lIBANO lA VIA dEI SApORI - Uniontrade

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A e thnic Il periodico italiano del cibo etnico NUMERO06 Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% dcb Milano RISTORANTE SHIKI A MILANO SI INCONTRANO ORIENTE E OCCIDENTE Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% dcb Milano NUOVI ARRIVI UNA VETRINA DA SCOPRIRE TOFU, MISO, NOODLES. ECCO LE NOVITà NEGOZIO PICCOLA GRANDE GDO LA CATENA GB RAMONDA HA INTRODOTTO L’ETNICO SUGLI SCAFFALI PAESI SPECIALITÀ DAI CONTINENTI GOBO, SOIA PERUVIANA, LATTE EVAPORATO E ALTRI PRODOTTI RICETTE DALL’ITALIA E DAL MONDO I CONSIGLI DE I TRE CEDRI DI PIACENZA E DELLO CHEF ALEX NEGOZIO YUZU È UN AGRUME ORIENTALE USATO IN CUCINA. MA ANCHE CONTRO L’INFLUENZA O PER RILASSARSI DEI SAPORI LA VIA LIBANO INCASTRATA TRA ISRAELE, SIRIA E MAR MEDITERRANEO, LA PICCOLA REPUBBLICA MEDIORIENTALE OFFRE UNA GRANDE E SORPRENDENTE VARIETÀ DI PIATTI E TRADIZIONI GASTRONOMICHE

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Ae thnicIl periodico italiano del cibo etnico

NUMERO06

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NUOVI ARRIVIUNA VETRiNADA sCOPRiREtoFU, MISo, noodleS.ecco le noVItà

NEGOZIOPiCCOLAGRANDE GDOla catena GB raMonda Ha Introdotto l’etnIco SUGlI ScaFFalI

pAESIsPECiALiTàDAi CONTiNENTiGoBo, SoIa PerUVIana, latte eVaPorato e altrI ProdottI

RICETTEDALL’iTALiAE DAL MONDOI conSIGlI de I tre cedrI dI PIacenZa e dello cHeF aleX

NEGOZIOYUZUÈ Un aGrUMe orIentale USato In cUcIna. Ma ancHe control’InFlUenZa o Per rIlaSSarSI

dEI SApORIlA VIA

lIBANO

INCASTRATA TRA ISRAElE, SIRIA E mAR mEdITERRANEO, lA pICCOlA REpUBBlICA mEdIORIENTAlE OffRE UNA GRANdE E SORpRENdENTE VARIETà dI pIATTI E TRAdIZIONI GASTRONOmIChE

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Ae thnicSOmMARIO

PaesIPaesi 12-17AsiaGobo, alle radici del Giappone

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Africalatte evaporato, nutriente e senza zuccheri

14-15

SudamericaSoia, gastronomia da esportazione

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BreviInka Cola, Singha Beer

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aZIeNDaAZIENDA 19

Yuzul’agrume giapponese dai mille usi

20-21

l’etnico nella GdoIn Veneto ci sono i supermercati Gb Ramonda

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Il punto venditaRoma, Selli International food Store

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NeGOZIONEGOZIO 20-24

04-08Tutti gli aromi del libanola posizione strategica di un paese, crocevia di tre culture, rende unici i sapori della sua cucina

COVER STORYCOVeR sTORY 04-11

la cucina fusion a milano da Shiki Oriente e Occidente nello stesso piatto

26-27

l’importanza del coltello Saper tagliare bene in cucina è arte di pochi

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Intervista a matias perdomolo chef sudamericano che ha rivoluzionato l’osteria milanese Al pont de ferr

28-29

la vetrina dei prodotti 29

RIsTORaNTeRISTORANTE 26-30

Tendenze, salute e fiereNEWSNeWs 32

RICeTTericette 31Consigli dai protagonisti lo chef Alex e Suzy Kmeid

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Eathnic - Il periodico italiano del cibo etnicoNumero 6 2013 pubblicazione semestrale - registrazione presso il Tribunale di milano n° 248 del 08/06/2012

direttore Responsabile luca Villani

Editore e redazione The Van Group - via Cucchiari 20 20155 milano

proprietario Uniontrade Srl - Via E. mattei 1 20068 peschiera Borromeo - milano

progetto, impaginazione ed editing The Van Group - www.thevan.it - [email protected]

Stampa ERA Comunicazione Srl - Castelseprio (Va)

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EAThNiC GRATis A CAsA

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EdITORIALE Ae thnic

Continua

all’india al Libano il passo è breve.Il giro del mondo di Eathnic vira verso ovest per fermarsi in un Paese noto ai più per la sua tormentata storia recente fatta di guerre e distruzioni. Ma forse in pochi sanno che in questo lembo di terra che si affaccia sul Mediterraneo e che ha subito negli anni l’influenza di culture ricche

e varie come quella africana, mediorientale e dell’Europa meridionale prospera una ricca tradizione gastronomica che riprende nelle sue sfaccettature caratteri e sapori di quelle vicine. Non a caso quella libanese viene definita la “perla” della cucina araba e il suo ruolo tocca aspetti importanti anche della vita sociale. Suzy Kmeid vive da 18 anni in Italia e dal 2008 a Piacenza gestisce un ristorante che serve specialità libanesi. Ed è proprio lei a sottolineare come l’ospitalità, nel suo Paese, si traduca condividendo con amici e conoscenti un posto a tavola.

Non solo Libano in questo numero di Eathnic. Si va anche in Sudamerica per scoprire come un prodotto tipico del mercato orientale quale è la soia abbia preso piede anche in Perù da quasi due secoli. Fa parte delle curiosità di una delle cucine più raffinate, ma anche più particolari nel mondo, “contaminata” da una miriade di culture gastronomiche diversissime tra loro. Fra queste c’è anche quella cantonese dopo che nel 1850 in Perù arrivarono migliaia cinesi in cerca di lavoro. Nacque così la cucina chifa, un mix di sapori sudamericani e di ingredienti orientali, come l’olio di soia. Tra i prodotti in rilievo c’è anche lo yuzu, l’agrume tuttofare che ha la forma di un mandarino, il colore di un limone e un sapore simile a quello del pompelmo.

Poi, come sempre, non manca un viaggio tra i ristoranti più in voga. Obiettivo puntato sulla cucina fusion dello Shiki di Milano. Sempre nel capoluogo lombardo c’è Al Pont de Ferr dove è primo chef Matias Perdomo. Sudamericano, giramondo, il rivoluzionario della cucina...

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01. Unicurd tofu fresco Yaku alla giapponese, 50 confezioni (blu) da 300 grammi, provenienza singapore 02. Unicurd tofu fresco pressato, 46 confezioni (verde) da 300 grammi, provenienza singapore 03. Tofu fresco silken morbido, 50 confezioni (rossa) da 300 grammi, provenienza singapore 04. Pasta di shiro miso (bianco) a base di soia e di dashi miso (al pesce), 4/8 confezioni da 300 grammi, provenienza Giappone 05. Bottigliette da 200 ml, dalla tipica forma affusolata di ramune, bevanda gassata proveniente dal Giappone acquistabile in cinque gusti diversi: fragola, melone, classico (lime), ananas e mirtillo 06. Kiku masamune sake nella varietà Junmai, prodotto attraverso la fermentazione del riso e senza aggiunta di alcol, in bottigliette da mezzo litro (confezioni da 12), provenienza Giappone 07. Unicurd tofu fresco (morbido), in tubetto da 250 grammi, provenienza Giappone 08. Noodles Maggi 2 minute in 50 confezioni da 62,5 grammi in quattro gusti diversi: pollo, masala (spezie indiane), curry e pomodoro

AppENA ARRIVATI

Dil giro del mondoEnglish text on page 33

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Ae thnicCOVERSTORY lIBANO

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AROmATIChEISpIRAZIONIUN PAESE A cAvALLO TrA NOrd AFrIcA, MEdIO OrIENTE Ed EUrOPA LATINA. crOcEvIA dI SAPOrI, qUESTO PIccOLO ANgOLO dI MEdITErrANEO cUSTOdIScE TrAdIzIONI rIcchE dI gUSTO. E PrOFUMI dI UNA STOrIA MILLENArIA

MA i CEDRi sONO DUEIl simbolo del Libano è, in tutto il mondo, il suo cedro (Cedrus libani). Un nome però ambiguo: in italiano la parola “cedro” indica infatti sia questa imponente conifera stilizzata persino al centro della bandiera del Paese mediorientale, sia il giallo agrume (Citrus medica), anch’esso tipico di queste parti. L’agrume però non ha nulla a che vedere con la conifera, che non produce veri e propri frutti. Di forma ovoidale, il Citrus medica è giallo come un limone ma ha una buccia molto più spessa e butterata ed è molto apprezzato nella cucina libanese, anche per le benefiche proprietà. Ricco di potassio e vitamina C, vanta infatti un’azione dissetante e depurativa mentre il suo succo aiuta a eliminare gas e fermentazioni alla base di gonfiori addominali.

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Ae thnicCOVERSTORY lIBANO I pilastri della cucina libanese

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I l modo migliore per conoscere la cultura libanese? osservare come a Beirut, a tripoli o a Byblos uomini e donne, giovani e anziani, si comportano a tavola. In altre parole è il ruolo

che il cibo svolge nella convivialità e nella vita quotidiana a raccontare i rapporti tra le persone e le generazioni. dalla culla alla tomba, ogni tappa dell’esistenza è accompagnata da un piatto e ogni festività o evento è celebrato con un pasto. Ma non solo. Suzy Kmeid, libanese di tanbourit (non lontano da Sidone) residente in Italia da 18 anni (a Piacenza dal 2008 gestisce il ristorante I tre cedri), racconta a eathnic che l’ospi-talità è quanto più contraddistingue la cultura culinaria del suo Paese: «non si lascia la casa di un amico che ci ha ospitati senza aver mangiato qualcosa», spiega.

Per incominciareQuella libanese è spesso definita la “perla” della cucina araba. non è un caso. affacciato sul Mediterraneo, questo piccolo grande Paese (la sua superficie supera di poco quella della

Il RISTORANTE I TRE CEdRI

mangiare sano e con gusto

Nei locali di via Molineria Sant’Andrea, nel pieno centro storico di Piacenza, il ristorante I tre cedri offre ai visitatori un ambiente accogliente

e riservato, aperto su un antico porticato e su un cortile interno. dal 2008 questo bel locale gestito da Suzy Kmeid presenta il meglio della cucina libanese per cene, pranzi di lavoro e da asporto. La prima regola dei piatti mediorientali è l’utilizzo di ingredienti semplici, naturali, con un buon contenuto di fibre, vitamine e proteine: regola rispettata anche qui, dove si gustano piatti buoni ma anche sani affiancati da vini di grande pregio. A I tre cedri, infatti, ha ampio spazio la selezione delle migliori etichette locali, vanto di questa terra: bianchi, rossi e rosati tipici della zona della valle della Beqa dove vigneti a oltre 1200 metri di altitudine regalano vini squisiti premiati in ambito internazionale. durante le serate di venerdì e sabato, I tre cedri offre inoltre uno spettacolo di danza del ventre mentre, durante il giorno, corsi di danza e di lingua araba.

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A TAVOLA COL sORRisOsuzy Kmeid gestisce dal 2008 il ristorante piacentino I Tre Cedri, che propone la più tradizionale cucina libanese. Nella foto in alto il luminoso porticato che ospita la sala per cene e pranzi di lavoro dove gustare le specialità.

prezzemolo

È fondamentale in molti meza e in particolare nel tabbuleh. Insieme all’olio d’oliva, al pomodoro e alla cipolla freschi e alle spezie costituisce la base di molti condimenti a crudo e uno degli ingredienti capaci di rendere la cucina libanese piacevolmente aromatica.

Tahina

Pasta prodotta con semi di sesamo bianco, con il suo tipico aroma simile a quello di noci e arachidi ma con un’intensa nota tostata, è la base di molte ricette e soprattutto dei meza, gli antipasti libanesi. Praticamente immancabile nelle cucine di tutto il Paese.

Bulgur

Base di mille ricette come il tabbuleh, è una preparazione di chicchi frumento integrale cotti al vapore e fatti seccare, poi macinati e ridotti in piccoli pezzetti. È molto diffuso in tutto il Medio Oriente. È impiegato anche per impastare il kebbeh, le tipiche polpette di agnello.

labneh

crema di formaggio ricca e densa, costituisce uno dei prodotti caseari più noti e diffusi in Libano. Simile allo yogurt, viene generalmente condito con olio d’oliva. Solitamente modellato in piccole palline, si accompagna a insalate con cetrioli.

Ceci

Legume diffusissimo anche nell’Europa mediterranea, è presente in molte salse a base di tahina come l’hummus. Talvolta i ceci sono impiegati anche nella preparazione di frittelle, come le celeberrime falafel.

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COVERSTORY lIBANO

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piatti aromaticile salsine assaporate con il pane e senza posate non sono l’unico punto in comune con le altre cucine mediorientali, come quella israeliana, ma anche con quella turca e greca. anche qui ogni pasto prosegue infatti con una selezione di insalate i cui ingredienti base sono, proprio come negli altri Paesi del bacino orientale del Mediterraneo, legumi, verdure (spesso grigliate, come nelle nostre regioni del Sud) e odori: coriandolo, cumino, curcuma, pimento e il “nostro” prezzemolo. l’aromaticità contraddistingue quindi i sapori libanesi. lo si capisce dal profumo di un altro piatto tipico: il tabbuleh, cous cous di grano con cipolla, menta, prezzemolo, pomodoro, spezie, lime e olio d’oliva.

Una cucina in gran parte vegetariana«I piatti forti in libano variano molto da famiglia a famiglia e da regione a regione», precisa Suzy. che propone ai suoi ospiti ricette fedeli alla tradizione, non curante (e lo dice con una certa ironia) di chi si dice timoroso di imbattersi in pietanze troppo saporite: «la cucina libanese contiene aglio e cipolla. Preparati alla nostra maniera, però, i piatti non sono mai for-ti e indigesti. così spesso i clienti nemmeno si accorgono di averne mangiato».

anche le pietanze più sostanziose sono infatti sempre delica-te, anche perché spesso vegetariane. «È sulle verdure che la nostra tavola dà il meglio di sé con qualcosa come un centinaio di

Ae thnic

la storiadue secolitormentati

il Libano ha avuto una storia molto tormentata, dilaniata da lotte interne e dalle guerre con Israele, cruente e sanguinose. già nel 1860 fu necessario l’intervento francese per placare l’animosità tra maroniti e drusi, due confessioni religiose in

lotta. La prima costituzione arrivò nel 1920, in seguito alla Prima guerra mondiale e alla caduta dell’Impero ottomano: in quegli anni il Libano si chiamava Stato del grande Libano ed era un territorio sotto mandato francese, mentre nel 1925 assunse il nome di repubblica libanese. Nel 1943, al termine della Seconda guerra mondiale, il Libano ottenne l’indipendenza, anche se l’ultimo soldato francese lasciò i confini solo nel 1946. Alla fine del 1947 anche il Libano disse di no alla risoluzione 181 dell’Onu che divideva il territorio della Palestina in uno Stato ebraico (Israele) e uno arabo e, nell’accesa questione mediorientale, il Libano si schierò sempre con i Paesi arabi: migliaia di profughi palestinesi si sono rifugiati così all’interno dei suoi confini creando una serie interminabile di tensioni. Nel 1975 scoppiò la guerra civile e nel 1982 il Libano fu invaso da Israele: solo l’intervento delle forze internazionali evitò il prolungarsi del conflitto, risparmiando ulteriori distruzioni e spargimenti di sangue. La seconda offensiva di Israele contro il Libano ebbe inizio nel luglio del 2006 in risposta al rapimento di due soldati israeliani operato dalle milizie di hezbollah, il partito di orientamento sciita che può contare anche su un’ala militare. Fu un attacco durissimo che non risparmiò nemmeno la popolazione civile: alcuni quartieri della capitale Beirut furono rasi al suolo, con 130mila edifici colpiti. Il conflitto durò poco più di un mese prima del “cessate il fuoco” e della creazione di una zona cuscinetto libera da forza armate a cavallo tra i due Paesi.English text on page 34

ImpORT Ed EXpORT

Un’amicizia (commerciale) che dura da decenni

Linterscambio commerciale tra Italia e Libano è ammontato nel 2011 (ultimi dati disponibili presso l’Ambasciata italiana a Beirut) a 1,9 miliardi di

dollari Usa, di cui 1,87 di export italiano. I dati mostrano quindi una netta superiorità in volumi delle transazioni verso il Paese mediorientale rispetto a quelle verso l’Italia. Una posizione che il nostro Paese ha progressivamente migliorato, arrivando oggi a ricoprire la seconda posizione dopo gli Stati Uniti tra le economie mondiali da cui il Libano importa prodotti. Anche alimentari: nel 2011 le aziende italiane hanno infatti venduto a quelle libanesi cibi preparati e bevande per 50 milioni (2,7% dell’export italiano verso il Libano). Le esportazioni dal Libano verso l’Italia, invece, non sono consistenti (1% nel 2010), anche se in questo caso il cibo riveste un ruolo di discreta importanza. del resto il 5% circa delle esportazioni del Paese dei cedri verso il resto del mondo ha riguardato, sempre nel 2010, prodotti agroalimentari e cibi confezionati. che i rapporti commerciali tra i due Paesi siano solidi da tempo si desume anche dal sito infomercatiesteri.it del Ministero degli affari esteri italiano dedicato agli imprenditori del Bel Paese intenzionati a investire oltre confine: «L’Italia gode in Libano di un’ottima reputazione. Il mercato locale non è certo rilevante per volume, ma dispone di un elevato grado di apertura a scambi e triangolazioni varie», si legge.

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nostra Basilicata) condivide con le altre cucine mediorientali sapori unici e profumi, a cui però affianca ricette decisamente originali, forti anche delle influenze europee e di quella francese prima di tutto, retaggio dell’ormai dissolto Mandato che Parigi vantava sul libano fino all’indipendenza dichiarata nel 1943.

che il pasto qui sia un rito lo si capisce però anche da come è composto. «ogni pranzo o cena è diverso in base alla bravura e alla creatività del padrone di casa, ma il suo inizio è sempre lo stesso: i meza, ovvero una serie di antipasti che sono un vero e proprio must», aggiunge Suzy. Piccole pietanze, quasi assaggi. Una sorta di degustazione, quindi. Innanzitutto ci sono le “quat-tro sorelle”, quattro creme che da sole sono il simbolo di questa terra. due sono a base di polpa di sesamo, la celebre tahina, e sono arricchite rispettivamente con un passato di melanzane (baba ghannouj) e con uno di ceci (hummus). le altre due, i cui sapori si bilanciano perfettamente con le prime, sono invece una crema di formaggio profumata alla menta (labneh) e un puré di fave (foul). «tipicamente si mangiano aiutandosi con pezzi di pane, il tradizionale khubz arabi, servendosi tutti dallo stesso piatto di portata», spiega Suzy. la condivisione è la cifra della cucina libanese. Il libano ha infatti ereditato dall’antica cultura fenicia l’abilità nel commercio e nelle relazioni: non è un caso che il pasto rappresenti il più importante momento di incontro e di socialità, tanto da durare nei giorni di festa anche diverse ore.

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piatti vegetariani», spiega. cucina influenzata dalla tradizione araba, quella libanese tra le carni predilige quella di agnello. Poco consumata è invece quella di maiale, non per ragioni re-ligiose (oggi la maggioranza della popolazione è cristiana) ma perché il clima caldo rende difficile l’allevamento dell’animale. ovviamente le influenze internazionali incominciano a farsi sentire anche da queste parti: «nelle grandi città abbondano i ristoranti di ogni parte del mondo e nelle dispense delle case libanesi non mancano ormai prodotti pronti e industriali», aggiunge Suzy.

per finirea dispetto del caldo, il pasto libanese è spesso accompagnato da alcolici e superalcolici. celebre è l’arak, un distillato d’uva a cui sono aggiunti semi di anice analogamente all’ouzo greco, servito diluito e con ghiaccio. e poi il vino, un vanto di questa terra: la valle della Beqaāè da sempre la principale regione vinicola del Paese, grazie a un clima favorevole e un terreno argilloso e calcareo. Bottiglie celebri come quelle di château Musar (un rosso ottenuto da uve cinsault, cabernet e carignan) hanno reso famoso il vino libanese in tutto il mondo.

Infine i dolci. Il fine pasto libanese si discosta in parte dalla tradizione araba: «I nostri dolci sono veramente dolci», scherza Suzy. In altre parole, quelle libanesi sono preparazioni ricche di burro e zucchero, a base di pasta sfoglia o pasta fillo molto sottile. l’influenza mediorientale ritorna invece negli ingredien-ti, come la frutta secca, le spezie, l’acqua di rosa e lo zucchero sciroppato. «Se i piatti sono sani e in un certo senso dietetici, i dolci sono al contrario estremamente calorici», aggiunge Suzy.

Infine, una raccomandazione. Un’antica regola suggerisce di servire sempre il doppio del cibo che ci si aspetta gli ospiti possano consumare. Quindi, se vi capitasse di essere invitati in una casa di Beirut ricordate di accettare tutto quello che vi viene offerto: un rifiuto sarebbe una grave offesa nei confronti del padrone di casa.

Il VINO

Nettare mediterraneo

Cucina saporita, cedri e… vino. Il Libano è anche una delle capitali mondiali della viticoltura. Il cuore di questa produzione batte nella valle della

Beqa, fertile vallata che si estende tra Libano e Siria (che a oggi costituisce il 40% della terra arabile dell’intero Paese), a circa 30 chilometri a est di Beirut. delimitata dalle montagne del Monte Libano e dai monti dell’Anti Libano a est, la vallata ospita alcuni tra i più celebri vitigni del mondo. qui vinificano, secondo metodi di produzione ormai avanzati, vini di particolare pregio.

Le migliori produzioni sono invecchiate: alcune etichette possono essere conservate in cantina anche fino a sette anni. Un nome su tutti è il rosso château Musar, le cui bottiglie possono invecchiare anche per più di trent’anni. Ottimi anche i novelli di Kefraya. con circa sette milioni di bottiglie prodotte all’anno, il vino libanese sta ormai conquistando sempre più spazio nel mercato mondiale. Marks & Spencer, la nota catena britannica di centri commerciali, ha deciso ad esempio di proporlo sui suoi esclusivi scaffali accanto alla tabbuleh e allo hummus, mentre sono sempre di più i tour operator europei che hanno già inserito il Libano tra le destinazioni dei loro itinerari enologici ed enogastronomici.

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COVERSTORY lIBANO Ae thnicChiUDERE DOLCEMENTEUn tipico pasto libanese non può concludersi senza il dolce. Che siano biscottini al pistacchio o torte a base di pasta sfoglia, il comune denominatore della cucina locale è l’alto contenuto calorico degli ingredienti base – spezie o frutta secca – che risentono dell’influenza mediorientale.

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Ae thnic

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Il nome è decisamente curioso, ma il gobo altro non è che la radice della bardana, una pianta che, botanicamente, appartiene alla famiglia delle asteracee. È molto resistente a tutte le temperature, alte e basse, e si dice abbia avuto

origine nel gelo della Siberia. Ma è in Giappone che si coltiva da millenni: le radici vengono solitamente sradicate in autunno e lasciate essiccare durante l’inverno, sono sottili e possono an-che misurare tre metri, hanno consistenza piuttosto compatta e sono di colore scuro, ma con una polpa bianca. Il gobo è ricco di potassio, vitamina c e vitamina e, di pirossidina (vitamina B6) e di sali minerali.

Può essere utilizzato come erba medicale – depura l’organismo e cura le malattie della pelle – ma in Giappone è particolarmente apprezzato come verdura in alcune ricette della cucina locale. È uno degli ingredienti di molte zuppe, ma il piatto giapponese a base di gobo più famoso e gustoso è sicuramente il kinpira gobo: si tratta di un’insalata da servire fredda composta oltre che dalla radice, da carote precedentemente stufati con salsa di soia e mirin (una sorta di sakè dolce) e, una volta in tavola, leggermente aromatizzata con polvere di spezie oppure di sedano bianco. È un’insalata croccante e profumata che nei ristoranti o nei bar viene servita in piccole ciotole come stuzzichino insieme alla birra o all’aperitivo ed è un piatto tipico della tradizione di capodanno.

Il gobo può essere equiparato alla scorzonera, pianta coltivata in europa e appartenente alla stessa famiglia delle asteracee: in Italia è reperibile soprattutto al nord e in passato, specie du-rante guerre o carestie, questa radice veniva tostata e macinata per essere usata come caffè, mentre le foglie venivano fumate al posto del tabacco. In Francia la preparano come l’asparago, in altri Paesi sostituisce la patata ed è utilizzata per cucinare zuppe, torte e cotolette. n

GOBO

È LA RADICE PRINCIPALE DELLA bARDANA, UNA PIANTA CHE CRESCE CON qUALSIASI CONDIzIONE ATMOSFERICA. SI COLTIvA DA MIGLIAIA DI ANNI ED È MOLTO UTILIzzATA NELLA CUCINA TRADIzIONALE NIPPONICA

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Stimolare il sapore del gobo, magari immerso in salsine saporite, per apprezzarne ancora di più le sue qualità. Obaneya propone una doppia soluzione dal giappone in buste da 180 grammi; la prima è il gobo in salsa di bonito, un pesce molto simile al tonno e diffuso nei mari caldi temperati; la seconda proposta è decisamente più classica ma non per questo meno gustosa e invitante. Si può assaporare il gobo imbevuto nella salsa di soia, il condimento tipico e più utilizzato che caratterizza molti piatti della cucina orientale.

BONTà IN SCATOlASardine in salsa di pomodoro e la versione un po’ più saporita con l’aggiunta di peperoncino. Già dal lontano 1945 nei negozi di alimentari delle Filippine si potevano acquistare le confezioni della Ligo, l’azienda diventata leader nel settore del pesce in scatola nel suo Paese e poi in tutto il mondo grazie agli elevati standard qualitativi dei suoi prodotti. A metà degli anni ‘80 ha allargato il suo business con la carne in scatola. In commercio per la Ligo anche frutta sciroppata e snack.

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NOOdlES fORTUNATISono i classici noodles prodotti con le migliori farine e commercializzati dalla cinese Lucky boat, uno dei marchi più apprezzati e utilizzati dai migliori chef di ristoranti e take away, soprattutto del Regno Unito. I noodles di Lucky boat possono essere cucinati con diverse tecniche e accompagnati da tutte le salse, assorbono molto bene i sapori e mantengono la loro forma e consistenza durante l’intero periodo di cottura. qui sono proposti nel formato medio e sottile.English text on page 35

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Ae thnicpAESI AfRICA

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Il latte evaporato è, semplicemente, il latte condensato ma senza l’aggiunta finale di zuccheri. Il ciclo di preparazione è lo stesso, ma con un’unica differenza: il latte evaporato prima viene omogeneizzato (procedimento che, in pratica, frantuma

i grassi per favorirne la digeribilità), poi lo si fa evaporare riscaldan-dolo a una temperatura moderata per evitare la caramellizzazione degli zuccheri, infine sterilizzato. attraverso questo processo si ha una parziale sottrazione di acqua (fino al 60%), a cui consegue una riduzione del volume iniziale con aumento della conservabilità e di una certa praticità d’uso.

come accade per il latte condensato – ma anche per quello in polvere – il latte evaporato è molto utilizzato in quei Paesi in cui c’è carenza di latte fresco, ad esempio a causa di guerre o catastrofi naturali, come provvista d’emergenza e già nel 1880 viaggiava in lungo e in largo per il continente africano negli zaini dei minatori che restavano lontani per settimane da casa. Si usa normalmente in cucina per la produzione e la guarnizione di dolci (come i churros nei paesi latini), per macchiare tè e caffè, per fare la panna e il gelato e, allungato con acqua, per ottenere, appunto, latte liquido. rispetto al condensato, decisamente sciropposo, il latte evaporato ha una consistenza più fluida.

anche il latte condensato è molto utilizzato per fare dolci e, grazie agli elevati principi nutritivi, è uno degli alimenti più con-sumati dai fedeli musulmani dopo il tramonto durante il periodo di digiuno del ramadan.

In Irlanda e in Giamaica, ma anche in alcuni paesi africani come nigeria, Ghana e camerun, c’è chi ama dissetarsi con il Guinness punch, un cocktail di birra Guinness stout, spezie e latte conden-sato con l’aggiunta di polvere di cacao che serve a contrastare il gusto un po’ amaro tipico della birra. In India, infine, c’è il kulfi, il gelato locale privo di uova a base di latte condensato e panna. n

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Il latte nelle sue tre declinazioni: evaporato, condensato e in polvere. Lo propone, in lattine da 400 grammi, Peak, marchio conosciutissimo in Nigeria (ha sede a Lagos) e raccomandato anche dall’Unicef: tutti i suoi prodotti, infatti, contengono 28 vitamine e minerali, incluse la B1, B12 e lo iodio. In Paesi in cui non tutte le famiglie possiedono un frigorifero, il latte condensato e i suoi simili sono la soluzione perfetta per non rinunciare ai valori nutritivi del latte, specie per i bambini. Se la confezione resta sigillata, il prodotto può essere consumato anche dopo molto tempo il suo acquisto. Molto comuni in Asia e in Africa, queste varianti meno liquide del latte si stanno diffondendo anche in più parti dell’Europa.

GRAdAZIONE ZERObevanda analcolica al malto in bottiglia da 33 cl, bevuta dai nordafricani al posto della birra proprio perché priva di alcol pur mantenendo lo stesso gradevole sapore del luppolo.

l’AfRICA AUTENTICAIl saka-saka è un condimento preparato con giovani foglie di manioca tritate o polverizzate. Lo chiamano così nel golfo di Guinea e in Madagascar e, come recita la confezione da 410 grammi, racchiude in sé i veri sapori dell’Africa.

UN SORSO d’IRlANdANasce nel 1912 per essere esportata in belgio ed è destinata al mercato africano. Si distingue dalla Guinnes tradizionale per una schiuma più scura, ha un gusto meno amaro, ma un solido livello alcolico di otto gradi. Mischiata con il latte condensato compone un cocktail bevuto in molte zone dell’Africa.

ROSSO fRANCESELa bonnet Rouge ha una lunga tradizione nei Paesi africani in cui si parla la lingua francese, dove il latte evaporato è utilizzato in cucina, per macchiare tè e caffè o allungarlo per farne vero e proprio latte.

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Ae thnicpAESI SUdAmERICA

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la cucina peruviana è sempre una nuova scoperta: l’autore-vole settimanale britannico the economist l’ha eletta tra le dodici più raffinate al mondo. Ma la sua peculiarità è un’altra: è conosciuta e apprezzata per la sua complessità,

contaminata da stili e influenze provenienti da culture gastrono-miche diversissime tra loro come quella pre-colombiana, spagnola, africana, italiana, giapponese e, soprattutto, cantonese.

a partire dal 1850, infatti, sono arrivati in Perù, per sostituirsi agli schiavi neri che si stavano affrancando, numerosi immigrati cinesi. Una volta sbarcati, firmavano lunghi contratti con gli im-prenditori locali per essere sottomessi al loro servizio. chi riusciva a svincolarsi da queste condizioni di semi-schiavitù fuggiva verso le grandi città e apriva piccoli ristoranti chiamati chifas (nome che si dice derivi dal termine Mandarino chi fan, ovvero “mangiare”): non a caso, quindi, la cucina nata dall’incontro tra la tradizione cinese con quella peruviana si chiama chifa.

Uno dei piatti che suggella alla perfezione questa unione tra cina e Perù è l’arroz chaufa (riso fritto, che non a caso nel Mandarino attuale è chiamato chao fan) nelle sue numerose varianti al pollo, vitello, maiale o pesce, rigorosamente annaffiato, una volta ben cotto, con salsa di soia, un ingrediente di origine cinese presente in numerosi piatti della cucina chifa. ad esempio il pollo a la brasa, il pollo arrosto marinato con l’aggiunta di un cucchiaio di salsa.

Ma il piatto tradizionale della capitale e diffuso in tutto il Perù è il lomo saltado, cucinato per la prima volta, un centinaio di anni fa, proprio in una delle locande aperte dagli immigrati di origine cantonese: viene preparato con cubi di filetto marinato in salsa di soia e pepe, con aromi del pisco (un distillato del mosto di vino simile al brandy) e cipolle croccanti, pomodorini e scalogno. È un piatto che in Perù piace ai ricchi e ai poveri e lo si può trovare nei locali più importanti di lima così come sulle tavole delle abitazioni della gente comune. n

SOIA

LA GASTRONOMIA PERUvIANA È NOTA PER LE INFLUENzE DI ALTRE CULTURE. AD ESEMPIO qUELLA CANTONESE, CHE HA PORTATO OLTRE L’OCEANOINGREDIENTI E SAPORI CHE HANNO DATO vITA ALLA CUCINA CHIFA

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UN CONdImENTO SCONfINATO

quando si parla di salsa di soia la mente va subito a cina o giappone dove nasce e, tuttora, si utilizza per condire ogni piatto. Kikko Siyau, invece, è un prodotto peruviano nulla ha da invidiare alle salse di soia orientali ed è ben inserito nella ricchissima tradizione culinaria del paese andino. Un cucchiaio di salsa di soia, ad esempio, è tra gli ingredienti principali del secondo piatto più famoso del Perù, il lomo saltado, non a caso anche la portata più rappresentativa della cucina chifa. La salsa di soia è utilizzata per condire il ceviche, ricetta tipica a base di pesce. Nel riso fritto, che si consuma nella parte settentrionale del Paese, non può mai mancare il suo inconfondibile gusto, mentre la soia, in alcuni ristoranti peruviani, talvolta è utilizzata al posto della carne per il ripieno dei peperoni.

UN CONTORNO dI SpESSORELa farofa è un contorno salato tipico della cucina brasiliana composto da farina manioca o di mais poi arricchibile con altri ingredienti (uovo, cipolla, banana). In brasile è una pietanza molto comune, viene servita assieme a piatti di carne o pesce e consumata soprattutto dai lavoratori e dagli strati umili della popolazione vista la sua economicità.

pER AddOlCIRE lA VITALa panela si ottiene dall’evaporazione del succo della canna da zucchero da cui si ricava una melassa viscosa versata in piccoli stampi e poi lasciata essicare. È un alimento tipico dei paesi dell’America latina, il maggior produttore mondiale è la Colombia da cui proviene la panela Gourmet Latino. Si utilizza come dolcificante, ma anche come cibo.

ORIGINI ARABEÈ il grano spezzato e tostato, ricco di fibre, vitamine e sali minerali. In brasile lo hanno introdotto gli immigrati arabi alla fine dell’XIX secolo e viene utilizzato per la preparazione di insalate di verdure come il tabule, di torte e nel quibe, un preparato di burgul (grano duro) e carne.

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Il perù in bottiglia

dal 1970 è la bebida del Perù, la bibita del Perù per eccellenza. È la Inca kola, ha un colore giallo simile a quello della cedrata, è gassata e ha un gusto molto dolce. In Perù è popolarissima: è leader nel mercato delle bevande analcoliche con una quota di oltre il 30%, dieci punti in più della coca cola. Piace ai ricchi e ai poveri e, inoltre, detiene un record molto curioso, quello dei diversi formati di bottiglie in ven-dita: secondo una recente stima esistono sul mercato latino sette tipologie di bottiglie in vetro, dodici in plastica, due di lattine e tre per i distri-butori automatici.

In Italia la Inca Kola non è in commercio e infatti da noi si tro-va la Inka cola (in pratica sono state invertite la “c” e la “k”), del tutto simi-le alla bevanda che spopola in Perù e in molte zone del Suda-merica, anche se non appartiene allo stesso produttore: la si può trovare nelle pratiche bottigliette da mez-zo litro e in quella da un litro e mezzo. La maggioranza dei ri-storanti che servono piatti di cucina chifa (una sorta di mix tra la cucina peruviana e quella orientale) l’ha adottata da qualche anno come bevanda analcoli-ca; i peruviani la preferiscono a temperatura ambiente piuttosto che fredda.

INKa COLa

Una bionda sportiva

È la birra del leone la più diffusa in Thailandia. La Singha Beer, infatti, è amata sia dagli abitanti del posto sia dai turisti, che la sorseggiano per trarre sollievo dal caldo umi-do di Bangkok e dintorni. È una lager con il 6% di alcool e un gu-sto leggero e gradevole, ideale per dissetarsi al bar per un aperitivo o in discoteca e anche molto gradita durante i pasti.

Nata nel 1933 (quest’anno quindi festeggia il suo ottan-tesimo compleanno), è una delle birre più conosciute in tutto il mondo grazie anche alle partnership pubblicita-rie che la legano ai brand sportivi più prestigiosi. In Inghilterra è sponsor uffi-ciale delle due squadre di calcio più vincenti degli ultimi anni nel massimo campionato, la Premier League: a gennaio è sta-to prolungato fino al 2016 il contratto con il Manchester United e ad aprile si è replicato con il chelsea fino al 2017. Tra l’altro, entrambe le for-mazioni saranno ospiti a Bangkok rispettivamen-te sabato 13 e domenica 17 luglio per due match contro una selezione di stelle locali al rajamangala National Stadium e in palio ci sarà proprio la Singha 80th Anniversary cup. L’azienda thailandese, inoltre, è anche team partner della scuderia campione del mondo di Formula Uno, la red Bull.

Una curiosità finale, Singha non produce solo birra, ma anche acqua naturale e gassata oltre a una bevanda al the verde, Moshi green tea, in quattro varianti: original, lemon, melon e fruit.

sINGha BeeR

Ae thnicAZIENDA BREVI

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Ae thnic

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Ae thnicNEGOZIO YUZU

2120

ha la forma di un mandarino, il colore di un limone – ma si spazia dal giallo al verde a seconda del grado di maturazione – e note aromatiche simili a quelle del pompelmo.

Ma su una tavola non lo si potrà mai vedere a spic-chi perché in cucina lo yuzu si utilizza in (tanti) altri modi. le sue origini risalgono al terzo secolo a.c. in tibet e solo in seguito sarà introdotto anche in corea e soprattutto in Giappone, dove oggi cresce su piccoli alberi spinosi – che hanno lo stesso nome del frutto – sull’isola di Shikoku, nell’o-ceano Pacifico settentrionale. Solo in questa ristretta zona si producono circa 10mila tonnellate di yuzu l’anno, ovvero la metà della produzione totale presente sul mercato giapponese.

la caratteristica principale della pianta è la resistenza al freddo (cresce anche fino a -10 °c) e ai forti sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte che, però, esaltano il sapore del frutto. la pianta dello yuzu, conosciuta con il nome di citrus junos, ha anche funzione ornamentale: colora e abbellisce i giardini e alcune varietà sono coltivate esclusivamente solo per i fiori che producono.

Scoperto anche dai grandi chefIl suo ambiente naturale, però, resta la cucina. Se ne può ricavare

infatti un succo aromatico molto delicato oppure è possibile utiliz-zare direttamente la buccia per insaporire le pietanze più diverse, dalla verdura ai piatti di pesce come sushi, insalate di gamberi o capesante. nella cucina giapponese è usato per dare un tocco in più alle salse, come la ponzu utilizzata come condimento per il sashimi, i cui ingredienti sono il mirin (un sakè dolce), l’aceto di

riso, fiocchi di katsuobushi (tonno secco affumicato) e alga kombu con l’aggiun-ta finale del succo di yuzu.È frequente anche l’uso per la preparazione di dol-ci, torte e gelatine, mentre in corea ci fanno una marmellata. la diffusione

dello yuzu, ormai, ha varcato i confini del Giappone: il suo gusto aspro ma fruttato

è apprezzato in tutto il mondo e anche i grandi chef lo custodiscono gelosamente nelle

loro dispense. ad esempio il pasticciere più famoso di Francia, Pierre Hermé, lo utilizza per arricchire il sapore delle sue specialità, a partire dai macarons, i deliziosi pasticcini colorati che fanno bella mostra

nella sua “boutique” parigina in rue Bonaparte. Inoltre lo yuzu dà profumo al tè, è un originale ingrediente

dei cocktail più esclusivi e, addirittura, in olanda e in Finlandia aromatizza alcune birre artigianali.

A mollo tra gli yuzuSi intuisce quindi che è un agrume dalle mille risorse, da cui si estrae anche l’olio essenziale utilizzato per realizzare prodotti per la pulizia del corpo, creme per la pelle, profumi e candele per la casa.

In Giappone è utililizzato anche per piacevoli bagni caldi la sera del solstizio d’inverno: la scorza dei frutti immersi nell’acqua bollente rilascia essenze profumate che hanno effetti rilassanti. Inoltre lo yuzu è un agrume che ha un contenuto di vitamina c doppio di quello delle arance: farsi una spremuta, però, è un’im-presa alquanto complicata visto che il frutto contiene poco succo e grossi semi. lo yuzu ha comunque buone qualità medicamentose, è ricco di antiossidanti ed è un ottimo rimedio contro raffreddori, influenze e per la guarigione della pelle screpolata. Insomma, è un agrume universale. n

IN cUcINA PUò ESSErE UTILIzzATO PEr INSAPOrIrE IL PEScE, cOME INgrEdIENTE dI gUSTOSE SALSINE OPPUrE PEr dArE UN TOccO dI OrIgINALITà AI dOLcI. MA c’È ANchE chI NE rESPIrA LE ESSENzE

01. Bottiglia da mezzo litro di Yorozuya, il liquore allo yuzu al 9% di alcol, ottimo come digestivo da gustare freddo dopo i pasti oppure per aromatizzare i dolci e le macedonie di frutta fresca 02. Lo Yuzusco è la variante giapponese del tabasco, aromatizzata allo yuzu con l’aggiunta di peperoncino, può insaporire verdure e panini 03. Bottiglia da mezzo litro di succo puro di yuzu al 100% 04. Condimento allo yuzu e al peperoncino verde in un vasetto da 80 grammi 05. sale aromatizzato allo yuzu, in bustina da 100 grammi, dal gusto fresco e fruttato 06. Bustina di yuzu essicato e ridotto a pezzettini, il condimento ideale per aromatizzare zuppe o piatti di carne e pesce 07. Yuzu e peperoncino verde in polvere 08. Condimento allo yuzu in polvere 09. salsina allo yuzu della Miko Brand 10. salsa Ponzu allo yuzu per condire il carpaccio di carne o pesce (sashimi), marca Yamasa, in bottiglia da un litro

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l’AGRUmE TUTTOfARE

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Ae thnicNEGOZIO l’INTERVISTA

per soddisfare la voglia di cibo etnico non sempre è indispensabile rivol-gersi a negozi specializzati. ormai, infatti, anche le piccole catene del-

la grande distribuzione hanno diversificato la propria offerta proponendo sugli scaffali un buona varietà di questi prodotti. d’altronde, gli immigrati non vogliono perdere i sapori tipici della loro tradizione e sempre di più anche i nostri connazionali che tornano da un viaggio hanno voglia di riassaporare i cibi gustati dall’altra parte del mondo, come sostiene anche Francesca Baggio, ammini-stratore delegato di GB ramonda, piccola catena di supermercati del vicentino.

Quando è nata la vostra azienda e come si è sviluppata nel tempo?«l’azienda è nata nel giugno del 1971 ad alte di Montecchio Maggiore da un piccolo negozio di alimentari di 50 metri quadri e si è poi allargata nel 1985 con l’acquisto di un supermercato di 400 metri quadri a Brendola. nel corso degli anni si sono aggiunti altri punti vendita: ad alte ceccato, trissino, Sovizzo e rosà. l’ultimo è stato aperto nel 2006 in città, a Vicenza».

Quando avete iniziato a proporre prodotti etnici e per quale motivo? E come sono stati accolti dai vostri clienti?«li proponiamo nei nostri punti vendita

praticamente dall’inizio. Inizialmente per assecondare le richieste provenienti da par-te dei nostri clienti, che dopo un viaggio ci chiedevano di introdurre i prodotti de-gustati all’estero per cucinarli agli amici, ma anche per proporre qualcosa di diverso rispetto ai soliti prodotti. ovviamente, poi, una parte della nostra clientela è stranie-ra e ci chiedeva prodotti tipici delle loro terre. negli ultimi tempi abbiamo deciso di aumentare la nostra offerta etnica e i clienti, sia italiani sia stranieri, sono molto contenti di questa scelta».

Indicativamente, quanti sono i prodotti alimentari etnici proposti nei vostri punti vendita? E quali sono i più riforniti?«abbiamo circa 250 referenze assortite, dall’antipasto fino ai dolci. I supermercati più completi sono quelli di alte ceccato e tris-sino, ma è nei nostri programmi completare l’assortimento anche nelle altre strutture».

Chi acquista i prodotti etnici? «tutti acquistano, anche i miei figli: a loro piace provare nuovi prodotti e degustare sapori diversi dal solito».

Quanto e come è cambiata l’offerta di cibo etnico nel corso degli ultimi anni?«negli ultimi anni è cambiato il modo di cu-cinare, grazie anche ai programmi televisivi come la prova del cuoco o Masterchef, in cui i cuochi propongono continue novità per stuzzicare la curiosità e il palato del pubblico. Il cliente non perde tempo, si riversa da noi e ci chiede tutti gli ingredienti per preparare le ricette. riscontriamo comunque una nuova sensibilità nella sperimentazione di piatti diversi da quelli della nostra tradizione».

A suo avviso, i supermercati sono diventati (o potranno diventare in futuro) una valida alternativa alle botteghe etniche per gli stra-nieri alla ricerca di prodotti della loro terra?«ritengo che i supermercati al momento non possano sostituirsi al negozio etnico; la profondità merceologica e la specializzazio-ne di quest’ultimi difficilmente potrà essere raggiunta dai classici supermercati. Piuttosto, credo invece che possano fungere più da pro-motori per queste nuove tipologie di prodotti alimentari e fare in modo che le persone si avvicinino di più alle culture e alle tradizioni culinarie di Paesi lontani». n

ANchE I PUNTI vENdITA dELLA grANdE dISTrIBUzIONE TArgATI gB rAMONdA APrONO AI PrOdOTTI dI TUTTO IL MONdO. AI cLIENTI LA NOvITà È PIAcIUTA E NEI PIANI c’È UN AMPLIAMENTO dELL’OFFErTA

VENETO SUpER... ETNICO

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Ae thnicNEGOZIO pUNTO VENdITA

dOVE SI TROVA l’INTROVABIlEÈ il negozio di Roma in cui i desideri “esotici” possono essere esauditi. Anche i più singolari. Da Selli International Food Store, infatti, si trovano generi alimentari, spezie, cereali e legumi pro-venienti da ogni parte del mondo, stipati fin quasi al soffitto nei capientissimi scaffali che i fratelli bianca Maria e Mimmo Selli (nella foto) ogni giorno con pazienza certosina riempiono per soddisfare le richieste dei loro clienti del quartiere Esquilino. Precisamente il negozio è in via dello Statuto, a due passi dalla multietnica Piazza vittorio dove, agli inizi degli anni ‘60, da un banco del mercato all’aperto gestito da mamma Annunziata e papà Angelo, è nata l’idea di quello che oggi è un autentico punto di riferimento nella capitale per gli amanti del cibo etnico.

signor selli, quando siete passati dal mercato al negozio?«Abbiamo aperto qui nel 1994, ma per trovare le origini del nego-zio è necessario andare indietro fino agli anni ‘60, quando i miei genitori “facevano il mercato” nella vicina piazza. Sul finire degli anni ’70 arrivarono a Roma i primi migranti dalle Filippine e dal Marocco, che scelsero le bancarelle di piazza vittorio per rifor-nirsi, forse perché ricordavano i bazar all’aperto delle loro terre

d’origine. Si sa, la domanda genera l’offerta e così i miei genitori decisero di puntare sui prodotti etnici, specie le spezie».

Una posizione strategica, la vostra. A quali Paesi ap-partengono i vostri clienti?«va detto che negli anni la clientela è cambiata notevolmente. Inizialmente frequentavano il negozio i tanti indiani del Punjab che lavoravano qui intorno. Ora questi si sono spostati al nord e hanno lasciato il posto a colombiani, brasiliani, peruviani e anche mediorientali, che rappresentano una bella fetta della nostra clien-tela. Ma, in genere, passano da noi avventori di tutte le nazionalità visto che a Roma ci sono le sedi di tutti i consolati che occupano numerosi lavoratori del proprio Paese».

Quanti addetti impiegate?«Siamo io e mia sorella bianca Maria più due dipendenti, uno indiano e uno proveniente dallo Sri Lanka. Siamo qui da 19 anni e, nonostante la crisi che sta colpendo le piccole attività, le cose vanno molto bene…».

… forse perché “Da selli si trova l’introvabile”, come scrivono i vostri clienti nelle recensioni su internet. Un bell’attestato di stima per un negozio etnico. Come fate a essere così riforniti?«La concorrenza è agguerrita e i nostri sforzi sono concentrati nella direzione di distinguerci grazie all’offerta di una più ampia varietà di merce a prezzi convenienti. L’impegno mio e dello staff è costante e quotidiano nella ricerca dei migliori prodotti, anche di quelli più particolari».

Visto che siamo in tema, qual è la cosa più “introvabile” che si può trovare da selli?«Per le nostre spezie viene gente da fuori Roma: mi vengono in mente ad esempio l’aneto e la trigonella. Abbiamo anche dei prodotti indiani di cosmetica praticamente irreperibili altrove: alcune ragazze italiane, che adesso sono nostre clienti, li facevano arrivare da Londra ordinandoli online; ora li acquistano sotto casa risparmiando parecchi soldi».

Gli italiani, appunto, frequentano il vostro negozio? E cosa apprezzano di più?«Certo, sono anche loro nostri clienti. La cucina giapponese è quella che ora va più di moda ed è molto apprezzato dai romani l’angolo dedicato al biologico». n

SEllI INTERNATIONAl fOOd STORE

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ASIA pROTAGONISTA anche il personale di selli International Food store è multietnico:oltre ai titolari Mimmo e Bianca Maria selli, lavorano in negozio un dipendente indiano e uno dello sri Lanka.

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Ae thnicRISTORANTE ShIKI

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Via Solferino 35, praticamente di fronte alla sede del corriere della Sera. Una zona di Milano sempre viva, di giorno e di notte.

Qui si trova lo Shiki, che da quest’anno ha una nuova gestione e propone una cucina rinnovata: non più giapponese tout-court, ma una cucina fusion, dove gli ingredienti e i sapori tipici della tradizione orientale si incontrano e si mischiano con quelli me-diterranei, in un ambiente piacevole e raf-finato, con musica in diffusione e comodi divani su cui sedere per gustare in maniera ancora più rilassata pranzo, aperitivo, cena o il brunch domenicale.

Il punto forte sono le tante piccole por-tate: ce ne sono 45, tutte rigorosamente fusion (lo è persino il tiramisù: due strati di panna e crema, biscottino imbevuto di caffè e semi di sesamo al posto delle scaglie di cioccolato) che compongono un menù vario, colorato e sempre diverso, composto personalmente dallo chef alex che gesti-sce locale e cucina. autodidatta, cresciuto in una famiglia di cuochi e ristoratori sulle rive del lago Maggiore, alex ama inventare e sperimentare. non solo in cucina, ma an-

La cucina di alex (nella foto) è innovativa, veloce, ma allo stesso tempo gustosa e raffinata. Che ai milanesi piace. Chi andrà da shiki sul menù non troverà la classica lista dei primi e dei secondi, ma tanti piattini in cui gli ingredienti tipicamente orientali si fondono coi più classici sapori mediterranei. Dai pomodori fino alla mozzarella di bufala.

UNA pROpOSTAVINCENTE

che nella scelta dei vini: da provare, secondo lui, un profumatissimo rosé della Provenza che ben si abbina ai suoi piatti.

Il nome del locale, Shiki, è accompagnato dalle parole “easy food”. perché?«Perché da Shiki cuciniamo solamente ri-cette veloci e semplici. la nostra filosofia non prevede il concetto di antipasto, pri-mo e secondo. Si tratta quindi di un menù easy: moderno, al passo con i tempi, veloce e gustoso. Si possono assaggiare uno o due piattini e poi andare via, oppure fermarsi per gustarne sette o otto…».

Una scelta abbastanza particolare: da dove arriva l’idea?«arriva da molto vicino. da me. Mi spie-go meglio: quando esco a cena, mi piace assaggiare praticamente tutto. Un po’ per-ché sono goloso, un po’ a scopo didattico. e così ho modellato la mia cucina».

E i clienti che cosa ne pensano?«la formula piace. non a tutti ovviamente, perché non mancano i tradizionalisti che vogliono sempre il loro piatto classico. Ma

è una questione di abitudine: ritengo che la gente vada educata a mangiare in ma-niera diversa. così è successo anche per i “vecchi” clienti dello Shiki, che all’inizio hanno fatto un po’ di fatica ad adeguarsi a un cambiamento così radicale; c’è chi ce l’ha fatta e chi no. Ma abbiamo avuto anche tanti nuovi clienti».

lo Shiki propone una cucina fusion: perché?«Ho iniziato la mia carriera con la cucina italiana di pesce; con il tempo, però, mi sono aperto ai nuovi sapori provenienti dal mondo. Mi piace associarli, mischiarli: da qui, quindi, è nata la passione per il fusion. Ho provato a mettere assieme il cappero con lo zenzero, oppure il basilico con le alghe per capire se l’abbinamento speri-mentato potesse piacere. alcune cose non funzionavano, ma tante altre sì».

Quali sono i pilastri della tua cucina?«come condimento base utilizziamo una emulsione di soia e olio extravergine: è gu-stosa, delicata e abbassa le calorie. Poi olive, basilico e, con l’estate, i pomodori per quan-to riguarda la parte mediterranea, mentre

non può mancare la salsa di soia per quella orientale. e poi tanti altri ingredienti che si scopriranno di volta in volta».

da cosa deve essere attratto il cliente che vuole mangiare allo Shiki?«dagli abbinamenti curiosi e interessanti che propone il menù. Milano ormai è una città multietnica, abitata da gente aperta alle novità, gente che viaggia molto e, una volta rientrata alla base, vuole risentire certi sapori anche sotto casa. È una formula in-teressante ed economica: ogni piatto costa 7,50 euro».

Qual è il più richiesto?«Sicuramente il tta, ovvero la tartare di tonno alex. Una mia specialità che propon-go da tanto tempo, composta da una base di riso basmati caldo con una purea di avocado e tonno».

E quello che meglio rappresenta il tuo risto-rante?«I roll, che sono l’elemento di continuità con quello che era lo Shiki fino a qualche mese fa». n

ALEx, chEF dEL LOcALE MILANESE dI vIA SOLFErINO, rAccONTA LA SUA cUcINA FrA TrAdIzIONE E INNOvAzIONE, OrIENTE E OccIdENTE. E UN NUOvO SOrPrENdENTE MENù TUTTO dA ScOPrIrE

l’ImpORTANZA dI ChIAmARSI fUSION

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Ae thnicRISTORANTE INTERVISTA A mATIAS pERdOmO

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è nato in argentina, ha vissuto in Brasile e sostiene che la sua vera patria è l’Uruguay. Matias Perdo-mo, chef del ristorante milanese al

Pont de Ferr, rappresenta simbolicamente tutto il Sudamerica, una terra che ha dato i natali a grandi rivoluzionari. e a suo modo lo è anche lui, visto che ha impiegato solo un mese a rivoluzionare, è proprio il caso di dirlo, la cucina di uno storico locale della Milano dei navigli. Sei anni fa, infatti, pri-ma che diventasse primo chef, nell’osteria tutt’oggi gestita da Maida Mercuri si pote-vano gustare principalmente piatti tradizio-nali di ottima qualità della cucina italiana.

ora invece il menù è più vario e colorato e la qualità è rimasta ottima, come dimostra la Stella Michelin guadagnata nel 2012. la regia sudamericana si vede, quindi. e si sente.

matias, che cos’hai messo di tuo in un locale milanese quale è Al pont de ferr?«Inizialmente mi ero promesso di cambiare le cose poco per volta. Ma non è stato così: la mia cucina è diversa, è più moderna; la svolta è stata quindi repentina e la gente inizialmente non ha reagito positivamente. Ma abbiamo tenuto duro, avevo carta bianca e adesso la nostra proposta è di successo».

Quali sono state le prime novità inserite in un menù tradizionale?«la cipolla innanzitutto. Poi lo zucchero sof-fiato, che ho imparato a preparare da solo ispirandomi a una ricetta dei fratelli roca, che hanno un famoso ristorante a Girona, in catalogna, dove in seguito ho fatto un stage. Inoltre sono stato il primo a portare in Italia la pluma di maiale iberico, un taglio partico-

lare del suino (parte anteriore del lombo, vi-cino al collo, ndr) che si chiama così proprio perché la forma assomiglia a una piuma. ora è un classico del nostro ristorante».

Sostieni che le tue creazioni hanno anche un aspetto ludico: in che senso?«la cucina è un riflesso dello stato d’animo. È una filosofia di vita: io vivo la mia allegra-mente, non sono uno che si piange addosso. di conseguenza mi comporto così anche in cucina, dove mi diverto e voglio divertire i clienti».

Estetica e gusto in che percentuali devono stare in un piatto?«Il gusto viene prima di tutto. Se il piatto è bello e colorato ma il sapore è cattivo, non va bene. l’estetica entra in gioco quando il piatto ha raggiunto il massimo livello di sa-pore e, a quel punto, ci si può concentrare su come presentarlo al meglio».

Quanto apprezzi la cucina etnica?«Io sono aperto a tutto, nella vita come a ta-vola. lo dice la mia storia: provengo da una cultura multietnica e, di conseguenza, la mia cucina è senza frontiere. non credo nel chi-lometro zero, lo si faceva cento anni fa. non chiudo a quello che arriva dall’altra parte del mondo, purché sia di ottima qualità».

In Uruguay hai avuto esperienze in radio e in tv: che cosa ricordi?«avevo 20 anni, la gente mi riconosceva per strada, ma la cosa non mi piaceva. Stavo per-dendo la mia dimensione, non volevo essere un personaggio ed ero giovane con tanto ancora da imparare. È stata una delle molle per lasciare il mio Paese e venire qui. Mi ero creato un contorno che non era autentico, non era ciò che volevo. Io volevo fare il cuo-co, cucinare, plasmare un’idea…». n

AL PONT dE FErr, NOTO rISTOrANTE MILANESE SULLE rIvE dEL NAvIgLIO grANdE, c’È UNO chEF SUdAMErIcANO chE AMA INvENTArE E STUPIrE

UN “RIVOlUZIONARIO” AI fORNEllIEnglish text on page 38

Il CUOCO GlOBETROTTER

N asce 33 anni fa in Argentina a Buenos Aires. Ma è uruguaiano della capitale Montevideo dove però ci arriva all’età di sei anni. Matias

Perdomo, il primo chef dell’osteria (lo specifica anche il sito ufficiale) milanese Al pont de ferr – segnalata con una stella Michelin nella guida 2012 – è un vero “giramondo”.

Oltre ad Argentina e Uruguay vive anche in Brasile, danimarca e all’età di 21 anni, nel 2001, si trasferisce in Italia dove lavora tuttora nello storico locale sul Naviglio grande; da sei anni è la star della cucina che “sconvol-gerà” introducendo nuovi piatti e nuovi sapori. comincia da giovane con un corso privato, già a 14 anni mira a diventare lo chef del primo hotel a 5 stelle di Montevideo. A venti nel suo Paese gestisce tre ristoranti di cucina italiana e partecipa a trasmissioni televisive e radiofoniche che lo rendono famoso. Poi il richiamo del nostro Paese, l’ulteriore crescita professionale presso l’osteria Al Ponte fino a diventare uno degli chef più creativi sulla piazza.

Ae thniclA VETRINA dEI pROdOTTI

01. Pasta surgelata per cucinare gli involtini primavera; nella busta da 550 g potrete trovare 40 sfoglie quadrate da 215 mm 02. Maionese giapponese per insalata al gusto di sesamo, leggermente dolce, ideale anche per sashimi e pesce crudo in generale, in bottiglietta da 250 ml 03. Maionese giapponese per insalata al gusto di cipolla, in bottiglietta da 250 ml 04. è la classica maionese giapponese, diversa da quella italiana. Il gusto è più intenso, è prodotta con olio di semi di colza e viene utilizzata per condire le insalate, per le tartare e i rotolini di sushi; la Kikkoman la propone in tubetti da 500 ml 05. Salsa al wasabi ideale per guarnire il sushi, in bottigliette da 570 g 06. Salsa ai fiori di ciliegio 07. Salsa allo yuzu

01

04 05 06 07

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BEllI E SQUISITINella foto a sinistra la cipolla rossa di Tropea fatta di zucchero soffiato, a fianco la pluma di maiale iberico. sopra Matias Perdomo.

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Ae thnicCUCINA RICETTE

PreparazionePulire l’orata ricavando dai filetti delle fettine sottili.Per la crema di basilico: frullare le foglie di basilico con un goccio di olio extra vergine e i pinoli e un pizzico di sale. Per il pesto di olive: frullare le olive. Tagliare gli asparagi in fettine sottilissime e farli sbolletntare 5 min in acqua bollente leggermente salata.

Su una stuoietta in bambù ricoperta di cellopan poggiare l’alga nori. Adagiare sopra l’alga una quantità di riso sufficiente a ricoprirne la superficie. Adagiare delle fettine di avocado tagliate sottili e gli asparagi in modo che le punte non sporgano dall’alga e, aiutandosi con la stuoia in bambù, arrotolare il maki. Tagliare fette sottili l’orata e adagiarla sulla parte superiore del maki facendole aderire e premere ancora con la stuoia per compattare il tutto. Dividere il roll così ottenuto in otto parti e su ogni rotolino adagiare una goccia di crema di basilico, e una goccia di pesto di olive. Condire il tutto con un’emulsione di salsa di soia e olio extra vergine. Servire accompagnato dalla salsa teriaki.

PreparazioneMettere in ammollo i ceci per 24 ore, scolarli e sciacquarli bene. Metterli a cuocere in una pentola a pressione con abbondante acqua per 20 minuti o in pentola normale per due ore, o finché non diventeranno teneri. Scolarli. In una padella antiaderente versare tre cucchiai di olio, due spicchi d’aglio e le spezie in polvere. Far tostare il tutto per un paio di minuti a fuoco medio. Aggiungere i ceci scolati e lasciare insaporire per altri 2 o 3 minuti. Nel frattempo spremere i limone. Trasferire i ceci in un mixer, aggiungete la tahina e il succo di limone, frullare fino a ottenere una crema omogenea e liscia. Aggiungete a filo dell’olio extravergine o dell’acqua calda a seconda della consistenza desiderata amalgamando il tutto con un cucchiaio. Servite in una ciotolina dopo averne cosparso la superficie con del prezzemolo tritato o del peperoncino.

ASpARAGUS ShIKI ROll

hUmmUS

di suzy Kmeid

di alex

130 gr di riso per sushi condito con aceto e zucchero4 fogli di alga nori10 asparagi verdi1/2 avocado200 gr di orata 1 mazzo di basilico20 olive taggiasche30 gr di pinolisalsa teriaki, olio extravergine e salsa di soia q.b.

300 gr di ceci secchi2 spicchi d’agliosucco di 2 limoniolio extravergine d’oliva q.b.sale q.b.2 cucchiai di tapinacumino q.b.2 cucchiai d’acqua caldaPer guarnirepeperoncino rosso in polvere q.b.prezzemolo tritato q.b.

ingredienti per 4 persone

ingredienti per 4 persone

English text on page 39RISTORANTE COlTEllI GIAppONESI

Non c’è cucina giapponese di qualità senza coltelli di quali-tà. Strumenti di altissima pre-cisione, sono i veri alleati per la

riuscita di ogni ricetta. «Un piatto rovinato da un taglio sbagliato può persino cambiare gusto», precisa Yuki Konsho, consulente di Uniontrade. «tagliare il pesce, in particola-re, è molto difficile: richiede coltelli professionali e una maestria che si acquisisce negli anni. In Giappone si dice che per diventare cuoco ne occorrono dieci», aggiunge.

caratteristica della mag-gior parte dei coltelli è la lama su un solo lato: l’altro infatti è in genere piatto. Fanno eccezione le lame an-golate, per la preparazione dei vegetali il cui taglio av-viene esercitando una pres-

sione. le lame più usate sono cinque: il Santoku (“tre meriti”, in italiano), universale e adatto al taglio di tutti gli ingredienti e in parti-colare della carne. Il na-kiri e l’Usuba sono invece

destinati alla lavorazione dei vegetali, ma solo il primo è affilato da entrambi i lati. Il deba è invece un coltello pesante, affi-lato da un solo lato, utilizzato per tagliare anche ossa e lische ma anche per sfilettare pesci di piccole dimensioni. Infine lo Yanagiba, il coltello tradiziona-le per sushi e sashimi. Grazie a una lama lunga e stretta è adat-to a eseguire tagli sottilissimi, lunghi ed estesi.

Il materiale con cui sono fatte le lame è l’acciaio, che as-sicura tagli perfetti nel tempo. tuttavia la durevolezza dipen-de anche dalla manutenzione: «In Giappone i cuochi usano due o tre diversi tipi di affila-tori per ogni coltello», precisa Yuki. realizzati in pietre locali a base di silice e argilla, sono trattati con acqua o olio poco prima dell’affilatura. n

qUELLI PIù cOMUNI SONO cINqUE: IL SANTOKU, AdATTO AL TAgLIO dELLA cArNE, IL NAKIrI E L’USUBA PEr I vEgETALI, IL dEBA (IL PIù rESISTENTE) E LO YANAgIBA PEr IL SUShI

English text on page 39

GlI STRUmENTI dEl mESTIERE

lA mATERIA pRImAè fondamentale che la qualità dell’acciaio sia elevata affinché la precisione del taglio sia la migliore possibile. Ma non solo. Trattamento termico, geometria della lama, geometria e costruzione del manico sono elementi determinanti per le prestazioni del coltello.

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Ae thnicNEWS

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TENdENZE

Sushi e salsa di soiaper combattere i tumori

I nutrizionisti aprono all’etnico. Nelle tabelle alimentari e nelle linee gui-da dell’Airc, l’associazione italiana di ricerca sul cancro fondata dall’on-cologo Umberto veronesi, accanto alle sempre premiate pietanze della cucina mediterranea entrano infatti piatti cinesi, giapponesi, africani e indiani. Oggi, ad esempio, una delle regole consigliate dall’Airc è quella di ridurre il sale, magari compensan-do con le spezie care alla cucina del Maghreb o del Medio Oriente. La lotta al tumore passa infatti anche dai cibi esotici. Ad esempio il pesce alla giapponese, crudo e marinato in salsa di soia, oppure gli spaghetti di riso e le carni speziate e piccanti che vengono dall’India sono molto apprezzati dagli studiosi dell’Airc. Stesso discorso per un altro ingre-diente noto per i suoi effetti bene-fici: la curcuma. Spezia simile allo zafferano, è ricca di curcumina utile a combattere le malattie legate all’in-vecchiamento del cervello. «Nell’isola di Okinawa, dove viene consumata quotidianamente – spiega veronesi – c’è una presenza di ultracentenari che supera del 10% quella di altri paesi del mondo».

SAlUTE

Locale e globale. Le dinamiche del mon-do globalizzato si rispecchiano tutte nell’etnico e in alcuni eventi che in questi mesi lo vedono protagonista. Lo scorso marzo presso lo spazio Carroponte di sesto san Giovanni (Milano) si è tenuto il primo festival delle cucine del mondo.

Far da mangiare, questo il nome dell’e-vento, dall’8 al 10 marzo ha presentato laboratori sensoriali, stand e mercatini, degustazioni, mostre, brunch, cene te-matiche e ricette dal mondo. Un’iniziati-va a favore dell’integrazione tra locale e internazionale. Ma non c’è solo questo: l’etnico ormai merita infatti anche fiere

globali: a fine giugno nel New Jersey (Usa) si tiene infatti International Food expo, esposizione mondiale in cui i cibi del mondo mostrano le loro enormi po-tenzialità di mercato.

«La linea di demarcazione tra cibo oc-cidentale ed etnico si sta assottigliando», ha spiegato alla stampa Bharat Joshi, che coordina l’organizzazione dell’esposi-zione statunitense.

Tra i Paesi protagonisti, quest’anno, ci sono Cina, Giappone, Corea, Filippine, singapore, Thailandia, sri Lanka, Ban-gladesh, Pakistan e India ma anche nu-merosi Paesi africani e latinoamericani.

l’etnico va in mostra in Italia e nel mondo

Ae thnicNUMERO06 ENGlISh

EditorialThe around-the-world trip continues PaGe 02

it’s a hop from India to Leba-non. In its trip around the

world Eathnic heads west to step in a country best known for its recent tormented story of war and destruction. but perhaps few know that in this stretch of land that looks out over the Mediterranean and that over the years has under-gone the influence of rich and varied cultures such as African, Middle Eastern and Southern European ones, there is also a rich gastronomic culture that incorporates the characteristics and tastes of nearby lands. It’s no accident that Lebanese cuisine is defined the “pearl” of Arab cuisine and its role touches on important aspects of social life. Suzy Kmeid has lived for 18 years in Italy and since 2008 has managed a Piacenza restaurant that serves Lebanese special-ties. And it is she who stresses that hospitality, in her country, is translated into sharing a place at the table with acquaintances and friends.

There’s not only Lebanon in this issue of Eathnic. We also travel to South America to dis-cover how a

typical product of the Asian market like soy also took hold in Peru some two centuries ago. It is one of the curiosities of one of the most refined, but also one of the most particular cuisines

in the world, “contaminated” by a myriad of gastronomic cultures that are extremely dif-ferent from each other. Among these is also Cantonese after thousands of Chinese arrived in Peru in search of work in 1850. In this way was born chifa cui-sine, a mix of South American tastes and Asian ingredients, like soy oil. Among other key prod-ucts there is also yuzu, the all-purpose citrus fruit that has the shape of a tangerine, the colour of a lemon and a taste similar to grapefruit.

Then, as always, we take a trip among the trendiest restaurants. Our focus turns to the fusion cuisine of Shiki in Milan. Also in the Lombard capital there’s Al Pont de Ferr where the lead chef is Matias Perdomo. South American, globe trotter, the kitchen revolutionary... n

Lebanon Aromatic inspirations PaGe 04

The best way to learn about Lebanese culture? Observ-

ing how in beirut, Tripoli or by-blos men and women, the young and the old, behave at the table. In other words, it’s the role that food plays in conviviality and daily life that recounts the re-lationship between people and generations. From the cradle to the grave, each step of exist-ence is accompanied by a dish and every holiday or event is celebrated with a meal. but not only.

Suzy Kmeid, a Lebanese of Tanbourit but a resident of Italy for the last 18 years (since 2008 she has managed the I tre cedri (Three cedars) restaurant in Piacenza), tells Eathnic how fundamental hospitality is for understanding the culinary cul-ture of her country: «You don’t leave the home of a friend who has hosted you without eating something», she explains.

To begin Lebanese cooking is often de-scribed as the “pearl” of Arab cuisine. It’s no accident. Over-looking the Mediterranean, this great small country (its surface area is only slightly bigger than that of Italy’s basilicata region) shares with other Middle East-ern cuisines unique tastes and aromas, with which it also com-bines decidedly original dishes, with a strong European and in particular French influence, a legacy of the mandate that Par-is exercised over Lebanon until its independence was declared in 1943.

That the meal here is a rite can also be understood from how it is composed: «Every lunch or dinner differs depend-ing on the skill and creativity of the host, but it always begins in the same way: with meza, or rather with a series of appetizers that are a real must», adds Susy. Tiny dishes, almost samples. A sort of tasting. To begin with there are the “four sisters”, four creams that alone are the symbol

of this land. Two have a sesame pulp base, the famous tahina, and are respectively seasoned with an eggplant (baba ghanoug) and chickpea (hummus) paste. The other two, whose tastes perfectly complement those of the first two, are instead a mint yogurt sauce and a fava bean purée (fava). «Normally you eat by helping yourself with pieces of bread, the traditional khubz arabi, everyone helping them-selves from the same dish», explains Susy. Sharing is the key to Lebanese cuisine. Indeed Lebanon inherited capabilities in trade and relations from the an-cient Phoenician culture. It’s no chance that the meal represents the most important moment of meeting and social life, so much so that it can last for several hours on holidays.

Aromatic dishes Seasoned sauces with bread and without silverware aren’t the only point in common with other Middle Eastern cuisines, like that of Israel, but also that of Turkey and Greece. Here too each meal continues with a se-lection of salads whose key in-gredients are, just like in other countries in the eastern basin of the Mediterranean, legumes, vegetables (often grilled, just like in Italy’s southern regions) and spices: coriander, cumin, turmeric, allspice and “our” parsley. Thus aromas charac-terize Lebanese tastes. You can also understand this from

s

English text on page 40

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I gusti cambiano: ora piace una cucina più “decisa”

L’etnico cede il passo al global, evoluzione del fusion. In altre parole ai cittadini del mondo del secondo decennio del 2000 piacciono sempre più i piatti ibridi, frutto di contaminazione. A patto che i sapori siano forti e soprattutto nuovi. Lo dice l’Insti-tute of food technology di Chicago, società scientifica non profit che riunisce 18mila membri in più di 100 Paesi. Una ricerca che l’ente ha appena pubblicato illustra infatti i nuovi trend in tema di alimentazione. Primo dato: la cucina che piace oggi è fatta di sapori accesi, da quelli piccanti all’affumicato, dal salato al marinato senza dimenticare il gusto per l’amaro. Secondo l’Ift la scelta di cibi che rientrano in queste categorie è quasi raddoppiata negli ultimi tre anni. Dato interessante riguarda poi l’hobby della cucina: nel corso di questo 2013 sette persone su dieci hanno cucinato a casa più di quanto hanno fatto l’anno prima. La sempre maggiore disponibilità di ingredienti originali, spesso etnici, in questo ha giocato un ruolo decisivo.

fIERE

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the side of Arab countries: for this reason thousands of Pale-stinian refugees found refuge within its borders, creating an endless series of tensions. In 1975 civil war broke out and in 1982 Lebanon was invaded by Israel: only the intervention of international troops avoided a prolonged conflict, preventing further destruction and blood. Israel’s second offensive against Lebanon began in July 2006 in response to the kidnapping of two Israeli soldiers on the part of militia from the hezbollah, the Shiite Muslim party that that can also count on a milita-ry wing. It was a fierce attack that didn’t even spare the civil population: certain parts of the capital Beirut were razed to the ground, with 130,000 buildings hit. The conflict lasted a little more than a month before the “cease fire” and the creation of a buffer zone between the two countries free of armed forces. n

PaGe 09A (commercial) friendship that has lasted for decades

Trade between Italy and Lebanon amounted in

2011 (the last year for which data is available at the Italian embassy in beirut) to 1.9 billion U.S. dollars, of which 1.87 bil-lion from Italian exports. The figures show a clear superiority in volumes of exports towards this Middle East country com-pared to those towards Italy. A position that our country has progressively built on, today ranking second after the United States among the global economies from which Lebanon imports products. In-cluding food products: indeed, in 2011 Italian companies sold Lebanese ones 50 million dol-lars (2.7% of Italian exports

the aroma of another typical dish: tabbuleh, cous cous grain with onion, mint, parsley, to-mato, spices, lime and olive oil.

A largely vegetarian cuisine «The specialties in Lebanon vary greatly from family to family and from region to re-gion», notes Susy. Who offers her guests recipes faithful to tradition, unconcerned by those who say they are afraid of excessively seasoned dishes: «Lebanese cuisine contains garlic and onion. Prepared in our way, however, dishes are never overwhelming and indi-gestible. So often our clients don’t even realise they’ve eaten these things».

Indeed, even the more substantial dishes are always delicate, also because they are often vegetarian. «It’s with vegetables that our cuisine offers the best of itself with hundred-odd vegetarian dish-es», she explains. Influenced by the Arab tradition, when it comes to meat Lebanese cuisine favours lamb. Instead pork is consumed little, not for religious reasons (today the majority of the popula-tion is Christian) but because its hot climate makes raising animals difficult. Obviously the international influence is also making itself felt around these parts: «In the big cities restaurants from every part of the world abound and by now in the cupboards of Lebanese homes both industrial and ready-to-eat products are avail-able», adds Susy.

To finishDespite the heat, Lebanese meals are often accompanied by alcoholic drinks and spirits. A famous one is arak, a grape

to Lebanon) in prepared food and beverage products. Leba-nese exports to Italy, instead, are marginal (1% in 2010), even though in this case food also plays a not insignificant role. Moreover, about 5% of the products exported from the land of cedars to the rest of the world involved, once again in 2010, food products. That the trade relations between Italy and Lebanon are solid can also be surmised from the infomercatiesteri.it site of the Italian foreign affairs ministry, dedicated to entrepreneurs from Italy who plan to invest abroad: «Italy enjoys a great relationship in Lebanon. The local market certainly isn’t im-portant for volume, but it en-joys a high degree of opening to trade and triangular trade», it says. n

PaGe 11Mediterranean nectar

Flavourful cuisine, cedars and … wine. Lebanon is

also one of the global capi-tals of viticulture. The heart of this production beats in the bekaa valley, a fertile val-ley that stretches from Libya to Syria (which today makes up 40% of the arable land in the entire country) to roughly 30 kilometres east of beirut. bordered by the mountains of Mount Lebanon and the Anti-Lebanon Mountains to the east, the valley is home to some of the most famous vine-yards in the world. Here they make high quality wines with the most advanced production methods. The best production is aged: some labels can be stored in the wine cellar up to seven years. Among the best of them all is Château Musar, whose bottles can age even for

distillate to which aniseed is added, similar to Greek ouzo, served diluted and with ice. And then wine, the pride of this land: the bekaa valley has always been the main wine re-gion of the country, thanks to a favourable climate and a clay and limestone terrain.

Famous bottles like Château Musar (a red wine obtained from Cinsault, Cabernet and Carignan grapes) have made a name for Lebanese wine throughout the world.

Lastly the desserts. The end of the Lebanese meal deviates from the Arab tradition: «Our sweets are truly sweet», jokes Susy. In other words, Lebanese desserts are rich in butter and sugar, with a base of puff pas-try or very thin phyllo dough. The Middle East influence instead can be in the ingredi-ents, like dried fruit, spices, rose water and sugar syrup. «If main dishes are healthy and in a certain sense dietary, sweets on the other hand are fatten-ing», adds Susy.

Finally, a suggestion. An old rule suggests you should serve double the food you expect your guest can eat. So if you happen to be invited to eat in beirut, remember to accept everything that is offered you: a refusal would be a serious of-fence to the host. n

PaGe 04But there are two cedars

The symbol of Lebanon, throughout the world is

its cedar (Cedrus libani). A name, however, that is ambigu-ous: indeed in Italian the word “cedro” refers to both the im-posing stylized conifer found even at the centre of the flag of this Middle Eastern country and also to the yellow citrus

more than thirty years. The nouveau-style wines of

Kefraya are also superb. With about seven million bottles produced each year, Lebanese wine is gaining an increas-ing amount of space on the global market. Marks & Spen-cer, the famous british depart-ment store chain, decided for example to offer it on its exclusive shelves alongside tabbuleh and hummus, while there an increasing number of European tour operators who have already inserted Lebanon among destinations for wine and gastronomic tours. n

GoboA Japanese story PaGe 12

The name is decidedly curi-ous, but gobo is nothing

other than the root of the bardana, a plant that botani-cally speaking, belongs to the Asteracee family. It withstands all temperatures, high and low, and it’s said its origins are in the Siberian cold. but it’s in Japan, where it has been culti-vated for thousands of years, that the roots are usually dug up in autumn and left to dry during the winter. The roots are thin and can be as long as three metres, they are rather compact and dark coloured but with a white pulp. Gobo is rich in potassium, vitamin C and vitamin E, of pyridoxine (vitamin b6) and mineral salts. It can be used as a medical herb – it cleanses the organism and treats skin diseases – but in Japan it is especially appreci-ated as a vegetable in some local recipes.

It’s an ingredient in many soups, but the most famous and tasty Japanese gobo dish is certainly kinpira gobo: it’s a

fruit (Citrus medica), also typi-cal of these parts. The citrus fruit, however, has nothing to do with the conifer, which doesn’t produce real fruits. Oval shaped, Citrus medica is yellow like a lemon but with a much thicker and pockmarked rind and it is highly prized in Lebanese cuisine, also for its beneficial properties. Rich in potassium and vitamin C, it is refreshing and purifying while its juice helps eliminate gas and fermentation that causes abdominal bloating. n

PaGe 07The pilasters of Lebanese cuisine TahinaA paste produced with white sesame seeds, with its typical aroma similar to that of wal-nuts and peanuts but with an intense toasted taste is at the base of many recipes and especially of the meza, the Lebanese appetizers. Found practically in the entire coun-try’s cuisine.

bulgurAt the base of thousands of recipes tabbuleh, it’s a prepa-ration of whole wheat grains that are steamed and dried, then ground into small pieces. It’s quite common throughout the Middle East. It is also used to coat kebbeh, the typical lamb meatballs.

Parsley An apparently European ingre-dient, it’s fundamental in many meza and in particular in tab-buleh. Together with olive oil, tomato and fresh onions and spices they represent the base ingredients of many raw con-diments and one of the ingre-dients able to make Lebanese

salad to serve cold composed of gobo and carrots that have previously been stewed with soy sauce and mirin (a sort of sweet sakè) and, once on the table, lightly with spice power or celery. It’s a crisp and fra-grant salad which in restau-rants or in bars is served in little bowls as an appetizer together with beer or an aperitif and is a typical New Year’s dish.

Gobo is the equivalent of scorzonera, or black salsify, a plant cultivated in Europe and belonging to the same Astera-cee family: in Italy it can be found especially in the north and in the past, often during wars or famines, this root was toasted or ground to be used like coffee, while its leaves were smoked instead of tobac-co. In France it is prepared like asparagus, in other countries it substitutes potatoes and is used to cook soups, pies and cutlets. n

Evaporated milk Condensed, but without sugarPaGe 14

Evaporated milk is, sim-ply, condensed milk, but

without the sugar added. The preparation is the same, but with a single difference: evaporated milk is first ho-mogenized in a process that in practice breaks apart the fat to ease its digestion), then it is evaporated by heating it to a moderate temperature to avoid the caramelisation of sugars, and then sterilized. Through this process, there is a partial removal of water (up to 60%) from which results a reduction in the initial volume with an increase in shelf life and a certain ease of use.

As is the case for condensed milk – but also for powdered

cuisine pleasingly aromatic.

LabnehRich and dense cheese cream, it represents one of the most well-known and widespread dairy products in Lebanon. Similar to yogurt, it is gener-ally seasoned with olive oil. Usually shaped into little balls, it accompanies salads with cu-cumber.

Chickpeas A legume that is also wide-spread in Mediterranean Eu-rope, it is present in many sauces based on tahina like hummus. Sometimes chickpeas are also used in the preparation of fritters, like the famous falafel. n

PaGe 08history Two tormented centuries

Lebanon has had an extre-mely tormented history,

torn by internal strife and fe-rocious and bloody wars with Israel. Already in 1860 French intervention was necessary to pacify animosity between the Maronites and druze, two re-ligious groups in conflict. The first constitution came in 1920, following World War I and the fall of the Ottoman Empire. In those years Lebanon was called the State of greater Lebanon and was under French control, while in 1925 it took on the name of Lebanese republic. Le-banon obtained independence in 1943, even though the last French soldier left the country only in 1946. At the end of 1947 Lebanon also said “no” to U.N. resolution 181, which divided the Palestinian territory into a Jewish state (Israel) and an Arab one and, in the burning Middle Eastern issue has always taken

ENGlISh TEXT Ae thnicENGlIShs

34 35

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in boiling water lets off per-fumed essences that have a re-laxing effect. In addition yuzu is a citrus fruit that has double the vitamin C contents of an orange: making fresh-squeezed juice, however, can be quite complicated seeing that the fruit contains little juice and large seeds. Yuzu, however, has good medicinal qualities, it’s rich in anti-oxidants and is a great remedy for colds, flus and for healing chapped skin. In short, it is a universal citrus fruit. n

store - The interview A super ethnic... Veneto region PaGe 22

To satisfy the desire for ethnic food, it’s not al-

ways necessary to go to a spe-cialized store. Indeed, by now even the small chains of larger-scale retailers have diversified their offering, making avail-able a good variety of these products. On the other hand, immigrants don’t want to do without these typical tastes of their tradition and an increas-ing number of Italians who re-turn from a trip want to savour the foods enjoyed on the other side of the world, as Francesca baggio, the chief executive of Gb Ramonda, a small chain of supermarkets in the vicenza area explains.

When was your company born and how did it develop over time?«The company was born in June 1971 in Alte di Montec-chio Maggiore from a small 50 square-metre food store and then was enlarged in 1985 with the acquisition of a 400 square-metre supermarket in brendola. In recent years other

milk – evaporated milk is used frequently in those countries in which there’s a shortage of fresh milk, for example as a result of wars or natural disas-ters, as an emergency food and already in 1880, it was widely found in the backpacks of min-ers on the African continent who found themselves far away from home for weeks. It is normally used in cooking to make or to garnish sweets (like churros in Latin countries), to add to tea and coffee, to make cream and ice cream, and mixed with water to obtain a liquid milk. Compared to con-densed milk, which is decidedly syrupy, evaporated milk has a more fluid consistency.

Condensed milk is also used a lot to make desserts and thanks to its excellent nutritive properties, is one of the most consumed foods by Muslims after sunset during the Rama-dan fasting period. In Ireland and Jamaica, but also in some African countries like Nigeria, Ghana and Cameroon, people like to quench their thirst with Guinness punch, a cocktail of Guinness beer, spices and con-densed milk with the addition of cocoa that is used to con-trast the slightly bitter taste of the beer. In India, lastly, there’s kulfi, the local ice cream with-out eggs with a base of con-densed milk and cream. n

soyFrom China to the Andes PaGe 16

Peruvian cuisine is always a new discovery: the au-

thoritative british weekly The Economist elected it among the twelve most refined in the world. but its peculiarity is another: it’s known and ap-preciated for its complexity,

stores have been added: in Alte Ceccato, Trissino, Sovizzo and Rosà. The last one was opened in 2006 in the city, in vicenza».

When do you start to offer ethnic products and for what reason? And were they well received by your clients?«We’ve made them available in our stores almost from the beginning. At first to satisfy re-quests from a portion of our clients, who after a trip were asking us to introduce the products they tasted abroad so they could cook them for their friends, but also to offer something differ than the usu-al products. Obviously, then, a part of our clients are foreign-ers and they were asking us for products typical of their countries. Recently we have decided to increase our ethnic offering and our clients, both Italians and foreigners, are very happy about this decision».

Roughly how many ethnic food products are offered in your stores? And which stores are the best stocked?«We have an assortment of about 250 products to choose from, covering appetizers to desserts. The best stocked stores are those in Alte Cec-cato and Trissini, but we also plan to complete the product assortment in other struc-tures».

Who are the biggest purchas-ers of ethnic products? «Everyone buys, even my chil-dren: they like to try new prod-ucts and taste flavours differ-ent from the usual ones».

How much and how has the of-fering of ethnic food changed in recent years?

contaminated by styles and influences from extremely different culinary cultures like pre-Columbian, Spanish, African, Italian, Japanese and, especially, Cantonese.

Indeed, beginning in 1850, numerous Chinese immigrants came to Peru to take the place of black slaves that were be-ing freed. Once they landed, they signed long contracts to serve local entrepreneurs. Those who succeeded in es-caping from these conditions of semi-slavery fled towards the big cities and opened lit-tle restaurants called chifas (a name that is said to come from the Mandarin chi fan, or “to eat”): not by chance, then, the cuisine born form the meeting of the Chinese tradition with the Peruvian one is called chifa.

One of the dishes that per-fectly represents this union be-tween China and Peru is arroz chaufa (fried rice, which not by chance in modern Mandarin is called chao fan) in its numer-ous versions in chicken, veal, pork or fish, rigorously mari-nated once it is well cooked, with soy sauce, an ingredient of Chinese origin present in many dishes of chifa cuisine For example, pollo a la brasa, roasted marinated chicken with the addition of a spoon-ful of sauce.

but the traditional dish of the capital that has spread throughout Peru is lomo sal-tado, prepared for the first time about a hundred years ago in one of these restau-rants opened by immigrants of Cantonese origin: it is pre-pared with tenderloin cubes marinated in soy sauce and pepper, with the aroma of pisco (a wine must distillate similar to brandy) with crisp

«In the last few years the way of cooking has changed, thanks also to television programmes like La prova del cuoco (the cook’s test) or Masterchef, in which chefs are always propos-ing something new to whet the curiosity and the palate of the public. The client doesn’t lose any time; she comes to us and asks for all the ingredients to prepare the recipes. We see, however, a new desire to ex-periment with dishes that are not part of our tradition». n

selli international Food storeWhere to find what’s impossible to find PaGe 24

it’s the Rome store in which “exotic” desires can be satis-

fied. Even the most particular ones. Indeed, at Selli Interna-tional Food Store you can find food products, spices, cereals and legumes from every part of the world, crammed almost to the ceiling on the spacious shelves that the siblings bianca Maria and Mimmo Selli each day patiently fill to satisfy the requests of their clients in the Esquilino neighbourhood. Precisely the store in via dello Statuto, two steps away from the multi-ethnic Piazza vitto-rio where, at the beginning of the ‘60s, from a stand in the open market run by mamma Annunziata and papa Angelo, the concept was born which today has become a reference point in the capital for ethnic food lovers.

Mr. Selli, when did the transi-tion from market to store take place? «We opened here in 1994, but the origins of the store actually go back to the ‘60s when my parents “did the market” in the

onions, cherry tomatoes and shallots. It’s a dish that in Peru is enjoyed both by the rich and the poor and that can be found in the most important restaurants of Lima or on the tables of the houses of com-mon people. n

YuzuThe handy citrus fruit PaGe 20

it has the shape of a tange-rine, the colour of a lemon

– but it ranges from yellow to green depending on its stage of ripeness – and smells similar to grapefruit. but on the table you’ll never see it cut in slices because in the kitchen yuzu is used in (many) other ways. Its origins date back to the third century b.C. in Tibet and only afterwards was it introduced in Korea and especially in Ja-pan, where today it grows on little thorny trees – that have the same name as the fruit – on the island of Shikoku, in the northern Pacific Ocean. In this limited area alone some 10,000 tonnes of yuzu are produced each year, or half the total production of the Japanese market. The main character-istic of the plant is its resist-ance to cold (it even grows in temperatures as low as -10 °C) and to major variations in temperature between day and night that, however, bring out the taste of the fruit. The yuzu plant, known by the name of Citrus junos, also has an orna-mental function: it brightens up and decorates gardens and some varieties are cultivated solely for the flowers they produce.

Also discovered by great chefs Its natural environment, how-ever, remains the kitchen. In-

nearby square. At the end of the ‘70s the first immigrants ar-rived from the Philippines and Morocco, who chose the mar-ket stands in piazza vittorio to shop, perhaps because they were reminded of the open-air markets in their homeland. As is known, demand generates supply and my parents decided to focus on ethnic products, especially spices».

Yours is a strategic position. From what countries do your clients come?«I must say that over the years our clientele has changed a lot. Initially we had a lot of Indians from the Punjab who worked in this area. Now they have moved north and been replaced by Colombians, brazilians, Peruvians and also people from the Middle East, who represent a good share of our clients. but, in general, people from all nationalities come here seeing that in Rome there are all the consulates that employ numerous people from these countries».

How many employees do you have?«There’s myself and my sister bianca Maria plus two employ-ees, one Indian and one from Sri Lanka and, despite the crisis that has hit small businesses, things are going very well…».

…maybe because “at Selli’s you find what’s impossible to find”, as your clients write on reviews on internet. Nice praise for an ethnic store. How do you man-age to be so “stocked”?«Competition is keen and our efforts are concentrated on distinguishing ourselves thanks to an offering of a wider va-riety of goods at affordable

deed, you can extract a very delicate juice out of it or it’s possibly to directly use the rind to season a wide variety of dishes, from vegetables to sea-food dishes like sushi, shrimp salads or scallops. In Japanese cuisines it is used to give a spe-cial touch to sauces, such as in ponzu used as a condiment for sashimi, whose ingredients are mirin (a sweet sake), rich vinegar, flakes of katsuobushi (dried smoked salmon) and alga kombu with the final addition of yuzu juice.

It’s frequently also used in the preparation of desserts, cakes and gelatins, while in Korea they make a jam out of it. by now yuzu has spread out across the borders of Japan; its bitter but fruity taste is appre-ciated throughout the world and even great chiefs jealous-ly guard it in their cupboards. For example, the most famous pastry maker in France, Pierre Hermé, used it to enrich the taste of his specialities, starting with macaroons, the delicious coloured cookies that make such a pretty sight in his Paris “boutique” in Rue bonaparte. In addition, yuzu spices up tea, is an original ingredient in the most exclusive cocktails and, even, in the Netherlands and Finland flavours some craft beers.

Awash in yuzuAs you already will have un-derstood, it’s a citrus fruit of a thousand resources, from yuzu are extracted the essential oils used to make cleaning prod-ucts for the body, skin creams, perfumes and candles for the house. In Japan it is also used for pleasing warm baths the evening of the winter solstice: the peel of the fruit immersed

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earned in 2012 attests. The South American touch can be seen, therefore. And tasted.

Matias, what part of yourself have you put in the Milanese restaurant Al Pont de Ferr?«Initially I had promised myself to change things a little bit at a time. but it didn’t end up like that: my cooking is different, more modern: the change was therefore sudden and people didn’t react positively at first. but we resisted, I was given carte blanche and now our of-fering is a success».

What were the first new items placed in a traditional menu?«Above all, onion. Then blown sugar which I learned to pre-pare on my own with inspira-tion from a recipe from the Roca brothers, whom I met in a restaurant in Girona, in Cata-lonia, in which I also did an ap-prenticeship. I was the first to bring to Italy the Iberian pork pluma, a particular cut of pork (the front part of the loin, near the neck) that is called this way because it’s shaped like a feather. Now it is a classic of our restaurant».

You maintain that your crea-tions also have a playful aspect: in what sense?«Cooking is a reflection of your state of mind. It’s a philosophy of life: I’m not one who feels sorry for himself. As a result, I am also like that in the kitchen, where I enjoy myself and want clients to enjoy themselves».

Aesthetics and taste, in what percentage should you find them in a dish?«Taste comes above all. If a dish is beautiful and colourful but the taste is bad, that’s no

prices. My commitment and that of my staff in the research of products is constant and daily, even for the most par-ticular items».

While we’re on the subject, what is the thing that is “im-possible to find” that you can find at Selli?«People come from outside of Rome for our spices: for exam-ple, dill and fenugreek come to mind. We also have some cosmetics from India that are practically impossible to find elsewhere: some young Italian women, who are now are cli-ents, had them shipped in from London, ordering them on-line; now they purchase them in the neighbourhood, saving lots of money».

Italians, in fact, do shop in your store? And what do they most value?«Certainly, they are also our clients. Japanese cuisine is that which is most in demand at the moment and the corner dedi-cated to organic foods is much appreciated by Romans». n

Restaurant - shikiThe importance of being fusionPaGe 26

Via Solferino 35, practically facing the headquarters of

the Corriere della Sera news-paper. An area of Milan that is always alive, day and night. Here you find Shiki, which since this year has had a new management and offers an up-dated menu: no longer simply Japanese, but fusion cuisine, where the ingredients and typi-cal tastes of the Asian tradition meet and mix with those of the Mediterranean, in a pleas-ing and elegant environment,

good. Aesthetics comes into play when a dish has reached the maximum level of taste and, at that point, you can concentrate on how to best present it».

How much do you value ethnic cuisine?«I’m open to everything, in life as at the table. My his-tory shows this; I come from a multi-ethnic culture and, as a result, my cooking is without borders. I don’t believe in only local foods, this was the way things were done a hundred years ago. I don’t close the door to that which arrives from the other part of the world, as long is it is of excellent quality».

In Uruguay you had experienc-es in radio and Tv: what do you remember of that?«I was 20 years old, people in the street recognized me, but I didn’t like this. I was losing my perspective, I didn’t want to be a celebrity and I was young with still a lot to learn. It was one of the motivations for leaving my country and coming here. I had created an image that wasn’t authen-tic, it wasn’t what I wanted. I wanted to be a chef, to cook, to shape an idea …». n

PaGe 29The globetrotter chefHe was born 33 years ago in Argentina in buenos Aires. but he’s Uruguayan from the capital of Montevideo where he instead arrived at the age of six. Matias Perdomo, the lead chef of the Milanese osteria (it’s also specified on the of-ficial web site) Al pont de ferr – rewarded with a Michelin star in the 2012 guide – is a “globetrotter”. In addition to

with music in the background and comfortable couches to sit and enjoy lunch, happy hour, dinner or Sunday brunch in an even more relaxed manner. The strong point are the many small dishes: there are 45, all rigor-ously fusion (like tiramisu: two layers of whipped cream and cream, cookies soaked in cof-fee and sesame seeds instead of chocolate) that make up a menu that is varied, colourful and never the same, composed personally by the chef Alex who manages the restaurant and the kitchen. Self-taught, raised in a family of cooks and restaurant owners on the shores of Lake Maggiore, Alex likes to invent and experiment. Not only in the kitchen, but also in the choice of wines, to try, according him, is a fragrant rosé from Provence that goes well with his dishes.

The name of the restaurant, Shiki, is accompanied by the words “easy food”. Why?«because at Shiki we only pre-pare fast and simple recipes. Our philosophy doesn’t in-clude the concept of appetizer, first and second courses. So it’s an easy menu: modern, up with the times, fast and tasty. You can eat one or two dishes and then leave, or rather stop to taste seven or eight …».

A rather particular choice: where did the idea come from?«It’s comes from very close. From me. I’ll explain myself better: when I go out to din-ner, I like to taste practically everything. A little bit because I like to eat, a little bit for edu-cational reasons. And so I mod-elled my cuisine».

And what do clients think

Argentina and Uruguay, he’s also lived in brazil, Denmark and at the age of 21, in 2001, he moved to Italy where he still works in the historic restaurant on the Naviglio Grande canal. For six years he’s been the star of the kitchen that he “upset” by introducing new dishes and tastes. He started out young with a private class, already at 14 he aimed at becoming the lead chef at the first five star hotels in Montevideo. At twenty he managed three restaurants and participated in television and radio trans-missions. Then the call of our country, and further profes-sional growth until becoming one of the most creative chefs on the market. n

Japanese knivesinstruments of the trade PaGe 30

There’s no Japanese cook-ing without quality knives.

High-precision instruments, they’re the real allies for eve-ry recipe. «A dish ruined by a faulty cut can even change taste», notes Uniontrade con-sultant Yuki Konsho. «Cutting fish, in particular, is very dif-ficult: it requires professional knives and skill that is acquired over the years. In Japan they say it takes ten years to become a chef », he adds.

A characteristic of most knives is that there is a blade only on one side; indeed, the other is normally flat. An ex-ception is angled knives, for the preparation of vegetables a cut is made by exercising pres-sure. There are five blades that are used most: Santoku (“three merits”, in Italian), universal and suitable for cutting all ingre-dients and in particular meat. Nakiri and Usuba are instead

about it?«They like the formula. Obvi-ously not everything because there are always traditionalists who want their classic dish. but it’s a question of habits: I believe that people must be educated to eat in a different way. That’s what happened with the “old” clients of Shi-ki, who in the beginning had some difficulty adapting to such a radical change; there are those who did it and oth-ers who didn’t. but we also had a lot of new clients».

Shiki offers fusion cuisine: why?«I began my career with Ital-ian seafood cuisine; over time, however, I opened up to new tastes from around the world. I like to associate them, to mix them: so from this was born my passion for fusion. I tried to put together capers with ginger or basil with algae to understand what could be created. Some things didn’t work, but many others did».

What are the pilasters of your cooking?«As a basic seasoning we use an emulsion of soy and ex-tra-virgin olive oil: it’s tasty, delicate and brings down the calories. Then olives, basil and, with the summer, tomatoes as far as the Mediterranean part is concerned, while soy sauce is essential for the Asian part. And then many other ingredi-ents that are discovered each time».

What must the client who wants to eat at Shiki be at-tracted by?«From the curious and inter-esting combinations the menu proposes. by now Milan is a

used for cutting vegetables, but only the first is sharpened on both sides. Deba is instead a heavy knife, sharpened only on one side, used to cut fish bones and other bones and also to fillet small fish. Lastly, the Yanagiba, the traditional knife for sushi and sashimi. Thanks to its long and narrow blade it is suitable for making fine, long and extended cuts.

The material of which knives are made is steel, which ensures perfect cuts over time. However, durability also de-pends on maintenance: «In Japan chefs use two or three different types of sharpeners for every knife», notes Yuki. Made with local clay and silica-based stone, they are treated with water or oil just before sharpening. n

RecipesPaGe 31

Asparagus shiki rollIngredients for 4 people130 g rice for sushi seasoned with vinegar and sugar 4 leaves Nori algae 10 stalks of green asparagus1/2 avocado200 g bream 1 bunch of basil 20 Taggiasche olives 30 g pine nuts teriyaki sauce, extra-virgin ol-ive oil and soy sauce to taste

PreparationClean the bream, cutting the filet into thin slices.

For the basil cream: blend the basil leaves with a drop of extra-virgin olive oil and pine nuts with a pinch of salt.

For olive pesto: blend the olives.

Cut the asparagus stalks into thin slices and parboil

multi-ethnic city, inhabited by people who are open to the new, people who travel a lot and, once they’ve returned to their base want to be able to try certain tastes near their home. It’s an interesting and economic formula: each dish costs 7.50 euros».

What’s the most requested?«Certainly the TTA, or rather tuna tartar Alex. One of my specialties that I have offered for a long time, composed of a base of warm basmati rice with a puree of avocado and tuna».

And what best represents your restaurant?«The rolls, which represent the continuity with what Shiki was until a few months ago». n

Restaurant - interview with Matias PerdomoA “revolutionary” in the kitchen PaGe 28

he was born in Argentina, lived in brazil and main-

tains that his real homeland is Uruguay. Matias Perdomo, chef of the Milanese restaurant Al Pont de Ferr, symbolically rep-resents all of South America, a land that was the birthplace of many great revolutionaries. And he is in his own way as well, seeing that he took only a month to revolutionise the cuisine of a historic Milan res-taurant located on the canals. Indeed, six years ago, before he became the lead chef, here in the restaurant that is still man-aged by Maida Mercuri, you could mainly eat traditional Italian dishes of excellent qual-ity. Today instead the menu is more varied and colourful and the quality has remained excellent, as the Michelin star

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them for 5 minutes in lightly salted boiling water.

Place the Nori algae on a bamboo mat covered with cel-lophane. Cover the algae com-pletely with rice. Place pieces of thinly cut avocado and as-paragus in a way that the tips don’t protrude from the algae and helping yourself with the bamboo mat, roll up the maki. Cut the bream into thin slices and place them on top of the maki, making them stick and pressing down again with the mat to compact everything.

Divide the rolls obtained in eight parts and on each roll place a drop of basil cream and a drop of olive pesto.

Season everything with an emulsion of soy sauce and extra-virgin olive oil.

Serve accompanied with teriyaki sauce. n

hummusby suzy kmeidIngredients for 4 people300 gr dried chickpeas2 cloves garlicjuice of 2 lemonsextra-virgin olive oil as needed salt to taste2 tablespoons tahini cumin as needed 2 tablespoons of hot water To garnishred chili powder as needed chopped parsley as needed

Preparation Soak chickpeas for 24 hours, drain and rinse well. Cook in a pressure cooker with abun-dant water for 20 minutes or in a normal pan for two hours, or until they become tender. Drain. In a non-stick pan pour three tablespoons of olive oil, two doves of garlic and the powdered spices. Toast for a few minutes at medium heat.

Add the drained chickpeas and cook for another 2 or 3 min-utes. In the meantime, squeeze the lemon. Put the chickpeas in a blender, add the tahini and lemon juice, blend until you obtain a homogeneous and smooth cream. Add a bit of ex-tra-virgin olive oil or hot water to attain the desired consisten-cy, mixing with a spoon. Serve in a bowl after having covered the surface with chopped pars-ley or chili powder. n

News

health Ethnic food beneficial against tumours PaGe 32

Nutritionists are opening open to ethnic food. In

the food tables and guidelines of Airc, the Italian cancer re-search association founded by the oncologist Umberto ve-ronesi, alongside the always prized dishes of Mediterrane-an cuisines can now be found Chinese, Japanese, African and Indian dishes. Today, for exam-ple, one of the rules suggested by Airc is that of reducing salt, perhaps by compensating it with spices dear to the cuisine of the Maghreb region or the Middle East. Indeed, the fight against tumours is fought also with exotic foods. For exam-ple, Japanese-style fish, raw and marinated in soy sauce, rice noodles and spicy meats from India are all much ap-preciated by Airc researchers. The same is true for another ingredient known for its ben-eficial properties: turmeric. A spice similar to saffron, it is rich in curcumin, which is useful in fighting diseases tied to the ageing of the brain. «On the island of Okinawa, where it is

consumed daily – explains ve-ronesi – there’s a presence of centenarians that exceeds that of other countries in the world by 10%». n

Trends Ethnic food pleases, as long as flavours are “decisive”PaGe 32

Ethnic gives way to global, the evolution of fusion.

In other words, the world’s citizens in the second decade of the twenty-first century in-creasingly like hybrid dishes, the fruit of contamination. As long as the tastes are strong and especially new. So says the Institute of food technology in Chicago, a non-profit scien-tific organization with 18,000 members in more than 100 countries. Indeed, research just published by the organization illustrates the new trends in the food sector. The first data: the cuisine that is favoured to-day is made of strong flavours, from spicy to smoked, from salty to marinated without forgetting a taste for bitter. According to the Ift, the choice of foods in this category has al-most doubled in the last three years. Some other interesting data involves the hobby of cooking: during this first part of 2013 seven out of ten peo-ple cooked at home more than they did in the year earlier. The increasing availability of origi-nal ingredients, often ethnic, has placed a decisive role in this trend. n

Trade fairsEthnic food on exhibit PaGe 32

Local and global. The dy-namics of the globalized

world are mirrored in ethnic food and in some events in

which it plays a protagonist role. Last March at the Spazio Carroponte in Sesto San Gio-vanni (Milan) held its first glob-al food festival. Far da mangi-are (Make something to eat), this is the name of the event, which from March 8 to 10 pre-sented sensorial workshops, stands and markets, tastings, exhibits, brunches, theme din-ners and recipes from around the world. An initiative in fa-vour of integration between local and international. but there’s not only that; by now ethnic food also merits global fairs: indeed, the International Food Expo, a global exhibition in which the world’s foods demonstrate their enormous market potential, will be held at the end of June in New Jer-sey (USA). «The dividing line between western and ethnic food is blurring», bharat Joshi, who is coordinating the organi-sation of the exhibit, explained to the press. Among countries featuring this year are China, Japan, Korea, the Philippines, Singapore, Thailand, Sri Lanka, bangladesh, Pakistan and India but also numerous African and Latin American countries. n

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