Frammenti di partecipazione

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FOCUS ON Gli approfondimenti di Piattaforma Infanzia Numero 2 - Agosto 2012 Network Multimediale di informazione e cultura per l’infanzia e l’adolescenza l Focus On di Agosto di Piattaforma Infanzia centra un tema quanto mai attuale e importante: quello della partecipazione dei bambini e dei giovani. Un tema che abbraccia la dimen- sione del diritto di cittadinanza, la parteci- pazione alla vita politica e sociale, il diritto di essere ascoltati dagli adulti in tutte le decisioni che riguardano la propria vita. Nella lettura di questi “Frammenti” po- tremo scoprire elementi che si muovono su livelli del tutto diversi – giuridico, edu- cativo, identitario, politico nella sua più ampia accezione – e toccano differenti sfere: quella personale, quella familiare, il quartiere dove viviamo, lo Stato in cui anche i minori vengono riconosciuti “parte di”, portatori di diritti e responsabilità. Nel percorso di approfondimento offerto al lettore partiamo da questa splendida defi- nizione di UNICEF (1990) “Partecipazione é il processo di appropriazione di potere - lo sviluppo delle capacità individuali e collettive della gente di migliorare la pro- pria esistenza e di conquistare un sempre maggiore controllo sul proprio destino”. Partecipazione è quindi un “processo” di crescita dove il bambino acquisisce gradualmente la capacità di conoscersi e conoscere, comprendere le istanze e le opportunità che si muovono nello spazio personale e collettivo, definire una pro- pria posizione di responsabilità (come ca- pacità di rispondere). In questo percorso il bambino diventa capace di “muoversi, comunicare e avere successo” (Paoletti), di realizzare se stesso attraverso le proprie azioni e relazioni, giungendo in fasi sem- pre più mature a comprendere il proprio benessere e la propria felicità come intrin- secamente collegati a quelli del contesto e delle persone che in esso vivono, in spazi di relazione progressivamente crescenti, dove la responsabilità individuale si apre alla responsabilità sociale. I FRAMMENTI DI PARTECIPAZIONE Introduzione di Ivano Abbruzzi (continua a pagina 2) italian.softpicks.net

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Il Focus On di Agosto di Piattaforma Infanzia centra il tema, quanto mai attuale e importante, della partecipazione dei bambini e dei giovani. Un tema che abbraccia la dimensione del diritto di cittadinanza, la partecipazione alla vita politica e sociale, il diritto di essere ascoltati dagli adulti in tutte le decisioni che riguardano la propria vita.

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FOCUS ONGli approfondimenti di Piattaforma InfanziaNumero 2 - Agosto 2012

Network Multimediale di informazione e cultura per l’infanzia e l’adolescenza

l Focus On di Agosto di Piattaforma Infanzia centra un tema quanto mai attuale e importante: quello della partecipazione dei bambini e dei

giovani. Un tema che abbraccia la dimen-sione del diritto di cittadinanza, la parteci-pazione alla vita politica e sociale, il diritto di essere ascoltati dagli adulti in tutte le decisioni che riguardano la propria vita.

Nella lettura di questi “Frammenti” po-tremo scoprire elementi che si muovono su livelli del tutto diversi – giuridico, edu-cativo, identitario, politico nella sua più ampia accezione – e toccano differenti sfere: quella personale, quella familiare, il quartiere dove viviamo, lo Stato in cui

anche i minori vengono riconosciuti “parte di”, portatori di diritti e responsabilità.Nel percorso di approfondimento offerto al lettore partiamo da questa splendida defi-nizione di UNICEF (1990) “Partecipazione é il processo di appropriazione di potere - lo sviluppo delle capacità individuali e collettive della gente di migliorare la pro-pria esistenza e di conquistare un sempre maggiore controllo sul proprio destino”.

Partecipazione è quindi un “processo” di crescita dove il bambino acquisisce gradualmente la capacità di conoscersi e conoscere, comprendere le istanze e le opportunità che si muovono nello spazio personale e collettivo, definire una pro-

pria posizione di responsabilità (come ca-pacità di rispondere). In questo percorso il bambino diventa capace di “muoversi, comunicare e avere successo” (Paoletti), di realizzare se stesso attraverso le proprie azioni e relazioni, giungendo in fasi sem-pre più mature a comprendere il proprio benessere e la propria felicità come intrin-secamente collegati a quelli del contesto e delle persone che in esso vivono, in spazi di relazione progressivamente crescenti, dove la responsabilità individuale si apre alla responsabilità sociale.

IFRAMMENTI DI PARTECIPAZIONE

Introduzione di Ivano Abbruzzi

(continua a pagina 2)

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(continua da pagina 1)

SOMMARIOIntroduzione a cura di Ivano Abbruzzi

DIRITTO ALLA PARTECIPAZIONE

Presupposti della sua attuazione in Italia pag. 4Intervista a Vincenzo Spadafora

Gli esempi nazionali e internazionali pag. 5Intervista a Laura Baldassarre

Il diritto all’ascolto come chiave di partecipazioneIntervista a Maria Herczog

Il network per crescere nella promozione dei diritti dell’infanziaIntervista a Jana Hainsworth

Lasciamo al bambino il diritto di diventare se stessoIntervista a Thomas Hammarberg

GLI ELEMENTI DI BASE

Le scale della partecipazione pag. 8Monica Pizzo

Il contributo di Pedagogia per il Terzo Millennio… pag. 9Marco Benini

ESPERIENZE E TESTIMONIANZE

Le città in mano ai bambini pag. 14Da parcheggio a piazza: dall’idea allo studio di fattibilitàCarmen Morrone

Lo sport come palestra di partecipazione pag. 15Intervista ad Andrea Zorzi ed Elena Donaggio

...e se l’italia non fosse piu’ un paese per bambini pag. 16Italia Manzione

Come i bambini partecipano alla ricerca di Andrea Rampini pag. 16

La partecipazione come innovazione sociale pag. 18Intervista a Selene Biffi

Il cinema: un’esperienza di rete per la partecipazione dei bambini pag. 18 Intervista a Claudio Gubitosi

INCLUSIONE E SECONDE GENERAZIONI

Educare le giovani generazioni a partire dalla scuola pag. 20Raffaele Mantegazza

L’Italia, per noi, è come un romanzo di Kafka pag. 22Randa Ghazy

L’intercultura come svolta pag. 23Intervista a Milena Santerini

La parola allo scrittore Intervista a Erri De Luca pag. 24

BIBLIOGRAFIA

cratico nel costruire e garantire autentici spazi (ambienti, contesti e circostanze) di partecipazione alla vita dei giovani.

Fare democrazia si rivela quindi un pro-cesso educativo che parte dallo stimolare nell’adulto la comprensione di quanto è centrale far crescere nei bambini e nei rag-azzi una coscienza individuale che affonda le radici nelle sue più intime preferenze e una coscienza sociale matura, capace di muoversi in spazi di relazione ampi e complessi per raggiungere sviluppo e crescita. E in questa linea di educazione del minore alla vita, alla cittadinanza, alla partecipazione l’adulto si riscopre a sua volta bambino: necessitante di auto-edu-carsi ad un ascolto attivo, a dedicarsi con profonda motivazione alla “costruzione di mondi possibili” (Mantegazza). È proprio quando l’adulto comprende l’importanza di educare e di auto-educarsi che tutti i pro-

cessi di cambiamento iniziano realmente ad innescarsi e manifestarsi.

Attraverso le parole di Vincenzo Spadafora (garante Nazionale per l’Infanzia), della giornalista Randa Ghazy, della pedagogista Milena Santerini e dello scrittore Erri De Luca abbiamo voluto dare spazio specifico nel Focus On ad un tema centrale in ques-to tempo: quello del riconoscimento del diritto di cittadinanza agli immigrati di seconda generazione.

Un declinazione specifica della parteci-pazione che si lega al diritto all’inclusione e alla non discriminazione, rispettando il dettato della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza, per cen-trare il diritto all’identità. Oggi in Italia il diritto di cittadinanza delle G2, le seconde generazioni, composte cioè di quei minori nati in Italia da genitori immigrati, è un

tema non solo politico, ma una sfida che riduce e diminuisce la partecipazione di moltissimi minori nel nostro Paese.Una questione sulla quale da tempo non è più possibile soprassedere, che chiama la società intera e la classe politica ad una riflessione oggettiva (che guardi ai dati e alla realtà di vita delle persone), attenta e risoluta e che noi riteniamo centrale, per una partecipazione reale, davvero senza discriminazioni

Buona lettura.

Questo processo di crescita si riflette nei gradi della partecipazione: dall’ascolto, al coinvolgimento, all’iniziativa, al protago-nismo. Gradi di maturazione dell’individuo così come gradi di maturazione del sis-tema politico e sociale che, in modo di-verso, può riconoscere, offrire, stimolare differenti opportunità di partecipazione ai minori, comprendendone e sviluppandone o al contrario ignorandone i potenziali, at-tribuendo in diversa maniera significato e rilevanza ai contributi che i minori possono e vogliono offrire.

Come sempre quando parliamo del diritto del minore il percorso di approfondimento ci porta al dovere dell’adulto e alle com-prensioni e capacità che gli adulti necessi-tano per agire correttamente nella dimen-sione educativa che porta alla crescita di un individuo come cittadino partecipe e ad agire con uno spirito pienamente demo-

Stefania Isabella Massoni

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DIRITTO ALLAPARTECIPAZIONE

Vincenzo Spadafora,Garante Nazionale Infanzia

I presupposti della partecipazione oggi in Italia:

investimenti, diritti e sinergie

GLI ESEMPI NAZIONALIE INTERNAZIONALI

Laura Baldassarre,UNICEF Italia

e coordinatore PIDIDA, Cristoph Baker,

UNICEF ItaliaDiritto alla partecipazione

e all’ascoltosullo sfondo della CRC

Maria Herczog, Membro del Comitato ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

Il diritto all’ascolto come chiavedi partecipazione

Jana Hainsworth, Segretario Generale

EurochildIl network per crescere

nella promozionedei diritti dell’infanziae della partecipazione

Thomas Hammarberg,Ex Commissario Europeo per i Diritti Umani

Lasciamo al bambino il dirittodi diventare se stesso

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ELEMENTIDI BASE

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LE SCALE DELLA PARTECIPAZIONEartecipazione é il processo di ap-propriazione di potere - lo svi-luppo delle capacità individuali e collettive della gente di migliorare la propria esistenza e di conquis-

tare un sempre maggiore controllo sul pro-prio destino - (UNICEF, 1990 p. 6)

Che cosa significa di partecipazione per i bambini? E altresì “Qual è il senso di educare i ragazzi alla partecipazione: “Noi stiamo preparando i ragazzi non al mondo di oggi, ma ad uno migliore”. La grande ispirazione arriva da Roger Hart, Professore inglese ‘maestri di strada’, do-cente di Psicologia Ambientale presso il Programma di Psicologia della “Graduate School and University Center of the City University of New York” e Co-Direttore del Gruppo di Ricerca sugli Ambienti dei Bam-bini, che deve molte delle sue intuizioni e riflessioni dal lavoro negli slum di New York per conto dell’UNICEF.Roger Hart ha elaborato nel 1991 la nota scala di partecipazione, uno strumento molto utile per descrivere, valutare e “misurare” la partecipazione dei bambini nei progetti che li riguardano. Hart è stato il primo ad adattare il modello della scala di Arnstein, del 1969, per lavorare con i bambinie i giovani, utilizzando una scala composta da otto gradini.

Attraverso la partecipazione si sviluppano i processi democratici e si costituisce la figura del cittadino attivo. Ma come? La partecipazione non è un coinvolgimento spot, bensì una forma di programmazione, educazione e progressione, che va curata e sviluppata nel lungo periodo. Secondo Hart, non si può sperare che diventino improv-visamente responsabili e capaci di parte-cipare all’età di 16, 18, o 21 anni senza che

prima a loro sia mai state date occasioni reali di praticare le abilità e le re-

sponsabilità connesse al compito e che sia stato fatto anteced-

entemente un lavoro educativo e di pratica all’esercizio della cittadinanza.

Il concetto stesso di democrazia è legato alla possibilità che viene data ai cittadini di esercitare, in maniera attiva, costante e crescente, la propria cittadinanza, parte-cipando alla vita della comunità. La scuola, in quanto parte integrante di una comunità, è idealmente il luogo principe per promuo-vere esperienze di partecipazione demo-cratica dei giovani, ma in realtà succede di rado e resta un modello a tendere. Similmente a ciò che avviene per altri diritti umani, alla partecipazione ci si educa: ci si educa cioè alla consapevolezza di essere parte integrante di una comunità e di avere il diritto a partecipare della vita sociale della comunità stessa. Una concezione di educazione che richi-ama quella delineata dal Premio Nobel per l’Economia Amartya K. Sen: “L’educazione non è mero apprendimento, è anche un processo attraverso il quale gli individui sono messi in grado di raggiungere la piena consapevolezza delle loro capacità e dei loro diritti, premesse essenziali per lo sviluppo umano inteso come “sviluppo della capacità degli uomini di fare quelle cose che essi hanno ragione di scegliere e di apprezzare”. L’educazione quindi è la facilitazione di ogni esperienza di vita e ogni processo di

apprendimento che permettono al bam-bino, individualmente o collettivamente, di sviluppare la propria personalità, la propria capacità e le proprie attitudini e di vivere una vita piena e soddisfacente all’interno della società. E in questo l’educazione è processo di partecipazione.La competenza nei processi partecipativi si acquisisce con l’educazione in un processo di pratica graduale e costante, pianificato e strutturato che includa bambini di tutte le età, coinvolgendoli in maniera crescente, da un livello minimo di partecipazione fino ad arrivare al grado più alto, nel quale sono i bambini stessi a proporre iniziative di partecipazione: questa è l’essenza della scala di partecipazione nella sua progres-sione.

La partecipazione di bambini e ragazzi implica che i bambini siano riconosciuti come soggetti sociali che hanno la capac-ità di esprimere le proprie opinioni e deci-sioni negli argomenti che li riguardano di-rettamente, in ogni ambito: l’opinione del bambino va ascoltata sia che si tratti di una decisione che lo riguarda come sin-golo individuo (ad esempio durante il di-vorzio dei genitori), sia in quanto appart-enente ad un gruppo sociale (ad esempio la stesura di una nuova norma riguardante i bambini).Ciò implica che gli adulti siano pronti a

P

non a sottostimare le competenze e il po-tenziale di bambini e ragazzi e che siano capaci di porsi nella corretta relazione con loro. Una relazione che implica responsa-bilità (dare la giusta risposta) e che coin-volge un processo di apprendimento re-ciproco, all’interno del quale bambini ed adulti crescono insieme. Gli adulti devono sviluppare un sentimento empatico che permetta loro di porsi un reale ascolto delle richieste, dei suggerimenti o punti di vista dei minori e che riconoscano la re-sponsabilità di non lasciare i bambini da soli a combattere le proprie battaglie, ma invece di essere loro guide ed educatori, qualunque sia il loro ruolo specifico. Affi-ancandoli nel proprio percorso di crescita, ricercando le soluzioni più opportune alle problematiche che quotidianamente si in-contrano, sviluppando strategie e modelli di comportamento adeguati alle varie cir-costanze. Il superiore interesse del bam-bino è la linea guida per ogni progetto o esperienza di partecipazione.Per coinvolgere i ragazzi il principio fonda-mentale é la motivazione: i ragazzi pos-sono pensare e gestire progetti complessi se li sentono propri. Se gli scopi del pro-getto non sono almeno in parte ideati dai ragazzi stessi, questi ultimi non riusciranno a manifestare interamente le competenze che hanno. Il coinvolgimento produce mo-tivazione, che produce competenza, che a sua volta produce motivazione per altri progetti.

SCALA DI ROGER HARTI gradini 1-3 rappresentano gradi di non reale partecipazione per i bambini e i gio-vani, mentre i restanti 5 gradini rappresen-tano gradi diversi e sempre maggiori di partecipazione.

Adattamento da: Scala della Partecipazione di Roger

Hart, Children’s Participation: From Tokenism to Citi-

zenship, UNICEF Cfr. Il welfare che vogliamo - Labora-

torio di partecipazione Centro di Studi Politici “Pedro

Arrupe” Dispensa a cura di Lino D’Andrea.

MANIPOLAZIONE (MANIPULATION)

Quando gli adulti o gli ideatori di un’azione sono gli unici registi di azioni per cui “utiliz-zano” i destinatari-bambini, mettendo loro in bocca propri messaggi, di cui i bambini non sono in alcun modo portatori.

DECORAZIONE (DECORATION)

Quando gli adulti “utilizzano” i bambini e ragazzi per rafforzare un’idea, dando più forza a messaggi non dei bambini, né suf-ficientemente spiegati loro. In questo caso non si cerca di far credere che l’iniziativa sia stata intrapresa dai bambini.

PARTECIPAZIONE SIMBOLICA (TOKENISM)

In questo caso si permette ai bambini di esprimere realmente la propria opinione su qualcosa che li riguardi, senza però che la loro voce e le loro opinioni possano avere alcun effetto di cambiamento.

INVESTITI DI RUOLO E INFORMATI (ASSIGNED BUT INFORMED)

Bambini e ragazzi non partecipano alla fase di progettazione dell’iniziativa, ma sono in-formati degli obiettivi e rivestono un ruolo attivo nella fase di realizzazione.

CONSULTATI E INFORMATI (CONSULTED AND INFORMED)

I bambini e i ragazzi vengono consultati e fungono da consulenti: le loro opinioni ven-gono prese molto in considerazione.

CONDIVISIONE OPERATIVA

(ADULT INITIADED, SHARED DECISION WITH CHIL-

DREN)

Gli obiettivi generali sono definiti da parte di chi propone il progetto (gli adulti) ma le decisioni operative sono prese insieme ai bambini (beneficiari).

PROGETTAZIONE IN PROPRIO DA PARTE DEI DESTINATARI(CHILD INITIATED AND DIRECTED)

Gli adulti creano solo le condizioni e for-niscono strumenti operativi, contribuendo a rendere possibili le iniziative e i progetti pensati e strutturati dai bambini.

Progettazione in proprio e condivisione operativa(Child initiated, shared decision with adults)

Bambini e ragazzi definiscono obiettivi e il quadro generale dell’iniziativa, mentre le decisioni operative sono condivise con gli adulti, coinvolti nel processo decisionale dai bambini stessi.Nel 2001 Jaume Trilla e Ana Novella, due pedagogisti del dipartimento di Teo-ria e Storia dell’educazione dell’Università di Barcellona, partendo dagli studi di Hart hanno elaborato una nuova scala di parte-cipazione sociale dei bambini e ragazzi. Tale scale è composta da quattro gradini, ma le categorie sono di portata più am-pia ed è presente un grado crescente di complessità della partecipazione. Il loro articolo Educacion y partecipacion social de la infacia”, in Revista Iberico Americana de educaciòn, n26, maio 2001, OEI è presente nella bibliografia multimediale.

PARTECIPAZIONE CONSULTIVA

PARTECIPAZIONE SEMPLICE

PARTECIPAZIONE PROIETTIVA

META-PARTECIPAZIONE

ELEMENTIDI BASE

Dott. Monica Pizzo,Coordinatrice di Piattaforma InfanziaFondazione L’Albero della Vita - Onlus

Stef

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Isab

ella

Mas

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Il diritto alla Partecipazione è contenuto negli articoli 12, 13, 14 e 15 della Con-venzione sui diritti dell’infanzia redatta nel 1989 dall’ONU e ratificata dall’Italia nel 1991. La convenzione fa parte di quei diritti definiti fondamentali, cioè di quel corpus giuridico che è difeso dalle legislazioni internazionali, europee e nazionali. I di-ritti, così come sono espressi nella Con-venzione, obbligano gli stati sottoscrittori all’assolvimento giuridico degli adem-pimenti previsti. La Convenzione risulta come un significativo avanzamento nella giurisprudenza internazionale poiché pone i bambini come soggetti di diritto e non come meri “oggetti di preoccupazione” o “beneficiari di servizi”. Ad essi deve rivolg-ersi l’attenzione delle Nazioni, delle Istituzi-oni e dei privati affinché i loro diritti siano pienamente realizzati. Con particolare riferimento alla Partecipazione del bambino alla vita della società, l’art. 12 della Convenzione defin-

isce un principio generale per l’applicazione della stessa e anche per l’interpretazione di ciascuno dei suoi articoli. L’art.12 chiede alle Nazioni che ogni minore, capace di dis-cernimento, abbia il “diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni ques-tione che lo interessa” e che “le opinioni del fanciullo siano debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”. l bambini hanno quindi diritto a parteci-pare attivamente all’assunzione di decisioni rilevanti per la loro vita e devono avere la possibilità di orientare le disposizioni prese nei loro confronti. Questa significativa lib-ertà è vincolata alla capacità, propria degli adulti, di comprendere e mettere in atto questi processi. Se l’adulto non comprende questo, il bambino non sarà mai portatore di diritto. In ogni caso, bisogna considerare il bam-bino come un essere umano attivo e per-mettere che egli si faccia portatore del suo diritto di intervento, il che presuppone una

conoscenza pedagogica di base che strut-turi i processi educativi rendendo possibile al bambino l’espressione di sentimenti, pensieri, aspirazioni e anche progettualità. Tale diritto deve essere garantito e rispet-tato anche nei casi in cui il bambino, ben-ché in grado di farsi una propria opinione, fosse incapace di comunicarla. Tuttavia, oggi c’è da chiedersi quanto questo diritto sia compreso e quanto si sia fatto per attualizzarlo. Oltre alle indicazioni fornite dalla Convenzione, bisogna infatti evidenziare come il diritto di per sé risulti “vuoto” se non ci sono figure preposte a garantirlo, se quindi esso non è ben com-preso, diffuso e recepito dalle popolazioni delle Nazioni che hanno sottoscritto la Con-venzione. È bene sottolineare nuovamente che questo diritto ha valore sovranazi-onale, il che in qualche modo nobilita il suo contenuto e ci invita a riflettere sulle implicazioni di natura pedagogica e psico-pedagogica finalizzate alla sua attuazione. Presupposto fondamentale per manifes-

tare questo diritto è la possibilità che viene data al bambino di esprimere opinioni, vissuti, emozioni riguardo ad episodi della propria vita. Tutti noi però sappiamo che oggi questa possibilità si concretizza solo quando vengono predisposti consapevol-mente ambienti, contesti e condizioni final-izzati a questo risultato, cioè all’ascolto del mondo interiore del bambino. É difficile tut-tavia presentare questa necessità quando non è per nulla diffusa l’idea che il bam-bino abbia un mondo interiore, che questo sia il motore del suo sviluppo, della sua curiosità e infine della strutturazione della sua comprensione del mondo e quindi del-la sua capacità realizzativa. Un riscontro oggettivo del basso livello di comprensione riguardo l’importanza e la centralità dell’infanzia è costituito dall’organizzazione delle nostre metropoli. Le città, avamposto di modernità e innovazi-one, non considerano centrali nel proprio modello di sviluppo territoriale la realizzazi-one di ambienti destinati all’infanzia, al suo ascolto, alla sua espressione. Centri urbani senza servizi dedicati, scarsa manutenzione e pulizia dei pochi spazi predisposti, traf-fico, inquinamento acustico e ambientale, scarsità di luoghi d’incontro… Le nostre cit-tà crescono senza tenere in considerazione le conseguenze di un’urbanizzazione sel-vaggia e le sue ricadute sulle popolazioni che vi andranno ad abitare. “Ambiente, contesto e circostanze” è la griglia osservativa che Pedagogia per il Terzo Millennio propone per la proget-tazione e la realizzazione di spazi adeguati all’infanzia. Questi tre insiemi, distinti e correlati, si incontrano e si fondono deter-minando le opportunità di apprendimento, per gli adulti come per i bambini.

Per ambiente si considera il luogo fisico, la sua architettura, i suoi colori, le sue impres-sioni. Esso è considerato, da buona parte della pedagogia contemporanea, “il terzo educante”, al di là e prima dei genitori, degli educatori e degli insegnanti. Il contesto è l’insieme delle storie delle persone che abitano l’ambiente, degli in-trecci che queste producono, delle relazioni che si vengono a creare all’interno di esso. Le circostanze sono le opportunità edu-cative che si presentano all’interno di questi contesti mutanti, come mutante è l’ambiente che li ospita. Le circostanze cre-ano dei veri e propri percorsi di forza, dei vortici di capacità o di disperazione e inca-pacità. Questo è il terreno su cui l’uomo, che osserva, può accorgersi di ciò che lo circonda, e scorgere come ciò che lo cir-conda condiziona i suoi atteggiamenti. È necessario quindi ri-scoprirsi non divisi dall’ambiente, dipendenti dal contesto e dalle circostanze. Con questa nuova cons-apevolezza è possibile scorgere come il mondo interiore sia vivificato o mortificato dalle circostanze, prenda forma a secon-do del contesto, e duri per il tempo che l’ambiente gli concede. In quest’ottica diventa più chiaro come le nostre città offrano ambienti inadatti alla manifestazione del diritto alla Partecipazi-one, alla pratica dell’ascolto. Spazi ridotti, inquinati, scomodi e inadatti rendono im-possibile la produzione di quei contesti, cioè di quelle relazioni, che facilitano l’ascolto del bambino, dei suoi bisogni, dei suoi desideri. Genitori affannati, impauriti e stanchi, con una qualità di vita in costante deterioramento, in assenza di ambienti ac-coglienti, gravidi di bellezza, riferimenti, contenuti e significati, come potranno mai portare a termine la missione educativa af-fidata loro? Gli spazi metropolitani contem-poranei sono spazi del non-ascolto in cui le relazioni sono frammentate, discontinue, in cui il tessuto relazionale espanso è assai limitato e spesso conflittuale. Se poi si osservano le “comunicazioni” presenti in questi ambienti, si potrà ben notare come esse siano soprattutto di nat-ura pubblicitaria, commerciale, come man-chino le librerie, le ludoteche, le occasioni di formazione e incontro per i genitori e di aggiornamento per gli insegnanti.

La domanda, nata grazie al concetto di Partecipazione, si trasferisce così dal Diritto alla Pedagogia, alla sua capacità di orientare scelte urbanistiche, quindi politiche. La nos-tra riflessione si sposta dall’affermazione di un diritto, alla ricerca e creazione di quelle speciali condizioni che permettono al diritto stesso di realizzarsi pienamente. La nostra attenzione si concentra così sugli ambienti e sulla loro modificabilità, sulla qualità delle relazioni in essi espresse e sui loro effetti in correlazione alle inclinazioni, ai caratteri e alle intelligenze dei nostri figli. Come possiamo quindi attualizzare e concretizzare il diritto alla Partecipazione? Cosa vogliamo dunque per le nuove gen-erazioni? Quelle circostanze educative che permettono l’ascolto e la Partecipazione, la possibilità di cavalcare il cambiamento e non di subirlo: sensibilità, conoscenze pedagogiche, lungimiranza, chiara visione e senso di responsabilità.

BIBLIOGRAFIA:Bruner Jerome S., “Children’s Talk: Lerning to Use Lan-

guage”, 1983,

Trad. it. “Il linguaggio del bambino”, 1999

Armando Editore

Bateson Gregory, ”Steps to an ecology of mind”, 1972,

trad. it. “Verso un’ecologia della mente”, 1993, Adelphi

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Gardner Howard, “The disciplined mind”, 1999,

Trad. it. “Sapere per comprendere”, 1999

Edizioni Feltrinelli

Paoletti Patrizio, “Crescere nell’eccellenza”, 2008

Armando Editore

Morin Edgar, “Les sept savoirs nécessaires à l’éducation

du futur”, 1999

Trad. it. “I sette saperi necessari all’educazione del fu-

turo”, 2001

Raffaello Cortina Editore

IL CONTRIBUTO DI PEDAGOGIAPER IL TERZO MILLENNIOPER IL DIRITTO ALLA PARTECIPAZIONE

Dott. Marco Benini, pedagogistaFondazione Patrizio Paolettiper lo sviluppo e la comunicazione

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ESPERIENZEE TESTIMONIANZE

Stefania Isabella Massoni

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In Italia sono oltre cento le città italiane che hanno promosso i consigli dei ragazzi, vere e proprie assemblee per l’amministrazione della città in cui under 20 imparano cosa significa essere cittadini, cosa significa democrazia. Un’esperienza nata dalla col-laborazione delle amministrazioni comunali e delle scuole primarie nell’ambito della Legge 28 agosto 1997 n. 285 che promu-ove azioni positive per l’esercizio dei diritti civili fondamentali. Reggio Emilia è una delle città che per prime ha dato avvio al progetto dei consigli dei ragazzi. La città ne conta due perché operano a livello circoscrizionale. Attual-mente sono presenti nell’area Nord est, dal 2000, e in quella sud dal 2005. Graziano Delrio, al secondo mandato come sindaco della città nonché presidente dell’Anci-as-sociazione comuni italiani, è un forte sos-tenitore di questo tipo di educazione alla cittadinanza attiva. Di più. Delrio ha para-frasato l’acronimo Ccr che oltre a voler dire Consiglio circoscrizionale dei ragazzi, per il sindaco della città emiliana significa anche «ciascuno collabori responsabilmente». «I consigli hanno una vita autonoma e, grazie ai tutor e alle Circoscrizioni, hanno rapporti diretti con l’Amministrazione per affrontare i temi di cui si occupano – afferma Delrio-. Di tanto in tanto li incontro in Sala del Tri-colore per fare il punto sul loro lavoro e confrontarci su alcuni temi che stanno loro più a cuore. Riscontro sempre, e lo dico sempre, che i loro interventi sono tosti e stimolanti. Davvero sono impegnati per il bene di tutti, cercano il modo di andare

d’accordo e senza fatiche puntano al risul-tato. La politica è bella, se la si guarda dai consigli dei ragazzi. Noi adulti abbiamo di che imparare». I consigli circoscrizionali di Reggio Emilia coinvolgono gli allievi delle classi 4a e 5a delle scuole elementari e le classi 2a e 3a delle scuole medie. «I bam-bini sono testimonial insostituibili di azioni positive e sono degli ottimi mediatori tra gli adulti. Lo vediamo ad esempio in tutte le politiche di sostenibilità, dalla raccolta differenziata al bicibus, il percorso casa-scuola in bicicletta: adesso sono i bambini a dire ai genitori di non consumare acqua o energia elettrica, di riciclare i rifiuti e di voler andare a scuola in bicicletta». Con i ragazzi Graziano Delrio nei prossimi mesi

continuerà un lavoro di dialogo. «I con-siglieri scelgono autonomamente i temi da trattare, secondo le urgenze che avvertono nella vita di quartiere o della scuola. Le mie indicazioni a medio raggio sono le stesse che do alla mia amministrazione, pensando ad Europa 2020: sostenibilità, innovazione, inclusione. Quindi chiedo di continuare a ridurre consumi e sprechi di energia; a incoraggiare le nuove idee che ci fanno crescere; a fare della nostra città una comunità aperta e inclusiva delle dif-ferenze, dove tutti si sentano a casa e tutti desiderino che la casa sia bella e rispet-tata».

LE CITTÀ IN MANOAI BAMBINI

«I ragazzi che hanno vissuto l’esperienza chiedono di poter continuare oltre il ter-mine del mandato. - racconta Emanuele Di Silvestro, che da molti anni segue il Consiglio dei ragazzi di Reggio Emilia -. Un dato che dimostra l’interesse delle nuove generazioni verso i temi della cittadinanza e della politica nella sua più nobile accezi-one». Di Silvestro è un facilitatore, colui che ha il compito di accompagnare i raga-zzi in questo percorso. Oltre a lui, ci sono i tutor: ragazzi scelti fra gli ex consiglieri che si mettono a disposizione per aiutare i coetanei. I consigli dei ragazzi di Reggio Emilia, come si diceva, sono circoscrizionali. «Il quartiere è la dimensione che bambini e ragazzi conoscono molto bene, lo vivono tutti i giorni per andare a scuola, per fare sport, per giocare, per andare a fare la sp-esa con i genitori. Per questo ne conoscono problemi e pregi». Il consiglio dei ragazzi si forma con delle vere e proprie elezioni, con programma e campagna elettorale e votazioni. «Facciamo

incontri con le scuole elementari e medie dove illustriamo cos’è il consiglio, cosa fa, quali sono i suoi compiti. I ragazzi interes-sati si candidano presentando un progetto per migliorare il quartiere. I più votati, dai compagni di scuola, saranno consiglieri per due anni. Ogni consiglio è composto da 30 ragazzi», spiega Di Silvestro. A Reggio Emilia tutti i consiglieri siedono alla pari, in altre città invece fra gli eletti, vengono nominati sin-daco e assessori. Al di là dei ruoli tutti i ra-gazzi cominciano a lavorare analizzando le proposte con cui hanno vinto e fra queste ne vengono scelte alcune che saranno ap-

profondite e presentate al consiglio comu-nale, quello degli adulti. «Una delle ultime proposte ha riguardato la trasformazione del parcheggio antistante una scuola in una piazza – ricorda Di Silvestro-. I ragazzi han-no incontrato i tecnici comunali per condi-videre le loro idee e alla fine è stato realiz-zato uno studio di fattibilità che, in diversi punti, è stato adottato dall’amministrazione comunale».

DA PARCHEGGIO A PIAZZA.DALL’IDEA ALLO STUDIO DI FATTIBILITÀ

Andrea Zorzie Elena Donaggio

Lo sport come palestradi partecipazione

Carmen Morrone, giornalistaVita no profit magazine

biennalespaziopubblico.it

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E se l’Italia non fosse più un paese per bambini? In effetti, a ben guardare, non è più un paese dove i nostri figli possono cor-rere e giocare liberamente dietro casa. Non sempre almeno. Certamente nelle periferie delle grandi città il problema si avverte di più. Non che gli spazi per i bambini non ci siano, ma essi versano spesso in con-dizioni disastrose: sono così trascurati da essere invivibili, frequentemente non ven-gono attrezzati né adeguatamente recintati e diventano “territorio” di altre fasce d’età.

Il fenomeno è assai diffuso, tanto che in numerosi contesti urbani la situazione è davvero critica. Lo sviluppo infantile è mi-nato alla sua base, la profonda trascuratez-za dell’ambiente inficia la salute globale del bambino che vede così lesi alcuni dei suoi diritti fondamentali. Ogni bambino ha diritto di vivere uno spazio sicuro, libero dal traffico e salubre. Ma le nostre città, risultato di una spinta urbana massiccia, fortemente industrializzate, orientate ad un certo tipo di “produttività”, sono troppo spesso organizzate per favorire il traffico veicolare piuttosto che le relazioni umane. Questo stato di cose lascia sempre meno spazio alle necessità socio-relazionali dei cittadini e, se ci riferiamo alle categorie più vulnerabili, la situazione peggiora notevol-mente. Le città sono sempre meno luogo di incontro, gioco e confronto. I luoghi pubblici, idealmente a disposizione di tutti, sono stati occupati delle auto, dal degrado e dalla sporcizia. Per favorire il traffico si sono allargate le carreggiate, ma ristretti i marciapiedi, che risultano sempre meno agibili per i pedoni. Nelle città moderne i bambini hanno com-

pletamente perso l’autonomia di movimen-to e la possibilità di vivere le esperienze primarie di esplorazione e gioco necessarie per la loro crescita. La Convenzione ONU dei diritti del fanciullo del 1989, ratificata con la legge nazionale n.176/1991, all’articolo 12 sancisce il diritto dei bambini ad es-sere consultati ogni volta che si prendono decisioni che li riguardano, e questo riguar-da anche la politica di sviluppo urbano. Molti sperimentazioni si sono svolte con questa finalità. È interessante sottolineare come da queste esperienze emergano proposte che coincidono con quelle degli esperti urbanisti e di molti altri ricercatori, in particolare psicologi, ambientalisti, soci-ologi, pediatri e anche giuristi. Questo vuol dire che non solo le scelte dei bambino sono quelle “giuste”, ma che sono anche quelle più sensate nell’ottica del loro svi-luppo fisico, relazionale e cognitivo.

L’obiettivo di un’Amministrazione capace dovrebbe essere quello di moltiplicare i luoghi e gli spazi dedicati ai bambini: le ludoteche, i campi di gioco, i luoghi in cui incontrarsi per sollecitare una maggiore partecipazione da parte della popolazione infantile, anche in modo da finalizzare il loro apporto creativo alla costruzione di una città più vivibile.

Un’Amministrazione capace di considerare il bambino come punto di riferimento della propria filosofia di governo sarà capace di accogliere le esigenze e le diversità di tutti. Così il ben-essere del bambino di-venta misura e modello di una città, che deve essere pensata per le sue esigenze, che in fondo sono anche le nostre. Il bam-bino diventa misura quindi, al posto del cittadino adulto, di uno sviluppo urbano sostenibile.

...E SE L’ITALIA NON FOSSE PIÙUN PAESE PER BAMBINI?

Lavorare perché le città accolgano meglio i nostri figli significa operare affinché esse siano produttrici di benessere, moltiplican-do le opportunità di ascolto che la società in generale, e i bambini in particolare, san-no proporre. Un’attitudine di ascolto, infatti, può portare solamente concrete proposte di cambiamento.

Oggi è chiaro che la nostra qualità di vita non può essere misurata con indici econ-omici e sulla salute delle banche. Il PIL, che da decenni è usato per misurare la qualità di miliardi di persone, ignora fattori come il benessere, la felicità, o gli stili di vita delle persone, elementi che costituiscono la qualità di vita reale. Può così emergere

una nuova visione delle politiche di svi-luppo urbano, che tenga presente il diritto alla partecipazione. Un costrutto estrema-mente ricco, un elemento di crescita che permette a colui che partecipa di esprim-ersi, confrontarsi e vedere realizzati i suoi progetti.

Fare in modo che i bambini possano parte-cipare alla costruzione di una “città miglio-re” significa sollecitare un meccanismo virtuoso che produce senso di cittadinan-za, di appartenenza e d’identità, non solo per i minori ma anche per le loro famiglie.In un periodo in cui il rapporto tra le giova-ni generazioni e le loro città si è fatto così difficile, un periodo in cui il vandalismo, il

disprezzo per le cose pubbliche, il degrado sono così diffusi, in un periodo nel quale il decoro urbano diventa un obiettivo ap-parentemente irraggiungibile, chiamare gli adulti a coinvolgere i bambini e i ragazzi nella costruzione di spazi urbano è certa-mente una delle soluzioni più interessanti, specialmente per le periferie e i quartieri popolari dove educazione, partecipazione e responsabilità sono obiettivi da raggi-ungere a tutti i costi.

Ricerca partecipata e peer-research sono pratiche di indagine centrate sul coinvolgimento di chi vive in prima persona i fenomeni che ci si propone di esplorare. Nel lavoro con i giovani questi diventano soggetti – e non più soltanto l’oggetto – dell’azione di ricerca: diventano ricercatori. Due sono i fili conduttori: l’obiettivo conoscitivo specifico, perseguito a partire da posizioni di maggiore vicinanza rispetto ai con-testi e alle condizioni studiate; l’obiettivo di empowerment, ovvero di accrescimento individuale legato alla maturazione di un maggiore grado di consapevolezza rispetto alla propria esperienza e allo sviluppo di abilità trasferibili: pensiero critico, sensibilità interpersonali, lavoro in gruppo, abilità organizzative...

Per progettare e accompagnare percorsi di ricerca partecipata è utile considerare alcune condizioni e alcuni elementi di attenzione.

• I processi partecipativi in generale, e quindi anche quelli di ricerca, hanno significato solo se chi li promuove ha potere di influire sul cambiamento della realtà e ha intenzione di condividere questo potere.

• Lavorare sulla partecipazione porta a lavorare sul contesto, in modo da renderlo pronto e recettivo rispetto ai processi partecipativi e agli spazi effettivi di parola, opinione e cambiamento.

• La partecipazione guarda ai processi, non a eventi estemporanei: si costruisce nel tempo e ha bisogno di cura costante e meticolosa. È nella continuità e nella circolarità dei feedback che prendono forma apprendimenti e intuizioni sul proprio ruolo di cittadini.

• I prodotti del lavoro di ricerca sono al contempo elementi di rispecchiamento e strumenti di diffusione; dovrebbero essere aderenti rispetto al processo, curati dal punto di vista estetico, calibrati sulle specificità del pubblico di riferimento.

• Nella ricerca partecipata il gruppo di lavoro rappresenta il punto di partenza e di arrivo di ogni processo e il principale spazio di riflessione, produzione, incontro e confronto e per questo necessità di una cura generosa delle relazioni e le trasformazioni che si sviluppano in corso d’opera.

• L’ottica partecipata permette di ragionare sul linguaggio – verbale e non verbale – che rappresenta e connota l’esperienza. Recu-perare e sperimentare linguaggi diversi significa mettere in discussione modalità precostituite di rappresentazione e interpretazione del reale.

• Nella ricerca del continuo dialogo tra riflessione e pratiche è utile associare i percorsi di ricerca ad altri format di lavoro sulla parteci-pazione: la peer education, la realizzazione di campagne di sensibilizzazione, la consultazione, la co-progettazione, il peer-mentoring.

Cura, apertura e riflessività permettono di superare miti e retoriche e di muovere quelle leve che possono rendere la ricerca partecipata una pratica davvero trasformativa: la redistribuzione delle parole per raccontare la realtà, la messa in discussione delle chiavi di lettura per attribuirvi significati, la diffusione del potere di trasformarla.

COME I BAMBINI PARTECIPANO ALLA RICERCA

Itaia Manzione, giornalistaFondazione Patrizio Paoletti

Dott. Andrea Rampini,Agenzia di ricerca sociale CODICIbambini.info

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Claudio GubitosiIl cinema:

un’esperienza di reteper la partecipazione

dei bambini

Selene BiffiLa partecipazionecome innovazione

sociale

INCLUSIONE ESECONDE GENERAZIONI

smemoranda.it

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Troppo spesso si riduce la democrazia alla questione del diritto di voto: è ovvio che il suffragio universale ha costituito un felice punto di non ritorno per coloro che credono nei Diritti Universali dell’Uomo e della Don-na, ed è altrettanto urgente che le pratiche elettorali democratiche siano estese il più possibile. Ma l’esercizio del voto costituisce la punta di un iceberg che è in realtà car-atterizzato dalla partecipazione attiva alla politica; non si tratta solamente di delegare ma di interrogarsi sulle aporie presenti nell’idea di delega di ogni democrazia rap-presentativa. Un’idea che non esaurisce af-fatto la complessità dei rapporti del singolo con la democrazia stessa: proprio nell’idea di delega e di rappresentanza sono insite interessanti contraddizioni ed aporie che

occorre affrontare; spesso si sente formu-lare la domanda “perchè il mio voto vale quanto quello di un idiota?”; una domanda arrogante e presuntuosa che però sottolin-ea una questione importante e non eludi-bile: l’esercizio del voto, la pratica della delega e la logica della rappresentanza necessitano di una maturità del popolo, di una sua preparazione e di una forte consa-pevolezza, altrimenti rischiano fatalmente di scadere in forme sottili e pericolose di demagogia; in questo senso è vero che il voto è anche garanzia di democrazia, ma se ne è una condizione necessaria non è di per se stesso sufficiente. Nella scuola primaria non esistono i rappresentanti di classe, ma perchè non provare a far eleg-gere ai bambini più rappresentanti per di-

versi compiti e provare a discutere attorno alla difficoltà della loro scelta e alla respon-sabilità di coloro che sono stati investiti elettivamente di un compito?

Si discute spesso sulla mancanza di parte-cipazione politica per quanto riguarda le giovani generazioni: un dato reale che però deve tenere conto anche della mutata identità che presenta oggi la politica, in particolare nel nostro Paese. Ma aggredire educativamente questa situazione, cercare di modificarla riportando la politica nel cu-ore e nella testa delle persone e rimotivare queste alla partecipazione, tutto ciò non è possibile attestandosi e lavorando esclusi-vamente sul terreno del politico; il che sig-nifica che la politica da sola non ha le armi

Prof. Raffaele Mantegazza,docente di Pedagogia Interculturale,Scienze della formazioneUniversità di Milano Bicocca

per salvarsi, per non implodere, per tornare ad essere attività appassionata di proget-tazione e costruzione di mondi possibili. Occorre l’educazione, occorre la pedagogia, occorre formare ed educare alla parteci-pazione prima e a monte di ogni possibile scelta di campo.

Il prepolitico è il nome del campo di batt-aglia all’interno del quale si combatte questa battaglia; la costruzione del sogget-to partecipante, inteso come soggetto crit-ico, democratico, conflittuale, parte dunque dallo stesso punto di aggancio utilizzato da chi costruisce il soggetto apolitico, non partecipante, passivo; il campo di battaglia non può essere scelto dai due combattenti ma è dato a priori; il che significa che si può deridere o snobbare finché si vuole chi ha utilizzato la discoteca, lo stadio, per fare politica, ma se non si coglie la politicità latente specifica di quei luoghi, ovvero la politicità del prepolitico, è ben difficile se non impossibile contrapporre un discorso democratico ai discorsi desolidarizzanti che spesso vi si annidano; occorrerebbe al-

lora partire non necessariamente da quei luoghi fisici ma dalle emozioni, spesso allo stato quasi animale e irriflesso, che in quei luoghi sono ospitate e attraverso di essi transitano e si riverberano sul sociale; piut-tosto che fare politica allo stadio occorre allora sceverare il politico che è implicito e latente nelle curve e nei cori degli ultras. Se la scuola è forse ormai l’unico posto nel quale per avere ragione non devo urlare o picchiare ma alzare la mano e attendere il mio turno per argomentare le mie ragioni, e se questo vale indipendentemente dal colore della mia pelle, dalla mia religione, dalla mia etnia, allora forse la scuola è una delle poche speranze per la democrazia.

I processi, i progetti, le strutture educative costituiscono il campo di forze all’interno del quale far giocare queste categorie. Ma questo potrà accadere soltanto se le strut-ture educative –a partire dalla scuola pri-maria- saranno organicamente inserite in una società democratica e ne rispetteranno le regole di trasparenza e partecipazione,

non costituendo una sorta di corpo a parte; solo l’assoluta democraticità nella gestione delle istituzioni e dei servizi educativi, la pratica democratica quotidiana nelle relazi-oni tra colleghi, il rispetto delle decisioni prese collegialmente, solo la copresenza di queste caratteristiche che devono essere ti-piche di ogni servizio (soprattutto pubblico) permette che l’educazione lavori per la democrazia; permette, in altri termini, che alla fine dell’educazione, alla morte della relazione educativa, allo sciogliersi del rapporto pedagogico, nasca, con l’adulto democratico, l’adulta democrazia

EDUCARE LE GIOVANI GENERAZIONIA PARTIRE DALLA SCUOLA beta.partitodemocratico.it

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C’è una storia, più di tutte, che dimostra quanto la situazione di una “2G” sia kafki-ana. Quella di due fratelli nati e cresciuti a Sassuolo, rinchiusi in un CIE perché i geni-tori, bosniaci, perdendo il lavoro si sono trovati senza permesso di soggiorno. Non potevano essere espulsi in Bosnia, che non li ha mai censiti né riconosciuti suoi cittadini, ma non potevano nemmeno es-sere liberati. Alla fine è stato un giudice ra-gionevole a ordinarne il rilascio, sancendo un precedente.

Oggi sono circa un milione (993.238) i mi-nori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia. La proporzione dei minori nati nel nostro paese È notevolmente au-mentata rispetto a quella di minori e giova-ni immigrati dall’estero, rappresentando il 71 per cento del totale dei minori stranieri residenti. Alcuni di loro, come accaduto a me e ai miei fratelli, capiranno che in loro si gioca una sintesi complicata: i loro tratti somatici, la loro fede religiosa, la lingua

madre dei genitori saranno richiami di un passato che non hanno mai vissuto.

Ogni migrazione coincide con una rottura identitaria, e poco importa che tu non ti sia mai spostato, finisci per “presentifi-carti” perché il futuro è un’incognita e una qualche reminiscenza migrante ti at-tribuisce uno status che per te è passato e racconta ben poco di te: “Figlio di im-migrati”, quell’espressione così estranea. Così l’alterità diventa minorità, anziché un valore aggiunto, e per un po’ l’adolescenza diventa lotta con te stesso, per accettare la tua identità ibrida, per viaggiare nelle tue fisime senza confini certi. Magari i tuoi genitori, dopo dieci anni di residenza, ot-tengono la cittadinanza, e magari tu hai la fortuna di essere ancora minorenne, “vincendo” quindi anche tu questo dirit-to: e dunque ti risparmi la stranezza del giuramento, e di diventare italiano ormai già adulto. Poi ci sono gli altri, quelli che come se non bastasse il dilemma identi-

tario vengono immersi per bene nel pan-tano burocratico che è questa legge n.91 del 1992 – a sua volta ispirata alla n.555 del 1912, a proposito di modernità-, e oltre a essere nati in Italia devono risiedere inin-terrottamente nel paese e aspettare quella finestra temporale, tra i 18 e i 19 anni, per chiedere ad un magnanimo funzionario di riconoscere quello che lui è più o meno da sempre: un magnifico nuovo italiano.Le proiezioni sono chiare: se nel 2029 i minori stranieri nati in Italia saranno un milione e 770 mila, solo il 7 per cento di essi potrà diventare cittadino italiano. Cam-biasse questa assurda normativa, passando dallo ius sanguinis allo ius soli, la stessa percentuale lieviterebbe fino all’86 per cento.

Ma perché è così importante? Un esempio delle cose che non può fare un figlio di im-migrato che disgraziatamente non è nato in Italia ma vi è giunto a due o tre anni, o un nato in Italia che non è riuscito ad ap-

profittare della finestra temporale tra i 18 e i 19 anni, è questo: evitare le lunghiss-ime code in questura, svolgere il servizio civile, accedere a contratti di lavoro (anche se a tempo determinato) in enti pubblici, iscriversi ad alcuni ordini professionali… e poi, se non riesce a trovare un lavoro o non prosegue gli studi, si ritrova a non poter rinnovare il permesso di soggiorno e viene quindi macchiato indelebilmente con l’etichetta di “irregolare”. E non esiste can-

ale di accesso alla cittadinanza ad hoc per i figli di immigrati non nati in Italia: fanno domanda per residenza, sottoponendosi a criteri discrezionali come il reddito mini-mo. Insomma vengono trattati come ogni altro immigrato giunto nel paese in età adulta. Ecco perché la legge n.91 va cam-biata. Ecco perché le seconde generazioni vanno salvate dal paradosso. Ecco perché è assurdo che l’Italia, come sull’orlo della magnifica esplosione di una società multi-

culturale, tenti ostinatamente di rimanere in equilibrio proprio su quella corda sottile che esclude, e non include, i nuovi italiani, quando dovrebbe semplicemente fare quel piccolo salto. Lo diceva anche Kafka: “Da un certo punto in là non c’è più ritorno. È questo il punto da raggiungere”.

Milena SanteriniScienze dell’Educazione

L’ITALIA, PER NOI, È COME UN ROMANZO DI KAFKA

Randa Ghazy,giornalista e scrittriceYalla.it

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Ha definito un bambino che nasce “il mistero più prodigioso”. Ha raccontato la propria infanzia aderendo con altri scrittori meridionali al progetto “Crescere al Sud”, per i diritti dei bambini e degli adolescenti delle regioni del Mezzogiorno. Lui è Erri de Luca, che nel suo libro “Il giorno prima della felicità” racconta proprio la Napoli del dopoguerra negli occhi di un ragazzo orfano che viene avvicinato ai libri e allo studio da un uomo tuttofare e generoso. È lo scrittore convinto che “i desideri dei bambini danno ordini al futuro”. Erri De Luca, insieme a di-versi altri intellettuali, ha sostenuto la cam-pagna per i diritti di cittadinanza “L’Italia sono anch’io”, nella convinzione che i nuo-vi italiani saranno semina e aumenteranno la “nostra varietà”.

Intervenendo nell’ambito della campagna per i diritti di cittadinanza “L’ITALIA SONO ANCH’IO”, ha parlato non solo di diritti ma anche di parole, dicendo che la po-litica ha un ritardo mentale, non riesce a immaginare il futuro, anzi rallenta i flussi del presente. Crede che le cose cambier-anno comunque col passare degli anni, all’aumentare dei nuovi volti di bambini di seconda generazione in mezzo a noi?Erri de Luca. La politica è impotente di fronte ai flussi migratori. Anche se li chiama ondate e suggerisce immagini di difesa contro di esse con dighe e sbar-ramenti, è incapace di controllare e gov-ernare lo spostamento di miriadi di esseri umani da un posto all’altro del pianeta. Dunque i flussi continueranno e cambier-anno fattezze e forze del nostro continente. Avremo  in una generazione una nuova classe dirigente meticcia, motivata e com-petente.  Miglioreremo grazie alle nuove

energie che circolano già nelle fibre della nostra comunità.

Qualcuno parla di diritti dei bambini immi-grati o figli di immigrati come di qualcosa di non prioritario rispetto alle grandi emer-genze del presente. Oppure c’È chi parla di questi diritti, ma in maniera assolutamente strumentale. Pensa che questo accada per-chÈ non abbiamo intellettuali in Italia che indirizzino il dibattito ristabilendo categorie valoriali? Erri de Luca. Chi nasce in Italia è italiano. L’ordinamento attuale che nega questa evi-denza sarà aggiornato per necessità oltre che per buon senso. Comunque il ceto in-tellettuale italiano non ha avuto la funzione di anticipare o promuovere cambiamenti, si è adeguato a registrarli. Studia da autodidatta diverse lingue, tra cui lo yiddish e l’ebraico antico. Per le seconde generazioni spesso la lingua È un luogo. Una casa che può aiutare i bambini di seconda generazione a definire la propria identita’, a mantenere un legame col pas-sato ma anche a riqualificarsi nel presente, laddove l’essere bilingue dimostri la propria complessita’ ibrida. Cos’È la lingua per lei?Erri de Luca. Nato in napoletano, ho amato e scelto l’italiano  per lingua di scrittura, come un immigrato sceglie di abitare una nuova patria. Sono residente in italiano, ho preso dimora nel suo vocabolario. Questo mi rende immune da esili. Anche se scac-ciato dal mio paese abiterò sempre la sua lingua. Abitiamo il mondo e ci arricchisce imparare quante più lingue possibili.  Lei ha anche detto “la scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, pero’ tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori”. Oggi si È cercato di portare la dis-uguaglianza anche in un luogo democratico come la scuola. Pensa che oggi la scuola in Italia permetta il pari tra le sue mura?Erri de Luca. La scuola, come la sanità e la giustizia sono servizi che hanno smesso di appartenere alla comunità dei cittadini. Sono diventate istituzioni alla portata di chi può permettersene di buone. Si è formata una gerarchia sociale da supermercati, con

prezzi  secondo le tasche. La scuola, come la sanità e la giustizia,   eroga un buon servizio per clienti facoltosi e uno scadente per le fasce di reddito inferiori. La scuola non appartiene più alla comunità, ma al potere d’ acquisto.

Lei ha parlato della sua infanzia e della sua scoperta dei libri e della lettura come “ma-teriale isolante” dal caos esterno e, allo stesso tempo, come uno strumento che consente di spaziare in storie e informazi-oni capaci di aprire mille grandi finestre sul mondo. La diversità e i libri, la cultura. Possono essere un motore di inclusione so-ciale, già a partire dall’infanzia?Erri de Luca. I libri, la musica, i viaggi di residenza all’estero mischiano il proprio mazzo di carte con il resto del mondo. Fanno tavolozza dei colori delle bandiere, tutti spalmati uguali sulla superficie. Cresce una nuova gioventù che si sparpaglia facil-mente ovunque.

ERRI DE LUCA«I DESIDERIDEI BAMBINI DANNO ORDINI AL FUTURO»

Erri De LucaScrittore

Randa Ghazy,giornalista e scrittriceYalla.it

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L’ascolto dei minorenni in ambito giudiziario

Children and Governance

Citizenship Education in Europe

Citizenship education at school in Europe

Piccoli si nasce... Grandi si diventa!

Together with children - for children

Commento generale n.12

Children’s rights, as they see them

Advancing democratic practice

Taking part in democracy

L’e-democracy per i giovani

Forum Europeo degli Studenti sugli Obiettividi Sviluppo del Millennio

BIBLIOGRAFIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Educazione alla cittadinanza mondiale e curriculum:politiche e buone pratiche a confronto

Valutare le potenzialità dei bambini

Rassegna Bibliografica 4/2010 (La ricerca con i bambini)

12 colori per 12 comuni

Forum dei Ragazzi e delle Ragazze sui Diritti dell’Infanziae dell’Adolescenza (V Edizione)

Living in Democracy

Have your say!

Costruire senso, negoziare spazi

Tu partecipi Io partecipo

La partecipazione dei bambini

Revisiting youth political participation

Dai nostri occhi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Clicca sul titolo dell’item per aprire la scheda web.

Every child’s right to be heard

Kiddanet, empowering children on a safer internet

Putting Children at the Centre

Children’s participation From tokenism to citizenship

Meaningful participation of young people

Children and Young PeoplÈs Participation

Participation in the Second Decade of Life

Child-led organisations and the role of adult professionals:a quest for dialogue

A Handbook of Children and Young PeoplÈs Participation

What role can training play in promoting,encouraging and raising standards in youth participation?

Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza:l’analisi delle politiche regionali

FTP Forme in Trasformazione della Partecipazione

Cittadini in crescita

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civilie sociali dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia

Vivere in comunità

Trailer Ufficiale: The Great Debaters

Severn SUZUKI e la voce dei minoriper uno sviluppo sostenibile

Unicef: J8 incontrano i leaders del G8

Unicef: Junior 8 summit

Le voci dei giovani sulla giustizia sociale

UNICEF: i giovani realizzano una mappatura digitaledei rischi ambientali a Rio De Janeiro

Speak to the World

Caroline Barebwoha’s unlikely story

S4C NextGeneration: Roma (scuola Di Donato)

PEN PALS: Meeting People, Sharing realities

AMREF Millennium News n° 8: un’alleanza globaleper lo sviluppo

 

 

 

VIDEO  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Page 15: Frammenti di partecipazione

FOCUS ONGli approfondimenti di Piattaforma Infanzia

www.piattaformainfanzia.org

Piattaforma Infanzia è un’iniziativa promossa da in collaborazione con