cultural practices, promosso da 'Aškāl  'Alwān; 

'Irti āl19festival di musica sperimentale; 'Ayyam Bayrūt al‐sīnamaiyyah, festival del cinema,

promosso dall'associazione di registi e artisti visivi Beirut DC;20 Docudays, festival dedicato

16 Ivi, 503. 17 Ivi, 505. 18 Ivi, 507. 19 http://www.irtijal.org 20 http://www.beirutdc.org

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al cinema documentario.21

A questo panorama si aggiungono inoltre i numerosi artisti libanesi in diaspora che

contribuiscono al dibattito artistico nazionale e internazionale, come l'attore, drammaturgo e

regista teatrale Wa dī Muhawwād  1968 ,22 attivo dagli anni '90 tra la Francia e il Canada, o

Cinesoumoud collettivo di cineasti fondato nel giugno del 2006 a Parigi, in occasione della 7°

Biennale des Cinémas Arabes, in protesta contro le politiche israeliane in Palestina e

Libano.23

4. Al‐fann al‐multazim:

l'arte impegnata e il teatro politico degli anni '60 e '70

Per meglio collocare tali produzioni in un quadro storico che renda comprensibile gli sviluppi

e le innovazioni proposte, è necessario introdurre alcuni personaggi e elementi chiave che

caratterizzano la scena artistica precedente alla guerra civile, mettendone a fuoco le

personalità più significative nel campo delle produzioni culturali indipendenti e contestatarie.

La vitalità del Libano e di Beirut, fulcro culturale del mondo arabo a partire dalla fine del

XIX° secolo,24 attesta negli anni '50 e '60 il fiorire di numerosi movimenti di sperimentazione

e contestazione artistica, le cui attività non cessano neanche durante il primo periodo della

guerra civile.

A questo proposito, è interessante citare lo studio elaborato nel 1982 dal Markaz al‐taw īq 

wal‐bu u  al‐lubnāniyyah/Centre Libanais de Documentation et de Recherches (CEDRE),

in collaborazione con il Ministero dell'Interno, per documentare il dinamismo della scena

culturale libanese dal 1977 al 1982: Un peuple qui crée, n'est pas un peuple qui agonise ou qui meurt. Or le Liban, au cours de toutes les années de guerre qu'il a subies n'a diminué en rien son pouvoir de création dans tous les domaines, et d'une manière particulièrement émouvante et éloquente dans le domaine culturel. Bien au contraire. Il est évident que les libanais ont voulu affronter toutes les épreuves, surmonter tous les périls, en élevant, sur le double plan de qualité et du nombre, le niveau de leur production littéraire et artistique (philosophie, poésie, roman, musique, peinturem, sculpture, … ). Cette profusion, cet épanouissement se manifestent tous les jours.25

21 http://www.docudays.com 22 http://www.wajdimouawad.fr 23 Il sito http://www.cinesoumoud.net risulta spesso oscurato, mentre i cortometraggi raccolti sono consultabili sul canale di youtube: http://www.youtube.com/user/cinesoumoud 24 Tabet (2001), Mermier (2005). 25 Cfr. infra Appendice e Bibliografia: CEDRE (1982).

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Il documento presenta inoltre alcuni dati quantitativi relativi alle produzioni artistiche del

periodo preso in esame: Les premières recherché ont conduit à des statistiques extrêmement significatives. Elles sont publiées dans les tableaux ci-joints. A travers le caractère impersonnel et peut-être même l’aridité des chiffres, apparaît le courant chaleureux, persistant, invincible de la vie. Pour donner quelques exemples de cette profusion, de cet épanouissement culturels, il nous suffit d’indiquer que le Liban a réalisé entre les années 1977 et 1982, ceci:

Conférences et Séminaires (organisés par les instituts culturels) (359) Productions Cinématographique (18) Expositions (peinture, sculpture) (254) Ouvrages (scientifiques, philosophiques, poésies, romans) (2477) Musique (concerts récitals) (210) Publications de thèses sur le Liban (402) Pièces de théâtre (200) Thèses et recherches (universités au Liban) (1535) Production artisanales (25) Festivals (artistiques et sociaux) (32)

In relazione agli spettacoli di teatro, inoltre, lo studio del CEDRE propone una ripartizione

ulteriore per generi (operette musicali, commedie, tragedie, spettacoli per bambini, danza, …

) e argomenti (storia, politica, critica sociale, … ) classificando 97 delle 200 pièces prodotte

tra il 1974 al 1982 come spettacoli di critica politica e sociale.26

Sin dagli anni ’60, in effetti, si erano affermati numerosi giovani registi che nei

decenni successivi svilupparono nuove tendenze di ricerca teatrale, in direzione di una sempre

maggiore radicalizzazione dell'impegno sociale e politico del teatro.27

Tale fann multazim (arte impegnata) si sviluppò principalmente intorno ad alcune istanze specifiche, come illustra Arnaud Chabrol: 

Au cours des années 1960, le Liban voit émerger de nouvelle formes d'expression politique qui se cristallisent notamment dans la naissance d'un syndicalisme étudiant. Par ailleurs, le traumatisme causé par la naksa vient ranimer un ensemble de mises en question. Cette période se caractérise par l'effervescence d'une intelligentsia radicalisée et une forte mobilisation des milieux intellectuels et étudiants qui s'opère autour de trois pôles: soutien inconditionnel à la cause palestinienne, revendications de justice sociale, exigences de démocratisation et déconfessionalisation du système politique.28

L'impegno militante degli artisti si spiega considerando da un lato l'emergenza della causa

palestinese come motore del panarabismo e la guerra dei Sei Giorni come sconfitta totale,

26 Ivi. 27 Assaf (2007) e Ruocco (2010: 165). 28 Chabrol (2007: 80) in Puig-Mermier (2007).

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dall'altro tenendo conto della politicizzazione dello spazio pubblico libanese, tendenza in atto

a vari livelli sin dall' Indipendenza e dalla Rivoluzione del 1958.

L'impegno diretto di numerosi artisti favorevoli alla lotta armata nelle organizzazioni

palestinesi e vicini a partiti secolari di massa come il PSP di Kamāl  anbulā ,  al‐ izb al‐

sūriyy al‐qawmiyy al‐'i timā‘iyy (PSNP: Partito Socialista Nazionalista Siriano) o al- izb al‐

Šuyu‘iyy  al‐Lubnāniyy (PCL: Partito Comunista Libanese), contribuisce a spiegare la

subordinazione delle indagini prettamente estetiche alle affermazioni ideologico-politiche.

In campo teatrale, in particolare, il tentativo di rottura con il sistema di produzione artistico

dominante prende forma negli esperimenti di improvvisazione con il pubblico e nelle

creazioni testuali collettive in dialetto libanese, in rottura con la scrittura drammaturgica

tradizionale e con la tradizione intellettuale dell'arabo classico, in una frenetica ricerca di

autenticità, realismo e radicamento sociale. Esemplari a questo proposito sono gli spettacoli

Mā dulīn (1969) del Mu taraf  Bayrūt  li‐'l‐masra /Atelier Dramatique de Beyrtouh e gli

spettacoli del regista “brechtiano ortodosso”  alāl  ūrī.29

Il teatro, sul calco delle teorie brechtiane ben note ai registi del mondo arabo degli anni '60 e

'70, si fa strumento di critica e di intervento diretto sulla realtà sociale in cui viene messo in

essere,30 in modo da affrontare le questioni politiche della causa palestinese, il rapporto tra

masse e leader nei paesi arabi, la disuguaglianza di classe e i processi democratici, la

relazione con la Storia e lo Stato.

A questo proposito, è opportuno citare alcuni artisti libanesi significativi per la loro riflessione

sull'arte impegnata, pionieri e maestri per le generazioni successive: l'attore, regista e

drammaturgo Rū īh‘Assāf e lo scrittore e giornalista 'Ilyās  ūrī.

• Rū īh‘Assāf

Formatosi a Strasburgo e attivo a Beirut sin dal 1968 con la fondazione del Mu taraf Bayrūt 

li‐'l‐masra /Atelier Dramatique de Beyrtouh l'opera di Rū īh‘Assāf si afferma come punto di

riferimento nella formazione del teatro politico libanese. Tra il 1973 e il 1977 il regista si

trasferisce nei campi profughi palestinesi della periferia meridionale di Beirut, dove vivrà

29 Tratto da La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht. Chabrol in Puig-Mermier (2007: 84) e Salamé (1974). 29 La definizione di “brechtiano ortodosso” è di Salamé (1974). 30 Ruocco (2010: 177).

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nell'anonimato per qualche anno.31 In questo periodo Rū īh‘Assāf  si impegna in progetti

marcatamente sociali, come il “Comitato Popolare di Maray ah” del 1975: comune per la

gestione di pozzi e forni, condivisi tra la popolazione del quartiere cristiano di Maray ah e i

sobborghi sciiti circostanti, al fine di ricreare quella solidarietà urbana che era andata distrutta

dalle demarcazioni confessionali che avevano frantumato fisicamente la città.32

Nel 1977, il regista fonda con annān al‐ ā  ‘Alī il collettivo masra  al‐ akawātī/théâtre du  conteur: il recupero della figura tradizionale del cantastorie si imponeva nella scena

libanese indipendente come radicale rifiuto del teatro commerciale borghese

contemporaneo.33 L'attività del collettivo si impegnava ad indagare nuove forme d'espressione

drammatica capaci di contestare tanto i meccanismi commerciali di produzione degli

spettacoli quanto di sperimentare una nuova relazione tra pubblico e attori, secondo quanto

dichiarato nel Bayyān masra  al‐ akawātī (Manifesto del teatro del cantastorie), del 1979.34 

L'attività teatrale militante, ispirata dall'esperienza giovanile cattolico-umanista nella JEC

(Jeunesse Etudiante Chrétienne) e dalla successiva ideologia maoista-anarchica,35 appariva

come un mezzo concreto per rispondere alle urgenze quotidiane e per risolvere

metaforicamente il conflitto, sulla scia del teatro sociale promosso negli stessi anni da

Augusto Boal, vero e proprio innovatore del teatro politico in Brasile attraverso il Teatro degli

Oppressi. Dopo le produzioni e gli spettacoli per il Masra   Bayrūt, Rū īh‘Assāf con la

compagna e attrice annān al- ā ‘Alī, ha fondato nel 1995 l'associazione al-Šams, che dal

2005 ha avviato a ayyūnah (prima periferia di Beirut) il teatro Dawwār al-Šams/Tounesol

vero e proprio punto di riferimento per la scena culturale cittadina e non solo. Fondato con

l'obiettivo di istituire un dialogo artistico tra il centro di Beirut e le sue periferie, partner attivo

in numerosi progetti di cooperazione internazionale e spazio per le rappresentazioni di

spettacoli e festival (come lo Spring Festival) il teatro Dawwār al-Šams di Beirut si offre oggi

come struttura aperta ad altre compagnie e alle associazioni giovanili ed universitarie. È

inoltre impegnato in un'attività di registrazione ed archiviazione degli spettacoli prodotti nei

locali del teatro. L'intento di preservare le produzioni delle singole stagioni teatrali in un

archivio aperto al pubblico è stato identificato dallo stesso ‘Assāf non solo come un obiettivo

primario dell'associazione al-Šams a Beirut, ma come una priorità per il teatro arabo

31 Ivi, 183. 32 Vedi infra, I capitolo. 33 Pannewick in Neuwirth (1999: 337). 34 Ruocco (2010: 183) e Salamé (1974). 35 'Assaf (2007).

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contemporaneo. In un intervento per il progetto Dramaturgies contemporaines du monde

arabe, curato da Système La Friche Théâtre36 a Marsiglia (febbraio 2010), il regista e attore

libanese ha infatti sottolineato lo stato di precarietà in cui vivono i teatri e i cittadini dei paesi

arabi, minacciati da guerre sempre incombenti e oppressi dalla censura dei governi e

dall'autocensura radicata nelle coscienze. Nell'analisi del drammaturgo, dunque, lo strumento

dell'archivio è necessario per tentare di arginare l'amnesia volontaria che caratterizza i

governi arabi. In effetti, almeno in Libano, è inevitabile constatare che i progetti esistenti di

archiviazione degli spettacoli e delle performance rispondono ad iniziative private e informali

lanciate dai centri culturali più dinamici (Dawwār al-Šams, 'Aškāl 'Alwān, Markaz Bayrūt li-

'l-Fann/Beirut Art Center) e non a politiche governative mirate.

 

• 'Ilyās  ūrī 

Autore determinante per la letteratura araba contemporanea e per la sinistra libanese e

palestinese, 'Ilyās ūrī (Beirut, 1948) è una figura chiave della scena intellettuale e politica

araba sin dagli anni '60. Dopo un periodo di militanza armata per Fata a sostegno della causa

palestinese, l'autore si impegna dal 1976 in una battaglia giornalistica, letteraria e politica di

denuncia delle politiche israeliane e arabe rispetto all'irrisolta questione palestinese.

Se l'attività letteraria conduce alla pubblicazione di una decina di romanzi tradotti in varie

lingue, l'attività accademica lo porta ad insegnare Letteratura Araba Comparata all'AUB e alla

Columbia University mentre continua fino al 2009 un'intensa attività giornalistica per 

Mul aq, inserto culturale settimanale del quotidiano libanese al‐Nahar.

Scritto nel 1981, il libro al‐Wu  ūh al‐bay ā'  Facce bianche  di 'Ilyās ūrī si propone sin

dai suoi esordi come una storia vera, un'indagine sull'assassinio di un uomo il cui corpo

torturato è stato rinvenuto in una discarica nei pressi del quartiere UNESCO, a Beirut. Il

narratore si limita a riportare le testimonianze dei familiari, dei colleghi e di chiunque abbia

avuto a che fare con l'uomo, in una ricostruzione amara, tragica e ironica delle storie e dei

molteplici frammenti che compongono l'esperienza degli eventi di guerra. Le testimonianze

riportate emergono come storie nelle storie, ricordi nei ricordi, dialoghi nei dialoghi e

aprirebbero numerose questioni critiche pertinenti all'analisi qui sviluppata. Tuttavia, in questa

sede, si cita da al‐Wu  ūh al‐bay ā'  Facce bianche  una scena significativa che descrive il

36 http://www.lafriche.org

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88

tentativo del “comitato per la comunicazione” del Movimento Nazionale Libanese di

convincere un “compagno combattente” a rendere la propria testimonianza in un film, come

contributo fondamentale al Partito. Il “fidā'iyy (guerrigliero, simbolo della resistenza

palestinese) istruito”, voce narrante in questo capitolo, ha perso un occhio in combattimento e,

nell'opinione dell'amica Samar e del regista, filmare la sua ferita di guerra è una strategia

impeccabile per realizzare un film che sensibilizzi l'opinione pubblica mondiale alla causa

palestinese: - Abbiamo scelto te per via del tuo occhio. - Prendete qualcun altro, ce ne sono tanti, di feriti agli occhi. - Noi ti abbiamo scelto perché sei istruito. - Senti Samar, amica mia, io mi vergogno. Il mio occhio mi fa star male, il vetro mi fa soffrire. Mi vergogno. - Splendido, splendido, perché non lo dici davanti alla telecamera? - Sei brutale. Come faccio a parlare del mio occhio davanti alla telecamera? Io non sono uno spettacolo. E Samar si è messa a parlare della causa e di comunicazione. - Vi conosco, io. Voialtri combattenti disprezzate la cultura e gli intellettuali. Ma la comunicazione è una faccenda di enorme importanza, il cinema è un'eccezionale mezzo di comunicazione, il più importante di tutti. Immagina che mille spettatori, in Europa e in America vedano un combattente istruito, vedano il suo occhio di vetro, lo sentano parlare della legittimità della nostra causa, raccontare delle donne, dei bambini e dei martiri, immagina che vedano i fotogrammi di Tell az-Zatar. Avrebbe un effetto straordinario, farebbe totalmente cambiare atteggiamento all'opinione pubblica internazionale. Voi non capite quanto è importante la comunicazione come arma di lotta. La stavo ad ascoltare. Era proprio carina (…) - Immagina, possiamo filmare la morte in modo nuovo. Un cadavere, per esempio, un cadavere riverso al suolo nel quartiere commerciale. Le erbacce cresciute tutt'intorno, un muretto pieno di polvere. E la telecamera che filma, silenziosa. Si ferma sul cadavere, poi si ferma davanti a un fiore selvatico, spuntato in mezzo alle erbacce, da solo. Non sarebbe una scena formidabile? - Bé sì, formidabile, ma la puzza? Ci sarà una disgustosa puzza di cadavere. Ha sorriso. - Hai ragione, - ho aggiunto - hai ragione, la telecamera non trasmette la puzza, passa soltanto l'immagine. - Vedi? Si può mostrare perfino la morte con una certa estetica. La guardo. Nel locale una delicata musica soffusa. Ma cosa ne sa, questa qui, della morte? Parla della morte come se stessimo parlando di film.37

Ispirato all'esperienza autobiografica vissuta da 'Ilyās ūrī durante la guerra, il romanzo

cattura ante-litteram molti dei particolari ricorrenti nelle produzioni artistiche -non solo

letterarie- degli anni '90: la frammentarietà dell'opera (qui funzionale alla struttura del

romanzo e metaforica del conflitto), la spettacolarizzazione della sofferenza e della morte e

l'uso delle testimonianze di guerra, il tema della guerra latente nei poster degli scomparsi e

nelle foto dei martiri come dimensione irrisolta del conflitto.

37 Khury (2007: 180).

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89

5. Il teatro politico in Libano tra il 1968-1973

La riflessione sulla relazione tra arte, politica e funzione sociale è un punto di divergenza

fondamentale che distingue le due generazioni di artisti considerati, nati rispettivamente

attorno agli anni '40 e agli anni '60/'70, oltre ai mezzi della ricerca estetica.

A questo proposito, è interessante rileggere alcuni passi di Ġassān Salāmah, sottolineandone

non tanto il contenuto di critica teatrale quanto il valore di documento primario. Scritto nel

1974, il suo libro Le Théâtre politique au Liban analizza le stagioni teatrali beirutine dal 1968

al 1973 e, involontariamente, evidenzia la profonda frammentazione di una società prossima

al collasso e la sua produzione culturale, fortemente politicizzata:

Le théâtre libanais connaît aujourd'hui une période de tâtonnement caractérisée par le mélange des modèles et l'osmose de systèmes idéologiques ou esthétiques différents. (…) D'un auteur à l'autre, d'une œuvre à l'autre, l'intention sera plus ou moins explicite, le ton plus ou moins direct, la portée plus ou moins profonde; il reste que le politique est l'un des aspects les plus marquants de notre théâtre naissant.38

Dalla critica marxista al liberalismo economico e all'universalismo degli intellettuali

comunisti, dall'unità della Siria Naturale proposta dai seguaci di 'An ūn Sa‘ādah (fondatore

del PSNS, partito cui aderivano numerosi attori e drammaturghi) al nazionalismo falangista,

le ideologie politiche entrano a pieno titolo nei testi e sulla scena teatrale. La sconfitta del

1967 e la questione palestinese si impongono al cuore della produzione teatrale analizzata da

Ġassān Salāmah che sottolinea anche la tendenza a manipolare la storia e a inventare

mitologie ad hoc in funzione drammaturgica, oltre che ideologica.

Inoltre, secondo Ġassān Salāmah, “il teatro libanese dal 1967 al 1973 è soprattutto un

testimone” che cerca di scrivere la storia di una lontana Palestina, caratterizzandosi dunque

come “teatro della sconfitta” (théâtre de la défaite), in quanto vincolato alla fugacità degli

eventi storici che si proponeva di narrare (in particolare, la sconfitta del 1967). Riserva

un'aspra critica, infine, alle élites culturali e teatrali libanesi, profondamente distanti dalle

masse cui intendono parlare, a cui si rivolgono secondo linguaggi estranei e inefficaci:

Ces dramaturges, élèves des écoles et des universités étrangères, appartiennent à une société chrétienne, mercantile, opportuniste, liée économiquement, et jusqu'à la servilité, à l'Occident pourvoyeur de marchandises, de succursales, de touristes. C'est ce qui explique pourquoi le théâtre libanais demeure, après quinze ans, une affaire d'intellectuels, et qui éclaire cette réalité

38 Ġassān Salāmah

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encore vivace: le théâtre libanais se produit exclusivement dans le quartier chics de Beyrouth (…) Cette écriture qui reflète l'idéologie de la classe dominante et qui s'adresse, en fait, aux membres de cette classe, prétend être populaire et dans son origine et dans sa destination! Le peuple est bien loin de ces créations qu'il ne vient même pas voir.39

Il testo di Ġassān Salāmah si può intendere dunque come un interessante documento relativo

al primo periodo di strutturazione di un teatro libanese di ricerca e di contestazione politica:

contemporaneo agli spettacoli di cui parla, l'autore esprime un giudizio estremamente

negativo nei confronti dei protagonisti della scena teatrale degli anni '60 e '70, lasciando

traccia, viceversa, delle sperimentazioni artistiche e delle critiche sociali radicali da essi

sviluppate.

6. Dall'impegno militante all'impegno elusivo

L'impegno politico militante, implicito per la generazione precedente, non trova un seguito

immediato nella produzione artistica degli anni '90, come chiarisce il curatore Stephen Wright

a proposito della situazione dell'artista contemporaneo a Beirut:

(…) impliqué dans la réalité socio-politique de sa ville et de sa région, mais immédiatement dérobé. Attentif aux possibles qui s'ouvrent, mais rétif aux programmes politiques existants, ayant fait le tour des illusions perdues comme des grandes espérances (…) à Beyrouth une nouvelle production artistique émerge depuis quelques années; une production expérimentale qui s'invite et s'implique dans la vie, au lieu d'en être l'expression, mais qui ne se laisse pas saisir facilement – et certainement pas à partir des catégorisations bien rodées de l'engagement politique (…) Contemporain à la nouvelle donne géopolitique, ce régime de l'implication dérobée - qui succède à celui de l'engagement militant qui allait de soi pour une génération précédente - est tout sauf une culture d'impuissance.40

Il concetto di impegno elusivo (implication dérobée) introdotto da Wright si precisa in

riferimento alla situazione di “guerra latente” di Samīr Qa īr,41 la cold civil war dell'artista

concettuale Bilāl  abayz,  lo “stato di urgenza” descritto dall'attore Rabih Mroue,42 in cui

l'artista (e il cittadino) si trova a vivere nel dopoguerra.

Da un punto di vista biografico, gli artisti qui considerati non hanno conosciuto il Libano se

non in guerra e, se molti sono emigrati per completare la formazione secondaria e

39 Ivi, p.208. 40 Wright in Parachute 108 (2002: 13). 41 Vedi infra, I capitolo. 42 Vedi infra, IV capitolo.

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universitaria all'estero, altri sono rimasti a Beirut, anche impegnati a combattere.43

Simpatizzanti e militanti per i maggiori partiti secolari libanesi (il PSP di Kamāl  anbulā , il

PCL, …) molti hanno sostenuto, anche armi alla mano, la resistenza palestinese in Libano o

in Palestina.

Tuttavia, il crollo totale delle ideologie rivoluzionarie secolari e della sinistra araba,

l'invasione israeliana del 1982, la perpetuazione del confessionalismo politico attraverso gli

accordi di al‐ ā'if del 1989 e l'occupazione siriana, hanno portato alla definizione di un nuovo

atteggiamento, non più ideologico-militante, ma distaccato e critico:

Solidaire de la cause palestinienne, mais consciente qu'elle sert souvent de faire-valoir des projéts néfastes; excédé par l'occupation syrienne du Liban, sans disposer d'autres palliatifs aux conflits intercommunautaires; excédé aussi par un panarabisme totalisant et autoritaire, comme par la prolifération de barrière politiques, engendrés par la mondialisation, derrière lesquelles les populations entière sont condamnées à stagner; refusant le cynisme ambiant du milieu beyrouthin et de son idéologie de la reconstruction, mais tout aussi méfiant à l'égard de tout messianisme, que ce soit d'inspiration marxiste, libérale ou théologique: telle est la situation de l'artiste de Beyrouth, qui louvoie entre ces contraintes et limitations, mettant toutes ses capacités tactiques en œuvre pour comprendre la situation dans laquelle il se trouve, tel un espion dans l'époque qui naît, au service de rien, sinon d'une certaine promiscuité discursive.44

Tale approccio “post-ideologico” e critico trova indubbiamente piena espressione nei discorsi

sulla memoria della guerra che questi artisti producono, in aperta sfida alle retoriche ufficiali

proposte dai governi libanesi degli anni '90, per esempio riguardo alla questione degli

scomparsi, della riconciliazione nazionale, della scrittura della storia, delle memorie private e

delle amnesie governative.

Arnaud Chabrol, nel suo studio sui finanziamenti internazionali e sulle politiche culturali

libanesi del dopoguerra, sottolinea soprattutto l'irriverenza delle produzioni artistiche

considerate rispetto alle retoriche ufficiali :

Au-delà de l’acte de remémoration public qu’elles constituent, ces œuvres font de la mémoire, des souvenirs et de trace du conflit le matériau premier de leur langage esthétique (…) les artistes libanais défient toute volonté d’homogénéisation des représentations du passé et se jouent de toute tentative de mise en récit de ce dernier par un groupe dominant.45

Questi artisti si inserirebbero dunque a pieno titolo nella categoria degli operatori della

cultura della memoria elaborata da Haugbolle,46 in quanto capaci di proporre una narrazione

della guerra alternativa a quella dominante.

43 Vedi ad es. la biografia di Bilāl Ḫabayz in David (2002). 44 Wright in Parachute (2002: 15). 45 Chabrol in Mermier-Varin (2009: 485). 46 Vedi infra, I capitolo

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E' inoltre interessante notare come gli schemi interpretativi delle memorie e delle narrazioni

di guerra proposti nelle opere di questi artisti marginalizzino il fattore confessionale, per

lasciare più spazio ad una visione politica o intimista del conflitto e delle sue conseguenze.47

7. Arte di guerra e politiche della rappresentazione

È opportuno ricordare che le opere qui considerate non rappresentano esaustivamente la scena

libanese, ma costituiscono piuttosto una selezione parziale della produzione contemporanea,

una selezione da cui rimangono escluse le opere destinate al circuito radiofonico-televisivo o

commerciale, le produzioni religiose o di propaganda politica, le produzioni non-beirutine.

Tuttavia, gli artisti citati in questa sede costituiscono una minoranza influente perché hanno

accesso ad un'ampia diffusione internazionale garantita da risorse finanziarie ingenti, spesso

frutto di interessati investimenti stranieri mirati.

Il mercato internazionale dell'arte, in effetti, ha dedicato nell'ultimo decennio una particolare

attenzione alla produzione libanese o degli artisti libanesi in diaspora.48 Tra i fattori che

spiegano un tale interesse, alcuni curatori, libanesi e non, hanno messo in luce la risonanza

mediatica della situazione di permanente conflittualità e di instabilità politica del Libano e del

Medio Oriente. Catherine David, curatrice dal 2001 del progetto Contemporary Arab

Representations, ha approfondito le produzioni artistiche indipendenti con base a Beirut, al

Cairo e in Iraq, sottolineando le connessioni tra la sperimentazioni artistiche e l'elaborazione

di strategie discorsive alternative alle retoriche nazionali ufficiali e alle rappresentazioni

mediatiche stereotipate del Medio Oriente prodotte per il grande pubblico, europeo e

americano. In riferimento alla guerra del 2006, Catherine David spiega: One outcome that is very unfortunate, close to obscene, is that people in the United States are just now suddenly discovering works made more than fifteen years ago, just because a war brings international attention to Lebanon. In the face of that spectacle, we still have to be pragmatic and go on considering Lebanese artistic practices properly, seriously, not just as the current fashion. You could say that the Israeli invasion has radicalized people's positions. I think it's very sad, but it's proof that many artists were right all along – as I heard during many trips to Beirut – that the civil war was ongoing. The war is not only the bombing; it also has to do with territorial war, ideological war. And this realization was apparent in many works, whether photography, video, or literature. The most interesting development, in my view, has been the production of works with an experimental and analytical dimension, which is unique

47 Haugbolle (2010). 48 Vedi ad esempio, il Padiglione Libano alla Biennale di Venezia del 2007, curato da Sandrah Ḍāġir (tra i fondatori del Beirut Art Center) Saleh Barakat e il progetto Contemporary Arab Representations curato da Catherine David per una presentazione alla Biennale di Venezia nel 2003 e tuttora in corso.

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and specific to the situation in Beirut.49 Senza avventurarsi nelle questioni complesse poste dall'arte post-coloniale e dalle forme

dell'autorappresentazione come strategie di opposizione al nuovo colonialismo culturale

messo in essere dalle politiche di USA, Europa e Israele in seno al mondo arabo

contemporaneo (punto di partenza implicito nell'opinione dei curatori qui citati), è utile

riassumere un'intervista condotta dal curatore americano T.J.Demos (USA) a Kristīn 

u‘maha  LB ,  Rašā  al i  LB ,  Sandrah  āġir  LB ,  Catherine David (GB), curatrici

coinvolte nella produzione libanese contemporanea e attente alle connessioni tra arte, guerra e

politica:

I. Non esiste un'arte araba contemporanea ma esistono molteplici ricerche estetiche,

accomunate tuttavia dalla condizione di guerra latente (Libano) o manifesta (Iraq)

della maggior parte degli stati arabi contemporanei. Inoltre, lo stato di guerra totale

globale cui nessuno Stato è esente dopo l'11 settembre 2001 renderebbe ancora più

significative le riflessioni degli artisti del Medio Oriente.

II. La guerra in Libano e in Medio Oriente (in questo senso la questione palestinese

emerge come centrale) è onnipresente, è uno “stato della mente” che non può che

condizionare il modo di fare arte, di fare politica, di pensare allo Stato-Nazione, alla

vita in comune e alla quotidianità.

III. Le pratiche artistiche pongono le domande da cui la politica e i politici sfuggono,

allo stesso tempo si fanno carico di istanze sociali, come la riflessione sulla memoria

delle guerre libanesi. Inoltre consentirebbero di aprire le porte a quanti di solito sono

esclusi dalle rappresentazioni ufficiali: secondo Demos, internet, rete

dell'informazione indipendente, può diventare lo spazio per eccellenza per veicolare

the truth of the oppressed, per riportare l'attenzione alla dimensione umana dei

conflitti.50

IV. L'arte risponde alla necessità di riflettere e all'urgenza di documentare-registrare-

testimoniare; viceversa, i documenti originali, le fonti primarie, gli archivi, sono

indagati nella loro dimensione estetica.

49 Demos (2007). 50 Questo intento ricorda da vicino il compito che si erano proposti gli storici orali inglesi degli anni '60, che, attraverso le interviste dirette ai testimoni, intendevano scrivere una versione storica alternativa a quella dominante, espressione della viva voce delle classi subordinate che finalmente si impadronivano dei mezzi dell'autorappresentazione. Cfr Passerini (1988).

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V. L'esperienza della guerra israeliana del 2006 ha portato ad una svolta sostanziale

nella produzione artistica libanese, in particolare nel campo del video e della

fotografia sperimentali che hanno trovato in internet una diffusione indipendente e

alternativa ai media convenzionali.

VI. Cosa significa testimoniare quotidianamente della guerra e della tragedia? È

possibile trasformare lo statuto di passanti, osservatori, astanti (bystander), ovvero di

testimoni impotenti e passivi della violenza, in una forza attiva e sovversiva?

8. Arte e critica storiografica

Nel complesso di problemi che si pongono di fronte a chi intenda analizzare le politiche della

rappresentazione, emerge con particolare evidenza quello del rapporto invenzione/realtà.

A questo proposito, una delle costanti più rilevanti tra le produzioni cinematografiche di

Ġassān Salhāb, i video semi-documentari di 'Akram Za‘a ari  le conferenze-performance di

Walīd Ra‘ad, gli spettacoli teatrali di Rabih Mroue e Lina Saneh, le installazioni della coppia

ad itūmas‐ uray   è la riflessione sulla produzione storiografica nel Libano del

dopoguerra, attraverso una continua messa in discussione dei confini tra “piano della fiction”

(cui occorre credere perché funzioni) e “piano della Storia” (percepita come vera in quanto

basata sull'autenticità dei documenti e sulla loro analisi oggettiva). Queste e altre produzioni,

nella loro disomogeneità tecnica e formale, sono accomunate dal tentativo di riflettere sulla

soggettività della pratica storiografica, mettendone in luce l'aspetto di costruzione ideologica,

politica, economica, culturale.

Profondamente legate all'esperienza libanese della guerra civile e delle sue conseguenze, in

particolare all'incapacità di innescare un vero e proprio processo di riconciliazione

nazionale,51 queste sperimentazioni si inseriscono del resto nella più vasta riflessione dell'arte

contemporanea internazionale, recentemente molto attenta alle produzioni culturali nelle zone

di conflitto e spesso vicina alla critica antropologica dei post-colonial e dei cultural studies.

A questo proposito, si nota la vivacità della scena artistica israeliana “disobbediente” con i

cineasti Eyal Sivan, Avi Moghrabi52 e il critico Eyal Weizmann e le produzioni di registi

51 Il tribunale sudafricano per la Giustizia e la Riconciliazione è stato più volte indicato come modello di riferimento, ma finora non ha avuto seguito, anzi le difficoltà finora incontrate dal STL (Special Tribunal for Lebanon) potrebbero scoraggiare ulteriori indagini giudiziarie. La crisi politica che ha portato alla caduta del governo di Sa‘ad al-Ḥarīrī nel gennaio 2011 è nata proprio dal rifiuto da parte di Ḥizbu-llāh di riconoscere la legittimità dello STL. 52 Vedi ad es. Par un seule de mes deux yeux , 2005, Irs./Fr.

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palestinesi ormai affermati a livello internazionale come 'Ilyās Sulaimān.53

Anche la produzione degli artisti iracheni in diaspora ha approcciato questi temi, come

esemplifica lo spettacolo teatrale Irakese Geesten/Spiriti iracheni (2009),54 regia del giovane

Mu allad Rāsim, prodotto in Belgio dal teatro De Monty, centro culturale di Anversa.

• Zones of Conflict

Il progetto Zones of Conflict,55 curato da T. J. Demos e presentato alla Tate Gallery di Londra

nell'autunno del 2009, cui hanno partecipato alcuni degli artisti citati, si colloca sulla stessa

linea.56

Punto di partenza necessario per seguire tale corrente critico-artistica è che la Storia, così

com’era definita secondo i termini positivisti del XIX° secolo e intesa come concatenamento

lineare di fatti verso il progresso luminoso delle Nazioni e dei Popoli europei, non sia più

pensabile dopo l'orrore delle Guerre Mondiali, che hanno posto il problema di come spiegare

e rappresentare il male assoluto nella Storia e, al contempo, di come far parlare i testimoni

sopravvissuti all'orrore.57

Lo smantellamento di una qualsiasi teleologia della Storia (positivista o religiosa) impone di

riconoscere che i meccanismi di selezione soggettiva operati dagli storici sono caratteristiche

intrinseche alla produzione storiografica e non come sue deficienze strutturali.

Questa riflessione produce effetti profondi tanto sul piano della ricerca artistica (in particolare

rispetto allo svelamento delle pretese di oggettività del genere documentario), quanto a livello

di messa in discussione dei meccanismi politici che orientano la produzione storiografica e

mediatica.

Tuttavia, la riflessione artistica non può né deve sostituirsi al lavoro dello storico per proporre

una narrazione più esaustiva o più vera: l'artista si impegna piuttosto a mettere in luce

l'incertezza (uncertainty, per Demos) e il dubbio in quanto chiavi interpretative delle

narrazioni ufficiali circostanti, sviluppando allo stesso tempo altri dispositivi narrativi. Il

criterio è applicabile anche alle narrazioni di guerra, naturalmente.

53 Vedi ad es. al-Zamān al-bāqī, 2009. 54 Si ringrazia Carl Cappelle per la rivelazione illuminata degli artisti iracheni residenti a Antwerpen. 55 http://www.ucl.ac.uk/zones_of_conflict 56 Si segnala una certa uniformità a livello dei fondamenti concettuali, politici e artistici cui tali artisti e curatori, libanesi e non, fanno riferimento: Agamben, Barthes, Rancière, Foucault, Sontag, Negri, Deleuze, Godard, Chris Marker, … . 57 Intervista a Matteo Cavalleri, 3/3/2010, Milano.

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Come scrive Kaelen Wilson-Goldie, critico e giornalista, sulla mostra Art now in Lebanon,

curata da André Sfair Zemlār, a ‘Ammān, nel marzo 2008: the country’s contemporary cultural producers (including writers and filmmakers as well as visual artists) tend to concern themselves most with dismantling the mechanisms by which history is written, and with reconfiguring stories that are born of lived experience instead. The objects in “Art Now in Lebanon” may tell of war, or, more productively, they may function as narrative triggers that lead somewhere else entirely. As mnemonic devices, they may be tethered to painful memories, but they also fire the imagination with stories that are intensely literary, ranging from the fabulist to the fantastic and shot through with dark humor and delicate poignancy. 58

Lo scopo degli artisti è spesso sovversivo nei confronti delle narrazioni esistenti e

maggioritarie (ad es. il mito di una “guerra degli altri combattuta sul suolo libanese”) in

quanto si propongono come il tentativo di attribuire nuovi significati ai discorsi e alle

memorie di guerra proposti come ufficiali.

Tale messa in discussione usa dispositivi differenti e ottiene risultati anche contraddittori, per

cui, negli scritti degli artisti qui considerati, non si parla mai di un “movimento” o di un

gruppo omogeneo di artisti. Tuttavia, l'intento comune sembra risiedere nella volontà di

smantellare le rappresentazioni della guerra esistenti al fine di superarne l'effetto tragico e

compassionevole, di rompere il proprio statuto -internazionalmente riconosciuto- di vittima:

di fronte all'indicibile della guerra, attribuire nuovi significati dissacranti (intimi, ironici,

poetici) alle immagini, ai suoni, agli effetti della guerra significa mettere in discussione i

rapporti di forza esistenti e le politiche delle rappresentazioni dominanti.

Questo procedimento è più facile da esemplificare se tali “rapporti di forza esistenti” sono

palesemente squilibrati o se esiste un “nemico” esterno (diversamente dalle dinamiche della

guerra civile), come mostra l'esempio di Starry Night, improvvisazione minimalista di Ma‘zin

Karbā alla tromba e le forze aeree dell'IDF (Israeli Defense Force) alle bombe.59 Come

descritto nel blog dell'autore, fumettista e musicista, Starry Night è un'improvvisazione

musicale registrata sul balcone di un appartamento a Beirut la notte tra il 15 e 16 luglio 2006,

all'inizio della guerra detta arb  tammūz.60 Il valore sovversivo di questo brano sta nello

smantellare la tragicità e la vittimizzazione insite nell'evento per risemantizzarlo: creare nuovi

significati significa riappropriarsi della potenziale creativo della musica (in questo caso, il

58 Articolo consultato online: www.daratalfunun.org/main/activit/curentl/art_lebanon/b.htm (febbraio 2011). 59 http://mazenkerblog.blogspot.com e www.kerbaj.com 60 Vedi infra, Appendice.

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suono delle bombe) per trascendere la dimensione di passività a cui la “vittima” è, per

definizione, relegata. Non solo. Sovverte anche il sentimento di compassione che la vittima

suscita sui suoi spettatori.

Anche il critico d'arte e filosofo Jacques Rancière ha rilevato il potenziale sovversivo delle

pratiche artistiche di messa in discussione dei documenti storici, riflettendo in particolare

sullo stato dell'arte in Libano e Palestina: Godard said ironically that the epic was for Israelis and the documentary for Palestinians. Which is to say that the distribution of genres -for example, the division between the freedom of fiction and the reality of the news- is always already a distribution of possibilities and capacities: to say that, in the dominant regime of representation, documentary is for the Palestinians, is to say that they can only offer the bodies of their victims to the gaze of news cameras or to the compassionate gaze at their suffering. That is, the world is divided between those who can and those who cannot afford the luxury of playing with words and images. Subversion begins when this division is contested, as when a Palestinian filmmaker like Elia Suleiman makes a comedy about the daily repression and humiliation that Israeli checkpoints represent and transforms a young Palestinian resistance fighter into a manga characte.Think (also) of the work of Lebanese artists like Walid Raad, Khalil Joreige, Joana Hadjithomas, Tony Chakar, Lamia Joreige, and Jalal Toufic, who, through their films, installations, and performances, blur the interplay between fact and fiction to establish a new relationship to the civil war and to the occupation, by way of the subjective gaze or the fictive inquiry, making "fictional archives" of the war, fictionalizing the detournement of a surveillance camera to film a sunset, or playing with the sounds of mortar shells and fireworks, and so on. This very constructed, at times playful, relationship to their history addresses a spectator whose interpretive and emotional capacity is not only acknowledged but called upon. In other words, the work is constructed in such a way that it is up to the spectator to interpret it and to react to it affectively. 61

Il potenziale di sovversione offerto allo spettatore -chiamato a reagire attivamente di fronte

all'opera- si affianca alla capacità performativa dell'artista che ricorda, che ricostruisce una

nuova modalità di ricordare gli eventi storici e le conseguenze della guerra.

In tale volontaria confusione epistemologica tra l'atto del ricordare e l'atto del rappresentare si

apre lo spazio a sperimentazioni artistiche che giocano sul carattere performativo della

memoria e dell'oblio, dei processi storiografici e del potere dell'artista.

Tali riflessioni trovano concretezza in relazione alla specificità del dopoguerra libanese.

Come commenta il fotografo e archivista 'Akram Za‘a ari fondatore a Beirut nel 1997 del

FAI (Foundation Arab pour l'Image),62 collettivo di artisti e intellettuali impegnati a

collezionare, preservare e studiare fotografie e materiali visivi dal Medio Oriente, Nord Africa

61 Vedi l'intervista a Jacques Rancière “Art of the possible”, a cura di Fulvia Carnevale e John Kelsey. Pubblicata online al link (consultato a febbraio 2011): http://findarticles.com/p/articles/mi_m0268/is_7_45/ai_n24354911/pg_6/?tag=content;col1 62 http://www.fai.org.lb

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e dai paesi della diaspora araba:

memory can be a very subversive critical force. Remembering is about re-appropriating history. Many people accuse Lebanon of erasing the traces of war. But, at some point, you have to move forward, because if you keep browbeating yourself, excavating and then burdening yourself with all the weight of the past, there is no way to move forward. Remembering is not innocent.63

Proprio perché ricordare non è innocente, è, nell'opinione di Samir Kassir indagare le logiche

politiche sottese al radicamento di alcuni schemi interpretativi della guerra (una “guerra degli

altri”, una guerra senza vincitori né vinti, un mito dell'età dell'oro degli anni '60):

la déresponsabilisation et l'absence de mémoire ne sont pas des questions de morale mais de facteurs politiques, permettant aux chefs de guerre de maintenir leur contrôle sur leur base popoulaire. Non que l'amnestie soi en elle-même contestable. Quoi qu'on en dis parfois, le cas du Liban tend à montrer qu'elle est indispensable au lendemain d'une guerre civile, à la condition cependant de se conjuguer avec un engagement de vérité et de justice, comme l'a montré la leçon de l'Afrique du Sud. L'expérience libanaise en est loin.64

All'indomani degli accordi di al- ā'if (1989), dell'approvazione dei piani di ricostruzione del

centro storico di Beirut (1992), lo spettacolo Mu akkirāt 'Ayyūb (1993), testo di 'Ilyās  ūrī,

per la regia di Rū īh‘Assāf, apriva una nuova stagione del teatro libanese, pronta a lanciare un

forte grido di denuncia in nome dell'intera società civile e intellettuale: la questione degli

scomparsi durante la guerra veniva affrontata attraverso la proiezione di articoli di giornali,

documenti e foto funzionali alla struttura drammaturgica del testo.65

9. From horror to beauty, with love: immagini di guerra

Non spetta a una fotografia il compito di rimediare alla nostra ignoranza della storia e delle cause della sofferenza che essa individua e inquadra. Tali immagini non possono che essere un invito a prestare attenzione, a riflettere, ad apprendere, ad analizzare le ragioni con cui le autorità costituite giustificano le sofferenze di massa. Chi ha provocato ciò che l'immagine mostra? Chi ne è responsabile? È un atto scusabile? Si sarebbe potuto evitare? Abbiamo finora accettato uno stato delle cose che andrebbe invece messo in discussione? Sono queste le domande da porsi.66

Tratta da Regarding the pain of others della fotografa Susan Sontag (2003), la citazione può

costituire una chiave interpretativa utile a introdurre le sperimentazioni visive di 'Akram 

Za‘a ari, pioniere del genere documentario-sperimentale in Libano. Nel 1997, il fotografo e 63 Wright (2002: 21). 64 Kassir (2000: 14). 65 Ruocco (2010: 208). 66 Sontag (2003: 111).

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99

archivista libanese realizza infatti il video al‐Šarī  bi‐ ayr/All is well on the border in cui

filma la testimonianza di alcuni ex-detenuti nelle carceri israeliane.

Il video è costituito dal montaggio di filmati d'archivio e dall'intervista agli uomini che

raccontano la propria esperienza di detenzione: d'improvviso, la telecamera allarga

l'inquadratura fino a mostrare il gobbo su cui scorre il testo scritto della testimonianza, letto e

recitato dal presunto testimone, ormai svelatosi nel suo ruolo di attore. Inoltre, l'inquadratura

riprende il regista che aiuta un secondo attore (il già citato architetto Tony Chakar, all'epoca

ancora sonosciuto)67 a memorizzare il proprio monologo. Gli effetti prodotti sono molteplici:

finchè la telecamera non inquadra il gobbo, le condizioni di credibilità del film (il patto che il

regista stringe con i suoi spettatori) dipendono direttamente dal contenuto di verità della

testimonianza rilasciata, che ha valore in quanto spontanea, immediata. Quando la finzione si

svela, è la stessa testimonianza ad acquisire un alone di artificiosità fino a perdere, in

sostanza, la propria credibilità.

Il video di 'Akram  Za‘a ari  è indicato da vari artisti come il primo tentativo riuscito di

mettere in questione le tecniche di costruzione delle testimonianze di guerra attraverso lo

svelamento della non-immediatezza della testimonianza orale registrata e la conseguente

delusione delle aspettative del pubblico, spettatore del documentario.

Per comprendere appieno la portata di queste riflessioni concettuali e sperimentazioni

estetiche, è opportuno confrontarle con altri esempi della produzione documentaria libanese

contemporanea.

• I documentari di Borgmann e Slim 68

Il documentario Massaker (2005) di Monica Borgman e Luqmān Slīm prodotto

dall’associazione 'Umam, raccoglie le testimonianze di alcuni miliziani falangisti che presero

parte alla strage di abrā e Šātīlā (15/16 settembre 1982).

I testimoni, intervistati nelle proprie case in situazioni di intimità e sicurezza, restano anonimi

per evitare le rappresaglie palestinesi. Oscurati in volto, siedono a torso nudo o in canottiera,

molti mostrano i tatuaggi (la croce falangista) che diventano lo spunto per ricordare alcuni

momenti della guerra. Qualcuno mangia, molti fumano, sudano, piangono e imitano

fisicamente alcuni dettagli del racconto. Solo uno di questi è in carcere, tutti gli altri hanno

goduto della legge di amnistia. Uno degli informatori descrive come si fosse rifiutato di 67 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut 68 Vedi infra, I capitolo.

Page 101: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

100

partecipare direttamente al massacro, limitandosi alle operazioni di “pulizia” dei luoghi

(tan īf) dai cadaveri prima dell’arrivo di giornalisti e fotografi. Così cita anche l’esempio di

alcuni obiettori che rifiutarono del tutto di entrare nei campi. Le testimonianze sono montate in ordine tematico, a costruire un lento crescendo che vuole

anche tentare un’indagine psicologico-politica dei testimoni: dalla famiglia alla formazione

nel partito, alla selezione in unità speciali delle Forze Libanesi, quindi un duro periodo di

addestramento (alcuni descrivono il training in Israele), fino agli incontri con il leader

amatissimo,  Bašīr  al‐ umayyal, e la collera per il suo assassinio imputato alle milizie

palestinesi che sfociò nella vendetta del 1982. Il massacro dei campi profughi palestinesi di

abrā e Šātīlā è ricordato minuziosamente e illustrato dalle parole, dai disegni e dai gesti dei

testimoni. Gli informatori ricordano la pianta dei campi profughi, riportano i dettagli tattici

seguiti per rendere l’operazione il più veloce ed efficace possibile, raccontano delle violenze,

degli abusi, della brutalità del massacro.

In un fluire doloroso che sembra una confessione liberatoria per chi vive sotto il terrore delle

ritorsioni dei familiari delle vittime, i testimoni ricordano particolari insignificanti insieme ai

dettagli delle violenze, confondendo i ricordi dei gesti realmente compiuti a percezioni

momentanee (il caldo, la sete).

L’intervento dei registi è celato dal montaggio: raramente inquadrati e mai in volto, i registi

Monica Borgman e Luqmān Slīm intervengono per mostrare agli informatori alcuni

documenti fotografici del massacro, ai quali i testimoni reagiscono con indifferenza o con

rabbia, distruggendole meticolosamente. Lo sguardo del pubblico sembra coincidere con

quello dei registi, occhio attento e muto, zittito dalla lucida brutalità delle testimonianze, esso

posticipa il momento del giudizio personale per fare spazio alle parole dei testimoni.

Nel montaggio, le testimonianze non sono discusse né storicizzate, ma presentate come voci

nude, come un distillato della memoria degli informatori, non indagata nel suo contenuto di

documento storico ma presentata senza filtri allo spettatore. Il taglio documentaristico marca

la prepotenza di una realtà storica (il massacro di abrā e Šātīlā) che, sembra sottinteso, non

può essere raccontata se non dalla voce di chi compì quegli atti.

Presentare la nuda voce dei miliziani è una scelta molto eloquente circa lo stile che Monica

Borgman e Luqmān Slīm, registi e fondatori di 'Umam, hanno sviluppato per narrare il

conflitto: ad esempio, In place (2009) è un film che presenta le confessioni di quattro

miliziani di diversi partiti che hanno accettato di raccontare la propria partecipazione ai

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sequestri e alle torture durante la guerra.69 Le produzioni video dei due registi di 'Umam non

si preoccupano infatti di svelare i meccanismi del montaggio, anzi, tendono a celare la

presenza dei registi e, per estensione, cercano di presentare il documentario come

un'incursione nel passato, un blitz capace di accedere alla sequenza effettiva degli

avvenimenti, veridificata dalla viva voce dei testimoni-protagonisti.

• Walīd Ra‘ad, il falsario 70

Nella sperimentazione artistica sulle immagini di guerra spicca la produzione di Walīd Ra‘ad, 

fondatore di The Atlas Group,71 collettivo fittizio le cui origini sono divenute esse stesse

oggetto della sperimentazione di Ra‘ad nel corso delle conferenze pubbliche-performance che

affiancano il suo lavoro di docente universitario a New York.72

La sua produzione artistica e accademica comprende testi, video, performances, progetti

fotografici, ed è stata esposta in numerosi festival e musei in Europa, Medio Oriente, Nord

America.

Senza entrare nei dettagli dell'opera di Ra‘ad, che più di altri autori ha attirato l'attenzione

internazionale di teorici e curatori, si sottolinea in questa sede un aspetto ricorrente nella sua

produzione: un dispositivo estetico innescato in molte opere di Ra‘ad consiste infatti nel

decontestualizzare un dato divenuto simbolico del periodo della guerra civile (le autobombe,

le armi, l'ippodromo, le mu abbarāt) attraverso la costruzione di una spiegazione

storicamente plausibile ma totalmente fittizia.

Considère ces documents comme des symptômes hystériques qui présentent des événements imaginaires construits à partir de matériel innocent et quotidien. Comme des symptômes hystériques, les événements décrits dans ces documents ne sont pas attachés à des mémoires actuelles d'événements, mais à des fantaisies culturelles érigées à la base des mémoires (Georges Lukacs). Les documents ne documentent pas tellement “ce qui s'est passé”, mais ce qui peut être imaginé, ce qui peut être dit, pris pour acquis, ce qui peut apparaître comme rationnel ou pas, comme pensable et dicible sur les guerres récents au Liban.73

La questione spontanea sull'autenticità documentaria delle opere studiate, conservate e

prodotte (!) nell'archivio dell'Atlas Group non è pertinente, in quanto ciò che interessa l'artista

69 Vedi infra, I capitolo. 70 Cfr. Bellet, Harry, articolo su Le Monde, 11/9/2010, “Walid Raad inscrit l’histoire en faux”. 71 www.theatlasgroup.org 72 Vedi biografia dell'autore in David (2002: 163). 73 Baumann (2009b: 517) in Mermier-Varin (2009).

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è che gli eventi da lui rielaborati o inventati sarebbero potuti accadere.

Il est ici question d’une connaissance hors des faits mais qui révèle une autre dimension de l’histoire qui n’est pas encore pensable, d’une réalité et d’une mémoire qui se manifestent à travers des images sur-réalistes, telles les images de rêve censées rendre accessibles des données latentes.74

Né è determinante, per l'artista, indagare se i fatti cui i documenti fanno riferimento sono

“veri” dal punto di vista fattuale. Infatti: La vérité des documents que nous cherchons ne dépend pas uniquement de leur exactitude factuelle. Nous sommes confrontés à des faits, mais nous ne considérons pas ces faits comme des objets évidents qui seraient déjà présents dans le monde. Une des questions que nous nous posons est: comment approchons-nous des faits non pas dans leur factualité brute, mais à travers des médiations toujours compliquées par lesquelles il acquièrent leur immédiateté?75

La struttura narrativa che circonda i documenti e li decontestualizza, si erge

contemporaneamente a dispositivo estetico e concettuale di pensare la storia, la storiografia e

l'arte.

In questo processo di story telling, di cui le conferenze pubbliche-performance concesse

dall'autore costituiscono una parte fondamentale, il dato storiografico di partenza scompare

nel racconto, una lenta dissolvenza che conduce a immagini poetiche e intimiste, come in

Operator #17, un video che mostra il tramonto del sole sulla corniche. Nella ricostruzione di

Ra‘ad, l’autore del filmato sarebbe una spia dei servizi segreti siriani (l'operatore numero 17,

appunto) in missione a Beirut che, invece di documentare le attività della gente di passaggio

sul lungomare, non resiste alla tentazione di riprendere il tramonto. Il video, del resto, non

mostra altro che il sole all'orizzonte, sul mare della corniche: il contenuto del racconto

dell'autore -probabilmente falso- fa del resto riferimento ad un dato storicamente registrato,

cioè alla presenza dei servizi segreti siriani in città.

Numerose altre opere ricreano la stessa dimensione di surrealismo storiografico, indagando

altri fenomeni come la crisi degli ostaggi che segnò negli anni '80 le relazioni USA-Libano.

Così, Civilizationally, we do not dig holes to bury ourselves (2000) è una video-intervista

condotta da Ra'ad a Souheil Bašār, sequestrato dal 1983 al 1993. L'inizio dell'intervista può

chiarire la dimensione metanarrativa dell'opera: Walid Raad: Can you please identify yourself? Souehil Bachar: My name is Souehil Bachar. I am from the village of Houla in South Lebanon.

74 Baumann (2009a). 75 Baumann (2009b: 510) in Mermier-Varin (2009).

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I am 42 years old. Bachar: Could you please identify yourself as well? Raad: My name is Walid Raad. I am a media artist and teacher. I also work with The Atlas Group, an imaginary foundation I established in 1976 to research the contemporary history of Lebanon. Raad: Can you tell us about how you came in contact with us, The Atlas Group, and about the tapes you have produced? Bachar: I saw your presentation of The Atlas Group Archive in September 1999 at the Ayloul Festival in Beirut. I was very intrigued by your foundation's mission and by the documents in your archive. I approached you after the presentation and we agreed to meet and talk. After a series of meetings between us two years ago, your foundation proposed to assist me in the production of videotapes about my experience as a hostage. (...)76

La testimonianza di Bašār -e dunque l'opera creata da Ra'ad- tuttavia non è autobiografica né

storica sull'esperienza della prigionia, ma si interroga anzi sui dispositivi di

autorappresentazione messi in essere dai 5 ostaggi americani segregati con lui che, una volta

rientrati in patria, hanno redatto libri di memorie autobiografici.

Il testimone libanese si chiede, in particolare, sul perché il periodo di cattività nei diari

americani è descritto solo ad un livello individuale-psicologico e mai in termini politici o

storici. Bašār dichiara ad esempio:

A unanimous conclusion drawn by the hostages about captivity is that the period of detention in

Lebanon has radically altered their understanding of the world. They all seem to come out of

thier horrible ordeal with a new and gratifying way to relate to family, friends, State, and God.

But the most significant and productive aspect of detention is that the westerns come out of it

with a clearer and better sens of the self.

Non è dato sapere se Bašār  sia un attore o un vero testimone che ha realmente sviluppato

indagini personali sul tema dei sequestri di persona in Libano durante la guerra.

Probabilmente, tale distinzione è irrilevante ai fini dell'opera di Ra'ad che crea una

costruzione complessa tanto sul piano stilistico-formale che contenutistico-concettuale.

L'ultima “battuta” di Bašār conferma tale complessità: My interest today is in how this kind of experience can be documented and represented. I am also convinced that the Americans have failed miserably in this regard but that in their failure they have revealed much to us about the possibilities and limits of representing the experience of captivity. What I want to ask is: of all the ways the stories of captivity could have been written, why were they written this way?

Altre opere come Bullets, already been in a lake of fire o Doctor Fakhury's files hanno

meritato un notevole interesse e un più preciso approfondimento critico in numerose

76 Raad (2002: 124) in David (2002).

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pubblicazioni e mostre di fama internazionale, facendo di Ra'ad uno degli artisti libano-

americani più seguiti all'estero.77

10. Resti desolanti: rovine e fantasmi

Alcuni elementi iconografici si sono prestati più di altri ad esprimere una peculiare

speculazione concettuale sulla guerra civile, la sua storia, la sua rappresentazione. In questo

senso, Beirut e le sue rovine svettano protagoniste imponenti nella produzione letteraria,

cinematografica visiva diffusa già durante il conflitto.

Nei film di Ġassān Salhāb, ad esempio, le rovine della città si caricano di un forte valore

simbolico che riassume tanta della mitologia ricorrente su Beirut, descritta già negli anni '80

da Ni ār Qabbānī e Ma mūd Darwiš nei termini di una donna amata e di una prostituta, di

una rivoluzione sognata e di un fallimento.78

Tali immaginari si condensano nella figura di Sūrāya, interpretata dall'attrice Kārul ‘Abbūd,

protagonista di Terra Incognita (2003), un film di Ġassān Salhāb.

Sūrāya, trentenne, guida turistica, si aggira tra gli scavi archeologici, le rovine di guerra e i

cantieri in piena attività che ricostruiscono il centro storico di Beirut. Si abbandona ad amanti

passeggeri e ad amici sconsolati e inconsolabili. Tra questi, Nadīm, un architetto impegnato

nei piani urbanistici della ricostruzione del centro, impersonato dall’attore e artista visivo

Walīd  ādiq. Se Sūrāya è come una città sospesa, così Beirut è una donna inquieta e libertina

e Sūrāya, nell'ultima scena, viene picchiata da un amante troppo geloso.

Ġassān Salhāb, libanese nato a Dakar nel 1958,79 ritornato in Libano nel 1972 per rifugiarsi

in Francia durante la guerra civile, vive oggi tra Beirut e Parigi, in un rapporto conflittuale

con la sua terra che diviene elemento centrale della produzione cinematografica di corto e

lungometraggi e di installazioni visive.80

Le rovine del centro hanno attirato l'attenzione di vari artisti come Lamiyā  uray che in Ici

et Peut être ailleurs si ispira agli studi di Godard per realizzare un documentario di interviste

registrate sulla Green Line, alla ricerca di informazioni sul rapimento dello zio avvenuto sulla

77 Rogers (2002), Lepecki (2006), Gurguis (2009). 78 Neuwirth (1999: 583). 79 Alla Rivoluzione libanese dello stesso anno e alla memoria della madre sarà dedicato proprio 1958, film sperimentale del 2008 che monta alle interviste della madre, le immagini d'archivio delle televisioni nazionali e straniere e un abbozzo di trama che ha per protagonista lo stesso regista. 80 Vedi ad es. l'ultimo video presentato per Home Work 5 a Beirut, una proiezione in tre canali sull'ascesa al Monte Sassīn nella catena del Monte Libano come metafora di un possibile viaggio dantesco.

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linea di demarcazione tra Beirut Est e Ovest. Le riprese della Šāri‘ Dimašq/Rue de Damas e

le interviste agli abitanti diventano un modo per tuffarsi nel passato di una città distillata nel

ricordo dei suoi abitanti.

Il testo al- arī ah al-muta assisah/The eyeless map81 di ūnī Šākar, architetto, scrittore e

docente all'ALBA (Università di architettura con sede a Beirut), invece, racconta di città

frammentate, cannibali, necrofile, che assomigliano a un corpo umano danneggiato nelle sue

funzioni organiche, ammalato nel suo sistema immunitario.

La riflessione sulla città è stata ulteriormente sviluppata dall'architetto in una performance

presentata a Home Work 5: forum on cultural practices, organizzato a Beirut dall'associazione

'Aškāl 'Alwān (aprile-maggio 2010): l’architetto si proponeva come guida turistica di una

visita non convenzionale della città e presentava le principali fasi storiche e i ricorrenti scempi

urbanistici e architettonici perpetrati in particolare nella zona del centro storico.

In questa scenografia desolata, specchio di un paese distrutto, si aggirano fantasmi e vampiri,

incubi e schizofrenie, che popolano lo spazio urbano di presenze del passato. Lungi dall'essere

macabre metafore, la riflessione sugli spettri è un'urgenza imposta dalla necessità di parlare

dei 250.000 morti della guerra e dei 17.000 scomparsi, crimini rimasti impuniti dalle logiche

dell'amnesia ufficiale promosse a livello mediatico e politico.

• Nous sommes juste de mourantes: sul concetto di latenza/1

I morti, gli scomparsi, le rovine e le relative metafore artistiche alludono ad uno stato

intermedio di irrisolutezza lasciato dalla guerra nel dopoguerra. Corpi assenti perché

scomparsi, uccisi, distrutti, ma zombies ancora presenti a cui non è stato ancora concesso il

trapasso e di cui non è possibile liberarsi: corpi ancora morenti che resistono nelle foto dei

martiri e nei posters dei dispersi che popolano uno spazio urbano affollato di cadaveri

architettonici, crivellati di colpi.

In Beyrouth Phantôme (1998), Ġassān Salhāb decide di inserire le testimonianze dei suoi

attori sulla guerra, registrate in studio, come parola veritiera, commento di autenticazione alla

trama fittizia del film. Tra le altre voci raccolte, l'attrice Kārūl ‘Abbūd, protagonista di ‘Ar

ma hūlah (Terra incognita) e attrice collaboratrice del drammaturgo e regista iracheno

awād al-'Asadī, dichiara:82

81 Chakar (2003). 82 Ruocco (2010: 210) e vedi infra, IV capitolo.

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Our problem is that we want to be reborn, but we are not dead. We are dying … I try to erase the war, like everyone else. But in my subconscious I long for it. Everything had a better meaning then. My relationships with my parents, friends and myself were better. There was real friendship. Now, there is chaos and uncertainty. There is something broken.83

Le voci dei testimoni montate in Beyrouth Phantôme raccontano le sensazioni di un’intera

popolazione delusa perché incapace di trasformare le ambizioni della guerra in realtà,

un’intera generazione che, appena finita la guerra, vive il tempo di pace in una attesa carica di

nostalgia e rimpianto. La testimonianza di Dārīnā al‐ undī, protagonista del film nel ruolo di

una reporter di guerra:  War is not over for me. There is still war inside me. I do not believe the lie that the war is over. I was not consulted when it ended, nor when it began. I was happier during the war. Then, I did not care. I did not care about the moments to come, only about the moment I was living. Now, I think about everything: work, tomorrow … Things were easier during the war. People loved each other more then. Now everyone is on their own … During the war I used to dream about all the things I would do when it ended. I was disappointed when it ended; suddenly everything looked smaller.84

Non occorre sottolineare ulteriormente che tali immaginari si pongono in una posizione

radicalmente antagonista ai discorsi governativi, celebrativi e nostalgici, che propongono

piuttosto un limpido ritorno alla Beirut degli anni '60 per favoleggiare di una mitica Beirut del

futuro.

83 Cit. in Khatib (2008: 167). 84 Cit. in Khatib (2008: 167).

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IV capitolo

Al‐Masra  Al‐Mufakkir di Rabih Mroue e Lina Saneh

This performance does not attempt to search for the truth, nor any other truth ... nor for the accused, nor the innocent … nor for the criminal, nor the victim … it is not motivated to flatter

anyone, nor does it intend to insult anyone … between truth and lies there is a hair and I am trying to pull that hair.1

In questo capitolo si presentano alcune produzioni teatrali e visive degli attori e registi

libanesi Rabih Mroue e Lina Saneh, in quanto forniscono un importante contributo al dibattito

storico-artistico analizzato nei capitoli precedenti e allo stesso tempo sviluppano una

profonda riflessione sugli elementi costitutivi del teatro: la presenza dell'attore in scena, il suo

rapporto con il pubblico, gli scopi ultimi della pratica teatrale.

In particolare, in riferimento alla produzione dell'ultimo decennio, è interessante mettere in

luce le riflessioni concettuali sviluppate dalla coppia Mroue/Saneh sulla rappresentabilità in

campo teatrale delle questioni fin qui analizzate e sulle scelte stilistiche e poetiche che ne

conseguono.

Infine, si citano alcuni spettacoli teatrali di giovani artisti attivi sulla scena teatrale

contemporanea in quanto si pongono in parziale discontinuità con le personalità fin qui

descritte, sviluppando nuove ricerche, sia a livello concettuale che formale.

1. Una biografia di Rabih Mroue: l'incontro con Lina Saneh

L'attore, drammaturgo e regista libanese Rabih Mroue nasce nel 1967 a Beirut dove, nel 1989,

ottiene un Diploma di Teatro all'Istituto di Belle Arti dell'Università Libanese, inaugurata nel

1965 e fucina di una nuova generazione d'artisti che, formatisi in ambito accademico, si

pongono in netta discontinuità con le generazioni precedenti, la cui educazione si basava

1 Incipit dello spettacolo 'Ab a u  ‘an muwaffa  mafqūd/Looking  for a missing employée (2003), prodotto da'Aškāl 'Alwān e presentato da Mroue al festival beirutino Home Works 3.

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principalmente sull'esperienza pratica autodidatta o al seguito di una compagnia.2

Adolescente durante la guerra, alcuni spettacoli3 testimoniano di un periodo di militanza

armata nelle fila del PCL (Partito Comunista Libanese), impegno appoggiato dalla famiglia,

dichiaratamente comunista.

Nonostante le sperimentazioni sviluppate dagli artisti fin qui presentati mettano in guardia dal

considerare i testi degli spettacoli come fonti utili a ricostruire la biografia degli autori, si

citano comunque alcuni passi autobiografici ritenuti affidabili rispetto alle esperienze di

militanza politica intraprese da Rabih Mroue all'inizio della guerra civile. Nella conferenza-

performance Sukkān al‐ uwar/Inhabitants of images, ad esempio, l'attore interpreta un testo

sulla manipolazione delle foto dei martiri e i posters di propaganda politica che affollano i

muri della capitale. Nel finale dello spettacolo, l’attore sviluppa una breve analisi

dell'iconografia delle fotografie e delle testimonianze video registrate dai martiri suicidi

combattenti per il Partito Comunista Libanese dichiarando che:

I do not know why I feel incapable of analyzing this phenomenon. Is it because they are secular people, with no religious leanings, who do not believe in the possibility of an afterlife? Is it because I was member of the same political party of them? And, as such, I cannot create the necessary distance to reflect on them?

Con maggiore cautela, si cita la testimonianza seguente, inserita nella performance alā at mul aqat/Three Posters, spettacolo realizzato nel 2000 in collaborazione con 'Ilyās  ūrī:

My name is Rabih Mroue, born in 1966, Beirut, became a member of the Lebanese communist party in 1983. Participed in the operations of the Lebanese National Resistance Front 1987 in Hasbayya, Blat and other towns. In an operation in Hasbayya, our group fell in to an ambush arranged by our “brothers” of Amal Movement and thus we had canceled the operation against Israeli Occupation. That was my last operation I shared in.4

Un'altra testimonianza personale di Rabih Mroue rispetto alla condizione di guerra latente5

caratteristica del dopoguerra libanese è quella raccolta da Ġassān  Salhāb nel film 'Ašbā  

2 Fondata per decreto governativo nel 1965, la direzione del dipartimento di teatro dell'Istituto di Belle Arti viene affidata ad 'Anṭwān Multaqa, attore, regista, adattatore di pièces europee in libanese e animatore di numerose compagnie e collettivi. Insieme a Munīr Abū Dibs fonda nel 1960 la firqat  al‐masra   al‐ adī , compagnia che contribuisce al dinamismo della scena teatrale libanese del periodo, in cui correnti diverse concorreranno a elaborare un'arte d'avanguardia, rivoluzionaria e aperta alle tendenze del teatro occidentale. Ruocco (2010: 167). 3 Cfr. ad es. alā at mul aqat/Three Posters; Sukkān al‐ uwar/Inhabitants of images; I, the undersigned; Da‘nī 'uqifu al-tadḫīn/Make me stop smoking. 4 David (2002: 105). Anche se, come si vedrà più oltre, questi dati potrebbero essere del tutto fittizi e funzionali allo spettacolo, è attestato l'impegno dell'attore per il PCL. Inoltre, lo spettacolo in questione introduce riflessioni peculiari sull'uso delle testimonianze. Vedi ivi, IV capitolo. 5 Cfr. Kassir, (2000) e vedi supra, I capitolo.

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Bayrūt/Beyrouth Phantôme:6 La guerra è finita e questo va bene. Quello che non va bene è che si torna indietro al tempo prima della guerra. Non va bene perché ci sono ancora alcuni che non riescono a liberarsi delle cause della guerra. Hanno messo fine alla guerra ma le ragioni persistono. La guerra è ancora presente con forza, minaccia ancora di espandersi (…) Tutti hanno partecipato alla guerra, anche quelli che pensano di avere le mani pulite perché non hanno mai combattuto, mai preso le armi (…) hanno torto, credo, perché nonostante tutto, anche loro hanno partecipato alla guerra. Noi tutti siamo degli assassini, dei criminali.7

L'attore data l'inizio della propria carriera teatrale nel 19908 quando inizia una fruttuosa

collaborazione con Lina Saneh (nata nel 1966), collega e compagna di vita, e con Rū īh 

‘Assāf e 'Ilyās  ūrī.

In questo primo periodo la coppia Mroue/Saneh realizza alcuni spettacoli e video che

ottengono un buon successo di critica e pubblico come Ri lat Ġāndī al‐ aġīr (Il viaggio del

piccolo ghandi) del 1989, tratto dal romanzo omonimo di 'Ilyās  ūrī; L'abat‐jour/al misba

(1990); The Lift (1993); Mu akkirāt  'Ayyūb (1993), regia di Rū īh  ‘Assāf da un testo di

'Ilyās  ūrī,  presentato al Masra   Bayrūt in occasione del cinquantesimo anniversario di

Indipendenza del Libano dalla Francia; La clé/al‐Miftā (1994), testo di Rafīq  ‘Alī  'A mad;

La  prison  de  sable (1995), con Rafīq ‘Ālī  A med  e  Rū īh  ‘Assāf; al-Karāsī/Les chaises

(1995).

Questi primi spettacoli vedono la luce anche grazie al fervente movimento sviluppatosi

attorno al Masra  Bayrūt, storico teatro cittadino sopravvissuto agli avvenimenti di guerra e

riaperto al pubblico nel 1992.9

La coppia Mroue/Saneh descrive i primi anni di attività professionale come un periodo

caratterizzato dalla fascinazione per le potenzialità espressive del corpo d'attore in scena

(danza, body language, acrobatica), in una ricerca profondamente influenzata dagli studi

universitari e dalle sperimentazioni del teatro moderno europeo e americano. Come dichiara

Lina Saneh in una conferenza dal titolo significativo Of the theatrical act: a matter of speech

and distance rilasciata nel Festival Home Work 2, organizzato da 'Aškāl 'Alwān a Beirut nel

2003: In our early years, we were emboldened by all that we had learned at university about modern

6 Cfr. Khatib (2008). Vedi supra, III capitolo. 7 Trad. mia dal film in arabo/inglese. 8 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut. 9 Wimmen (1995) e al‐ ā  ‘Alī (2010). Vedi supra, III capitolo.

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theatre, including the avant-garde, going through the experimental, Meyerhold's bio-mechanical, the image-theatre, going through the physical and cruel theatre of Artaud, Kantor's theatre of death, the Living Theatre, the Bread and Puppet, the happening, Grotowsky and so many others that made the glory of the twentieth century. All that we learned about the theatre of the body, the gestuelle, the liberation of the body from bourgeois psychology, the exploration of its abilities, movement, stylisation, the integration of forms and techniques such as dance, mime, acrobatics, all of this to distance ourselves from the literary theatre, the academic, bourgeois, and psychological theatre to the theatre of action, a visual and dynamic theatre.10

Tale indagine sulla corporeità dell'attore resterà centrale anche negli anni successivi,

conducendo presto (1995-96) Rabih Mroue e Lina Saneh ad interrogarsi sulle conseguenze

fisiche e sulle conseguenze estetiche che la guerra civile aveva imposto sulla corporeità

dell'attore, sull'uso delle immagini di tale fisicità straziata e sulla possibilità di reinserirla nei

meccanismi teatrali della rappresentazione tradizionale.

Le domande dei due attori miravano a svelare come la fisicità dell'attore in scena avesse perso

il proprio potere evocativo, allusivo e performativo in quanto devastata dallo scempio che la

guerra aveva fatto di quei corpi. Tramite questa svolta estetica e concettuale, l'azione fisica è

definita da Lina Saneh come

(…) pure performance, spectacle, Olympic games, circus that represented nothing despite all often redundant and illustrative, mimetic efforts to represent. What does the body represent? Nothing existed besides the nostalgia for a performing body. We [Mroue/Saneh] resorted then to venture in another direction; we sought to understand how the war marked our bodies. We did not want to tell the story of the war, its horrors; neither orally, nor through the bias of a corporeal mimesis, that could not be more than illustrative and narrative, or worse yet, a pathetic drowning in martyrdom. We wanted to understand how this body of ours moved, after enduring fifteen years of war, how it moved, how it ate, how it went to sleep, how it loved, how it worked, how it thought, and how it acted … This body defeated by war and regressive ideologies, such as Arab nationalism, Islamism, polytical systems, military and/or religious, local and regional, and finally with the fascist and impossible summon of modern performance still extended to it through liberal, official, and global culture.11

A queste riflessioni, che nel 1997 conducono alla realizzazione degli spettacoli di ricerca

radicale Extension 19 e Ovrira, si aggiungono alcune domande di carattere esistenziale sia

sulla motivazione ultima della pratica teatrale che sul rapporto con pubblico e critica, fatto di

aspettative, di esami, di continue messe alla prova. Come spiega Rabih Mroue:

I started in 1990 doing theatre: acrobacy and dance and writing. And of course I was taken

from the war. All the works [were] talking about the war and mainly because I was, and Lina

10 Saneh (2003: 88) in Tome (2003). 11 Ivi, 91.

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also, we were always fascinated by the physical theatre to do: body language on stage. And I

wanted to do something related to the body inprinted of our civil war. And I started from this

question, actually: how I can represent this body that experienced the civil war on stage? How

can, as an actor who has this experience of the civil war, being on stage? How can I talk about

the war and how my body should be on the stage with this experience? And I started from this

question: why I am doing theatre? Because, actually, in 1995-96 I was doing theatre and I start

thinking “I am doing very well” and people [was] happy with what I was doing, but I was not

happy. I felt that I was repeating myself in a way, it was becoming a bit boring, not interesting.

So, I stopped and I started to think and it took me a while to reach these concepts and these

ideas, that swithced totally from what I was doing. But it started from these questions mainly

about the body and the war. How we tell the war? And why I am doing theatre? And why I

always should proove to the audience and to the press critic and to the friends that I am a

talented director and I have to make scenes with a magic and a lightening ... and people should

be always surprised (…) Why we are always in this exam, in this test?12

Tali posizioni portano la coppia Mroue/Saneh ad allontanarsi dalla scena del teatro di ricerca

esistente (in cui spiccava il collettivo di Rū īh  ‘Assāf) in cerca di una maggiore libertà

espressiva, aprendo ad una sperimentazione molto influenzata dalle speculazioni concettuali e

formali degli artisti visivi, libanesi e cosmopoliti, radunati dalla neonata associazione 'Aškāl

'Alwān ūnī  Šākar,  Walīd  ādiq,  Walīd  Ra‘ad,  la  coppia  ad itūmas‐ uray ,  'Akram 

Za‘a ari,  alāl Tūfīq, ...).13

Come spiega Saneh: We turned a page. It seemed the time to come (…) for us to distance ourselves from this

primary means of the practice, the body of the actor, which was in reality merely an accessory

(…) Turning this page on our practice, what were we proposing as an alternative to action,

understood as strictly a play of the body, often arbitrary and chaotic, and whos visual effects

become confused with theatricality? What does theater offer to be seen? We were, and remain,

conscious of what we do not want, rather than having ready answers to what we want or ought

to have done. We were confident of the urgency of radicalise our practice (..)14

Tali parole preludono ad un cambiamento radicale nelle linee di ricerca della coppia. Dal

1995 Rabih Mroue inizia a lavorare alla Future TV/Talfazat al-mustaqbal per la sezione

documentari e film d'animazione e, poco dopo, collabora con l'architetto e scrittore ūnī 

Šākar per la realizzazione di spettacoli teatrali e video come 'I rağ  yā  sayyidī,  'innanā  12 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut. 13 Vedi infra, III capitolo. 14 Saneh (2003: 90) in Tome (2003).

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nantażurika  fī‐'l‐ āriğ/Come  in  Sir,  we're  waiting  for  you  outside  1998 ,  prodotto dal

Masra  Bayrūt nel quadro delle celebrazioni del 50° anniversario della nakbah.

Dal punto di vista concettuale, Mroue/Saneh si orientarono verso una ricerca che indagasse i i

tabù, la routine, i meccanismi di quotidiana connivenza e complicità che perpetuavano lo

status quo politico e culturale e che semplificavano pericolosamente le situazioni complesse,

secondo la critica portata alla situazione politica libanese all'indomani della guerra.

Abbandonate le ideologie politiche e le ambizioni sovversive del teatro di ricerca degli anni

'60-'70, secondo i due attori occorreva ripartire dall'esperienza personale, dal vissuto

quotidiano degli stessi attori per trascenderlo e sviscerarne i dettagli, il “dato per scontato”.

A questo periodo risalgono gli spettacoli più audaci dal punto di vista formale e più criticati:

oltre alle performance già citate (Extension 19 e Ovrira), gli spettacoli 'I rağ  yā  sayyidī, 'innanā  nanta iruka  fī‐'l‐ āriğ/Come  in  Sir,  we're  waiting  for  you  outside  1998 ; alā at  mul aqat/Three  Posters  2000 ,  testo  di  'Ilyās  ūrī/Mroue; 

Biokhraphia/Bīū rāfīyyah (2002), regia di Saneh/Mroue, suscitano l'irritazione e il disagio

del pubblico:

With Ovrira I tried to go to the end of the experience of the corporeal. I rid the theatre of

everything except the bodies of the actors (…) they represented nothing. They unleashed,

unbridked, without hope, promise, or the portend of any illusion; moving untill collapsing from

exhaustion (…) a simple factuality the spectator had to evidence on his/her own. In falling they

were not victims of anything, they were merely exhausted (...)The spectator walked out

disappointed, disconcerted, irked, or even angry.15

Questa svolta estetica trova sostegno economico nelle politiche culturali della curatrice

Kristīn  u‘maha, fondatrice di 'Aškāl  'Alwān, che incoraggia l'opera teatrale della coppia

Mroue/Saneh nel quadro del primo Festival Home Works: Forum on cultural practices in the

region del 2000, a cui partecipano con 'I rağ qayd  ‘ā'iliyy/Family Civil Registry, regia di

Lina Saneh.

Dello stesso anno è One Thousands and One days e la già citata performance alā at mul aqat/Three Posters, scritta da Rabih Mroue ed 'Ilyās  ūrī,  presentata per  la  prima 

volta al Festival Ayloul/ Mahra ān  'Aylūl  e rielaborata nel 2004, dopo che la promozione

all'estero ne aveva reso necessaria una sostanziale revisione formale e linguistica.

15 Ivi, p.89.

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Negli anni successivi Rabih Mroue realizza la conferenza-performance16 Sukkān al‐uwar/inhabitants of images; 'Ab a u  ‘an  muwaffa   mafqūd/Looking  for  a  missing 

employée, (2003); Da‘nī  'uqifu  al‐tad īn/Make  me  stop  smoking; il video I, the

undersigned; e i cine-poème Bi‐'l‐rū   bi‐'l‐damm  e  Face  A‐Face  B/  wağh  A‐wağh  B.17

Quest'ultimo video è un racconto sull'infanzia dell'attore ricostruito attraverso vecchie

fotografie e cassette audio registrate durante la guerra per essere spedite al fratello, studente in

URSS. I documenti della memoria privata diventano cornice per gli eventi storici degli anni

'80, in una fertile confusione di registri e piani narrativi: le cassette registrano

indifferentemente gli inni per i martiri comunisti, i bombardamenti israeliani al Sud, le lezioni

di tromba, i dialoghi in famiglia.

Inizia per la coppia Mroue/Saneh un periodo di intensa attività in Libano e all'estero cui segue

un notevole successo di critica, soprattutto a livello internazionale, che li porta a partecipare a

prestigiosi festival di teatro e arti visive contemporanee a Londra, Parigi, Roma, Berlino,

Bruxelles, Tokio, Torino, Barcellona, Basilea, Vienna, … .18

Ad 'Aškāl 'Alwān si affiancano altri enti stranieri co-produttori degli spettacoli, come nel caso

di Who's  afraid  of  representation/Man  ya āfu  al‐tam īl? (2004), regia di Mroue/Saneh,

presentato a Home Work 3 (2005); Lā kam tamannat Nānsī 'an kull mā  ada a laysa siwa adbat  nisān/How nancy wished  that  everything was  an  april's  fools  joke,19 scritto da

Mroue/Toufiq per Home Work 4 (2007); Photoromance (2007); Theater with Dirty Feet

(2009).20 Linah Saneh, dopo il dottorato ottenuto a Parigi, insegna nel dipartimento di Belle Arti

dell'Université Saint Joseph, Rabih Mroue affianca all'attività teatrale la partecipazione a

numerosi film di registi libanesi ('Ašbā   Bayrūt/Beyrouth  Phantôme di Ġassān  Salhāb; Biddī 'anšūf/Je veux voire di ad itūmas‐ uray ; cortometraggi di 'Akram Za‘a ari) e la

redazione di articoli pubblicati su quotidiani libanesi21 e riviste straniere specializzate,22

16 Definizione dell'autore, vedi testo in Appendice. 17 Cenni biografici tratti anche dal link http://arab-art.org. Consultato online a febbraio 2011. 18 Vedi link http://universes-in-universe.org/eng/intartdata/artists/asia/lbn/mroue. Consultato online a febbraio 2011. 19 How Nancy, ad esempio, è prodotto da Ashkal Alwan, Tokio International Arts Festival, Festival d'Automne, La ferme du Buisson (Temps d'Images). 20 Photoromance è uno spettacolo prodotto da: Festival d'Avignon, Théâtre de l'Agora Scène nationale d'Evry et de l'Essonne, Festival/Tokyo, Hebbel am Ufer (Berlin), L'Etablissement public du Parc et de la Grande Halle de la Villette (Paris), Festival delle Colline Torinesi, 'Aškāl 'Alwān (Beirut). Vedi http://www.festivaldellecolline.it/edizione/showView/283, consultato online a febbraio 2011. 21 annān al‐ ā  ‘Alī (2010: 78). 22 David, 2002 e Parachute, 2002.

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spesso interessate alla pubblicazione dei testi integrali degli spettacoli.23

Nelle produzioni più recenti, inoltre, l'attore ha coinvolto alcuni giovani artisti non ancora

trentenni portando sul palco di Photoromance il chitarrista Šārbīl Hābir, e affidandosi alla

mano del disegnatore e grafico Ġassān Halwānī24 per la grafica di How Nancy.

Nel 2005 Rabih Mroue è tra i soci fondatori del Markaz Beirūt li-'l-fann/Beirut Art Center

(BAC), centro di arte contemporanea nella periferia di Beirut, curato da Sandrah  āġir, e, nel

2010, tra i fondatori della rivista Kalāmun in collaborazione con 'A mad Bay ūn. Suona il

flauto traverso e collabora anche con alcuni musicisti, tra cui la cantante libanese Rīmā 

šayš.

Rabih Mroue e Lina Saneh descrivono la svolta intrapresa nell'ultimo decennio di lavoro

come un periodo disomogeneo di sperimentazione, una ricerca artistica liberata dagli stilemi

del teatro precedente e nata soprattutto dall'urgenza di mettere in discussione le convenzioni

teatrali esibite sui palcoscenici libanesi del primo dopoguerra.25

In particolare, suggeriscono come la questione del corpo dell'attore in teatro e della fisicità

dell'uomo, straziato, abusato e iper-rappresentato durante e dopo la guerra, possa diventare

oggetto primario dell'indagine teatrale, in una rinnovata rincorsa all'autenticità del gesto, non

più pensabile come mimetico della realtà, né metaforico, né teatrale strictu sensu. L'attore in

scena deve agire sulla realtà im-mediatamente, cioè senza la mediazione costituita dai ruoli,

dai personaggi, dalle tecniche vocali o dalle partiture fisiche, né attraverso l'uso di costumi,

luci o scenografie sorprendenti: l'azione dell'attore si può condensare invece nella parola, nel

testo e nei procedimenti di story-telling, anche alla ricerca di un nuovo rapporto col pubblico,

che trascenda le finzioni e gli orpelli scenici tradizionali:

In my works I try always to reveal my techniques, my tricks and not to keep them hidden, so

the audience know why I am doing this. There is no secret, I reveal them (the spectators) the

mechanisms of the work.26

Molti spettacoli recenti di Rabih Mroue (Sukkān al‐ uwar/Inhabitants of image;  Da‘nī 'uqifu al‐tad īn/Make me stop smoking; Theater with dirty feet  sono in effetti lunghi monologhi

23 Vedi Appendice. 24 Realizza la prima mostra personale Barbarella, ou vas-tu? nei locali della Mission Culturelle Française, inverno 2010-2011, dove proietta anche il cortometraggio d'animazione Ğibraltār. Partecipa ad Home Work 5, aprile-maggio 2011, Beirut. 25 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut. 26 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut.

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la cui scena minimalista (cui l'attore si dice costretto anche per mancanza di fondi)27 è

costituita da una scrivania, una sedia da ufficio, una lampada da tavolo, un computer portatile

e una telecamera collegata ad un proiettore e uno schermo. Seduto al tavolo, l'attore dà inizio

ad una conferenza-performance e lo spettacolo prende le forme di una dissertazione anomala,

di una lettura pubblica decontestualizzata e straniante.

In questi monologhi, formalmente meno elaborati di How Nancy, Niokhraphia, Who’s afraid

of representation, Rabih Mroue offre una dimostrazione lineare della propria pratica artistica:

una pratica di decostruzione sistematica di linguaggi e generi, una pratica che coinvolge lo

spettatore in un ruolo attivo e vigile, una pratica sottile che induce il pubblico -soprattutto- a

pensare.28

2. Sul concetto di latenza/2: di promesse, bugie e altri stratagemmi 29

Le elaborazioni formali qui introdotte rispondono in effetti ad una duplice esigenza: da un

lato l'indagine sulla corporeità dell'attore, dall'altro la riflessione concettuale sull'idea di

latenza.

Il corpo dell'attore è in scena ma non si muove, è riaffermato nelle aspettative del pubblico

attraverso la negazione del movimento, è presente nella sua assenza, è latente. Secondo Rabih

Mroue, che in questo caso fa esplicito riferimento alle analisi dei cineasti libanesi

ad itūmas‐ uray , lo stato di latenza del corpo d'attore si fa metafora di un più generale

sentimento di irrisolutezza della guerra diffuso in Libano dal dopoguerra: la mancata

riconciliazione del corpo civile, la questione degli scomparsi e degli sfollati, i piani di

ricostruzione del centro storico, la legge di amnistia e i provvedimenti di

deresponsabilizzazione politica che lasciano senza mandanti i crimini commessi durante la

guerra sono solo alcune delle condizioni che definiscono lo “stato d'urgenza” e di “guerra

latente”30 in cui tanto l'artista, quanto il cittadino libanese si trovano a vivere. I cineasti

ad itūmas e  uray descrivono il concetto di latenza in questi termini:

27 Chabrol (2010) in Mermier-Varin (2010: 503). Sans renoncer à leurs ambitions artistiques, certains comme Rabih Mroue, en étaient venus à élaborer une esthétique minimaliste, en raison de son bas coût. 28 [He] also offers the most articulate explanation of his practice, which is, in effect, to be a troublemaker and intruder in whatever field or circumstance he happens to find himself in. By opening up his process, he also implicates us, as viewers, in his mischief, which is a subtle, wonderful way of prodding an audience to act, to question, to challenge and to think. Wilson-Goldie, 2010, consultato online (febbraio 2011): http://universes-in-universe.org/eng/nafas/articles/2010/rabih_mroue 29 Vedi supra, III capitolo, Nous sommes juste des mourantes: sul concetto di latenza/1. 30 Vedi supra, I capitolo.

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La latence nous pointe comme des possibilités en gestation, des traces, des réminiscences qui

deviennent fantomatiques et hantent les photographies, les films, les vrais ou faux documents.

Être là, aujourd’hui, c’est accepter de vivre avec ses fantômes, les rechercher, les nourrir. Être

hanté, c’est refuser l’état mécanique, la machine, c’est refuser de sombrer dans le cynisme,

dans l’acceptation des images et des réalités, dans un présent continu. Traditionnellement, la

latence se définit comme l’état de ce qui existe de manière non apparente mais qui peut à tout

moment se manifester, c’est le temps écoulé entre le stimulus et la réponse correspondante.

L’image latente, c’est l’image invisible d’une surface impressionnée qui n’est pas encore

développée ... S’ajoute également l’idée de “dormant”, de l’endormissement, comme quelque

chose qui sommeille et qui pourrait peut-être se réveiller. Pour nous, la latence, c’est être là

même si tu ne me vois pas, c’est la nécessité au-delà de l’évidence. C’est la réminiscence d’une

image, d’un savoir qui nous habite mais qu’il est difficile de saisir.31

Nel caso dello spettacolo 'Ab a u ‘an muwaffa  mafqūd/Looking for a missing employée, il concetto di latenza è centrale sia a livello artistico-formale, nell'assenza dell'attore sul palco,

che invece siede tra il pubblico e la cui immagine è proiettata in uno dei due schermi che

incombono sulla scena; sia a livello strutturale, in quanto la pièce investiga la scomparsa di un

impiegato del Ministero delle Finanze e le relative complicazioni giuridiche, sociali, politiche

che accompagnano l'infittirsi del caso, raccontato attraverso ritagli di quotidiani.

He is absent, absent with the promise to come back, meaning, he is present here and not

present, present and not seen, he is not dead yet is not alive … He catches tears welling up in

the eyes, but prevents them from overflowing to roll down his cheeks. Everything is suspended,

postponed, in a state of waiting … Expectant (…) The death that interests me is the death of the

idea not the death of the body. What I mean by death is that which relieves us from the pain of

waiting, the idea of waiting, the idea of searching … that which will liberate us from “looking

from the missing”. (…) The missing is a manifestation of latency, whether purposefully or not,

he represents the fertile grounds for narrative, fiction, imagination, storytelling, …32

3. Nancy e la storiografia There is a lot of history here, you can find it everywhere but it does not exist an absolute truth neither an absolute fiction. You need to create distance between subject and object to let doubts arise and to let you think.33

L'indagine sul ruolo del corpo latente in scena è particolarmente pregnante anche in Lā kam  31  ad itūmas e  urayğ  2004) cit. in Baumann (2009a). 32 Mroue,  'Ab a u ‘an muwaffa  mafqūd/Looking for a missing employee in Tome (2002: 132). 33 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut.

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tamannat  Nānsī  'an  kull mā  ada a  laysa  siwa  adbat  nisān/How  nancy wished  that everything  was  an  april's  fools  joke. Lo spettacolo è interessante anche per la critica

concettuale alla storiografia della guerra in esso proposta: lo spettacolo, testo di Fādī

Tūfīq/Rabih Mroue consiste infatti in una riscrittura della cronologia della guerra civile

secondo le testimonianze di quattro miliziani.

I quattro attori sono seduti su una stretta panchina in fondo al palco per tutta la durata dello

spettacolo. Unico oggetto di scena è il maxi-schermo del fondale: non c'è scenografia, non ci

sono cambi di luce, non c'è musica, non ci sono costumi, né trucchi, né colpi di scena. In How

Nancy non succede nulla, non ci sono azioni sceniche diverse dalla sequenza dei monologhi

degli attori, che rilasciano testimonianze contraddittorie e parziali e il cui testo scorre sullo

schermo, visibile al pubblico. I miliziani, combattenti comuni che parlano di morti “minori”,

di relazioni familiari, di confusione politica e di una storia tradizionalmente esclusa dalle

narrazioni degli storici, raccontano una guerra assurda, scandita da ricordi privati e

inconsueti, particolari assenti nelle cronologie accademiche sulla guerra civile.

I miliziani, ad esempio, iniziano a ricordare dal 1973, per rimarcare che la guerra civile era

cominciata prima dei fatti di ‘Ayn  al‐Rummānah del 13 aprile 1975,34 data ormai

comunemente accettata dai partiti politici e da qualche anno commemorata anche in

cerimonie pubbliche.35 La data della fine della guerra è indicata al 27 gennaio 2007, cioè il

giorno previsto per la rappresentazione della performance, poi censurata fino all'agosto dello

stesso anno.36

Entro la scansione temporale proposta, le testimonianze dei miliziani si succedono l'una

all'altra, le date si smentiscono, gli omicidi si susseguono nelle parole degli attori che restano

seduti in fondo al palco, sovrastati dallo schermo su cui vengono proiettati i poster dei martiri,

dei partiti e dei movimenti politici attivi durante la guerra civile, documenti storici preziosi

raccolti in una recente ricerca condotta da Zaynah  Ma‘ā rī per l'American University of

Beirut.37

ZIAD: (…) 1982 was very eventfull. I fought in many battles with the Amal Movement against many organizations. I was killed in many a battle, for exemple: I fought in the Baalbak battles against the Communist Party and was killed on January 28th in 1982; I fought in the southern

34 Vedi infra, Appendice. 35 La lotta per istituire una Giornata nazionale della memoria della guerra civile è stata portata avanti dal Comitato dei familiari dei rapiti e degli scomparsi e ha ottenuto riconoscimento governativo solo nel 2005. Vedi supra, I capitolo. 36 Per le note sulla censura dello spettacolo, vedi: http://www.thefileroom.org/documents/dyn/DisplayCase.cfm/id/1293 (consultato febbraio 2011). 37 Maasri (2009).

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battles against the Palestinians and was killed in Nabatiyeh on April 15th 1982, on a Thursday. For the first time I felt that all my moves were blessed by parental approval. (…) ZIAD: I had been dead for two months, killed in Amal's battles against the Palestinians when the Israelis invaded the South again. (…) I was killed by a direct missile, which penetrated the barricade. I was torn to shreds and my body disappeared. Then the Israelis entered Beirut. What could I could be done? Since my body was missing, I told myself why not carry out an operation on Salim Salam street. I contacted some brothers and we formed a clandestine cell. I must admit the mission was somewhat complicated by the difficulty of movement and communications.38

Se tutti gli elementi teatrali convenzionali vengono accantonati, se il corpo degli attori è

privato della sua fisicità e, nello sguardo degli spettatori, occupa lo spazio della promessa

dell'azione, se la voce viene utilizzata come mero strumento fonetico e non è indagata nelle

sue potenzialità espressive, è la parola dell'attore -e non la sua interpretazione, la sua

drammatizzazione- che si carica di pregnanza e si incarica di sostenere l'intero peso

drammaturgico dello spettacolo.

Il finale racconta l'incontro senza prospettive dei quattro miliziani che, alla notizia degli

scontri esplosi in città il 26 gennaio 2007 (il giorno precedente alla data prevista per la

rappresentazione dello spettacolo), raggiungono la torre Murr da cui, secondo le esperienze

vissute durante la guerra civile, è facile dominare il centro storico in caso di guerra aperta.

L'ultima battuta del testo - “interpretata” da una macchina da scrivere- è la seguente: TYPEWRITER: On thursday night, January 26th 2007, our units received an anonymous phone call reporting suspicious activity in the area of the Murr tower. Immediately a Lebanese Army unit went to the said location, and after searches and investigations, four bodies were found lying on the tower roof next to five military automatic rifles. The weapons were confiscated and the four bodies arrested. After questioning them, the four corpses gave full confession. It turned out that the confiscated weapons had permits. And since the perpetrated actions they confessed to fell under the General Amnesty law issued at the end of the war, the four arrestees were let loose with residency permits. Written in Beirut on January 27th 2007.

Diversamente dalla drammatizzazione esasperata, ricerca intrapresa ad esempio da awād al‐'Asadī,39 regista iracheno di stanza a Beirut il cui teatro è definito masra  karbaliyy40 dalla sua attrice Kārūl ‘Abbūd, o dal racconto poetico di Rū īh ‘Assāf,41 figure di riferimento della 38 Il testo integrale dello spettacolo è riportato in Appendice. Vedi infra. 39 Vedi ad es. l'adattamento della pièce Le due serve di Jean Genet presentato al Masra  Bābil, inverno 2009-2010. 40 L'aggettivo fa riferimento ai drammi religiosi sciiti, la ta‘ziyyah, che commemorano la morte dell'Imam Ḥussayn, avvenuta a Kerbala nel 680 d.C., e celebrati nel rituale di ‘āšūrā': il termine indica dunque uno stile molto drammatico, esagerato, epico. Sulle ta'aziyyah come esperienze originali del teatro arabo-islamico, cfr. Landau (1965); Haddad (1982); Ruocco (2010). 41Vedi ad es. l'ultimo spettacolo dedicato al pittore armeno Paul Guiragossian: Madīnat al-mar'āyah presentato al Dawwār al-Šams, aprile 2010.

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scena teatrale libanese e araba contemporanea, la ricerca di Mroue/Saneh non indaga la dimensione dell'interpretazione, della recitazione in senso tradizionale:

In How Nancy there is the projection of the text and we can read it, so it is just to tell that what we [the actors] are saying now is not anybody's story. It is something written and we can read it and we memorize it. It is just a profession that we are doing.42

I testi non sono recitati ma raccontati con il metodo e il ritmo di un conferenziere, un oratore,

un sofista: un professionista della parola che interroga e incanta il proprio pubblico giocando

con le chiavi del postmoderno: la decostruzione delle immagini e dei documenti storici, la

riflessione sulla rappresentazione e l'autorappresentazione, lo svelamento sistematico delle

proprie tecniche, delle proprie finzioni.

La centralità dei testi attira così l'attenzione del pubblico tanto in teatro quanto nelle riviste

accademiche di arte contemporanea, che pubblicano i testi di Mroue/Saneh principalmente

nella loro traduzione inglese.

La grande facilità linguistica di adattare uno spettacolo in lingue diverse dall'arabo (inglese e

francese) e la diffusione internazionale grazie alle pubblicazioni e alle partecipazioni ai

festival (a cui presentano spettacoli in arabo sottotitolati nella lingua locale, in inglese o in

francese) sono indizi che definiscono ulteriormente il pubblico raggiunto dai due attori: un

pubblico elitario della scena teatrale e intellettuale, libanese e internazionale, che può seguire

i due attori negli esperimenti postmoderni di decostruzione di tutti gli elementi teatrali

tradizionali (la rimozione dei personaggi, di una recitazione riconoscibile e rassicurante, di

una scenografia, …).

4. Telecamere, microfoni e pc: dispositivi della rappresentazione immediata

Gli spettacoli messi in scena da Mroue/Saneh costruiscono un dialogo metanarrativo tra la

presenza latente degli attori sul palco e la proiezione sullo schermo delle proprie immagini

filmate da una telecamera fissa. La sperimentazione sui mezzi visivi esprimerebbe, nella

ricerca dei due attori, il tentativo di svelare al pubblico la mediatezza della rappresentazione.

Nel primo spettacolo di questo tipo, 'I rağ  yā  sayyidī,  'innanā  nanta iruka  fī‐'l‐āriğ/Come in Sir, we're waiting for you outside  1998 , presentato per commemorare i 50

anni della nakbah,43 i tre attori sul palco porgevano le spalle al pubblico che ne poteva vedere

42 Intervista a Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut. 43 Spettacolo presentato al Masraḥ Bayrūt, dal 3 al 6 giugno 1998, nel ciclo di letture e performance intitolato 50. Nakbah e Resistenza. Sul palco: Rabih Mroue, Ṭūnī Šākar, 'Ablā Ḫūrī, Sāmir Qaddūrah. Una produzione

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il volto solo grazie alle riprese di tre telecamere collegate a tre televisori, frontali agli

spettatori.

Lina Saneh descrive così lo spettacolo:

The actors did not attempt to dispense the illusion of playing a role or a character, nor did they belabour to impress the audience with their technical and physical performance. Quite the contrary, they turned their back to the public on stage, showed impassible faces on television screens installed in front of them on a black wall that obstructed the opening of the scene and forbade any depth. Their voices were heard through microphones, commenting on the images, instructing the audience to remain in their seats without moving and to accept the images unravelling on television as identity because Palestine will not be freed.44

Gli attori entrano in scena e si siedono, armeggiano con le pile di videocassette sul palco e si

preparano a dare inizio allo spettacolo. Dopo un lungo silenzio, “l'attore n.4” rivela la chiave

dello spettacolo: “state dove siete e vi porteremo la Palestina”.45 Le televisioni trasmettono

videocassette con filmati della Palestina prima e dopo la nakbah, accompagnate dalle musiche

di Fayrūz, seguite da fotogrammi di Beirut dagli anni '60 agli anni '90, immagini di

combattenti palestinesi e di Jamāl ‘Abd al-Nā ir (Nasser), i massacri di abrā e Šātīlā, del

genocidio armeno, dell'Olocausto, il video di una vecchia in lacrime, un macello. Lo

spettacolo è costruito sulla relazione che gli attori sul palco istituiscono con le immagini e i

filmati trasmessi dalle tv (velocizzati, rallentati, interrotti, silenziati, sincronizzati, sfasati, …).

A picture has two dimensions. A picture cannot be crossed by a human being. A picture does not capture scents. A picture does not capture dust. A picture doesn't tell us how many steps we have to take from one corpse to the next. A picture prevents you from seeing. A picture prevents you from hearing. You are where you are; Palestine excites you and you don't see it.46

La relazione dell'attore con l'immagine suggerisce dunque una metafora che descrive la

relazione dello spettatore con la Palestina: la passività dell'attore di fronte alle immagini

trasmesse dalle televisioni è proporzionale alla passività storica del pubblico (i governi e i

popoli arabi?) che non riesce a guardare gli attori frontalmente se non nella loro

rappresentazione televisiva. Il pubblico, seppure così vicino agli attori sul palco, non viene a

dell'associazione Funnūn- Masraḥ Bayrūt. Testo integrale della performance in Appendice. 44 Saneh (2003) in Tome (2003: 91). 45 Cfr. testo della performance, in Appendice. 46 Cfr. ivi.

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instaurare un dialogo diretto ma solo mediato: gli spettatori si limitano a fruire della

rappresentazione dell'attore trasmessa sullo schermo.

Dopo aver girato le telecamere per filmare il pubblico in sala, registrarne le immagini su

alcune cassette e filmare l'intero procedimento grazie ad un'altra telecamera, gli attori escono

di scena lasciando il testo seguente scorrere sullo schermo:

He who was dealing with Israel is a traitor He who is against the Arab unity is a traitor He who is against coexistence is a traitor He who demands the separation of the two [Syrian and Lebanese] peace process is a traitor He who does not dream of the Arab unity is a traitor He who does not support the Islamic resistance is a traitor He who is against the Reconstruction Process is a traitor He who does not kill a Jew is a traitor He who does not wear a yellow badge on the day of the south is a traitor He who demands the retreat of the Syrian army [from Lebanon] is a traitor He who calls for demonstration is a traitor He who does not abide by the law is a traitor He who watches the Israeli TV is a traitor He who does not support the national football team is a traitor He who does not support the Palestinian resistance is a traitor He who wears jeans is a traitor He who does not stand up when the National Anthem is being played is a traitor He who emigrates is a traitor.47

Lo spettacolo finisce così, senza alcuna indicazione ulteriore. Gli attori non escono in sala per

ricevere gli applausi, né per fare inchini, come d'abitudine.

L’opera teatrale si incarica di mettere pubblicamente in discussione i procedimenti stessi che

permettono all'attore di pensare e pensarsi sulla scena, a suggerire al pubblico un

atteggiamento di scetticismo esistenziale da tenere nei confronti delle retoriche -ufficiali e

non- che plasmano i discorsi sulla nakbah e sulla sua rappresentazione. Il sistema

telecamera/schermo e il dispositivo tecnico-artistico del montaggio si fa metafora

dell'ambiguità intrinseca ai meccanismi della produzione delle immagini:

In those plays we eliminated all dramatic performance, or to be more precise, the status of representation in acting was very ambiguous, the video image was granted an enormous space. We were not proposing that theatre should reveal images manufactured in the media in lieu of the actor and his living presence, or his physical activity. Neither were these images there to create beautiful effects on stage, attractive tableaux, nor a place, a scenography, an ambiance. These images forged from the same everyday routine in which we are immersed, and from

47 Cfr. testo della performance, in Chakar-Mroue (2002: 99).

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official culture, we used them to interrogate their mechanism and functions, as well as our desires, fantasies, unsuspected ideological complicity, the complexity and fluctuating relations of power between those holding power -or powers- and those that endure this/these power(s), between governors and governed.48

5. Testimonianze orali e tazyī‘ al-waqā’y‘ (falsificazione degli eventi) Tale sperimentazione tecnica si fa anche più significativa quando interviene sulle

testimonianze orali di miliziani e testimoni che ricordano: il montaggio delle testimonianze in

How nancy o nel video I, the undersigned si carica infatti di significati ulteriori che aprono

alla problematica della memoria come fiction, come procedimento selettivo.

Il video I, the undersigned è esemplificativo a questo proposito delle modalità attraverso cui

Rabih Mroue si mette in relazione diretta con una testimonianza esemplare, quella di 'As‘ad

Šaftarī, ex-miliziano falangista, noto all'opinione pubblica per aver pubblicato nel gennaio

2000 la prima lettera aperta di scuse ufficiali per i crimini commessi durante la guerra civile.

Il video di Mroue inizia con la stessa frase della lettera di Šaftarī (Io chiedo perdono per …)

come struttura narrativa ricorrente su cui costruire l'intero video: la testimonianza si interroga

sulle responsabilità della leadership comunista implicata nella guerra e mandante degli

attentati suicidi compiuti a partire dal 1982 da numerosi martiri comunisti contro l'esercito

israeliano, tema affrontato anche in alā at mul aqat/Three Posters. Il breve video (8 min.

nella versione depositata all'archivio di 'Aškāl 'Alwān)49 è costituito dal testo della lettera

scritta da Rabih Mroue che scorre bianco in sovrimpressione su uno schermo nero. In altri

casi, come la mostra Art Now in Lebanon, curata ad 'Ammān da André Sfair Zemlār50 il

primo schermo è affiancato da un secondo, su cui va in onda il volto di Rabih Mroue filmato

in slow motion.51 

Dopo essersi interrogato sulla distinzione tra testimonianza (šahādah) e confessione ('i‘tirāf),

il testo in sovrimpressione suggerisce, indirizzandosi direttamente al pubblico, come la sua in

fondo non sia una vera testimonianza, ma solo kalimāt, kalimāt, kalimāt, ... (parole, parole,

parole …).

48 Ivi, p. 93. 49 Video consultato presso la sede di 'Aškāl 'Alwān, ‘Ayn marayssah, Beirut, autunno 2009. 50 Gallerista dell'omonimo spazio espositivo, situato a Beirut vicino alla zona della Quarantine/al-Karantīnā. http://www.sfeir-semler.com 51 Vedi l'articolo di Kaelen Wilson-Goldie, critico e giornalista, sulla mostra Art now in Lebanon, curata da André Sfair Zemlār a 'Ammān, marzo 2008. Pubblicato online: www.daratalfunun.org/main/activit/curentl/art_lebanon/b.htm (consultato a febbraio 2010): Nobody took the apology seriously, notes Mroué in the wall text next to the work. The installation juxtaposes the artist’s nearly catatonic face, filmed in slow motion, and the text of an imagined letter that is neither apology nor confession but a biting condemnation of amnesty and amnesia, and an uproarious critique of art and language.

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Lungi dall'essere una satira della testimonianza di 'As‘ad Šaftarī, oggetto tra l'altro delle

interviste di Borgman e Slīm raccolte nel film In Place (2009), il video di Mroue è invece un

omaggio a chi per primo ha rotto il silenzio sul gravoso passato delle milizie, contribuendo al

dibattito contemporaneo sull'amnesia e la memoria collettiva. Tuttavia, giocando sui piani

della fiction e del documento storico, il video I, the undersigned è anche un avvertimento al

pubblico a dubitare dei contenuti di qualsiasi testimonianza.

Il tema dell'uso delle testimonianze orali è del resto centrale nella produzione di Mroue in

quanto esprime la duplice natura di documento storico e momento performativo della

memoria del testimone.52

Le memorie di guerra, spiega Mroue,53 potrebbero raccontare vicende tragiche e orrori

inimmaginabili, ma tali storie sono inutilizzabili e sterili a livello artistico perché troppo

cariche a livello emotivo. Rappresentare tali testimonianze per fare arte significherebbe per

Kristīn  u‘maha e Rabih Mroue fare una “pornografia della guerra”,54 un approccio

totalmente improduttivo a vent'anni dalla fine della guerra civile.

Inoltre, Rabih Mroue sottolinea come esistano diverse modalità di accostarsi ad una

testimonianza orale e, in sostanza, come “non tutti i documenti siano uguali”. A questo

proposito, il caso della performance alā at mul aqat/Three Posters è esemplare.55

Lo spettacolo, scritto e interpretato da Rabih Mroue/'Ilyās  ūrī accosta l'argomento tabù delle

missioni suicide condotte dal PCL contro l'occupazione israeliana del Libano negli anni '80.

La prima scena che compone lo spettacolo prevede sul palcoscenico -completamente

sgombro- un monitor acceso che trasmette l'immagine di Rabih Mroue nei panni di un

miliziano. Indossa una tuta militare e alle sue spalle è appeso un poster di martiri comunisti

affiancato dalla bandiera comunista libanese. L'attore si prepara a cominciare (un particolare

importante a livello di analisi della regia) e inizia a interpretare la testimonianza d'addio di

ālīd  'A mad Ra āl, militante del PCL e pronto a lanciarsi in una missione suicida, che

viene trasmessa al pubblico in sala solo sul video. Dopo alcune frasi, un fremito alla voce e

un'incertezza nelle parole lo costringono a interrompere la registrazione del video-messaggio,

destinato come d'abitudine alle TV del territorio nazionale per annunciare il successo di

un'operazione suicida. Rabih Mroue/Ra āl registra a più riprese la propria testimonianza

52 Vedi supra, I capitolo. 53 Intervista con Rabih Mroue, 9/1/2010, Beirut. 54 Ivi. La definizione è stata applicata da Kristīn u‘maha alla produzione documentaria di ‘Umam, durante un nostro incontro informale presso la sede di 'Aškāl 'Alwān, novembre 2009, Beirut. 55 Cfr. testo della performance in David (2002).

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finché, insoddisfatto, si alza dalla sedia e si spoglia delle vesti di miliziano per rimanere in

abiti civili.

Nel frattempo si apre una porta sotto al monitor e ne esce 'Ilyās  ūrī, che prende posto in

sala, tra il pubblico. Nel vano della porta è ormai visibile Rabih Mroue, alle sue spalle i

poster, la bandiera e la telecamera che lo riprendeva. L'attore racconta la propria

testimonianza e si presenta come Rabih Mroue in qualità di ex-militante del PCL. In seguito

riassume lo spettacolo stesso, omaggio alla memoria dei martiri caduti per la liberazione del

Sud del Libano. Prima di uscire dalla stanza per raggiungere 'Ilyās  ūrī, seduto tra il

pubblico, introduce la seconda parte dello spettacolo che consiste nella messa in onda di una

sequenza di tre versioni quasi identiche dello stesso video-messaggio, testimonianze registrate

dal martire Jamāl  a ī poche ore prima della missione suicida del 6 agosto 1982. Alla fine

della cassetta, 'Ilyās  ūrī legge una breve nota di introduzione alla terza parte della

performance: un'altra videocassetta che contiene l'immagine sottoesposta di un politico del

PCL durante la guerra, all'epoca contrario alla missione suicida di Jamāl  a ī  ma 

comunque un dirigente responsabile delle decisioni del partito. L'immagine dell'uomo ‐'Ilyās 

‘A ā  Allāh‐ è visibile nitidamente solo per istanti prima di trasformarsi dall'ombra della

sottoesposizione alla luce bruciata della sovraesposizione. Rabih Mroue, rimasto dentro alla

stanza, raccoglie tutti i materiali della performance, si avvicina alla telecamera e la spegne.

Apre la porta della stanza la cui luce inonda il palco e, quando 'Ilyās  ūrī accende le luci di

sala, la performance è finita.

La complessa costruzione drammaturgica dello spettacolo allude a problematiche di diversa

natura, sia politica che stilistico-poetica. Tra i molteplici livelli interpretativi dell'opera si

mette in luce:

- il tentativo di ricordare i martiri di una società che troppo spesso esalta il martirio e

dimentica gli uomini: in the Arab countries, political powers, parties, religious communities and various official institutions continue still today to celebrate and praise martyrdom and collective death. This is done in the name “of the fatherland”, “of the soil”, “of liberation”, “of arab blood”, “of Islam”, and such other slogans. Yet these same societies swiftly forget their heroes, who are relegated to the status of mere names lengthening the list of martyrs.56

- il tentativo di creare dubbi attorno allo “statuto del testimone”: nella prima parte dello

spettacolo, ad esempio, è necessario che il pubblico riconosca che l'attore Rabih Mroue non è

56 Mroue (2002: 114) in David (2002).

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il non-ancora-martire Ra āl, ma interpreta il suo ruolo momentaneamente per abbandonarlo

nel momento in cui si sveste dei panni del miliziano;

- il tentativo di spiegare perché un futuro martire, la cui morte è imminente, ha bisogno di

registrare più volte la propria testimonianza “come se recitasse”. La dichiarazione di martirio

anzitempo e la sua ripetizione creano un non-tempo in cui il martire è vivo nonostante la

propria immagine registrata annunci la sua stessa morte. Secondo gli autori, la ripetizione

della testimonianza “Io sono il compagno martire Jamal Satti”, che assomiglia alla

recitazione di un attore, rivela il desiderio del militante di posticipare la propria morte e -allo

stesso tempo- di ritirarsi dalla vita combattendo.

- il tentativo di mettere in discussione i procedimenti di selezione, di editing della verità, tanto

in campo storico che in campo artistico:

Jamal Satti repeated attempts before the camera refer us to another question, that of the meaning of the “mediated truth” when it is broadcast to the public as an exceptional moment when “truth and fiction” intermingle. Similarly, his repeated attempts question us about the possibility of constructing an artistic work that aims to be critical about the notion of “truth”, a work that claims to convey the “truth” without any editing, even while being itself a “fabricated truth”.57

Cifra caratterizzante gli spettacoli di Mroue sembra essere la capacità di suscitare domande,

di provocare il pubblico su temi scomodi come, in questo caso, il martirio in ambito

comunista.

Secondo l'opinione del curatore inglese Wilson-Goldie:

The narrative devices that Mroué employs – the premises on which his performances are built

– almost always concern forms of inquiry that are open and underway in the time and space of

his works. His pieces almost always feel like works in progress. This is a clever bit of artistry,

of course, as Mroué’s performances are meticulously scripted and carefully staged and they do

not rely on or resort to improvised action or dialogue. But as structures or skeletons for his

works, these forms of inquiry have the effect of engaging viewers not with spectacle but with

the development of thought. His performances crack open the creative process and with it the

urgency of the issues that lie at the core of Mroué’s concern, namely the meaning of the body

on stage as a metaphor for the agency of an individual in society, culture, a political system and

a state.58

57 Ivi, 117. 58 Cfr. Wilson-Goldie, 2010. Art. pubblicato online e consultato a febbraio 2011 al link: http://universes-in-universe.org/eng/nafas/articles/2010/rabih_mroue

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Nel nuovo orizzonte estetico definito dall'attore come al-masra al-mufakkir, il “teatro

pensante”, prendono maggior peso le dichiarazioni rilasciate da Rabi Mroue in relazione:

all'assenza di metodo come caratteristica del processo creativo: I have no method. What I am doing now is not a model, it is a thinking theatre. I am writing, searching, postponing. I feel free and I have no principles and no limits. I am in a thinking phase and I hope to prolonge it.59

alla guerra: I do not want to forget, I do not want to remember, I want to think about the war.

alla storia:

there is a lot of history here, you can find it everywhere but it does not exist an absolute truth neither an absolute fiction. You need to create distance between subject/object to let doubts arise and to let you think.

Quanto alle relazioni tra politica e arte, quest'ultima, secondo Mroue, non può mai essere

intrattenimento: fare arte è invece una modalità di porsi questioni, un luogo dove poter

parlare ad alta voce e dove è possibile provocare almeno se stessi.

Inoltre, secondo la sistematizzazione teorica fornita da Lina Saneh, l'arte non può

rappresentare la vita o gli eventi, ma può tuttavia costituire un evento in sé. Il teatro, in

particolare, si fa evento quando interroga il quotidiano, quando “rivela l'invisibile e non

quando rivela il visibile”.60

6. Relativismo estremo e pubblico elitario: Rabi Mroue secondo Fawwāz  arābulsī

Di fronte alla presentazione del lavoro di ricerca teatrale sviluppato da Mroue/Saneh, si

propone l'opinione critica di Fawwāz arābulsī: miliziano per un gruppuscolo comunista

durante la guerra, ora storico apprezzato e docente all'AUB, si è occupato delle relazioni tra

cultura, nazionalismo e guerra in Libano, approfondendo, tra l'altro, gli spettacoli teatrali di

Ziyyād Al-Ra bānī e le canzoni di Fayrūz e dei Ra bānī come simbolo nazionale prebellico.

Secondo arābulsī, che tende a cercare nell'arte che si occupa di guerra “un'interpretazione,

una spiegazione”, un “messaggio sulla guerra”, le produzioni di Rabih Mroue e Lina Saneh

59 Questa e le citazioni seguenti sono tratte dalla mia intervista con Mroue, 9/1/2010, Beirut. 60 Saneh (2003) in Tome (2003: 94).

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sono talmente relativiste da porsi al riparo da qualsiasi critica contenutistica. Eppure,

nell'intervista con arābulsī cui si fa riferimento in questa sede,61 lo storico si lascia andare ad

una decostruzione meticolosa dell'opera dei due attori, prendendo ad esempio lo spettacolo

How Nancy.

Dalle modalità di finanziamento (“una produzione neo-liberale prodotta per un mercato

esterno”) al pubblico elitario (“uno spettacolo così a Beirut non supera le 300 persone”),

arābulsī descrive infatti la distanza che separa le produzioni “postmoderne alla moda

americana” di Mroue (e del gruppo di artisti radunato da 'Aškāl 'Alwān) dalla scena culturale

nazionale libanese: “può spostarsi facilmente da Ra's Beirūt [il quartiere degli intellettuali,

almeno fino agli anni '70] a Tokio, ma non può andare a al‐ ā iyyah [periferia sciita di

Beirut, a predominanza izbu‐llāh]”.

Secondo arābulsī, inoltre, la pretesa retorica brechtiana di seminare il dubbio nel pubblico

come tentativo di decostruire le narrative esistenti fonda piuttosto una narrativa nuova: quella

della vanità e dell'assurdità della guerra, una retorica che è totalmente impresentabile ad un

pubblico che ha estremamente sofferto durante la guerra o che ha estremamente creduto in ciò

in cui combatteva. Infine, l'opera di Mroue, per arābulsī, è incapace di interrogarsi sulle

cause profonde della guerra, unica domanda che può portare ad una nuova proposta politica e

poetica circa la rappresentazione delle guerre civili sulla scena culturale nazionale.

In relazione alle critiche avanzate da arābulsī sulle opere di Mroue, è opportuno distinguere

le ricerche prettamente estetiche dalla narrazione degli eventi storici che esse veicolano.

In primo luogo occorre ricordare che le rappresentazioni della storia libanese recente proposte

dall’attore (e sistematizzate in un più raffinato quadro teorico-filosofico dalla compagna Lina

Saneh) non pretendono certo di rispondere a domande di tipo storiografico. Tuttavia

contribuiscono al dibattito in corso sulla costruzione di una “coscienza storica nazionale” nel

momento in cui affrontano alcuni argomenti ritenuti tabù: il martirio in ambito comunista

( alā at mul aqat/Three Posters), le responsabilità dei popoli, dei paesi e dei media arabi

nella costruzione della questione palestinese ('I rağ  yā  sayyidī,  'innanā  nantażurika  fī‐'l‐āriğ/Come in Sir, we're waiting for you outside), le logiche miliziane di Lā kam tamannat 

Nānsī  'an kull mā  ada a  laysa  siwa  adbat nisān/How nancy wished  that  everything was an april's fools joke.  61 Intervista a Fawwaz Traboulsi, 2/6/2010, Beirut.

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In questo senso, la scelta di partire da un dato storico o di attualità come chiave per la stesura

di un testo teatrale, fa sì che le opere di Mroue e Saneh si inseriscano tutto sommato in

continuità rispetto alle produzioni del teatro libanese d’anteguerra, in particolare, rispetto al

teatro politico e impegnato degli anni ’60 e ’70, secondo quanto messo in luce nel capitolo

precedente.62

Gli elementi sostanziali di discontinuità si situano, piuttosto, a livello della ricerca stilistica-

formale, indubbiamente influenzata dalla stretta collaborazione con alcuni artisti visivi

contemporanei (Ra‘ad, Za‘a ari,  ad itūmas‐ uray , …), dalle modalità di finanziamento

e dai circuiti di diffusione di tali opere.

Tuttavia, la capacità di Mroue e Saneh di adattare al teatro certe forme estetiche proprie delle

arti visive (come la sperimentazione sulle tecniche di montaggio, la scelta del format della

“conferenza-performance”, l’uso di telecamere e schermi in scena) costituisce in sé un

tentativo in fieri degno di attenzione. Inoltre, tale ricerca non si esaurisce nella fascinazione

tecnica o nella “mera imitazione dell’arte postmoderna americana”, come secondo la critica di

arābulsī, quanto piuttosto cerca di riappropriarsi di dispositivi efficaci ricontestualizzati

dalla sensibilità dei due artisti in relazione alla specifica esperienza storico-artistica del

Libano contemporaneo.

In particolare, la sperimentazione sul concetto di latenza63 applicato al corpo dell’attore in

scena costituisce un tentativo originale di congiungere le tradizionali domande poste dal teatro

(il ruolo dell’attore e la sua corporeità, ad esempio) con le conseguenze profonde della guerra

civile e delle politiche della memoria successivamente elaborate.

I notevoli risultati raggiunti da Mroue e Saneh in teatro si sommano alle speculazioni di altri

artisti visivi attivi da quasi vent’anni in Libano e sempre più apprezzati e quotati all’estero

alimentando una scena culturale ristretta (sovraffollata di artisti e disertata dal pubblico di

massa) e rafforzando un linguaggio estetico ormai saturo che fa della guerra e delle sue

conseguenze il proprio argomento principale e, a volte, il proprio pretesto.

Anche per questo motivo, oltre agli artisti più giovani che si inseriscono nella nebulosa

artistica finanziata da 'Aškāl 'Alwān (Ra’id Yassīn, Fārtān Āfākīān, Marwa Arsānīūs, … ), è

opportuno citare in questa sede il lavoro di attori e registi trentenni che, anche se ammirano il

decostruttivismo radicale e la verve politica di Rabih Mroue, riescono a proporre spettacoli

teatrali che istituiscono una nuova relazione con il fardello delle memorie di guerra e le loro

62 Cfr, Salamé (1974) e vedi supra, III capitolo. 63 Secondo la definizione di Joreige-Hadjithomas: vedi infra, in questo capitolo.

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relative rappresentazioni.

7. Ultimi sguardi e nuove metafore:

le esperienze teatrali di Zuqāq, Māyā Zbīb,  ulūd Nā ir

Si fa qui riferimento ad un’“ultima generazione” di artisti libanesi, nati alla fine degli anni ’70

e spesso cresciuti lontani dal Libano in guerra, rientrati in patria ancora bambini alla fine degli

anni ’80.

Nella totale disomogeneità dei linguaggi artistici e delle produzioni teatrali promosse e

finanziate da università libanesi, progetti e paesi europei, ONG, Al‐ andūq al‐‘arabiyy  li‐'l‐

aqāfah wa‐l‐funnūn/The arab funds for arts and culture, si citano alcune esperienze teatrali

immature ma notevoli: la compagnia Zuqāq e il Collectif Kahrabā', Māyā Zbīb, ulūd Nā ir,

Rāymūnd usnī (volto noto del teatro e dei cortometraggi libanesi) e Marī arfūš, entrambi

impegnati nella compagnia franco-belga-libanese Arcinolether di Philippe Cotteret, Ġassān

Hālwānī (animazioni, grafica, installazioni di arte visiva e per il teatro), … .

Fondata nel 2006 a Beirut, in uno stabile nei pressi di ‘Adliyyah, e attiva in vari

contesti di emarginazione sociale, come i campi profughi palestinesi in Libano e il carcere

minorile di Beirut, l’associazione e collettivo teatrale Zuqāq64 organizza laboratori di teatro

per scuole, biblioteche e associazioni sparse su tutto il territorio nazionale.

Le pratiche di teatro sociale indagate dalla compagnia traggono ispirazione dal “teatro degli

oppressi” del regista brasiliano Augusto Boal, come è stato constatato in occasione dei

workshop realizzati nel campo profughi palestinese Al‐Ba  di Sūr/Tiro a dicembre 2009,

organizzati per sensibilizzare bambini e genitori sui temi della malattia mentale e

dell’handicap.

Di fianco agli intenti sociali e di dramaterapia che animano Zuqāq, la compagnia, composta

in forma variabile da  unayd  Sarī  al‐Dīn, Lamyā e ‘Umar 'Abī ‘Āzār, Māyā Zbīb, Hāšim

‘Adnān, Dānia Hammūd, Rūy Dīb, ha prodotto installazioni urbane (Lūrkā/Lorca, 2005)65 e

spettacoli interessanti anche da un punto di vista prettamente artistico, come Hamlat

64 www.zoukak.org 65 Il progetto Lorca prevedeva l’affissione di striscioni nelle strade più trafficate di Beirut, mentre la città era scossa da grandi manifestazioni di piazza (primavera del 2005) e centro storico e periferie erano tappezzate di foto, poster e cartelloni di propaganda politica. Gli striscioni firmati “Lorca”, riportavano versi poetici simbolici scritti da Federico Garcia Lorca, ma, nella concitata fase politica che viveva la capitale, si insinuarono in città come slogan di un nuovo partito politico minore.

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Mākīnah/Hamlet Machine, adattamento del testo del 1979 del drammaturgo tedesco Heiner

Müller, la cui pièce si proponeva come una riflessione programmatica sul teatro e sui suoi

fondamenti (i rapporti attore-personaggio, attore-pubblico, attore-spazio). 

Nella messa in scena di Zuqāq (ottobre 2009), il palco era ingombro di oggetti (specchiere,

maschere, un armadio, sacchi di plastica, manichini, tavoli, lampadari, una bara, …)

funzionali a delineare gli spazi scenici (proscenio a destra, proscenio a sinistra, corridoio

lungo centrale e taglio stretto vicino al fondale) in cui si articolavano le partiture fisiche dei

quattro attori sul palco. L’azione degli attori si strutturava attraverso travestimenti, cambi di

voce e interpretazioni sguaiate, costruendo quadri narrativi tra loro disconnessi a sperimentare

come la “non linearità della narrazione non elimini la storia”.66

Le rovine della storia (“la nostra storia rappresenta le rovine di rivoluzioni e sogni basate sulle

rovine dei poteri e delle ideologie sputate dal mare sulle nostre rive”) pesano su Amleto (il

performer) che continua a frammentarsi nei ruoli imposti in teatro. Tuttavia, proprio grazie

all’azione teatrale, può nonostante tutto godere di una posizione privilegiata per contemplare

“la tragedia della storia”:

il lavoro, considerato come un tentativo di toccare i tratti distintivi della tragedia del teatro contemporaneo, non imita la crisi esistenziale del genere umano dal punto di vista della fatalità metafisica classica, ma la crisi dell’essere umano in un presente caricato dei disastri ereditati da un passato politicizzato sfigurato, è la tragedia della storia, o la tragedia del presente della storia.67

Diversamente dalle pretese formali e concettuali di Hamlat Mākīnah/Hamlet Machine, il

monologo ‘Ulbat al mūsīqa/Carillon (2008)68 di Māyā Zbīb, attrice, collaboratrice di Zuqāq e

docente di teatro all’USJ, racconta una visione più intimista della storia, attraverso le voci

sommesse di alcune donne, giovani e anziane, che descrivono la relazione con la propria casa:

distrutta, occupata, abbandonata, trasformata in rovine dai grandi eventi della guerra civile e

dalle storie di famiglia.

Le rappresentazioni itineranti di Māyā Zbīb, allestite di casa in casa per un pubblico ristretto,

cercano di raccontare attraverso particolari minuti l’intimità delle testimonianze raccolte sul

campo dalla stessa attrice: lo sguardo di Māyā Zbīb è uno sbirciare indulgente sulle case e le

cose del passato, dove la guerra compare solo come un ricordo tra i tanti.

66 Questa e le citazioni che seguono sono tratte dal foglio di sala distribuito al Dawwār al-Šams di Beirut, ottobre 2009. 67 Ivi. 68 Zbīb (2010) in al‐ ā  ‘Alī (2010).

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Il testo in dialetto libanese, tradotto in questa sede69 e discusso con l’autrice a Beirut

(primavera 2010), è un monologo introspettivo, onirico e poetico, dal linguaggio semplice e

quotidiano, adatto a raccontare ricordi, dolori e nostalgie incolmabili, inscritte in ogni angolo

di casa e sempre presenti nel quotidiano.

Lo spettacolo Māšī 'ūn lāyn/ci vediamo online (2009) di ulūd  Nā ir (regista, attrice di

teatro e mimo) riadatta il testo Roberto Zucco di Koltès alle amnesie di un ex-miliziano

libanese che, parlando in chat con una ragazza curiosa e determinata (i cui monologhi sono

riadattati da testi di Sarah Kane) inizia a ricordare involontariamente il proprio passato

violento. L’uso attento di videocamere e proiezioni che moltiplicano le scene e sdoppiano gli

attori si fa strumento per rappresentare la frammentazione psicologica dei personaggi e dei

piani narrativi, diventando un filtro potente capace di distanziare e attenuare la recitazione dei

due attori.70

Senza voler esaurire la nuova scena teatrale giovanile, questi accenni intendono fornire

alcuni elementi di analisi utili a contestualizzare la svolta teatrale iniziata da Mroue e Saneh

nella seconda metà degli anni ’90. In effetti, gli ultimi spettacoli qui considerati recuperano,

rispetto alle ricerche di Mroue, l’uso delle tecniche attoriali in scena, delle drammaturgie, dei

personaggi e degli altri elementi scenici che caratterizzano la grammatica del teatro

tradizionale. La riscoperta di tali elementi, legati alla scelta di testi prettamente teatrali,

suggerisce una minore urgenza nel portare in scena l’attualità, la critica politica e la

riflessione diretta sulle memorie di guerra.

Inoltre, a livello linguistico, tali spettacoli usano esclusivamente l’arabo libanese (ricco di

espressioni idiomatiche in francese e inglese) con inserti di arabo classico, per rivolgersi al

pubblico disomogeneo del teatro Dawwār al‐Šams di ayyūnah. Infatti, gli ultimi artisti citati

collaborano alla piattaforma Mīdān al‐šabbāb/Forum dei giovani, lanciata nel marzo 2009

dall’associazione libanese al‐Šams con l’obiettivo di promuovere un “vero spazio di incontri e

dibattiti, creazione e riflessione che riunisce giovani appartenenti ai diversi frammenti della

società libanese, confessionali-politici-comunitari, e di diversi settori del mosaico culturale

libanese, composto da università, artisti professionisti, studiosi stranieri”.71 

69 Cfr. Appendice: Carillon di Māyā Zbīb. 70 Nāṣir (2010) in al‐ ā  ‘Alī (2010). 71 Cfr. programma del Dawwār al-Šams, stagione teatrale 2009-2010.

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Senza azzardare profezie sugli sviluppi successivi di questi giovani artisti, si conclude

sottolineando la vitalità artistica che caratterizza la scena teatrale beirutina contemporanea,

capace di sollecitare interrogativi politici e questioni estetiche e di inventare nuovi

immaginari poetici sulla storia del Libano recente.

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Conclusioni

Il percorso proposto in queste pagine si articola principalmente su due livelli: da un lato

introduce elementi utili ad approfondire, nel quadro della formazione del Libano

contemporaneo, le “politiche ufficiali della memoria” elaborate dai governi attivi dalla fine

del dopoguerra. Dall’altro, indaga le rappresentazioni artistiche della storia contemporanea e

le narrazioni sviluppate dalla società civile libanese per ricordare la guerra.

La bibliografia e le fonti considerate in questa sede (cui manca probabilmente una voce

contraddittoria, redatta su documenti ufficiali e personalità di governo) mettono in luce il

sostanziale fallimento delle politiche di riconciliazione promosse dalla leadership politica

libanese e basate, dal 1991 fino al 2000-2005, sul principio dell’amnistia politica e

dell’amnesia collettiva. Successivamente, l'abuso politico di termini quali muṣāla ah

(riconciliazione), aqīqah (verità), ‘adālah (giustizia), affermatisi nel dibattito pubblico in

particolare dopo l’assassinio di Rafīq al- arīrī (14 febbraio 2005) e la successiva 'Intifā ah

al-'Istiqlāl, non contribuì ad aprire un’indagine profonda sulle cause e conseguenze della

guerra civile.

La necessità di promuovere un dialogo sulle conseguenze della guerra e la riconciliazione del

paese sarebbe dunque caduta esclusivamente nelle mani della società civile, come dimostrano

i casi citati del Lağnah 'Ahāl al-Ma ufīn wal-Mafqūdīn fī-Lubnān/Comitato delle famiglie

dei rapiti e degli scomparsi, del convegno ākirah  li‐'l‐mustaqbal/Une mémoire pour

l’avenir, delle campagne di sensibilizzazione organizzate dall’ONG 'Umam.

Infatti, i miti di una guerra degli altri e di una guerra senza vincitori né vinti, la legge di

amnistia generale del 1991, il piano per la ricostruzione urbanistica di Beirut del 1992, le

leggi sugli scomparsi del 1995 e del 2001 erano infatti strategie giudicate totalmente

inaccettabili dall’eterogenea schiera degli “operatori della cultura della memoria”, i quali

interpretavano le politiche del governo come l’intenzione di perpetuare la guerra con altri

mezzi.

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E’ necessario sottolineare come il sentimento laico e anti-confessionale costituisca il comune

denominatore di quanti (intellettuali, attivisti, artisti, …) chiedono di “aprire i documenti del

passato” per promuovere politiche della memoria capaci di suscitare quella salutare crisi di

identità che permette una lucida riappropriazione del passato e della sua carica traumatica.1

Tali retoriche, che si pongono come neutrali in quanto superiori ed estranee all’arena

prettamente confessionale-politica, veicolando una visione nazionalista e laica del paese,

promuovono tuttavia una visione rimasta fino ad oggi minoritaria. Infatti, il Libano della II°

Repubblica, che con gli accordi di al- ā'if aveva messo in discussione solo superficialmente

le falle del confessionalismo politico precedente,2 nel 1990 e 1991 aveva di fatto riaffermato

la filosofia del libanismo elaborata da Mīšāl Šī ā negli anni ’40, che vedeva il Libano unito

solo in quanto frammentato, solo in quanto “somma di minoranze”.

Tale narrazione, contestata dai movimenti pacifisti e dai partiti della sinistra libanese e araba

(federati fino a metà degli anni ’80 nel Movimento Nazionale Arabo, poi scalzati dai partiti

islamici di 'Amal e izbu‐llāh), non ha trovato fino ad oggi un’alternativa capace di

sistematizzare diversamente il “mosaico libanese”, complicato dalla presenza di circa 400.000

palestinesi cui durante gli accordi di al- ā'if venne rifiutata la naturalizzazione (principio del

raf  al‐taw īn).

Che la selezione delle memorie sia un passaggio necessario all’invenzione di una

tradizione nazionale è già stato messo in luce in modo autorevole altrove,3 tuttavia, il caso del

Libano del dopoguerra esemplifica le strette connessioni tra la difficile costruzione di una

memoria condivisa, la definizione dell’identità nazionale e la redazione di una storia unitaria.

Le opere e gli artisti considerati in questa sede si inseriscono a pieno titolo in questo dibattito

e affrontano direttamente tanto la condizione di guerra latente perpetuata nel dopoguerra dal

mancato superamento del trauma del conflitto, quanto le responsabilità degli storici e della

storiografia.

L’approccio decostruttivista delle produzioni teatrali di Rabih Mroue, ad esempio, raggiunge

risultati efficaci sia dal punto di vista stilistico che concettuale, invitando il pubblico ad un

teatro “pensante” (masra   mufakkir). Facendo delle fonti primarie, terreno riservato per

definizione allo storico, il proprio campo di indagine artistica, Mroue riesce a smontare le

mitologie e le iconografie delle retoriche politiche, confessionali e storiografiche che si sono 1 Ricoeur (2003: 646). 2 Kassir (2000). 3 Cfr. ad es. Hobsbawm-Ranger (2002), Ricoeur (2003), Neuwirth-Pflistch (2001), Picaudou (2006).

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accumulate in Libano a proposito della guerra civile e del dopoguerra. Ma tale “relativismo

estremo”, secondo la critica dello storico Fawwāz  arābulsī, è improponibile al di fuori di

una ristretta cerchia di studenti, attivisti e intellettuali che condividono i presupposti filosofici

dell’attore e apprezzano la sua abilità nel prendersi gioco dell’ordine politico e confessionale

del paese. In questo senso, il discorso di Rabih Mroue si pone in totale continuità con le

posizioni secolariste -e minoritarie- che caratterizzano gli “operatori della cultura della

memoria” descritti da Haugbolle.4

Infine, se la rappresentazione della storia e della storiografia della guerra civile e delle sue

conseguenze ha attirato le attenzioni di un’intera generazione d’artisti, aprendo numerose

problematiche che spaziano dai progetti nazionalisti e confessionali alle dinamiche del

mercato globale dell’arte contemporanea, sarebbe necessario interrogarsi più a fondo sui

meccanismi di finanziamento di tali produzioni artistiche. Di fronte alla scarse disponibilità

pubbliche, assumono infatti un ruolo notevole i fondi stanziati da alcune istituzione arabe per

la cultura (Al‐ andūq  al‐‘arabiyy  li‐'l‐ aqāfah  wa‐l‐funnūn/The arab funds for arts and

culture) e i fondi libanesi privati, stanziati da banche e da grandi quotidiani nazionali (Al-

Safīr Al-Nahar, Al-'A bār, The Daily Star, L’Orient-le jour). Tuttavia, in misura di gran lunga

maggiore, sono soprattutto gli investimenti europei e americani a garantire buona parte delle

produzioni teatrali contemporanee, attraverso le reti economiche strette tra la diplomazia

straniera (in particolare il Service de Coopération et d’Action Culturelle dell’ambasciata

francese, l’ambasciata tedesca), i centri culturali europei (Mission culturelle française, Goethe

Institut, Ford Foundation, SIDA: Swedish International Development Cooperation Agency,

Dramatiska Institutet), le ONG, i progetti ad hoc, i teatri e le associazioni locali.

A questo proposito, tali dinamiche trovano applicazione anche nel campo del cinema, dove

molti registi libanesi sottolineano la penuria dei mezzi nazionali e la necessità di affidarsi ai

fondi stranieri. Allo stesso tempo, sottolineano come i fondi internazionali implichino sforzi

più o meno gravosi di adattamento del regista ad un finanziatore e ad un pubblico non più

solo libanese, ma anche internazionale, con il rischio di trasformare il film in una “guida

turistica per stranieri”. 5

4 Cfr, Haugbolle (2010). Vedi supra, I capitolo: memory cultural agents. 5 Khatib (2008: 40). I cineasti intervistati dall’autore spiegano ad esempio che, nel caso di co-produzioni libano-francesi, i registi devono garantire ai produttori di usare una percentuale di lingua francese nel corso del film proporzionale ai finanziamenti ricevuti.

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In attesa che una nuova generazione di studiosi6 elabori una storiografia critica basata

sugli archivi ufficiali, in attesa che i governi aprano i capitoli più bui del passato recente del

Libano per intraprendere passi ulteriori nel lungo processo verso la pacificazione civile, i

frammenti di storia elaborati dagli artisti qui considerati costituiscono un tentativo

consapevole di fare selezione entro la catena degli avvenimenti e, forse, iniziare a

dimenticare.

6 Oltre all’opera notevole di Fawwāz Ṭarābulsī, Karlah 'Iddah e Ğūrğ Kūrm, unici storici a tenere corsi di Storia contemporanea in alcune Università di Beirut, come già ricordato nel I capitolo.

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 • Filmografia 

 I titoli di film, documentari, video, animazioni, sono indicati in traslitterazione dall’arabo, in inglese o francese, secondo l’uso.  'Abī  amrā, Māhir 2004 Dawrah Šātīlā/Rond‐point Chatila  Baġdādī, Mārūn 1974 Bayrūt, yā Bayrūt!  Borgmann, Monica – Slīm, Luqmān 2005 Massaker 2009 In place  Duhayrī, Ziyad 1998, Bayrūt al‐ġarbiyyah/ West Beirut  ālwāni, Ġassān s.d.   ibral ār  NBN Television s.d.  'A zāb Lubnān documentari realizzati dalla Televisione NBN sulla storia dei partiti libanesi   Sabbāġ, Ġandah 2003  ayyārah min waraq/Le cerf volant  Salhāb, Ġassān 1998, 'Ašbā  Bayrūt/Beyrouth phantôme 2002, ‘Ar  ma hūlah/Terra incognita 2007,  Posthume  2009, 1958  Šama‘ūi',  ān 2000,  aīf al‐madīnah/L’ombre de la ville  Zā‘a ari, 'Ākram 1998 al‐Šarī  bi‐ ayr/All is well on the border 

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• Interviste Colloqui raccolti in italiano, inglese, francese, secondo necessità.  

‘Assāf Rū īh / Assaf Roger, regista, attore e drammaturgo, 26/5/2010, Dawwār al‐Šams 

Beirut. 

Cavalleri Matteo, studioso di filosofia estetica, 3/3/2010, Milano 

Chabrol Arnaud, dottorando all'Université di Aix‐en‐Provence, 14/4/2010, Mūnūt, Beirut. 

Collectif Kahrabā', duo di attori e marionettisti, incontro del 5/1/2010, al‐ amrā' Beirut. 

Marī  arfūš,  attrice  della  compagnia  Arcinolether,  incontro  del  5/1/2010,  al‐ amrā', 

Beirut. 

usnī Raymūnd, attore di cinema e teatro, incontro del 5/1/2010, al‐ amrā', Beirut. 

Kevidtidtchian Sevag, docente di storia all'American University of Beirut, ricercatore per 

l'ONG 'Umam, 20/5/2010, al‐ ā iyyah, Beirut. 

De Mo Anne,  operatrice  cinematografica, montatrice  e  collaboratrice  di  'Umam, maggio 

2010, al‐ ā iyyah, Beirut. 

Muruwwah  Rabī‘/Mroue  Rabih,    regista,  attore  e  drammaturgo,  9/1/2010,  al‐ amrā', 

Beirut. 

Nā ir,  ulūd, incontro del 5/1/2010, al‐ amrā', Beirut. 

Su‘ayd Mārī Klūd, responsabile delle pubbliche relazioni per l'ONG 'Umam, 2/4/2010, al‐

ā iyyah, Beirut. 

arābulsī  Fawwāz,  scrittore,  storico  e  docente  all'American  University  of  Beirut, 

2/6/2010, AUB, Beirut. 

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Appendice

TESTI:

1. Cronologia Ragionata della storia del Libano Moderno

2. CEDRE (Centre Libanais de Documentation et des Recherches), 1982, La production culturelle au Liban pendant les années de guerre Beirut, Ministère de l’Information.

3. The inhabitants of images di Rabih Mroue (s.d.),

per gentile concessione di ‘Ashkal ‘Alwan, Associazione per le Arti Plastiche in Libano.

4. Carillon

Traduzione mia del monologo teatrale di Māyā Zbīb ‘Ulbat al mūsīqa (2008) 2010 annān al- ā ‘Alī (a cura di), al-Kitābah al-masra iyyah al-lubnāniyyah al-ğadīdah (Carillon in La nuova drammaturgia Lebanese), Beirūt, Chemaly & Chemaly.

علبة الموسيقى .5

Testo originale di Carillon, per gentile concessione dell’autrice.

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TESTO.1.

Cronologia Ragionata della storia del Libano Moderno

“Molto è stato scritto a proposito della battaglia dell'Holiday Inn. Storie e aneddoti, alcuni credibili e

altri incredibili. Ma so per certo una cosa: quello che ho letto a proposito della mia morte era vero al

cento per cento!”1

Questa cronologia è stata redatta tramite l'incrocio di fonti diverse non indicate eccetto nel caso di

citazioni dirette degli autori o di dati quantitativi. Principali testi di riferimento, tuttavia, sono

Traboulsi (2007), Kassir (2009), Maasri (2009), Haugbolle (2010).

I nomi presenti nel testo non sono traslitterati.

*

1516 Conquista ottomana della Siria. 1584 Primo collegio maronita al Vaticano. 1590-1633 Fakhr al-Din II° della famiglia drusa dei Ma’an, diventa emiro del Monte Libano: promuove una politica di indipendenza e autonomia dall’autorità del wali di Damasco. Avvia la sericoltura per incentivare un nuovo mercato di esportazioni verso il Granducato di Toscana, con il quale intrattiene intensi contatti. Concede agevolazioni fiscali ai mercanti europei installati sulla costa. E' un'epoca di movimenti demografici determinanti per la costituzione del Monte Libano e dello Shuf come zona mista di contadini cristiani (manodopera dequalificata, piccoli commercianti, artigiani) e comunità druse (guerrieri di origine tribale) e per la progressiva espulsione delle comunità sciite. Diffusione delle missioni cattoliche tra le comunità maronite del Monte Libano. 1788/1840 Bashir Shihab II°, “l’emiro sanguinario”: convertito al cristianesimo, alleato dei drusi della famiglia Junblati, promuove una politica centralizzatrice che suscita una prima “Rivolta delle tasse” del 1820-21. Potenziamento della chiesa Maronita nel Monte Libano come istituzione economica, sociale e culturale. 1831/1840 Conquista egiziana: Ibrahim Pasha, figlio di Mohammed ‘Ali, conquista la Siria ottomana grazie all’appoggio militare e logistico di Bashir Shehab II°. Monopolio di stato sulla sericoltura e ampliamento del porto di Beirut. Ammodernamento delle istituzioni sul modello egiziano. Nel 1838, per la prima volta, scoppiano rivolte su base confessionale che contrappongono la popolazione drusa, insoddisfatta delle politiche egiziane, e le truppe cristiane armate dall'Emiro Bashir e fedeli a Ibrahim Pasha. Giugno 1840 Ribellione dei leaders comunitari libanesi alleati contro le politiche di tassazione,

1 Dal testo di La-kam tamannat Nancy law an kull ma hadatha laysa siwà khadbat nisan/How Nancy wished that everything was an april's fools joke?,scritto da Rabi' Mroue e Fadi Toufiq (2007). Vedi IV capitolo.

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corvées e leva obbligatoria imposte dal governo di Ibrahim Pasha, residente a Damasco, sostenuto e armato dalla Francia Ottobre 1840 Il bombardamento di Beirut e lo sbarco delle truppe ottomane, inglesi e austriache a Junieh mettono fine all’avventura egiziana in Siria e al regno di Bashir Shehab II°. Come spiega Traboulsi:

Although the Christian emirate was now dead, it becomes transformed into a banner under which many Maronites would rally for decades to come.2

1840 Pressioni dirette del patriarca maronita insediato nella montagna libanese alla Sublime Porta per chiedere riforme politiche e giudiziarie nel segno delle Tanẓīmāt appena emanate (1839). In particolare, si propone la creazione di un gruppo di 12 notabili, 2 per ogni confessione riconosciuta, con funzione consultiva dell'Emiro del Monte Libano, di fede cristiana. Chiede inoltre al Sultano di riconoscere la Francia come potenza protettrice della comunità maronita. Il 13 gennaio 1842, in seguito agli scontri tra le comunità maronite e druse (marginalizzate ed esautorate dalla facoltà di eleggere il principe), Istanbul dichiara la fine dello statuto speciale per il Monte Libano e nomina ‘Umar Pasha governatore. 1840/1860 Collasso del sistema amministrativo e fiscale ottomano. Asimmetria e diseguaglianza nella divisione sociale del lavoro e delle tasse tra le comunità cristiane (soprattutto contadini, piccoli commercianti e artigiani) e druse (soprattutto guerrieri e non-produttori a tassazione ridotta) nei villaggi misti del Monte Libano. Mobilità della classe media cristiana commerciante: i villaggi costieri e montanari (Zuq Mikhail, Junieh, Dayr el-Qamar e Jizzin nello Shuf, Rashaya e Hasbaya nella Biqa’, Zahleh) diventano i nodi fondamentali della nuova rete di scambi che connette il Monte Libano e la Biqa’ con la Siria e la Palestina: produzione, commercio e stoccaggio di bestiame, cereali, seta grezza, artigianato, pelli, armi. Beirut, decaduta in periodo ottomano, viene rilanciata sotto il governo egiziano, approfittando della crisi di Tripoli, Saida e Accre: periodo di forte crescita demografica (da 6.000 abitanti nel 1830 a 25-50.000 nel 1860, di cui la popolazione cristiana costituisce la metà) e economica (il valore dei beni in transito da Beirut tra il 1827 e il 1860 cresce dell’800%). Inoltre, grazie all’esportazione di seta grezza in Francia, diventa il porto principale di Damasco, cui sarà connessa con una strada diretta nel 1856. La chiesa Maronita si afferma come uno dei più potenti attori politici del paese (a metà XIX° secolo è il più grande possidente terriero del Monte Libano). 1843 Sistema della doppia Qa’ymaqamya (qayma qamyatain, nella forma duale) promossa dal Cancelliere austriaco Metternich con sostegno britannico e approvazione ottomana: divisione del Monte Libano in due regioni amministrative distinte, ognuna governata da due wakil, un druso e un cristiano, che esercitano funzioni giudiziarie e fiscali sulle rispettive comunità. Scontri violenti sull'amministrazione della Montagna placati dall’intervento diretto della Sublime Porta (1845-1848): il règlement emanato dall'ufficiale ottomano Shekib Effendi costituisce la prima formalizzazione legale del principio della rappresentanza politica su base confessionale. 1860 “Gli eventi del 1860”: a nord, rivolte sociali della popolazione contadina cristiana contro i propri feudatari cristiani; a sud, nelle regioni miste, guerra civile a matrice confessionale tra contadini cristiani e signori della guerra drusi: massacri delle principali comunità cristiane nei villaggi dello Shuf (Deir al-Qamar, Jizzin, Sabghin, Harbaya, Rashaya, Zahleh). Pulizie confessionali praticate da entrambi i campi, anche a danno delle minoranze sciite. Violenze anti-cristiane scoppiano fino a Damasco. L'intervento ottomano è risolutivo (luglio 1860). Sbarco delle truppe francesi di Napoleone III° (con Ernest Renan al seguito) che sognano l’emulazione della 2 Traboulsi (2007: 14).

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missione napoleonica in Egitto del 1798, l’istituzione di un’enclave cristiana protetta in Medio Oriente e il potenziamento degli investimenti economici nella sericoltura libanese. Come commenta Traboulsi, la rilevanza data agli “eventi del 1860” nella storiografia successiva è legata agli “eventi” della guerra civile del 1975.

We are told that history doesn’t repeat itself, yet it has remarkable knack for reactualising past events and scenes. In this sense, the present serves sometimes to elucidate the past. For the contemporary Lebanese who have lived through the wars of 1975-1990, a chronicle of the “events of the 1860” would be an occasion to review scenes that seems quite familiar. (…) Sieges have been repeated in Zahleh, Dayr al-Qamar, Jizzin and Damur; inhabitants have fled by sea from the latter on boats sent from Beirut by Bishop ‘Awn and from Junieh on French vessels, fearing a Druze and Shi’i invasion from the Biqa’. What can we say about political assassinations, such as the reported attempts on the lives of Tanius Shahin and Patriarch Mas’adm the two leaders who maintained a mesure of independence vis-à-vis external forces?3

9 giugno 1861 Una commissione internazionale composta dai consoli inglesi, francesi, prussiani, russi e austriaci elabora il Règlement organique per istituire la Mutasarrifiya del Monte Libano (o Petit Liban): il territorio unisce le suddivisioni amministrative precedenti (qa’ym maqamyatain) in un unico distretto sotto la guida di un governatore ottomano cristiano non-arabo, relativamente autonomo e dotato di estesi poteri esecutivi, che dipende direttamente dalla Sublime Porta (e non più da Damasco, cui ancora appartengono le città di Tripoli, Beirut, Saida). Il nuovo regime prevede l'istituzione di un Consiglio Amministrativo con funzione consultiva costituito da 12 membri eletti in 5 distretti territoriali, ossia, 2 membri per ognuna delle comunità religiose riconosciute (Maroniti, Drusi, Greci Ortodossi, Greci Cattolici, Sunniti, Sciiti). La Mutasarrifiya è composta da 7 distretti (cazat) e l’unica forza armata legittima è la gendarmerie, organizzata da ufficiali francesi. Il Petit Liban della mutasarrifiya si sviluppa economicamente grazie all'importazione e allo stoccaggio di materie prime (cereali) dalla Siria e grazie alle esportazioni verso i mercati francesi (la monoproduzione della seta per l’industria tessile di Lione rende un terzo delle entrate totali, seguita da tabacco e olio d’oliva): questo sistema favorisce lo sfruttamento coloniale francese delle risorse locali e implica una crescente dipendenza del Monte Libano dalle importazioni alimentari siriane. Nel 1864 una modifica al regolamento porta a 7 i rappresentanti cristiani e a 5 i musulmani nel Consiglio Amministrativo: la situazione di vantaggio politico della comunità maronita si somma ad una rapida crescita demografica e all’ascesa di una classe media, politicamente riformista, legata all’economia coloniale, alle libere professioni e alla nuova amministrazione, da cui i tradizionali antagonisti drusi restano in un primo tempo marginalizzati. E' un periodo di forte crescita demografica che trova risposta nelle migrazioni di massa: tra il 1860 e il 1914 circa un terzo degli abitanti del Monte Libano lascia il paese.

1865 1895 Maroniti 171.800 229.680 Greci Ortodossi 29.326 54.208 Drusi 28.560 49.812 Cattolici 19.370 34.472 Sciiti 7.611 13.576 Totale 266.487 398.594

Statistiche demografiche relative al territorio della Mutasarrifiya tra il 1860 e il 1895.4 1866 Fondazione della Protestant Syrian American College, in seguito American University of

3 Traboulsi (2007: 40). 4 In Spagnolo, John France and Ottoman Lebanon, London, Ithaca Press (1977: 24). Op. Cit. in Traboulsi, 2007.

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Beirut (AUB). 1874 Fondazione a Beirut dell’Università gesuita Saint-Joseph. 1876 L’emanazione della Costituzione ottomana nel più ampio quadro delle riforme imperiali incoraggia i movimenti nazionalisti e riformisti ormai attivi in tutte le province: nella mutasarrifiyyah del Libano, l’emergente classe media maronita entra in conflitto con le politiche ecclesiastiche del patriarcato, sostenitrici principali dell’economia coloniale francese. 1887 La Sublime Porta nomina Beirut capitale di una nuova wilayat costiera che comprende anche la Mutasarrifiya: la città si va affermando dagli anni 30 del XIX° secolo come principale intermediaria commerciale con le potenze europee, attraverso le esportazioni di seta grezza in Francia e le importazioni di manufatti industriali inglesi e di cotone. L’assenza di un forte artigianato locale incentiva lo sviluppo di una borghesia impegnata nel terziario, rendendo Beirut la sede privilegiata di banche, assicurazioni e compagnie marittime. Rapida crescita demografica e conseguente urbanizzazione informale delle zone periferiche, attraverso l'insediamento di numerosi sfollati dalle guerre delle montagne del 1840 e 1860. Riorganizzazione del centro storico di Beirut. 1912 Bombardamento italiano di Beirut in funzione anti-ottomana. 1915 L’Impero Ottomano entra in guerra e abolisce lo statuto speciale della Mutasarrifiya, invia ‘Ali Munif Bey a Beirut per ristabilire il controllo diretto di Istanbul e reprimere le rivolte autonomiste: 33 nazionalisti sono condannati a morte e impiccati in piazza dei Cannoni a Beirut, che prende il nome di Piazza dei Martiri (6 maggio 1916). 1916 Francia e Gran Bretagna stipulano gli accordi segreti di Sykes-Picot per la spartizione del Medio Oriente in aree di influenza. Una terribile carestia a Beirut e nel Monte Libano causa oltre 100.000 morti mostrando la totale dipendenza della neo-capitale dalle riserve agricole siriane e dai commerci internazionali. 1916-18 Rivolte Araba guidata da Faysal per l’indipendenza della “Siria Naturale”. 1918 Truppe inglesi e francesi sbarcano in Libano contro l’esercito ottomano per il controllo della Siria. 1920 Nel quadro della conferenza di Pace di Parigi del 1919/1921, la conferenza di San Remo decreta la spartizione del Medio Oriente tra Francia e Gran Bretagna: la Francia ottiene il mandato sulla Grande Siria. Dopo la definitiva vittoria francese su Faysal, sostenuto dalla Gran Bretagna, (battaglia di Maysalun, 24 luglio 1920), la Grande Siria è spartita in “stati autonomi” minori: il Grande Libano, Aleppo, Damasco, lo Stato Alawita, il Jabal al-Druze. Il 1 settembre 1920, viene ufficialmente dichiarata la creazione del Grande Libano sotto mandato francese, assecondando la linea del Patriarca maronita e suscitando le proteste anche violente dei nazionalisti riformatori. I confini della nuova entità geografica-amministrativa del Grande Libano si estendono da Akkar e Tripoli nel nord, alla valle della Biqa’ e alla catena dell’anti-Libano ad Est. Resta irrisolta la questione dei confini meridionali con la Palestina britannica. Il nuovo stato libanese include circa 380.000 persone ai 330.000 abitanti della mutasarrifiyyah, squilibrando i rapporti comunitari. Si anima un vivace dibattito politico sull’identità del Grande Libano e sui suoi rapporti con la Siria: emergono posizioni panarabiste e filosiriane, il nazionalismo riformista e protezionista del Partito del Progresso, le posizioni filo-francesi degli intellettuali cristiani riuniti attorno a La Revue Phéniciennee di Charles Corm. 1923 Gran Bretagna e Francia ratificano l’accordo di spartizione della Galilea tra Grande Libano,

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Siria e Palestina fissando i confini meridionali libanesi a sud del Litani. 23 maggio 1926 Proclamazione della Repubblica Libanese sancita dalla Costituzione: gli artt. 9, 10 e 95 limitano i poteri delle comunità religiose alla sfera del diritto privato e di famiglia e associano il principio della rappresentanza politica al confessionalismo. Il Presidente della Repubblica detiene ampi poteri esecutivi e risponde solo all’autorità dell’Alto Commissario francese. Le compagnie francesi detengono il monopolio dei servizi pubblici e nei principali settori dell’economia. Fallimento della sericoltura negli anni Trenta e emigrazioni di massa. 1932 Censimento: debole maggioranza assoluta Cristiana (402.000) sulla popolazione musulmana (383.000).5 Anni '30 - Fondazione di numerosi partiti e associazioni giovanili paramilitari ispirati alle esperienze fasciste e nazionaliste europee: la definizione dell’identità libanese è la questione su cui si differenziano i nascenti partiti di massa libanesi: il Partito Comunista (1924), il Partito Nazionalista Socialista Siriano di Antun Sa’adeh (1932), il Partito dell’Unità Libanese di Tawfiq ‘Awwad, il Kata’ib di Pierre Jumayel (1936), il Najjad di ‘Adnan al-Hakim, l’organizzazione sciita al-Tal’i’ di Rashid Baydun. 1936 Trattato franco-libanese di Indipendenza. Estate-autunno 1943 Il Presidente maronita Bechara el-Khoury e il primo ministro sunnita Riyad el-Sulh elaborano il Patto Nazionale (al mithaq al watani), accordo non scritto che cerca di definire l'identità del Libano moderno: in cambio della promessa cristiana di riconoscere il volto arabo del paese e di rifiutare l'intromissione straniera (francese) negli affari interni, i leaders musulmani riconoscono la totale indipendenza e sovranità del Libano entro i confini del 1920 rinunciando a qualsiasi ambizione di annessione alla Grande Siria. Il Patto decreta la divisione delle massime cariche dello Stato secondo i criteri del confessionalismo politico di epoca mandataria e tardo-ottomana: il Presidente della Repubblica deve essere un maronita, il Primo Ministro un sunnita, il portavoce del Parlamento uno sciita. Novembre 1943 Il Parlamento libanese dichiara la fine del mandato francese: nonostante la repressione francese dei principali leaders politici, il 22 novembre la Francia è costretta a riconoscere l'Indipendenza ufficiale del Libano. Le truppe francesi e britanniche lasceranno il paese solo nel 1946. 15 maggio 1948 Proclamazione dello Stato di Israele, ritiro britannico dalla Palestina, scoppio della prima guerra arabo-israeliana 3 marzo 1949 Armistizi di Rodi: si aprono con Israele i contenziosi irrisolti fino ad oggi dei rifugiati palestinesi in Libano, della frontiera meridionale e delle acque del fiume Litani. 1952 Caduta del governo al-Ḫūrī in seguito ad una crisi parlamentare (la “Rivoluzione bianca”). 1953 Riforma della Legge Elettorale che regolerà le elezioni del 1960 e del 1972: è sancito il diritto di voto alle donne, una nuova divisione territoriale in 26 aqada (distretti territoriali) omogenei per confessione, l'innalzamento del numero dei deputati a 99 . 1954 Patto di Baghdad.

5 Vedi supra, I capitolo. Dati da Traboulsi (2007).

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1956 Crisi di Suez: nonostante la vittoria israeliana sul campo, trionfo politico di Jamal Abd al-Nasir e del nasserismo. 1° febbraio 1958 Proclamazione della Repubblica Araba Unita di Egitto e Siria (RAU), con capitale al Cairo e presidente Jamal Abd al-Nasir. Maggio 1958 “Guerra civile del 1958”: assassinii politici, guerriglia e scontri di piazza marcatamente confessionali circa la posizione del Libano rispetto al Patto di Baghdad, alla Crisi di Suez e alla RAU. Il Presidente Camille Cham'oun invoca l'intervento dell'ONU in Libano contro le ingerenze siriane e provoca le reazioni dei partiti nazionalisti panarabi (guidati da Rashid Karami), che chiedevano un più aperto sostegno del nasserismo e perfino l'annessione alla RAU, richieste giudicate inaccettabili dai partiti cristiani (guidati da al-Kata'ib, di Jemayel). La “guerra civile del 1958” è un punto di svolta cruciale nell'accettazione della filosofia politica del “libanismo”, basata sul confessionalismo politico e sancita dal Patto Nazionale del 1943. 15 luglio 1958 Il colpo di stato del partito Ba'ath in Iraq (14 luglio) e le richieste del Presidente Cham'oun preoccupano gli USA: lo sbarco di 14.000 marines a Beirut impedisce di fatto l'escalation delle violenze in Libano e costituisce la prima applicazione della dottrina Eisenhower in Medio Oriente. Il generale Fu'ad Chehab è eletto alla presidenza della Repubblica nel quadro di un nuovo compromesso politico spiegato dalla formula “né vincitori, né vinti” e resta in carica fino al 1964: il periodo del “chehabismo” vede l'introduzione di importanti riforme strutturali dello Stato in senso nazionalista. Il Libano dichiara il proprio non-coinvolgimento nel Patto di Baghdad e il proprio neutralismo a livello internazionale, sulla scia del nasserismo. 1969 Accordi del Cairo tra autorità libanesi e OLP, garantiscono ai rifugiati palestinesi in Libano il diritto di organizzarsi in comitati locali, importare armi nei campi e di condurre azioni di guerriglia transfrontaliere con Israele, a patto di non destabilizzare l’ordine libanese. 1970 “Settembre nero” di Giordania: massacri e espulsioni di massa organizzati dal governo Giordano contro la popolazione palestinese. La leadership palestinese si installa prevalentemente a Beirut e nel Libano meridionale. Febbraio 1975 Sciopero dei pescatori di Saida contro le politiche di monopolio statale della pesca promosse dal Presidente Franjieh. Manifestazioni politicizzate dall’OLP e da Fatah. Escalation della tensione tra gruppi cristiani e palestinesi. 13 aprile 1975 Azione di guerriglia palestinese che uccide la scorta di Pierre Jumayel durante l'inaugurazione di una chiesa a Ain el-Rummaneh, Beirut. Risposta immediata di un commando falangista che apre il fuoco su un autobus di combattenti palestinesi: è l’inizio ufficialmente riconosciuto della guerra civile. Le foto del bus trivellato di colpi diventano il simbolo della prima fase della guerra (1975-76) suscitando uno straordinario interesse mediatico su scala internazionale. 1975/76 La “guerra dei due anni” e la “guerra degli Hotel”: contrapposizione delle milizie falangiste alle forze palestinesi e filo-palestinesi. Spartizione comunitaria della città in Beirut Est (a prevalenza cristiana) e Beirut Ovest (a prevalenza musulmana), divise dalla Green Line. Dislocamento della popolazione sciita. 18 gennaio 1976 Massacro falangista della Qarantina, campo profughi abitato da palestinesi, siriani, curdi. 20 gennaio 1976 Rappresaglia e massacro palestinese del villaggio cristiano di Damur. 15 novembre 1976 La Siria interviene nel conflitto presentandosi come forza di interposizione

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neutrale (Arab Deterrent Force): l’inizio dell’occupazione siriana del Libano evita di fatto l’imminente sconfitta del fronte falangista e causa numerose divisioni e defezioni entro il Movimento dei Partiti Nazionali e del Progresso (MNL, fondato da Kamal Joumblatt nel 1969 per raccogliere i partiti nazionalisti, filo-palestinesi e filo-siriani in un fronte unitario). 1977 Assassinio del druso Kamal Joumblatt, fondatore nel 1949 del Partito Socialista del Progresso (PSP) e leader politico che incarnava il progetto del secolarismo politico e del nazionalismo libanese (e palestinese), punto di riferimento delle forze della sinistra libanese. 1978 La risoluzione n.425 dell'ONU prevede la disposizione dell’UNIFIL (United National Interim Force in Lebanon) come forza di interposizione tra Israele e il Libano meridionale. 1979 Rivoluzione Iraniana. 1980 Bachir Jemayel si afferma come il leader assoluto del campo cristiano. 4 giugno/30 settembre 1982 Operazione Pace in Galilea. Agosto 1982, la missione di peacekeeping MNF (Multinational Force: truppe americane, francesi, italiane) viene inviata per assicurare il ritiro pacifico dell’OLP verso la Tunisia (30 agosto 1982). Le forze multinazionali abbandonano il paese. 14 settembre 1982 Assassinio (per mano dei servizi segreti siriani o di un commando palestinese) di Bachir Gemayel, neo-presidente maronita e leader maximo delle milizie cristiane. Il giorno seguente l'esercito israeliano di stanza a Beirut e guidato da Ariel Sharon invade Beirut Ovest e circonda i campi profughi palestinesi della città. La notte tra il 16 e il 18 settembre si scatena la vendetta falangista nei massacri dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, organizzati da Elias Hobeika (capo dei servizi segreti falangisti) sotto gli occhi dell'esercito israeliano (IDF). I dati del massacro oscillano tra i 350 e 3.500 morti, secondo le fonti. Le foto e i filmati ripresi dai giornalisti suscitano lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale e la condanna dell'Assemblea Generale dell'ONU, che definisce il massacro un atto di genocidio (16/12/1982). 1982 Widad Halwani fonda il Comitato dei Familiari dei Rapiti e degli Scomparsi (Lijnat Ahali al-makhtufiin wa almafqudin fi Lubnan), dopo la scomparsa del marito. Il movimento civile guadagna visibilità verso la fine degli anni '80 anche grazie all'organizzazione di grandi manifestazioni pacifiche che attraversavano la Green Line. 1982-1983 La “guerra delle montagne” tra LF e PSP culmina in episodi di violenza intercomunitaria e nel dislocamento di interi villaggi cristiani dalle montagne. Segue in ottobre l'incontro di pace di Ginevra. 1984 Le forze di 'amal, PSP e PNSS combattono contro l'Esercito Libanese e conquistano Beirut Ovest. Le forze multinazionali di interposizione si ritirano dal Libano. 1985 Intensificazione delle operazioni del FLRN (Fronte Libanese della Resistenza Nazionale) contro Israele, anche attraverso attentati suicidi. LF sotto la guida di Hobeika e Ja'ja' si separano dalla dal Kata'ib di Amine Jemayel. “Guerra dei campi” tra 'Amal e i palestinesi, assediati nei campi profughi. Seguono scontri tra 'Amal e PSP per il dominio su Beirut Ovest. Tentativo di mediazione siriana tra AMAL, LF e PSP non riuscito. 1987 Le truppe siriane entrano a Beirut Ovest per placare gli scontri intracomunitari in campo musulmano. Abrogazione degli accordi del Cairo. Picco dell’inflazione al 500% e svalutazione della

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Lira Libanese: scambiata a 1 $ nel 1977 e 9,96 $ nel 1986, nel 1987 vale 52,26$.6 1988 scontri intracomunitari tra 'AMAL e Hizbollah nella periferia meridionale di Beirut. 1988/1990 Allo scadere del mandato, il presidente della Repubblica Amin Gemayel nomina come successore il generale Michel 'Aoun, senza ricevere l'approvazione dei partiti musulmani che stabiliscono un nuovo governo sotto la guida di Salim el-Hoss. Battaglie intracomunitarie anche in campo cristiano tra l’Esercito Libanese (guidato da Michel ‘Aoun) e i miliziani delle LF di Samir Geagea. Il campo cristiano esce umanamente e politicamente sfinito dagli ultimi anni di guerra. Ottobre 1989 “Accordi di pace di Ta'ef”: i deputati superstiti del Parlamento del 1972 firmano a Ta’ef, in Arabia Saudita, la Carta di riconciliazione nazionale, promossa su iniziativa dell'Alta Commissione Araba Tripartita (tripartite arab high commission) composta da Arabia Saudita, Algeria, Marocco. La Carta impone il ritorno ad una situazione di pace civile, lo smantellamento delle milizie e alcuni provvedimenti politici e istituzionali strutturali che mirano alla riforma del confessionalismo politico. Gli Accordi intendono inoltre riaffermare la sovranità nazionale sul territorio libanese, occupato dall'esercito israeliano a sud e invaso dalle truppe siriane, concorrenti all'esercito regolare in molti campi. Inizia un lungo periodo definito dal giornalista Samir Kassir di Pax Siriana, a causa dell'ingerenza civile e militare della Siria in tutti gli affari interni e esteri della politica libanese. 5 novembre 1989 Modifica della Costituzione e inizio della II° Repubblica (o della III° per gli storici che considerano anche il periodo del mandato francese). I combattimenti continuano e il primo presidente René Moawad viene assassinato il 22 novembre 1989 a Beirut Ovest. Dicembre 1989/1990 Elias Hraoui, Presidente della Repubblica fino al 1998, nomina Salim el-Hoss, Omar Karamé infine Rashid el-Solh alla carica di primo ministro del nuovo governo di unità nazionale per realizzare le priorità imposte dagli accordi di Ta'ef e organizzare le elezioni secondo la nuova Legge Elettorale che prevede l'innalzamento del numero dei parlamentari a 128, divisi equamente in 64 deputati afferenti al campo cristiano e 64 a quello musulmano; ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica in favore del Primo Ministro e del Consiglio dei Ministri. Amplia i confini dei distretti elettorali (mohafazat) esistenti per scongiurare la formazione di zone troppo omogenee dal punto di vista confessionale. 13 ottobre 1990 Il generale ‘Aoun sconfitto e cacciato dal palazzo presidenziale di Ba’abda si ritira in esilio in Francia dopo aver perso la “guerra di liberazione” lanciata nel 1988 contro le forze siriane: è considerato l'episodio finale della guerra civile. 30 Aprile 1991 Il piano di disarmo e di reintegrazione delle milizie previsto Accordi di Ta'ef è completato: 24 milizie (con l'eccezione di Hizbollah, riconosciuta come “forza di resistenza” nel Libano meridionale) sono reintegrate nell’esercito libanese regolare (LAF) e numerosi capi milizia vengono riconosciuti in posizioni ufficiali di governo, come Nabi' Berri, leader di 'amal (eletto il 20 ottobre 1992 alla carica di Portavoce del Parlamento). Ripristino della libertà di circolazione come primo passo verso la pace civile. Maggio 1991 Libano e Siria stipulano un trattato di “Fratellanza, Cooperazione e Coordinazione”. 26 agosto 1991 Legge di Amnistia Generale (n. 84/1991): garantisce l’amnistia ai cittadini libanesi

6 Chakhtoura (2007: 13).

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colpevoli di crimini di guerra commessi prima del 28/3/1991; interrompe le azioni legali e i processi già avviati relativi a questo periodo. L’amnistia non riguarda gli omicidi di personalità religiose, politiche, diplomatiche (art.3). Prevede inoltre la riorganizzazione delle Lebanese Armed Forces (LAF) al fine di integrare le milizie attive durante la guerra civile. 1991 L'imprenditore filosaudita Rafīq al-Ḥarīrī presenta un piano di ricostruzione del centro storico di Beirut in netta discontinuità con i progetti già approvati durante le tregue del 1977 e 1982. Estate 1992 Le prime elezioni libanesi dal 1972 sono boicottate in massa dai partiti cristiani che denunciano l’ingerenza siriana e lo strapotere dei partiti filo-siriani di Hizbollah, ‘Amal, PSP e PNSS. Scontento della classe politica maronita per la Legge Elettorale sulla questione dei nuovi confini delle circoscrizioni elettorali. Rafīq al-Ḥarīrī è eletto Primo Ministro. La gestione economica del primo mandato è disastrosa, anche a causa del piano di ricostruzione Horizon 2000, che lascerà il paese profondamente indebitato. Del resto, i governi del dopoguerra devono fronteggiare una situazione economica drammatica dovuta a un radicale impoverimento della popolazione (riduzione della classe media tra il 1973 e il 1999, dal 68% al 29,3% della popolazione totale; aumento percentuale delle famiglie che vivono sulla soglia di povertà dal 22% al 61,9%), alla crescita delle diseguaglianze sociali e alla non-redistribuzione della ricchezza. La strutturale fragilità del servizio pubblico non è in grado di fornire sussidi adeguati al forte aumento della disoccupazione, permettendo ad altri attori politici di imporre reti parastatali di carità e assistenza su base confessionale, familiare, clientelare. Esempio lampante è la gestione di Dahyyeh, quartiere periferico di Beirut, da parte di Hizbollah. 1992 Il leader druso del PSP Walid Joumblatt è nominato Ministro degli Sfollati: la gestione sproporzionale degli ingenti fondi a disposizione, destinati principalmente alla comunità drusa, crea un forte malcontento tra le comunità cristiane delle montagne, pari al 75% degli sfollati. 1993 Operation Accountability: attacchi israeliani sul Libano meridionale. 1993 Creazione della società finanziaria incaricata dei piani di ricostruzione del centro storico di Beirut: SOLIDERE (Lebanese Company for the Development and Reconstruction of Beirut Central District/Societé Libanaise pour le Dévelopement et la Reconstruction). 1995 Il governo Hariri propone una legge per abbreviare il periodo dopo il quale è possibile dichiarare morta una persona scomparsa, suscitando le reazioni indignate dell'associazionismo civile. Aprile 1995 Arresto di Samir Geagea, leader delle LF (alqawwat allubnaniyyah/Lebanese Forces), per un presunto attentato del 1994. E’ l’unico leader ex-combattente della guerra civile ad essere condannato. Viene rilasciato solo dopo il ritiro siriano del 2005, quando anche le condanne emesse per Michel Aoun e Etienne Sacre (leader dei Guardians of the Cedars) vengono revocate. In effetti, il campo cristiano uscì distrutto dalle lotte intracomunitarie dell'ultimo biennio di guerra tanto che fu il Patriarca maronita Sfeir a rappresentare le posizioni cristiane moderate per tutti gli anni '90. Aprile 1996 Operation Grapes of Wrath condotta da Israele e dal SLA (South Lebanese Army) causa morti soprattutto civili, l’esodo di 300.000 persone, la distruzione di infrastrutture pubbliche e abitazioni. Svolta nella leadership di Hizbollah, che da un lato intensifica la resistenza, dall'altro si presenta sempre più come un interlocutore politico necessario. Massacro di Qana. 1998 Emile Lahoud, generale dell’esercito, è eletto Presidente della Repubblica. 24 maggio 2000 Ritiro israeliano in seguito alle pressioni internazionali e all’intensificazione delle

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operazioni militari di Hezbollah (circa 5.000 azioni di guerriglia nel periodo 1996-2000). Si cita la breve analisi degli anni successivi al ritiro israeliano (e precedenti alla guerra del 2006), proposta dall'economista, storico ed ex-ministro delle Finanze, Georges Corm:

Grâce à la libération du sud du pays, le Liban récupère rapidement son rôle de centre touristique, culturel et même politique du monde arabe. Paradoxelement, les événements dramatiques du 11 septembre 2011 et leur retombé sur la région vont faciliter ce retour à la normale. En effet, les riches touristes arabes de la péninsule Arabique se détournent des destinations européennes ou américaines, et reviennent en nombre au Liban, où désormais il n'y a plus d'opérations militaires. L'année 2004 connaît une saison touristique exceptionnelle, le nombre des visiteurs dépassant un milion de personnes; la croissance économique, totalmente languissante dépuis 1998, reprend un peu de couleur, atteignant 4% du PIB. Les capitaux aussi affluent das les banques libanaises, fuyant les contrôles internationaux (…) Le dispositif militaire syrien au Liban est allégé: entre 2000 et 2004, le nombre de soldats syries est réduit de 40.000 à 14.000.7

10 giugno 2000 Morte di Ḥāfiẓ al-Āssad, Presidente della Repubblica Siriana. 2000-2004 Rafīq al-Ḥarīrī, eletto nuovamente Primo Ministro, promuove un'economia fondata sul terziario, in particolare il settore bancario e turismo, soprattutto grazie agli investimenti dei paesi del Golfo. Ispiratore di tutti i media locali e internazionali che formulano i nuovi cliché sul Libano, Fenice che rinasce dalle sue ceneri (…)Rafīq al-Ḥarīrī fa brillare davanti agli occhi della borghesia cristiana e sunnita il vecchio sogno di un Libano trasformato in una Montecarlo del mondo arabo, centro turistico e supermercato per ricchi Arabi.8 Redistribuzione ineguale dei nuovi investimenti, localizzati tra Beirut, Saida (città natale del premier) e il Monte Libano, a esclusione delle zone rurali e delle città minori del paese. Si impongono misure di austerity per recuperare parte del debito pubblico, pari al 180% del PIL. Aprile 2000 Pubblicazione sul quotidiano libanese Al-Hayat della lettera di Ass’ad Shatari, ex-ufficiale della milizia delle LF, braccio destro di Elie Hobeika (mandante, tra l'altro, dei massacri di Sabra e Chatila, nominato Ministro degli Sfollati nel 1990 e impegnato nel primo governo Hariri): è la prima volta che un ex-miliziano presenta le sue pubbliche scuse alle vittime e all'opinione pubblica. Solo pochi altri combattenti seguiranno il suo esempio. 26 luglio 2000 Dopo pochi mesi di lavoro, la Commissione d'inchiesta istituita dal governo per indagare sulla sorte dei rapiti e degli scomparsi (stimati in oltre 17.000 persone) stabilisce che è possibile dichiarare morti tutti gli scomparsi da più di 4 anni il cui corpo non è stato ritrovato. Aprile 2001 Dhakira li-'l mustaqbal/Mémoire pour l'Avenir: alcuni intellettuali (Samir Kassir, Aexandre Najjar, Ahmad Beydoun, Amal Makarem, Maya Yahya …) organizzano un convegno pubblico sulle questioni della memoria e della riconciliazione civile nel dopoguerra. Agosto 2001 incontro tra leader del PSP, Walid Joumblatt, e il patriarca Boutros Sfeir: annunciano la fine degli storici conflitti comunitari tra Drusi e Maroniti e lanciano nuove soluzioni per la questione degli sfollati (in maggioranza cristiani della regione montagnosa dello Shuf), le cui cifre oscillano tra le 50.000 e 500.000 persone. 7 Corm (2005: 295). Cfr. In seguito agli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, il governatore della Banca del Libano, Riad Salamé dichiara in un'intervista al quotidiano L'Orient-Le Jour, il 9 novembre 2001: The fall in activity linked to the attack has been accompained by positive expectations, since the world economies are turning more towards regionalisation to the detrimet of globalisation. In that context, Lebanon can once again play the important role as a services and trade center. 8 Corm (2006: 247).

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2003 Hizbollah è classificato dai servizi di intelligence americani come un'organizzazione terrorista (Designated Foreign Terrorist Organisations) amica della Siria, uno degli “stati-canaglia” identificati dall'amministrazione Bush. 13 aprile 2003 Il Comitato dei Familiari dei Rapiti e degli Scomparsi in Libano (Lijnat Ahali al-makhtufiin wa almafqudin fi Lubnan) celebra al Masrah Medina di Beirut la prima Giornata Nazionale della Memoria. 2 settembre 2004 Su iniziativa franco-statunitense, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approva la risoluzione n°1559 in cui chiede il ritiro delle truppe straniere dal suolo libanese (in riferimento all'esercito siriano e all’Israeli Defense Force, ancora installato nelle fattorie di Cheba’a); il disarmo e la dissoluzione di tutte le milizie (in riferimento a Hizbollah); elezioni presidenziali libere (in riferimento alla questione del prolungamento del mandato presidenziale di del gen. Emile Lahoud); il disarmo dei campi palestinesi. La risoluzione ONU è interpretata da molte forze politiche come un'ingerenza indebita negli affari politici interni del paese. D'altra parte, porta al riavvicinamento considerevole del mondo cristiano-moderato, dell'attivismo pacifista, degli intellettuali di sinistra che elaborano un nuovo linguaggio nazionalista supra-comunitario. In questo contesto culturale si colloca la “Dichiarazione del Bristol” (15 dicembre 2004 ): un manifesto collettivo, redatto in occasione di un convegno ospitato presso l’Hotel Bristol di Beirut, di protesta contro le politiche statali, giudicate incapaci di affrontare le conseguenze della guerra civile. Ottobre 2004 Un piccolo gruppo di intellettuali libanesi fonda il movimento alYasar aldimuqrati allubnaniyy per opporsi al progetto di prolungamento del mandato del presidente Lahoud e in aperta denuncia delle ingerenze siriane nella politica interna libanese. 14 febbraio 2005 Rafīq al-Ḥarīrī e la sua scorta cadono vittime di un attentato nei pressi dell’Hotel Saint George, sul lungomare di Beirut, dove viene fatta esplodere un’autobomba carica di 1000kg di TNT. L’esplosione si sente fino dall’AUB, l’eco politico molto più lontano. La morte di Rafīq al-Ḥarīrī, figura chiave della scena politica ed economica libanese anni '90, inaugura una nuova fase di instabilità politica in Libano. marzo 2005 Alle manifestazioni di piazza organizzate dai partiti filo-siriani di Hizbollah, 'amal, PNSS (8 marzo), risponde un'altra manifestazione pacifica organizzata il 14 Marzo 2005 da al-mustaqbal, PSP, LF, sotto lo slogan 05 Istiqlal (elaborato da Samir Kassir). Intifada al-istiqlal, ribattezzata dalla stampa internazionale come “Rivoluzione dei Cedri”, si oppone apertamente all'ingerenza siriana in Libano e chiede di rivelare i mandanti dell'assassinio di Hariri. Le denominazioni di “movimento dell'8 e del 14 marzo” entreranno nel lessico politico a definire i due fluidi schieramenti politici. Aprile - Maggio 2005 Ritiro delle truppe siriane. Le elezioni parlamentari di maggio portano al governo una debole maggioranza anti-siriana (72 deputati su 128) guidata da Fuad Siniora, nuovo leader del partito di Hariri Al-Mustaqbal. 2 giugno 2005 assassinio del giornalista e scrittore anti-siriano Samir Kassir. Qualche settimana più tardi, assassinio del segretario del Partito Comunista Libanese George Hawi. Gli attentati omicidi tramite autobomba come strumento di opposizione politica caratterizzano tanto il periodo della guerra civile quanto il primo dopoguerra fino a diventare l'oggetto di molteplici riflessioni artistiche, tra queste l'opera Already Been in a Lake of Fire (1999-2001) di Walid Ra’ad. 12 dicembre 2005 Assassinio del giornalista Jibrane Tueni, redattore di An-Nahar, per mano di un gruppo affiliato al PNSS.

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Febbraio 2006 Dopo gli scontri con Samir Ja'Ja' (ex-leader delle LF), Michel 'Aoun stringe un'alleanza strategica con Hizbollah ed entra nel campo filo-siriano dell'8 marzo. 12 luglio - 11 agosto 2006 La “guerra israeliana di luglio” (harb tammuz) rade al suolo le principali infrastrutture del paese e sposta principalmente a Beirut quasi un milione di sfollati dal sud. Hezbollah è riconosciuto dalla maggioranza dei partiti libanesi come il vincitore morale della guerra e rafforza il suo radicamento nel paese a livello sociale. Le perdite umane e infrastrutturali inflitte dalla guerra sono pesantissime. Novembre 2006 amal e hizbollah ritirano il proprio sostegno al governo Siniora e iniziano un sit-in di protesta davanti al Parlamento che finirà solo a maggio 2008. 2007-2008 Scontri di piazza tra forze favorevoli all'ingerenza siriana e forze contrarie: Hizbollah continua l'assedio del Parlamento e il centro storico di Beirut in una prova di forza che termina con l'elezione del generale Michel Suleiman alla Presidenza della Repubblica (25 maggio 2008). 30 maggio 2007 Formazione di un tribunale speciale indipendente (STL: Special Tribunal for Lebanon) per indagare sull’omicidio del premier Rafīq al-Ḥarīrī. Il primo anno di lavori svela un sostanziale coinvolgimento siriano, suscitando accuse di illegittimità al STL da parte della coalizione dell’8 marzo. 2009 Le elezioni politiche di novembre confermano la maggioranza (71 seggi su 128) della coalizione del 14 marzo, guidata da Sa'ad Hariri. Dicembre 2010-gennaio 2011 i ministri di Hizbollah ritirano il proprio sostegno al governo di Sa'ad Hariri, determinando la caduta del governo. Il Presidente Suleiman nomina nuovo premier Najib Mikati, milionario sunnita gradito a Hizbollah, con l'incarico di formare un governo di unità nazionale.9 gennaio-febbraio 2011 Forti proteste popolari e grandi manifestazioni di piazza in Tunisia e in Egitto portano alla caduta dei regimi dittatoriali di Ben 'Ali e Mubarak. Mobilitazioni in tutto il mondo arabo.

9 Al momento della stesura di questo testo, il nuovo governo non è ancora stato formato.

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TESTO.21 La production culturelle au Liban pendant les années de guerre A cura di : CEDRE, Centre Libanais de Documentation et de Recherches/The lebanese centre for documentation and research/Markaz al-tawthiq wa-‘l-buhuth al-lubnaniyy (1982) Ministère de l’Information.

Un peuple qui crée, n’est pas un peuple qui agonise ou qui meurt. Or le Liban, au cours de toutes les années de guerre qu’il a subies n’a diminuì en rien son

pouvoir de création dans les domaines, et d’une maniére particulièrement émouvante et éloquente dans le domaine culturel. Bien au contraire. Il est évident que les libanais ont voulu affronter toutes les épreuves, surmonter tous les perils, en élevant, sur le double plan de la qualité et du nombre, le niveau de leur production littéraire et artistique (philosophie, poésie, roman, musique, peinture, sculpture…)

Cette profusion, cet épanouissement se manifestent tous les jours. Pour en donner cependant la preuve chiffrée et la mesure, des etudes précises, concretes, étaient nécessaires. Les premières recherché ont conduit à des statistiques extrêmement significatives. Elles sont publiées dans les tableaux ci-joints. A travers le caractère impersonnel et peut-être même l’aridité des chiffres, apparaît le courant chaleureux, persistant, invincible de la vie.

Pour donner quelques exemples de cette profusion, de cet épanouissement culturels, il nous suffit d’indiquer que le Liban a réalisé entre les années 1977 et 1982, ceci:

Conférences et Séminaires (organisés par les instituts culturels) (359) Productions Cinématographique (18) Expositions (peinture, sculpture) (254) Ouvrages (scientifiques, philosophiques, poésies, romans) (2477) Musique (concerts récitals) (210) Publications de thèses sur le Liban (402) Pièces de théâtre (200) Thèses et recherches (universités au Liban) (1535) Production artisanales (25) Festivals (artistiques et sociaux) (32)

Pour être complet, nous dirons que ce travail a été fait par la Maison du Futur (centre de

documentation et de recherché - CEDRE) avec la participation d’une équipe de travail du Ministère

de l’Information.

1 Si riportano i dati pubblicati dal CEDRE (Centre Libanais de Documentation et des Recherches), a cura di, 1982 La production culturelle au Liban pendant les années de guerre Beirut, Ministère de l’Information.

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Répartition de l’activité théâtrale selon les sujets: Politique

sociale Critique sociale

Comédie Religion Histoire Tragédie Chant Danse Folklorique

Théàtre d’enfants

Chansonniers

1974 1 3 2 1 - - - - - - 1975 2 3 2 - - - - - - - 1976 - - 1 - - - - - - - 1977 3 19 4 1 0 0 11 3 - 2 1978 10 19 4 2 - - 24 6 - 1 1979 7 20 3 - - - 5 5 3 3 1980 1 3 6 - - - - - - - 1981 1 3 2 - 1 1 - - - - 1982 - 2 3 2 4 1 - - - - Total 25 72 27 6 5 2 40 14 3 6

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TESTO.3. The Inhabitants of Images A lecture-performance by Rabih Mroué English translation by Ziad Nawfal.366 Chapter I IMAGE 1: (Duration 25 min.)

Park on the side. Turn off your car. Get down on the ground. Where is the camera?

Give me your ID card, car registration, and driving license.

Open the trunk. Give me the camera, please.

Where do you live?

Where are you from?

Journalist?

Where do you work?

Are you a writer? A theater director? Actor? Where do you perform?

Play something for us. Yes, here, in the middle of the road. Play. Are you shy? Timid? Reserved?

Embarrassed? You’re an actor, and you’re scared of acting in front of people? Act!

Turn on the camera. Who’s this? Where is this taken? Who are these people? Who is this guy? And

this woman? What about these? What’s this? When was this taken? And this! Why this poster?

Don’t you know that it’s forbidden to take photographs here? Why this particular poster?

This is how the story of this poster began. I remember well. I was in my car in Beirut inside a kind

of security zone erected especially for the Hariri son. A picture of Gamal Abdel Nasser and Rafik

Hariri standing next to each other. I couldn’t believe it at first. I know for a fact that these two never

met. How did this picture come about? This is really strange. I thought I have to take a picture of

this poster and keep it. And as is usually the case in Lebanon, the moment I took the picture,

someone stopped me. And an investigation followed. I stayed there for almost three hours, before he

let me go. But before he did, he asked me to think of him if I’m ever preparing a play. He said:

“I like acting. I feel that I’m good at it. I can cry easily. And whenever I want. Do you want me to

cry? I can do it right now. I’m going to cry. There!”

366 “The Inhabitants of Images” is a lecture-performance, co-production between Ashkal Alwan / Beirut, Bidoun magazine and Tanzquartier Wien.

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I asked him if I could take a picture of him, to keep him in mind. He said, sure. These are the

pictures.

*

This picture is indeed very strange. There’s something unbelievable. I mean, how could there be a

picture like that, when these two people never met and how can two people, who are both dead,

meet? Did this meeting happened after they died? Then, who took the picture? A photographer who

is dead as well? Or, some amateur photographer like me, who was taking random pictures? And

suddenly, something strange appeared in his photos, which was not apparent to the naked eye?

I asked a friend about the picture, and he said this is a photo-montage, or what is called a photo-

manipulation. I remembered a controversial photo-manipulation, done in 1982, where the editors of

National Geographic moved two Egyptian pyramids closer together, so they would fit on a vertical

cover.

I thought then that Nasser could be the first pyramid, and Hariri the second one, and someone

decided to move them closer to each other. But, why?

In fact, it’s very easy to say that this is a photo-manipulation, and that this meeting never took place,

and that’s it. End of story, at most, we can say that someone wanted to have some fun, or to create

some sort of controversial scandal, or a mobilization call for struggle.

We can also assume that this picture is a manifestation for the dead in the world of the living, in a

country where the inhabitants insist on calling upon the dead to use them as weapons in their

endless battles, which will probably never end.

And we can also say many things about this picture being a montage, but the one thing that is

making me confused, is the fact that the picture’s editor decided to create this specific illusion, by

making us believe that these two persons did indeed meet. I mean, he could have shown them in the

same manner that most of the posters are designed. These are three examples. These are regular

propaganda photos, with no illusion or cheating involved. In these, the montage is very clear, and

the editing is apparent. But in this picture, however, the montage is not clear, and the editing is not

apparent. They are in fact hidden; and I cannot find a convincing enough reason as to why the

picture’s editor decided to create this illusion, since he knows perfectly well that no one will believe

that such a meeting took place. I am convinced that there is no manipulation in this picture, and this

meeting did actually take place. Yes, it did happen, but after they died, not before. Nasser met with

Hariri in the picture after death. And this meeting could not have taken place, if these two did not

already belong in the world of the dead. There is no way we could have seen this picture, if Hariri

had not died.]

Actually many photos have the same case. I feel that dead people in photos move from one picture

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to another. There are many of these photos.

Look at these.

There are many photos that were abandoned by their owners, who went on to live in other photos.

Photos are like houses, like countries; one likes to change, from time to time. Look at this collection

of photos, which were abandoned by their owners.

Maybe this might sound irrational and unrealistic, I agree but even though, I insist that Nasser met

with Hariri. And the truth is that Nasser went to visit Hariri in his palace. And my proof of that, this

photo of Hariri in front of his palace. In color. And when Nasser came to visit, the photo became

black and white. As you can see… I searched for the original photo from which Nasser came; I did

not find it. But instead, I found this poster, made on his birthday. Of course, when he went to visit

Hariri, the original poster became empty.

Who is Nasser? Who is Hariri?

For those who don’t know, please take one minute to read a very short bio:

Gamal Abdel Nasser 1(918 –1970). He was the President of Egypt from 1956 until his death in 1970. He led the Egyptian Revolution of 1952, which removed “King Farouk I” and heralded a new period of industrialization in Egypt, together with a profound advancement of Arab nationalism, including a short-lived union with Syria. Nasser is well-known for his nationalist policies and version of pan-Arabism, also referred to as Nasserism, which won a great following in the Arab World during the 1950s and 1960s. He played a major role in founding the Palestine Liberation Organization. His status as "leader of the Arabs" was severely tarnished by the Israeli victory over the Arab armies in the Six Day War. Rafiq Al-Hariri (1944 – 2005). He made billionaire and business tycoon. He was Prime Minister of Lebanon from 1992 to 1998 and again from 2000 until his resignation, 20 October 2004. Hariri dominated the country's post-war political and business life and is widely credited with reconstructing Beirut after the 15-year civil war. He was blamed for leaving Lebanon with a high public debt. Hariri was assassinated on 14 February 2005. Hariri's killing led to massive political change in Lebanon, including the withdrawal of Syrian troops from Lebanon.

*

I look at the photo, and I find it very ordinary. There is no artistic composition involved. Two men,

standing there naturally, without a care for posing. They are not looking at the photographer’s lens.

They are not stiff. There is no sign of one man imposing on the other. As if everything is normal and

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calm. It seems as if it’s a normal visit, without unexpected surprises. A picture that is taken for a

family photo album, not to register a meeting between two leaders. It seems as if they are two

fathers, who have met on a day off. They seem content with what they’ve accomplished.

Apparently, it is not the first time they meet, nor the last. As if the picture was taken with them

unawares. And if they were aware, then the purpose of the photo is to spread reassurance to the

people, by showing the intimacy between them. For it is not taken on the table of negotiations, or in

the official meeting room, or in some institution; but in a house, and more precisely in the garden of

the house. The garden can refer to the balcony, and the balcony is a space that separates the private

from the public. The photo shows the two leaders in the in-between state, after the private meeting

and before going out in public. As a result, I do not see this picture as propaganda, and it does not

aim at any sort of political mobilization; which is the opposite effect of its use in the poster. This

poster betrays the picture. It is signed by the ‘Nasserist Free Movement’. The ‘Nasserist Free

Movement’ is a story of its own. Enough to say that it is a new Lebanese movement that branched

out from the original group, the ‘Mourabitoun’, the ‘Nasserist Independent Movement’, founded in

1975 at the beginning of the Lebanese Civil War. It is the ‘Mourabitoun’ who produced the original

poster, which Nasser decided to leave, bored out of his mind, and tired of a “revolution that does not

stop, and a life that does not die” (the poster’s slogan).

As for the time of their meeting, it’s clear that this is a meeting with no particular date. We do not

know on which day they met, and at what time. We cannot even say that the picture was taken in the

daytime; it is not clear whether it’s daytime or nighttime, summer or winter. Even the clothes they

are wearing do not help in determining the time: an official suit, which can be worn by night or by

day, in the summer or the winter, and for all occasions. What we can tell, however, is the location of

the meeting: the garden of the Hariri Palace, in the security zone of Koraytem, in West Beirut,

Lebanon. And what we can tell, for a fact, is that the meeting definitely took place after the death of

Hariri, not before; in other words, after his assassination on February 14, 2005.

We can say that this type of photos defies time, and does not care for it; as if time in the world of

the dead is loose, and does not respond to the same laws of measurement as in the world of the

living. Maybe time in this photo resembles dream time. For this reason, it is possible to see Hariri,

who was born in 1944, as older in this photo than Nasser, who was born in 1918.

Since it is impossible to tell the precise date of the meeting, we can assume that it took place a few

hours before I saw the poster, in August 2007. What happened in August 2007? Frankly, I cannot

remember; but I do recall what happened at the beginning of the same year. In January 2007, there

were clashes in Beirut between the partisans of the ‘Forces of March 14’, headed by Hariri’s

‘Moustaqbal Movement’, and the ‘Forces of March 8’, led by the Hezbollah. Soon enough, this

Page 174: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

173

clash turned into a religious struggle between the Sunnite and Shiite factions.

This state of religious tension is nothing new; but it grew especially stronger after this incident. So,

can we consider the meeting between the two leaders as a gesture of support towards Hariri’s son, at

a sensitive political juncture? Was it an attempt to mobilize the Sunnite faction in support of Hariri’s

son, in front of the increasing Shiite expansion in the region, but far from religious fanaticism?

What a contradiction! The father, a liberal, modern, Pan-Arab Sunnite Moslem, invites Nasser, also

a Sunnite Moslem, also modern, also Pan-Arab… to meet with him. Nasser responds to this

meeting, and comes to pledge allegiance to Hariri’s son, the heir of the true Arab line. Together they

declare that their “Arabism is the true Arabism” (the slogan of the new poster). This Arabism stands

in opposition with the Shiite Islamic Project, which shows loyalty to Iran. From another angle,

Hariri is welcoming Nasser in order to reassure him that his Arabism is not dead, and that

Nasserism is still alive within us; it will remain alive as long as the Hariri son is carrying its flag,

and fighting any outsiders, whether the outsider is represented by the Shiite Iranian Islamic Project

or the Zionist Israeli-American Project, or the new colonialist western project… Whatever the

outsider is…

Anyway, this meeting has no impact. At most it can be called a consultation, an exchanging of

opinions.

Going back to the question of this meeting, it might symbolically represent a meeting between the

genders of the two deaths; Nasser’s ‘feminine’ death, and Hariri’s ‘masculine’ death. It is as if these

two deaths are becoming allied by marriage. We should not forget that Nasser died defeated, and the

Arab flags were still lowered. According to Tarablishi in his book ‘West-Sick’, Israel castrated the

‘father’, represented in this instance by Nasser, and left him no choice but to die of frustration. And

in spite of their loyalty to this father, the people kept tasting the bitterness of this Arab defeat,

especially since he died of a natural, rapid death. His death did not fit that of a hero. His departure

was premature and took place before the nation was able to regain its dignity; he was buried without

being able to “keep his loyal promise”. He died of sadness and bitterness; he died in the same way

that a mother would die, if her loved ones passed away. As for Hariri, he was killed, assassinated,

slaughtered… like a hero would. His murderers were forced to use hundreds of explosive materials

in order to get rid of him. He was not an easy target, and refused to go down easily. In the case of

Nasser, Israel only needed six days to win the war over the Arabs armies and humiliate Nasser,

without even touching him physically. This meeting is nothing but an attempt to ally a project that

most Arabs dream of, designed by a leader who died in humiliating conditions, and a leader who

died an incredible, heroic death, but with no project for Arabs to speak of. This is the importance of

this meeting; a partnership to combine these two together as one, and offer it to the Hariri son.

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174

However, it seems this Arabism which is represented by this meeting is a childish desire, and we

can apply on it the story of “The sleeping beauty”: the Princess who lies asleep, waiting for a kiss

from the Prince. The Arabism of Hariri could be this Prince, while Nasser’s Arabism is the sleeping

Princess. The addition of Hariri’s Arabism to Nasser’s is the kiss on the lips, which will awaken true

Arabism from its long sleep, full of life, vitality, and shining like a golden ray over Arabs

everywhere. Those Arabs who one day would unite under one, single Arab nation, with one, single

eternal message.

*

It is indeed, a very exceptional and unrealistic meeting between two men; in a way, they were both

modernists, although each had his own understanding of modernity.

Nasser was an Arab Socialist, and wore the flag of the Renaissance in his own way, despite its many

defects. Hariri, on the other hand, was a liberal and also wore the flag of the Renaissance in his own

way, in spite of its defects, and of the large financial loans he had to make. The first man was killed

symbolically by Israel; the other man was killed symbolically by Syria With their deaths, the two

Renaissance projects withered.

This exceptional and unrealistic meeting contains a paradox: this paradox is the hidden complicity

between two regimes at war with each other, both working to abort all attempts at reviving the

Renaissance in any Arab country; even if these attempts were timid, weak, and mutilated.

At the end of this chapter, I still have a comment to make: usually the living study those who

preceded them. As for the dead, I think they study those who come after them. It is for this reason

that it is Nasser who came to see Hariri, and not the other way round. Maybe he came to ask him,

what happened with Arabism? With Palestine? With Sudan? With Lebanon? With the Soviet

Union?… What happened with the Arab-Israeli struggle?… what about Gaza? What happened in

Egypt after my passing away? And maybe Hariri told him about Sadat, who liberated Egypt by way

of peace, negotiation, and surrender. And he paid the price for with his life.

Maybe they decided to go pay Sadat a visit, in some photo; maybe they could not find him in any

photo; maybe Sadat decided to go and live in some unknown photo… And maybe… and maybe…

and maybe… and maybe… and maybe… In the end, all this starts with maybe. And nothing is for

certain, except these suppositions that start with the word ‘maybe’. And maybe this is what’s most

interesting and exciting about all these. Maybe. Definitely maybe.

*

Chapter II

IMAGE 2: (Duration 30 min.)

Chapter 2 will be about these street posters; the first time I saw them, I was in my car. I saw them

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by chance. Initially, these posters appeared right after the war of July 2006; they appeared in the

streets of Beirut’s Southern Suburb, ‘Dahieh’, the area that was most heavily touched by the attacks

of Israeli forces.

The second time I saw them, I was also in my car. But this time, it wasn’t by chance; I meant to go

see them. These are the posters of the Hezbollah martyrs, who died while repelling the attacks of

the Israeli army, as it tried to invade Southern Lebanon.

The third time I saw these posters, I wasn’t in my car. I was at home. I saw them on the computer,

as pictures. Meaning, I was not the one who took this photo.

In Dahieh it’s not a joke; you need an authorization to take any photos; a special permit from

Hezbollah, since the area has become a security zone, and a target. If you’re caught taking pictures

without this permit, you will have a big problem, and be subjected to a long, serious interrogation,

which could take more than one day, and end in real tears. So I thought, let me avoid trouble, and

let someone else, a professional photo-reporter, do the job. And that is what happened.

*

As you see, these posters are hanging on street lamps. They are hanging at a height of almost 3

meters from the ground, in the middle of the boulevard, separating the two traffic lanes. Each lamp-

post has two pictures, stuck one behind the other; one is seen on the way in, and the other on the

way out. The posters seem similar, and succeed each other on the street. Each martyr Mujahid has

one picture; and all the pictures are graphically identical.

At the beginning, I did not notice anything out of the ordinary. In Lebanon, we are used to seeing

posters of martyrs, almost everywhere, in any street or area, and belonging to any political party.

I also did not notice anything strange about the sameness (somiglianza) and identicalness of the

posters.

This is also something that we used to see in Lebanon, look at these two collections.

The first one is design made for martyrs from the Lebanese communist party. The second one is a

design made for martyrs from the national Syrian socialist party…

The identicalness of these posters declares that at the moment of martyrdom, all positions become

one and the same; all fighters become equals with rank and position that is a “Martyr Mujahid”. So,

no one is superior to the other. Thus they all deserve the same well-done poster to inhabit it.

In fact, in Islam, as any ideological or fundamentalist parties, the status of martyrdom is the highest

rank and position that a Moslem can reach, unless the martyr has the same standing as Imad

Mughnieh, the commander-in-chief of Hezbollah, or Abbas Moussawi, ex-Secretary General of the

Party. Both these men were assassinated. Martyrs such as these two have a higher status, and are

referred to as ‘The Sheikh of Martyrs’, or ‘The Lord of Martyrs’ thus they would be in bigger and

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176

distinct posters than the others to inhabit.

Still nothing out of the ordinary in this Hezbollah posters except one only detail that kept intriguing

me which was the military outfit they were all wearing; a military fighting uniform. When were

these pictures of them wearing the same uniform, all taken? Is this the same logic as the pictures of

soldiers in any organized military army? In this case, does this military outfit represent the official

uniform of the Hezbollah Mujahid?

But does Hizbollah and namely its Islamic resistance considers itself as an official army? The

Islamic resistance in Hezbollah is an undercover resistance, so maybe this is why their pictures only

appear when one of them dies. But my question is: when were these pictures all taken? Did they

know that they are going to die, So these pictures were kept aside, ready to be used after their death

for such posters, as a tribute to their sacrifice? Accordingly, it is possible that these posters represent

the funerary shroud (sudario funebre) that each Mujahid has chosen to wear after his death. These

posters are the shrouds of the martyrs.

There remains a question concerning the issue above; why was a military suit chosen as uniform,

and not religious clothing, or simply everyday clothes, like other martyrs with identical posters? I

wonder about this, because the military suit does not have an identity; it can belong to any army in

the world, including the enemy army itself. Why did they decide to appear in this Westernized

military outfit, a common, globalized one? What is the attraction for such an outfit? This uniform

made me think of the official dress of the Moslem woman, more specifically the veil, ‘Hijab’. The

men of the Hezbollah Party wanted to transform the meaning of the ‘Hijab’, originally just an

Islamic garment, to become the identity of the Resistance; an identity that is brandished in the face

of the enemies of God, whether they are atheists, racists, or neo-colonizers. In this case, how can we

explain this globalized military uniform, with its blurred (offuscata, annebbiata) identity, that they

chose for themselves? How can Hezbollah explain the contradiction between these two identities,

one that tries to oppose the West, and the other that identifies with the West?

Actually, when I went to see the posters for the second time, I noticed something strange, but I

wasn’t sure. But when looked at them very closely, my suspicions became true.

The strange thing about the photos is the body of each martyr. I discovered that it’s the same body

in each photo. These photos are nothing but a montage of pictures. And the tricks of the montage

are hidden in order to make this illusion so we believe that they are not manipulated images. If you

look carefully you see that the body of the fighter in the poster does not belong to the face. It is an

unknown body.

It seems that the graphic designers of Hezbollah prepared a special poster to greet their martyrs.

One poster for all. One poster for each martyr. The background is the same, and so are the colors,

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177

and the font, and so is the body. A poster that only needs the head and the name, to be complete.

Thanks to Photoshop, the head in the original photo is cut and pasted on the readymade body in the

poster. Why is this tribute done by replacing one body with the other? What happened to their

personal bodies? Why were they pushed aside? Is it because they do not match and fit the image of

‘The Martyr’, with a Capital M? Or is it because the image, which has become one of the Party’s

main strategic weapons in its war, refuses a body that does not comply (osserva) with the conditions

of this war, a war that is waged (intrapresa) in the field of the media?

Does the society of resistance fear the bodies of its members, to the extent that it amputates and

throws them aside? Is it a fear of the body, and of the toxins it might secrete, always and forever? Is

it for these reasons that the individual bodies are replaced with one body, strong, clean, and solid?

Probably, the head in these specific posters is not a representation of individuals. For the face of a

human being is its identity, its singularity, which marks us one from the other. The face can reveal

one’s inner thoughts, or characteristics, and can also hide them.

As for the faces on these posters, they only show one identity. They do not hide anything. Each one

of them has one face, unlike their enemies whom each of them hides many faces. The faces of the

martyrs tell us the same thing, as if they all have the same face, one face that tells that they are the

beloveds of martyrdom. Martyrdom is for the sake of God, and God has no Face, for he is Pure

Action. For this, the martyrs are the Face of God, in this world and the next. Body waiting for a

face.

*

I have a tendency to believe that these pictures are real, and not photo-montages; this tendency

might be due to a fear that I have, the fear of someone having actually edited the photos. I perceive

it as a very violent, sadistic act, the fact that someone would willingly cut and mutilate the picture

of a dead person, even with good intentions. There is a halo around pictures of the dead.

It is a fear that this case, become fashionable; a trend and model to be followed by other parties.

In fact, it is already started. Look at this series of posters designed for the fighters of Amal

Movement who were killed while repelling the attacks of Israeli army. It is uneasy to understand…

I mean, what do the owners of the photos think of this? Are they happy, sad? What did the widow of

the martyr say when she saw her martyr husband with a new body?

This is my photo, I will remove my face from it, and put it on this body; as for my own body, I

don’t need it anymore, so I will put it in the Trash, and empty it.

It is as if I’m witnessing a crime, taking place in a virtual world. There is no corpse; the criminal

has not left any prints, or traces of the crime. It is a crime without blood, committed with clean

hands.

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178

Personally, I would like to think that these posters are not fabricated, that they are real, And since

these pictures were never taken in real life, I would propose that they were taken after their death. I

know this might sound like blasphemy. But in any case, I am not seeking to prove this theory, and

verify it; it’s only a proposition, unrealistic and irrational. I am going to adopt it, in order to

understand these pictures better, and the reason why they appeared in this identical manner.

I look at those identical posters and I think that maybe those martyrs in this solid structure and in

this military uniform decided to be together as one unity, so no one can harm neither attack any of

them.

In Lebanon, street posters have been always subjected to aggression and violence from others. If it

happens that one poster found alone in a street, then in few days, it will be subjected a violent

attack.. it will be scratched and torn out, and eventually destroyed.

But if there were more than10 posters together then they won’t be an easy target. And in case they

were above than 50 posters together then no one would dare to touch them.

For this reason, I had this idea that the martyrs of Hezbollah decided to be always together to

protect each other from the enemies.

Personally, I counted four different cases of what already happened to the posters in Beirut.

1- Independent and individual posters that were physically attacked by other individuals, thus they

have been mutilated, scratched and destroyed. I call them tragic posters. And these are 5 examples.

2- Groups of posters that were kicked out from the walls. Thus they were forced to leave to

unknown destinies. I call them exiled posters. And these are 5 examples.

3- Posters that are afraid or upset by what is going on. Thus they decided to hide themselves, to lock

the door so no one can see them. I call them traumatized posters. And these are 5 examples.

4 - A closed society of Posters decided to look like an army and be one community. Thus no one can

dare to approach them. I call them the state of posters. And these are 5 examples.

As for the Martyr Mujahidin of Hezbollah, they are men from this society. Their age ranges from 18

to 43; their common bond is their strong faith in God and their wish for martyrdom. They do not

seek material rewards.

If you agree with me that these images are real and not photo-montages. Then this tells that what is

waiting for the martyr after he dies is this military outfit, and this strong, solid body. The martyr

wears this body, in order to come back to the world of the Living, fight, and become a fallen martyr

again, and so on and so forth. Exactly as the Prophet Muhammed said: ‘No one enters Heaven and

likes to come back to the world of the Living, except for the Martyr. For he wishes to return, and be

killed ten times more’.

The martyrs return always, in their desire and will.

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The Hezbollah Mujahidin are ascetic; their objective is not Heaven itself, as much as pleasing

Allah, and coming closer to the Prophet Muhammed and his close circle. Their ideal is the Imam

Hussein, and their intent is the Hussein; their request is martyrdom, in the path of Hussein, and to

meet with Ali, Hamza, Jaafar, Zein el Aabidin and Hassan… It is a tree whose roots dig deep into

history, and spreads its branches until the present day. A connected chain, that starts with the first

martyr, Hussein, and proceeds from one martyr to the other. Their pictures hang in a never-ending

chain. The martyrs stand one behind the other; pictures hanging from street lamps; each martyr

looking straight ahead, at the martyr who came before him. And behind him is another martyr,

looking at him. In this manner, each one of them is looking and being looked at. In other words,

they are at once the scene and the audience. They have two gazes (sguardo fisso): one eye looks at

themselves, as martyred heroes; and the second eye at their living community. This community also

has two gazes: one eye on their dead; it is a look of idolizing, sanctity, and admiration; the second

eye is on themselves, as living; a look full of dignity and pride.

Frames hanging one after the other, aligned. The distance between one picture and the other is the

same. The elevation from the ground is also the same for all. Even the frames are all identical.

Of course, the body is always the same; it cannot be replaced, nor can it be changed. The faces are

succeeding each other on it, one after the other. A desired body, in which you can reside or stay for

only a moment. A moment for each face. As if, during a walking-movement, we are not really

moving; on the contrary, we are immobile, the one body above us is immobile, and it is only the

heads that are succeeding each other; and the names as well.

In case we decide to stop and stand under one specific picture, it is not easy. Because standing fixed

will break this chain, and halt the sequence of martyrdom. Staring intently at one picture will allow

us to see the details of the face; we will read the name clearly, and consequently we will be able to

gather his personal history. Thus, this will make him stand out from the rest, distinguish him, and

give him back his individuality. This is precisely what the chain claims it does not want; since this

would cut it, first, and deconstruct the one body of the community, second; the community of

Hizbullah.

In any case, the difficulty of standing under one specific picture comes from the location of the

posters. They are hanging on a boulevard, and not in an alley or street where they can be looked at

by passers-by. Instead, they are spread in the middle of this wide boulevard, whose mission is to

facilitate the flow of traffic; slowing down is not allowed, and there is no walking space for passers-

by.

The only probable way for us to see one frame, in a clear manner, is either to run very fast, or to

drive, while looking at the posters. Each picture would then be one frame in one extended cinema

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reel, a cinematic sequence, and our movement would put the frames in motion, like watching a film.

And since the frames are all similar, except for the head and the name, we end up seeing only one,

still image; the image of the martyr Mujahid, in the body of a warrior, without a name or a face. The

speed of motion will erase both the names and the faces. The name then carries all names in history,

and as Nietzsche says, “all the names in history are I”. As for the face, it carries the features of all

faces; the face then becomes a face without a face, or a face for all faces, the face of God.

*

Chapter III

IMAGE 3: (Duration 5 min.)

These are pictures that come from a video, from several videos, in fact. Most of them are video-

testimonies recorded by members of the Communist Party before their suicide missions. Last year,

as I was preparing a lecture about this subject, I noticed something in these videos that shocked me,

something that had been there all along, and that I had never paid attention to before: whenever

someone dies, he or she becomes a picture on the wall behind the new person giving a testimony. In

turn, this person giving a testimony, when he or she dies, will become a picture on the wall behind

the next one giving a testimony, and so on and so forth.

The first thing that comes to my mind is that when you die, the only thing that remains of you is a

picture within a picture. A ‘mise-en-abime’ of the same picture. I do not know why I feel incapable

of analyzing this phenomenon. Is it because these are secular people, with no religious leanings,

who do not believe in the possibility of an afterlife? Is it because I was member of the same

political party of them? And as such, I cannot create the necessary distance to reflect on them?

Between the two images that I spoke about earlier, the Nasser and Hariri one, and the Mujahidin

one, there is this third one. This would be our image today, an absent one. The absence of their

party, of our party, of the role of the left. These images exist only in lost video-tapes, in unknown

places, no specific space for them, the city refuses to offer them even a wall. Walls are like cities,

like countries, they are only occupied by those have power.

Lola died, and became a picture behind Wafaa, who died in her turn, and both of them became

pictures behind Jamal, who died in his turn, and the three of them became pictures behind Elias,

who died in his turn, and became a picture behind Khaled, who died in his turn, and so on and so

forth. And by the way, Khaled is a role that I played in the year 2000, in a performance entitled

‘Three Posters’. It happened that they were all behind me without me knowing.

I think about all this and feel that the Communist Party is a hostage of this period, which does not

exist anymore; a period from the past, when the Party had some meaning. A period that was frozen

in order to preserve some meaning for their existence; as if they put this period, and ourselves in it,

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between two mirrors facing each other. And so we find ourselves lost in this labyrinth, created by

these two mirrors. We look back to the past and it appears deep and dense, and we look forward to

the future, and we see an open horizon and perspective there, while in reality there are only two

walls, one behind and one in front, which hold us prisoner.

Regarding this picture, I will stop here, and leave the rest to you.

*

Epilogue

I sent a letter to some of my connections, in which I wrote:

“If you were asked to choose one picture, to give to the people who are close to you, for them to remember you after your death, which picture would you choose?” I sent this letter to 50 people, whose age varies from 18 to 43. No one replied to my request, except for myself. I replied to my request not with a photo, but with a letter sent to myself, in which I wrote:

Dear Rabih, With regard to your request: Wherever you go, in this world or the afterlife, you will find yourself killed. Please forgive

me, for not sending you the picture you requested, since I do not want my picture to be killed as well.

Yours truly, Rabih

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TESTO.3. Carillon1 Sto parlando di una donna. Di una donna nella sua casa. Di donne nelle loro case. Di donne perché abitano le case, le vivono, le fanno vivere… Le donne in casa tessono fili, si aggirano, ruotano in casa. Come bambole in un carillon, girano su loro stesse dimenticandosi di loro stesse. Annegano negli armadi, nei cassetti, negli angoli. Lì dentro, non si annoiano … Sto parlando di case aperte - chiuse - distrutte - abbandonate - abitate dalle persone e da qualcos’altro. Di una casa/prigione, una casa/trappola, una casa/rifugio, una casa/donna, una casa di case … Di carillon e di scatole magiche, di scatole di segreti, di sogni Sto parlando di me e di voi. Una bambola dentro una scatola dentro una casa dentro una casa dentro una casa Una casa ... con dentro una bambola. sta girando. Sta ruotando, su sé stessa per sé stessa, da sola come il tempo Sta disegnando le trame della sua casa Un baco, un ragno. Sta disegnando i confini della sua casa attorno al suo corpo La sua voce, sente soltanto la sua voce. La casa comincia con la chiave Dal giorno in cui abitarono in questa casa, c’era sempre stata una stanza chiusa, chiusa a chiave. Sua madre e suo padre le dicevano che lì dentro c’erano gli oggetti e i mobili dei padroni di casa che erano scappati durante la guerra. Ma le storie che vedeva oltre quella porta chiusa erano molto più belle di quelle che le avevano raccontato. Lì dentro era capace di immaginarsi una seconda vita. La stanza e’ rimasta chiusa e i padroni di casa non sono mai tornati. Il giorno in cui si è aperta la porta lei non era presente e la stanza è rimasta come sospesa nel tempo. La casa comincia con il lampadario

1 Traduzione mia del monologo teatrale di Māyā Zbīb ‘Ulbat al mūsīqa (2008) 2010 annān al- ā ‘Alī (a cura di), al-Kitābah al-masra iyyah al-lubnāniyyah al-ğadīdah (Carillon in La nuova drammaturgia Lebanese), Beirūt, Chemaly & Chemaly.

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Dopo ogni esplosione esco in cortile per raccogliere pezzi di pietre e di ferro. Il lampadario trema ogni volta, ogni volta sento che sta per cadere. I pezzi di cristallo stanno cadendo, uno dopo l’altro, dopo l’altro, finché la mamma non li raccoglie tutti e li mette in una borsa nella credenza. Il sacchetto è marrone e profuma di liquirizia. E’ strappato da una parte perché a volte rubo dei pezzi di cristallo e li nascondo nei vasi da fiori, poi disegno una mappa per cercarli. La casa era molto grande a quel tempo. La casa comincia con l’armadio Non le piaceva cucire … le piaceva contare. Il giorno che la forzarono a lasciare la scuola per imparare a cucire fu il giorno più triste della sua vita. Divenne una sarta, e molto brava. Quando la relazione con suo marito iniziò a rovinarsi, si accorse che commetteva sempre più errori a cucire, sbagliava le misure di pochi centimetri … errori che solo lei avrebbe notato. Finché un giorno non fece un grosso errore tagliando una stoffa. Quella volta fu capace di convincere la madre della sposa che il modello cosi’era piu’ bello, ma sentì che era giunto il momento di smettere di cucire. E comunque a lei non piaceva cucire, a lei piaceva contare. Dice che la sua casa è molto piccola ma è capace di trovare un posto ad ogni cosa. In questa casa ogni cosa è in ordine, misurata al millimetro … ogni cosa ha un posto … ogni cosa è calcolata. La casa comincia con le ciabatte di casa Ha viaggiato ed e’ rientrata a casa sua, ha notato che molte cose sono cambiate. Il salotto si è riempito di oggetti, nuovi quadri, lampadari colorati, posacenere, ma lui non fumava … In cucina, al posto del frigorifero piccolo che perdeva acqua ce n’è uno più grande, un forno a microonde e un mixer. Nella camera da letto, il letto sta di fronte allo specchio e una stoffa blu, morbida, copre il comodino … che carina! All’inizio aveva pensato che lui avesse fatto tutto perché lei era tornata … non voleva ammettere che di sicuro c’era un’altra donna, non voleva riconoscere che la casa ricominciava di nuovo. La casa comincia con la camera da letto Le tende sono di colore giallo scuro, c’è odore di whisky, umidità e libri vecchi. Di fronte c’è una grande finestra ma non si apre perché il ferro è arrugginito. Lì sotto, un letto con un lenzuolo a fantasia tutto impolverato e un po’ strappato. Sulla destra, un armadio piccolo, se lo apri senti odore di naftalina. Lì dentro c’è un cassetto chiuso a chiave, dentro trovi: monete di diversi paesi, lettere d’amore del tempo della guerra, un mazzo di chiavi, un sacchetto di stoffa con delle biglie, francobolli, foto di gente al mare, fogli con appunti sul tempo, un atto di matrimonio utilizzato sul retro per una lista, il certificato dello stato di famiglia, pagelle, un vecchio passaporto e tre denti da latte. La casa comincia con il cuscino Dice che a quei tempi sognava un ragno, la casa del ragno era sospesa sopra la sua testa, lo vedeva quando si svegliava di notte. Quando ha girato il letto, sono cessati gli incubi. La casa comincia con la cucina L’odore di torta arrivava fino alle scale. I bambini che tornano da scuola suonavano alla sua porta prima di arrivare a casa loro, perché sapevano che era il giorno del gâteau. Lei era molto contenta di

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vederli e cercava di tenerli in casa più tempo possibile prima che i loro genitori cominciassero a cercarli, arrabbiati perché avevano mangiato i dolci invece di pranzare. La casa sua profumava sempre di dolce e per tutta la cucina erano sparse piccole scatole con le scritte in inglese: Cocoa, Vanilla, Almond, Sugar, Cinnamon, Mint, Sweet pepper, … La casa comincia con le pietre di casa Non l’ho mai incontrata nemmeno una volta, non so quanti anni ha adesso … non so se è ancora viva o se è morta in quella casa distrutta … non so se il suo armadio era a posto o in disordine. Qual’era il suo colore preferito? Quanto era grande il suo letto? Quanti specchi aveva? Aveva una TV? Sono entrata da lei, nella sua casa abbandonata. Per terra, tra le pietre e l’erba, ho trovato fogli e lettere rimasti lì per lunghi anni … lettere indirizzate a questa donna, a questa mamma che stava vivendo la guerra. Non so chi sono diventate le persone di queste lettere. Non so perché le lettere sono rimaste e la loro proprietaria si è persa. Non so perché le ho trovate nel 1997 e perché le ho tenute per 11 anni in una busta chiusa in un cassetto. E non so perché oggi ho deciso di parlarvene. Non è da molto tempo che ho cercato e trovato questa casa … attorno c’erano molti alberi, non sono potuta entrare. La casa comincia con la tavola da pranzo Il suo momento preferito è quando si sveglia prima di tutti gli altri, entra in cucina, mangia zucchero fine sotto la tavola e si sporca i vestiti. La casa comincia con la gente di casa A volte quando passo vicino a casa sento che se aprissi la porta ogni cosa sarebbe come prima, con mia madre in cucina a lavare i piatti mentre canta le canzoni di Asmahan. Io sto aprendo tutti i cassetti, gli armadi, le scatole, ne estraggo degli oggetti e domando “che cos’è questo?”. Mia sorella, in piedi alla finestra, fa il possibile per farsi notare dal figlio del vicino, lì di fronte. La casa comincia con la cantina Quando l’hanno trovata dopo 24 anni in questa stanza, piccola buia scavata sotto terra, dove suo padre l’aveva segregata, scoprirono che aveva provato a decorare la stanza con tutto ciò che aveva trovato … bottoni, pietre, erbe, conchiglie, tappi di bottiglie, scatole di plastica … lei non aveva visto il sole da 24 anni, ma amava decorare. La casa comincia con l’affitto di casa Sola nella sua casa in Hamra ama avvolgere le cose nella plastica e inventare scatole in cui metterle … la sua roba, la roba dei suoi figli … suo marito non ha tante cose eccetto una borsa di plastica piena di tutte le cose rimaste dopo la chiusura del suo negozio. Lei prova sempre a riordinare il piano terra che avevano affittato fino a 3000 LL durante la guerra perché era un posto sicuro. La casa che lei odia perché è piccola e infiltrata d’acqua e ci piove dentro ed è piena di umidità, con quei mattoni da poco. La sua casa è pulita e ordinata e non è stata toccata dalla guerra civile. La casa comincia con il cortile Sull’altalena contava sempre quante volte riusciva ad andare avanti e indietro prima di appoggiare i piedi per terra … e ogni volta cercava di arrivare ad un numero più alto. Il record che aveva raggiunto era 57. Una volta, dopo che aveva smesso di giocare a questo gioco, tornò a casa e trovò suo padre che tagliava l’altalena per farne una nuova, da grandi. Ma a lui, tutto il suo dispiacere per questa storia sembrò esagerato … i record che lei aveva raggiunto erano rimasti intagliati sullo schienale dell’altalena.

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La casa comincia con il frigorifero I materassi impilati uno sull’altro nell’unica stanza da letto della casa che conteneva 5 famiglie durante la guerra mi ricordano la storia della principessa sul pisello. Nell’angolo c’è una vecchia tavola gialla, su cui c’è intagliata in grande la lettera “R”, coperta dalle borse di timo e di burghul. Il frigo ha la mia età … e ha ancora i segni della mia altezza fino ai 14 anni. Mia madre mi dice “Basta! Smetti di aprire il frigo per guardarci dentro … e non va bene aprire l’ombrello dentro casa … e quando apri un cassetto, richiudilo … e se porti una gonna non va bene aprire le gambe!” La casa comincia con le scale Si è parlato così tanto di questa scena che per molto tempo ho pensato di averla vista, finché ho capito che quell’evento accadde quando io e mia sorella eravamo nascoste in bagno. A quel tempo non avevo capito perché eravamo nascoste lì e perché c’era uno strano tipo che continuava a battere sulla porta e a urlare. Quel giorno è stato battezzato: “il giorno in cui avrebbero rapito i miei 2 fratelli se non avessero visto la foto del loro leader nel nostro armadio”. La casa comincia nella casa Mi chiese di aiutarla con le borse delle verdure. Nel 1987 con un solo proiettile perse suo figlio e la ragione. Tutto ciò che le era rimasto era solo quella casa … Mi guidò nei cunicoli di casa, costruiti con i sacchetti di plastica vuoti che aveva raccolto … nel soggiorno, in camera da letto, in cucina, nella credenza … plastica … sui muri, sul lampadario, negli armadi, nelle mensole … plastica … sul bordo delle sedie, sotto il letto, sopra ai divani … plastica … nel corridoio, nel lavandino, in bagno … plastica … Dopo un paio d’anni sono passata da casa sua, ma non l’ho trovata, al suo posto c’era un ristorante. La casa comincia con le luci di casa Lei dice che le luci di questa casa le fanno sentire che ha tutto il tempo del mondo e che non è costretta ad avere fretta. Ha vissuto lì tutta la sua vita … quando era piccola, era la casa in cui si radunava tutta la famiglia. Quando si è sposata, è diventata la casa della camera da letto. Quando ha divorziato da suo marito, ha lasciato casa ma ha lottato per tornarci. E quando finalmente è tornata, ha messo nella stanza un letto singolo e ha cambiato tutta l’architettura della casa a tal punto che a volte dimentica che questa è la stessa casa dove è cresciuta e dove ha visto il suo corpo trasformarsi allo specchio … Dice che ha molta paura di legarsi alle case. La casa comincia con le scatole Rispetto a tutti i mobili della casa, l’unica cosa che adorava era quella scatola. La guardava con amore, almeno lei era resistente e fedele. Tutto lì dentro è chiaro, preciso. L’altezza la lunghezza la profondità … ogni volta che la contempla le sembra che sia come una banca dati in cui deposita tutto ciò che può dimenticare: il suo intuito, il suo amore per le storie, la sua bella voce … non c’è nulla che si perde o sfugge da questo cubo perfetto. La casa comincia con la solitudine di casa Dice che li sentiva spesso di notte, quando si muovevano e spostavano degli oggetti, ma mai una volta ha avuto il coraggio di uscire dal letto per verificarlo. Al mattino notava sempre dei cambiamenti, ad esempio gli armadi aperti, le sedie spostate, l’acqua rovesciata per terra. Quando raccontava queste storie ai suoi figli in Brasile, loro rispondevano “la mamma inizia a

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perdere colpi” o pensavano che gli diceva così solo per farli tornare a casa, perché le mancavano. Ma lei era sicura che loro esistevano, lui e sua moglie. Ne era certa, al punto che una volta li aveva sentiti fare l’amore. E un’altra volta appena sveglia ha sbirciato nello specchio e ha visto una giovane donna bellissima, i capelli raccolti, il vestito a collo alto, ma un attimo dopo era scomparsa. Dopo un po’ si abituò alla loro presenza e cominciò ad aspettare le loro apparizioni. La casa inizia con l’odore di casa Le foglie di vite sono tutte umide, il pozzo si sta prosciugando e nell’aria c’è profumo di pane fresco. Quando aveva nove anni entrava di nascosto nel pollaio sotto casa, rubava un uovo, faceva un buco e se lo beveva. La casa comincia con il letto La vicina dell’ottavo piano morì subito dopo la guerra. Era stata malata a lungo ed era sua sorella che si prendeva cura di lei perché non le era rimasto nessun altro. Quando morì, sua sorella non sapeva cosa farsene di tutti gli oggetti e i mobili, tutta la sua preoccupazione stava nel liberarsi di ogni cosa, partire per il Cile e aprire un pub laggiù. Vendendo e imballando e buttando via, cominciò a trovare per caso soldi nascosti in tutti gli angoli della casa, negli armadi e nelle tasche della pelliccia, nei cassetti del frigo, nelle confezioni di medicine, nei cartoni vuoti del latte e nelle scatoline di legno. La casa comincia con la porta Ho 4 anni e sto in piedi vicino al divano e mio zio, che a quel tempo faceva il pompiere, è in piedi di fronte alla porta con la gamba ingessata, forse poco dopo sarebbe entrato … Questa è l’età più giovane in cui mi ricordo di me stessa … significa che dovrebbe essere anche il ricordo più vecchio che ho. Ma sempre, quando ricordo, mi ricordo una situazione e non un avvenimento, cioè ricordo un’immagine fissa. Per questo ho molti dubbi se quest’immagine è un evento che davvero ricordo o è solo una foto che ho visto una volta che poi si è persa ed io ho dimenticato di aver visto. Tendo a dimenticare molto, comunque … ma raramente dimentico le case. La casa resta, io me ne vado. Ero sconvolta quando l’ho lasciata. Oggi provo a non passare più lì vicino perché poi mi viene voglia di entrare. E se entrassi mi direbbero “vattene!” … e se anche mi facessero entrare, sarebbe per troppo poco tempo. Entro. La casa comincia con una porta, una grande porta che è stata cambiata. La casa comincia con la serratura e la serratura è cambiata. La casa comincia con il campanello e il suono del campanello è cambiato. La casa comincia con una donna, una donna bellissima alta, porta molti anelli, ha i capelli rossi, emanano un buon profumo, i suoi occhi sono grandi e vuoti. La casa comincia con la casa e lei mi concede di entrare … La casa è cambiata, hanno levato le foto, sono stati cambiati anche i muri, l’armadio è scomparso, al posto del lampadario di cristallo c’è un lampadario rosso e un foglio con su scritto “lampadario” e sopra il frigo c’è un foglio con su scritto “frigo” e sopra le foglie di vite, stese su un tovagliolo, c’è scritto “foglie di vite” e sopra le lenticchie ancora da pulire c’è scritto “lenticchie” e sopra i ceci a mollo nell’acqua c’è scritto “ceci in ammollo” e sopra il vasetto c’è scritto “vasetto” e sopra il divano c’è un foglio con su scritto “divano”.

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Tendo a dimenticare molto, comunque … Mi dimentico i nomi e le date. Mi dimentico le cose che ho fatto e quelle che amo. Mi dimentico le cose che ho provato per altre persone. Per questo ho iniziato a tenere delle liste. Liste con le cose che devo fare prima di morire e le cose che amo e le cose che mi sconvolgono e le cose che devo cambiare di me stessa … Ho sete … Mia mamma dice che ho troppi fogli e oggetti e che la mia casa non riesce a contenermi tutta. Per questo raccolgo tutto e lo sistemo nelle scatole … scatole con dentro scatole con dentro scatole, più piccole e più grandi … di carta di vetro di conchiglie di plastica di legno. Come questa scatola. Nella stanza della donna e vicino al suo letto c’è una scatola, uguale a quella che ho io. E’ possibile che io l’abbia dimenticata? Cosa c’è dentro? Io e la donna siamo in piedi vicino alla scatola su cui c’è scritto “scatola” e la stiamo guardando. La casa inizia con un foglio. Lo prendo e ci scrivo sopra “questa non è una scatola”. Prendo la scatola e scappo. Sto correndo. Ho sete. Si dice che uno è davvero sé stesso quando è a casa sua, da solo. Ognuno in casa sua si comporta in modo naturale, non finge. Io sto fingendo perché non sono né da sola né a casa mia. E anche voi … State fingendo, perché state facendo qualcosa che forse non vi piace fare. Forse tu adesso avresti voglia di toglierti le scarpe, ma ti vergogni se qualcuno se ne accorge. Forse tu vorresti andartene… Forse tu non sopporti la sedia su cui sei seduto e da quando sei entrato avresti voluto sederti su quel divano vuoto laggiù, ma hai temuto che se ti fossi seduto lì saresti stato coinvolto nello spettacolo. Ho la mia scatola … perché non sono né da sola né a casa mia … non so se la aprirò … La casa comincia con il sogno, con l’utero, con la tomba Ho 9 anni e sto giocando alla Settimana nello spiazzo sotto casa. C’è una mattonella sconnessa … appena la tocco, salta via. Sotto c’è una chiave. Tolgo la chiave dal suo posto, il posto della mattonella si allarga e si spalanca e compaiono delle scale … Scendo le scale, mi trovo in un luogo molto buio, penso perfino di tornare su, ma qualcosa mi spinge ad avvicinarmi, ad andare avanti … Mi metto a camminare, camminare, camminare. Continuo a camminare finché non raggiungo una porta su cui pende una luce … apro la porta … dentro ci sono montagne d’oro e di diamanti … Me ne riempio le tasche fino a scoppiare. Ricomincio a camminare. Buio … Poi una luce Una stanza piena di specchi. Specchi che si riflettono l’un l’altro e che riflettono la mia immagine …

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Inizio a annegare. Annego … Annego in me stessa. Respiro Divento aria respiro I miei occhi diventano sempre più grandi I miei cappelli diventano pesanti I miei capelli si staccano dalla testa ciocca a ciocca … poi uno alla volta … cadono a terra poco a poco La terra diventa acqua Acqua densa … piccoli pesci galleggiano sulla sua superficie come barche perse … Respiro I miei occhi diventano sempre più grandi Le mie dita cadono Svengo Di nuovo … sempre Mi sveglio. Ogni cosa è andata La mia pancia si gonfia Respiro I miei capelli iniziano ad allungarsi I miei capelli sono fili Si allungano e si allungano Cadono a terra, pesanti … Annegano, si allungano come radici, come una mappa, come una trappola Inizia a piovere I miei occhi crescono, rossi, si accendono Vedo il sole da vicino Mi sciolgo Svengo Mi sveglio Svengo di nuovo di nuovo Svengo Mi sveglio Vestita di bianco, tengo una mela Attorno a me, 12 donne Hanno i capelli rossi Non hanno bocca Sorridono, so che stanno sorridendo Chiudo gli occhi, li riapro Se ne sono andate Ne è rimasta solo una Mi somiglia Le sue braccia sono tagliate Sorride Sorrido Sospiro profondamente Mi dice: “prova … provaci ancora” La bacio Sviene

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Svengo Di nuovo Mi sveglio Fa’ freddo Sto cadendo Sto scivolando sopra un ghiaccio sottile, molto velocemente. Voglio urlare Voglio urlare Voglio urlare Voglio urlare Voglio urlare Taccio Entro in un muro di cotone Apro gli occhi Dentro fa buio C’è un telo sulla mia faccia Lo strappo con i miei anelli Luce Una lunga spirale di scale Salgo per 360 gradini Arrivo in cima ad una torre alta con molte finestre Fuori le onde alte arrivano fino ai vetri Stanno sbattendo violentemente Io non ho paura.

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TESTO.4.

1علبة الموسيقى

عم بحكي عن مرا مرا بيبيتا

نسوان ببيوتن بعيشون... ونوي بيسكنو البيوت، بعيشي يلو هننسوان ألن

نالنسوان بالبيت بينسجو خيوط، بيدورو بينغلو، بيحفرو محل عبة بعلبة الموسيقى بيبرمو على حالن لينسو حالن، متل الل

واياالزبيغرقو بالخزاين، بالجوارير ب ... جوا ما بيزهقو

رة مهجورة مسكونة بالناس وغير الناسحة مدمرة مفتعم بحكي عن بيوت مسك ... عن بيت حبس، بيت فخ، بيت ملجأ، بيت مرا، بيت بيوت

عن صناديق للموسيقى للفرجة لألسرار لألحالم .عم بحكي عن حالي وعنكن

بيت بقلب بيت بقلب بيت بقلب علبة بقلبا لعبة تبرم عم

عم تدور على حاال ورا حاال لحاال

متل الوقت عم ترسم خيوط بيتا

عنكبوت/دودة قز عم ترسم حدود بيتا حول جسما

صوتا بس ي بتسمعوهي

بالمفتاح شببلالبيت ا ا كانو يقولوال انو فيا وبيما. لة بالمفتاحرة، مقفمسكبهيدا البيت كان في اوضة دايما نوكما س من يوم

بس القصص يلي كانت تشوفا ورا هالباب . ن يلي هربو وقت الحربغراض وعفش ألصحاب البيت األساسيي .ل حياة تانية جواي كانت قادرة تتخييه. خبروا ياه يلير كانت احلى بكتير من المسك

ت موجودة ي ما كاناليوم يلي نفتح فيه الباب، هي. ابدارة واصحاب البيت ما رجعو األوضة ضلت مسك .ا عالقانة بالزمنواألوضة بقيت كإن

1 Māyā Zbīb ‘Ulbat al mūsīqa (2008) 2010 annān al- ā ‘Alī (a cura di), al-Kitābah al-masra iyyah al-lubnāniyyah al-ğadīdah (Carillon in La nuova drammaturgia Lebanese), Beirūt, Chemaly & Chemaly.

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ريابالت شببلالبيت . ها رح توقعسريا بتهز كل مرة، وكل مرة بحالت. ف الحجار والحديدقع شبعد كل انفجار بضهر عالجنينة تجم

قشنف الكريستال عم يهرهرو ماما ا وحدة ورا وحدة ورا وحدة، لحدبكيس بالن ن وحطتني شالتن كلمةملي.

ف الكريستال قي من وقت لوقت بسرق شمخزوق من ميلة وحدة ألن. وسي وريحتو متل السالكيس لونو بنوبرسم خرايط تفت. راريعبخبين بالزقتاالبيت كان كتير كبير بو. نش علي.

بالخزانة شببلالبيت

.كانت تحب الحساب... ما كانت تحب تخيط .اطة شاطرةاطة وخيصارت خي. م الخياطة كان اتعس يوم بحياتاروا تترك المدرسة وتتعلاليوم يلي جب

اا عم تعمل نإ لما انتزعت عالقتا مع زوجا صارت تحسغالط اكتر واكتر بالخياطة، تق معا القياسات فر . كانت تالحظا بس يهي... على سنتيمترات قليلة

لحد ت القماش غلطما نهار عملت غلطة كبيرة وقص. .ف خياطةت انو صار الزم توقالعروس انو الفستان موديلو هيك احلى، بس حس مايومتا قدرت تقنع

ط بتحب الحساب صالاي ما هيما بتحب تخي... بهالبيت كل شي مرت. لكل شي ي قادرة تالقي محلبتقول انو بيتا كتير صغير بس هينقاس عالبكلةب وم ...

.كل شي محسوب... مطرحوكل شي الو

بمشاية البيت شببلالبيت الون نتال غراض، لوحات جديدة، الص. رتو كتير اشيا تغيت فاتت على بيتو، الحظت انت و رجعسافر

نة وصحون سيغارةلمبديرات ملو ...ما كان يدخن بس هوي .يزرزب باد الصغير يلي بالمطبخ، محل البرخت صار بووم التبأوضة الن... وصار في مايكروويف وخالطة. ..بير، صار في براد كميمراية، في وج

.حلو كتير. ليا شرشف ازرق ناعموكومودينا عما . و صار في مرا تانية بحياتوا تعترف انما كان بد... تي رجعينو هي إلهالش ل كلمت انو عرل فكوباأل

.البيت ببلش عن جديد وكان بدا تعترف ان

األوضةبش البيت ببلو ح ألنفي شباك كبير ما بيفت بالوج. البرداية لونا اصفر غامق، وفي ريحة ويسكي، رطوبة وكتب قديمة

يحديدو مصد .عليمين في خرانة صغيرة، . ق كلو غبرا ومخزوق شويتحتو في تخت عليه شرشف معرفي عمالت من بلدان مختلفة، رسايل من وقت ل، بقلبوفيا جارور مقف. شمي ريحة نافتالينتبس تفتحيا ب

لل، طوابع، صور لناس عالبحر، وراق عليها مالحظات عن چالحرب، مجموعة مفاتيح، كيس قماش فيو قس، وثيقة زواج مكتوب على قفاها ليستة، اخراج قيد عائلي، دفاتر عالمات، باسبور قديم و تالت سنان الط

.حليب

بالمخدة ببلشالبيت لما قلبت التخت . شوفو لما تفيق بالليلتنت ابالعنكبوت، بيتو معلق فوق راسا ك موقات كانت تحلانو ا بتقول .الكوابيس ووقف

المطبخب شببلالبيت ا قبل ما يطلعو على بيتن، هو بابي وراجعين عالبيت من المدرسة بيدقالوالد هن. رجو واصلة للدريحة الكات

ب تخلين عندا اطول وقت ممكن قبل ما ي كانت كتير تنبسط بس تشوفن وتجريه. وتبيعرفو انو اليوم يوم الكاوعلب والمطبخ كل... لوريحتو ح بيتا كان دايما. لو بدال الغدان اكلو حبين ألنن، معصشو علين يفتشو اهليبل

:صغيرة مكتوب عليا باإلنغليزي

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Cocoa, vanilla, almond, sugar, cinnamon, mint, sweet pepper …

البيت ش بحجارالبيت ببلقة التقيت فيا، ما بعرف وال مردما ... رما بعرف إذا بعدا عايشة أو ماتت بهيدا البيت المدم... قمرا هليش ع

تا مرتبة أو مفشكلةبعرف إذا خزان ...شو كان لونا المفضيش كان حجم تختا؟ كم مراية كان عندال؟ قد ... دا تلفزيون؟كان عن

... عاألرض بين الحجار والحشيش لقيت وراق ورسايل باقية من سنين طويلة. فتت لعندا، على بيتا المهجور .الحربكانت عم تعيش رسايل موجهة لهالمرا، لها اإلم يلي سايلمابعرف وين صارو ناس هول الر ...

سايل و ضاعت صاحبتنما بعرف ليش بقيو الر. رت وما بعرف ليش اليوم قر. ر بجارورسنة بظرف مسك 11وليش خليتن ل 97تن بال يقمابعرف ليش ل .خبركن عنن

.، ما قدرت فوتشجر كتير حواليه... فتشت عالبيت ولقيتو مش من زمان

طاولة السفرةب شببلالبيت خ ت الطاولة وتوس، تفوت عل المطبخ، تاكل سكر ناعم تح ي لما تفيق من النوم قبل الكلياحلى لحظة عندا ه

.تيابا

هل البيتأب شببلالبيت ي بالمطبخ عم تجلي وتغني انو اذا بفتح الباب كل شي رح يكون متل قبل، ام البيت بحس مرق حدإاوقات لما اختي واقفة ". شو هيدا؟: "أنا عم فتح كل الجوارير والخزاين والعلب، شيل من قلبن غراض واسأل. ألسمهان . يالحظا جي إبن الجيران بالوتعمل كل جهدا لتخل باك عمعالش

القبوب شببلالبيت بيا، عرفو ساسنة بها األوضة الصغيرة المعتمة المحفورة تحت األرض مطرح ما كان حاب 24لما لقيوا بعد

قناني، زرار، حجار، أعشاب، صدف، أغطية... وضة بحايلله شي كانت تالقيهن هاألب تزيا كانت تجرنإ .مس بس كانت تحب تزينسنة مش شايفة الش 24ال إي كان هي... علب بالستيك

بأجار البيت شببلالبيت

غراضا، غراض والدا... تغلف األشيا بالنيلون وتخترع علب لتحطن فيا لحاال ببيتا بشارع الحمرا بتحب ... .رو المسكمن محلقالو كل شي ب هجوزا ماعندو كتير غراض، غير كيس بالستيك في

البيت يلي . ليرة وقت الحرب ألنو أأمن 0300ي دايما بتحاول ترتب البيت األرضي يلي استاجرو بهي . طوف وكلو رطوبة وبالطو رخيصيوب نشيبتكرهو، ألنو صغير وب

.ب وما نضرب بالحرب األهليةبيتا نضيف ومرت

بالجنينة شببلالبيت ب توصل لرقم وكل مرة تجر... وح وتجي بالمرجوحة قبل ما تحط اجريا عاألرضكم مرة فيا تر بتعد دايماا عم ة ولقيت بيت تلعب هاللعبة، رجعت عالبيت مرفبعد ما وق. 57قم القياسي يلي وصلتلو كان الر .اعلىالنسبة لو ضرورة بال على هيدا الموضوع ما كان اع، ز"ج الكبارخر"المرجوحة تيعمل وحدة جديدة يقص

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.األرقام القياسية كانت بعدا محفورة على قفا كرسي المرجوحة... إللو

اد البرب شببلالبيت يالفرش فوق بعضا بغرفة النوم الوحيدة بالبيت يلي صار يساع خمس عة ل وقت الحرب بتذكرني بقص

. األميرة وحبة البازيالفرا قديمة، محفور عليا حرف ية في طاولة صاوبالزR عتر والبرغلعلى كبير، فوقا كياس الز.

. 14ما صار عمري وبعدا عليه قياسات طولي لحد... البراد من عمريجي عليه يي بتقلإماد وتتفرة بقلب البيت... حاج تفتحي البروبس تفتحي جارور ...وما بيسوا تفتحي الشمسي

.ورةوما بيسوا تفتحي اجريكي إنتي والبسة تن... رجعي سكريه

رجبالد شببلالبيت و الحدث صار لما تخبينا انا لحد ما فهمت ان. ي شفتونإما بينحكا عن هالمشهد ضليت لفترة طويلة مفتكرة اد

فهمتوقتا ما ... امواختي بالحم لمي الغريب صار يدق عالباب ويصرخليش تخبينا هونيك وليش هيدا الز. - ةبخزان-زعيمن- صورة-شافو- لوما-التنان-اخواتي-يخطفو-رح-انوك- اللي- يوم: "صار اسمو هيدا اليوم

".خيي

ش بالبيتالبيت ببلقاال كان كل شي ب. بنا وخسرت عقالإوبرصاصة وحدة خسرت 87بال. ضراي ساعدا بكياس الخت منطلب

ار، بأوضة بالد.. .عاروا من كياس النيلون الفاضية يلي كانت تجماخدتني بزواريبو يلي تعم... هيدا البيتطراف على ...نيلون... فوفريا، بالخراين، عالرعالحيطان، عالت... نيلون... مليةوم، بالمطبخ، بالنالن

.نيلون... بالكوريدور بالمجلى، بالبانيو... نيلون. ..، فوق الكنباياتختالكراسي، تحت التمو مطعبيتا ما لقيتو، صارفي محل بعد سنتين مرقت من حد.

البيت بضو شببلالبيت

بتقول انو ضو و عندا كلناسا هالبيت بحس الوقت بالدة تستعجلنيا وانو مش مضطر. لما تزوجت كان البيت يلي . العيلة كل هلما كانت صغيرة كان البيت يلي بتجتمع في... حياتا عاشت فيه كلولما رجعت حطت باألوضة تخت . حاربت لترجعلوبس . لما اطلقت من زوجا تركت البيت. ومفيه أوضة الن

جسما عم مفرد، وغيرت كل هندسة البيت، لدرجة انو اوقات بتنسا انو هيدا نفس البيت يلي ربيت فيه وشافت ... يتغير بالمراية

.ق بالبيوتنا كتير بتخاف تتعلإبتقول

ناديقبالص شببلالبيت لو قي كان يحني الوحيد يلعفش البيت، الش ام كلقدكانت تتطل. ندوقلبا هو الصع فيه بحبعالقليلة ي، هو

لما تصفن فيه بتحس كإنو ... شي فيه واضح، كل شي فيه ظابط، الطول، العرض، العمق كل. صامد ووفيأو ضايعما في شي ...حبا للروايات، صوتا الحلوزكاها، : فيه كل شي ممكن تنساه خزان معلومات بتحط

.بهيدا المربع الكامللتان ف

بوحدة البيت شببلالبيت د، بسة استرجت تقوم من تختا لتتأكوال مر. و كانت تسمعن بالليل، عم يتحركو ويزيحو غراضنإبتقول لما كانت . مكبوبة عاألرض نزاحة وميحة وكراسي ممتل خزاين مفت ،يراتظ تغيت تالحبح كانالص دايما

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،ى يرجعون هيك لحت، او يفكروا عم تقل"فماما بلشت تخر: "ي كانو يقولودا بالبرازيل عن هالشر والتخب .لدرجة انو مرة سمعتن عم ينامو مع بعض. ي كانت اكيدة انن موجودين هوي ومرتوبس هي. إلنو اشتاقتلن

تو عالية، ا مرفوع، البسة فستان قبعرش لمراية وشافت مرا صبية حلوةت باعلومرة تانية، كانت بعدا فايقة تط. تشوفن انو ت علين وصارت تنطربعد فترة تعود. وبلحظة اختفت

بريحة البيت شببلالبيت

. ف وفي ريحة خبز مرقوقو ندى، البير عم بنشورق العريشة كللما كان عمرا تسع سنين كانت تفوت بالسر فوق وتشرباتفختا من ، تحت البيت، تسرق بيضا عالقن.

ختبالت شببلالبيت ال إفيا إلنو ما كانت مريضة لفترة طويلة وكانت اختا تهتم. نامتابق البعد الحرب ماتت جارتنا بالط مباشرة

ص من كلتخلتهما صار انو كل. الغراض والعفش لما ماتت ما عرفت اختا شو بدا تعمل بكل. حدا غيراي تالقي مصاري شو ، كانت كلوتكب تضبوي وعم تبيع هي. هونيك pubتفتح شي وتسافر على التشيلي،

اية بكلمخب وية وعلب الحليب اد، بعلب األدزوايا البيت، بالخزاين وجياب جاكيتات الفرو، بجارور البر .صناديق الخشب الصغيرةو... الفاضية

البابب شببلالبيت

ام الباب، يمكن بعدو فايت، ي يلي كان يشتغل بالدفاع المدني، واقف قدالكنباية وخال سنين واقفة حد 4عمري .اجرو مجبرة من فوق لتحت

ر ر بتذكبس دايما لما اتذك. ي مفترض تكون اقدم ذكرى إلليييعني ه... فيه حالي رهيدا أصغر عمر بتذكصورة شفتا، بتذكرو وال اذا هيدا شي عن جد منشان هيك عندي شك. موقف مش حدث، يعني صورة جامدة

.ي شفتاوضاعت ونسيت ان

...انا أصال بنسا كتير .بس قليل ما انسى بيوت

أنا بفل البيت بضل

وني وإذا خل ...قولولي فيلليإذا فتت حيو .ي فوتو إلنو بيصير بدمن حد مرقما إ ب، بجروتلما ترك زعلت .قصير زورو بيكون لوقت

بفوت

ش بالجرس وصوت الجرسالبيت ببل. رش بالقفل والقفل تغيالبيت ببل. رباب كبير تغي ،بش بباالبيت ببل .رتغي

.عيونها واسعين وفاضيين ،بهريحتو طي عرها أحمرش، البسه كتير خواتم، لوة طويلةمرا ح ،البيت ببلش بمرا

.لبيتعاي خلتني فوت هي، والبيت ببلش بالبيت

حمراا ريتريا الكريستال صار في محلها تال ،ختفتاالخزانة ،لوالحيطان تبد ،ور نقامتالص ،رتغيالبيت على ورق الملوخية و ،اداد في ورقة مكتوب عليها بروعلى البر، اريتا في ورقة مكتوب عليها ريتوعلى ال

ص على الحم، وى مكتوب عدستنق ي بعدو ماعلى العدس يل، ورشف مكتوب ملوخيةالممدود على الشعليا وعالمرطبان مكتوب مرطبان وعالكنباية في ورقة مكتوب ،ص منقوع بميالمنقوع بالمي مكتوب حم

.كنباية

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.نسا كتيرب انا اصال

.نسا اسامي وتواريخب

نسا اشيا حسيتا لناس نسا اشيا عملتا واشيا بحبا، بب

.ستاتمنشان هيك صرت اعمل لي

را ي الزم غيي بتزعلني واألشيا يلشيا يلي بحبا واألشيا يلاألعمال قبل ما موت واشيا يلي الزم ألباليستات .بحالي

...عطشت

و ع كل شي وبحطمشان هيك بجم ،ي انو عندي كتير وراق وغراض وانو بيتي ما رح يساعنيامي بتقل ...بصناديق

من ورق من قزاز من صدف من بالستيك من خشب... ناديق صغار وكبارلب بقلبون صصناديق بقلبون ع.

.متل هيدا الصندوق

ي كان عندييل واتزي بأوضة المرا وحد تختا في صندوق هو.

؟ شو في بقلبو؟ومعقول نسيت

ع عليهعم نتطلوي مكتوب عليه صندوق لندوق يأنا والمرا واقفين حد الص.

.باخد الصندوق وبهرب ، "هيدا مش صندوق"باخدها وبكتب عليها . ش بورقةالبيت ببل

.عم بركض

.عطشت

. ليعني ما بمث" طبيعتو"ف على الواحد ببيتو بيتصر. بيقولو انو الواحد بيكون حالو لما يكون ببيتو، لحالو

ين م تعملو اشيا يمكن مش حابلو، ألنو ععم تمث... وانتو كمان. ي مش لحالي ومش ببيتيل ألنق عم مثانا هليمكن ... ييمكن انتي عبالك تفل. انتبه ايمكن انتا هلق عبالك تشلح من اجرك بس مستحي بركي حد. تعملوا

فتعالكنباية الفاضية يلي هون، بس خمن لما فتت كنت حابب تقعد انتا مش طايق الكرسي يلي قاعد عليا و .بالعرض اذا قعدت عليا تتورط

...وفتحاما بعرف إذا رح ألني مش لحالي ومش ببيتي، ... قيمعي صندو

.بالقبر... حمبالر... ش بالحلمالبيت ببل بالقبو تحت البيت Xعم بلعب عمري تسع سنين .في بالطة زايحة

البالطة ونفتح وصار في شلت المفتاح من مطرحو وسع محل. جوا في مفتاح. مسكتا بإيدي دغري نقبعت ...درج

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...ب لقدامحالي بمحل معتم، فكرت ارجع لفوق بس كان في شي عم يشدني لقر عالدرج، لقيت نزلت صرت امشي امشي امشي

صرت ... تالل من الذهب واأللمازوا فتحت الباب ج... صرت امشي لحد ما وصلت على باب فوقو ضو .عبي بجيابي لحد ما نتفخو

رجعت امشي ...عتمة

بعدين ضو اياتمر اوضة كال

مرايات عم تعكس بعضا وتعكس صورتي ببلش اغرق

...بغرق بغرق بحالي

سبتنف بصير هوا

سبتنف عيوني بيكبرو شعري تقيلبيوقع عاألرض... بعدين شعرة شعرة... عن راسي خصلة خصلة شعري بهر

يشوي شوي األرض بتصير م ...ا متل سفن ضايعةسمك صغير فايش عا وش... ي سميكةم

س بتنف عيوني بيكبروواصابيعي بهر

بغمى عن جديد

دايما كل شي راح ،بفيق

سبطني بتكبر، بتنف لش يطوشعري ببل

شعري خيطان ل اكتر واكتربيطو

...تقيل، بيوقع عاألضمتل شروش، متل خريطة، متل فخ بيغرق، بيمد بتصير تشتي عيوني بيكبرو

مر، بيولعوح مس عن قريببشوف الش

وببد بغمى بفيق بغمى

عن جديد عن جديد

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بغمى بفيق

البسة فستان ابيض اححاملة تف مرا 12حواليي

شعرن احمر ما عندن تم بيبتسمو

بعرف انن ابتسمو بغمض عيوني بفتحن

راحو في وحدة بقيت

بتشبهني ايديا مقطوشين

بتبتسم ببتسم بتنهد "جربي بعد... بيجر": بتقلي ببوسا بتغمى بغمى ن جديدع

بفيق برد

عم بوقع عم بزحط على جليد رقيق

بسرعة بدي صرخ بدي صرخ بدي صرخ بدي صرخ بدي صرخ

بسكت بفوت بحيط قطن

بفتح عيونيا عتمجو

في قماش على وشي بخزق القماش بخواتمي

ضو درج طويل وحلزوني

درجة 360بطلع بوصل على برج عالي كلو شبابيك

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ازبرا الموج واصل للقز ط بعنفعم يخب

. انا مش خايفة

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Questo lavoro non sarebbe mai stato terminato senza le preziose correzioni delle mie

professoresse, a cui vanno la mia stima e i miei ringraziamenti: Rosella Dorigo, Antonella

Ghersetti, Barbara De Poli, Marcella Simoni.

Abitare a Beirut e continuare a pensare al Libano da un punto di vista non solo accademico è

stato uno sforzo complicato ma lieve, grazie Carl. (Non finisce qui.)

Inoltre, è stato fondamentale l’aiuto di Elisa Ita che ha letto, corretto e migliorato il testo dalle

prime righe incomprensibili, grazie socia. Monica e Giulia, grazie per l’ospitalità in Via

Barbierato e per il supporto degli ultimi (lunghissimi) giorni (e notti).

Alla mia famiglia e ai miei amici di casa, spero di potervi raccontare in tutti i dettagli,

comprese le note a piè di pagina, quello che c’è in questa tesi: significa che avremmo tempo,

tanto tempo per stare insieme.

Page 201: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

ESTRATTO PER RIASSUNTO DELLA TESI DI LAUREA E

DICHIARAZIONE DI CONSULTABILITA'(*)

Il sottoscritto/a

Matricola n. Facoltà

iscritto al corso di laurea laurea magistrale/specialistica in:

Titolo della tesi (**):

DICHIARA CHE LA SUA TESI E':

Consultabile da subito Consultabile dopo mesi Non consultabile

Riproducibile totalmente Non riproducibile Riproducibile parzialmente

Venezia, Firma dello studente

(spazio per la battitura dell'estratto)

(*) Da inserire come ultima pagina della tesi. L'estratto non deve superare le mille battute

(**) il titolo deve essere quello definitivo uguale a quello che risulta stampato sulla copertina dell'elaborato

consegnato al Presidente della Commissione di Laurea

Università Ca' Foscari - Venezia

Università Ca' Foscari - Venezia

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ENRICA CAMPORESI

826173 LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

ASIA MERIDIONALE E OCCIDENTALE: LINGUE, CULTURE E ISTITUZIONI

Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

22/02/2011

Si esaminano le connessioni tra le politiche della memoria/dell'amnesia proposte dai governi

libanesi negli anni '90 e le produzioni culturali di artisti, attivisti e intellettuali che sollecitaro-

no un dibattito collettivo per la riconciliazione civile nel Libano del dopoguerra.

In particolare, si indaga la problematica storiografica in quanto terreno competitivo tra

diversi progetti nazionalisti e in quanto oggetto delle sperimentazioni artistiche sviluppatesi

nel dopoguerra. Si considerano i miti storiografici relativi alla città di Beirut, dall'epoca

ottomana ai piani di ricostruzione promossi dal governo Hariri, e la rielaborazione di tali

immaginari nelle opere di alcuni artisti visivi e cineasti contemporanei: Walid Raad, Ghassan

Salhab, Joreige-Hadjithomas.

Inoltre, si approfondiscono le produzioni teatrali di Rabi Mroue e Lina Saneh, significative

per le ricerche concettuali e formali sviluppate sui temi della memoria e della storia in Libano

Si conclude considerando le dinamiche di finanziamento delle produzioni artistiche esamina-

te, mettendo in luce la parziale dipendenza della scena culturale libanese contemporanea

dagli investimenti stranieri.

Page 202: Frammenti di storia: gli artisti e le narrazioni della guerra civile in Libano

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