La Stangata N1

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Lettera aperta di un bivonese libero Il tema è l'ormai celebre informativa dei carabinieri sul sindaco di Bivona Giovanni Panepinto. di GIUSEPPE PERCONTI I miei concittadini sicuramente ricor- deranno che oltre un mese addietro, precisamente il 22 gennaio 2011, sul settimanale agrigentino GRANDAN- GOLO (andato a ruba per l‟occasione) è stata pubblicata una dettagliata informativa dei Carabi- nieri, compagnia di Cammarata, che la testata non esitava a definire sho- ckante. Riferiva il giornale, tra le al- tre notizie, che le elezioni del sindaco di Bivona del 2007 erano state in- fluenzate dalla compravendita di voti oltre che da un intimo rapporto tra il sindaco onorevole e la omonima fa- miglia Panepinto, passata di recente al vaglio giudiziario del Tribunale di Sciacca, anche per il reato previsto dall‟art. 416 bis e condannata nei suoi membri ad oltre 70 anni di carcere. Venivano descritti metodi, strumenti, operazioni che sarebbero stati impie- gati per il raggiungimento del risulta- to desiderato e che avrebbero in- fluenzato (corrotto) il voto di molta povera gente che attende le elezioni per sentirsi un pizzico importante e considerata dal potente di turno. Ricordo che l‟esordio nella campagna elettorale del 2007 l‟ha visto chiama- re a raccolta le autorità civili e milita- ri (marescialli, questori, prefetti) af- finché vigilassero Segue a pag. 4 Gli abbozzati di FRANCESCO ARPA Essere giovani nel nuovo millennio è estremamente difficoltoso. Chi si tro- va ad avere un‟età compresa tra i 23 e i 35 anni, è sicuramente schierato sul fronte col fucile in mano. Dall‟altra parte della trincea ci sono i padri, la generazione che ha inventato i jeans, il rock, la minigonna ed è scesa in piazza a manifestare per i propri dirit- ti, civili e politici. Poi ha fatto veloce- mente carriera. E adesso, dopo aver fatto incetta di case e pensioni ed es- sersi saziata alla tavola del boom eco- nomico… Segue a pag. 3 Nucleare SI o NO? Di Salvatore cannella L‟energia nucleare nasce ufficialmente nel 1934 con gli esperimenti portati avanti da alcuni scienziati, tra cui il fisico italiano Enri- co Fermi. Con energia nuclea- re si intendono tutti quei fenomeni in cui si produce energia in seguito a reazio- ni, di fissione o di fusione, nei nuclei atomici. Spesso il nucleare viene presentato come un male da combattere o come miracolosa pozione per risollevare l‟economia naziona- le. Quella atomica rap- presenta un‟opzione energetica e, come le altre, ha i suoi “pro” e i suoi “contro”, essendo una fonte di alimen- tazione alternativa molto controversa. Segue a pag. 8 La Stangata nasce un pomeriggio di Agosto come progetto dell‟associazione Strada Statale 118, e nasce dall‟esigenza di un gruppo di ragazzi di esprimere la propria opinione sugli argomenti più disparati, senza che ci sia nessuno a impedirgli di farlo. In qualità di direttore, infatti, non ho impedito a nessuno di esprimere la propria opinione dalle pagine di questo giornale, ma anzi a chi mi chiedeva che impronta dare al suo articolo rispondevo di dare libero sfogo al suo pensiero. La maggior parte dei redattori sono studenti universitari , è stato quindi inevitabile avere degli articoli di settore che, tuttavia, non hanno la pretesa di imporsi come tali; troverete anche articoli di opinione che ognuno è libero di condividere o meno e articoli di cronaca di diversa natura. Infine non mi resta che ringraziare la grafica e la redazione per l’ottimo lavoro svolto e voi lettori che spero ci seguirete con interesse. Buona lettura Sofia Traina L’Associazione “SS118” nasce nel 2008, dall’iniziativa di giova- ni studenti universitari, motivati dalla volontà di vivere l’esperienza degli studi non solo come momento formativo proiettato verso l’esercizio delle professioni future, ma anche come momento di formazione umana e personale, intende per- ciò affrontare temi e problematiche attuali della vita sociale. festa dei BIVONESI PARMA 2011 Aprile 2011 n°1 Un diario Bivonese

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Prima edizione del giornale "La Stangata"

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Page 1: La Stangata N1

Lettera aperta di un bivonese libero Il tema è l'ormai celebre informativa dei carabinieri sul sindaco di Bivona Giovanni Panepinto.

di GIUSEPPE PERCONTI I miei concittadini sicuramente ricor-deranno che oltre un mese addietro, precisamente il 22 gennaio 2011, sul settimanale agrigentino GRANDAN-GOLO (andato a ruba per l‟occasione) è stata pubblicata una dettagliata informativa dei Carabi-nieri, compagnia di Cammarata, che la testata non esitava a definire sho-ckante. Riferiva il giornale, tra le al-tre notizie, che le elezioni del sindaco di Bivona del 2007 erano state in-fluenzate dalla compravendita di voti oltre che da un intimo rapporto tra il sindaco onorevole e la omonima fa-miglia Panepinto, passata di recente al vaglio giudiziario del Tribunale di Sciacca, anche per il reato previsto dall‟art. 416 bis e condannata nei suoi membri ad oltre 70 anni di carcere. Venivano descritti metodi, strumenti, operazioni che sarebbero stati impie-

gati per il raggiungimento del risulta-to desiderato e che avrebbero in-fluenzato (corrotto) il voto di molta povera gente che attende le elezioni per sentirsi un pizzico importante e considerata dal potente di turno.

Ricordo che l‟esordio nella campagna elettorale del 2007 l‟ha visto chiama-re a raccolta le autorità civili e milita-ri (marescialli, questori, prefetti) af-finché vigilassero …

Segue a pag. 4 Gli abbozzati

di FRANCESCO ARPA

Essere giovani nel nuovo millennio è estremamente difficoltoso. Chi si tro-va ad avere un‟età compresa tra i 23 e i 35 anni, è sicuramente schierato sul fronte col fucile in mano. Dall‟altra parte della trincea ci sono i padri, la generazione che ha inventato i jeans, il rock, la minigonna ed è scesa in piazza a manifestare per i propri dirit-ti, civili e politici. Poi ha fatto veloce-mente carriera. E adesso, dopo aver fatto incetta di case e pensioni ed es-sersi saziata alla tavola del boom eco-nomico… Segue a pag. 3

Nucleare SI o NO? Di Salvatore cannella

L‟energia nucleare nasce ufficialmente nel 1934 con gli esperimenti portati avanti da alcuni scienziati, tra cui il fisico italiano Enri-co Fermi. Con energia nuclea-re si intendono tutti quei fenomeni in cui si produce energia in seguito a reazio-ni, di fissione o di fusione, nei nuclei atomici. Spesso il nucleare viene presentato come un male da combattere o come miracolosa pozione

per risol levare l‟economia naziona-le. Quella atomica rap-presenta un‟opzione energetica e, come le altre, ha i suoi “pro” e i suoi “contro”, essendo una fonte di alimen-tazione alternativa molto controversa. Segue a pag. 8

La Stangata nasce un pomeriggio di Agosto come progetto dell‟associazione Strada Statale 118, e nasce dall‟esigenza di un gruppo di ragazzi di

esprimere la propria opinione sugli argomenti più disparati, senza che ci sia nessuno a impedirgli di farlo. In qualità di direttore, infatti, non

ho impedito a nessuno di esprimere la propria opinione dalle pagine di questo giornale, ma anzi a chi mi chiedeva che impronta dare al suo

articolo rispondevo di dare libero sfogo al suo pensiero. La maggior parte dei redattori sono studenti universitari , è stato quindi inevitabile

avere degli articoli di settore che, tuttavia, non hanno la pretesa di imporsi come tali; troverete anche articoli di opinione che ognuno è libero

di condividere o meno e articoli di cronaca di diversa natura. Infine non mi resta che ringraziare la grafica e la redazione per l’ottimo lavoro

svolto e voi lettori che spero ci seguirete con interesse.

Buona lettura

Sofia Traina

L’Associazione “SS118” nasce nel 2008, dall’iniziativa di giova-ni studenti universitari, motivati dalla volontà di vivere l’esperienza degli studi non solo come momento formativo proiettato verso l’esercizio delle professioni future, ma anche come momento di formazione umana e personale, intende per-ciò affrontare temi e problematiche attuali della vita sociale.

festa dei BIVONESI

PARMA 2011

Aprile 2011 n°1

Un diario Bivonese

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INTERVISTA AD

ALFONSO SABELLA di FILIPPO PERCONTI

Alfonso Sabella, nostro concittadino nato a Bivona classe 1962, entra nella procura di palermo nel 1993 prima come uditore giudiziario e poi come magistrato del pool antima-fia. Noto per le sue numerose operazione nella DDA di Palermo. A lui è stato ricondotto il coordinamento delle indagini per numerosi arresti tra cui spiccano quelli di Leoluca Bagarella, Pietro Aglieri e Giovanni Brusca. Pochi mesi prima della pubblicazione del suo libro avevo avuto il piacere di intervistarlo. Molti di questi argomenti sono stati ben più approfonditi nelle pagine de “Il Cacciatore di Mafiosi”, scritto da lui stesso, ma trascrivere le sue parole direttamente dal registratore ha suscitato in me qualcosa di nuovo e inaspettato. Con la promozione di questa intervi-sta voglio suscitare in voi proprio questo, quel senso di forza e orgoglio che ho prova-to quando ho letto questo testo per la prima volta. Qual è stato il suo ruolo alla DDA Palermo? Ho iniziato a lavorare nella DDA di Palermo nel 1993. Era l‟anno successivo alle stragi di Capaci e via D‟Amelio, l‟anno in cui Cosa Nostra aveva continuato a sferrare il suo attacco al cuore dello Stato con le, troppo spesso dimenticate, c.d. stragi del continente; è bene ricor-dare, infatti, gli attentati della Galleria degli Uffizi a Firen-ze, delle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio, del Velabro a Roma e quelli del Padiglione d‟Arte contem-poranea in via Palestro a Milano. L‟anno si era aperto, per noi magistrati, sotto il migliore degli auspici con la cattura del cosiddetto “Capo dei capi”, Totò RIINA, latitante da quasi venticinque anni. É proprio la ricerca dei latitanti e l‟individuazione e l‟arresto dei componenti dei gruppi di fuoco, responsabili di centinaia di omicidi e delle stragi, è stato l‟obiettivo principale della Procura di Palermo diretta, in quegli anni, da Gian Carlo Caselli che, finalmente, cominciava a far crollare il mito dell‟inafferrabilità dei boss. Io, appunto, mi sono occupato proprio di „questo: del contrasto alla mafia militare e della ricerca dei latitanti. Ho coordinato le indagini che hanno portato alla cattura di diversi capi di Cosa Nostra datisi alla mac-chia da diversi anni tra cui Leoluca Bagarella, cognato di Riina, Giovanni Brusca, l‟esecutore materiale della strage di Capaci, Pietro Aglieri, il braccio destro di Bernardo P, Mico Farinella, il boss delle Madonie, Nicola Di Trapani, reggente della zona di Resuttana, Vito Vitale, capo manda-mento di Partinico, e altri, killer ed uomini d‟onore al ser-vizio di Cosa nostra. Ho poi lavorato a lungo sugli omicidi di mafia commessi nel palermitano negli anni „90, spesso riuscendo ad individuare e a far condannare i responsabili. Ricordo un processo, in particolare, tra le decine di cui mi sono occupato: quello per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, di appena tredici anni, tenuto segregato per

oltre due anni e poi ucciso e disciolto nell‟acido solo perché il padre, Santino, aveva iniziato a collaborare con la Giusti-zia. Una vicenda terribile e dolorosissima per me e per tutti quelli, tra investigatori e magistrati, che ne avevamo segui-to l‟evolversi. Lei ha dichiarato che: ”se il Maxiprocesso fosse fatto oggi, con le nuove regole introdotte dal legislatore, sarebbero tutti assolti”. Perchè? Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme ai loro colle-ghi del pool antimafia dell‟Ufficio istruzione di Palermo, hanno compiuto un‟opera memorabile riu-scendo a quei tempi, con quei pochi mezzi e quei pochi collaboratori di Giustizia che avevano a disposizione, ad istruire il più grande processo mai celebrato a carico degli uomini d‟onore. La sentenza del maxiprocesso con cui,

finalmente, si affermava definitivamente l‟esistenza nel nostro Paese di un‟associazione di tipo mafioso denomina-ta Cosa Nostra sarà confermata dalla Cassazione il 31 gen-naio 1992 e, quella decisione, costituirà per la mafia la goc-cia che ha fatto traboccare il vaso e sarà proprio alla base dei due attentati che, a distanza di pochi mesi, provoche-ranno la morte di Giovanni e Paolo. Ma il nostro è uno strano Paese, un Paese che non riesce a imparare nemme-no dai propri successi. Negli anni successivi, dopo il primo periodo di grandi risultati agevolati da normative restritti-ve, le maglie della legislazione si sono sempre più allargate trasformando il processo penale in un percorso ad ostacoli per Giudici e Pubblici Ministeri e innalzando sempre più il livello probatorio richiesto per condannare qualcuno. Il culmine, a mio avviso, si è toccato con quella riforma chia-mata del “giusto processo”, come se quelli precedenti, compreso il maxi di Falcone e Borsellino, fossero stati in-giusti. Molti mafiosi del maxi erano stati condannati defi-nitivamente sulla base di una sola attendibile chiamata in correità di Buscetta o Contorno e qualche riscontro costitu-ito da rapporti economici o personali con altri mafiosi, prove queste che, oggi, non sarebbero nemmeno sufficienti a richiedere un provvedimento di custodia cautelare. Per questo è facile affermare che se dovessimo giudicare ades-so i mafiosi condannati nel maxiprocesso questi verrebbe-ro, per la maggior parte, inevitabilmente assolti

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Il termine judè tra leggenda e realtà di GIOVANNI VACANTI

Non esiste bivonese che almeno una volta non abbia sentito dirsi judè. In effetti è questo il soprano-me con cui veniamo identificati, anche se nessuno sa l‟effettivo mo-tivo per cui ci attribuiscono questo sopranome. I nostri nonni ci han-no sempre raccontato che, durante un Venerdì Santo, mentre si svol-geva la consueta processione, iniziò a piovere a di-rotto, cosi che i miei cari concitta-dini abbandonarono il simulacro per cercare un riparo. Altri dicono che il sopranome derivi dal populo me cantato dai bivonesi durante il Venerdì Santo, ossia un lamento dei cosiddetti Improperia che il Cristo rivolge al popolo giudaico per avergli inflitto le sofferenze della flagellazione e

l‟agonia della croce. Il termine ju-dè ci viene rivolto in senso dispre-giativo, assumendo il significato di traditore. In realtà il termine non è altro che un dialettalismo per indi-care il corrispondente in italiano giudeo, ossia ebreo. A primo im-patto, sembrerebbe che non ci sia alcun collegamento tra giudei e il nostro paese. Va detto, a questo proposito, che Bivona, oltre che arabi e normanni, ha ospitato an-che una consistente comunità e-braica, situata nella zona di “Piazza San Domenico”. Purtroppo sono pochissime le testimonianze rimaste sulla comunità ebraica a Bivona. Per trovarne qualcuna oc-corre cercare nei vecchi archivi notarili ove si conserva un atto del marzo 1428, nel quale viene citato il nome di un ebreo residente nel nostro paese e addirittura viene confermata la presenza della co-munità di ebrei a partire dal tre-cento. Cercando tra gli atti notarili

di Palermo, troveremo anche alcu-ni ebrei che si sono trasferiti dalla comunità ebraica bivonese al ca-poluogo siciliano. La comunità ebraica scomparve nel 1492, perio-do in cui si assistette alla cacciata degli ebrei dalla Sicilia da parte di re Ferdinando V di Aragona. Sono queste le tre ipotesi da cui può de-rivare il nostro appellativo di judè. A chi tale termine può sembrare ingiurioso, al fine di alleviare la sua pena, faccio notare che non siamo i soli ad avere il privilegio di questo appellativo, ma esso è con-diviso con altri comuni.

GLI ABBOZZATI di FRANCESCO ARPA

Essere giovani nel nuovo millennio è estremamente difficoltoso. Chi si trova ad avere un‟età compresa tra i 23 e i 35 anni, è sicura-mente schierato sul fronte col fucile in mano. Dall‟altra parte della trincea ci sono i padri, la generazione che ha inventato i jeans, il rock, la minigonna ed è scesa in piazza a manifestare per i propri diritti, civili e politici. Poi ha fatto velocemente carriera. E adesso, dopo aver fatto incetta di case e pensioni ed essersi saziata alla tavola del boom economico, ci lascia un eredità di contratti preca-ri, debiti pubblici a mai finire e persino la minaccia di un disastro ecologico. Mi è bastato navigare su alcuni siti internet per render-mi conto come la crisi socio-occupazionale, che stiamo subendo, si stia diffondendo a macchia d‟olio. Tra le tante dichiarazioni, per ragioni di sintesi, riporto quella di una mia coetanea, che a soli 25 anni, scriveva: “Davvero non capisco perché non riesco a trovare lavoro,, perché sono costretta a fare mesi di stage spesso non retribuiti. Mi sono laureata in tre anni e mezzo. Perché nessun datore di lavoro viene ad accogliermi a braccia aperte?”. Per chi è abituato a ragionare in termini di lotta di classe, questo conflitto è del tutto nuovo: padri ingordi (negli Stati Uniti è nota come la Generation Greeder) che hanno espropriato il nostro futu-ro, azzoppandoci sulla linea di partenza. E‟ paradossale, con una mano ci coccolano e con l‟altra ci dissanguano. Ci consentono di studiare e fare chissà quale specifico master ma al contempo le loro scelte passate, (finalizzate alla creazione di un sistema lonta-no anni luce dal principio meritocratico; improntate sul welfare, anche se poi hanno fatto posto all‟individualismo; basate sullo sperpero delle risorse pubbliche che se accuratamente spese a-vrebbero dato più lustro alle zone sottosviluppate come la Sicilia), condizionano gravemente le nostre scelte occupazionali. Hai vo-glia a parlare di flessibilità. Ma viene da chiedersi, quale tipo di flessibilità dovremmo sopportare? Quella che permette di fare esperienze lavorative in diversi settori dell‟azienda, che propone il part-time, che protegge la maternità, oppure una misura che inde-bolisce la forza contrattuale del giovane e tutela solo il datore di lavoro? E infine, la flessibilità del lavoro quale miglioramento arreca? Alessandro Rosina, professore di demografia all‟università Cattolica di Milano, in un suo intervento sulle nuove condizioni socio-occupazionali dei giovani, affermava che “La condizione dei giovani è peggiorata nel tempo. Basta, infatti, fare riferimento al

primo impiego, che ci si accorge, che tra i 25 ai 30 anni, in Italia, risultano occupati due giovani su tre, contro i tre giovani su quattro degli altri paesi europei. Nel 2004, i laureati che sono riusciti a trovare lavoro entro i tre anni dalla laurea, erano il 56 per cento, contro il 63 per cento del 2001”.

Per non parlare poi della spesa pubblica ereditata. Ogni mio coetaneo, che inizia a lavorare, ha sulle spalle un debito pub-blico di 80mila euro. Suo padre, che iniziava a lavorare prima, n‟aveva 10mila. Vi è inoltre la scoraggiante iniquità incontrata nel sistema delle retribuzioni. Tito Boeri, economista della Bocconi, infatti ha affermato che “tra aliquote Imps e tasse, la metà del salario di un giovane serve a pagare i pensionati. Quando verrà il suo turno, per andare in pensione, prenderà il 20-30 per cento in meno del suo beneficiario”.

Credo che le istituzioni possano tornare a giocare un ruolo significativo, solo se capaci di garantire una maggiore capa-cità d‟investire su riforme serie ed essenziali, idonee a program-mare ad ampio respiro una società più equa e meno ingannevole verso noi giovani, considerati sempre di più come membri di una categoria debole, e di abbattere il gap che tutto ora esiste tra noi e i nostri padri. Sono convinto che tutto questo si realizzerebbe velocemente se, in Italia, l‟elettore medio non avesse 47 anni. Purtroppo, la nostra rappresentanza politica è minima, così come la nostra prospettiva di abbandonare lo status di “figlio a tempo indeterminato” o, più comunemente, di “bamboccione”. Costretti a considerare sempre di più la famiglia come un ammortizzatore sociale, contando su di essa, allo stesso modo in cui un lavoratore conta sulla cassa integrazione. A tutto questo, occorre reagire seriamente, per ritornare ad occu-pare un ruolo centrale nelle scelte guida per la crescita del sistema paese. Dovremmo smetterla di comunicare solo via internet, per manifestare malesseri e dissensi. Thomas Friedman ci definisce la Generation Quiet, ovvero generazione silenziosa, per la tendenza a portare avanti battaglie non gridandole in piazza, ma digitandole on-line. E così non riusciamo ad articolare il malumore in prote-sta, come è stato per le generazioni precedenti che hanno usato la piazza del ‟68 e le radio libere del ‟77 per far sentire la loro voce. Dobbiamo riscoprire il tempo per reclamare indietro il futuro. Bisogna continuare, laddove si è iniziati, a farci sentire, affinché plasmando un buon presente vivremo in un futuro migliore.

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Lettera aperta di un bivonese libero di Giuseppe Perconti

I miei concittadini sicuramente ricorde-ranno che oltre un mese addietro, preci-samente il 22 genna-

io 2011, sul settimanale agrigentino GRANDANGOLO (andato a ruba per l‟occasione) è stata pubblicata una dettagliata informativa dei Carabinie-ri, compagnia di Cammarata, che la testata non esitava a definire shockan-te. Riferiva il giornale, tra le altre noti-zie, che le elezioni del sindaco di Bivo-na del 2007 erano state influenzate dalla compravendita di voti oltre che da un intimo rapporto tra il sindaco onorevole e la omonima famiglia Pa-nepinto, passata di recente al vaglio giudiziario del Tribunale di Sciacca, anche per il reato previsto dall‟art. 416 bis e condannata nei suoi membri ad oltre 70 anni di carcere. Venivano de-scritti metodi, strumenti, operazioni che sarebbero stati impiegati per il raggiungimento del risultato desidera-to e che avrebbero influenzato (corrotto) il voto di molta povera gente che attende le elezioni per sentirsi un pizzico importante e considerata dal potente di turno. Ormai da oltre venti anni il turno dei potenti si è incastrato nella casella

dedicata all‟onorevole che pur di non arretrare di un millimetro nella spa-smodica conquista di ogni spazio di potere non si concede tregua e non va certo per il sottile. Non entro nel meri-to dei rapporti affettivi, di coniugio ed affinità, di comparaggio, descritti nella informativa (il suocero, la moglie, il compare) ma vorrei ricordare come dal podio di Piazza Marconi, nel corso delle numerose campagne elettorali che lo vedono ormai indiscusso prota-gonista, non abbia esitato, addestran-do in questo anche i suoi clientes, a rovesciare valanghe di fango all‟indirizzo di persone perbene che hanno il solo torto di pensare ed agire in maniera diametralmente opposta e giammai conciliabile con i metodi da lui esternati nel suo lunghissimo cursus honorum. Ricordo che l‟esordio nella campagna elettorale del 2007 l‟ha visto chiamare a raccolta le autorità civili e militari (marescialli, questori, prefetti) affin-ché vigilassero attentamente su quello che stava per accadere a Bivona dove una masnada di malfattori, guidati da Maurizio Traina, avrebbe sfondato la porta con i piedi per estorcere il voto ad elettori indifesi. A rafforzare l‟appello vennero evocati tetrasavoli in linea collaterale del candidato sindaco a d ev idenziar e l ‟ inc l ina z ione “genetica” al malaffare e i trascorsi familiari nell‟onorata società. Eviden-temente le autorità di P.S. presero tanto sul serio l‟appello, che hanno

acceso i riflettori sulle elezioni ammi-nistrative e, ironia della sorte, hanno trovato lui con le mani nel sacco. Lui, si, proprio lui, il sindaco onorevole. Che ha condotto la campagna elettora-le probabilmente con i metodi che avrebbe voluto riferire ad altri. Sfon-dando la porta degli elettori, promet-tendo di tutto e di più, raggirando per l‟ennesima volta quella povera gente che si affidava ancora all‟illusionista che, nel frattempo, era divenuto più abile e potente. Caudillo di paese, lo aveva chiamato l‟amico, poi divenuto nemico, Chiara-monte che in ultimo nominato asses-sore veniva rabbonito, inquadrato ed allineato anche lui nello schieramento. Nell‟accusare altri di metodi mafiosi e prossimità alla consorteria mafiosa dimenticava però i suoi legami fami-liari, le sue frequentazioni, i suoi vin-coli di comparaggio. Non è il caso di rievocare quanto dettagliatamente riportato dall‟organo di stampa, ma è tuttavia necessario effettuare e richie-dere qualche puntualizzazione: Nessu-no la vuole intimidire, d'altronde non sarebbe una cosa semplice; anzi tutt‟al più si potrebbe verificare il contrario, che sia lei ad intimidire altri dall‟alto della sua forza e della sua potenza politica, amministrativa e mediatica nonché per le sue contiguità personali.

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Il disagio celato di CRISTINA DI LIO E‟ sera. Bivona piccolo paesino dell‟entroterra sicilia-no, nonché sede della Associazione SS118, sembra una città fantasma del Far West. Se non fosse per le case, il cemento e le strade ricoperte d‟asfalto, sem-brerebbe una di quelle città, inesistenti, nata dalla fantasia di un autore di fumetti, dove tu giovane, ar-rivi cavalcando insieme ai tuoi amici, alla ricerca di un bar dove dissetarti dalla lunga attraversata. Inve-ce il nulla. Invece solo poche anime vaganti in un luogo ormai perso nel tempo. Generalmente si pensa che il dolore “psichico” debba appartenere al mondo dei “GRANDI”, ci disturba vedere un ragazzo triste, annoiato, angosciato o arrabbiato. Purtroppo, tutti siamo esposti agli eventi che lo determinano. Questo è ciò che da qualche tempo crea il nostro paese: la

mancanza di svaghi, di divertimento puro, di luoghi siti come centri di aggregazione giovanile, non fa altro che sottolineare il disagio fisico e psichico che vivono gli adolescenti in questo paese. È qui, in que-sto tetro disegno di un luogo ormai desolato vivono quei ragazzi, quegli adolescenti che, in attesa di ini-ziare una nuova vita lontano da qui, cercano rifugio e conforto nella braccia accoglienti dell‟illegalità. Po-trei continuare a lungo discutendo sull‟esplosione del disagio che viviamo e che non fa altro che sprigiona-re la sofferenza psichica di ognuno di noi. Vorrei, invece, mettere in risalto il lavoro svolto dall‟ Asso-ciazione SS118 e di come siano riusciti, questa estate, a creare momenti di scambio, incontri e ore liete, attraverso la realizzazione di tutta una serie di attivi-tà che hanno coinvolto: grandi, piccoli, medi e ben-pensanti, riuscendo nel loro intento di progettare per loro (giovani) e per la loro BIVONA. Per cui un Au-gurio di cuore per i progetti futuri, perché tutto ciò che fino ad ora avete realizzato possa essere l‟inizio di un percorso senza fine.

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(Giovanni Panepinto)

Vorremmo capire perciò se il fango che lei assume esserle stato lanciato contro sia stato scagliato dai Carabi-nieri, se cioè i Carabinieri ordinaria-mente gettano fango addosso alle per-sone; se ciò sia avvenuto in autonomia o se gli stessi, come Lei pare ritenere, siano l‟utile strumento nelle mani di una regia occulta che si alimenta di scritti anonimi, quelli che a suo dire hanno caratterizzato le ultime elezioni comunali e che qualcuno dei suoi clienti riteneva profumassero di “margherita”. E che dire delle foto pubblicate su GRANDANGOLO? Sono forse frutto di un abile montaggio? E del trono piazzato sul cartellone della ditta Panepinto appositamente allesti-to per i festeggiamenti è forse il frutto di un‟allucinazione collettiva. Lei sostiene che la sua terza elezione ha posto fine alla gestione di piccoli e grandi interessi e che lì deve essere ricercata la ragione di tanto “fango”.

Che tipo di interessi ha, finalmente, smascherato la sua rielezione?, illeciti suppongo! Lo dica, non abbia esitazio-ni. Ma il vero problema attualmente è un altro. La città attraversa forse il momento più buio della sua storia repubblicana. I posteri non potranno non ricordare che durante i suoi nu-merosi mandati amministrativi alla carica di sindaco di Bivona, la città ha smarrito i suoi originari connotati di cittadina libera, evoluta, aperta, acco-gliente, coesa, operosa, punto di riferi-mento culturale per un ampio bacino territoriale. Oggi Bivona, al pari di altre città della nostra martoriata provincia come Pal-ma di Montechiaro, Favara, Licata, è unicamente identificata come città di mafia e di mafiosi. La città è attonita, intimidita, impaurita e perciò omerto-sa. Anch‟io avverto questo senso pro-fondo di smarrimento e paura. Sono fortemente combattuto nella scelta tra l‟adempimento del dovere civile di manifestare liberamente la propria opinione e la comprensibile condizio-ne di silenzio in cui si è ridotta la città. Ho atteso che altri, prima e meglio di me, si interrogassero pubblicamente su ciò che stava accadendo. Ho auspi-cato che i consiglieri di minoranza eletti nel 2007 chiedessero conto di quanto appariva sui giornali. Ho invi-tato il mio caro amico candidato sin-daco a farsi interprete dei silenzi, delle paure e delle timidezze di quei 1.244 cittadini che in assoluta libertà lo han-no sostenuto in una dura battaglia civile. Ho atteso che sedicenti “forze politiche” di diversi schieramenti, compreso quello al quale sono appro-dato da naufrago della politica locale, battessero un colpo. Ho atteso che il partito, di cui è tra massimi esponenti il sindaco onorevole, così solerte ed

attento, così professionale quando si tratta di mafie conclamate ma distanti, di forte impatto mediatico ma con la garanzia della condanna definitiva magari a più ergastoli, manifestasse e si indignasse, e chiedesse conto di quanto denunciato. Ed invece nulla. Nulla di tutto questo. Ho letto invece di attestati bipartisan di solidarietà all‟indirizzo del magi-strato Salvatore Vella vittima a Bi-vona di una intimidazione tracotante ed ardita il 4 marzo scorso. Da loro, dagli amministratori, dai consiglieri di maggioranza e di minoranza, solo un assordante silenzio sulle clamorose rivelazione di GRANDANGOLO che hanno riguardato il nostro primo citta-dino come se la diffusione delle inve-stigazioni operate dalla DDA fosse un pettegolezzo su cui non vale la pena soffermarsi.Se fosse vero ciò che il sindaco onorevole dice sul conto delle forze dell‟ordine e della magistratura, dovrebbe consentire loro di operare con serenità, sgomberando il campo, facendosi da parte, così che si facesse chiarezza sul suo conto. La nostra città non può sopportare il peso enorme del dubbio se a guidarla sia uno specchiato amministratore o un uomo senza scrupoli. Deve andare dal magistrato, deve chiedere conto del suo status. La città che lei dice di amministrare con il cuore ha il diritto di sapere se è indagato oppure no.Io oggi mi ritrovo ancora una volta solo, come già mi accadde nel 1997, ad alza-re un grido, affinché la città possa riac-quistare la dignità perduta. Attendo che altri, insieme a me, concorrano a squarciare la cappa di piombo che la soffoca. Attendo. Forse vanamente. E nell‟attesa, vi confesso, ho un po‟ pau-ra.

LA SALUTE IN... PILLOLE

di VALERIA VACANTI

Parlare di medicina non è una cosa semplice. Ancora più difficile è scriverne e dare delle indicazioni da “seguire”. Cercherò di fare questo in questa piccola rubrica, permettendomi di dare dei consigli che come delle “pillole” possano veni-re usati ed assimilati nella quotidianità, cercando ma-gari di fare anche un po‟ di prevenzione, perché, come si dice, “prevenire è meglio che curare”! Tra noi ragazzi è diventato comune e diffuso farsi il

piercing o il tatuaggio, forse per contraddistinguerci dagli altri, o per sentirci uguali agli altri, perché ci piacciono o semplicemente per comunicare. Ma un tatu-aggio o un piercing è pur sempre un intervento sul corpo che comporta modifi-che più o meno permanenti e che comunque presenta dei rischi. Ecco alcuni consi-gli, le “pillole”, per essere “alla moda” senza mettere a repentaglio la propria salu-te. -Scegliamo centri autorizza-ti, fare il piercing in casa propria non è una genialata perché se gli strumenti non sono sterilizzati possono venire infezioni,tra cui il tetano, -I centri autorizzati devono utilizzare macchinari, aghi,

inchiostro e contenitori ste-rili, alcune malattie si posso-no trasmettere per via ema-tica, cioè tramite il sangue, si può andare incontro a patologie come l‟epatite B o la C, o l‟AIDS; -Le epatiti B e C sono malat-tie, causati da particolari virus, che modificano il fun-zionamento del fegato tanto da poterlo rendere, nel corso degli anni, insufficiente, non vi preoccupate si può guari-re! -L‟AIDS è una malattia, cau-sata dall‟HIV virus, che por-ta alla progressiva distruzio-ne di alcuni sistemi di difesa del nostro organismo, pur-troppo ancora non è stata trovata una terapia per gua-rirne, -Sia i piercing che i tatuaggi possono causare anche delle

reazioni allergiche, quindi attenzione ai materiali! -La zona del corpo interes-sata va medicata con garze sterili e prodotti specifici, -Naturalmente bisogna esse-re maggiorenni, se non lo si è necessita il consenso dei genitori. Quindi, oltre a convincere i genitori (…buona fortu-na!!!), state con gli occhi ben aper-ti, e per qualsiasi dubbio rivolgetevi ai centri autoriz-zati ed al medico di famiglia Spero vi siano utili queste “pillole” per evitare di prendere quelle vere… Alla prossima!!!

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WOODSTOCK : TRA SESSO E UTOPIA, UN ELOGIO ALLA MUSICA.

di Carmen Perconti

1969. Armstrong passeggia sulla Luna. 1969. new york da il via alla rivolta Stonewall per i diritti di gay e transessuali. 1969. Brian Jones (fondatore dei Rolling Stones) viene trovato morto sul fondo della sua piscina. 1969. WOODSTOCK. Tra perversione e trasgressione, tra lotte per i diritti civili e la liberazione dai più grandi tabù della società, tra urli soffocati e rock viscerale nasce il più grande raduno musicale della storia. I quattro promotori – Michael Lang, John Roberts, Joel Rosenman e Artie Konfeld – volevano solo ricavarne benefici economici ma fecero male i loro calcoli. Non immaginavano infatti che più di 400 mila persone si sarebbero catapultate sul campo del pastore Max Yasgur per celebrare gli inni di una trasformazione ormai al culmine della sua escalation. Figli dei fiori, musicisti e capelloni. Sognatori,pacifisti e hipster, sul prato di Woodstock, inghiottivano note di rock generando emozioni contorte. Il concerto ebbe luogo a Bethel, una cittadina a 80 miglia da New York. Iniziò alle 17.07 del 15 agosto con Richie Evans e la sua Freedom, che dovette ripetere ben sette volte sotto richiesta del pubblico. L‟evento terminò solo tre giorni dopo con Jim Hendrix, che mise in scena lo spettacolo più lungo della sua

carriera (due ore). Ad assistere al suo distorto inno nazio-nale vi era una folla di sognatori scalpitanti. Gente che amava senza distinzione, che danzava senza pudore. Gen-te fortemente devota agli ideali comuni di pace, amore e libertà. Gente che aveva deciso di dir basta all‟orrore vietnamita, alla discriminazione di razza, sesso e classe sociale. Predicavano l‟amore libero e vi credevano davve-ro. A quarant‟anni dalla manifestazione giovanile più affasci-nante della storia nessun evento commemorativo degno di nota. Il concerto di Woodstock fu, in effetti, qualcosa che si generò dal nulla. Nessuno su quel prato immagina-va di aver cambiato la storia per sempre , come nessuno riuscirà mai a ricreare quell‟atmosfera imperturbabile che mescolava i sogni con la realtà. Basti solo pensare a chi varcò quei recinti. Alcune delle più gradi rockstar di tutti i

tempi, infatti, parteciparono all‟evento; Artisti come Janis Joplin ed il suo tormentato soul, gli Who , che alle 5 del mattino di dome-nica 17 infiammarono la folla distruggendo costosissime chitarre; Joan Baez, allora incinta di sei mesi; Santana ancora ventiduenne e Joe Cocker con una singolare interpretazione di Delta Lady . Mancavano invece i Beatles ormai in procinto di sciogliersi e Bob Dylan che si giustificò ufficialmente annunciando l‟incidente del figlio avvenuto poche settimane prima. Ma queste son solo briciole del grande banchetto woodstockiano. Tra il susseguirsi di voci intramontabili, chiunque su quel campo si spogliò dai vestiti e dagli schemi rigidi della società, rotolandosi tra fango, lsd e mar-juana. Nessuna responsabilità incombeva più sulle loro vite se si trattava di lottare per qualcosa di più grande. Di tanta audacia, ai giorni nostri, rimane solo l‟eco. È proprio per questo che quando abbiamo visto Obama correre per la presidenza ci siamo scaraven-tati in quella Woodstock che tanto abbiamo sognato. Chiunque ha cominciato a credere che chi morì di speranza non morì invano. Ma questa vittoria ,che ci appartiene direttamente è solo uno dei tanti traguardi inseguiti per quarant‟anni. Ma è la musica la vera protagonista. quella musica che continuiamo ad ascoltare, invidio-si di chi su quel prato c‟era. “Lei non passa. Resta la traccia semi-nale di quell‟orizzonte di speranza che si aprì dietro la collina, quando il mondo capì che qualcosa stava succedendo.”

Dio esiste?

di Christopher Lauro

Sinceramente non sono mai riuscito a farmi un‟idea chiara di come po-tesse essere Dio, e il desiderio di svelare il più grande mistero della vita, mi ha portato ad indagare la vita stessa per scoprirne il senso e per riconoscere L‟esistenza di Dio in qualche suo aspetto. Cosi ho comin-ciato a cercare spiegazioni per ogni fenomeno, e la scienza mi ha fornito tante risposte grazie a strumenti che hanno permesso l‟indagine della s t r u t t u r a d e l l a m a t e r i a e dell‟universo. Si sono compresi mol-ti processi chimici, fisici e biologici che rendono possibile la vita sulla terra; una vita cosi ricca di specie diverse che ne conosciamo circa il 25%. Nonostante la percentuale bas-sa di specie studiate, qualche certez-za c‟è sull‟origine e l‟evoluzione della vita e dell‟universo. Una di queste ci dice che ogni forma di vita ha biso-gno di energia per esistere ed evol-versi; e ognuno di noi può riconosce-re quante cose meravigliose esistono e quante cose diverse facciamo gra-

zie all‟energia. Un'altra certezza è che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma; questo mi fa riconoscere che l‟energia che mi fa vivere, esiste sin dal principio dell‟universo ed esisterà fino alla fine. E noi come parteciperemo an-cora alla vita? Finirà tutto con la morte? In queste e tante altre do-mande ci possiamo imbattere du-rante il percorso di ricerca, ma non scoraggiamoci. Alla fine le risposte arrivano e io son riuscito a farmi un‟idea più chiara, perché ho ricono-sciuto Dio nell‟energia che pervade tutta la creazione. È stata una gran-de illuminazione che ha fatto evolve-re la mia concezione del senso della vita. Ora credo che il senso alla vita glielo diamo noi, che in ogni mo-mento sfruttiamo l‟energia per fare qualsiasi cosa. Un po‟ d‟energia la sto utilizzando per comunicare a tutti voi, e ringrazio di cuore chi ne utilizza molta di più per dare a me l‟opportunità di scrivervi. Faccio tutto questo con la speranza che ognuno possa riconoscere Dio o al-meno cominci a porsi delle doman-de, perché sono consapevole che le risposte sono ovunque se si vuole

sapere veramente. E con un'altra grande speranza, che nella vita non mi colga mai la tristezza di cui parla Gustavo Rol nei versi seguenti: “Qualche volta una grande tristezza

mi coglie: e se io dovessi rimanere

solo a godere o a soffrire? Di un pri-

vilegio che non tarderebbe ad isolar-

mi dagli altri uomini, causa delle

mie azioni divenute non più compa-

tibili con l‟esperienza dei saggi e con

la fede dei Santi? In questo caso il

mio destino sarebbe certo: la diffi-

denza o la beffa; perché oltre i limiti

che il negromante e il demente han-

no posto alle norme consuetudinarie

del vivere, solamente la pietà, qual-

che volta, si avventura ad accompa-

gnare, nella grande illusione, il cer-

catore d‟oro nei luoghi ove l‟oro non

val più che la sabbia…”

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Siamo Qui

di Ivo Abate

“Siamo qui”. Non è soltanto una delle espressioni siciliane tipiche, piene di rassegnazione e indifferenza. “Siamo qui” è il titolo di un docu-film, interessante, vivo su Bivona. Attenzione, non sulle “bellezze” di Bivona ma sul rapporto fra il paese Bivona, mamma Bivona e i bivonesi, i figli. In-terviste intelligenti, vere per scoprire il legame che unisce o allontana un bivonese dalla sua terra, le speranze dei bivo-nesi, i malumori, i mille dubbi. Interviste per strada, per-ché la strada è teatro a cielo aperto di improvvisazione, interviste a uomini, donne, vecchi e ragazzi figli di Bivona. Domande per misurare il grado di bivonesità della gente comune, senza sotterfugi di copione, senza filosofie spic-ciole. Un docu-film di attualità, della Bivona che è oggi, senza facili moralità, senza cordialità al potere. Oserei dire: un‟opera dal cuore indipendente. “Siamo qui”. Titolo semplice, conciso, massimamente sin-tetico. Confesso che è la prima cosa che mi ha colpito e che mi ha fatto pensare. Mi sono chiesto qual è o quali sono i significati di queste due parole. Ovviamente la mia è un‟analisi per nulla autentica (non posso entrare nelle menti dei movie-makers) ma provo ugualmente a dare una mia personalissima interpretazione del titolo. “Siamo qui”. Partiamo dalla seconda parola “qui”. L‟avverbio “qui” è indefinito, specchio che riflette mille facce. “Qui” come “in questo luogo”, in questo preciso spazio, in questo preciso posto. “Qui” però che muta ad ogni passo, ad ogni minimo spostamento. “Qui” anche come anche unità temporale, “in questo momento”. Ricordiamoci che però è indefinito nell‟unità spaziale, veleggia seguendo gli alisei delle ore e degli anni. Può essere “qui” oggi, sarà “qui” fra venti anni, era “qui” anche vent‟anni fa. Sempre “qui” ma “qui” diver-si. E‟ staticità nella trasformazione. Così, sul concetto di qui, i registi dell‟opera hanno costruito il primo castello di punti vista su Bivona. E sono questi diversi modi di vedere un paese, un piccolo paesino siciliano, che questo docu-film ha voluto cogliere. I diversi “qui”, i diversi modi di catturare l‟evoluzione, la trasformazione di Bivona. Ha voluto nuotare nei mari profondi negli occhi dei bivonesi: degli anziani tornati per la pensione oppure di quelli mai partiti, dei padri di famiglia che arrancano per arrivare alla fine del mese e credono ancora che qualcosa possa migliorare ma anche della gente semplicemente rassegna-ta a lasciarsi vivere ancora un po‟, dei ragazzi che sogna-no, magari da lontano, magari dal Nord lontano, che tutto cambi e di quelli invece che ormai sanno che tutto cambia per non cambiare nulla (citando Tomasi di Lampedusa). Passiamo adesso al predicato. L‟utilizzo del verbo “essere” è fortemente esplicativo nelle sue molteplici sfaccettature: “essere” come “esserci”, essere presente, fisicamente col-locati in un certo spazio o tempo. Essere anche come “sentirsi” parte di qualcosa, di qualcosa di collettivo, supe-rindividuale, come, ad esempio, esser parte di un popolo. Oppure essere come “stare”, massima espressione di stati-cità, minima mobilità fisica, minima agitazione mentale. Mi ha colpito anche l‟utilizzo, coerente, del tempo presen-te. Perché il presente? Secondo me il tempo presente non impone necessariamente uno sguardo preciso, netto, limi-tato sull‟oggi. No. Vedete, il presente è come il bianco: come il bianco ha la capacità di non escludere nessun al-tro colore, così il presente non esclude gli altri tempi. Né il passato e ciò che è stato, e né il futuro e ciò che sarà. “Siamo”, tempo presente, che ingloba in sé le prospettive del “sarà”, perché oggi è il divenire del domani, ma anche i ricordi del “fu”, perché oggi è maturazione dello ieri. E ancora l‟utilizzo della prima persona plurale “siamo”.

Chi? Noi. E noi chi? Noi bivonesi. Bivonesi che abitano il paese ogni singolo giorno dell‟anno, bivonesi che tornano solo per la stagione calda, bivonesi che studiano lontano e tornano per le feste comandate. Bivonesi di nascita e bivo-nesi di adozione. Bivonesi doc, bivonesi nel cuore e bivone-si che lo sono perché non possono essere null‟altro. Bivo-nesi orgogliosi e bivonesi incazzati. Questo docu-film è attualità. Ho avvertito il fremito della verità, della più genuina consapevolezza di sfogarsi dei miei concittadini che si sono prestati ad essere immortalati dalla telecamera. Un docu-film forte perché rappresenta-zione di ciò che è adesso mescolato a ricordi dei fasti e del-la povertà del passato e ai sogni, spesso fumosi e indefiniti, del futuro. Un‟opera esemplare di semplicità, di praticità, di naturalezza. Gli occhi della telecamera hanno registrato i movimenti lenti o affrettati dei bivonesi, le domande degli intervistatori hanno sondato i nostri fondali “patriottici”; il tutto per provare a capire come noi bivonesi vediamo la nostra terra, come le tradizioni e il futuro, il tempo per i nostri figli, le prospettive per noi stessi in questa valle abi-tata da millenni. Bivona e i bivonesi: binomio inscindibile di madre e figli. Mi rendo conto che l‟esaustività non può essere prerogativa di questo documentario, lo è invece la curiosità dei nostri registi, che hanno voluto farsi occhio e orecchio di idee, malumori, critiche e speranze di Noi bivo-nesi. Noi che stiamo qui a Bivona, che sentiamo di esser parte della storia, del popolo di Bivona, delle sue innume-revoli e timide trasformazioni, che ci siamo e viviamo in questo paese. Questo documentario ci fa comprendere, ci ficca in modo naturale, fluido nella mente che Noi, noi bivonesi, tutti noi, giovani o vecchi, ricchi o poveri, poeti o scribacchini, onorevoli o farabutti, noi siamo a Bivona, o meglio: noi siamo Bivona.

Un diario bivonese

Di Felice Pendola

Giovanni Lattuca

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Nucleare SI o NO?

di Salvatore Cannella

L‟energia nu-cleare nasce uff ic ia lmente nel 1934 con gli e s p e r i m e n t i portati avanti

da alcuni scienziati, tra cui il fisico italiano Enrico Fermi. Con energia nucleare si intendono tutti quei fenomeni in cui si produce energia in seguito a reazioni, di fissio-ne o di fusione, nei nuclei atomici. Spesso il nucleare viene presentato come un male da combattere o come miracolosa pozione per risollevare l‟economia nazionale. Q u e l l a a t o m i c a r a p p r e s e n t a un‟opzione energetica e, come le altre, ha i suoi “pro” e i suoi “contro”, essen-do una fonte di alimentazione alterna-tiva molto controversa. Essa è certamente un‟energia pulita, in quanto le centrali nucleari non immet-tono nell‟ambiente alcune sostanze inquinanti come anidride carbonica o ossido di azoto, a differenza delle altre centrali; inoltre il nucleare, non usando combu-stibili fossili, riduce la dipendenza di petrolio dai paesi esteri, abbassando quindi i costi di importazione dell‟oro nero. Ma al pari di questi numerosi vantag-

gi vanno considerati anche i rischi elevati in caso di incidenti. La storia ha già dimostrato la gravità delle conseguenze. Chernobyl 1986, l‟incidente nucleare in assoluto più grave di cui si abbia notizia. Il surriscaldamento del reatto-re provocò la fusione del nucleo e l‟esplosione del vapore radioattivo. Si levò al cielo una nube altamente radio-attiva, circa 30 persone morirono im-mediatamente, altre 2500 nel periodo successivo per malattie e cause tumo-rali. L‟intera Europa fu esposta alla nube e per milioni di cittadini del Vec-chio Continente aumentò il rischio di contrarre tumori e leucemia. La sicurezza degli impianti nucleari divenne una preoccupazione sempre crescente negli anni ‟80. Il disastro di Chernobyl portò l‟Italia a indire nel 1987 tre referendum nazio-nali e, visto l‟esito molto netto del vo-to, tra il 1988 e il 1990, le centrali di Latina, Trino e Caorso vennero chiuse. Anche il processo di localizzazione di una centrale è molto difficoltoso. Nes-suna comunità locale accetterebbe infatti di sacrificare il proprio territo-rio per ospitare le scorie nucleari; per scorie si intendono quei materiali che, trovandosi all‟interno del reattore, sono soggetti a una continua emissio-ne di radiazioni. Al termine del ciclo di vita della centrale, questi oggetti devo-no essere trattati come rifiuti speciali in quanto fortemente radioattivi e

quindi pericolosi. Il grado di radioatti-vità elevato di queste scorie implica un lungo periodo di decadimento, fino a 100.000 anni. Proviamo quindi ad immaginare cosa potrebbe significare per una comunità conservare questi rifiuti e quali conse-guenze ne potrebbero derivare per l‟ambiente circostante. Il popolo italiano sarà chiamato alle urne il prossimo Giugno per dichiarar-si favorevole o meno alla reintroduzio-ne del nucleare nel nostro paese. La questione è stata riproposta con l‟intento di favorire lo sviluppo econo-mico della nazione, mediante l‟introduzione di un‟ulteriore fonte di energia. Però, alla luce degli ultimi avvenimen-ti in Giappone è chiaro che, il giudizio sulla tecnologia nucleare, ha assunto un carattere prevalentemente negati-vo; una delle più forti potenze mondia-li, impotente, devastata, messa in gi-nocchio, di fronte all‟esplosione dei suoi reattori di Fukushima, è un‟immagine abbastanza convincente per esprimere l‟effettivo pericolo delle centrali atomiche. Quello del nucleare probabilmente è un dibattito che non si chiuderà mai e potremmo stare qui ad elencare “pro e contro” per ancora chissà quanto tem-po senza mai raggiungere una conclu-sione definitiva.

“La mafia uccide, il silenzio pure”

di Ivo Abate

“Cos‟è la mafia? Dov‟è la mafia?Come si riconosce un mafioso?” sono le domande che alcuni miei amici mi fanno a Siena. Io provo a parlare, provo a rispondere e mentre espongo i soliti cliché, i soliti luoghi comuni, le solite frasi da film, io penso. Non penso a quel che dico ma a quello che dovrei dire e non dico: non per pau-ra ma perché spiegare cos‟è la mafia significa descrivere gli sguar-di di noi siciliani, significa spiegare che ogni parola deve essere misurata, che ogni gesto dev‟essere pensato. “Cos‟è la mafia?” mi chiedono e io racconto di Falcone e Borselli-no, del pool di Palermo, di Alfonso Sabella e del suo coraggio, racconto di Peppino Impastato. Io racconto, ma non spiego. E come potrei spiegare a un faentino o una bolzanina che dietro un voto in un‟elezione c‟è un cliente di qualcuno, dietro un semplice misero voto c‟è la richiesta disperata di aiuto di un siciliano e la risposta “Stai tranquillo, se mi voti ci penso io!”??? Mi chiedono “Ma cos‟è la mafia?Come la riconosci?” e io racconto degli avvertimenti e delle minacce, delle croci tracciate con le candele davanti una porta, dei camion e ruspe date alle fiamme. Io racconto, ma non spiego. E come potrei spiegare a un mio coeta-neo del Nord Italia che dietro la costruzione di una strada o di un ponte, in mezzo alla sabbia e al cemento vengono mischiate anche strette di mano fra uomini d‟onore, tra il cemento e l‟asfalto ven-gono nascoste mazzette e lettere minatorie? Mi chiedono “Cos‟è la mafia?Chi è il mafioso?” e io racconto di Riina, di Provenzano, di Brusca e della strage di Capaci e, se sono ispirato, magari qualche “impresa” nostrana! Io racconto, ma non spiego! E come potrei spiegare a un non siciliano che “fatti li fatti tò e campi cent‟anni” non è un semplice detto ma uno stile di vita, che i nomi sono pericolosi ed è meglio dire “chiddu o chidda”, che è meglio far finta di non vedere che esporsi al pubblico giudizio! Come potrei spiegare a una mia amica di Viterbo che gran parte degli appalti sono stati indirizzati verso la “giusta via”, che per la

gran parte opere pubbliche i materiali hanno provenienza mafio-sa, o che ospedali,scuole, persino tribunali in realtà sono “cosa nostra”. Mi chiedono curiosi “Come lo riconosci un mafioso?” e io scherzo dicendo che hanno le corna e la coda da diavolo. Io scherzo, sorri-do e…penso. Penso che riconoscere un mafioso è come fare 5 o 6 in una schedina del totocalcio: non è difficile ma ti devi applicare! Infatti il mafioso può essere il padrone di una cittadina e mostrare la propria forza a tutti, senza scantu, oppure l’uomo dietro le quin-te, il burattinaio che tutto vede ma non è visto. Ci sono ignoranti e ci sono gli allittrati, persone che fino a ieri scannavano le pecore e gente che legge “Il sole 24 ore”, buzzurri senza né arte né parte e colletti bianchi, assessori, sindaci, onorevoli! “Ma cos‟è la mafia?” mi chiedono e io racconto di blitz della polizia e di titoli dei giornali, dei vari Rocco Chinnici e Ninni Cassarà morti ammazzati, dei “maxi processo” e dell‟albero di Falcone. Racconto ma non spiego. Provate voi a spiegare a un marchigiano che significa sentire la gente per strada parlare male dei magistrati che fanno il loro dovere, sentire sputtanare associazioni come Libera o Addio Pizzo, sentir dire che i collaboratori di giustizia sono infami e meritano di morire. Spiegare le caotiche scene dell‟arresto di mafiosi, magari con decine di omicidi sulla coscien-za, e poi vedere mogli e parenti aggredire i poliziotti e i carabinieri e sentir gridare loro di “ingiustizia”! Quando mi chiedono “Cos‟è la mafia? Dov‟è la mafia?Come si riconosce un mafioso?” mi verrebbe da dire “Non lo so” perché troppo arduo spiegare la mafia a chi non l‟ha mai respirata. Appe-na ricevo queste domande mi viene da rispondere “Non potete capire”. E invece parlo, racconto, cerco di trasmettere sensazioni, cerco di far sentire le emozioni che provo quando in tv trasmetto-no le scene di mafiosi arrestati, cerco di far sentire la mia siciliani-tà onesta e vera ogni volta che vedo un‟immagine di Palermo. E‟ difficile parlarne, è dura spiegare e far capire e talora pure perico-loso, ma io parlo, spiego, provo a far capire, perché è in quel mo-mento che ripenso a Peppino Impastato:“La mafia uccide, il silen-zio pure.”

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Bivona, il calcio

di DANILO PULEO

Storicamente Bivona è stata una piazza molto affezionata al giuoco del calcio,basti pensare alla grande importanza che viene data,da parte dei giovani,al torneo di calcetto estivo e al sano agonismo con cui viene vissuto.Bivona è stata da moltissimi anni presente nei campionati dilettan-tistici regionali,attraverso le sue vecchie società,tra le quali ricordiamo la “Polisportiva Bivona” ed il “Bivona „98”,che si sono distinte nei campionati di Terza e Seconda Catego-ria.In seguito al fallimento della società “Bivona „98” ed un periodo di relativo anonimato, si è deciso di costituire una nuova squadra l‟ “A.S.D. Virtus Bivona”.Questa da circa sei anni regala emozioni alla comunità bivonese; dopo quattro stagioni di crescita ed esperienza,con l‟apporto di vecchie glorie,e la progressiva crescita di giovani talenti, finalmen-te la scorsa stagione è arrivata la promozione in Seconda Categoria, con un campionato dominato e chiuso in testa alla classifica.Punti di forza della squadra sono da sempre stati la grande unione e lo spirito di gruppo maturato tra i calciatori,l‟esperienza e la competenza dell‟attuale allena-tore Francesco Colombo e,l‟impegno dei nuovi dirigenti, tra i quali spiccano le figure del Presidente Giovanni Gueli e del segretario,nonché fondatore della nuova socie-tà,Francesco Cutrò che si è sempre distinto per la grande passione con cui segue la squadra.Gli stessi ragazzi autori della promozione nella stagione sportiva 2009/2010 han-no affrontato con estremo entusiasmo e professionalità il

campionato di Seconda Categoria, caratterizzato da un girone di andata travolgente che ha portato la squadra ad ambire ai primi posti della classifica, seguito però da un girone di ritorno altalenante in cui la squadra ha subito un calo psico-fisico.Tuttavia alcune importanti vittorie,come quella conquistata sul campo della squadra vincitrice del torneo, e alcuni pareggi negli scontri diretti,hanno portato al raggiungimento del quinto posto in classifica e quindi la possibilità di giocare i play-off,per aspirare alla promozio-ne in Prima Categoria,traguardo prestigioso per una picco-la realtà come la nostra. Forza Virtus Bivona e come recita un vecchio adagio:

OLIO,PETROLIO,BENZINA E MINERALE PER VINCERE IL BIVONA CI VUOL LA NAZIONALE!!!

Posizio-

ne

Squadra Punti

1 ASD Milena Calcio 47

2 POL Contessa Entellina 45

3 ASD Mussomeli 40

4 ASD Cerda 35

5 ASD VIRTUS BIVONA 34

6 ASD Sporting Ribera 31

7 US Giuliana 30

8 ACD Misilmeri 24

9 ASD Castronovo 23

10 A.POL. Albatros Lercara 22

11 ASD Life Campofiorito 21

12 USD Mezzoiuso 17

Bivona, il piccolo tempio della musica

di RICCARDO MARINARO

Da Elvis Priesley ai White Stripes, dai Deep Purple ai Wolfmother, dai Litfiba ai Cramberries, quindi dagli inizi del rock‟n‟roll degli anni 50 fino al moderno pop del 2000, è tutto ciò da cui prendono ispirazione le nu-merose band musicali presenti nel piccolo centro di Bivona. La musi-ca è stata da sempre un valore molto coltivato in questo paese grazie anche a locali quali: “Il Co-losseum”, “Il Macanomis” e anche altri pubs nei paesi limitrofi che permettono ai gruppi del posto di esprimersi, il Sabato sera, nelle loro performance dal vivo. Ma questa atmosfera, sempre in cre-

scendo, non si respira solo durante le esibizioni live, infatti si vede spesso qualcuno in giro per le stra-de con una chitarra a tracolla, o con un basso o con un paio di bac-chette in mano pronto per andare a provare con la sua band; musici-sti che passano le giornate a con-frontarsi parlando di stili musicali, di riff di chitarra, di passaggi di batteria o di arpeggi di basso, ma-gari ascoltando nuovi brani oppu-re mettendosi a suonare in “Piazza San Giovanni”, di sera, davanti a ragazzi che, presi dall‟euforia di una serata passata in “maniera diversa” e fuori dalla routine del “non far niente”, can-tanndo in coro accompagnano le canzoni. C‟è pure chi passa il tem-po in garage a comporre la propria musica, in compagnia di buoni amici e davanti ad una bottiglia di

vino. Questo è il caso degli “ISOLDE PRO” (ora “DUFF”) che da poco hanno registrato il loro p r i m o c d d a l t i t o l o “APOCALYPSE” nella sala incisio-ne “FREQUENZE STUDIO” a Monza (MI). Il fattore più affasci-nante è rappresentato dal fatto che a“prendere gli strumenti” sono ragazzi di qualsiasi età, così i grup-pi emergenti prendono spunto da quelli più esperienti. Il sindaco di Bivona Giovanni Panepinto, entu-siasta della visibile evoluzione di questa forma d‟arte all‟interno del paese, ha adibito a sala prove e messo a disposizione delle band musicali una stanza del mercato ortofrutticolo sita nella periferia del paese, di modo che tutti i mu-sicisti possano sfruttarla per dar vita alle proprie creatività musica-li.

Promossa in

1°categoria Play-Off Retocessa in 3°

categoria

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E il Signore Dio Disse di Carmen Perconti

“ E il Signore Dio disse: << Non è bene che l‟uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile … la si chiamerà donna perché dall‟uomo è stata tolta … e l‟uomo chiamò la moglie Eva perché essa fu la madre di tutti i viventi.>> “ la Sacra Bibbia. È un insito dualismo di fondo che mi ha spinto verso le soglie di tanto arduo e sconfinatamente ricco problema: un amore spassionato per la donna rivoluzionaria e autosuffi-ciente, colta ed intraprendente, di contro alla più sfrenata e paranoica misoginia che tanto alimenta questo mio spudo-rato accenno di cinismo. La Donna: portatrice sana di peccato, creatura sorda agli urli della coscienza seppur falsamente decantata per un‟edulcora bontà, ammaliatrice e Venere di tutti i finti Cupidini, la Donna è colei che erroneamente ci accingiamo a lodare; così, mentre mi impelagavo nei meandri della mia conoscenza storica, in cerca di una verosimile risposta, fu a pietre miliari di questo sesso che i miei primi pensieri vennero dedicati. Giovanna d‟Arco, Valentina Tereskova (prima donna nello spazio) , Cleopatra, Coco Chanel, Rita Levi Montalcini e la celeberrima Lady Diana, principessa del popolo; e poi ancora Anita Garibaldi e Sempronia (figura di spicco per le sue idee e la sua spregiudicatezza nella Roma del I secolo a.C ), Lesbia, Maria Teresa di Cal-cutta, Indira Gandhi (primo ministro donna della storia) e la mai veneratissima Oriana Fallaci.

Come non innamorarsi della straordinaria diplomazia, dell‟incredibile audacia, dell‟impareggiabile caparbia di queste donne? Emblema di forza e di temperanza dovreb-bero essere, per la generazione che si appresta a crescere, incomparabili modelli da cui assorbire ogni minuscola qualità. Ma è qui che il mondo in cui la scienza è riuscita ad usurpare il trono a Madre Natura si perde nella speran-za di un ritorno agli antichi mos maiorum. Mi chiedo se può una donna, il cui unico scopo è quello di mostrarsi impeccabile ad una società corrotta, sentirsi an-che lontanamente vicina a tali maestre di vita; quella di oggi è una donna ormai priva di valori e di amor proprio; non più temeraria ma timorosa; che sta lentamente anne-gando in quello “stato di minorità” che Kant si apprestava a descrivere come << situazione in cui il singolo non è in grado di usufruire del suo intelletto se non sotto la guida di un altro.>>, ed è l‟uomo la guida a cui io mi rifaccio. In un mondo che apparentemente sembra esser giunto all‟apice dell‟evoluzione si sta in realtà materializzando un processo involutivo mai verificatosi prima. Ed è in questo palcoscenico vuoto che continueremo a reci-tare, col volto coperto da ingombranti maschere, fingendo che tutto vada bene e che nessuno conterà mai i feriti. Nel vuoto della platea non vedremo altro che noi: piccole don-ne voltagabbana che, convinte di aver raggiunto ormai la parità dei sessi han tristemente perso l‟amore per la sacra virtù che le contraddistingueva. Ma io mi ostino a credere che anche in questa nera corruzione la purezza e la cultura sappiano trovare fertile humus per seminare nuovi fiori. Appassita è la donna che non trovando la forza di credere in se si getta nel marcio che la rende, inaspettatamente, ancora una volta, Eva.

Scandalo Mense di Epifania Lo Presti

Quando parlo dell‟Università di Palermo esprimo sempre la mia soddisfazione e la mia gioia nel frequentarla. Dico di trovarmi bene, nonostante la situazione al suo inter-no non sia così splendida, apprezzo e am-miro molti dei professori finora incontrati e mi appassiono alla materie studiate (non tutte!) ritenendole quasi sempre utili e interessanti. Sarà di opinioni contrarie chi afferma che il mio corso di laurea è inutile (Scienze della comunicazione, per chi non lo sapesse) e gli attribuisce l‟appellativo di Scienze delle merendine (macchisenefrega dei commenti di chi non conosce!).Una tra le cose di cui mi vanto è di appartenere a quella lista di studenti che, di anno in anno, risultano Idonei o Vincitori ai bandi ERSU (Ente regionale per il diritto allo studio universitario). Infatti, per la prima volta, anch‟io quest‟anno sono stata Vincitore. Ne vado fiera perché si tratta di una vera e propria vittoria: in premio una borsa di studio come ricompensa all‟impegno dimo-strato durante il mio primo anno da matri-cola. Per chi non lo sapesse, l‟ERSU dà dei benefici a chi è stato in grado di sostenere un certo numero di esami durante i regolari anni accademici. Le agevolazioni possono essere diverse: contributi alloggio o addirit-tura la possibilità di poter vivere negli al-loggi forniti dallo stesso ente, inoltre l‟immancabile tesserino mensa, che per-mette di consumare dei pasti alla mensa universitaria spendendo davvero pochi soldi o addirittura gratuitamente.Sono sempre stata abituata ad adattarmi, forse è per questo che non mi lamento mai troppo

(o sarà che ci siamo troppo abituati alle cose che vanno male, per cui a volte non ci facciamo nemmeno caso). Però questa volta c‟è davvero da lamentarsi, eccome! Da qualche mese, mi capita ormai troppo spes-so di trovarmi in coda a una lunga e quasi infinita fila di studenti che, come me, a-spettano di pranzare. Sì, è quello che succe-de ogni giorno alla mensa universitaria, ma finisco e finiamo per accontentarci anche in questo caso. Facciamo la fila, nonostante il servizio offerto non sia dei migliori.Uno studente universitario sa bene quanto vada veloce questo mondo, per cui non ci si può permettere di andare a casa, cucinare (a maggior ragione i fuorisede), mangiare e tornare in facoltà. Si pensa che mangiando a mensa si possa recuperare tempo, ma a quanto pare non è poi così vero, perché facciamo la fila. Una sorta di serpentino, tipo quello dei videogiochi, come lo ha definito il mio amico e collega Sergio nel suo ultimo post, sempre qui su YOUnipa. L‟attesa è di circa tre quarti d‟ora, subito dopo la ricerca di un tavolo e poi finalmen-te pronti a divorare il pasto già freddo (i commenti sulla cucina per questa volta li risparmio!). Si continua a correre e ad andare di fretta, quelle famose lancette girano veloci e oltretutto bisogna liberare velocemente i tavoli per lasciare spazio agli altri. Quasi quasi un dubbio mi assale: considerata la tempistica, farei prima a tornare a casa per pranzo?!Ricordo però che l‟anno scorso non era così. È facile arrivare al nocciolo del problema: c‟erano ben quattro posti in cui poter pranzare, oltre al Santi Romano (la mensa in cui si fa la fila) anche il Marconi, il Chiaramonte e il San Saverio (lo ammetto, le ho provate tutte, sono un‟assidua frequentatrice di mense!).È del San Saverio che voglio par-lare (perdonate la prolissa divagazione!). Ormai la sua storia è nota a tutti, ma un

ripasso fa sempre bene. Qualche mese fa i Nas (Nucleo antisofisticazioni e sanità dell‟Arma dei Carabinieri) hanno deciso di fare un‟ispezione di routine nel plesso San Saverio, per il quale è stata subito disposta la chiusura a causa della mancanza del certificato di agibilità (mica una cosa da niente!). È stata immediatamente chiusa la mensa e poco ci è mancato che buttassero fuori dal pensionato circa 250 studenti. Dire “disagi” in questo caso non basta nem-meno, senza considerare l‟immediata con-seguenza del forte afflusso di studenti nell‟unica mensa rimasta aperta. E ancora una volta, fila!Gli studenti, come prevedibi-le, hanno reagito deliberando lo stato di agitazione e dopo diverse pressioni sono riusciti a venirne a capo.In queste storie c‟è sempre un velo di mistero, il certificato causa di ogni male non è ancora stato tro-vato in nessuno degli uffici del Comune di Palermo, responsabile del suo rilascio. Non si è ancora trovato o non è mai esistito? Ancora più assurdo il fatto che questo edifi-cio, realizzato dalla Regione alla fine degli anni ‟50 e da 40 anni sede del pensionato, non abbia mai avuto questa certificazione di agibilità. Insomma, i soliti enigmi che avvolgono la città di Palermo.Ad oggi la mensa non è ancora stata riaperta, atten-diamo speranzosi di non dover più fare la fila e non sprecare tempo prezioso, in fondo paghiamo con le tasse questi servizi e ab-biamo tutti il diritto di usufruirne nel mi-gliore dei modi.

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Page 11: La Stangata N1

LA RIFORMA CHE NON SERVIVA ALL'UNIVERSITÀ di Nelli Scilabra Coordinatrice Rete Universitaria Mediterrane-RUM Senatore Accademico dell’Università degli Studi di Palermo

Sembra che ormai tutto sia stato fatto; gli Atenei Italiani ormai sono al lavoro e con una corsa affannosa, entro 6 mesi, dovranno modificare il proprio Statuto e attuare quella che sicura-mente sarà la peggiore Riforma Uni-versitaria degli ultimi 50 anni. La Ricerca,il sapere,la conoscen-za:cosa sono?In tutta Europa, pur do-vendo affrontare come noi la crisi eco-nomica, nessun Governo ha tagliato i fondi al futuro. L‟Italia è il paese dei mandolini,degli spaghetti,dei beni artistici che cadono a pezzi perché abbandonati al tempo che scorre,delle escort che non faticano,che non stu-diano(Minetti esclusa),che si disinte-ressano dei tagli all‟Università, dell‟accreditamento ex post,della Go-vernance Universitaria. Gli studenti sono scesi in piazza per manifestare, tentando, per l‟ennesima volta, di ottenere quell‟attenzione che uno Stato sano e giusto dovrebbe ga-rantire ai giovani che di esso fanno parte. Purtroppo la nostra voce è <<muta>>.Ho letto e sentito interviste fatte al Ministro Gelmini in cui spiega-

va la sua proposta,ma sembrava in verità raccontarci un‟altra legge. Nien-te sembrava coincidere con il contenu-to della sua finta Riforma. La Riforma Gelmini introduce l‟accreditamento ex-post delle sedi e dei corsi di studio, esponendo gli stu-denti ad una ambigua possibilità di spendere i titoli conseguiti; inoltre ciò aumenterà il divario tra Università di seria A,operanti nelle regioni più ric-che del paese e Università di serie B dislocate nel sud Italia.Questa Riforma propone un sistema di Governance che darà eccessivi poteri decisionali ai vertici accademici e al Consiglio di Amministrazione. Quest‟ultimo avrà una composizione numerica estrema-mente esigua e la presenza di tre membri esterni all‟Università suscita molte preoccupazioni. Inoltre la rap-presentanza sia degli studenti che del Personale Tecnico-amministrativo sarà del tutto residuale. Verrà intro-dotta la figura del Ricercatore a Tem-po Determinato, che in un contesto economico caratterizzato da scarsissi-mi investimenti dell'industria nel si-stema della ricerca e dell'innovazione, come quello italiano,accrescerà in ma-niera smisurata il fenomeno del preca-riato dei giovani studiosi, contribuen-do in maniera determinante alla già troppo diffusa <<fuga dei cervelli>>.Il Fondo per il merito, non definito in nessuna norma, connesso alla scarsa consistenza finanziaria pone seri dub-bi sulla possibilità di rendere effettivo il diritto allo studio, come sancito dalla

Costituzione Italiana (art. 34). Questa è una legge che contiene numerosissi-me deleghe, tra regolamentari e legi-slative. E‟ fin troppo chiaro che in un momento di profonda ed innegabile crisi politica dagli esiti assolutamente incerti ed imprevedibili, non è certa-mente la soluzione sperata e voluta. La nostra generazione convive con la negazione: la negazione dell‟etica pub-blica,la negazione del diritto allo stu-dio , la nega z ione de l la vor o. C i h a n n o d e f i n i t i f a n n u l l o -ni,facinorosi,bamboccioni,ma si sba-gliano. Non ci hanno compreso. I no-stri <<padri>> non ci hanno capiti. Siamo una generazione che urla e che vuole prendere il proprio legittimo posto nella società. Una generazione che è stanca di sentirsi definire giova-ne a 35 anni suonati. Una generazione che pretende il pensionamento <<forzato>> dei proprio nonni…una generazione che ha il diritto di occupa-re il giusto posto in questa società. Siamo stanchi di essere i dottorandi senza borsa, i praticanti senza stipen-dio, i dipendenti senza contratto,i ri-cercatori che per mancanza di fondi non ricercano proprio nulla,gli studen-ti che se protestano vengono definiti fannulloni. È arrivato il momento di reagire,di gridare ancora più forte perché la loro apparente sordità può essere vinta. Certo questo può farci paura come quando in un incubo si grida senza voce ma è bene capire che al mattino ci si risveglia.

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Page 12: La Stangata N1

Il nome che abbiamo dato al nostro giornale, La Stangata, potrebbe sembrare un po’ duro e battagliero.

Certo, potrebbe essere anche così in quei casi in cui dovremmo trovarci costretti ad affrontare argomenti

seri in cui a nostro giudizio prevale l’ingiustizia, il disinteresse e il cattivo modo di gestire le cose di questo

paese. Ma non vogliamo essere solo questo, ovvero dei contestatori e basta. La Stangata non è infatti solo

uno strumento per picchiare duro. E’ anche uno strumento di sostegno di qualcosa che va sostenuto ed

aiutato a stare in piedi. Oppure, se volete, è un nome che ci è piaciuto e che secondo noi annuncia, in qual-

che modo, la nostra volontà di esserci, di dire la nostra, di criticare in alcuni casi, di plaudire in altri, di

proporre e di partecipare attivamente alla vita di Bivona. Nessuno può infatti pensare che le sorti del no-

stro paese possano essere affidate solo alle scelte e alle decisioni di pochi, qualora questi non comprenda-

no che nessuna decisione può mai essere la migliore se non tiene conto e non si ispira ai desideri della gen-

te, di un’intera comunità e , non ultimi, dei giovani. Noi siamo convinti, infatti, della necessità di essere

presenti in un momento in cui ognuno, in questo paese, ha il dovere di recitare la sua parte per ridare fi-

ducia a chi l’ha persa, a chi ritiene di trovarsi in una situazione irreversibile, immaginando che il silenzio

sia l’unica soluzione per darsi pace. La nostra, quindi, vuole essere una presenza positivamente critica che

esclude fin da subito la politica dell’essere contro a prescindere.

Noi non nasciamo per essere contro nessuno, bensì per collaborare con tutti coloro che ce

ne daranno la possibilità.

Agostino Gattuso

LA FORZA DELLE IDEE STA NELLE IDEE DI CHI HA LA FORZA

Chiunque volesse collaborare con il giornale può contattarci: alla mail [email protected] o ai numeri 328 7885408 - 328 6946408

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