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FABLAFAN LA FANZINE APERIODICA CHE RACCOGLIE LE NOTIZIE DAL WEB SUI FAB LAB I FABLAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURA ITALIANA Per uscire da questa crisi, le imprese devono puntare sulle nuove tecnologie, sulla digitalizzazione, sulla connettitività dei comportamenti individuali e collettivi. 02/2014 N.1

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La Fanzine aperiodica che raccoglie le notizie dal web sui Fab Lab

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1FabLabFan

FABLAFANLA FANZINE APERIODICA CHE RACCOGLIE LE NOTIZIE DAL WEB SUI FAB LAB

I FABLAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURA ITALIANAPer uscire da questa crisi, le imprese devono puntare sulle nuove tecnologie, sulla

digitalizzazione, sulla connettitività dei comportamenti individuali e collettivi.

02/2014 N.1

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EDITORIALE” Vanno pensati modi nuovi e creativi per coinvolgere i giovani e incoraggiarli a creare, costruire e inventare. A essere creatori di cose e non solo consumatori di cose”. Barack Obama

“Il Fab Lab è un luogo dove si può creare praticamente qualsiasi cosa” è questa la definizione data da Neil Gershenfeld fondatore del primo Fab Lab presso il MIT, nel 2003.Oggi si contano più di 200 Fab labs nel mondo con un ritmo di crescita che li vede raddoppiare ogni 18 mesi.Negli Stati Uniti questo nuovo modo di concepire “la costruzione” si è sviluppato in ambienti universitari per poi diffondersi fino a spazi come musei e biblioteche trasformando questi luoghi votati al “vedere” in veri e propri luoghi del “fare”.In Italia dopo un inizio tardivo, infatti solo nel 2011 nasce a Torino il primo Fab lab, ad oggi si contano più di 20 Fab labs in tutta la penisola, un vero e proprio boom che indica come il 2014 sarà l’anno dei Fab Labs.Una prospettiva che permette di guardare con ottimismo il futuro prossimo, i Fab Labs infatti possono dare un contributo importante al rilancio di piccole e medie imprese, artigiani, professionisti, e aiutarli ad uscire da un periodo di crisi che li ha visti principali vittime della recessione economica. I labs sono inoltre indispensabili per proiettare nel futuro le nuove generazioni permettendo di metterle a contatto con i nuovi strumenti e le nuove possibilità della fabbricazione digitale, permettendo quel cambio di paradigma necessario nel modo di pensare oggetti e processi produttivi, coinvolgendo studenti dai primi anni della loro istruzione fino alla scuola superiore e unversità.Così come il presidente USA Obama (uno dei più convinti sostenitori dei Fab labs) che invita le nuove generazioni a pensare nuovi modi per creare, costruire e inventare; il Fab lab Sassari vuole utilizzare questa FabLabFan, una fanzine dei FAb labs che raccolga notizie e novità riguardanti i Fab Labs, allo scopo di informare e sensibilizzare chiunque sul fenomeno dell’autoproduzione con l’intento di avviare dinameche di sviluppo innovative riferite al nord Sardegna in maniera da dare a questo territorio nuovi impulsi di crescita imprenditoriale sfruttando le evoluzioni tecnologiche disponibili oggi in scala globale.

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4 FabLabMag

INDICE

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I FAB LAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURALa crescita tocca il nostro Paese in aree che hanno investito inpassato o che stanno investendo in inno-vazione

4 CONSIGLI PER APRIRE UN FAB LAB

Tutto ciò che bisogna sapere sui fab lab

HSL,L’AZIENDA SALVATA DALLA STAMPA 3D

Ta contesinc mercerfera noximanum dem perferi caequiu et forum auci suntur utus; et peris.

DOSSIER: FAB LAB >MANIFATTURA

Ecco come possiamo rendere i Fab Lab cuore della manifattura italiana

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5FabLabFan

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30FAB9JAPAN

Così nei Fab Lab si impara la personal fabrication

MAKERS E COPYRIGHT

26FAB LAB A SCUOLA PER IL CONTAGGIO DIGITALE

LA LEZIONE DEI FABBER AFRICANI

2014 ANNO DELLA SHARING ECONOMY

25

37 ITALIAN FABLAB AND MAKERS FOUNDATION

DIARIO DA SHANGHAI, DI STEFANO BANZI

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6 FabLabMag

4 CONSIGLI PER APRIRE UN FAB LABTutto ciò che bisogna sapere sui Fab Lab

Scritto: Massimo Menichinelli su www.chefuturo.it del 30 gennaio 2014

I FabLab sono nati quasi per caso

grazie al  Center for Bits and At-

oms  (CBA) presso il MIT (Massa-

chusetts Institute of Technology),

con un primo laboratorio a Bos-

ton, e poi con una costante cres-

cita non pianifcata.

Spesso sono nati per una richi-

esta locale, vista l’utilità di ques-

ti laboratori.  Si possono trovare

FabLab in ogni continente, non

solo negli Stati Uniti: da San

Paolo in Brasile a Lima in Perú

nell’America Latina, da Helsinki

in Finlandia a Siviglia in Spagna

in Europa, dal Ghana o Sud Africa

in Africa, dall’Afghanistan all’India

od Indonesia in Asia.

Sono passati più di 10 anni dal

primo FabLab, e 10 anni dalla

prima  conferenza mondiale dei

FabLab  (la prossima conferenza

annuale, si terra nel Luglio 2014

a Barcellona). La stessa organiz-

zazione della rete dei FabLab si

é sviluppata ed evoluta nel cor-

so degli anni, dato che i FabLab

sono nati quasi per caso. Non

c’é stato un progetto definito sin

dall’inizio, ma un progetto aperto

in costante sviluppo in equilibrio

tra il Center for Bits and Atoms

prima e la Fab Foundation poi,

e la comunità dei FabLab. Le pi-

attaforme online che sono state

sviluppate per la mappatura e la

facilitazione della rete dei FabLab

rappresentano differenti approc-

ci alla gestione e organizzazi-

one della rete dei FabLab: risulta

4 condizioni

1. il FabLab deve essere pubblicamente accessibile

2. il FabLab deve seguire e mostrare la FabCharter, il manifesto dei FabLab redatto dal prof. Neil Gershenfeld del CBA

3. il FabLab deve garantire la disponibilità di un insieme di strumenti e processi condiviso con gli altri FabLab

4. il FabLab deve essere attivo e partecipare alla rete di tutti i FabLab

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7FabLabFan

La FabFoundation ha quindi sviluppato recentemente un proprio nuovo sito e la piattaforma fablabs.io per la mappatura e la facilitazione dei FabLab

quindi interessante analizzarle

per capire non solo il passato e il

presente ma anche il futuro della

rete.

Dato che la rete dei FabLab é

nata con le attività del Center for

Bits and Atoms, fu naturale con-

seguenza che per i primi anni la

mappatura dei FabLab venisse

fatta dal CBA.

Con il tempo si é affiancata un’al-

tra lista, questa volta proveniente

dal basso, dalla comunità dei

FabLab e ospitata nel wiki del

Fab Lab Vestmannaeyjar presso

l’Innovation Center Iceland, in Is-

landa.

L’elenco è ancora attivo e pre-

senta 262 laboratori in tutto il

mondo. Essendo un  wiki, chiun-

que può aggiungere il proprio

lab, per cui il controllo della

qualità del FabLab viene lasciato

all’utente stesso (o ad altri utenti),

che deve certificare che il pro-

prio laboratorio segua un FabLab

conformity rating, un sistema di

analisi dei FabLab. Questo siste-

ma prevede una votazione su tre

livelli, partendo da C e arrivando

ad A, sul livello di  implementazi-

one delle 4 condizioni per potersi

definire un FabLab che sono:

1.il FabLab deve essere pubblica-

mente accessibile;

2.il FabLab deve seguire e

mostrare la FabCharter, il mani-

festo dei FabLab redatto dal prof.

Neil Gershenfeld del CBA;

3.il FabLab deve garantire la dis-

THE FAB LAB GLOBAL NETWORK

ponibilità di un insieme di stru-

menti e processi condiviso con

gli altri FabLab;

4.il FabLab deve essere attivo e

partecipare alla rete di tutti i

FabLab.

Sono quindi possibili tre valutazi-

oni per ogni criterio, A, B e C, che

specificano nel presente momen-

to lo stato di sviluppo del FabLab,

partendo da un CCCC fino ad arri-

vare ad un AAAA. Si tratta quindi

di un primo strumento condiviso

per definire cosa sia e cosa debba

fare un FabLab.

Nel frattempo in Italia, la comu-

nità dei makers e dei FabLab ital-

iani si é via via raccolta all’inter-

no del gruppo Fabber in Italia su

Facebook. All’interno del gruppo

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8 FabLabMag

La piattaforma é stata sviluppata all’interno del FabLab Barcelona (uno dei più rilevanti nella rete) da Tomas

Diez (direttore del FabLab) e dal programmatore John Rees in maniera

open source su GitHub, e rilasciata con licenza MIT

é nata una mappatura dei FabLab

(e, più generalmente, dei labo-

ratori di fabbricazione digitale

condivisi) con un documento ed-

itabile dai membri del gruppo. Al

momento conta 36 laboratori (ma

non tutti sono propriamente dei

FabLab). Per potersi meglio strut-

turare e comunicare, dal gruppo

é nata l’associazione  Make in It-

aly, che si presenta come luogo

di ricerca e coordinamento di

iniziative volte a favorire la nas-

cita di una cultura della personal

fabrication attraverso la condi-

visione di conoscenze e connes-

sioni.

All’interno del sito dell’associazi-

one é presente  una mappatura

dei laboratori italiani, sviluppata

a partire dall’elenco generato su

Fabber in Italia. La conversione

del documento in mappa non é

automatica, infatti al momento

la mappa segnala 24 laboratori

(sui 36 presenti sul documento

editabile su Facebook). Si tratta

di una mappatura dal basso (su

Facebook) che viene poi filtrata

dall’Associazione.

Nel frattempo, il CBA ha mostra-

to l’intenzione di dedicarsi solo

a ricerca eformazione, comuni-

cando che la gestione della rete

dei FabLab non debba essere

una sua funzione. Nata dall’MIT,

la rete dei FabLab si é affrancata

dall’MIT, anche se i fondatori qua-

li Neil Gershenfeld hanno ancora

un ruolo importante. Si é quindi

assistito allo spostamento del-

la gestione della rete dei FabLab

dal CBA verso due direzioni. Da

un lato, con la nascita nel 2011

della  International FabLab Asso-

ciation  (basata in Olanda), una

associazione internazionale della

rete dei FabLab che, senza molto

successo fino ad ora, sta tentan-

do di fornire un unico punto di

accesso e facilitazione alla rete

dei FabLab. Di fatto, l’associazi-

one non propone nessuna piatta-

forma diretta né per la mappatura

né per la facilitazione dei FabLab.

Dall’altro lato, con maggior suc-

cesso con la fondazione della

Fab Foundation  nel 2009 (basa-

ta negli Stati Uniti) che facilita la

creazione di FabLab e fornisce

loro servizi focalizzandosi su tre

direzioni: educazione (.edu), or-

ganizzazione e servizi (.org) e op-

portunità di business (.com).

La  FabFoundation  ha quin-

di sviluppato recentemente un

proprio nuovo sito e la piatta-

forma fablabs.io per la mappatu-

ra e la facilitazione dei FabLab. Si

tratta in questo caso di un mix dei

precedenti meccanismi: la seg-

nalazione dei laboratori avviene

dal basso direttamente sulla piat-

taforma, ma la presenza dei lab-

oratori viene confermata da altri

FabLab e dagli amministratori del

sito.

Si cerca quindi di sviluppare la

mappatura dal basso con anche

un feedback  dal basso da par-

te dei FabLab esistenti e con dei

curatori all’interno della piatta-

forma. La piattaforma é ancora in

fase di sviluppo, e presto fornirà

non solo strumenti per la comu-

nicazione di orari, eventi e mac-

chinari dei laboratori, ma anche

per la comunicazione tra i labora-

tori (che ora avviene solo tramite

videoconferenza). Al momento,

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9FabLabFan

fab lab iceland

Sono passati più di 10 anni dal primo FabLab, e 10 anni dalla prima conferenza mondiale dei FabLab (la prossima conferenza annuale, si terra nel Luglio 2014 a Barcellona)

Si é passati quindi da una gestione centralizzata della rete da parte del CBA ad una senza CBA in equilibrio tra FabFoundation globale e FabLab locali in reti, associazioni e fondazioni regionali e nazionali.

la 9° fab lab conference

all’interno della piattaforma sono

elencati 214 laboratori, di cui 11

italiani.

La piattaforma é stata sviluppata

all’interno del FabLab Barcelona

(uno dei piùrilevanti nella rete) da

Tomas Diez (direttore del FabLab)

e dal programmatore John Rees in

maniera open source su  GitHub,

e rilasciata con  licenza MIT, per

cui é possibile partecipare al suo

sviluppo, segnalare errori e prob-

lemi e suggerire nuove funzion-

alità. La piattaforma verrà dotata

di API REST (una prima versione

é disponibile all’indirizzo https://

api.fablabs.io), per cui sarà pos-

sibile costruire applicazioni e

visualizzazioni e analisi con i dati

presenti nella piattaforma, ren-

dendola ancora maggiormente

aperta verso futuri sviluppi.

Si é passati quindi da una ges-

tione centralizzata della rete da

parte del CBA  ad  una senza CBA

in equilibrio tra FabFoundation

globale e FabLab locali in reti, as-

sociazioni e fondazioni regionali

e nazionali. Non solo dal punto di

vista delle piattaforme, ma anche

dal punto di vista organizzativo: il

funzionamento delle piattaforme

riflette e indica la natura organ-

izzativa della rete. Come detto

precedentemente, questa é una

organizzazione emergente, per

cui la situazione potrebbe evol-

vere in differenti direzioni.

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10 FabLabMag

HSL, L’AZIENDA SALVATA DALLA STAMPA 3D

Scritto da Maurizio di Lucchiosu economyup.it del 11 febbraio 2014

Ascoltare la lezione della terza

rivoluzione industriale e metter-

la in pratica per battere la crisi.

È quello che ha fatto negli ultimi

anni la Hsl di Trento, centro tec-

nologico per lo sviluppo di nuo-

vi prodotti industriali. L’azienda,

che fa progettazione, prototipazi-

one, costruzione di stampi (di ma-

teriale plastico) e stampaggio, ha

seguito una doppia strategia nel

periodo più cupo della recessione: 

da una parte ha  accelerato sulla

digital fabrication e sulle tecnolo-

gie legate alle stampa 3d per mi-

gliorare i propri processi produt-

tivi, dall’altra ha dato vita a due

brand che si basano (quasi) esclu-

sivamente sul 3d printing: .bijou-

ets (gioielli e accessori) ed .exno-

vo (lampade e oggetti di arredo).

“In piena crisi abbiamo valu-

tato le idee di tutti e deciso di

concentrarci sulle cose in cui

eravamo più bravi, e in parti-

colare sulle cose più difficili, in

modo da avere meno concor-

renti”, racconta  Ignazio Pomini,

classe 1951, fondatore e titolare

della Hsl. “Così abbiamo propos-

to nuove soluzioni con tecnolo-

gie 3d nel mondo delle piccole

IMP

RE

SA

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11FabLabFan

produzioni e dell’automotive,

quello in cui siamo più attivi”.   

Spingere sull’innovazione attra-

verso gli strumenti tipici del-

la fabbricazione digitale  è una

scelta che finora ha prodotto

buoni risultati. Dopo una perdi-

ta nel 2009 e nel 2010 tra il 40 e

il 50% del fatturato, l’azienda ha

ripreso a crescere nel 2011 (+30%),

e ha chiuso il 2012 con un vol-

ume d’affari di 6,6 milioni di euro

(+45%). Nel 2013 c’è stata una pic-

cola flessione (esercizio chiuso a

5,8 milioni, -15%), che però non

preoccupa più di tanto. Tanto che

Hsl, dopo un periodo di sacrifici

anche in termini occupazionali,

l’anno scorso ha ripreso ad as-

sumere e ha in programma per il

2014 sei o sette assunzioni di per-

sonale di livello medio-alto.

Sperimentare nuove modalità

produttive è nel dna dell’impre-

sa trentina sin dalla sua nascita,

avvenuta 26 anni fa: Pomini è un

pioniere delle stampanti 3d nel

nostro Paese.  “Nel 1989 fummo i

primi ad avere una macchina del

genere in Italia e, se si fa eccezi-

one per alcuni centri di ricerca,

anche in Europa”, spiega il tito-

lare della Hsl.

Certo, ammette Pomini, appli-

care questi strumenti alla pro-

duzione di massa risulta ancora

complicato:  “Quando si parla di

milioni di pezzi, è impensabile

che queste  Uno dei prodotti .ex-

novotecnologie arrivino a sos-

tituire le macchine tradizionali.

Ma si tratta di un nuovo modello

creativo-progettuale-costrutti-

vo che, diffondendosi online at-

traverso dispositivi da scrivania

non utilizzabili a livello industri-

ale, permette a moltissimi utenti

di diventare a loro volta creativi,

produttori. È una cultura che già

nei prossimi due-tre anni por-

terà a tantissime soluzioni e idee

nuove, che abbiamo il dovere di

mantenere in Italia. E chi lo per-

cepisce in tempo, avrà chance in

più”.

Con questo approccio diventa

molto più semplice customizzare

i prodotti e sperimentare nuove

forme. La Hsl ha lanciato due pro-

getti-startup destinati al mercato

b2c. Il primo, inaugurato nel 2010,

è .exnovo, un marchio di lam-

pade, vasi e vassoi di design real-

izzati con 3d printer e rifinite con

tecniche artigianali tipiche del

made in Italy. L’azienda “figlia”,

anche grazie a quattro giovani

designer, vanta già acquiren-

ti importanti, prodotti esposti

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12 FabLabMag

Specializzata nello sviluppo di prodotti industriali, l’impresa ha battuto la crisi con una doppia strategia: tecnologie impostate sulla stampa 3d per migliorare i processi produttivi e creazione di nuovi brand basati sul 3d printing. I risultati? Un mix di manualità e tecnologia,

un fatturato di quasi 6 milioni e nuove assunzioni

in uno showroom a New York.

Ma il saper fare made in Italy e

l’approccio artigianale possono

essere tutelati anche se gli og-

getti vengono prodotti con stam-

panti 3d e altri strumenti di digi-

tal fabrication? “L’italianità viene

percepita comunque”, afferma

Pomini. “La capacità di raccon-

tare in modo adeguato i prodotti

e di contaminare la tecnologia di

matrice americana con soluzioni

artigianali e materiali tipici della

nostra tradizione – per esempio,

il vetro di murano - fa in modo

che gli oggetti diventino  prodotti

di eccellenza del made in Italy”.

L’altro progetto innovativo, ide-

ato da Ignazio Pomini e dalla

designer Selvaggia Armani, è .bi-

jouets, che dal 2012 realizza con

tecnologie digital manufatti come

collane, anelli, orecchini, brac-

ciali, e spille.

Il materiale principale è la polvere

di nylon accostata a metalli, legno

e tessuti. “In unico pezzo coesis-

tono più materiali”, dice la brand

manager Stefania Favaro (26 anni).

Come per .exnovo, il proces-

so produttivo non si ferma con

la produzione del pezzo at-

traverso le stampanti 3d ma

continua con la rifinitura e la

colorazione a mano. “Tecnolo-

gia e manualità devono andare

di pari passo”, sottolinea Favaro.

I vantaggi del 3d printing sono

tanti. “Con i metodi tradizionali,

alcune forme non si possono ot-

tenere, mentre con la stampa 3d

non ci sono vincoli: si può real-

izzare un prodotto in un pezzo

unico senza dover assemblare le

parti post produzione. In più, si

possono ottenere risparmi con-

sistenti perché non c’è bisogno

di stampi né di magazzini: solo

file. La produzione è just in time

ed è migliorabile in continuazi-

one”.Anche per .bijouets, nonos-

tante i pochi mesi di vita, i primi

riscontri da parte del mercato

sono positivi. Gli acquisti sulla

piattaforma e-commerce del sito

stanno crescendo, così come sui

marketplace come maketank. I

retailer, soprattutto di abbiglia-

mento, interessati a commerciare

le creazioni .bijouets aumentano.

Diversi musei chiedono di es-

porre gli oggetti più belli. Insom-

ma, in Italia il futuro artigiano sta

già diventando presente.

IMP

RE

SA

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13FabLabFan

fab lab sassariuno spazio di co-working per i

makers del nord sardegna

...is coming soon!

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14 FabLabMag

edilco.s sponsorizza il fab lab sassari: l’impresa di costruzioni proiettata verso il futuro.

edilco.s via principer di piemonte n.10

07100 sassari

SPAZIO PUBBLICITARIO

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15FabLabFan

La crescita tocca il nostro Paese in aree che hanno investito in passato o che stanno investendo in innovazione irrorando di digitale le proprie attività, produzioni, servizi e formando in tal senso il proprio capitale umano.

Scritto da Stefania Milo su chefuturo.it

del 10 febbraio 2014

I FAB LAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURA ITALIANA

L’apertura di nuovi spazi impren-

ditoriali   è l’economia digitale.

Dalle reti infrastrutturali di nuova

generazione al commercio elet-

tronico. Dall’elaborazione intelli-

gente di grandi masse di dati agli

applicativi basati sulla localizzazi-

one geografica. Dallo sviluppo di

strumenti digitali ai servizi in-

novativi di comunicazione”. Così

inizia il Rapporto sulla situazione

sociale del paese 2013 elaborato

dal Censis:  per uscire da questa

crisi, le imprese devono puntare

sulle nuove tecnologie, sulla dig-

italizzazione, sulla connettitività

dei comportamenti individuali

e collettivi.  Analizzando alcuni

dati emersi dal Rapporto Censis

ci si rende conto che il paese sta

mutando pelle, che gli strumenti

digitali hanno modificato il cap-

itale umano, l’interazione delle

persone e la loro stessa socialità.

In ambito di lavoro, sono riusciti

a cambiare tutti i processi organ-

izzativi ed il  26,1% dei lavoratori

italiani negli ultimi 3 anni è stato

interessato da un cambiamento

tecnologico, dato che cresce più

si sale nella piramide profession-

ale. Il lavoro dunque assume as-

petti differenti che si ripercuot-

ono pesantemente sull’economia

del paese che segue, o meglio

dovrebbe seguire, orizzonti dif-

ferenti: le professioni di tipo tec-

nico-scientifico, informatica, pro-

grammazione e comunicazione,

sono aumentate del 2,3%  mentre

purtroppo continua a calare il

numero di imprese artigiane, so-

prattutto gestite da giovani.

L’Italia è un paese a forte vocazi-

one manifatturiera con il 10% di

imprese sul totale che ottengono

una enorme spinta propulsiva

dall’export, con dati confortan-

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16 FabLabMag

ti per i prossimi anni.  Il Made in

Italy è il nostro vanto e l’export

di queste produzioni tocca quote

fondamentali del nostro PIL (cir-

ca il 30%) con oltre 390 miliar-

di di euro e picchi importanti nel

settore alimentare e nel sistema

moda. La fa da padrone il mac-

ro-settore meccanica-elettroni-

ca con oltre 190 miliardi di euro

di quota export ed in maglia rosa

sono le produzioni hi-tech e me-

dium hi-tech che hanno visto

dal 2009 al 2012 innalzare la loro

quota export di ben 33 punti per-

centuali. Ciò ha portato ad in-

teressanti isole di crescita, i dati

dimostrano infatti l’espansione in

alcuni comparti, fra tutti: knowl-

edge intensive e techology inten-

sive.

Anche per quanto riguarda il set-

tore dei servizi, le cui imprese

sono passate dal 73% al 76% del

totale, gli incrementi maggiori si

registrano in consulenza gestion-

ale ed informatica, in ricerca e

sviluppo, nelle telecomunicazioni

ed ovviamente nell’area di svilup-

po software.

Le imprese che stanno emergen-

do dalla palude della peggiore

crisi di sempre sono quelle che

operano nel settore turistico,

puntando sulla valorizzazione del

patrimonio storico-artistico at-

traverso innovazioni di processo

IMP

RE

SA

ed intercettando bisogni ove ef-

fettivamente presenti. Oltre a tale

tipologia sono coinvolte da flus-

si positivi anche quelle aziende

del manifatturiero con una forte

connotazione tecnologica e tutte

quelle attività che hanno sapu-

to interpretare i fabbisogni dei

mercati stranieri investendo sulla

propria digitalizzazione e su dif-

ferenti tipologie di comunicazi-

one interattiva. Produzioni itali-

ane di qualità ben comunicate.

La crescita delle imprese passa

però da un processo culturale

che miri ad elevare le compe-

tenze, ad una maggiore cura del

capitale umano ed a coinvolgere

le nuove generazioni facendo

emergere la loro propensione

all’imprenditorialità, di certo

negli ultimi anni fortemente sopi-

ta. Saranno quindi i futuri governi

a dover investire in “contaminazi-

one” per stimolare nuove fasce di

persone ad acquisire un ruolo più

attivo nei personali percorsi di

crescita. Le imprese, d’altro can-

to, devono risolvere due problemi

culturali: un complesso di inferi-

orità latente nei confronti delle

economia più avanzate (ieri) ed

emergenti (oggi), comprendendo

che la nostra tipologia e natura

produttiva è differente quanto

potente rispetto a mercati che

Il nostro paese può ripartire da ciò che ha, la sua cultura inestimabile ed il suo patrimonio storico-artistico, le sue

tradizioni e la manifattura, il made in Italy.

Page 17: Fablabfan n1

17FabLabFan

Sarà questa la nostra forza: digitalizzare e ben comunicare la

nostra tradizione, il nostro saper fare, il nostro patrimonio storico-artistico.

Oltre ciò è necessario porre fine ad un “declinismo” spinto che

frena gli investimenti ed accentua i timori, certe volte purtroppo fondati,

bloccando l’economia.

Page 18: Fablabfan n1

18 FabLabMag

crescono verso i nostri standard.

Tanto andrà certamente fatto per

un risanamento economico, par-

tendo dai rapporti con il sistema

bancario che ha ulteriormente ri-

dotto il credito verso le imprese

del 4% l’ultimo anno, proseguen-

do con i rapporti con la pubblica

amministrazione e la burocrazia

in generale che impegna risorse

e nostro tempo fondamentale (da

una nostra ricerca ogni impren-

ditore impegna 47 giorni all’an-

no in pratiche burocratiche e

28 giorni di un suo dipendente/

consulente). Non vogliamo però

affrontare la miriade di problemi

che investono oggi il sistema delle

imprese italiano quanto termin-

are questa disamina sull’ultimo

rapporto Censis, analizzando la

necessaria spinta d’innovazione

che il nostro paese deve affron-

tare per emergere dall’impasse e

scuotere l’economia.  Nel 2009 (e

purtroppo questi dati non sono

migliorati) le imprese italiane in-

vestivano in innovazione soltanto

lo 0,68% del PIL, contro una media

europea del 1,25%. Avendo le nos-

tre imprese, in media, un limitato

contenuto tecnologico con bassi

investimenti in ricerca e sviluppo,

fondi o investitori privati, non si

avvicinano alla nostra economia.

Ne è esempio il venture capital

che in Italia nel 2012 copre una

IMP

RE

SA

quota pari solo allo 0,004% del

PIL, un quinto della media euro-

pea e dieci volte meno dei paesi

virtuosi del Nord Europa. Ragion-

ando per assurdo, raddoppiando

la nostra spesa in innovazione

potremmo ottenere dunque una

quota di capitale di investimento

5 volte superiore a ciò che otte-

niamo oggi. Sappiamo bene che

si tratta di cifre che non tengono

conto di molti aspetti e di una di-

versa strutturazione del sistema

creditizio italiano, ma è anche

vero che da qualche parte bi-

sogna iniziare.

L’Italia ha bisogno di chiarezza,

di trasparenza, di regole effica-

ci applicate in modo corretto ed

equo. La struttura economica del

paese dev’esser resa più com-

petitiva e capace di agganciare

nuovi trend. Dev’esser definito

un piano organico di politica in-

dustriale che renda chiaro quali

siano le filiere su cui puntare e

in quali ambiti incentivare l’in-

novazione e che quindi individui

una mappa esatta delle azioni a

sostegno della modernizzazione e

innovazione del sistema produt-

tivo. Alle imprese non occorrono

soltanto più fondi e nemmeno

l’abbattimento del rischio, quan-

to la certezza di poter lavorare in

un paese ad economia sana con

possibilità di sviluppo ed una chi-

ara vision. Senza trattamenti par-

ticolari ma che basi davvero tutto

sulle effettive competenze e sulla

valorizzazione dei virtuosismi.

La rivalutazione dell’artigiana-

to rappresenta un punto focale

e la digitalizzazione a supporto

dell’economia tradizionale può

rappresentare per noi un elemen-

to fondante la rinascita econom-

ica. Purtroppo però il numero di

imprese artigiane fra il 2007 e il

2012 è diminuito di 50.000 unità e

di ulteriori 28 mila nel 2013. Man-

ca il ricambio generazionale.  Le

imprese under 30 sono passate

dall’8,1% nel 2007 al 6,5% nel 2012

ed abbiamo dunque necessità di

preparare all’imprenditorialità,

fare emergere quella propen-

sione che una ricerca di CNA ev-

idenzia, non è così debole. Circa

il 15% dei giovani in età scolare è

un potenziale imprenditore ma

soltanto una percentuale resid-

uale lo diventa poi davvero e sp-

esso per ripiego.  Mestieri in via

d’estinzione, quanto l’economia

tradizionale, attendono un im-

portante innesto di digitale  per

rivivere e riportare a lustro le

nostre tradizioni manifatturiere;

le scuole e le università in ques-

to hanno ed avranno un ruolo

sempre più importante. CNA, ed

i giovani imprenditori che rap-

presentiamo, hanno avviato, e

tenteranno sempre più, un pro-

cesso di contaminazione che

mira a riportare l’artigianalità, ed

il saper fare, al centro della sce-

na in una forte commistione con

le attività e gli attori del digitale,

della  manifattura hi-tech  ed in-

novativa, dei FabLab e degli spazi

di condivisione, oltre ovviamente

alle istituzioni attente ed attive ai

processi di rinnovamento della

nostra economia. Perché credia-

mo che da qualche parte bisogn-

erà pur partire ed il capitale uma-

no, a nostro avviso, è la ricchezza

di questa nazione.

Page 19: Fablabfan n1

19FabLabFan

3d printed design

Page 20: Fablabfan n1

20 FabLabMag

ECCO COME POSSIAMO RENDERE I FAB LAB CUORE DELLA MANIFATTURA ITALIANA

Sritto da Andrea Daniellisu chefuturo.it del 13 febbraio 2014

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Page 21: Fablabfan n1

21FabLabFan

Il 2014 è l’anno dei makers. Oltre

alla notevole recente esposizione

mediatica, lo testimonia la nasci-

ta della  Fondazione Make In Ita-

ly CdB Onlus.  Risorse importanti

vengono impegnate per aiutare e

strutturare la vivace attività “dal

basso”. Perché avvenga la de-

finitiva consacrazione del mov-

imento  dobbiamo permettere a

sempre più makers di vivere del

proprio lavoro e, quindi, occorre

occuparsi della sostenibilità eco-

nomica di fablab e affini.

Poiché in Italia il pubblico non è

in questa fase un attore privile-

giato, soprattutto per la mancan-

za di risorse, dobbiamo rivolgerci

ai privati, perché svolgano ru-

oli di sponsor, partner o clienti.

Questo primo contributo sintetiz-

za articoli apparsi su Lo Spazio

della Politica, nuclei di un ebook

che sto curando come Make in It-

aly (e LSDP) con l’aiuto di diversi

membri dell’Associazione. L’obi-

ettivo è semplice:  accreditare il

movimento presso le imprese

manifatturiere, colonna portante

del paese e, probabilmente, tra

gli attori più indicati per rilanci-

are la crescita economica attra-

verso le esportazioni.  Vogliamo

convincerli che realtà come i

fablab e le officine private pot-

ranno assisterli nella creazione

di prodotti modulari, altamente

personalizzabili oppure nell’in-

novazione distribuita, attraverso

prototipazioni rapide e a contatto

diretto dei consumatori. In altri

paesi la corsa è già cominciata:

non è d’altronde la prima volta

che un movimento di smanettoni,

nato in garage e officine improv-

visate, dà origine a economie

floride.

A oggi il fenomeno dei fablab è

ancora troppo fresco per deline-

are dei chiari modelli economici

di sviluppo, ma è evidente che ci

sono pochi casi di sostenibilità di

successo. Buona parte dei fablab

si appoggia a qualche istituzione

accademica, mentre qualcun’al-

tro riesce a trovare degli sponsor

illuminati.  La maggior parte dei

fablab è rappresentata da luoghi

che dispensano servizi a con-

sumatori (che si creano propri

oggetti) e a innovatori che speri-

mentano e prototipano le proprie

idee.  Difficile oggi avere grandi

margini, dato che i consumatori

di solito spendono su oggetti di

piccole dimensioni e gli innova-

tori-prototipisti sono ancora rari.

In questo articolo cercherò di

proporre  tre ricette, pensate per

aiutare i fablab e le imprese che

decidessero di appoggiarli:

1) la produzione distribui-

ta, ossia l’assemblaggio nei

fablab di prodotti rilascia-

ti con licenze “open source”;

2) la costumizzazione on-site;

3) la prototipazione aperta, ossia

lo sviluppo di nuovi prodotti da

parte di comunità di innovatori

in collaborazione con le imprese.

 LA PRODUZIONE DISTRIBUITA

Per aprire di più ai consumatori,

i  fablab dovrebbero riuscire ad

abbassare i prezzi del prodotto

finito, ancora elevati in confronto

ai concorrenti industriali.  Ques-

to perché costano i macchinari

e la manodopera, e perché non è

possibile sfruttare leggi di scala.

Occorre fare qualche consider-

azione macroenomica, partendo

dalla base: quali componenti in-

cidono sul prezzo di un bene? E’

ovvio che dipendono dal prodot-

to, e che quindi dovrò fare delle

generalizzazioni. Partirei da oss-

Page 22: Fablabfan n1

22 FabLabMag

ervazioni abbastanza note, che

hanno il pregio di dare cifre su

cui riflettere, in merito al costo di

produzione dell’Iphone 4S: si ag-

gira sui 188-200 dollari.

Da cosa deriva la differenza di

prezzo? Al di là di manifattura e

costo dei componenti,  nei pro-

dotti di marca ricerca&sviluppo

e marketing la fanno da padro-

ni.Pesa anche il customer care,

sempre più richiesto per oggetti

di simile complessità. E poi c’è

l’intangibile, ossia il valore del

marchio. Non ho fatto esempi a

caso, ma ho cercato costi che si

possono eliminare in un mondo

di open-economy. È evidente che

se si riesce ad agire su di loro è

possibile aumentare il costo della

manodopera (a costo componenti

costante, ma ho un’idea per farlo

calare).

Il discorso per cui le aziende chi-

udono perché costrette a com-

petere con prezzi alla produzione

bassissimi è una mezza verità. Si è

decisa una strategia di outsourc-

ing consapevole: le multinaziona-

li si sono liberate di problemi oggi

sensibili, come i diritti dei lavora-

tori e la salvaguardia dell’ambi-

ente, affidando la produzione a

fornitori terzi. La competizione

tra i fornitori abbassa notevol-

mente il prezzo, e aumenta la ve-

locità con cui si introducono le

novità sul mercato.

Questo è il paradigma competiti-

vo. Proviamo allora a immaginare

un modello cooperativo da op-

porvi, un modello in cui i prodotti

che acquistiamo sono protetti da

licenze open (usando la CC BY-SA,

(licenze creative commons, ndr)),

il loro sviluppo fa capo a fondazi-

oni (che coordinano e accentrano

la ricerca), produzione e commer-

cializzazione si basano su labora-

tori distribuiti (che chiamerò per

semplicità fablab, ma potrebbero

anche essere luoghi meno ricchi

Per aprire di più ai consumatori, i fablab dovrebbero riuscire ad abbassare i prezzi del prodotto finito, ancora elevati in confronto ai concorrenti industriali.

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Page 23: Fablabfan n1

23FabLabFan

di creatività degli attuali fablab) e

su mega-portali internet.

Alcune modifiche progettua-

li sono necessarie per dare vita

a questo sistema.  Il cellulare,

preso come esempio, dovrebbe

diventare modulare, di modo da

non doverlo cambiare ogni anno

o due. Per aggiornarlo bastereb-

be modificare la Cpu, la batteria e

la memoria. Si potrebbe sfruttare

ancora la competizione tra forni-

tori, ma in modo più consapevole:

la Cpu può provenire da marchi

diversi, che hanno qualità e cos-

ti diversi; ogni assembler sceglie

in base alle proprie priorità, dan-

done notizia al cliente. Se posso

scegliere per due euro in più una

memoria realizzata da una so-

cietà socialmente responsabile,

perché non farlo?

Seguendo questa filosofia, si è

timidamente mossa Nokia, (http://

conversations.nokia.com ) e, con

maggiore coraggio,  Motorola (il

progetto Ara di cui ha già discusso

Simone Cicero). Di certo non bas-

ta modificare l’architettura hard-

ware: occorre modificare anche

la percezione che ha il consuma-

tore del proprio telefono, ripor-

tarlo a strumento di comunica-

zione e personal assistance. Non

tutti avrebbero bisogno di grande

potenza computazionale, quin-

di di architetture troppo spinte.

Non è necessario, comunque,

dedicare le riflessioni solo su un

terreno molto spigoloso come gli

smartphone. L’esempio mi atti-

ra perché  sono convinto che i

makers esprimeranno il loro po-

tenziale creativo soprattutto in

gadget tecnologici, penso a tut-

to l’ambito  wearable, dove sarà

possibile combinare ingegneria

e medicina, nonché servizi alla

persona.

Ciononostante, c’è già un set-

tore in cui sia possibile speri-

mentare la produzione aperta:

Page 24: Fablabfan n1

24 FabLabMag

il mobile, in cui peraltro l’Italia

è ancora forte.  La rete è ricca

di proposte di “open forniture”.

Il primo esempio valido che ri-

cordi risale a un concorso indetto

da Domus insieme alFab Lab di

Torino: “Autoprogettazione 2.0”;

hanno dimostrato che è possibile

creare mobili di design con le tec-

nologie disponibili in un fablab,

rilasciando con licenza creative

commons i dieci progetti premia-

ti. È stato poi il momento di Open

Structures, dell’italiano  Instruc-

tionforuse.com, anche se la vera

consacrazione del mobile “open”

si ha con Open Desk https://www.

opendesk.cc/ Il suo obiettivo è la

produzione locale.

Tutti i file dei mobili sono disponi-

bili per essere scaricati gratis,

lavorati da CNC e rifiniti a mano. I

pezzi finiti possono essere assem-

blati in loco e la qualità del design

è buona. Sono previsti diversi

livelli di interazione dei clienti:

1) chi dispone di CNC si

prepara i pezzi scarican-

do i file delle istruzioni;

2) chi invece non ha una CNC,

ma gli strumenti per lavorare

il legno, può acquistare i ma-

teriali già tagliati e da rifinire;

3) chi, infine, manca degli stru-

menti, può acquistare l’intero

pacchetto da montare, stile IKEA.

Partendo dalle proposte

di  OpenDesk provo a immagin-

are il tipo di clienti interessati da

questo modello aperto,  organiz-

zandoli secondo diverse modalità

di consumo.

1. Massimo impegno: spendo solo

per l’acquisto iniziale, poi mi cer-

co i prodotti in rete, sui siti che

li offrono, me li compro e provo

da solo. Mi smonto e rimonto il

cellulare, come mi piace, scrivo

qualche riga di codice per avere

applicazioni più efficienti. Ogni

tanto vado a incontri di nerd per

condividere le nostre idee migli-

Il fablab per auto sostenersi deve riuscire ad avere buoni introiti, deve offrire servizi ad alto valore aggiunto, perché il solo abbonamento agli strumenti non basta.

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Page 25: Fablabfan n1

25FabLabFan

ori.

2.  Medio: frequento un fablab

dove mi insegnano a smontare

il telefono, dove mi consigliano

sulle novità da introdurre. Mi in-

formo e documento su vari siti,

e quindi mi confronto con quelli

che al fablab ne sanno di più.

3. Minimo impegno: mi abbono al

fablab, porto il cellulare ogni tan-

to per fargli dei controlli e dei mi-

glioramenti (hardware/software).

Gli abbonamenti dei clienti

“meno interattivi” porterebbero

notevoli ricavi sicuri ai fablab,

che potrebbero migliorare la

propria dotazione di strumenti e

far crescere in qualità i prodot-

ti open. In sintesi, ecco l’origi-

ne del risparmio per le imprese:

1. Ricerca e sviluppo sono

condivise, secondo model-

li open in cui esistono migli-

aia di innovatori e betatester.

2. Il marketing non ci interes-

sa. I fablab presentano i nuo-

vi modelli quando arrivano, e

sono i consumatori (prosumer)

a farsi avanti per sapere le no-

vità. Chiaramente servono molti

più fablab e una maggiore diffu-

sione del fenomeno dei makers.

3. L’assistenza è svolta dai fablab

sparsi sul territorio, e spesso

diventa superflua, grazie alle

competenze acquisite dagli uten-

ti.

CUSTOMIZZAZIONE ON-SITE

E’ contenuta in buona parte nel-

la produzione distribuita ma non

impiega per forza delle licenze

aperte. Se le stesse tecnologie di

produzione vengono utilizzate

per rifinire alcuni dettagli dei

prodotti di consumo, è possibile

dare vita a oggetti altamente per-

sonalizzati. Immaginate di acqui-

sire attraverso degli scanner 3D

le mani di un motociclista che

si fa stampare le manopole dei

freni su misura; stesso discorso

per un cameraman o un fotogra-

fo che adattano al proprio fisico

i loro strumenti di lavoro. Anche

una racchetta da tennis o il vol-

ante di un’auto potrebbero essere

costumizzati in questo modo.

Per prodotti high-tech di design

(Hi-Fi, per esempio) si può im-

maginare una base modulare con

diverse opzioni di colori e bottoni

stampabili al momento dell’ac-

quisto.

PROTOTIPIZZAZIONE APERTA

Il fablab per auto sostenersi deve

riuscire ad avere buoni introiti,

deve offrire servizi ad alto valore

aggiunto, perché il solo abbona-

mento agli strumenti non basta.

Ecco che l’alto valore aggiunto

deriva dalle conoscenze tacite

acquisite dalla sua comunità: un

fablab potrebbe offrire in abbon-

amento, oltre all’uso dell’attrez-

zatura, la capacità progettuale

del team che lo anima, diventan-

do allora un luogo deputato a

gestire la prototipazione di nuovi

prodotti: questi possono origin-

are da un designer, da un inven-

tore o da una società. Il fablab si

porrebbe quindi come servizio di

couching “fisico” per innovatori

di prodotto, affiancandosi a servi-

zi di couching classici per start-

up.  Una volta che il prodotto è

stato sviluppato e prototipato, si

cerca un partner commerciale

con cui passare alla fase due: in-

gegnerizzazione per la produzi-

one industriale. Una parte delle

royalties andrebbero all’inven-

tore e una parte al fablab.

Il fablab, inoltre, potrebbe

diventare anche micro-distribu-

tore dei prodotti così creati.

Per sviluppare i loro prototi-

pi, mettendoli a disposizione

di hacker in grado di smontar-

li e testarli davvero. Allo stesso

modo, le PMI dovrebbero aprirsi

al mondo dell’open manufactur-

ing, abbandonando timori e pru-

denze che portano a chiudersi

Page 26: Fablabfan n1

26 FabLabMag

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in se stessi  e risultano perdenti

di fronte a una concorrenza in-

ternazionale sempre più aggu-

errita.  Molte realtà manifattur-

iere distano anni luce dai propri

consumatori: perché sorgono in

distretti industriali, non in gran-

di città; perché non ci lavorano

teenager e modaioli, perché sono

dipendenti dai dettami dei forni-

tori. Fablab metropolitani porter-

ebbero a contatto i prototipi con i

futuri clienti, testando in anticipo

opportunità commerciali.  L’es-

perienza di design mood  http://

www.youtool.it/e  https://it.form-

abilio.com/ mostra che l’apertura

dell’impresa all’open innovation è

una strada già percorribile.

Un sistema di prototipazione dif-

fusa potrebbe aprire delle sedi

nei diversi distretti italiani e fa-

vorire un enorme trasferimento

di conoscenza, dalle imprese ai

designer e tra le imprese stesse

(a livello nazionale). Ogni nodo

della rete immette infatti i mod-

elli in fase di sviluppo, di modo

che se un’azienda vuole svilup-

pare a Torino un nuovo prodotto

può scoprire che è già in fase di

realizzazione a Trento e quindi

contattare il team e l’azienda pro-

motrice, dando vita a partnership

più capaci di affrontare il mercato

estero. Se un’azienda non riesce a

risolvere a Firenze problemi in-

gegneristici, può sperare di affi-

dare ai diversi fablab presenti sul

territorio la ricerca di una soluzi-

one. Una volta arrivati al prodotto

industriale, il rilascio in creative

commons del progetto permette

una ricerca continua che ha nella

rete di fablab (e nelle communi-

ties di makers che la animano) un

sostegno e un punto di appoggio.

Si tratta di mettere in piedi un’in-

frastruttura conoscitiva molto

intensa e le associazioni di cate-

goria del campo PMI potrebbero

investire al fine di ammodernare

l’offerta di prodotti dei propri

aderenti. Non ci sono dubbi sul

fatto che un modo per aumentare

le competenze tecniche e ren-

dere i giovani più appetibili per il

mondo del lavoro.

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Page 28: Fablabfan n1

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Page 29: Fablabfan n1

29FabLabFan

FAB LAB A SCUOLA PERIL “CONTAGGIO DIGITALE”

“C’è tanta voglia di fare cose, è un’esplosione di creatività quella in cui m’imbatto ogni giorno. Sono storie di persone che questo paese lo vogliono cambiare davvero.”

Si è parlato di futuro digitale del

Paese e di botteghe artigianali 2.0

all’Università degli Studi di Saler-

no in occasione del 50° Congresso

Nazionale dell’Aica.

«C’è tanta voglia di fare cose .» ha

esordito Riccardo Luna, «È un’es-

plosione di creatività quella in cui

m’imbatto ogni giorno. Sono sto-

rie di persone che questo paese

lo vogliono cambiare davvero.

Sono storie che mi fanno credere

che non è vero che il futuro sarà

peggiore. Semmai è vero il con-

trario». L’Informatica è lo stru-

mento liberatore del lavoro delle

persone e le Università e i Centri

di ricerca devono avere un ru-

olo fondamentale nel collegare

il FabLab con la comunità di im-

prenditori e innovatori. Inoltre,

si avverte l’urgenza, ancor prima

che l’esigenza, di ripartire dalle

scuole. «Il FabLab deve diventare

strumento per accrescere le

competenze digitali delle per-

sone»  – ha detto il prof. Stefano

Micelli docente dell’Università

Ca’Foscari, queste conoscenze in

Italia, tuttora, purtroppo scarseg-

giano e, in effetti, i dati parlano

chiaro: l’Europa è in ritardo ris-

petto a paesi come Stati Uniti e

Giappone per quanto riguarda la

competenze digitali ma in Italia

la situazione è peggiore, secondo

i dati Istat. e la scuola dev’essere

il mezzo per un’incisiva azione

di “contagio digitale” che coin-

volga tutti, bisogna apportare

una ventata di cambiamento in-

serendo negli istituti i FabLab e

riempiendo le scuole di fare e di

entusiasmo nel fare. Portare i lab-

oratori di fabbricazione digitale

nelle scuole, educare i giovani e

gli insegnanti alla passione del

fai-da-te tecnologico come base

dell’innovazione e del cambia-

mento di nostro paese.

Sritto da francesca Luciano su chefuturo.it del 10 ottobre 2014

IL FUTURO SARA’ MIGILORE

Page 30: Fablabfan n1

30 FabLabMag

Scritto da Marta Manieri su chefuturo.it del 15 Gennaio 2014

5 MOTIVI CHE FARANNO DEL 2014 L’ANNO DELLA SHARING ECONOMYDi questo si parlerà con Simone Cicero, Ivana Pais in occasione del primo International Collaboration Day, in un lunchtime hangout

EC

ON

OM

IA

Page 31: Fablabfan n1

31FabLabFan

Inizio anno tempo di bilanci. Cosa

è stato e cosa sarà per la sharing

economy? Di questo si parlerà

con Simone Cicero, Ivana Pais in

occasione del primo Internation-

al Collaboration Day, in un lunch-

time hangoutorganizzato per il

prossimo 16 gennaio, durante

il quale presenteremo un breve

report sui dati e gli eventi sali-

enti del 2013, e risponderemo a

domande e questioni poste dai

partecipanti. Provo così, in ques-

to post, a immaginare cosa sarà

della sharing economy nel 2014,

per dare qualche spunto in vista

dell’appuntamento e per giocare

anche io – almeno una volta – con

le previsioni di inizio anno.

Primo. Sharing economy questa

sconosciuta. Nel 2014 si parlerà

sempre di più  di sharing econo-

my all’estero ma anche in Italia. Si

continuerà a spiegare che cos’è,

quali benefici porta, quali servizi

comprende ma ci si soffermerà

molto di più sul suo significato.

Sia nel senso generale del ter-

mine (implicazioni e opportunità)

sia letterale.

La definizione di sharing econo-

my non è chiara e condivisa. La

questione è vecchia ma è tornata

alla ribalta dopo un intervento di

Rachel Botsman qualche mese fa,

che però non ha soddisfatto tut-

ti. La diatriba vede contrapposto

chi considera vera e propria con-

divisione di beni solo in assenza

di  transazione economica, e chi

invece ritiene questo un dettag-

lio di una visione molto più am-

pia. Se ne continuerà a parlare

per tutto l’anno (e credo anche in

quello a venire), perché l’econo-

mia collaborativa stessa, come

ogni fenomeno nuovo, è destina-

ta a modificarsi. Compariranno

nuovi servizi che porranno nuovi

interrogativi; altri cresceranno

proponendo non solo un servizio

di condivisione di beni ma ag-

gregando nuove funzionalità (e in

tal senso la piattaforma inizierà

ad assumere sempre più il ruolo

di nuovo mediatore), altri anco-

ra, probabilmente, apriranno la

loro community non solo ai pri-

vati ma anche a piccole e medie

aziende (come fa già Airbnb con

i bed&breakfast e ebay), facen-

do diventare sempre più difficile

definire che cosa sia esattamente

la sharing economy .

Secondo. Aziende e amminis-

trazioni sempre più coinvolte. I

più grandi brand  del mondo ab-

bracceranno la sharing economy.

Lo scrive  Forbes  che lo indica

come uno dei più promettenti

trend del 2014. Succederà proba-

Nessun mega trend, quindi, nessuna rivelazione particolare se non che la sharing economy continuerà a crescere e crescendo inizierà ad assumere un volto differente e differenziato.

5 MOTIVI CHE FARANNO DEL 2014 L’ANNO DELLA SHARING ECONOMY

Page 32: Fablabfan n1

32 FabLabMag

EC

ON

OM

IA

bilmente negli USA (non credo in

Italia), dove il mese scorso è sta-

to lanciato una sorta di Comitato

(CrowdCompanies) che riunisce

le aziende che vogliono investire

nella sharing economy. Sarà da

capire se queste compagnie si

avvicineranno ai servizi collab-

orativi ripresentando le categorie

con cui hanno gestito i propri in-

teressi fin qui, o saranno in grado

di comprendere e far loro le tras-

formazioni in atto rinnovando

così non solo la loro offerta ma

soprattutto il modo in cui hanno

fin qui considerato il mercato e

i consumatori. Anche le ammin-

istrazioni inizieranno a valutare

come beneficiare della sharing

economy.  Alcune si stanno già

muovendo, altre si apprestano a

farlo in maniera strutturata (e fra

queste si spera presto anche Mi-

lano).

Terzo. Dal digitale al territorio e

ritorno. L’economia collaborativa

è  conosciutasoprattutto per es-

sere un fenomeno che nasce nel

mondo digitale, ma in realtà Ezio

Manzini parla di servizi collabor-

ativi già da più di un decennio.

La tecnologia il più delle volte

non ha fatto altro che diffondere

e ampliare servizi che sul territo-

rio esistevano già. Credo che nel

prossimo anno, e in quelli a veni-

re, ci sarà un ritorno verso il ter-

ritorio che sarà visto da start up,

ma anche da nuovi attori, come

luogo di applicazione naturale dei

concetti di condivisione e scam-

bio. Le start up troveranno sul

campo il loro bacino di utenza,

mentre nasceranno nuovi pro-

getti che promuoveranno servizi

collaborativi sul territorio uti-

lizzando la tecnologia non come

piattaforme di business ma per

diffondere, promuovere e met-

tere in rete con un pubblico più

ampio le loro iniziative. Qualcuno

lo sta già facendo egregiamente

anche in Italia (Social street, Casa

Netural).

Quarto. Start up che vanno, start

up che arrivano: Anche le start

up  continueranno a crescere

all’estero come in Italia, sia per

numero che per utenti. Aumen-

teranno soprattutto quei servizi

legati al turismo, alla mobilità,

alla condivisione di spazi fisici

oltre al crowdfunding (soprattut-

to l’equity). Molte piattaforme,

tuttavia, inizieranno anche a

scomparire. Negli Usa un trend

Page 33: Fablabfan n1

33FabLabFan

co-working

car-sharing

bike-sharing

normale, in Italia, sarà molto più

visibile quest’anno. Se è vero,

infatti, che la vita media di una

start up è 3 anni e che in Italia i

primi servizi collaborativi hanno

iniziato a comparire fra il 2011 e

il 2012, quest’anno dovrebbero

essere evidenti i primi fallimenti.

La maggior parte si arrenderà per

le difficoltà di raggiungere quel-

la massa critica che consente,

quando c’è, di trovare il coraggio

per investire più tempo e denaro.

Quinto. Nessuna grande novità

in termini di normativa. Nel 2014

sarà sempre  più evidente, all’es-

tero come in Italia, l’urgenza di

regolare i servizi collaborativi.

Per tutto il 2013 abbiamo assisti-

to a tentativi di bloccare servi-

zi come Airbnb, Uber (l’ultimo

in Francia), Lyft e via dicendo.

Queste piattaforme continueran-

no a crescere e con loro anche

le denunce delle lobby colpite.

Se ne discuterà molto, qualche

amministrazione, probabilmente,

proverà a regolare i servizi ma

non penso si arriverà a interve-

nire in maniera strutturata. Dif-

ficile, infatti, riuscire a fare un

documento programmatico sulle

normative che possono regolare i

servizi collaborativi perché com-

prendono mercati differenti cias-

cuno con proprie leggi e peculi-

arità che spesso cambiano anche

da regione a regione .

Nessun mega trend, quindi, nes-

suna rivelazione particolare se

non che la sharing economy con-

tinuerà a crescere e crescendo

inizierà ad assumere un volto dif-

ferente e differenziato. Speriamo

altrettanto attraente.

Page 34: Fablabfan n1

34 FabLabMag

Fab9JapanCOSI’ NEI FABLAB SI IMPARA LA PERSONAL FABRICATION

Scritto da Serena Cangianosu chefuturo.it del 11 Settembre 2013

RE

PO

RT

Dal 21 al 27 agosto si è tenuto a Yokohama, in Giappone, Fab9Japan, il nono forum internazionale dei  fablab, i laboratori di personal fabrication nati dalla visione del professor Neil Gershenfeld, direttore del Centre for Bits and Atoms del MIT.

Page 35: Fablabfan n1

35FabLabFan

Page 36: Fablabfan n1

36 FabLabMag

RE

PO

RT

Cercando di combinare vacanze

e disseminazione di progetti di

ricerca, ho partecipato a questo

evento, sicuramente unico, che

inaspettatamente mi ha permes-

so di capire meglio i principi e le

attività correnti e future che ruo-

tano intorno al concetto “fablab”.

Il programma è stato molto in-

tenso. Al mattino erano previste

le Ignite Session, in cui i rappre-

sentanti dei fablab nel mondo

presentavano le attività dei loro

rispettivi laboratori: workshop

per bambini, incubazione di

progetti hardware e di robotica,

sviluppo di progetti di design e

software parametrici per creare

origami di oggetti tridimension-

ali da assemblare manualmente

in due giorni (ovvero l’approccio

giapponese al digital manufac-

turing). Ce n’era per tutti i gusti

e per tutti i continenti, ma il fil

rouge era sempre lo stesso: ogni

fablab propone o replica attività

di formazione e progetti al fine

di promuovere la personal fabri-

cation resa possibile dall’accesso

a stampanti 3D e laser cutter per

chiunque voglia trasformare la

propria idea in qualcosa di con-

creto.

La sessione Ignite più interes-

sante è stata quella relativa ai

fablab in Giappone. Strano ma

vero, il Giappone ha un basso

tasso di imprenditorialità e in-

novazione. I giovani fablabbers

giapponesi che ho incontrato mi

hanno raccontato di un siste-

ma estremamente conservatore

e gerarchico. In questo quadro i

fablab sembrano rappresentare

una formula vincente per sbloc-

care un po’ le cose. Sette nuovi

fablab sono stati avviati in diverse

aree del Giappone: il F.Labo a Og-

aki è ospitato in un incubatore di

impresa e innovazione; il  Fablab

Kamakura ha la sede in un antico

edificio di una magnifica località

di mare e propone la combina-

zione di tecniche di artigianato

giapponesi con le tecnologie di

digital fabrication. Il  FabLab Ki-

takagaya, a Osaka, vive grazie alla

cooperazione con piccole im-

prese in uno spazio di co-work-

ing. E infine ci sono il FabLab

Shybuya e il Fabcafè, cellule del

fabbing trendy di Tokyo.

Durante il Fab9, sono stati inau-

gurati altri due fablab:  FabLab

Sendai  e FabLab Kannai a Yoko-

hama. Io ho visitato tre di questi

lab e ho potuto constatare come

i giapponesi siano capaci di ac-

celerare i processi di sviluppo

e crescere in poco tempo come

nessun altro popolo al mondo.

I pomeriggi del forum erano ded-

icati alle presentazioni di ricer-

catori e aziende che operano

nell’ambito della digital fabrica-

tion. Per gli appassionati di 3D

printing, il momento più interes-

sante di queste sessioni è stato il

confronto tra Jun Ito, direttore di

Roland DG Japan, e Max Lobovsky,

uno dei fondatori di Formlabs,

azienda che produce stampanti

stereolitografiche a basso cos-

to. Alla domanda «cosa ne pensa

del progetto di FormLabs, con-

siderando che sviluppano una

tecnologia che può essere com-

petitiva rispetto a quella fornita

dai prodotti Roland?», il signor

Ito risponde timidamente con un

La piattaforma é stata sviluppata all’interno del FabLab Barcelona (uno dei più rilevanti nella rete) da Tomas

Diez (direttore del FabLab) e dal programmatore John Rees in maniera

open source su GitHub, e rilasciata con licenza MIT

Page 37: Fablabfan n1

37FabLabFan

“Ta contesinc mercerfera noximanum dem hem perferi caequiu et forum auci suntur utus; et peris.

«Molto interessante!», evitando

un reale confronto con i giovani

competitor che esemplificano il

modello di innovazione america-

no: giovani con un’idea brillante,

tanto design e milioni di dollari

forniti da venture capital.

La serata continuava con un pro-

gramma di workshop pratici e

teorici organizzati all’interno del

fantascientifico Super FabLab: 2

piani del Kitanaka Brick attrezzati

con tutta la tecnologia, i materi-

ali e gli strumenti per realizzare

praticamente “quasi tutto”, dalle

macchine per il 3D scannino ad

una Shopbot modello “large”.

L’abbondanza in Giappone è sec-

onda solo al senso di ospitalità.

Tra una pausa e l’altra dal parco

giochi Super FabLab, ho parteci-

pato alle sessioni di discussione

e presentazione delle attività

di  FabFoundation, la fondazione

nata nel 2009 a supporto dello

sviluppo del network dei fablab

nel mondo. Si occupa di facilitare

l’apertura di nuovi laboratori, di

monitorare le attività e avviare

nuovi progetti in ambito form-

ativo. La “mamma” e persona

chiave di FabFoundation e dei

fablab,  Sherry Lassiter, ha spie-

gato che tra gli obiettivi prioritari

della fondazione c’è lo sviluppo

di progetti legati alla formazione:

FabEd è il progetto che punta a

stimolare e valutare l’introduz-

ione dei fablab all’interno della

formazione nelle scuole primarie

e secondarie (negli Stati Uniti), e

Fab Academy è, invece, il corso di

formazione distribuita che per-

mette a persone in luoghi diversi

di imparare tecniche e tecnologie

di digital fabrication e program-

mazione partecipando a sessioni

on line via streaming, curate da

Neil Gershenfeld in persona.

La  Fab Academy  è il format di

punta della FabFoundation e si

sta sviluppando sempre di più

considerando che i diplomati

quest’anno sono stati circa tren-

ta. Di questo format ciò che mi

sembra efficace è la possibilità

di seguire un corso a distanza

con i benefici della formazione

in sede e il costo: per 20 setti-

mane di corso la tassa è di 5.000

euro (poco per gli standard delle

università americane). Frequen-

tare e completare Fab Academy

non permette di ricevere nessun

certificato riconosciuto ufficial-

mente, ma in fin dei conti a cosa

serve un pezzo di carta quando

si può entrare nella rosa di quelli

che hanno scelto una formazione

sperimentale curata direttamente

dal professor Gershenfeld?

Seguendo le presentazioni su

FabFoundation, FabEd e Fab

Academy, ho realizzato che tutte

questi progetti sono la mani-

festazione evidente che gli Stati

Uniti riconoscono nei fablab un

network per avviare una fase di

cambiamento del paese, agendo

sulla formazione e sulla manifa-

ttura digitale. Il modello attuale

della fondazione, così come con-

fermato anche da Gershenfeld e

Lassiter, è basato su un lavoro di

lobby mirato a influenzare i gov-

erni e le aziende a investire molto

denaro nella creazione di labora-

tori distribuiti, piuttosto che di

grandi laboratori con attrezza-

ture milionarie. Uno dei primi ri-

Page 38: Fablabfan n1

38 FabLabMag

sultati è che da quest’anno la Fab-

Foundation riceverà il supporto

della Chevron, azienda petrolifera

americana.

Dopo questo annuncio, mi sono

chiesta se questo modello di

business per i fablab basato su

trasferimento top down di inves-

timenti abbia senso: allo stato at-

tuale sembra essere l’unica soluz-

ione per avviare dei fablab, ma a

lungo termine cosa succederà?

Neil Gershenfeld non ha una ris-

posta per noi. Durante la pre-

sentazione finale al KAAT, centro

delle arti di Yokohama, afferma

onestamente che non ha nessuna

visione per il futuro dei fablab e

che ogni fablab è libero di evolv-

ersi come vuole. L’unico collante

deve essere la visione di personal

fabrication e la volontà di comu-

nicare, mantenere degli standard

sulle modalità di uso delle mac-

chine e della trasmissione e doc-

umentazione della conoscenza.

Questo punto di vista sui fablab

ha creato in me un po’ di confu-

sione: da un lato, c’è la visione di

trasformare ogni lab in un’infra-

struttura per la produzione dig-

italizzata e distribuita. Come la

rete ferroviaria per i trasporti e la

comunicazione, i fablab saranno

la rete che impatterà sul modo in

cui ogni individuo avrà accesso a

beni e servizi.

Dall’altro lato, c’è una totale man-

canza di soluzioni concrete per

avviare questo processo: i fablab

del mondo hanno difficoltà a co-

municare per carenza di piatta-

forme centralizzate e servizi con-

divisi e non ci sono ancora molti

progetti di collaborazione perché

al momento prevale il local sul

global.

Ogni giorno nascono piattaforme

dedicate al design e alla manifat-

tura digitale, start up che offrono

servizi di distribuzione innovativi,

software commerciali che offrono

interfacce semplificate per la

modellazione 3D e nuove inizia-

tive che creano marchi/concetti

nuovi per aggregare persone e

progetti intorno alla digital fabri-

cation e alla maker culture.

Il Fab9 è stato un evento illumi-

nante che mi ha fatto capire un

po’ il mondo dei fablab dal punto

di vista degli Stati Uniti. Ma qual

è il punto di vista dell’Europa? E

dell’Italia?

Per capirlo forse dovrei aspettare

la prossima conferenza dei fablab

che si terrà a Barcelona dal 2 all’8

luglio 2014. Il sito è già on line.

RE

PO

RT

Page 39: Fablabfan n1

39FabLabFan

MAKERS E COPYRIGHTTodd Blatt è un ingegnere mec-

canico di Baltimora appassionato

di fantascienza e fantasy. Da un

paio di anni passa il suo tempo a

ricreare oggetti presenti nei film

di genere di cui è appassionato.

Todd frequenta anche la comu-

nità online theRPF, i cui i membri

condividono trucchi e istruzioni

per realizzare i complementi di

costumi accessoriati.

Todd progetta con un program-

ma CAD e i file sono caricati su

una piattaforma online di servizio

di stampa 3d. In questo modo,

chi lo desidera può acquistarne

una copia fisica, selezionando il

materiale preferito. Todd mette

solo a disposizione il file in modo

che copie fisiche siano prodotte e

spedite on-demand a fan come lui

sparsi in tutto il mondo.

Per far conoscere la sua ultima

creazione di cui va molto fiero,

Todd ha scritto un post sul forum

di theRPF e le reazioni non sono

tardate. Due giorni dopo ha rice-

vuto una lettera di “Cease and De-

sist” dagli avvocati di Paramount

Pictures, la richiesta di eliminare

il file del cubo Argus dalla rete per

non essere coinvolto in una causa

legale per violazione di copyright.

All’inizio di quest’anno è capitata

una cosa analoga ma ancora più

curiosa.  Andreas Kahler  (co-fon-

datore del FabLab di Monaco)

ha caricato sulla piattaforma

Thingiverse la foto di un razzo

di  Tintin  realizzato in 3D che lui

stesso aveva stampato e succes-

sivamente immortalato con uno

scatto.

A differenza del caso preceden-

te, il progetto digitale caricato

su quel sito non permette la con-

cretizzazione diretta dell’oggetto

attraverso un servizio di stampa

3d commerciale, ma rende dis-

ponibile il file per essere scari-

cato, eventualmente modificato

e prodotto materialmente da una

qualsiasi stampante, soprattutto

casalinga.

Moulinsaart, l’azienda che pro-

tegge e promuove la proprietà

intellettuale dell’autore di Tin-

tin, non si fa attendere e scrive

a Thingiverse, che a sua volta

contatta per richiedere (ed otte-

nere) l’eliminazione delle foto. Le

due storie potrebbero sembrare

simili. In realtà contengono dei

dettagli che le rendono molto

diverse, mostrando come il tema

della protezione della proprietà

intellettuale nel contesto della

stampa 3d sia un argomento com-

plesso e, soprattutto, ancora con-

fuso. Stiamo vivendo un’epoca

in cui è il momento di ripensare

complessivamente alcuni ambiti.

Per inerzia si finisce spesso per

preferire l’approccio più imme-

diato, applicando vecchi model-

li ad un mondo nuovo e ricco di

potenzialità. Puntare sulla paura

dell’illegalità (e degli uffici legali)

per limitare le libertà degli indi-

vidui più di quanto sia necessario

è un danno per la società e per

le economie che in essa si creano.

Page 40: Fablabfan n1

40 FabLabMag

LA LEZIONE DEI FABBERS AFRICANI ALL’ OCCIDENTE : BASTA CON PRODOTTI STANDARDIZZATILunedì 10 febbraio sarà presenta-

to al museo Madre il progetto Af-

rican Fabbers, sviluppato in col-

laborazione con Urban FabLab e

Maria Giovanna Mancini.

Il progetto, che sarà ospitato alle

Biennali d’Arte Contemporanea di

Marrakech e Dakar si pone come

obiettivo l’interazione delle co-

munità di creativi, makers euro-

pei ed africani attraverso work-

shop, progetti collaborativi e

incontri pubblici.

African Fabbers, nasce con l’in-

tento di  sovvertire le logiche

consumistiche che spesso sot-

tendono ad ogni processo di in-

novazione tecnologica  mettendo

in rilievo piuttosto le opportunità

di innovazione sociale e culturale

che da essa derivano. Le espe-

rienze di vita e di lavoro maturate

nel tempo tra Europa e Africa mi

hanno sempre di più spinto a ri-

flettere sul rapporto tra le forme

di auto-produzione spontanee ti-

piche di alcuni contesti ed i sis-

temi complessi che sono invece

alla base dei processi computazi-

onali che caratterizzano lo svi-

luppo delle società occidentali.

i due mondi, apparentemente

così lontani,  possano lavorare

ad una piattaforma comune per

sperimentare insieme nuovi lin-

guaggi e nuovi processi produtti-

vi possibilmente sostenibili.

Analizzando i linguaggi creativi

e le tecniche che caratterizzano

alcune zone dell’Africa è chia-

ro quanto sia forte la capacità di

sviluppare in modo generativo,

algoritmi complessi (contextu-

al algorithms) per manipolare la

materia realizzando oggetti d’uso

comune, opere d’arte, tessuti,

insediamenti abitativi etc. Quel-

lo che è davvero interessante in

questo enorme patrimonio cul-

turale è l’ecologia dei processi, la

capacità di utilizzare al massimo

le risorse locali, la semplicità ed il

rigore con cui vengono utilizzate

geometrie e forme complesse al

fine di risolvere questioni assai

concrete.

Mentre le società occidentali

continuano spingere nella di-

rezione di utilizzare la tecnologia

per standardizzare i prodotti, in

alcuni contesti da noi considera-

ti “poveri” si cerca di lavorare a

processi produttivi a basso costo

che forniscono soluzioni diversif-

icate, “self-similar”, in osmosi con

il contesto specifico. In tal senso

African Fabbers intende essere

anche  un agenda di ricerca che

riflette la necessità di riconciliare

questi due approcci, raccoglien-

do la sfida di far interagire saperi

e tecniche millenarie con la cul-

si cerca di lavorare a processi produttivi a basso costo che forniscono soluzioni diversificate

tura della fabbricazione digitale.

Il progetto svilupperà nelle di-

verse tappe un FabLab itinerante,

concepito come atelier aperto e

interdisciplinare. Il laboratorio

ospiterà workshop, talks ed in-

stallazioni temporanee sui diversi

temi del computational design,

sempre combinando la sperimen-

tazione di macchine a controllo

numerico con l’uso di materiali e

tecniche locali e ecologici.

Alla conferenza di presentazione

al museo Madre sarà inoltre pre-

sentato il programma dei work-

shop, con una fitta agenda di

ricerca che coinvolge partner e

istituzioni culturali internazion-

ali.I workshop sono rivolti a stu-

denti, designer, artigiani e creati-

vi europei e africani. .

Scitto da Paolo Casconesu chefuturo.it del 9 Febbraio 2014

Page 41: Fablabfan n1

41FabLabFan

C’è una parte d’Italia che per us-

cire dalla crisi sta andando verso il

futuro. Sono gli italiani che hanno

scommesso sul valore della rete e

della cultura digitale, per rilanci-

are il settore portante del made

in Italy: la manifattura. Grazie

alla digital fabrication oggi tutti

sono potenzialmente designer e

produttori e questa rivoluzione

tecnologica – che alcuni chiama-

no la terza rivoluzione industriale

– premia una delle caratteristiche

storiche degli italiani: la creativi-

tà. Negli ultimi mesi stanno nas-

cendo ovunque dei FabLab, delle

palestre-laboratorio di fabbrica-

zione digitale dove migliorare le

proprie competenze e metter-

si alla prova. E il movimento dei

makers si va diffondendo in tutte

le regioni, spinto anche dalla pas-

sione di quanti credono che il fu-

turo sia nelle nostre mani, nelle

cose che sapremo costruirci. Per

rafforzare questo movimento,

per far crescere questa rete qual-

che giorno fa abbiamo costitui-

to la Italian FabLab and Makers

Foundation. Lo abbiamo fatto

accogliendo l’invito del “padre”

di questa rivoluzione, il profes-

sor Neil Gershenfeld, e seguendo

le indicazioni della Fab Founda-

tion, che coordina la rete mondi-

ale dei FabLab. Lo abbiamo fatto,

soprattutto, unendo le nostre tre

storie personali e professionali,

che sono diverse, ma che hanno

più punti di contatto di quanto

non appaia e che soprattutto oggi

hanno in comune una visione su

quale strada prendere per uscire

dal tunnel: ripartire da un nuo-

vo Made in Italy,, il nostro saper

fare, unito alle meraviglie della

digital fabrication. Lo abbiamo

fatto nella forma più trasparente

NASCE ITALIAN FABLAB AND MAKERSFOUNDATIONCari associati e lettori, è con piacere che pubblichiamo sul nostro sito un annuncio importante per la nostra associazione. Lascio i dettagli alle parole di Riccardo Luna, convinti che questa sia per noi una grande occa-sione di poter contribure attivamente e fin dall’inizio ad un grande cambiamento.Direttivo Make in Italy

Scritto da Riccardo Lunasu chefuturo.it del 4 febbraio 2014

e chiara: una Fondazione, nella

forma di una onlus, perché fosse

evidente a tutti quale sarà la stel-

la polare che guiderà la nostra

attività. Aiutare chi non ha mezzi

per esprimere il proprio talento,

sostenere i sogni e i bisogni de-

gli innovatori migliori, e soprat-

tutto lavorare sulle competenze

digitali degli italiani, dai bambini

agli anziani, perché solo così, solo

con un grande investimento sul-

la formazione potremo davvero

avere un futuro. Utili a chi vuole

aprire un FabLab, utili a chi vuole

farlo crescere trovando un mod-

ello di business, utili a chi vuole

diventare maker e non sa come

si fa, e utili a chi ne cerca uno

per affidargli un progetto. Per le

cose dette fin qui appare eviden-

te perché la Fondazione l’abbia-

mo chiamata Make in Italy, anzi

Make in Italy Cdb onlus, perché

vogliamo contribuire alla cresci-

ta di un nuovo made in Italy. Ma

lo abbiamo anche fatto d’intesa

con i vertici di una associazione

nata qualche mese fa, che si chi-

ama proprio Make in Italy, perché

questo movimento avrà successo

solo se sapremo fare rete e re-

stare uniti. E infatti nel consiglio

direttivo che andremo a formare

ci sarà posto per i rappresentan-

ti dei FabLab, della associazione

Make in Italy e di tutte quelle altre

realtà che stanno contribuendo a

diffondere la cultura del “fare dig-

itale”. Tra qualche giorno a Torino

ci sarà la presentazione ufficiale

della Fondazione. Non in una data

qualunque: il 14 febbraio, terzo

compleanno del primo FabLab

italiano. In fondo la storia che vi

abbiamo raccontato oggi, parte

da lì.

Page 42: Fablabfan n1

42 FabLabMag

MO

ND

O

Scritto da Stefano Banzisu Makezinedel 21 Novembre 2013

IN CINA I MAKERS SONO GIA’ LINDUSTRIA DEL FUTURO: IL MIO DIARIO DA SHANGHAIMassimo Banzi: “Subito dopo la travolgente esperienza della Maker Faire Rome ho lasciato l’Europa per un breve viaggio in Cina. Stanno succedendo un sacco di cose interessanti lì.”

Page 43: Fablabfan n1

43FabLabFan

Ci sono anche un molti progetti fatti con Arduino. Abbiamo scoperto però che più del 90 percento delle schede usate sono falsi. Non cloni di Arduino, ma falsi.

Subito dopo la travolgente espe-

rienza della Maker Faire Rome ho

lasciato l’Europa per un breve

viaggio in Cina. Stanno succeden-

do un sacco di cose interessanti

lì. Ci sono già stato due volte per

brevi periodi, così questa volta ho

deciso di andarci per incontrare

un po’ di persone e partecipare

a qualche evento a Shanghai e

Shenzhen.  Ho accettato l’invito

a parlare di Arduino  alla School

of Design dell’ Hong Kong Poly-

technic  University  e mentre ero

lì, William Liang (assistant pro-

fessor della stessa università) mi

ha portato a visitare la Dim Sum

Lab hackerspace.

Dim sum è un posto molto carino.

Hong Kong è fatta di una miriade

di piccole chicche come questa.

Allo stesso modo DimSum Lab os-

pita una miriade di comunità con

interessi diversi, dai programma-

tori ai maker.

Qualche giorno dopo un volo mi

ha portato a Shenzhen per incon-

trare delle persone al  SeedStu-

dio. Mi hanno portato in giro per

la città per scoprire la miriade di

opportunità che questa offre.

C’è ovviamente un vantaggio in

questo. E alcuni maker, se ben

organizzati, possono passare rap-

idamente da una piccola idea a

una larga scala di produzione con

costi molto più contenuti.

Questo non succede solo perché

lavorano vicino alle aziende.  Ma

soprattutto perché sono vici-

ni ad una polo produttivo dove

il 90 percento delle parti elet-

troniche sono fatte in Cina  e

ognuno può assemblare un

dispositivo velocemente gra-

zie al facile accesso ai prodotti.

Recentemente il Seed Studio ha

pubblicato la mappa dei maker

di Dhenzher, che sembra un po’

come la mappa delle celebrità

di Los Angeles. Solo che invece

di avere informazione sulle ville

degli attori famosi, qui trovi facil-

mente dove si trovano fornitori,

artigiani e hakerspace.

Ci sono anche un molti progetti

fatti con Arduino.  Abbiamo sco-

perto però che più del 90 percen-

to delle schede usate sono falsi.

Non cloni di Arduino, ma falsi.  Ne

abbiamo discusso con i ragazzi

di SeeStudio, che hanno sempre

avuto un grande rispetto del mar-

chio Arduino. E’ comprensibile,

in un certo senso, che un Ardui-

no fatto in Europa possa essere

troppo costoso per molti cinesi.

Sappiamo che l’interesse verso

Arduino è enorme e stiamo lavo-

ranno per fornire anche la Cina di

originali schede Arduino.

Come diciamo spesso, non è solo

un problema di fare schede e ven-

derle in un altro paese.  Bisogna

creare tutta la documentazione

ufficiale in cinese, con un forum

Page 44: Fablabfan n1

44 FabLabMag

ufficiale e una presenza sui social

media. Bisognerebbe fare vid-

eo esplicativi e condividerli su

Youtube (che non è accessibile a

molta gente in Cina). Dobbiamo

insomma cambiare il modo in cui

facciamo le cose per essere capa-

ci di interagire con la comunità

locale. Ci vorrà un po’.

In seguito, quando abbiamo vis-

itato l’hakerspace di Shenzhen

chiamato Chaihuo, alcuni di quel-

li che ho incontrato erano appena

tornati dalla Maker Faire di Roma.

Loro  mi hanno mostrato le loro

foto.  E’ stato incredibile ascoltarli

mentre raccontavano ai loro coe-

tanei cosa avevano visto e quali

progetti avevano conosciuto in

Italia.

Mi hanno fatto molte e dettagli-

ate domande e Eric Pan, del Seeds

Studio, ha fatto un grande lavoro

traducendo le mie risposte.

Dopo è stata la volta di Shanghai

dove ho parlato al Sino-Finn-

ish Center  del College of Design

and innovation alla  Tongji Uni-

versity. Ho visitato la comunità

delXinCheJian hackerspace  e ho

partecipato al HackedMatter, una

giornata interamente dedicata

a come ripensare la manifattura

dal punte di vista dei racconti di

fantascienza. Il topic era “come

la professionalizzazione della

cultura dei maker sta sviluppan-

MO

ND

O

do legami stretti con le piccole

aziende e i piccoli imprenditori,

cioè con il nucleo della produzi-

one di hardware in Cina” L’evento

è stato organizzato da Silvia Lind-

ter con il Shanghai Maker Carni-

val.

Durante l’Hacked Matter ho tenu-

to una conferenza sulla collabo-

razione, il concetto fondamentale

per Arduino, sottolineando l’idea

che l’innovazione non ha a che

fare solo con la tecnologia, ma

più sulla creazione di giuste col-

laborazioni con le persone giuste.

E’ stato interessante notare che la

comunità dei maker a Shanghai è

abbastanza diversa e composta

non soltanto da persone del pos-

to, perché molti stranieri si sono

trasferiti lì. Al Maker Carnival ho

conosciuto molti progetti di qual-

ità  e ho colto alcune differenze

con la comunità di Shenzhen. E’

stato anche interessante capire

come funziona la cultura cinese

e come Arduino può creare canali

per comunicare con quella cultu-

ra.

Le società di Open hardware di

tutto il mondo avrebbero mol-

ti vantaggi facendo un giro da

queste parti.  In particolare se

possono trovare qualcuno qui

con cui lavorare. Mescolandosi

con la comunità locale e andan-

do otre la barriera linguistica. Ci

sono  molte persone di talento lì,

capaci di realizzare progetti com-

plessi. In molti hakerspace che ho

visitato mi hanno fatto domande

interessanti e sono stato molto

fortunato ad avere qualcuno che

mi traducesse le loro curiosità.

Intelligenze che altrimenti non

avrei mai scoperto né incontrato.

Le società di Open hardware di tutto il mondo avrebbero molti vantaggi facendo un giro da queste parti.

Page 45: Fablabfan n1

45FabLabFan

Page 46: Fablabfan n1

46 FabLabMag

::/PROGRAMMATORE

Il Fab Lab Sassari cerca un

Programmatore da inserire nella

associazione come direttore del

settore informatico.

Dovrebbe occuparsi di

organizzare il laboratorio di open

hardware con l’uso di Arduino,

Organizzando corsi di formazione

e partecipando attivamente alla

ricerca e ai progetti portati

avanti dalla associazione.

Gestire la parte informatica del

sito internet.

OFFERTE DI COLLABORAZIONESE SEI INTERESSATO AD AVVICINARTI AL MONDO DEI MAKERS,E HAI VOGLIA DI COLLABORARE CON NOI NON ESITARE A SCRIVERCI A :[email protected]

::/WEB DESIGNER

Il Fab Lab Sassari cerca un

Web Designer da inserire nella

associazione come gestore del sito

internet e della comunicazione

dui social network.

Dovrebbe occuparsi

della realizzazione e

dell’aggiornamento del sito

internet, organizzare corsi di

formazione e workshop.

::/COMUNICATORE

Il Fab Lab Sassari cerca un

Comunicatore da inserire nella

associazinoe come adetto alla

comunicazione con i media.

Dovrebbe occuparsi della

creazione di contenuti per il sito

internet, social network, media

e la direzione editoriale della

FabLabFan.

Page 47: Fablabfan n1
Page 48: Fablabfan n1

FabLabMag è una fanzine realizzada dal Fab Lab Sassari, esce a cadenza aperiodica e raccoglie le notizie dal web sui Fab Lab.

se siete interessati a diventare soci o sostenitori inviateci una mail a: [email protected]

me[A]lab

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