forse ha un DSA A5 -...
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G E N I T O R I E D S A . W O R D P R E S S . C O M
M A U R I Z I A G U D E R Z O
FORSE HA UNDSA
come lo dico amamma e papà?
una guida per gliinsegnanti
Ebook a cura di Maurizia Guderzo,medico specialista in neuropsichiatria infantilee autrice con Giacomo Stella del libroDisturbi del linguaggio parlato e scritto - Criteri diagnostici
I edizione gennaio 2017
Indice dei contenuti
INTRODUZIONE 4
LE EMOZIONI DEI GENITORI 6
LE EMOZIONI DEGLI INSEGNANTI 9
GLI INTRECCI EMOTIVI 12
SCAMBIO E CONFRONTO PACIFICI SONOPOSSIBILI? 15
CONSIGLI PRATICI 17
TRE ERRORI DA EVITARE 23CONCLUSIONI 25
RISORSE UTILI 26
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INTRODUZIONE
Che cosa provano i genitori quando si sentono dire che il
loro bambino ha qualcosa che non va? Che potrebbe
avere una difficoltà dal nome misterioso: DSA, o magari
quasi impronunciabile: discalculia?
Se siamo genitori anche noi, lo sappiamo benissimo: il
dolore è la prima emozione che affiora, ma, in rapida
successione, ne seguono molte altre, fra cui il dubbio di
aver sbagliato qualcosa, l'ansia per il futuro del bambino,
il desiderio di negare il problema, la rabbia verso il latore
del messaggio.
Per gli insegnanti non è facile affrontare l'ingrato
compito di comunicare qualcosa che susciterà un simile
magma emotivo. Dal quale a volte si può essere tentati di
distanziarsi. Magari congelandosi in un atteggiamento
“professionale”, oppure rimandando la comunicazione.
Esiste però un terzo modo: comunicare la cattiva notizia
in modo partecipe e umanamente caldo, senza perdere
di vista le proprie emozioni da un lato e le proprie
competenze e conoscenze dall'altro, per poterle mettere
a disposizione dei genitori.
Da dove partire? Sicuramente dalla riflessione sulle
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emozioni coinvolte: quelle dei genitori e quelle degli
insegnanti. E dalla consapevolezza di come possano
intrecciarsi, rischiando a volte di sfuggire di mano.
Per poi valutare quali possano essere i metodi migliori
per comunicare con i genitori su questo argomento (ma
anche su molti altri altrettanto “scomodi”).
I colloqui con i genitori possono essere un aspetto
spiacevole per i docenti, ma adeguatamente affrontati
possono diventare anche un momento gratificante di
elevata professionalità.
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LE EMOZIONI DEI GENITORI
I colloqui con gli insegnanti sono un piacere per i
genitori quando hanno un figlio “bravo”. Sentir parlare
bene del suo impegno, delle sue capacità e in generale
del piacere di averlo in classe fa sentire capaci e
competenti: abbiamo saputo mettere al mondo e educare un
perfetto esemplare umano.
Che succede, invece, se il genitore si sente dire che il
proprio figlio ha qualche problema a scuola? Che non
impara come gli altri oppure si comporta male?
Il dolore è la prima emozione.
Innanzitutto, perchè i figli sono oggetto d'amore:
immaginarli a scuola, a disagio perchè non riescono a
fare quello che si chiede loro, fa male. Tanto male quanto
se quel disagio lo si vivesse in prima persona. Spesso
molto di più.
Ma esiste anche una causa più sottile di dolore. I figli
sono oggi più che mai vissuti dai genitori come una parte
di sé, depositari di sogni, ambizioni e desideri per il
futuro. Quando i sogni si infrangono contro una
difficoltà imprevista, il dolore scaturisce dalla delusione,
da ciò che non potrà più essere, una sorta di lutto per un
futuro che non si verificherà.
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Al dolore spesso si affianca subito una sensazione di
inadeguatezza (non siamo stati bravi genitori? dove abbiamo
sbagliato?) e spesso di colpa (se solo ci fossimo accorti che... se
solo avessimo fatto... se solo …).
Cui si aggiunge l'ansia per il “problema”, tanto maggiore
quanto meno se ne sa: mi state dicendo che è poco
intelligente? Che non imparerà mai a leggere/scrivere/fare
calcoli? Che non potrà andare avanti a studiare?
Al dolore, all'ansia, alle sensazioni di inadeguatezza e di
colpa, può poi subentrare la rabbia, una forma di difesa
da queste emozioni “difficili”.
Il passo dal dolore alla rabbia può essere più o meno
breve, a seconda della personale soglia di tolleranza e
capacità di gestione delle emozioni. Questa a sua volta
dipende dalla storia di ciascuno di noi, genitori o
insegnanti che siamo.
La rabbia è in genere rivolta contro gli insegnanti: non
sanno insegnare ..., non hanno capito mio figlio...
Talvolta la rabbia si rivolge contro il bambino: è
svogliato... non ha voglia di studiare... lo metterò sotto a
studiare e il problema si risolverà...
Infine, nella mente del genitore si fa strada la negazione:
macchè DSA, adesso vi siete inventati questa storia della
dislessia, mio figlio non ha niente che non va, ha ancora solo
voglia di giocare... Può succedere già nel corso del
colloquio, oppure più tardi a casa, dopo aver avuto il
tempo per digerire la notizia sgradita. Talvolta viene
verbalizzata, talaltra resta inespressa.
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In realtà, molte delle emozioni descritte possono restare
inespresse, ciò non significa, però, che i genitori non le
provino. Quasi tutti, infatti, le verbalizzano quando ne
hanno la possibilità durante il colloquio con il
neuropsichiatra infantile o lo psicologo che apre la
valutazione per un sospetto DSA.
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LE EMOZIONI DEGLI INSEGNANTI
E gli insegnanti?
Le difficoltà dei bambini sono motivo di sofferenza
anche per loro.
Anche gli insegnanti, infatti, possono sentirsi
incompetenti (sarà davvero un DSA o avrò sbagliato
qualcosa io? come mai ho tanti DSA nella mia classe... forse il
problema è il mio metodo didattico?). Una sensazione che
oggi affiora facilmente, considerato il carico di attese nei
confronti dei docenti.
Si chiede loro di essere perfettamente aggiornati sugli
ultimi ritrovati della pedagogia, capaci di appassionare i
bambini all'apprendimento, competenti sulle normative
vigenti, disponibili al lavoro in équipe, emotivamente
sempre equilibrati, e molto altro.
Talvolta, gli insegnanti possono sentirsi in colpa per
presunti errori (forse avrei dovuto usare un metodo diverso...).
Spesso sono addolorati nel comunicare cattive notizie
(come faccio a dirlo senza provocare troppo dolore?) e non di
rado anche spaventati (e se si arrabbia?).
Non dimentichiamo, infatti, che oggi gli insegnanti non
godono più di quella protezione che un tempo garantiva
loro il ruolo professionale. Quarant’anni fa raramente
dovevano gestire l’ira dei genitori, perchè godevano di un
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prestigio e di una sorta di aura che li tutelava. Oggi
questa protezione è pressochè scomparsa e gestire le ire
dei genitori può essere particolarmente difficile.
Dolore, sentimenti di inadeguatezza e di colpa, ansia nel
dare una cattiva notizia possono essere difficili da
tollerare anche per gli insegnanti. Soprattutto, se si
intrecciano con le manifestazioni rabbiose dei genitori.
Allora può succedere che inconsciamente l'insegnante si
liberi delle emozioni sgradevoli e attribuisca ogni
responsabilità al genitore: è lui che non ha saputo crescere
bene suo figlio, non sono io che non so insegnare... se ha messo al
mondo un figlio dislessico io che ci posso fare?
Alcuni insegnanti accompagnano a questo un vero e
proprio congelamento emotivo: prendono le distanze
dalle emozioni dei genitori, si trincerano dietro un
atteggiamento freddo e impersonale, danno la notizia in
modo brusco e frettoloso
Altri insegnanti rimandano all'infinito il momento della
comunicazione con i genitori, ritardando però così la
diagnosi del bambino e la possibilità di aiutarlo.
Inutile dire che in questo modo si creano le premesse per
il proprio burn-out.
Gestire le emozioni nel modo visto sopra, infatti, non
aiuta a vivere in modo soddisfacente il proprio lavoro.
Può conseguirne il ritrovarsi esauriti, privi di interesse e
di energia per il lavoro, insofferenti e frustrati, spesso
anche in aree diverse della propria vita (burn-out, cioè
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bruciati).
Difficilmente, poi, si riesce a costruire un clima di
alleanza con i genitori. E, soprattutto, si perdono di vista
il bambino e i suoi bisogni.
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GLI INTRECCI EMOTIVI
Il cocktail emotivo dei colloqui può diventare esplosivo
quando la rabbia domina la scena.
I genitori, che un tempo ingoiavano bocconi amari senza
reagire e si arrangiavano a gestire le difficoltà dei figli,
oggi facilmente agiscono almeno a parole la propria
sofferenza. Spesso rivolta contro gli insegnanti.
Purtroppo, altrettanto spesso rivolta contro il proprio
figlio, “colpevole” di farli soffrire con le loro difficoltà.
Peraltro lui pure addolorato e spaventato dalle emozioni
di mamma e papà.
Se gli insegnanti agiscono anch'essi la propria sofferenza
passando al contrattacco, si arriva ad un reciproco
scambio di accuse che porta inevitabilmente a trascurare
il bambino, le sue difficoltà e, soprattutto, la sua
sofferenza.
Non dimentichiamo, infatti, che il bambino è in forte
sintonia con le emozioni degli adulti, anche quando
sembra disinteressarsene. E sentire di deludere i genitori
(ma anche la maestra) lo fa soffrire acutamente.
I genitori possono così attribuire la "colpa" delle difficoltà
del proprio figlio alle scarse competenze professionali
dell'insegnante, al quale oggi si chiede (se non addirittura
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pretende) non solo di saper insegnare ed essere sempre
aggiornati sulle metodologie didattiche più efficaci, in
particolare sui DSA, ma anche di essere fini psicologi,
verso i bambini così come verso i loro genitori.
Gli insegnanti possono, dal canto loro, imputare le
responsabilità delle difficoltà del proprio alunno alle
scarse competenze educative dei genitori:
il bambino è stato poco stimolato (dunque è in
ritardo con gli apprendimenti, forse perchè ha un
DSA, sicuramente perchè non è stato cresciuto in
modo adeguato),
troppo stimolato (dunque fa fatica a stare attento, il
che si somma al DSA nel rendergli difficile
l'apprendimento),
poco educato alla convivenza civile (dunque non sa
stare fermo nel banco e magari è aggressivo verso
compagni e maestre; quindi non solo ha forse un
DSA ma è pure maleducato),
troppo inibito (dunque non sa interagire con i
coetanei, non partecipa alla lezione, e che abbia o
no un DSA non può imparare).
Dimenticando che anche il ruolo dei genitori è oggi
sempre più difficile: mancando riferimenti certi per
crescere futuri adulti equilibrati, i genitori si trovano a
assemblare la propria esperienza di figli (più o meno
consapevolmente), i consigli ricevuti da parenti e amici,
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quelli letti sui vari media, distillando il tutto in scelte
pedagogiche talvolta discutibili, destinate ad intrecciarsi
in modo imprevedibile con le influenze sociali (coetanei,
altre figure educative come insegnanti, allenatori, ecc.).
Spesso con esiti poco positivi per i figli.
In questo modo ciascuno vede solo la propria fetta di
difficoltà e non la fatica dell'altro, pretendendo una
irraggiungibile perfezione.
Purtroppo, è quello che succede quando il clima emotivo
si scalda e la gestione delle emozioni si fa difficile.
Difficile però non vuol dire necessariamente impossibile.
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SCAMBIO E CONFRONTO PACIFICI SONO POSSIBILI?
È vero che esistono ed esisteranno sempre persone
“difficili”.
Può trattarsi di genitori o insegnanti.
Persone con una soglia di tolleranza alla sofferenza così
bassa da rendere difficile o addirittura impossibile
qualsiasi scambio pacifico e proficuo nell'interesse del
bambino.
Se insegnanti difficili e genitori difficili si incontrano, lo
scontro è inevitabile.
In tutti gli altri casi, possiamo pensare che la ricetta sia
semplice, ma allo stesso tempo difficile da realizzare. Ci
vogliono:
1. Empatia, la capacità di metterci nei panni altrui, o
ancora meglio nelle loro scarpe, che talvolta sono
strette e scomode. Va sicuramente al primo posto:
se sappiamo comprendere le emozioni e il punto di
vista altrui siamo già al 50% del percorso.
2. Impegno nel cogliere il lato positivo delle
persone, anziché privilegiare una visione negativa.
Quando una persona si sente autenticamente
apprezzata (o sente autenticamente apprezzato il
proprio figlio) è più incline a dialogare in modo
sereno.
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3. Capacità di non perdere mai di vista il fine
ultimo degli incontri: il bambino. Le cui esigenze
dovrebbero sempre restare al centro dell'attenzione
dei suoi educatori. Genitori e insegnanti, in questo
caso.
La ricetta, come dicevo, è semplice; realizzarla un po'
meno. Nelle prossime pagine vedremo come provarci.
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CONSIGLI PRATICI
Ecco alcuni consigli per tradurre in pratica i concetti
teorici e comunicare ai genitori il sospetto di un DSA:
Preparare prima il colloquio.
Riflettere sulle caratteristiche positive del
bambino, sul suo contributo speciale alla vita
della classe.
Raccogliere le idee sulle sue difficoltà ,
possibilmente preparando quaderni o altro
materiale scolastico da mostrare ai genitori.
Reperire materiale per spiegare i DSA in
modo comprensibile per i genitori.
Ricordarsi che alcuni genitori potrebbero non
aver mai sentito parlare di dislessia o averne
idee distorte.
Quattro i concetti importanti da “passare”:
un DSA non è segno di scarsa
intelligenza,
né di pigrizia,
non è una malattia,
è un modo diverso di elaborare le
informazioni.
Fissare il colloquio in un momento tranquillo e
in uno spazio riservato.
Evitare il giorno dei colloqui con tutti i genitori: si
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sarebbe costretti a concluderlo in breve tempo per
lasciare il posto alle altre famiglie.
Per gli stessi motivi meglio non fissare il colloquio
nell'orario immediatamente antecedente l'orario di
inizio delle lezioni o quello subito successivo,
magari mentre il bambino viene mandato a giocare
con i compagni (e si chiede preoccupato che cosa
dirà la maestra a mamma e papà).
Si tratta di un colloquio delicato che sarà
certamente favorito da un contesto rilassante e non
stressante per tempi e luoghi.
Aprire il colloquio con una descrizione positiva
del bambino.
È il momento di riportare il contenuto delle
riflessioni sulle sue caratteristiche positive, le sue
qualità speciali e uniche, il suo contributo alla vita
scolastica.
Cercare di trasmettere il piacere che si prova ad
averlo in classe (naturalmente, solo se autentico).
Avviare il colloquio (qualunque colloquio) in questo
modo predispone un clima emotivo favorevole,
all'interno del quale si possono dare anche
comunicazioni difficili.
Spiegare le difficoltà del bambino per gradi.
Descrivere con calma le difficoltà del bambino
portando molti esempi pratici. Questo spesso porta
il genitore a ritrovarsi nella spiegazione: è vero, me
ne sono accorto anch'io, pensavo dipendesse da... mi ero
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preoccupato anch'io e volevo parlarne con lei...).
Avanzare il sospetto di un DSA, spiegando senza
fretta di che si tratta e che cosa comporta.
Non dare niente per scontato: non tutti i genitori
sanno che cosa significhi DSA o dislessia. O magari
lo sanno in modo superficiale.
Fare attenzione, in particolare, a quei genitori che
non fanno domande: sono quelli che temono di
sembrare ignoranti.
Purtroppo, però la la scarsa comprensione è madre
della rabbia: il genitore che non ha capito che cosa
sia il DSA è quello che arriva, poi, dallo specialista
imbufalito contro gli insegnanti. Perchè nella
confusione generata dalla poca comprensione ha
frainteso e gli è arrivato un messaggio distorto,
fonte di sofferenza: che il figlio sia
malato/handicappato/stupido.
Prestare attenzione alle reazioni dei genitori, a
ciò che dicono, ma anche a ciò che non esprimono
apertamente. Sintonizzarsi con le loro emozioni.
Mettersi nei loro panni, sforzandosi di immaginare
che cosa si proverebbe al loro posto. E modulare
conseguentemente la comunicazione:
i genitori sembrano addolorati o adirati?
Aiuta mostrare comprensione verso le
emozioni che provano, legittimandole: capisco
che la presenza di difficoltà in vostro figlio vi possa
addolorare e possa spingervi a pensare che
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dipendano da errori miei o delle mie colleghe, mi
sentirei anch'io così al vostro posto...vi assicuro
però che stiamo cercando di trovare come aiutare il
vostro bambino... se c'è qualcosa che vi lascia
insoddisfatti ditemelo... siamo tutti impegnati per il
bene di...
i genitori sembrano confusi? È bene
fermarsi e cercare di capire che cosa non sia
risultato chiaro.
i genitori esprimono sensi di colpa o di
inadeguatezza? Anche in questo caso occorre
fare spazio alle loro emozioni: capisco che
possiate avere il dubbio di aver sbagliato qualcosa,
anche a me potrebbe venire questo dubbio, però se si
conferma che si tratta di DSA, questi proprio non
dipendono da errori dei genitori...
Spiegare come si intende procedere per aiutare
il bambino e quale contributo potranno dare i
genitori.
In modo chiaro e comprensibile.
Concludere il colloquio con un messaggio di
speranza: affrontando le difficoltà di lettoscrittura
e/o calcolo per tempo e facendo particolare
attenzione al benessere emotivo del bambino, nulla
osta a che egli possa proseguire gli studi anche a
livello universitario e condurre una vita adulta
pienamente soddisfacente.
Se occorre richiedere una valutazione
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specialistica, fare attenzione all'impatto emotivo
dell'invio in una Unità di Neuropsichiatria
Infantile (o di struttura con nome analogo): certi
termini possono evocare fantasie angoscianti, che
sarà bene contenere immediatamente anche se il
genitore non le manifesta (vi sto mandando in una
struttura pubblica con un nome che potrebbe allarmarvi...
tenete conto però che si tratta di un servizio dove vedono
sia bambini con problemi gravi, sia molti bambini con
problemi lievi come quello di vostro figlio... è
semplicemente il servizio della ASL dove fanno queste
valutazioni, non significa che vostro figlio abbia una
malattia neurologica o psichiatrica...).
Rassicurare i genitori rispetto alla
confidenzialità della valutazione.
Molti genitori che incontro arrivano al colloquio
preoccupati che tra la UONPIA (Unità di
Neuropsichiatria Infantile e dell'Adolescenza) in cui
lavoro e le maestre ci sia un canale di
comunicazione diretto: e se decidono qualcosa su cui
non sono d'accordo?
Statisticamente, la decisione più temuta sembra
essere l'assegnazione dell'insegnante di sostegno o
di un educatore scolastico, figure in grado di
evocare timori di diversità ed emarginazione del
proprio figlio.
Naturalmente gli specialisti rassicurano i genitori
sulla riservatezza della valutazione, ma è certo
opportuno che gli insegnanti lo facciano a loro
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volta. Che tengano conto di questo timore
inespresso dei genitori, lo facciano affiorare,
manifestino limpidezza di intenti, rinforzando così
l'alleanza con loro.
Manifestare disponibilità a orientare e sostenere
il genitore rispetto al percorso diagnostico.
Fornire informazioni concrete: dove potrà
rivolgersi, con quale servizio la scuola ha già
collaborato con buoni risultati;
Rassicurare sulle modalità di svolgimento
della valutazione: che cosa succederà, che cosa
"faranno" al bambino (vedi Risorse utili per
maggiori informazioni):
Ricordare loro che l'impatto emotivo sul
bambino è minimo e spesso positivo se gli
spiegheranno in modo adeguato perchè si fa
la valutazione e come si svolgerà (vedi Risorse
utili per maggiori informazioni).
Offrire uno spazio di ascolto ai genitori sia nel
periodo immediatamente successivo alla diagnosi
di DSA sia in quello della successiva presa in carico
del problema DSA. Placando in particolare le ansie
legate alle scarse conoscenze sui DSA grazie alla
maggiore preparazione sull'argomento che
l'insegnante ha.
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TRE ERRORI DA EVITARE
Ci sono alcuni errori in cui può essere facile incorrere.
Evitabili, però, se li si conosce:
1. Comunicare tutto di colpo, procedendo alla via il
dente via il dolore. Comodo per chi dà un messaggio
sgradevole. Indigesto, allarmante e doloroso per chi
lo riceve.
2. Usare lo slang slang tecnico/scolastico: ci siamo caduti
tutti, me compresa.
Siamo talmente abituati a usare acronimi per far
prima, che rischiamo di comunicare i nostri
messaggi in modi che rasentano il ridicolo.
Senza cadere nell'assurdo di dire a un genitore che
suo figlio potrebbe avere un DSA, che andrà certificato
dalla UONPIA, perchè così rientrerà nei BES e si potrà
redigere il PDP per aiutarlo, occorre però fare
attenzione a non farsi sfuggire qualche sigla o
termine tecnico senza spiegarli.
3. Minimizzare il problema: anche questo è
comodo per chi dà il messaggio sgradevole, perchè
aiuta a sfuggire alla consapevolezza di aver inflitto
dolore. Ma non rassicura il nostro interlocutore,
anzi aggiunge sofferenza alla sofferenza.
Se ci rompiamo il braccio e qualcuno ci dice non è
niente, poteva andarti peggio... potevi romperti anche la
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gamba, non ci fa passare il dolore, ci fa solo sentire
incompresi. E questo fa male (e può scatenare
rabbia).
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CONCLUSIONI
Comunicare ai genitori un messaggio “difficile” richiede
attenzione e preparazione.
È complicato? Sì, un po'.
Vale la pena di dedicare tempo e passione a farlo?
Assolutamente sì!
Arrichisce professionalmente e umanamente. Aumenta
la sensazione di competenza nel proprio lavoro.
Contribuisce a costruire solide alleanze con i genitori,
rendendo molto migliore l'esperienza scolastica degli
alunni e gratificante il ruolo svolto dall'insegnante nel
crearla.
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RISORSE UTILI
Quali informazioni passare ai genitori sui DSA e a quale
livello di complessità? Può aiutarvi il mio ebook “Parlare
con i figli di DSA”.
Rivolto a mamme e papà, è una selezione dei concetti
essenziali sui DSA che i genitori dovrebbero fare propri,
per poterli poi trasmettere ai figli.
L'ebook è inviato gratuitamente a chiunque ne faccia
richiesta:
via email ([email protected])
o compilando il modulo di richiesta sul mio blog
(genitoriedsa.wordpress.com/modulo).
Sul blog sono presenti alcuni articoli di potenziale
interesse per gli insegnanti, fra i quali quelli utili per
conoscere e spiegare ai genitori il percorso di
valutazione e per aiutarli a spiegarlo a loro volta ai
figli. Ho cercato di essere scientificamente precisa e
dettagliata, ma di usare un linguaggio comprensibile e
privo di tecnicismi inutili. Spero di esserci riuscita.
Il percorso guidato agli argomenti del blog è reperibile
qui: genitoriedsa.wordpress.com/archivio.
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