Fano nella guerra A lato, Mussolini a Fano mentre sfila 14 ... · sbarco alleato in Algeria e...

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Fano nella guerra e dopo l’8 settembre 1943 Nuvole e cenere nel vento A Fano come del resto in Italia, si vive secondo i dettami del regime fascista che vogliono gli Italiani nazionalisti e marziali. Per questo i ragazzi vengono inquadrati in organizzazioni giovanili e educati ad una disciplina di tipo militare. A quattro anni un bambino diventa “figlio della lupa” e indossa la sua prima camicia nera, simbolo dell’appartenenza al fascismo. A otto è promosso a “balilla” e a quattordici “avanguardista”. Le femmine, dopo essere state “figlie della lupa”, sono inquadrate nelle “piccole italiane” e quindi nelle “giovani italiane”. L’aspetto fisico raccomandato agli uomini è di avere il volto sbarbato e un corpo asciutto e scattante, ottenuto con una vita attiva e sportiva. Anche alle donne si richiede un fisico prestante ma di essere soprattutto mogli e madri di numerosi figli restando a casa per dedicarsi a loro. Nelle circostanze ufficiali e nelle parate ci si saluta virilmente col saluto romano. Ogni sabato, il “sabato fascista”, si va a fare sport insieme, per mantenersi in forma, per dare sfoggio della propria abilità. I fanesi, obtorto collo, ci si sono quasi abituati. Già le “sanzioni” hanno comportato sacrifici sul livello della vita e ormai l’autarchia, ovvero il modello di autosufficienza economica adottato come risposta, viene accettato e sostenuto come dato virtuoso, ma il bello, ossia il brutto davvero, sta arrivando. Ormai il clima di guerra è nell’aria. Mussolini dichiara espressamente: “La parola d’ordine è questa: più cannoni, più navi, più aeroplani, a qualunque costo, anche se si dovesse fare tabula rasa di tutto quello che si chiama vita civile. Quando si è forti si è cari agli amici, si è temuti dai nemici”. Terribile. E intanto, siamo negli ultimi mesi del 1939 i prezzi crescono e si cominciano a razionare alcuni generi alimentari. Il ’40 si presenta con la neve e le gelate. Il 10 febbraio fa la sua comparsa la tessera annonaria, per ora limitata all’acquisto del caffè, un etto al mese, ma si ovvia con il surrogato autarchico. C’è bisogno di materiali ferrosi e quindi il governo ordina di procedere al taglio delle cancellate delle chiese e dei giardini pubblici. Il primo giugno viene imposto l’oscuramento della città e il 10, attraverso la radio, si ascolta lo stentoreo discorso di Mussolini dal Palazzo Venezia di Roma: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia”. E iniziano davvero i grossi guai. Il 20 giugno, a mezzogiorno, l’urlo della sirena annuncia alla città il primo A lato, Mussolini a Fano mentre sfila lungo il Corso, 5 settembre 1940. Sotto a sinistra, “La donna fascista” giornale delle organizzazioni femminili del partito fascista. Sotto, “figli e figlie della lupa” all’asilo Galizzi e una esercitazione all’uso del moschetto di “Balilla”. Pubblicità di un surrogato autarchico del caffè. 14 15

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Fano nella guerrae dopo l’8 settembre 1943Nuvole e cenere nel vento

A Fano come del resto in Italia, si

vive secondo i dettami del regime

fascista che vogliono gli Italiani nazionalisti e

marziali. Per questo i ragazzi vengono inquadrati in organizzazioni giovanili e educati ad una disciplina di tipo militare. A quattro anni un bambino diventa “figlio della lupa” e indossa la sua prima camicia nera, simbolo dell’appartenenza al fascismo. A otto è promosso a “balilla” e a quattordici “avanguardista”. Le femmine, dopo essere state “figlie della lupa”, sono inquadrate nelle “piccole italiane” e quindi nelle “giovani italiane”. L’aspetto fisico raccomandato agli uomini è di avere il volto sbarbato e un corpo asciutto e scattante, ottenuto con una vita attiva e sportiva. Anche alle donne si richiede un fisico prestante ma di essere soprattutto mogli e madri di numerosi figli restando a casa per dedicarsi a loro. Nelle circostanze ufficiali e nelle parate ci si

saluta virilmente col saluto romano. Ogni sabato, il “sabato fascista”, si va a fare sport insieme, per mantenersi in forma, per dare sfoggio della propria abilità. I fanesi, obtorto collo, ci si sono quasi abituati. Già le “sanzioni” hanno comportato sacrifici sul livello della vita e ormai l’autarchia, ovvero il modello di autosufficienza economica adottato come risposta, viene accettato e sostenuto come dato virtuoso, ma il bello, ossia il brutto davvero, sta arrivando. Ormai il clima di guerra è nell’aria. Mussolini dichiara espressamente: “La parola d’ordine è questa: più cannoni, più navi, più aeroplani, a qualunque costo, anche se si dovesse fare tabula rasa di tutto quello che si chiama vita civile. Quando si è forti si è cari agli amici, si è temuti dai nemici”. Terribile. E intanto, siamo negli ultimi mesi del 1939 i prezzi crescono e si cominciano a razionare alcuni generi alimentari. Il ’40 si presenta con la neve e le gelate. Il 10 febbraio fa la sua comparsa la tessera annonaria, per ora limitata all’acquisto del caffè, un etto al mese, ma si ovvia con il surrogato autarchico. C’è bisogno di materiali ferrosi e quindi il governo ordina di procedere al taglio delle cancellate delle chiese e dei giardini pubblici. Il primo giugno viene imposto l’oscuramento della città e il 10, attraverso la radio, si ascolta lo stentoreo discorso di Mussolini dal Palazzo Venezia di Roma: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia”. E iniziano davvero i grossi guai. Il 20 giugno, a mezzogiorno, l’urlo della sirena annuncia alla città il primo

• A lato, Mussolini a Fano mentre sfila lungo il Corso, 5 settembre 1940.Sotto a sinistra, “La donna fascista” giornale delle organizzazioni femminili del partito fascista.Sotto, “figli e figlie della lupa” all’asilo Galizzi e una esercitazione all’uso del moschetto di “Balilla”.Pubblicità di un surrogato autarchico del caffè.

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il già fin troppo ampio perimetro del conflitto, il Giappone attacca proditoriamente gli Stati Uniti. A Fano si è già stufi della guerra, ma il peggio deve ancora venire. Anche il 1942 si annuncia con la neve. Il malcontento cresce. Manca il vino, non si trova il formaggio, la carne, a caro prezzo, è ridotta ad una porzione di 40 grammi la settimana. Prende a diffondersi il mercato nero che perdurerà per tutto il periodo bellico. Ma arriva Beniamino Gigli al Teatro della Fortuna a cantare l’Andrea Chenier. Un successo degno della migliore tradizione.Il 28 agosto di nuovo Mussolini in città. Venuto per visitare la borgata di Metaurilia. A novembre ecco lo sbarco alleato in Algeria e Marocco. A dicembre torna ancora una volta in città il principe Umberto. Non c’è il lardo, niente carne bovina, quella da cortile e gli altri generi a prezzi costantemente più alti. E si entra nel 1943, nella soglia del precipizio. Dai fronti di guerra notizie sempre più sconfortanti. La Tripolitania è perduta, cala l’ottimismo forzato che infarcisce i bollettini di guerra. Il 13 maggio apprendiamo della resa delle nostre truppe in Tunisia. Nemmeno un metro quadrato ci rimane delle colonie nordafricane. Il 19 maggio ritorna l’ululato della sirena durante la notte. Si comincia a paventare l’approdo alleato sulle coste meridionali dell’Italia. Mussolini assicura che se il nemico ci prova resterà incollato sul “bagnasciuga”. Ma il 10 luglio gli angloamericani sbarcano in Sicilia e la occupano completamente in poco più di un mese.Il fatale epilogo si sta facendo sempre più vicino: Roma, 19 luglio, primo pesante bombardamento aereo: migliaia le vittime tra morti e feriti nel quartiere di San Lorenzo. Papa Pacelli accorre disperato. In serata, a Fano, tutta la popolazione ne è al corrente e discute atterrita dell’immane tragedia. Pochi giorni dopo, il 26, apprende dai ripetuti comunicati della radio che Mussolini si è dimesso e che il re Vittorio Emanuele III ha nominato al suo posto il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio. In realtà, il Duce, recatosi dal re per metterlo al corrente delle nuove circostanze, viene arrestato dopo che nella notte il Gran Consiglio del Fascismo, a maggioranza, gli aveva

negato la fiducia. Si tratta di un colpo di Stato originato dalla convinzione che al punto in cui era giunta la drammatica fase del paese, connessa ai disastri sui fronti militari, fosse necessario pervenire ad una pace separata con gli alleati.

Si arriva così al tragicomico 8 settembre. Badoglio legge alla radio: “Il Governo d’Italia riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al Generale Eisenhower Comandante in Capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta…”. Lì per lì giubilo, la guerra è finita, evviva, “la guerra è finita”, si esulta anche a Fano. Incredibile ma vero, appena due giorni dopo, spaventati dalla possibile reazione dei tedeschi stanziati sulla penisola, Re, famiglia, seguito, Badoglio, alcuni ministri e Capi di Stato, fuggono per mare sulla nave Baionetta alla volta di Brindisi. Così, in mano agli occupanti d’oltralpe, senza direttive e con un esercito allo sbando, ci rimangono gli italiani. Intanto Hitler ordina ai suoi reparti speciali di rintracciare e liberare Mussolini, cosa che avviene puntualmente, senza colpo ferire a Campo Imperatore, il 12 settembre.Anche a Fano è il caos. Nella pressoché totale confusione vengono saccheggiate le Caserme Paolini e Montevecchio sotto gli occhi dei tedeschi che, in un primo momento, si guardano bene dall’intervenire. La gente imbarbarita porta via di tutto, qualunque cosa possa servire.Mussolini è di nuovo al potere, sebbene solo formalmente, a capo della Repubblica Sociale Italiana il cui governo si stabilisce a Salò sul lago di Garda. Viene ricostituito il Partito Fascista con l’aggiunta dell’aggettivo “Repubblicano”. Così alla guerra vera si aggiunge quella civile. Anche a Fano i cosiddetti “puri” danno vita al fascio repubblicano, ma sono in molti a non aderire tra cui lo stesso podestà Tonucci che si dichiara fascista sì, ma di fede monarchica. Il 23 settembre si verifica il primo di numerosi fatti di sangue. Un milite tedesco di guardia

allarme aereo. E non sarà soltanto il primo di pochi.

Il 5 settembre il Duce è a Fano, a ispezionare il campo d’aviazione. Se

ne compiace, attraversa il centro storico e si dirige a Pesaro. Il 22

successivo arriva il principe Umberto di Savoia a visitare la Scuola Allievi Ufficiali di Fanteria. Cominciano i primi problemi dai fronti militari. In ottobre le truppe italiane attaccano, dall’Albania, la Grecia per “spezzarle le reni”, a dirla con lo slogan mussoliniano. Ma il contrattacco che ne

deriva mette in grave difficoltà la spedizione italiana che

rischia di essere ributtata a mare se non intervengono, a dar man

forte, robusti contingenti dell’esercito tedesco. In Africa gli inglesi mettono a dura prova le forze dell’Asse. Il 17 aprile e il 23 giugno ‘41 a Fano suona il secondo e il terzo allarme aereo. Fortunatamente per ora nessun danno. Intanto Hitler e Mussolini, per non badare a spese, dichiarano guerra anche all’Unione Sovietica.Si arriva all’autunno e la situazione si fa sempre più difficile nella vita civile dei fanesi. Va in vigore il 3 ottobre la tessera annonaria per l’acquisto del pane che da diritto ad una razione giornaliera di 200 grammi a persona. In Africa è già disfatta. L’Italia perde il suo dominio in Abissinia. Se non bastasse

• A lato, medaglia fascista inneggiante alla campagna di Grecia.Il grande tenore Beniamino Gigli a Fano per cantare al Teatro della Fortuna, 1942.Ancora una visita del Principe Umberto di Savoia alla scuola “Allievi Ufficiali di Fano” della Paolini. Alla sua destra, Alberto Tonucci , Podestà di Fano .

Sopra, un bombardiere alleato durante una missione sul territorio fanese e uno degli effetti distruttivi sulle scuole Commerciali di via Nolfi (ex ospedale Santa Croce)

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di Mussolini. In primavera gli alleati si accaniscono a bombardare i ponti sulla foce del Metauro e la zona della stazione ferroviaria causando, tra i civili, 5 morti e 7 feriti. Un segnale dalla Resistenza partigiana: bombe a mano vengono lanciate, all’imbrunire, nel cortile della Caserma Paolini. Restano feriti, più o meno gravemente, 11 soldati italiani. Quelli tedeschi si danno da fare per rendere impraticabile l’aeroporto fanese con le mine, riducendone in pratica il suolo simile a una vasta distesa lunare. Ormai, se ne ha consapevolezza, è cominciata una lenta agonia anche per i tedeschi che però non si rassegnano e spendono grande impegno a preparare la strenua difesa all’avanzata alleata sulla Linea Gotica che va da Pesaro a Massa Carrara, attraverso gli Appennini. Per allestirne gli avamposti a Fano e ovunque si ricorre al rastrellamento dei civili il cui gradimento per la forzata collaborazione, fatta di pala, piccone e gratuita fatica, è facile da immaginare. Insomma dei tedeschi davvero non se ne può più. Il sentimento d’inimicizia sconfina ormai nell’odio. Gli alleati intanto continuano a martellare dal cielo, senza tregua, i cosiddetti obiettivi militari ma anche ciò che gli sta attorno, e, a terra, risalgono la penisola liberando in maggio Pescara e, a giugno, Roma. Sull’Appennino si rafforza la lotta partigiana. E, per contro le misure di rappresaglia sempre più feroci adottate da parte dei nazifascisti.Il 27 di giugno, non essendoci più un’Amministrazione civile dato che il Commissario prefettizio di Fano Montesi se l’è data a gambe, il Comandante tedesco del presidio, Eberhard Fischer, ordina il totale sfollamento del centro storico, dalla zona mare ai viali fuori le mura.Il 29 viene dato l’ultimo allarme con la campane di San Paterniano e di Santa Maria Nuova. La sirena è fuori uso. Dal primo a questo sono stati 672 (G. Perugini, “Fano e la seconda guerra mondiale”p. 126). Data la situazione, lo stesso Comandante invita il precedente Podestà Tonucci a riassumere la carica, “per la tranquillità, la salute e l’ordine della città stessa”. Lui accetta ma appena insediatosi viene diffidato dal Comitato di Liberazione Nazionale di

alla caserma Montevecchio spara a dei ragazzi che non sembrano voler ubbidire al comando di allontanarsi. Due di essi, Renata Marconi, di 14 anni, e Temistocle Paolini, di 8, rimangono uccisi. A proposito di questa spietatezza teutonica nel sentirsi ligi al dovere per atavica e maniacale disciplina, fra le tante vittime del loro grilletto facile, va ricordata la figura del fanese Appio (di battesimo Ateo) Bertini, Comandante della regia nave ausiliaria “Maria Pia” con a bordo un equipaggio misto di marinai italiani e tedeschi. Il 6 novembre 1943 stava partendo dal porto di Pesaro essendo stato autorizzato a salpare dal Comando tedesco. Però il militare di guardia sulla banchina, magari non ben avvertito dai superiori, lasciò partire una raffica che non diede scampo proprio al Bertini che morì, si potrebbe amaramente dire, di “fuoco amico” a soli trentatrè anni. Adesso si ha piena consapevolezza che la guerra è davvero in casa e il valore della vita è diventato trascurabile. Gli allarmi aerei crescono di giorno in giorno. Viene affisso un manifesto con cui si invitano i fanesi a sfollare dal centro della città e dalla zona costiera e ritirarsi in campagna ad almeno cinque chilometri dal mare. I tedeschi, cresciuti di numero, in cerca di alloggio, requisiscono stanze in molte case, chiedendo talvolta anche il vitto. Intanto si è andato organizzando nella clandestinità il movimento di Resistenza partigiano e cominciano i primi arresti di quanti si suppone ne siano a capo o ne facciano parte. Nel periodo natalizio, mentre continuano insistenti gli allarmi aerei, prendono a circolare voci dello sfollamento totale della città.

Il 15 gennaio 1944 Fano subisce il primo disastroso bombardamento notturno. Sono centrate tre case tra le vie Arco d’Augusto, Rainerio e il Corso. Qui, nell’area dell’attuale palazzo Gabuccini, rimane uccisa Maria Righi vedova Torcoletti, da tutti conosciuta come “la Mariettona”. Va molto peggio il 23 a Urbania dove per le bombe sganciate sulla folla di fedeli all’uscita dalla Cattedrale si contano 250 morti. Procede, si fa intensa e cattiva, la ricerca dei giovani renitenti all’arruolamento nel nuovo esercito

Fano, che agisce in clandestinità, a dare qualsiasi tipo di collaborazione alla “belva nazista”. Il proclama è firmato dai Partiti, d’Azione, Democristiano, di Ricostruzione Liberale, Comunista e Socialista. La data, 4 luglio ‘44. Tonucci, sentendosi isolato e avendo subito un attentato, rimette l’incarico. I tedeschi occupano le case evacuate, rubacchiando qua là, e razziando animali da carne per nutrirsi. Fischer vuole assolutamente che si costituisca un’Autorità civile a Fano e preme sul Vescovo perché venga indicato qualche cittadino come Podestà. Sua Eccellenza, Vincenzo Del Signore, decide allora, anche al fine di evitare contrasti col C.L.N., di assumere egli stesso la Direzione della città: “Nell’ora grave, che la nostra Fano sta attraversando, con carità di Vescovo e affetto di Concittadino, assumo da oggi la Direzione della Città. Rivolgo alla Popolazione invito e preghiera, perché la serena fiducia di tutti renda facile l’opera che con l’aiuto di Dio intendo

• A lato, un incisione di Nino Andreoli raffigurante l’interno di un rifugio sotterraneo a Fano e un dipinto di Emilio Antonioni su quello che resta, dopo le bombe, dell’edificio insistente nell’area poi occupata dalla sede delle Maestre Pie Venerini.Sotto, gli squarci provocati dal bombardamento sul vecchio Palazzo Gabuccini.

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svolgere a comune vantaggio. Fano 21 luglio 1944”. In questo compito sarà coadiuvato dal Conte Borgogelli, che Fischer considera “il Borgomastro”, e dal Comm. Del Vecchio.Intanto si avvicina il Fronte alleato che già il 18 ha liberato Ancona. I tedeschi ormai puntano tutto sulla resistenza da opporgli sulla Linea Gotica e mettono in attuazione una serie di atti per distruggere le infrastrutture che potrebbero essere utili all’avanzata nemica. Saltano le centrali elettriche, l’acquedotto, la stazione e la linea ferroviaria, le pompe di benzina, gli incroci stradali, le strutture portuali, l’industria frigorifera e così via. Si rimane senz’acqua e corrente elettrica con estremo disagio della popolazione e soprattutto dell’Ospedale che malgrado tutto continua a funzionare.Non si fermano i rastrellamenti e le deportazioni.E siamo arrivati al 10 di agosto. Comincia un pesante e crescente cannoneggiamento incrociato tra le avanguardie dell’Ottava Armata, stanziata tra i fiumi Cesano e Metauro, e i tedeschi che ancora non mollano. Commenta Perugini: “Mattina e sera è tutta una Via Crucis di vecchi, donne e bambini, senza riposo, senza tregua, senza pace in mezzo a questi sgherri teutonici” (op.cit. p. 155). Il 20 agosto l’ultimo, atroce dispetto del Comando del presidio germanico. Fischer non si trova più a Fano ma il suo ordine è rimasto: atterrare i sette più importanti campanili di Fano. In due giorni ne restano solo le macerie assieme a tre cadaveri dei loro guastatori ariani periti nel crollo della torre campanaria di San Paterniano. Crudele e davvero insensato atto. Agli alleati non sarebbero serviti come punti di osservazione. Ormai i loro ricognitori avevano il quasi assoluto controllo del cielo fanese. Ma gli ordini sono ordini… anche se caparbiamente stupidi. A meno che, come qualcuno sostiene, non si sia trattato di una deliberata vendetta messa in atto dal Comando tedesco per far pagare al Vescovo la scarsa collaborazione prestata dai suoi sacerdoti oltreché da lui stesso, soprattutto nella mancata individuazione di quella personalità laica da mettere a capo dell’Amministrazione civile della città.

• A lato, rovine del complesso edilizio di S. Croce in via Nolfi, in seguito Maestre Pie Venerini, a fianco della Torre di Sant’Elena in via Nolfi. Sullo sfondo domina ancora il campanile di San Domenico poi abbattuto dai tedeschi nell’agosto 1944.Sotto, disegno di Giorgio Spinaci sulla

distruzione nazista del calvalcavia Cristoforo Colombo e una foto aerea del porto col naviglio peschereccio affondato e il ponte ferroviario fatto saltare prima dell’arrivo del fronte alleato.

2021