Palestinesi in Libano. Viaggio Nei Campi Profughi

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1 Palestinesi in Libano Viaggio nei campi profughi Nakba, catastrofe. Con questa parola che è un inciampo per le corde vocali nella loro come nella nostra lingua, i Palestinesi indicano la loro tragedia iniziata nel 1948. Da allora il popolo palestinese disperso vive una diaspora ancora senza speranza nei campi profughi o una tormentata cattività nella striscia di Gaza e nella West Bank. O, ancora, una condizione di sotto-citadinanza nello stato d’Israele dove, da marzo 2011, perfino il termine Nakb, per volontà del Ministero dell'Istruzione dovrà sparire dai libri di testo degli studenti arabo-israeliani. Catastrofe nella catastrofe quella dei profughi nei campi del Libano, paese che non consente loro richiesta di cittadinanza di fatto negando l’esercizio dei più elementari diritti personali e sociali. In questi campi profughi libanesi la condizione dei bambini è drammatica e solo le Ong approvate dal Governo libanese possono dare loro momenti di cura, istruzione, gioco. Tutto ciò grazie al sostegno di altre Ong internazionali. Ho avuto la possibilità di partecipare, dal 3 al 12 dicembre 2010, ad un viaggio di conoscenza e solidarietà con i Palestinesi in Libano organizzato da Un Ponte per… http://www.unponteper.it/sostienici/pub_petizione1.php?min=50 L’idea di tenere un diario del viaggio è stata intuizione di M. B. che, con cortese e provvidenziale insistenza, mi ha indotto a superare iniziali ferme ritrosie.

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Report di un viaggio di conoscenza e solidarietà nei campi dei profughi palestinesi a Sabra, Chatila, Bourj al-Barashnes, Bourj al-Shamali, Baalbeck . Ciò che ho visto e provato io stessa, resoconto di un'esperienza, con riferimenti ad un paese dalla storia travagliata come il Libano. Gli scritti originali e sono in http://bortocal.wordpress.com/nella categoria mcc43, il suo viaggio

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Palestinesi in LibanoViaggio nei campi profughi

Nakba, catastrofe. Con questa parola che è un inciampo per le corde vocali nella loro come nella

nostra lingua, i Palestinesi indicano la loro tragedia iniziata nel 1948. Da allora il popolo

palestinese disperso vive una diaspora ancora senza speranza nei campi profughi o una

tormentata cattività nella striscia di Gaza e nella West Bank. O, ancora, una condizione di sotto-

citadinanza nello stato d’Israele dove, da marzo 2011, perfino il termine Nakb, per volontà del

Ministero dell'Istruzione dovrà sparire dai libri di testo degli studenti arabo-israeliani.

Catastrofe nella catastrofe quella dei profughi nei campi del Libano, paese che non consente loro

richiesta di cittadinanza di fatto negando l’esercizio dei più elementari diritti personali e sociali.

In questi campi profughi libanesi la condizione dei bambini è drammatica e solo le Ong

approvate dal Governo libanese possono dare loro momenti di cura, istruzione, gioco. Tutto ciò

grazie al sostegno di altre Ong internazionali.

Ho avuto la possibilità di partecipare, dal 3 al 12 dicembre 2010, ad un viaggio di conoscenza e

solidarietà con i Palestinesi in Libano organizzato da Un Ponte per…

http://www.unponteper.it/sostienici/pub_petizione1.php?min=50

L’idea di tenere un diario del viaggio è stata intuizione di M. B. che, con cortese e provvidenziale

insistenza, mi ha indotto a superare iniziali ferme ritrosie.

Senza alcuna pretesa giornalistica, anche se scherzosamente mi sono atteggiata a reporter , ho

inviato quotidiani resoconti sugli eventi , le scoperte, le mie impressioni che tempestivamente

pubblicate nel suo blog http://bortocal.wordpress.com/2010/12/01/verso-il-libano-zona-

sismica/ sono diventate il dialogo riassunto in questo documento.

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il suo viaggio, 1. verso il Libano, zona sismica.1 dicembre 2010

 

M. Venerdì mattina parto per un paese che il sito della Farnesina descrive iniziando con bande

armate fuori controllo e casi di rapimento. Procede con l’invito a non fotografare per il rischio

d’inquadrare edifici vietati – e l’arresto non ha limiti di tempo – e il consiglio di stare alla larga

dai campi palestinesi, terminando con un serafico “Il Libano è zona sismica”

Sembra scritto per spaventarmi, ma non gli do soddisfazione.

M.B. Spero che tu riesca - se non a mandarmi qualche mail da laggiù, non so immaginare come

possano essere le condizioni reali - almeno ad annotare le tue esperienze e poi a mandarmele

al rientro.

M. In via teorica potrei avere internet comodo perché faremo base a Beirut in albergo,

peregrinando ogni giorno fra i campi palestinesi, talvolta nei siti archeologici, ma potrebbe

non essere possibile.

Intanto, chiedo al tuo terzo occhio: partirò?

Gli umori laggiù si stanno agitando in attesa della sentenza del Tribunale Internazionale,

sull’assassinio del presidente Rafiq Hariri nel 2005, prevista per il giorno 10; vedrò in diretta

le reazioni popolari e di quale genere si saprà solo il giorno stesso.

Stamattina jet da guerra israeliani hanno sorvolato Baalbeck e non per lanciare volantini

pubblicitari: un avviso.

Ma tu che ne dici: potremo arrivare a Fiumicino in tempo per l’imbarco dovendo passare per

due stazioni ferroviarie che potrebbero essere bloccate dai nostri manifestanti? Inshalla.

M.B. Viaggiare che cos’altro è se non accettare di galleggiare sugli eventi senza saperne in

anticipo l’esito?

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Chi parte non ha sempre messo nel conto di non poter tornare? Come mi disse una volta con

un sorriso la mia prima figlia: “Papà, guarda che noi sappiamo già che una volta o l’altra non

ritorni!”

M. No no, tu sei uno che torna! Al massimo perdi l’aereo perché troppo occupato a scrivere o a

fotografare!

Ma non hai risposto: partirò? Forse non c’è altro da fare che galleggiare… wait and see: se

scrivo qualcosa… se riesco a mandarlo da là… se te lo mando al ritorno…. se parto….se torno…

Mi farò viva per dirti della partenza e intanto placo l’ansia ripassando mentalmente versi

immortali:

Fontana che irrora i giardini,/

pozzo d’acque vive/

e ruscelli sgorganti dal Libano.

Non è un quiz, ma al volo sai dire da dove vengono?

M.B. Certo che lo so: è il Cantico dei Cantici.

Quello di cui Voltaire diceva nel Dizionario Filosofico: dicono che l’amata è la Chiesa e che è

tutta un’allegoria, ma allora che cosa vuol dire “la mia sorellina è ancora piccola e…” … ops,

credo di non potere continuare qui.

M. Voltaire. Ecco ancora non l’avevi nominato, in risposta a me almeno. Il Cantico è un

documento meraviglioso, si presta a molte letture ma non a quella che lui giustamente critica.

L’aspetto intrigante è che lo sposo e la sposa non si incontrano mai! Ma sembra che nessuno

noti questo raffinatissimo messaggio.

Tu però non portarmi fuori strada con queste suggestioni, mi hai dato un compito no?

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Il suo viaggio, 2. neve sulla partenza per il Libano.2 dicembre 2010

Mai trovata romantica la neve in città, tranne forse la notte con il traffico addormentato, ma

questa mattina è perfino minacciosa, dovesse persistere. Incombe sulla partenza, meno di 48

ore, come complicazione aggiuntiva.

I quotidiani libanesi online, non danno nuove notizie, si galleggia, ma capto qualcosa da

http://www.crisisgroup.org/en/regions/middle-east-north-africa/iraq-syria-lebanon/

lebanon/B29-new-crisis-old-demons-in-lebanon-the-forgotten-lessons-of-bab-tebbaneh-

jabal-mohsen.aspx

Il clima interno del Libano sfugge agli schemi dei nostri media, che per quel paese non fanno

che ribadire i conflitti sempre possibili con Israele, o fra maroniti e islamici, le piroette del

governo per alleviare la pressione siriana.

Quoto da quell’articolo:

“… in Libano, le ferite sono ancora da guarire.

I ricordi sono freschi, le identità sono definite soprattutto dalla vittimizzazione, le sofferenze di

ieri, continue minacce e prospettive di vendetta: il presente è visto attraverso il prisma del

passato e le parti condividono un intenso senso di vulnerabilità.”

Questo interessa a me! Come vivono le singole persone il rapporto con quelli – molto prossimi

– che poco prima erano nemici giurati.

Deporre l’idea del nemico, anche quando si ha davanti agli occhi il suo viso! Che sfida.

E non è forse lo stesso che per l’Algeria, di cui parlavamo nell’altro post, quello su Tahar

Djaout? 

http://bortocal.wordpress.com/2010/11/29/416-vincenzo-cottinelli-a-proposito-dellultima-

estate-della-ragione/ A domani….

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il suo viaggio, 3. non pensare ai Maroniti.2 dicembre 2010, 07:35

M.B. Mica è poco entrare in un resoconto di viaggio e trovarsi di fronte, in apertura, alla

saggezza mite e meravigliosa di Francesco, di Jeshu o di Buddha.

A volte mi chiedo però se questa perfezione morale non sia troppo lontana dalla natura

umana, se l’aspirazione a trascendere il conflitto da un punto di vista superiore non finisca col

togliere dalla mischia le persone migliori, che invece potrebbero battersi in vista di un qualche

risultato.

Semplicemente per regolarlo, il conflitto, per ricondurlo entro termini accettabili, per

impedirgli di realizzarsi attraverso la sanguinosa violenza che deturpa quelle regioni e gli

uomini che ci devono vivere, o che hanno scelto di viverci.

In questo caso più che dimenticarsi del filtro del passato, occorrerebbe riappropriarsi del

passato da punti di vista nuovi, reinterpretarlo, per farlo uno strumento di mediazione,

anziché di contrasto sanguinoso.

Non che creda plausibile in Medio Oriente e in Libano neppure questa prospettiva, però mi

piacerebbe sapere che cosa ne pensi tu, ma non tu come espressione di un punto di vista

personale, tu come osservatrice della situazione.

Così magari ci ricordi anche chi sono i maroniti, in che forme si attua la pressione siriana,

come è il governo attuale del Libano.

buona fortuna, e non pensare neppure troppo a queste domande!

2 dicembre 2010 , 09:56:

M. Ah ah… spiritoso! Non dovrei pensare troppo a queste domande! Ecco l’effetto George

Lakof: “cosa pensi se ti dico: non pensare all’elefante?”

Ma ti rendi conto? Realizzo inshalla un sogno lungo quasi sei anni. Grande arte l’attesa,

direbbe Penelope! Maroniti, dire chi sono mentre dalla radio arriva la musica dei Bee Gees…

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memorie di crudeltà ed emozioni di dolcezza insieme. Forse sarà lo stesso quando nella

desolata Beddawi abbraccerò H. la mia “figliola a distanza” palestinese.

Seriamente: l’identità libanese prima che politica è religiosa, quasi venti forme diverse,

“partiti di Dio” fomentati da interessi poco spirituali dei paesi vicini.

I maroniti sono cristiani, quindi invisi ai paesi islamici? Dipende dal caso.

Nel 1975 nel comune interesse di decimare i feddayn di Arafat, falangi maronite e Siria si sono

infischiati del “loro dio” e insieme hanno reso Beirut un inferno.

Invisi a Israele? Nel 1982 a Sabra e Chatila le falangi in due o tre giorni creano un lago col

sangue di 3000 palestinesi. Intanto gli invasori israeliani comandati da Ariel Sharon fingevano

di guardare da un’altra parte.

(Le religioni non sono né oppio né cocaina!!! Vengono ridotte a grembiulino per le canaglie

dedite a lavori sporchi. Siamo in disaccordo, lo so…)

Non riesco a tenere a mente la storia moderna del paese dei Fenici e della sposa del Cantico

dei cantici, ogni tanto mi rinfresco la memoria qui

http://www.unponteper.it/chatila/pagina.php?op=include&doc=schedapaese

Oh amabile e detestabile internet… ULTIMISSIME: In questo istante arrivata mail con oggetto:

Appuntamento domani all’aeroporto.

Si parte, Bortocal, si parte !!! presto presto devo sistemare le ultime cose.

2 dicembre 2010, 15:15

M Questa mattina – a 10 minuti di distanza, news dal Libano.

Prima, online: si è fatta vivo quel terrorista che non voglio nemmeno nominare, con un

sostegno istigante agli Hezbollah, l’organizzazione sciita un po’ esercito e un po’ caritas, che è

nemico reciprocamente giurato di Israele…

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E poi una mail dal nostro contatto a Beirut con chiamata all’aeroporto di Fiumicino,

traboccante d’entusiasmo quanto me. Allora quasi alla partenza, la nostra intesa resta

galleggiare sugli eventi: riporterò quello che vedrò ogni volta che sarà possibile.

Il massimo di incertezza sarà al 10 (*), quando il Tribunale internazionale si pronuncerà.

Dovesse sancire che gli Hezbollah erano coinvolti nell’assassinio di Hariri, sarà rivolta. E’ già

annunciata. E tu, caro Caporedattore, dovrai allestire una spedizione di soccorso, avendo

trasformato una dama-di-san-vincenzo nella tua reporter sul campo.

Stay tuned…

2 dicembre 2010 at 18:45

M.B. sintonizzatissimo sono!

(*) la sentenza sull’omicidio Hariri non venne emessa nel giorno stabilito, ma varie settimane

dopo e portò alla caduta del Governo.

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il suo viaggio, 4. Tribunali internazionali. 3 dicembre 2010

M.B. Intanto che fai e disfai valigie (non so perché, ma immagino che tu, dopo averci messo

dentro qualcosa, riesamini il tutto e tolga qualcos’altro, ributtando per aria tutto), io provo ad

approfondire il ruolo di Sharon a Sabra e Chatila: davvero non fece altro che guardare

dall’altra parte, come delle truppe qualunque dell’Onu nell’ex Jugoslavia?

Ricordo che si parlava di incriminare Sharon per questi massacri, ma un ripasso rimette a

punto anche i miei ricordi.

Scusa se adesso mi dilungo:

All’inizio del giugno 1982 gli israeliani iniziarono l’assedio di Beirut e accerchiarono i 15.000

combattenti dell’OLP e dei suoi alleati nella città.

intervengono gli americani e fanno firmare una tregua alle parti, garantita da un contingente

internazionale di soldati americani, francesi e italiani: i palestinesi, guidati da Arafat, hanno

tempo fino al 21 settembre per far evacuare la città dai combattenti, e Arafat ritira 15.000

guerriglieri, lasciando solamente i profughi nei campi.

A questo punto gli israeliani circondano i campi, e le truppe internazionali si ritirano entro il

10 settembre, con 11 giorni di anticipo, notare come da questo momento in poi gli

avvenimenti incominciano ad incastrarsi come secondo una sceneggiatura perfetta, tanto che

non si riesce in nessun caso ad ammettere che una concatenazione così riuscita possa essere il

semplice frutto del caso.

Passano solo 4 giorni e il 14 settembre il presidente appena eletto del Libano, Gemayel,

maronita e filoisraeliano, viene ucciso in un attentato, così puntuale da risultare quasi

paranormale, e gli attentatori sarebbero siriani; il giorno dopo, 15, gli israeliani occupano

Beirut “per proteggere i profughi palestinesi”, ma basta che passi ancora un dì

dall’occupazione israeliana e le milizie speciali maronite, eccitate dal fatto, iniziano il

massacro dei profughi palestinesi; e siamo al 16.

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il massacro, guidato da Elie Hobeika, dura tre giorni, fino al 18, e gli israeliani che circondano i

campi e ne sono i padroni di fatto, non muovono un dito.

Sottolineo, perché qualcuna delle migliaia di vittime se lo deve pur essere chiesto morendo

massacrata: ma che legame c’è fra il ritiro dei guerriglieri palestinesi, quello delle truppe ONU,

l’intervento dell’esercito di Israele che stende un cordone sanitario mortale attorno a quei

campi, l’attentato letale al primo ministro del Libano e il massacro sanguinoso di donne e

bambini che dentro il cordone sanitario israeliano compiono le falangi fasciste dei maroniti?

Nel 2001 un Tribunale belga apre un’inchiesta sui fatti in base alla legge del paese che, forse a

memoria del fatto di essere stato invaso due volte nel Novecento nonostante la sua neutralità,

assegna competenza universale ai tribunali belgi per i crimini di guerra e contro l’umanità.

Il tribunale chiama Hobeika a testimoniare (Hobeika aveva diretto la strage dei cristiani

contro i profughi palestinesi) e questi ha un incontro confidenziale con due deputati belgi a

cui anticipa clamorose rivelazioni sui rapporti segreti tra le sue falangi e gli israeliani, che

avrebbero commissionato il massacro; il che profila l’incriminazione di Sharon per l’eccidio.

36 ore dopo Hobeika muore nella sua auto fatta esplodere in un attentato.

Poco dopo il parlamento belga modifica la legge e il tribunale chiude l’inchiesta.

Chi controlla l’informazione controlla anche il potere, dicevamo ieri, vero?

3 dicembre 2010 at 00:09

M. Vero come oro colato.

Sai quando si dice pecunia non olet? In quel caso si può parafrasare: il nemico non puzza se

ammazza altri miei nemici.

Ariel e i suoi restarono a guardare ciò che era già stato commissionato e poiché erano donne e

bambini, non vedo differenza fra chi spara, accoltella, sgozza e quelli che non intervengono

“perché non sono fatti loro”.

E’ interessante che tu ricordi come è andata a finire con il tribunale, visto che ora siamo

appesi tutti alla sentenza di un altro Tribunale.

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Su questo, spero di scriverti da Beirut per aggiungere gli umori della gente in questi giorni che

somigliano per loro all’attesa di annunciato meteorite.

Aspettare non sapendo cosa sperare, poiché troppe cose potranno cambiare e troppi equilibri

incrinarsi. A presto, spero, perché non solo internet preoccupa, a Beirut anche la corrente

elettrica non è erogata con continuità.

… valigie? ma io non faccio valigie! Io costruisco intorno a me una piccola casa ambulante

equipaggiata per ogni condizione di tempo stato fisico umore. (Volessi un avatar per il web,

sceglierei una lumaca). Non è stato un lavoraccio, c’era uno Sting d’annata che gorgheggiava

quella vecchia canzone … I’ll be watching you.

3 dicembre 2010 at 07:36

M.B. Sono abituato a non preoccuparmi troppo della corrente elettrica intermittente, dato

così comune nei miei viaggi lontani, che neppure ne parlo mai.

Di solito il peggio che possa produrre è di fermare i ventilatori…

ecco, direi che il quarto post è pronto e, come desideri, vi ho una parte anche io.

buon viaggio.

M. Strana sensazione, come la presenza di un invisibile Avatar .

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il suo viaggio, 5. Nahr EL BARED.3 dicembre, Beirut

Arrivare a Beirut, dopo un viaggio dalla cronometrica puntualità nonostante i vari cambi di

treni, navette, aerei, taxi, non dà grandi emozioni: una normale nostra città di provincia con

traffico caotico e strada maestra per lo shopping, ma quante case demolite e non ristrutturate.

Eh già, ecco la particolarità di Beirut: le sue ferite non rimarginate nemmeno nelle pietre;

tuttavia i locali sono pieni, profumo di tabacco dolce dalle ascisce, succo di melograno,

chiacchiere e un’allegria così contenuta che non è quasi visibile.

Ma alloggiamo nella Hamra, il quartiere meticcio di Beirut, dove in mezzo al rumore e au un

brulicante via vai i negozi invitano ad essere ciò che ora, in questo momento, desideri essere

o sentirti: fast food, botteghe dei tatoo , eleganti caffè, perfino un po’ liberty, boutique italiane

venditori di falafel, cambiavalute, grandi alberghi e vetrine con schiere di sinuose narghilè

con sgargianti colori e vertiginose decorazioni.

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E il negozietto famigliare con l’essenziale di cui hai bisogno

Domani mattina andremo a Sabra, ma adesso voglio parlarti di Nahr el Bared,il dramma nel

dramma.

Campo vicino a Tripoli, Nahr el Bared ospitava i profughi palestinesi della diaspora, la Naqba,

la catastrofe seguita alla proclamazione dello stato d’Israele; profughi che in questi anni

hanno conservato “le chiavi di casa” nella sempre più lontana speranza di tornare ai loro

villaggi.

Un accordo interno al Libano prevede che in ogni campo la sicurezza sia in mano agli stessi

residenti e che le forze di polizia o i militari libanesi non mettano il naso; invece nel 2007

qualcosa del genere è accaduto, il campo è diventato teatro di scontro fra esercito e

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combattenti di Fatha al Islam: distruzione delle case, eliminazione fisica dei combattenti,

evacuazione degli abitanti, che lì, comunque, si erano fatti una vita, e dispersione dei gruppi

familiari in altri campi.

Ora quando questi profughi tra i profughi parlano di “ritorno a casa” non comprendo più

quale intendono, se la fattoria in Palestina o quel simulacro di casa con fatica edificato a Nahr

el Bared. Vedi? Un disfacimento delle memorie senza che a ciò possa seguire la costruzione di

un futuro.

Oggi Nahr el Bared, sempre presidiata dai militari, è un campo fantasma, un cumulo di

macerie dove qualcuno cerca di riaprire un commercio, restaurare una casa.. ma come? Se il

governo non rilascia permessi e non consente acquisti di materiale edilizio?

Volontari italiani di un progetto di cooperazione mi avevano raccontato com’era la loro estate

qui: si dorme per terra, si respira costantemente la polvere delle macerie, il caldo è terribile e

mancando spesso l’elettricità non sempre i ventilatori funzionano adeguatamente o sono

sufficienti, il bagno e la doccia sono uno per tutti, significa per i 10 volontari italiani e per i

palestinesi del centro.

Pensavo di chiedere a questi pochi Palestinesi ostinati difensori delle memoria della seconda

generazione e quelle seguenti,che della terra degli avi conoscono solo il nome, che cosa

rappresenta ancora per loro Nahr el Bared, ascoltare come possono ancora amare così tanto

quella che era poco più di una prigione a cielo aperto.

Non potrò, non potrò vedere il luogo e parlare con i suoi fantasmi. Le autorità non ci danno il

permesso…

Questo è Libano, baby, cominci a capire?

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il suo viaggio (My Lebanon) 6. Chatila.4 dicembre Chatila

… ma se non dico anche Sabra non la si ricorda, sono due quartieri contigui di Beirut sui quali

ogni disgrazia libanese finisce per andare a parare.

Sette volte è stata distrutta Chatila, e ora ospita 17.000 persone; sorpresa: non tutti

palestinesi, ci sono anche i libanesi che abitavano qui prima dell’arrivo dei profughi, e poi

siriani, egiziani… varia umanità che cerca di sopravvivere.

Le operatrici della Ong ci introducono alla loro opera sui bambini e le madri. Infatti vediamo

dei bambini dall’aria contenta, ma si percepisce una forte disciplina interiore.

Anche “giro turistico” del campo, come no: il cimitero della guerra civile del 1985-87 e il

cimitero del massacro.

http://www.youtube.com/user/altroveable?feature=mhum#p/u/4/Z0luSW5XdPw

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Posso immaginare il campo illuminato dai fari dell’esercito israeliano che assistette alla

carneficina, o la ordinò, ma nessun Tribunale internazionale l’ha sentenziato. C’erano qualche

vecchio e tante donne con i bambini. Chi poteva immaginare che la bestialità delle Falangi

maronite si sarebbe scatenata su di loro? Che cosa hanno provato, poi, a farlo per connivenza

con gli invasori del proprio stato?

Oggi Sabra ospita…

Sarà per colpa del mio Asus dalla tastiera nevrotica se non riesco a scrivere di più, qui in

questo bar che come quasi tutti nel centro di Beirut ha il wireless? Oppure è la somma

disordinata di emozioni di questo giorno e del tormentato privilegio di aver ascoltato dalla

voce di due sopravvissute, donne dolci e vigorose, i loro ricordi di quel sanguinoso giorno

dell’ira e dell’odio.

http://www.youtube.com/watch?v=p3Z6AKtLIw0

Sulla spianata del cimitero camminavo sulla terra che copre migliaia di corpi sepolti dentro

involucri di plastica, ma la vita non si è arresa. Scherzavo con Fadel, Fauzi e Hasa, tre

bambinetti chiacchierini, due parole di inglese … tanto arabo e sguardi d’intesa, una pietra su

cui pestavano non so cosa e le prodezze con il pallone.

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Ho foto che parlano molto meglio di me, se riesco le mando, ma – credimi sulla parola – in quel

campo profughi dove l’aria è irrespirabile, letteralmente ed emotivamente, ho visto più gente

sorridente che in questo bar di borghesi eleganti.

Domani io respirerò lontana da questo smog di Beirut perché andiamo al bosco dei cedri.

Libano dei sogni e della poesia, finalmente. Non sono così forte da sopportare senza

conseguenze interiori tanta vera e dolorosa vita umana come quella che ho sentito palpitare

oggi.

Non ascolto notizie dall’Italia, non so di cosa siete costretti ad occuparvi, ma visti da qui i

problemi di un paese che ha una Costituzione, la separazione dei poteri, le libertà civili

risultano assai poco comprensibili.

Alla prossima, capo!

M.B. il “capo” alle prese anche lui con una tastierina Asus molto birichina e pigra, con grande

piacere personale che nasce dal fatto che non è poi comune trovarsi, come dire? – un alter ego

è interno al linguaggio sessista: dovrei dirlo al femminile, allora? - un’àltera ego e fate

attenzione all’accento! - che sta viaggiando per il Libano con la stessa curiosità e lo stesso tipo

di sensibilità umana col quale ci avrei viaggiato io: pubblicare quello che mi scrive è quasi un

modo di moltiplicare anche a favore di altri il proprio sguardo sul mondo.

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E’ veramente stimolante, almeno per me, e sono sicuro che chi legge M. in questo momento e

in questo luogo virtuale condivide il mio giudizio.

E non faccio certo fatica a credere a M. quando scrive che nei campi dei diseredati si trova

molta più felicità umana concreta e disponibilità al sorriso che unisce due cuori attraverso la

gioia dello sguardo: è quello che mi conferma anche ogni mio viaggio nelle terre lontane dal

consumismo che ci sta travolgendo rendendoci nevrotici ed infelici.

Questa testimonianza, da parte mia non francescana, ma da parte di M. certamente sì, della

perfetta letizia connessa alla povertà è forse il motivo principale per cui questo blog esiste.

6 dicembre 2010 at 18:48

M. … ma scopro che non tutti i campi sono uguali. Ci sono dolori che rafforzano l’animo e altri

che richiudono in una corazza di amarezza. Vedrai le prossime corrispondenze.

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il suo viaggio 7 (My Lebanon). Il Libano dei cedri.5 dicembre

Al risveglio ho ancora in mente la gente di Chatila e le sue case.

Quando è nato il campo con i primi profughi le case affacciate sui vicoli erano basse, poi

mentre i figli crescevano e mettevano su famiglia, anche le case acquistavano via via un piano

in più, una stratificazione generazionale sulla testa dei nonni (..!). Ora il sole non riesce più a

penetrare fino ai piani bassi e le case svettano verso il cielo dominando sulle macerie delle

ultime guerre.

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Assorbivo lo spirito indomabile di questa gente, ma sapevo che dentro le mura ci sono dolori,

eroismo, tensioni di uomini senza lavoro e senza speranza, che a volte sfocia in violenza,

donne che possono fare ben poco per aiutarli ad essere diversi. I bambini trovano felicità nel

centro della Ong Beit Aftal Assomoud che fa da consultorio medico, assistenza sociale,

erogazione di sussidi, asilo ai piccoli , con metodi didattici avanzatissimi, e doposcuola ai più

grandi.

Ci siamo affacciate in una di queste aule, senza finestre, con una ventina di bambini sorridenti,

orgogliosi direi dell’essere lì a studiare, compiaciuti del loro inglese: where are you from, what

is your name, e un intraprendente già seduttore, puntando la ragazza dai bei capelli lunghi,

how old are you.

S’impara presto lo spirito del luogo, non si fotografa dove sventolano bandiere, lì c’è un

minuscolo gruppo di attivisti politici, lo si fa dove ondeggiano decorazioni: ci sono uomini

seduti a fumare l’asciscia, la narghilè per intenderci, pochi passi più in là un mercato, musica

spaccatimpani, dolci che trasudano zucchero, scarichi di auto appestanti, donne egiziane in

questua con i loro bambini. Perché sono qui? Mille motivi, ma di sicuro non hanno marito,

fuggito o morto, e nemmeno cognati che le potessero sposare.

Ombre di una tristezza indicibile. Sai quale parola ho sentito ripetere più spesso ieri a Chatila?

Cancer, cancro. Si nutre dello stress e ogni famiglia ha il suo malato, che lo lascia come unica

eredità, non raro infatti che dopo la morte del marito la moglie si ammali, i bambini vengano

accolti dagli zii… se ci sono.

Così è, ma oggi: Bosco Dei Cedri.

Una boccata di ossigeno dopo tanto ossido di carbonio e particolati dell’aria di Beirut.

Il percorso in questa parte del Libano si snoda nella valle Qadeesha: montagne color

terracotta come scodelle rovesciate sopra profonde gole verdi. Zona a prevalenza cristiana

pullula di croci e di madonne su ogni casa.

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Inaspettatamente capitiamo al museo di Kahil Gibran, che è altresì la sua tomba. Non so se nel

sarcofago ci sia realmente qualcuno, ma l’ambiente è raccolto, bello stile, alle pareti i suoi

quadri.

[“Every drawing is the beginning of another” diceva Gibran, ogni disegno è l'inizio di un altro.

Non lo si può dire anche delle tue foto? ]

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I cedri del bosco sono davvero plurisecolari, fantasiosi nelle forme che hanno saputo

assumere.

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Ricordando che è terapico abbracciare un albero, sfacciatamente intraprendo un incontro

ravvicinato con uno dalla corteccia tale quale al carapace di una tartaruga.

E’ vero, qualcosa accade, l’albero comunica, sono vibrazioni, un dialogo fra viventi di specie

diversa?

Non ti elenco il menù del pranzo, anche se sapessi scrivere in arabo, ma credimi è del tutto

degno della fama della cucina libanese.

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Due sono i doni di questa giornata: Fatma la nostra bella e simpatica guida palestino-libanese.

Potrebbe essere mia nipote, ma nasce una sintonia che alternativamente ci rende coetanee, a

volte mi porta nella sua gioventù dalla fragorosa risata, a volte si accompagna a me nelle

riflessioni, ci scattiamo fotografie, fumiamo un tabacco deliziosamente profumato, ci

scambiamo segreti e promesse di non dimenticarci. E’ un incontro come per te quello con

Mike in India?

L’altro dono è il tramonto. Un cielo rosso, con strisce di azzurro scuro, chiazze rosa pallido e

qua e là sprazzi di color verde acqua. Non ne ho mai visti di così variopinti e il suo ricordo mi

fa compagnia nell’estenuante rientro a Beirut di domenica sera.

Peccato anche la folle velocità dell’auto che non mi ha permesso di scattare una foto degna

dello spettacolo…

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Alcune delle mie compagne di viaggio hanno ancora voglia di andare a spasso per la

downtown, la parte elegante, francese direi, della città. Io e M. le introverse della compagnia,

rientriamo in hotel a deporre le emozioni e sistemare le foto. Ma una scusa qualsiasi serve a

ritrovarci sulla mia terrazza, grande quanto un campiello della sua Venezia. Però stasera c’è

vento, mi attardo solo un po’ al computer per preparare queste note perché questo scampolo

tardivo di estate libanese, mentre già l’Italia è al gelo, si sta tramutando anch’esso in inverno.

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il suo viaggio (My Lebanon) 8. Bourj Al-Barajneh.6 dicembre

La burocrazia compensa la seccatura che ci dà imponendoci un’inattesa breve visita di Sidone,

dove dobbiamo recarci per ottenere dalla polizia il permesso di entrata nel campo di Bourj al-

Barajneh. Occorrono anche due fotografie, non demordiamo, corriamo a farle, sottostiamo a

tutto ed entriamo nel campo, con tanto di cancello e di muro.

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Ci starebbe bene la scritta il lavoro rende liberi, per la mancanza assoluta di diritti, ma il lavoro

in effetti non l’hanno. Non mi tratterrò dal mettere in You Tube il video,

http://www.youtube.com/user/altroveable?feature=mhum#p/u/3/-72JYZgoLpg

ne ho fatto uno inquadrando il fondo dei vicoli mentre cammino fra le pozzanghere e le

voragini e il groviglio di cavi elettrici ad altezza quasi di bambino: centinaia di persone

muoiono ogni anno per scossa elettrica…

Inenarrabile. Non ci provo neppure, dico solo che qui non ho visto i sorrisi e la forza di Chatila,

ma una contenuta disperazione.

Al pomeriggio abbiamo assistito all’apertura del lavori presso la sede dell’Unesco della 10a

Conferenza Internazionale per il Ritorno

Mi ha colpito il fatto che non c’era traduzione simultanea, in nessuna lingua, tanto sicuri sono

di essere dimenticati i palestinesi che nemmeno sperano di avere osservatori internazionali.

C’erano però molte televisioni e mi chiedo, fra sauditi in chefia candida e brune chiome arabe

quanto dovevano spiccare nei servizi televisivi sei donne chiaramente … esotiche come noi.

Per me è stato bello ritrovare le operatrici del campo di Chatila come delle amiche. Con la

nostra guida di Bourj al-Barajneh, stupenda nel fisico e nell’animo, ma quanta tristezza nel suo

sorriso.

7 dicembre l’Ashura.

E allora questa Ashura? E’ la ricorrenza del martirio (… un altro) dell’imam Husayn e di 72

suoi partigiani in una delle tante lotte di potere che hanno insanguinato l’Islam dopo la morte

del Profeta. .A me qui sembra un giorno feriale come gli altri. Forse il Libano è un paese molto

laico? Non direi proprio, come sappiamo. Forse la festa vera e propria sarà al 17, chissà.

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Ad ogni modo per causa sua c’è stato un buco nel programma delle visite ai campi, le altre

sono partite per Tiro e le sue rovine, io scelgo di rovinarmi i polmoni in Beirut per vedere

l’umanità vivente.

Fra le molte possibili classificazioni della popolazione ne scopro una che incrocia l’età e la

lingua straniera conosciuta. Sotto i quaranta parlano solo inglese, al di sopra un francese lento

e sinuoso. Vuoi mettere un carezzevole bonjour con un abbaiato Hi?  

Ma, credimi, io non sono ancora uscita del tutto da Bouri Al-Baraineh.

Non riesco a lasciar svanire quella gente che può anche non sentire mai il calore di un raggio

di sole, perché abita ai piani bassi delle case, non ha titoli per un permesso di uscita dal campo

e può soltanto percorrere i vicoli bui.

Sono ancora con Samia dagli occhi profondi e malinconici che sanno lontane tragedie, ma con

guizzo che intende consolare chi le ascolta. Occhi che vedono tutto.

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Occhi che non si staccano da me, che presa dal demone della fotografia, sto per infilami

nel cappio di cavi elettrici penzolanti.

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Chi sarebbe oggi questa androgina bellezza che molto somiglia alla modella di questa foto

pubblicitaria

se fosse nata altrove? Vestirebbe Dolce e Gabbana, sorridendo da una copertina?

Ma ha avuto in dono anche la forza morale, così può sopportare ciò che sa e che vive, e io ogni

volta che sentirò Palestina, vedrò il suo viso, la sua figura che mi guarda dal cancello d’entrata

del campo, dopo avermi mostrato il cimitero che sta, al di fuori, lungo il muro di cinta.

Già, solo se sono morti questi profughi di Jaffa possono riposare fuori del campo, nella libera

terra libanese.

A la prochaine …

7 dicembre 2010 at 17:22

M.B. il post è pronto: lo tengo in lista d’attesa sino a domattina…

a me questo diario di viaggio piace.

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**** Appena postato questo resoconto, a sorpresa compare questo commento di un libanese:

8 dicembre 2010 @ 17:44:55

commentatore da Beirut: raymond issa

Di chi è la colpa se questi palestinesi sono nel Libano. E la Palestina che non esiste presa dagli

Israeliani Sionisti appoggiati dall’America e dall’Europa.

Loro i Palestinesi ospiti nel Libano hanno cercato di occupare il Libano scatenando 17 anni di

guerra e 100.000 morti distruggendo un paese. Se i fili elettrici sono appesi è anche colpa loro,

Poi non ci sono centinaia di morti per questa causa.

8 dicembre @ 23:46:32

M.B. ti ringrazio raymond issa per questo commento.

l’autrice del post, ti risponderà appena le sarà possibile: adesso è ancora in Libano.

Vorrei che fosse chiaro che pubblico questi post (e lei li scrive) per solidarietà con i palestinesi

e contro il sionismo.

Tu però, dopo avere detto che i sionisti hanno tolto la Palestina ai palestinesi, accusi i profughi

palestinesi di avere cercato di occupare il Libano.

Questo dimostra forse quanto è difficile separare i torti in una guerra e come una ingiustizia

ne genera a cascata delle altre.

ma ti risponderà certamente anche mcc43, a presto.

10 dicembre 16:37:23

M. anche io ringrazio del commento raymond issa. Sono certa che come noi due ha a cuore la

libertà`di pensiero e di parola. Pertanto gli dico grazie ancora, ma la storia come la raccontano

le testimonianze ufficiali, i documenti storici non collima con le sue affermazioni. Detto

questo, essendo io interessata al lato umano delle questioni, proseguo osservando

attentamente questo paese e i campi profughi, per molti dei quali l’Onu paga fior di canoni di

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affitto, considerando poi che sono usati per il lavoro nero, direi che in molti guadagnano su di

loro, anche addossando sulle loro spalle colpe che non hanno. Non si santifica nessuno qui, si

guardano le cose come stanno.

… e stanno così:

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il suo viaggio 9 (My Lebanon). la città di Baal.8 dicembre

Baalbeck, ovvero la città del dio Baal.

E se qualcuno ti chiedesse “chi è” non so immaginare quante schermate riempiresti… ma non

potresti mai eguagliare l’imponenza e la raffinatezza del tempio di Bacco. Meriterà ne sono

certa un post a parte con le foto che ti manderò. Vedrai gli enormi massi, resti di costruzioni

distrutte dal tempo,

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le colonne di oltre 80 metri, le più alte del mondo…

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e ancora, magnetici per lo sguardo, i raffinati bassorilievi nella pietra

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Per arrivare al sito e al campo profughi ci siamo addentrati nel Libano profondo, entrando

nella valle della Bekà in territorio molto filo Hezbollah.

A 1200 mt sul livello del mare, senza problemi di spazio, il campo di Baalbeck ha case basse

vie non larghe ma assolate, le donne si distinguono per l’eleganza accurata e la simpatia, gli

uomini sono merce rarissima perché molti hanno potuto espatr… pardon uscire dal Libano e

andare a lavorare altrove.

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Abbiamo incontrato la generazione delle nonne, le grandi madri, che parlano solo della

“Auda”, il ritorno in Palestina, se Dio lo vorrà,

prima di un commiato cordiale e la speranza di rivedersi.

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Domani è il mio giorno: incontro la “mia” ragazzina, sono emozionata, credimi, lo avevo tanto

sperato in questi anni e poi sempre qualcosa andava storto.

A parte questo sentimento, la situazione è assurda: cosa abbiamo da dirci? Lei non sa

immaginare come si vive nel mio paese, io so sempre meglio come vive lei ma posso forse

dirle “che pena” ? Magari sfoggerà il suo inglese con orgoglio e ci scambieremo domande

senza molto senso, ma qualcosa di sincero fra di noi passerà.

Il campo suo è Beddawi vicino a Tripoli. L’altra Tripoli, non quella che conosciamo tutti e due.

Ti batterò dunque 2 Tripoli a 1 !!

Allora intesi, galleggiando sugli eventi abbiamo già coperto un bel po’ di spazio, spero di

inviare ancora il report da Tripoli e poi… inscialla.

Intanto mi sono comperata la chefia bianca e nera e un po’ “filistinìa” sono anche nell’aspetto

oltre che nell’animo…

M.B. Ecco che sull’umanità delle analisi politiche e sociali si innesta una umanità più

essenziale ed originaria, rispetto alla quale la politica passa sullo sfondo.

Che momento forte, e come sarà problematico.

Mi metto anche dall’altra parte e penso a quanto potrà essere ancora più emozionata di te la

ragazzina?

Che tipo è? Che idea ti sei fatta di lei attraverso i contatti di questi anni?

Sto girando intorno alla situazione e mi rendo conto che quasi sto cercando con queste

domande di disinnescare la potenza emotiva del momento…

M. Avevo poche idee, si sapevo per sommi capi la sua storia, ma quelle lettere in arabo

tradotte in inglese dalla social worker mi lasciavano un sottofondo di perplessità.

Avevo bisogno di questo incontro sfumato già due volte, ed e` avvenuto. a prestissimoooooo

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10 dicembre 2010 at 23:33

M.B. bellissimo incontro, già leggo nella mail, sono contento.

12 dicembre 2010 at 20:49

M. grazie, hai capito.

Un

Sorriso,

breve

oblio

della

quotidiana

malinconia

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il suo viaggio 10. Tripoli e campo di Beddawi.9 dicembre Tripoli e campo di Beddawi

E’ avvenuto l’incontro con la mia protetta, ed è stato più bello di quanto avessi sperato.

Giuro che l’ho riconosciuta fra le altre ragazze prima che la social worker, preziosissima

donna, ci presentasse. Un bel viso pulito, la chioma e gli occhi scuri, una quindicenne in

camicetta candida e tanta timidezza. Ora che abbiamo scavalcato le prassi burocratiche e ci

siamo abbracciate so che saremo l’una per l’altra un vero affetto, io Ummi, madre mia, per lei,

e H. sarà Ibnati, figlia mia, per me. (sull’ esatta traslitterazione non ci giurerei…)

Siamo una testimonianza del possibile quando tutto sembra dire di no e abbiamo preso un

duplice accordo: la prossima volta conoscerò anche la sua coraggiosissima madre

sopravvissuta al massacro di Tar al Zatar, e un giorno più lontano ci incontreremo in

Palestina, se tutto questo Dio vorrà.

Questa è la gemma, il momento aureo del viaggio per me, per lei la consolazione che non tutti

nel mondo a lei sconosciuto dimenticano la sua gente.

Il campo è ben attrezzato, le vie sono assolate e ben tenute, ho sentito di nuovo vibrare lo

spirito determinato all’ottimismo di Chatila, forse per questo non ho notato il muro di cinta,

ma c’è, le foto lo testimoniano.

Per quelle di noi che ancora non sapevano, è stato un brutto colpo sentire che nello stesso

campo che ospita anche siriani e libanesi, questi possono avere permessi di lavoro o di

espatrio, possono risparmiare e comperare una casa da lasciare agli eredi, ma i palestinesi no:

loro non possono avere proprietà di alcun genere. Perché? Ma per il loro bene, dicono! Che

accadrebbe del loro popolo se si radicasse in Libano disperdendo le sue memorie? L’ipocrisia

politica non ha limiti… Allora stiano così provvisori e incerti e pensino sempre al ritorno,

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all’Auda, che verrà ... se Dio vorrà, perché nessuno chiede a Israele di rispettare le risoluzioni

che esigono la restituzione dei territori occupati.

“Dite voi se questo è un uomo” scrisse Primo Levi, e perché non dovrebbe valere anche per

questi uomini e donne in balia di forze che non possono controllare?

Tripoli di Libano è una cittadina vivace, anche simpatica, almeno è l’impressione che ho

ricavato da un giro nel souk,

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ma il tempo non bastava per conoscerla meglio, nei suoi angoli segreti

Incombeva il rientro a Beirut, ancora nell’ora di punta, ancora nell’aria mefitica che, davvero,

sta facendo scempio del mio sistema respiratorio e mi fa tossire come un minatore.

Ma cosa bruciano nei motori delle macchine questi libanesi? Morchie, antracite liquida?

E perché fa tanto fico snobbare il verde dei semafori, creare grovigli di corpi e lamiere

sparando, è l’impressione, raffiche di colpi di clacson.

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Oh, Beirut, hai paura dei sussurri e del silenzio?

E’ il chiasso che ti fa scordar lo scoppio delle bombe?

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il suo viaggio (My Lebanon), 11. Campi di Bourj Al-Shemali e Elbuss.10 dicembre campi di Bourj Al-Shemali e Elbuss

Solita partenza alle 8,30 con l’autista messo a disposizione dalla Ong Beit Aftal Assomoud che

di nome fa Chawki, ma si è meritato il soprannome di Malak, angelo, visto che ci segue con

occhio attento nei nostri giri e ci riporta tutte quante salve al pulmino. Buffo: ogni volta sceglie

chi siederà nel sedile a fianco del suo. Due volte oggi mi è toccato l’onore, si mormora.. Ma sì,

dobbiamo pure trovare pretesti giocosi per sdrammatizzare questo turbine di emozioni e

anche, non si può nasconderlo, la difficoltà di armonizzare le nostre personalità di estranee,

diverse per mille ragioni e anche nelle aspettative per il viaggio.

In entrambi i campi oggi abbiamo la compagnia dello stesso social worker. Ha l’aria

accattivante ma io sento anche un “non si muove foglia che io non voglia”. Dice frasi che

elettrizzano le anime belle occidentali, ma non convincono del tutto me quando afferma che si

dovrebbe separare la politica dagli affari del campo. In pratica non propendere per Hamas o

Fatha, mi sembra una politica cerchiobottista e non capisco come si possa fare in quella

situazione; direi che gli affari del campo dovrebbero essere un gancio per favorire una

qualche distensione fra le fazioni politiche.

Ma non importa, è stato così bravo da mettere in piedi perfino un’orchestra di cornamuse

palestinesi che fa tournèe all’estero. Un sound insolito, ho comperato il CD, lo userò come

soundtrack di un video.

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Mi resta un’impressione … colorata di Bourj al-Shamali

Abbiamo visto un teatro, una biblioteca, tanti bei murales ma non abbiamo incontrato

bambini, anzi praticamente nessun altro al di fuori del fascinoso social worker e la bella

bibliotecaria. Questo campo di Bourj al-Shamani per me resta un punto interrogativo.

A Elbuss siamo arrivati inattesi in mezzo ad una grande confusione di altri visitatori, non mi è

rimasta alcuna viva impressione da comunicare.

Entrambi i campi sono molto a sud, vicino a Tiro; nel viaggio incrociamo vari posti di

controllo e qualche residuato bellico, per la verità un’anticaglia che non comprendo perché

stia lì. Promemoria?

La stanchezza si fa sentire da me, mentre le altre hanno voglia di una serata musicale. Brave,

io vado in camera, e sono piuttosto malata; comincerò a raccogliere le mie cose disseminate in

questa provvidenziale e immeritata suite che mi ha dato la sensazione ogni sera di rientrare “a

casa” con la piccola cucina per preparare una cena frugale e godere di un silenzio ritemprante.

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Domani visita alla sede centrale della Ong, incontro con Kassem, il suo fondatore, una di quelle

persone che il mondo non conosce, ma che compiono imprese eroiche.

Shopping? Eh sì, fatto un po’ anche quello, che occidentale sarei se non dilapidassi risorse?

Questo è l’ultimo post da Beirut. My Lebanon volge al termine e io non sono più la stessa.

E’ così, vero, capo? Si viaggia per questo e stavolta più che mai il viaggio merita la definizione

di pellegrinaggio.

Qui Beirut, a voi Italia.

M.B. Qui Italia: è un peccato che il tuo viaggio finisca, e la stanchezza sembra che abbia atteso

l’incontro con la tua figlioccia per manifestarsi, un pochino la si sente anche qui sopra.

la malattia, che alla fine dei viaggi colpisce spesso anche me, appare quasi l’ultimo disperato

trucco per restare dove si sta bene.

Ogni vero viaggio cambia il viaggiatore, è vero, e questo lo sentiamo; ma anche il ritorno ci

cambia, perché ci restituisce alle nostre abitudini e cancella quasi del tutto l’io nuovo che era

nato: ma siccome questo ritorno è quasi un atto di pigrizia, ce ne accorgiamo meno.

Soltanto, la cancellatura non è mai perfetta, rimane qualche traccio di quell’io nuovo che si era

precariamente impadronito di noi: fa male, perché non si combina più troppo bene con la

vecchia personalità che è tornata al suo dominio tradizionale, e questa traccia di un futuro

mancato la chiamiamo nostalgia.

M. Verissimo: “fa male, perché non si combina più troppo bene con la vecchia personalità che

è tornata al suo dominio tradizionale”.

Non ho amato quel luogo, ma vi ho vissuto giorni che sono fra i più importanti della mia vita.

Dovranno trovare un posto dentro di me per continuare la loro opera di cambiamento.

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Ciao capo, a presto l’ultimo report

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438. il suo viaggio (My Lebanon) 12. la fine che continua…14 dicembre 2010

Sapevo prima di partire ciò che avrei trovato perché le informazioni non mancano, beninteso

se si vogliono trovare. Andavo per dimostrare ciò che ai rifugiati in Libano sta a cuore: non

sono del tutto dimenticati, e per incontrare la mia H.

Obiettivi raggiunti per i quali sono grata alle ong che ci hanno procurato i permessi d’entrata e

infinitamente di più alle persone palestinesi che mi hanno aperto i loro spazi, mostrato ciò che

fanno e lasciato constatare i loro molteplici bisogni.

Sono arricchita da questi incontri, ma sta montando una grande malinconia.

Vicino a loro si può parlare del ritorno in Palestina, perché ci credono o vogliono crederci, ma

è un evento talmente di là da venire e certo, avvenendo, non sarebbe come se lo immaginano.

Ci sono storture della storia che non si raddrizzano più.

La Naqba, la grande catastrofe del 48, ha sradicato delle comunità di agricoltori, ora i

discendenti non conoscono nulla della terra, dei suoi ritmi, di come coltivarla e amarla anche

quando è avara. Qui ci sono giovani che sono cresciuti in uno spazio quadrato di un km per

lato, senza verde, senza un luogo per tirare calci a un pallone… Uno solo ne ho visto ed era la

spianata che ricopre i corpo dei martiri di Chatila. Che male c’è se lì un bambino riesce

finalmente a giocare e non pensa, lui, che un metro sotto giacciono i martiri del suo popolo?

Ho ammirato la solidarietà che li unisce all’interno di ogni campo, ma con stupore ho sentito

una social worker allontanare una questuante straniera dicendo “lo fanno per abitudine, non

hanno voglia di lavorare” e mi sono sentita trasportata di colpo in Italia ad ascoltare una

“signora perbene” parlare dei rom.

Un po’ di malinconia viene anche dalla sensazione di aver assistito spesso a reticenze, alla

volontà di non esporre apertamente le fratture ideologiche, lo scarso contatto fra i campi, il

totale silenzio su Gaza.

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Quante sfaccettature ha la situazione palestinese? Nei campi giordani e siriani i diritti sono

ormai in parte acquisiti, sia pure per interessi politici governativi, qui no. L’embrione di stato

palestinese che si compone di Gaza e della West Bank è profondamente diviso: l’occidente

tratta con Olp di Abu Mazen, il presidente il cui mandato è scaduto l’anno scorso, e considera

l’organizzazione Hamas che governa Gaza come gruppo criminale. E ci sono i palestinesi con

nazionalità israeliana: quale la loro situazione ora che Israele si è dichiarata stato

confessionale ebraico? E il boicottaggio dei prodotti israeliani che molti invocano, non va a

colpire anche loro, già parte più povera della popolazione?

Del Libano … libanese mi ha stupito l’assoluto disinteresse per l’esistenza dei campi, c’è una

grande volontà di fare come se niente fosse. Quando due ragazze in un bar mi hanno chiesto

se ero lì per vacanza ed ho risposto: no, per visitare i campi palestinesi, il loro viso non ha

mosso un muscolo e mi sono sentita improvvisamente cancellata dal loro sguardo. Troppo

poco per farmi un’opinione?

Sicuro, allora chiedo soccorso e copio da Scintille, il libro che Gad Lerner ha scritto dopo esser

tornato a Beirut, città che aveva lasciato da bambino:

“ E gli Hezbollah che di fatto governano il Libano meridionale e metà della capitale? E i 250000

palestinesi in gran parte segregati nei campi profughi? Come se non esistessero. […] Accomodato

su un divano, sorseggiando kir-royal, avevo avuto la pessima idea di raccontare ai commensali il

pomeriggio trascorso fra le macerie del quartiere sciita di Dahiyeh bombardato l’anno prima

dagli israeliani per distruggere la rete logistica di Hezbolla. Stupore. Disagio: Riprovazione.

“Monsieur, come ha potuto?” “Signora, replico, è un quartiere della sua città, non lo conosce

forse?” “ Mai messo piede in quel posto… cosa c’entra quella gente incivile con il Libano?”

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Ricordi? Avevo scritto nei primi post che l’identità libanese è prima di tutto religiosa, viste le

molte confessioni presenti, ora possiamo aggiungere anche la sfaccettatura della borghesia

laica, secondo la quale un’identità religiosa rende estranei al Libano.

Un bel pasticcio. Forse le molte rimozioni nascono dall’evidenza di essere in balia degli umori

di Israele e di tutti gli altri potenti vicini.

Ad avventura conclusa, chi voglio ringraziare più di tutti sei tu, per aver voluto questi report

che mi hanno indotta ad avere un occhio più acuto, a dividere le emozioni dai fatti, ma in

definitiva a vivere tutto più intensamente.

… the end.

M.B. Carissima, non scrivere ancora the end: è un vero peccato che questo resoconto denso e

coinvolgente, diario di un viaggio della mente del cuore e non ricerca di luoghi comodi oppure

fascinosi, si concluda: hai avuto la capacità di darci una lettura sfaccettata e critica di questa

realtà, facendocela sentire viva e non semplicemente propagandistica.

L’orrore della propaganda è quando divide il mondo in buoni e cattivi, mentre ogni sfruttato

ha il suo pezzetto di cuore di tenebra, che non è corretto dimenticare.

Ti ringrazio sopratutto della frase finale, che arriva a colpirmi al cuore, perché descrivi bene

che cosa significa viaggiare con un blog intero al seguito, o meglio ancora forse, al seguito di

un intero blog: i lettori saranno solamente potenziali, ma basta la loro presenza immaginaria

per renderci più attenti e scattanti, come sei sempre stata tu in questi giorni tesi, a dispetto

anche dei malesseri fisici che alla fine hanno provato a trattenerti lì.

Vedrai, questo tuo viaggio non è finito comunque: ci mancano ora le foto e i filmati, che

inseriremo nei post nei punti giusti, arricchendo il resoconto via via, e sarà ancora come

continuare a viaggiare, dopotutto è importante che la mente si muova, il corpo è solamente

uno strumento.

continua…

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14 dicembre 2010 at 15:15

M. festina lente? Sì, saggio.

Per il compulsivo bisogno di creare il video di Bourj Al Barajneh son qui ad almanaccare sulle

migliorie non fatte. Non accadrà ancora, riprendo da capo quello in preparazione e già ho

trovato la musica che Sabra e Chatila meritano: OUMMI, Madre mia,

“Tie me up

With a lock of hair

With a thread that points to the tail of your dress”

Legami, con una ciocca di capelli,

con un filo che punta allo strascico del tuo vestito,

sono i versi di Mahmoud Darwish sulla musica di Marcel Khalifa, per ogni palestinese uno

struggente canto corale per la terra Madre.

… e il viaggio continua

grazie a te

14 dicembre 2010, 18:14

M.B. grazie a te, grazie a te, piuttosto!

Montaggio video, selezione foto, riscrittura diari, e il viaggio continua!

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