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Giovanni Cimbalo

FABBRICERIE, GESTIONE DEGLI EDIFICI DI CULTO COSTRUITI CON IL CONTRIBUTO PUBBLICO E COMPETENZE REGIONALI SUI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI.

1. 1. Gli edifici di culto come luogo di aggregazione delle comunità sul territorio e insieme bene cultuale, artistico, architettonico, culturale. 1. 2. Le fabbricerie dal Concordato del 1929 all’accordo di Villa Madame e alla L. 222/85. 1. 3. Il riordino delle proprietà ecclesiastiche nell’accordo di Villa Madama e nella L. 222/85; il particolare regime degli edifici di culto di proprietà della Chiesa e di quelli di proprietà pubblica. 1.4. Le modifiche del Titolo V parte seconda della Costituzione e l’intesa del 26 gennaio 2005 con la CEI. 1. 5. Il finanziamento dell’edilizia religiosa. 1. 6. La gestione degli edifici di culto costruiti con il concorso dello Stato. Un nuovo ruolo delle fabbricerie oggi.

1. 1. Gli edifici di culto come luogo di aggregazione delle comunità sul territorio e insieme bene cultuale, artistico, architettonico, culturale

Gli edifici di culto hanno costituito da sempre un elemento d’identità nel territorio, poiché

intorno ad esso si sono sviluppate le attività, le ricorrenze, le feste, i riti e le tradizioni della comunità1. Così spesso l’edificio di culto ha finito per assumere significati che vanno al di là della sua funzione religiosa per rappresentare anche valori civili, presentandosi di volta in volta come luogo utilizzato dalla comunità per ritrovarsi, come edificio - o più spesso come un complesso monumentale - in grado di ospitare opere d’arte o esprimere una scelta architettonica con la funzione di mostrare il potere della comunità di rappresentare se stessa, la propria ricchezza, la propria forza. Proprio queste sue funzioni nei secoli passati indussero le autorità pubbliche a riconoscere ad alcuni di questi edifici uno statuto giuridico particolare2 che tuttavia col tempo si estese a molte chiese e agli edifici ad esse connesse, in quanto si riteneva che spettasse allo Stato assicurare il mantenimento dell’edificio di culto, anche nelle sue funzioni religiose. Divennero così a carico dell’autorità pubblica le spese per l’ufficiatura. Di grande importanza l’intervento a riguardo della legislazione napoleonica che intese assicurare la funzione sociale del culto nell’ambito di un disegno più generale di inglobamento delle attività di culto in quelle pubbliche. L’esercizio del culto veniva ritenuto funzionale a garantire l’ordinato sviluppo della società civile3.

1 DE OTO A., Precetti religiosi e mondo del lavoro. Un’analisi giuridica, Roma 2007, ma anche I simboli religiosi tra diritti e culture, (a cura di E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo), Milano 2006; Symbolon/Diabolon., Simboli, religioni, diritti nell’Europa multiculturale (a cura di E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo), Bologna, 2005.2 Da qui l’uso del termine Fabbricerie, che è quello sopravvissuto ai secoli, ma certamente ve ne sono altri come le Maramme in Sicilia, le Opere in Toscana, Umbria, Liguria e nei territori del ducato di Parma, le Cappelle nel napoletano. In generale sul punto vedi: MORESCO M., Le fabbricerie secondo il decreto napoleonico 30 dicembre 1809 (con particolare riguardo alle province liguri e parmensi), Milano, 1905, passim; SCADUTO F., Fabbricerie siciliane (maramme), Pei tipi Gazzetta Diritto e Giurisprudenza, Napoli, 1911; ID., Diritto ecclesiastico vigente in Italia, vol. I, F.lli Bocca Ed., Torino, 1892; TESSITORE S., La maramma o fabbriceria in Sicilia, Torino, 1910; JEMOLO A. C., La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di Sardegna e nel regno d’Italia (1848-1888), Bologna, 1974, 11 ss.3 CARON P. G., Fabbricerie, in Enciclopedia del Diritto, Milano, Giuffré, 1967, vol. XVI, 196-207; MORESCO M., Le Fabbricerie…cit., 153 ss.; BERTOLA A. , Fabbrica e Fabbriceria, voce in Enciclopedia Cattolica,

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Con la frantumazione dell’Impero napoleonico le legislazioni nazionali presero vie diverse ed è certamente interessante e utile ricostruire comparativamente quei percorsi legislativi e normativi se si vuole compiutamente comprendere l’assetto della proprietà ecclesiastica e i diversi aspetti della gestione degli edifici di culto oggi in Europa, soprattutto quando esse si caratterizzano per un decentramento accentuato delle competenze in materia tra i diversi organi dello Stato4.

Restringendo l’analisi alla legislazione del nostro Paese notiamo la presenza di una grande differenziazione di situazioni giuridiche degli edifici di culto, non solo quando essi appartengono a una confessione o a privati5, ma anche quando sono di proprietà pubblica, sia che si tratti di Comuni che di altri Enti pubblici – come ci ha dimostrato l’intervento del dott. Campanini, al quale rinviamo. Il trait d’union tra le due diverse tipologie di proprietà è costituito dalle fabbricerie, una figura giuridica caratterizzata dall’incontro e dalla convivenza della componente pubblica e di quella ecclesiastica nello stesso ente, dove l’interesse di confraternite e fedeli nell’attività connesse all’esercizio del culto e all’uso degli edifici gioca un ruolo particolare.

Giova ricordare che, come ha sottolineato il Prefetto Calandrella nel suo intervento, le fabbricerie sono oggi appena trenta e comunque minacciate di estinzione dalla richiesta di molti dei superstiti fabbricieri - sostenuti dalla neonata associazione in rappresentanza di questi - di

Città del Vaticano, Ente per l'Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, 1950, vol. V, coll. 936-938; PLÖCHL W. M.., Storia del diritto canonico. II. Il diritto canonico della civiltà occidentale. 1055-1517, tr. it. Milano, Massimo, 1963, vol. II , 401-402 e 4214 Di particolare interesse, a nostro avviso, il caso del Belgio, paese nel quale le competenze degli enti locali in materia si sono andate via via accentuando, come in Italia spostandosi dallo Stato centrale a lle Regioni e ai Comuni. Vedi a riguardo: BRIXE M., Manuel raissonné de l’administration des Fabriques d’églises en Belgique, Liège, 1852; MOULART F., Des fabriques d’églises et de l’administration de leurs biens, 7ª 3d., Louvain, 1885; DE CORSWAREM Ch., De la législation civile des cultes et spécialement l’administratration des Fabriques d’églises, Hasselt, Ceyenes, 1909; DAMOISEAUX M., CRAMER R., Traité pratique d'administration des fabriques d'églises, Liège, 1957 ; VANDERMOERE V., Kerkbesturen, Bruges, 1988 ; VANDERMOERE V., DUJARDIN J., Fabriques d'église, Burges, La Charte, , 1991 ; BRASSINNE DE LA BUISSIERE J., La regionalisation des lois communale et provinciale et de la législation connexe, in «Courrier hebdomadaire du CRISP», Bruxelles, 2002 (1751-1752) ; CHRISTIANS L.L., A propos de la réorganisation projetée des fabriques d'Église catholique. Un critère d'intégration structurelle comme condition de financement des cultes en droìt belge, «QDPE», 1/1998, 225-254 ; ID., Les dimensions communales du régime des cultes, entre efficience et intégration locale des droits fondamentaux, in «Revue de droit communal», 2/2001, 79-103 ; HUSSON J-F., Le financement public des cultes, de la laïcité et des cours philosophiques, Courrier Hebdomadaire du CRISP, n° 1703-1704 ; HUSSON J-F., SÄGESSER C. , La reconnaissance et le financement de la laïcité, Courrier Hebdomadaire du CRISP, 2002, n° 1756, n° 1760. Vedi anche a riguardo l’Avis du Conseil d'Etat, 21.6.2002. La caratterizzazione territoriale della legislazione sull’esercizio del culto ha finito per incidere sulla struttora generale dei rapporti tra poteri pubblici e confessioni religiose. Prova ne si ache il 28 marzo 2003 il Governo Federale à approvato il progetto di cooperazione tra Autorità federale, Région flamande, Région wallonne e Région de Bruxelles-Capitale relativo al riconoscimento dei culti, i trattamenti e le pensioni dei ministri di culto, le « fabriques d'église et les établissements chargés de la gestion du temporel des cultes reconnus ». Sul punto : COENEN A., La régionalisation du temporel des cultes reconnus., Courrier Hebdomadaire du CRISP Avril 2002 .5 La dottrina ha in prevalenza interpretato l’art. 831 come una norma di rinvio all’ordinamento canonico al quale, solo, spetterebbe ogni decisione sulla depitatio ad cultum. Per la giurisprudenza, Cass. 29 febbraio 1952, n. 576, “Giurisprudenza italiana”,1952, pp. 702 e ss.; Cass. 27 novembre 1973, n. 3227, “Giurisprudenza civile”, 1974, 602 e ss. Per la dottrina : GIACOMAZZO G. R., Sul pubblico uso degli edifici di culto di proprietà privata : premesse ed effetti, “ Diritto Ecclesiastico”,1957, pag. 225 ; CONSOLI L., L’attività amministrativa della chiesa nell’ordinamento italiano, Milano, 1961, pp. 156 e ss. Si configurerebbe così una diminuzione significativa dell’ambito di operatività dei poteri del proprietario dell’edificio di culto. Da ultimo: CARDIA C., Manuale di diritto ecclesiastico, 2 ediz., Bologna 1996, 335 ss.; ID., Ordinamenti religiosi e ordinamenti dello Stato. Profili giurisdizionali, Bologna 2003, 181-190; ID., Principi di Diritto Ecclesiastico, Torino, 2005, 292-293; FINOCCHIARO F., Diritto Ecclesiastico, 2005, 236-241.

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trasformare tali enti, in onlus, così sancendo il definitivo passaggio alla gestione privatistica delle chiese e dei complessi monumentali e artistici da esse amministrate.

Comunque si voglia procedere diviene interessante e necessaria un’indagine che consenta di verificare quale sia lo status giuridico di queste chiese e complessi monumentali a carattere religioso, in assenza della quale la risposta alla domanda suddetta non può essere data, anche se la scelta sarebbe coerente con la moderna tendenza a far svolgere a strutture di tipo privato, funzioni una volta di competenza dello Stato, funzioni che esso svolgeva utilizzando strumenti amministrativi propri della sua organizzazione6.

Soprattutto occorre verificare la persistenza di un interesse pubblico che in passato giustificava l’erogazione di denaro pubblico al quale corrispondeva l’apertura al culto di detti edifici e la loro fruibilità come bene della collettività, in quanto il trasferimento del patrimonio delle fabbricerie in un ente privato dovrebbe accompagnarsi alla soppressione di ogni intervento finanziario pubblico a carattere strutturale, soprattutto quando la fruibilità del bene è condizionata al pagamento di un biglietto di accesso ai complessi monumentali e si colloca quindi sul mercato turistico-artistico7. Intendiamo dire che l’ordinaria attività di tali strutture, una volta che assumano una ben definita natura privatistica, va assicurata con le risorse proprie dell’ente gestore, senza il supporto del finanziamento pubblico che potrà esservi solo per interventi straordinari, qualora si riconosca un interesse pubblico specifico alla conservazione, valorizzazione, restauro del bene, in ragione della sua importanza storico-artistica8. Si darebbe vita altrimenti a una categoria di imprese o attività private che sono titolari di un diritto al finanziamento obbligatorio da parte dello Stato o dei suoi enti periferici.

Benché nel suo intervento Mons. Rinella ci ha fatto giustamente notare come le norme sulle fabbricerie sono poste nella parte finale della legge 222/85 e marginalizzate all’interno dell’accordo concordatario, quasi che si tratti di uno strumento ormai in desuetudine, una riflessione sulle fabbricerie può essere l’occasione per meglio affrontare la nuova realtà delle appartenenze religiose, nel rispetto di quel pluralismo cultuale e culturale che caratterizza la nostra Costituzione, quando cresce la richiesta di intervento pubblico per la costruzione di edifici e strutture connesse

6 Questa problematica è stata ampiamente esaminata nel corso di due convegni svoltisi a Ravenna ai cui atti si rinvia: Federalismo, regionalismo e principio di sussidiarietà orizzontale. Le azioni, le strutture, le regole della collaborazione con enti confessionali, atti del convegno tenutosi a Ravenna dal 25 al 27 settembre 2003, (a cura di G. Cimbalo e J. I. Alonso Perez) Torino, 2005, in particolare CIMBALO G., Leggi e provvedimenti regionali in materia ecclesiastica. La costruzione di sistemi integrati pubblico-privato, ivi, 247 – 270. L’analisi di queste problematiche è stata ulteriormente sviluppata nel convegno “Federalismo fiscale, principio di sussidiarietà e neutralità dei servizi sociali erogati. Esperienze a confronto”, svoltosi a Ravenna dal 4 al 6 maggio 2006, i cui atti sono in corso di stampa.7 “Nel merito esprimerei forti dubbi sulla riduzione del culto e dell'officiatura delle chiese a mere attività di utilità o solidarietà sociale. Resta aperta, comunque, per le fabbricerie interessate la strada di proporre l'abrogazione della legge n. 222/1985 e la trasformazione di tutti gli Enti con finalità di religione e di culto in Onlus. Lo Stato sarebbe, a quel punto, libero di destinare le quote dell'otto per mille Irpef ad altre finalità e gli enti ecclesiastici potrebbero egregiamente e agiatamente vivere ed operare con i biglietto d'ingresso nelle chiese (una sorta di tassa sulle devozioni e sui sacramenti) e con le erogazioni liberali dei fedeli che, come è ben noto, rappresentano una porzione del tutto minimale del sistema di finanziamento della Chiesa cattolica istituito dalla predetta legge n. 222/1985”. MARGIOTTA BROGLIO F., Le fabbricerie tra configurazione napoleonica e tentazioni anglosassoni, in OPERA PRIMAZIALE PISANA, La natura giuridica delle fabbricerie, Giornata di studio, Pisa 4 maggio 2004, Pontedera, 2005, 33-39.8 Ricadremmo in questo caso nell’applicazione delle norme relative alla tutela del patrimonio storico artistico e nella disciplina propria dei beni culturali, magari provvedendo alla separazione tra l’amministrazione della chiesa, relativamente alle spese di ufficiatura e manutenzione ordinaria, e un diverso Ente preposto alla gestione del complesso architettonico, monumentale e artistico. Quest’ultimo e solo quest’ultimo potrebbe beneficiare delle provvidenze a favore della conservazione, restauro e manutenzione dei beni culturali e architettonici oggi assicurato soprattutto da norme a carattere regionale. Si veda: MARCHEI N., L’edilizia e gli edifici di culto, Nozioni di diritto ecclesiastico (a cura di G. Casuscelli), Torino 2006, 175-281..

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all’esercizio del culto. Non si tratta di prendere atto esclusivamente della richiesta di “nuove” confessioni religiose di procedere alla costruzione di edifici destinati o connessi all’esercizio del culto pubblico, ma di riflettere, ad esempio, sul significato più generale della legge nazionale e delle leggi regionali sugli oratori, che sono indice del farsi carico dello Stato e delle Regioni del valore della cultura religiosa e dell’esistenza di un interesse pubblico a consentire l’esercizio del culto e le attività ad esso connesse, anche per gruppi specifici e delimitati di persone residenti sul territorio, andando ben al di là di un intervento diretto alla realizzazione di strutture aperte al culto pubblico e perciò destinate alla popolazione nel suo complesso.

A fronte del dilatarsi della nozione di edificio di culto nella legislazione regionale e statale viene da chiedersi se non sia utile riflettere - come ci ripromettiamo di fare in questo intervento – sull’opportunità di una “nuova stagione” per le fabbricerie. Esse hanno dato nei secoli buona prova delle possibilità d’incontro tra confessione religiosa e autorità pubbliche, contribuendo a dettare le regole di una sana collaborazione tra lo Stato e il culto, relativamente alla gestione degli edifici dedicati al culto pubblico. Oggi occorre trovare - nel rispetto della laicità dello Stato e della libertà di coscienza - soluzioni ai problemi posti da una società caratterizzata dalla presenza di numerosi culti, assicurando a tutti gli stessi diritti e consentendo la pacifica convivenza sul territorio di differenti comunità religiose, senza alcuna lesione della libertà di culto e di coscienza. Servono perciò regole collaudate, soprattutto per quanto attiene la collaborazione tra autorità pubbliche e religiose nella gestione dei luoghi deputati al culto pubblico, dove più acuta si fa la sensibilità religiosa relativamente alle possibili lesioni dei principi di autonomia e di libertà e più forte l’esigenza dello Stato di affermare la sua laicità, tolleranza e neutralità.

1. 2. Le fabbricerie dal Concordato del 1929 all’accordo di Villa Madame e alla L. 222/85

Tralasciando per brevità le ricostruzioni storiche più antiche dell’evoluzione delle norme in materia di fabbricerie rileviamo che nel Concordato lateranense del 1929, si disponeva che gli amministratori delle fabbricerie non dovessero ingerirsi nei servizi di culto e che le nomine dei fabbriceri dovevano essere fatte dalle autorità pubbliche, d'intesa con quelle ecclesiastiche (art. 29, lett. a legge n. 810/1929).

La legge n. 222/1985 (art. 72) ed il successivo regolamento di applicazione (dpr. n. 33/1987), non hanno, in ultima analisi, modificato la situazione del 1929 (leggi n. 810 e 848/1929), salvo consentire la soppressione9 di fabbricerie, anche fuori dei casi previsti dalle leggi, purché vi fosse un previo accordo tra il Ministro dell'Interno e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, udito il parere del Consiglio di Stato. Data ultima per provvedere alle soppressioni il 31 dicembre 1989.

Se si scorre la Gazzetta Ufficiale a partire dal 1987 e per i tre anni successivi si ha modo di imbattersi in numerosi decreti di soppressione, a riprova che l’autorità ecclesiastica, di concerto con quella civile, ha largamente approfittato di questa possibilità in quanto la presenza di laici nominati dall’autorità pubblica nell’amministrazione delle spese per l’officiatura e nella gestione delle chiese è stata vista sempre con diffidenza dalle autorità ecclesiastiche10.

9 “Entro il 31 dicembre 1989, previa intesa tra la Conferenza episcopale italiana ed il Ministro dell’interno, con decreto del Presidente delle Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato, può essere disposta la soppressione di fabbricerie anche fuori dei casi previsti dalle disposizioni vigenti, ferma restando la destinazione dei beni a norma dell’art. 1 del R. D. 26 settembre 1935, n°2032 ”. Per “disposizioni vigenti” richiamate nella norma, deve presumibilmente intendersi, l’insieme delle norme tutorie del Cod. Civ. sulle fondazioni (art. 25 e segg.) V TOZZI, Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Salerno, 1990, 273 ss. Dall’entrata in vigore della legge ad oggi sono state effettuate numerose soppressioni di Fabbricerie. I relativi atti sono richiamati “ Codice di diritto Ecclesiastico” (a cura di R. Botta), Milano, 1990, pag. 321.

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Tuttavia il fatto che questi antichi istituti per essere soppressi necessitano di un apposito provvedimento del Capo dello Stato, evidenzia immediatamente la natura pubblicistica delle fabbricerie che, nel solco dell’impostazione napoleonica, il legislatore del 1929 (il quale riservava all’amministrazione la vigilanza e la tutela sulle chiese aventi una fabbriceria) e quello del 1985, hanno voluto conservare. Il carattere “misto” di questo istituto venne in un primo momento affermato dalla Cassazione11. Ma al di la di ogni disquisizione sulla natura giuridica pubblica o privata dell’Ente è certamente vero che il Regolamento n. 33 del 1987, dà maggiore rilievo agli Statuti e ai regolamenti interni delle fabbricerie che devono essere sempre approvati dal Ministro dell'Interno o dal Prefetto12. Inoltre il citato decreto consolida il controllo sui bilanci da parte della pubblica amministrazione, portandolo dalla precedente scadenza triennale a quella annuale e mantenendo l'autorizzazione governativa per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione..

Il Decreto definisce i compiti delle fabbricerie stabilendo che esse non devono ingerirsi nei "servizi di culto" ma:

• provvedere alla manutenzione e restauro della chiesa e delle sue pertinenze e all'amministrazione dei beni e delle offerte destinati a questa finalità;

• amministrare beni destinati al culto e all'ufficiatura; • provvedere alle spese per arredi, suppellettili e impianti necessari alla chiesa e alla

sacrestia e ad ogni altra spesa prevista dallo Statuto della fabbriceria (art. 37, comma l, lett. a), b) e c) )13

Queste previsioni sembrano muoversi nel solco dell’art. 12 del Concordato del 1984. Eppure, tutto ciò premesso, molto si continua a discutere sulla natura delle fabbricerie. Ne

abbiamo avuto una ampia dimostrazione negli interventi di stamani: ci si chiede se le fabbricerie siano enti collegiali o fondazioni14, enti pubblici o enti privati; ci si chiede da più parti se esse non debbano trasformarsi tutte in Onlus, come una parte rilevante di coloro che vi operano vorrebbe15.

Quale che sia la scelta che si vuole fare, la strada della trasformazione delle fabbricerie in Onlus o in enti meramente privati, non può avvenire per una decisione della Cassazione. Ne basta che essa richiami per analogia nella sua pronuncia - al fine di motivare la decisione - sentenze della

10 MORESCO M., Fabbriceria (voce), Nuovissimo Digesto Italiano, vol. IV, Unione tipografico-Editrice torinese, Torino, 1957; CARON P. G., Fabbricerie (voce), Enciclopedia del diritto, vol. XVI, Giuffrè Ed., 1967; FERRABOSCHI M., Fabbriceria (voce), Enciclopedia giuridica Treccani, vol. IV, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1990.11 Corte Cass. Sez. Un. 22 giungo 1948, n, 969, in in Foro it., 1949, I, p.357 ss., con nota critica di P. Gismondi. In altra direzione si muove la Suprema Corte con sentenza 26 ottobre 1984 n. 5485 (Dir. eccl. 1985, II, p. 167 ss.) affermandone la natura privatistica. Concorda con questa impostazione ORSONI G., La natura giuridica delle fabbricerie nel diritto italiano e comunitario, OPERA PRIMAZIALE PISANA, La natura giuridica delle fabbricerie…cit., 51-57.12 FERRABOSCHI M., Fabbriceria (voce), Enciclopedia…cit………….13 Quanto previsto alle lettere a) e c) esclude le chiese e gli stabili annessi dal generale sistema definito dalla legge n. 222/1985 per il finanziamento, con le quote di cui all'art. 47, delle esigenze di culto della popolazione tra le quali appare evidente, grazie agli artt. 50 e 53 della medesima legge, che rientrano le spese per gli stessi fini perseguiti dalle fabbricerie, nelle chiese dove sussistano in quanto in difetto di redditi sufficienti da parte della fabbriceria, deve provvedere della Chiesa italiana, ai sensi di quanto previsto dall'art. 48 della legge n. 222. Sul rispetto di tale impegno vigila a cadenza triennale la Commissione Paritetica Presidenza del Consiglio dei Ministri - Conferenza Episcopale Italiana, in applicazione dell'art. 49, L. 222/ 85 .14 Su problema di quali fabbricerie possono essere considerate fondazioni e quali collegi di controllo vedi FERRABOSCHI M., Fabbriceria (voce),…cit., …….. che distingue anche tra fabbricerie personificate e non personificate e, quindi, meri organi amministrativi della chiesa, problema esaminato anche alla luce delle norme canoniche che reggono gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero o altri eventuali organismi ecclesiastici di controllo sulle spese di culto e di ufficiatura,.15 Sul punto CONSORTI P., Se le fabbricerie possono essere Onlus, “ Il dir eccl.”, P I, 2005, 214-228: ID., Il pasticcio brutto delle “Onlus parziali”, in “Q.D.P.E”, 2003, 701 ss.

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Corte Costituzionale favorevoli alla privatizzazione di strutture e istituti pubblici quali furono le IPAB16.

Il richiamo, anche esplicito, in questo caso, alla vicenda che ha portato alla ricostruzione privatistica di queste in Onlus sulla scia delle sentenze della Corte Costituzionale non sembra riproponibile per analogia, poiché il particolare regime delle fabbricerie è disegnato dalle norme concordatarie. Si tratta d’istituti la cui regolamentazione è inserita in una legge, la 222/85, attuativa del Concordato e quindi di rango superiore rispetto alle leggi ordinarie, non modificabile se non previa trattativa tra le parti e il raggiungimento di un nuovo accordo. Prova ne sia che a nessuno sfugge che perché le fabbricerie ottengano la qualifica di Onlus i loro Statuti dovrebbero essere preventivamente modificati con le procedure dell’art. 35, c. 1 e 2, del Regolamento sulle fabbricerie relative a: approvazione del nuovo Statuto, udito il vescovo diocesano, da parte del Ministro dell'Interno o dal Prefetto17, con buona pace di una supposta indiscutibile natura privatistica delle fabbricerie.

La citata copertura concordataria sembra sfuggire a quella parte della dottrina che pensa di operare riforme di ordine strutturale al di fuori del rispetto dell’architrave costituzionale e concordatario e alla stessa magistratura, spesso svogliata e disattenta rispetto ai vincoli di legge e alle garanzie costituzionali, quando si tratta di proporre una “interpretazione evolutiva della Costituzione” in attuazione della scelta tutta ideologica di smobilitare i poteri pubblici e le competenze dello Stato a vantaggio dell’autonomia dei privati. Non basta ritenere che un istituto sia desueto se si vuole modificarlo, ma della questione deve essere investito il legislatore, ancor più in questo caso, poiché siamo di fronte a una materia mista18.

16 Per un commento della giurisprudenza della Corte: FOLLIERO C., La vicenda Ipab al momento presente: modalità e tempo della crisi dello Stato sociale, in Nuovi studi di diritto canonico ed ecclesiastico. Atti del convegno svoltosi a Sorrento dal 27 al 29 aprile 1989, Salerno, Edisud, 1990; 595-604; CAVANA P., L'ultima legge eversiva (c. d. legge Crispi) al vaglio della Corte Costituzionale: il nodo sciolto delle IPAB, in «Dir. eccl.», XCIX, 1989, n. 1, I, 62-86; CASSANDRO G., Nota di rinvio in tema di ipab, in Quad. dir e pol. eccl., 8 (2000), n. 3, 651-2. Da ultimo sulle IPAB regionali e la gestione dei servizi alla persona da parte delle confessioni religiose BOTTI F., I provvedimenti regionali a sostegno degli Enti confessionali che operano come IPAB o Imprese di utilità sociale. in Atti del convegno “Federalismo fiscale, principio di sussidiarietà e neutralità dei servizi sociali erogati. Esperienze a confronto”, svoltosi a Ravenna dal 4 al 6 maggio 2006, di prossima pubblicazione.17 Risoluzione n.6/E,10 gennaio 2002 dell'Agenzia delle Entrate, “Nel prospettare la propria soluzione, la fabbriceria ricorrente, operante come ONLUS nel settore dei beni culturali e della promozione della cultura e dell'arte, dichiara di "essere un ente ecclesiastico di natura privatistica che svolge, quale ONLUS, attività di tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico di cui alla legge 1089 del 1939, nonché di promozione della cultura e dell'arte" e afferma di avere quali principali proventi "il prezzo dei biglietti di accesso ad alcuni monumenti e i corrispettivi delle locazioni degli immobili vincolati ai sensi della legge 1089 del 1939". Premesso che l'ente non è ente ecclesiastico ai sensi della legge n. 222/1985, diciamo subito che le attività che l'ente dichiara di svolgere non hanno nulla a che vedere con le precise finalità assegnate dalla legge alle fabbricerie. Se fra i monumenti per i quali è previsto il prezzo del biglietto di accesso, ci sono edifici destinati al culto, tale previsione non solo viola la disposizione concordataria, ma anche gli impegni, assunti dalla Conferenza Episcopale Italiana in sede di Commissione paritetica per la revisione triennale del sistema di finanziamento, di non procedere in tale direzione. Ne risulterebbero infatti violati sia la lettera che lo spirito della legge n. 222/1985.

L'Agenzia delle Entrate, dal suo canto, intende valutare se la fabbriceria istante possa essere ricondotta "tra le organizzazioni non lucrative di utilità sociale". A tal fine richiama il parere n. 289/2000 del Consiglio di Stato - che affermerebbe la natura privatistica delle fabbricerie — e precisa che qualora queste entità presentino i "requisiti tipologici" delle Onlus, dovranno però modificare il proprio Statuto ai sensi del decreto legislativo n. 460/1997. Così argomentando l’Agenzia delle Entrate dimentica che ogni modifica del genere dev'essere approvata dal Ministro dell'Interno o dal Prefetto. Il che non accade certo nel caso delle Onlus, le quali, comunque, pure in presenza dei requisiti di legge, non hanno automaticamente diritto ad accedere alla relativa qualifica.

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1. 3. Il riordino delle proprietà ecclesiastiche nell’accordo di Villa Madama e nella L. 222/85; il particolare regime degli edifici di culto di proprietà della Chiesa e di quelli di proprietà pubblica.

Uno dei tratti caratteristici e significativi della modifica concordataria del 1984 è costituito dalla completa e radicale ristrutturazione del patrimonio ecclesiastico, attuata attraverso la L. 222/85. Questa considerazione induce a riflettere sull’importanza della legge 222 del 1985 come uno dei luoghi veri della trattativa tra lo Stato e la Chiesa e a rilevare che non è forse un caso che a distanza di 20 anni da quel provvedimento non se ne sia fatto un esame approfondito19.

Se vi è stato un interesse dello Stato a porre ordine in un patrimonio ecclesiastico estremamente frazionato e frutto di stratificazioni secolari di diritti e privilegi, servitù e gabelle, a volte intessute in modo inestricabile, vi è stato un indubbio e corrispondente vantaggio della Chiesa cattolica a effettuare permute e compensazioni, modifiche nell’attribuzione della proprietà, smobilizzo di beni, vendite e acquisti, senza alcun onere economico e tributario 20.

18 E’ opportuno ricordare che le fabbricerie esistenti sono enti ecclesiastici e che perciò le questioni attinenti il loro status sono sottoposte alla legge e sfuggono ai processi di omologazione ad altri istituti o figure giuridiche, realizzabili mediante un’opera creativa della giurisprudenza, procedura questa estranea al nostro ordinamento. E’ opinione di chi scrive che non possa essere riproposto il percorso tracciato a proposito delle IPAB dalla Sentenza della Corte Costituzionale 396/88. Mancano del tutto, in questo caso, i provvedimenti legislativi a supporto delle pronunce della magistratura, difficilmente emanabili vista particolare natura della L. 222/85 più volte richiamata e la sostanziale inconsistenza delle pronunce giurisprudenziali: Sulla vicenda delle IPAB e gli intrecci con le ONLUS ecclesiastiche, vedi per tutti: CARDIA C., Principi di diritto ecclesiastico,… cit., 309-31319 PICOZZA P., Gli enti ecclesiastici: dinamiche concordatarie tra innovazioni normative e disarmonie del sistema, “QDPE”, n. 1, 2004, 165-185.Non va dimenticato che, data la molteplicità dei trasferimenti patrimoniali previsti dalla riforma, l’art. 31 della legge 222/1985, ha esentato tutti gli atti di cui agli art. 22 comma 3°, 28, 29 e 30 della medesima legge, oltre agli adempimenti necessari (trascrizioni e volture catastali), se compiuti entro il 31 dicembre 1989, “da ogni tributo e onere”, con un evidente vantaggio anche economico per gli enti ecclesiastici che avrebbero dovuto farsi carico dei costi relativi.Per quanto concerne l’imposta sull’incremento di valore degli immobili (Invim), l’Istituto centrale ha affermato che “tra i trasferimenti immobiliari soggetti all’imposta non sono indicati quelli disposti dal Vescovo diocesano né questi ultimi possono essere assimilati ad una delle categorie contemplate. I trasferimenti disposti con decreto vescovile rappresentano, infatti, una categoria assolutamente originale, la cui previsione è, tra l’altro, contenuta in una legge speciale (quale è la legge n. 222) che non consente applicazioni analogiche. I trasferimenti disposti con decreto del Vescovo diocesano ai sensi del 4° comma dell’art. 29 della legge 222 non sono, pertanto, soggetti ad Invim”. Circa l’imposta di registro, l’Istituto centrale, in una nota indirizzata all’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Faenza – Modigliana, ha sostenuto che “l’art. 2 della legge 26 aprile 1986 n. 131 (e successive modificazioni e integrazioni) stabilisce, per quanto di interesse, che sono soggetti a registrazione ‘gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento’ e un’altra serie di atti tra i quali non sono ricompresi i decreti vescovili ex quarto comma dell’art. 29 della legge n. 222. Valgono, pertanto, anche in questo caso tutte le considerazioni esposte a proposito dell’Invim, con la naturale conseguenza che i decreti vescovili di assegnazione non sono soggetti a registrazione e che non si applica l’imposta di registro”.

Secondo l’Istituto centrale, quindi, “sembrerebbe incontrovertibile che i trasferimenti in questione continuino ad essere, pur dopo il 31 dicembre 1989; non soggetti all’Invim e all’imposta di registro; non soggetti all’imposta catastale; assoggettati all’imposta ipotecaria in misura fissa; assoggettati a tutte le altre tasse (es. tassa ipotecaria di 23.000 lire), bolli e diritti di segreteria non connessi al valore dei beni ritrasferiti”. In tal senso, vedi: ISTITUTO CENTRALE PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO, Nota Prot. 9294/96 R., 29 luglio 1996.20 DI PIETRO A. atti convegno Bologna Zanotti

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La devoluzione del patrimonio agli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero di gran parte dei beni già appartenenti ai benefici, se ha creato una notevole concentrazione del patrimonio in capo ad Enti efficacemente dimensionati rispetto al mercato immobiliare e finanziario21, ha portato anche a una ridefinizione dell’Ente Chiesa22 al quale far afferire esclusivamente i beni destinati alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’edificio di culto, ricreando così un Ente tutto religioso, ma con una struttura ben individuata in ambito civilistico che, con strumenti propri del diritto privato, gestisce un edificio di culto23.

E tuttavia questi edifici ambiscono ad uno status particolare, mentre sono sempre presenti richieste d’interventi pubblici per la manutenzione ordinaria e straordinaria, soprattutto quando essi – come spesso accade – sono custodi della storia del territorio e ospitano opere artistiche di rilevante interesse pubblico, quando non succede che l’edificio stesso costituisce un’opera di interesse storico-artistico. Questa particolare natura dell’edificio fa si che non solo venga ad essi attribuito un finanziamento pubblico, ma che i lavori di restauro, manutenzione e o recupero del bene, pure appaltati dall’autorità ecclesiastica, seguano le procedure e i controlli delle opere a evidenza pubblica, non solo relativamente alla gara e al capitolato di appalto, ma anche ai controlli durante i lavori e in sede di collaudo di fine lavori, effettuati ad opera del Genio Civile, quasi che si trattasse di opere pubbliche24.

Si parla perciò con difficoltà di tali edifici come privati, malgrado che non vi siano dubbi sull’appartenenza di essi a un ente privato quali sono la Chiesa cattolica e le sue articolazioni territoriali (diocesi e parrocchie) o enti ecclesiastici. Ancora più forti sono i legami tra la confessione e le autorità pubbliche quando queste sono proprietarie di edifici di culto.

Occorre distinguere a riguardo il caso di edifici di proprietà comunale o statale, a proposito dei quali capita sovente di trovarsi di fronte a immobili in stato di abbandono, divenuti ormai fatiscenti, ma per i quali nulla si è fatto da parte degli Enti che ne sono proprietari per attivare le procedure canoniche relative alla dismissione dell’edificio come luogo consacrato, rimuovendo la

21 Non sempre gli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero sembrano preparati a gestire i consistenti patrimoni ricevuti dalla devoluzione ad essi dei benefici. Queste difficoltà sono testimoniate dalle vicende che coinvolsero a partire dal 1998 la Diocesi di Napoli nella persona del suo vescovo Cardinale Michele Giordano, nella sua qualità di Presidente dell’Istituto Diocesano per il Finanziamento del Clero di Napoli le quali dimostrano quanto meno imperizia e leggerezza nella gestione economica di tali risorse.. CASUSCELLI G., Il “caso Giordano”: tentazione del privilegio ed ingiustificate omissioni, “Dir. pen. Proc.”, 1998, 1194.; CONSO G., Il vero punto debole del “caso Giordano”, “Dir. pen. Proc”., 1998, 1061.22 Dopo l’approvazione della L. 222/85 possiamo definire l’ente chiesa come una fondazione avente come sua funzione quella di provvedere alla manutenzione e all’officiatura di un determinato edificio di culto. In dottrina si è discusso e si discute se un ente chiesa possa non essere proprietario dell’edificio di culto al quale fa riferimento. A riguardo si veda: Consiglio di Stato. Sezione Prima. Parere 10 novembre 1993, n. 113223 Sulla struttura e le funzioni dell’ente chiesa: CLEMENTI P., COLOMBO G., RADAELLI C., Gli enti religiosi., Natura giuridica e regime tributario. Le attività istituzionali e commerciali. La contabilità e il bilancio., Milano, 1999, 65-76. Premesso che la legge n. 222 del 1985 prevede la tipicità degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, anche se l’elencazione che ne è fatta nella legge non è da ritenere esaustiva, (Consiglio di Stato, pareri 13 dicembre 1989, n. 2090/89; 26 settembre 1990, n. 1032/89; 12 maggio 1993, n. 462/93) vi è una procedura ben definita che presiede al riconoscimento della personalità giuridica dell’ente che ben si adatta a intrattenere rapporti con qualsiasi culto. Vedi a riguardo, ad esempio tra i tanti, il sito della Prefettura di Matera C:/Documents%20and%20Settings/Administrator/Documenti/article.php.htm (ultima visita 31.12.2006)24 Emblematico in tal senso il caso dei lavori finanziati dallo Stato attraverso somme erogate dall’Arcivescovo di Messina e da questi affidate ad una ditta di sua scelta, che ha dovuto tuttavia sottoporsi alle valutazioni del genio civile relativamente alle verifiche sullo stato di avanzamento dei lavori e al collaudo finale, a dimostrazione del prevalente interesse pubblico dell’opera. Su questi contratti in generale vedi: PERICU G., L’attività consensuale dell’Amministrazione pubblica, in MAZZAROLLI L, PERICU G. ROMANO A, ROVERSI MONACO F. A., SCOCCA E. G., Diritto Amministrativo, vol. II, 1998, 1588 ss.; Consenso e autorità nell'evidenza pubblica, in Scritti Guarino, I, 115-50 e in Dir. amm., 6 1998, 167-202.

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sua destinazione al culto pubblico25. Succede così che successivi interventi di restauro e ripristino dell’edificio, attuati dall’Ente che ne è proprietario, utilizzando fondi pubblici, per destinare l’edificio a altri usi vedano tali procedure ostacolate legittimamente dall’Autorità ecclesiastica che – magari a recupero avvenuto - ne rivendica l’utilizzazione come luogo di culto26.

Ancora diverso il caso in cui – come abbiamo visto nell’intervento precedente del Dott. Campanini – la manutenzione delle chiese e di strutture museali annesse grava, per ragioni di carattere storico, addirittura sul bilanci della Sanità della Regione Emilia Romagna, rappresentando indubbiamente una spesa impropria, se non altro per la collocazione all’interno del bilancio della Sanità e con una scelta che si pone ben al di fuori delle metodiche di gestione del patrimonio storico artistico, settore al quale più coerentemente apparterrebbe ratione materiae.

1.4. Le modifiche del Titolo V parte seconda della Costituzione e l’intesa del 26 gennaio 2005 con la CEI.

A ben guardare la strada per innovare e intervenire in questo settore sembra essere oggi completamente diversa dal passato. Con le modifiche del Titolo V della Costituzione (legge cost. n° 3 del 2001) e quelle del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), la competenza delle Regioni in materia di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale cresce notevolmente27. Anche a voler ritenere che il patrimonio culturale delle fabbricerie non rientra tra i beni regolati dal comma 2, art. 12 del Concordato 1984, esso fa certamente parte di quel generale patrimonio storico e artistico per il quale è prevista, dal comma 1 del medesimo art. 12, la collaborazione tra la Repubblica e la Santa Sede. Per questo motivo le Alte Parti hanno sottoscritto il 26 gennaio 2005 una nuova intesa “che

25 E’ necessario, in primo luogo, che sussista una effettiva destinazione al culto pubblico dell’edificio e che pertanto si abbia una concreta fruizione del tempio da parte della popolazione, senza limitazione di categoria o gruppo sociale. Per la giurisprudenza , Cass. 29 febbraio 1952, n. 576, “Giurisprudenza italiana”,1952, 702 e ss.; Cass. 27 novembre 1973, n. 3227, “Giurisprudenza civile”, 1974, 602 e ss. Per la dottrina : G. R. GIACOMAZZO, Sul pubblico uso degli edifici di culto di proprietà privata : premesse ed effetti, “ Diritto Ecclesiastico”,1957, 225 ; L. CONSOLI, L’attività amministrativa della chiesa nell’ordinamento italiano, Milano, 1961, 156 e ss.26 E’ il caso della ex Chiesa di Sant’Angelo sita in località Cesi del Comune di Terni edificata nel 1093, rimodernata nel XIV secolo e pervenuta al Comune di Terni in proprietà a seguito del Decreto Pepoli dell’ 11 dic. 1860. L’edificio, non più adibito al culto pubblico dal 1905 è stato successivamente utilizzato in vario modo, e tra questi come deposito per la nettezza urbana. In ragione del valore storico artistico della struttura, degli affreschi e di alcuni sarcofagi il Comune di Terni ne disponeva il recupero, acquisendo i prescritti pareri favorevoli della Sovrintendenza dell’Umbria, con note del 13 nov. 2001, Prot. 28003, Allegati OAT 32- 4 e nota del 25 genn 2002 Prot. N. 32584 , Allegati OAT 32-4. Ne veniva consentita la ristrutturazione ai fini di un diverso uso dell’edificio.A restauro effettuato perveniva al Comune di Terni, in data 5 febbraio, Prot n 026569/A/02, una richiesta dell’Arcivescovo di Spoleto-Norcia che rivendicava l’uso della Chiesa come edificio di culto, non essendo mai intervenuta la sconsacrazione e malgrado il perdurante non uso dell’edificio a scopo di culto.27 Sul Punto MARGIOTTA BROGLIO F., Art. 9 d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, (a cura di M. Cammelli) Bologna, 2004, 96 ss.; CHIZZONITI A. G., Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio: prime considerazioni di interesse ecclesiasticistico, in Quad. dir. pol. eccl., 2004, 402 ss.; Il codice dei beni culturali e del paesaggio (a cura di R. Tamiozzo), Giuffrè, Milano, 2005; Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio (a cura di A. Angiuli e V. Caputi Jambrenghi), Giappichelli, Torino, 2005; Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di G. Trotta, G. Caia e N. Ai cardi), in «Nuove leggi civili commentate», Cedam, Padova, n. 5/6-2005 e n. 1/2006 ; Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di M. A. Sandulli), Giuffrè, Milano, 2006: Per uno sguardo d’insieme, tutti BARBATI G., CAMMELLI M., SCIULLO G., Il diritto dei beni culturali, Il Mulino, Bologna, 2006.

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abroga e sostituisce quella sottoscritta il 13 settembre 1996 fra le medesime autorità, resa esecutiva nell'ordinamento dello Stato con il decreto del Presidente della Repubblica 26 settembre 1996, n. 571, e nell'ordinamento della Chiesa con il decreto del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana 29 ottobre 1996, n. 1251/96” 28.

Da ciò consegue che, se a livello centrale rimane competente per l'attuazione delle forme di collaborazione il Ministro e, secondo le rispettive competenze, i capi dei Dipartimenti o i Direttori Generali del Ministero, per la parte ecclesiastica la competenza appartiene al Presidente della C.E.I. e alle persone da lui eventualmente delegate a livello regionale. Saranno i Direttori regionali e i Presidenti delle Conferenze Episcopali Regionali o le persone eventualmente delegate da questi a dover provvedere alla ricerca di comuni soluzioni, avvalendosi a livello locale dell’opera dei Soprintendenti, competenti per territorio e materia, e dei Vescovi diocesani o di persone da essi delegate29.

Si crea in tal modo un nuovo tessuto di relazioni bilaterali decentrate, supportato dalle norme dell’intesa, ma in realtà riproducente le procedure di concertazione già previste dalla L. 241/90 alla quale si aggiunge la previsione di un’ampia e articolata collaborazione che consente di ricollocare anche le nome in materia di fabbricerie all’interno di un nuovo contesto di collaborazione, rispetto al quale va ridefinita sia l’attività di gestione di beni culturali d’interesse religioso svolte da queste strutture, sia l’attività propriamente di culto delle fabbricerie che ancora permangono.

La particolare natura giuridica delle fabbricerie fa si che si debba tenere conto che, all’interno della medesima struttura, convivono attività finalizzate all’officiatura e attività rivolte alla tutela dei beni architettonici e artistici che fanno parte dell’edificio di culto, incluse le sue pertinenze e alle opere d’arte in essi allocate. Ciò impone di distinguere tra due diversi tipi di edifici di culto.

28 Il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana è stato autorizzato dalla Santa Sede, con lettera del Cardinale Segretario di Stato del 18 novembre 2004, ad agire a nome della Conferenza stessa, ai sensi degli articoli 5 e 27, lettera c), dello Statuto della medesima e in conformità agli indirizzi contenuti nelle Norme e negli Orientamenti approvati dalla Conferenza Episcopale Italiana, rispettivamente del 14 giugno 1974 e del 9 dicembre 1992, ai fini della collaborazione per la tutela del patrimonio storico ed artistico di cui all'art. 12, comma 1, primo e secondo periodo, dell'Accordo, con Protocollo Addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, dovendo tenere conto delle modifiche alla legislazione dello Stato italiano successivamente intervenute e, in particolare, di quanto disposto dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, e dalla legge 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione.29 “3. Per quanto concerne i beni culturali di interesse religioso, gli archivi e le biblioteche ad essi appartenenti, gli istituti di vita consacrata, le società di vita apostolica e le loro articolazioni, che siano civilmente riconosciuti, concorrono, a livello non inferiore alla provincia religiosa, con i soggetti ecclesiastici indicati nel comma 2, secondo le disposizioni emanate dalla Santa Sede, nella collaborazione con gli organi statali di cui al medesimo comma.4. Ai fini della più efficace collaborazione tra le parti per la tutela del patrimonio storico e artistico, i competenti organi centrali e periferici del Ministero, allo scopo della definizione dei programmi o delle proposte di programmi pluriennali e annuali di interventi per il patrimonio storico e artistico e relativi piani di spesa, invitano ad apposite riunioni i corrispondenti organi ecclesiastici.5. In tali riunioni gli organi del Ministero informano gli organi ecclesiastici degli interventi che intendono intraprendere per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche e acquisiscono da loro le eventuali proposte di interventi, nonché le valutazioni in ordine alle esigenze di carattere religioso.6. Nelle medesime riunioni gli organi ecclesiastici informano gli organi ministeriali circa gli interventi che a loro volta intendono intraprendere.” Sull’intesa vedi l’interessante e esaustivo commento di: ROCCELLA A., La nuova Intesa con la Conferenza episcopale italiana sui beni culturali d'interesse religioso, Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 1, 2006.

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Quelli gestiti da un ente di natura pubblica, come la fabbriceria, in ragione del prevalente valore culturale di tali beni, considerati di grande interesse per la collettività, perché dotati di una funzione identitaria, quando non depositarie di un riconosciuto valore storico artistico che travalica e al tempo stesso s’intreccia con quello religioso. Per questo tipo di fabbricerie, non ha caso, è previsto un più penetrante intervento nella nomina dei fabbricieri da parte dell’autorità pubblica. Si tratta di un modo di procedere comune a numerosi ordinamenti: basti guardare al regime giuridico previsto, ad esempio, per alcune Chiese cattedrali in Spagna30.

Quelli gestiti direttamente dalla confessione o da associazioni di fedeli, come le confraternite. Tali edifici di culto beneficiano di una legislazione regionale di sostegno e finanziamento31.

Si rileva tuttavia che proprio il decentramento di poteri alle Regioni e l’adozione del codice dei beni culturali sembrano imporre oggi una rivalutazione dell’istituto delle fabbricerie in una duplice direzione: quella di ente che gestisce un patrimonio a carattere prevalentemente culturale e artistico; quella di un ente che assicura la corretta destinazione e gestione del finanziamento pubblico finalizzato a erogare un servizio alle popolazioni.

Questa scelta può essere un efficace strumento per dare una risposta, sul piano gestionale, al rafforzamento delle competenze delle Regioni in materia di tutela dei beni culturali e, al tempo stesso, al definitivo spostamento delle competenze relative al finanziamento pubblico di edifici di culto alle Regioni e ai Comuni, quando le attività che si svolgono presso questo edificio e le sue pertinenze sia di prevalente carattere cultuale e destinato a soddisfare le esigenze delle popolazioni stanziate sul territorio.

Con riferimento alle fabbricerie che gestiscono complessi architettonici di rilevante interesse artistico, storico e culturale rileviamo che, se è vero che la riforma costituzionale prevede che lo svolgimento di funzioni di interesse pubblico dovrebbe essere soddisfatto dal ricorso alla sussidiarietà orizzontale, affermazione che sembrerebbe supportata dallo stesso art. 118 Costituzione32, è anche vero che si riconosce alle Regioni il diritto a ricostruire, anche attraverso la gestione del patrimonio culturale, un proprio profilo identitario. Ciò non può che avere effetti sulla natura giuridica degli enti che gestiscono quei beni “simbolo”, intorno ai quali si costruiscono le radici di un territorio. Se così è, non vi è dubbio che i complessi architettonici artistici e museali,

30 ALONSO PEREZ J. I., Un modello di collaborazione in un sistema policentrico di competenze: la legislazione spagnola sui beni d’interesse culturale di proprietà ecclesiastica, Europa delle regioni e confessioni religiose, Torino Giappichelli 2001, 145-170.31 Dopo la sentenza 195/93 Corte Cost. solo alcune Regioni si sono adeguate ai parametri in essa dettati: l’art. 1 della L.R. Liguria n. 4, 24 gennaio 1985, “Disciplina urbanistica dei Servizi religiosi", è stato modificato con la L.R. n. 59 del 15 dicembre 1993, “Modifica della legge regionale 24 gennaio 1985 n. 4 Disciplina urbanistica dei Servizi religiosi"; l’art. 1 della L.R. Piemonte n. 15 del 7 marzo 1989, “Individuazione negli strumenti urbanistici generali di aree destinate ad attrezzature religiose - Utilizzo da parte dei Comuni del fondo derivante degli oneri di urbanizzazione e contributi regionali per gli interventi relativi agli edifici di culto e pertinenze funzionali all' esercizio del culto stesso”, è stato modificato con L.R. n. 39 del 17 luglio 1997, “Modificazioni alla legge regionale 7 marzo 1989, n. 15 (Individuazione negli strumenti urbanistici generali di aree destinate ad attrezzature religiose -Utilizzo da parte dei Comuni del fondo derivante dagli oneri di urbanizzazione e contributi regionali per gli interventi relativi agli edifici di culto e pertinenze funzionali all' esercizio del culto stesso)”. Tuttavia vi è da dire che altre Regioni come ad esempio la Puglia già a suo tempo prevedevano anche per le Confessioni diverse dalla Cattolica prive di intesa, la possibilità di ottenere contributi purché ne facessero apposita domanda. V.: L.R. Puglia n.4 del 4 febbraio 1994, art. 2, "Norme in materia di edilizia di culto e di utilizzazione degli oneri di urbanizzazione".32 Federalismo, regionalismo e principio di sussidiarietà orizzontale. Le azioni, le strutture, le regole della collaborazione con enti confessionali, atti del convegno tenutosi a Ravenna dal 25 al 27 settembre 2003, (a cura di G. Cimbalo e J. I. Alonso Perez) Torino, 2005, in particolare CIMBALO G., Leggi e provvedimenti regionali in materia ecclesiastica. La costruzione di sistemi integrati pubblico-privato, ivi, 247 – 270. L’analisi di queste problematiche è stata ulteriormente sviluppata nel convegno “Federalismo fiscale, principio di sussidiarietà e neutralità dei servizi sociali erogati. Esperienze a confronto”, svoltosi a Ravenna dal 4 al 6 maggio 2006, di prossima pubblicazione.

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oggi gestiti dalle fabbricerie sopravvissute dovrebbero tutti essere gestiti attraverso strumenti giuridici che consentono penetranti controlli pubblici, in modo da poterne esaltare, insieme a quello religioso, il valore sociale, civile e culturale33. Da qui la ragione di conservare l’indiscussa natura pubblica delle fabbricerie, deputate prevalentemente, in questo caso, alla gestione del complesso architettonico di afferenza, in ragione del valore artistico e identitario dei beni ecclesiastici in questione. In questo caso toccherebbe .alle Regioni e non più allo Stato la nomina dei fabbriceri e l’esercizio dei controlli sulle fabbricerie, nonché l’eventuale riassesto del bilancio di tali enti in caso di deficit come avviene il Belgio per i “Fabriques d’église”34.

Sembra di poter ritenere, inoltre, che proprio in ragione dei poteri ad esse trasferiti, le Regioni e le Conferenze Episcopali Regionali, a seguito dell’intesa del 26 gennaio 2005, potrebbero negoziare l’istituzione di nuove fabbricerie per la gestione di siti ritenuti dalle parti di particolare interesse architettonico-culturale-identitario, condizione necessaria e inderogabile alla quale subordinare la concessione di finanziamenti pubblici per la manutenzione e la fruizione pubblica e gratuita dei beni da queste gestiti35 con conseguente divieto di finanziamento pubblico agli enti privati (Onlus comprese) che gestiscono tali beni che, in quanto enti di diritto privato, devono ricercare sul mercato le risorse necessarie al loro finanziamento ordinario, imponendo, in questo caso legittimamente, il pagamento del biglietto di accesso per i visitatori.

In tal caso si potrebbe attivare ai diversi livelli una delle strutture paritetiche previste nell’intesa, incaricata di esaminare le richieste formulate dalle due parti, utilizzando i meccanismi e le procedure previste per il raggiungimento di un accordo.

33 art. 35“le fabbricerie delle chiese cattedrali e di quelle dichiarate di rilevante interesse storico ed artistico sono rette da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell’interno, sentito il vescovo; le altre fabbricerie sono rette da un proprio regolamento approvato dal prefetto sentito il vescovo diocesano”art. 35. Le fabbricerie maggiori sono quelle delle chiese cattedrali e quelle dichiarate di rilevante interesse storico ed artistico, esse sono composte di sette membri, nominati per un triennio, due dal vescovo diocesano e cinque dal Ministro dell’Interno sentito il vescovo stesso (e cioè con parere obbligatorio ma non vincolante del vescovo).Le fabbricerie minori sono invece tutte le altre. Il loro consiglio di amministrazione è composto dal parroco o rettore della chiesa e da quattro altri membri nominati per un triennio dal prefetto, d’intesa con il vescovo diocesano.34 SCHEPENS T., Praktische handeleiding voor de kerkfabrieken, Bruges, 1996, 413 ss.35 Come è noto molte chiese monumentali italiane hanno imposto il biglietto d'ingresso negli edifici destinati al culto pubblico, volendo sopperire alle proprie esigenze di conservazione e manutenzione con i proventi “museali” che esse stesse sono in grado di produrre. Così facendo le autorità ecclesiastiche hanno fatto prevalere il valore e la funzione profana di questi edifici, piuttosto che quella religiosa, ammettendo implicitamente che la frequentazione di tali luoghi non avviene per motivi di culto. L’imposizione di un biglietto di ingresso, obbliga chi vuole utilizzare l’edificio di culto come tale a dichiarare le proprie intenzioni, con conseguente violazione della libertà religiosa e finisce per far perdere alle chiese "musealizzate" quel requisito di destinazione e apertura integrale al culto pubblico che la legislazione italiana, sia unilaterale che pattizia, considera requisito indispensabile affinché un immobile possa acquistare o mantenere la qualifica e le prerogative degli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico. Se ne potrebbe dedurre che le autorità ecclesiastiche limitando, ostacolando o sottoponendo a verifica e al pagamento obbligatorio di una somma chi vuole accedere all’edificio di culto hanno sottratto tali edifici al culto pubblico, applicando l’art. 831 C. C.. Ne consegue che per tali edifici è venuto meno il regime di tutela previsto dal Concordato 1984 (art. 5), e che essi sono stati esclusi dalla previsione dell'art. 12, comma 2 del medesimo accordo, in quanto non più rispondenti alle "esigenze di carattere religioso" condizione necessaria per applicare la disposizione che garantisce la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche. Ulteriore conseguenza è che tali edifici non possono beneficiare delle leggi e dei provvedimenti a sostegno delle esigenze religiose delle popolazioni ma devono fare riferimento alle norme in materia di tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali. La scelta di “stare sul mercato” è coraggiosa, lecita e possibile ma porta con se delle conseguenze !

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Auspicabile dunque – come si è detto - un trasferimento dei poteri di controllo, vigilanza, erezione o estinzione delle fabbricerie alla Regione.

1. 5. Il finanziamento dell’edilizia religiosa

L’interesse dell’ordinamento per gli edifici di culto, non si esaurisce nella normativa sopra illustrata, ma si concreta in altre disposizioni di carattere statale o regionale. In molte disposizioni della normativa che è stata ed è di sostegno finanziario per gli edifici di culto torna ad essere essenziale la tutela degli interessi religiosi della popolazione.

Si tratta di disposizioni ormai consolidate, come si evince già dall’analisi dell’articolo 91 T.U. della legge com. prov., n. 383/1934 che contemplava tra le spese obbligatorie per i comuni, quelle necessarie alla “conservazione degli edifici serventi al culto pubblico nel caso di insufficienza di altri mezzi per provvedervi ”; questa norma sostituiva principi simili, dettati in via transitoria dal testo di legge comunale e provinciale del 1865 e poi del 1915. Il sistema delineato dall’art. 91 T.U. 1934 è stato progressivamente sostituito dalle norme contenute nella legge n. 865/1971 e nella legge n. 10/1977.

In base alla nuova impostazione, le chiese e gli altri edifici per servizi religiosi sono stati classificati tra le opere di urbanizzazione secondaria, per le quali i comuni ed i consorzi dei comuni sono autorizzati a provvedere con specifici finanziamenti. Ad esempio l’articolo 10 della L.10/1977 prevede che in ogni comune si accantoni un fondo con le somme percepite mediante il rilascio delle concessioni edilizie e a causa dell’applicazione di sanzioni amministrative per le violazioni di queste, e che tale fondo venga utilizzato anche devolvendo parte dei contributi alla competente autorità religiosa per la conservazione degli edifici di culto.

Ed ancora l’art. 1 della l. 847/67, come modificato dall’art. 41 della L. 865/71, prevede che alla realizzazione di queste opere i comuni possano concorrere mediante mutui che questa stessa legge consente di contrarre in deroga agli artt. 300 e 333 T.U. Legge comunale e provinciale, oppure mediante la destinazione vincolata, a norma dell’art. 12, l. 10/77, dei proventi delle concessioni e delle sanzioni amministrative (ai sensi dell’art.10, L. .n. 10/77), ormai da considerare la fonte di finanziamento prevalente, se non addirittura esclusiva.

In seguito al trasferimento, dallo Stato alle Regioni, delle funzioni amministrative in materia urbanistica, queste ultime, iniziando a legiferare intorno all’utilizzazione del fondo previsto dalla legge 10/ 1977, hanno seguito propri criteri, per le opere di urbanizzazione secondaria da realizzare relativamente alla costruzione di edifici di culto36. Tali criteri sono risultati variare in relazione all’indicazione delle confessioni religiose legittimate a chiedere il finanziamento. Infatti, vi sono regioni che prevedono l’erogazione dei contributi a favore di tutte le confessioni religiose, senza effettuare nessuna discriminazione37; altre fanno riferimento alle confessioni genericamente

36 Sulll’edilizia di culto in generale vedi: CASUSCELLI G., Edifici e edilizia di culto, Milano, 1979; ID., Fonti di produzione e competenze legislative in tema di edilizia di culto: annotazioni problematiche. Nuove prospettive per la legislazione ecclesiastica, Milano, 1981, 1187 ss.; ID., Post-confessionismo e transizione, Milano, 1984; VITALE A., Chiesa (come edificio di culto), Nov. Dig. It., Appendice, Vol. I, Torino, 1980, 1142; TOZZI V., Gli edifici di culto nel sistema giuridico…cit.; ID., La disciplina regionale dell’edilizia di culto, in Interessi religiosi e legislazione regionale, a cura di R. Botta, Milano, 1994, 27-52; BOTTA R., Le fonti di finanziamento dell’edilizia di culto, “Dir. Ecc.“, 1994, 3-4, 768 ss.; ID., Oneri di culto, Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XXI, Roma, 1995; MAURO T., L’evoluzione della normativa sull’edilizia di culto, Jus, 1995, 3, 266ss.; GIOVETTI G., Il diritto ecclesiastico di produzione regionale, Milano, 1997; ZANNOTTI L., Stato sociale, edilizia di culto e pluralismo religioso, Milano, 1990.37 Prevedono l’elargizione del contributo senza fare distinzioni tra le confessioni beneficiarie : l’art.1 3 della legge reg. Sicilia, n.21/1985, che parla di “opere di interesse di enti di culto e di formazione religiosa”, nonché “di enti preposto a(..) servizi pubblici sociali, religiosi e parrocchiali” ; l’art 2 l. reg. Sardegna ,n.38/1989, che fa riferimento alle “autorità competenti, secondo l’ordinamento della confessione religiosa”; l’art.2 della l. reg. Campania, n.9/1990, che menziona in modo generico un “Ente religioso competente”.

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indicate come “riconosciute”38 ; altre ancora più restrittivamente, prevedono il diritto al contributo pubblico solo a favore di quelle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, i cui rapporti con lo Stato sono disciplinati per legge, a norma dell’art. 8, 3°comma della Costituzione.39 E qualche altra infine consente il contributo solo a favore della Chiesa cattolica.40

La limitazione del contributo solo a favore delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, disciplinate previa intese, per legge, fra l’altro prevista dagli artt. 1 e 5 della l. reg. Abruzzo,n. 29/1989, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, in riferimento a tale disposizione, per contrasto con gli artt. 8, 1°comma e 19 della Costituzione. La Corte , individuato lo scopo della legge regionale esaminata, nell’esigenza di assicurare edifici aperti al culto pubblico mediante l’assegnazione delle aree necessarie e delle relative agevolazioni, osserva che rispetto all’indicata esigenza “la posizione delle confessioni religiose va presa in considerazione in quanto preordinata alla soddisfazione dei bisogni religiosi del cittadino”, nella prospettiva in cui “ tutte le confessioni sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti ”, cosicchè l’avvenuta stipula di un’intesa non può costituire elemento di discriminazione “nell’applicazione di una disciplina posta da una legge comune e volta ad agevolare l’esercizio di un diritto di libertà dei cittadini ”.41

Esclusa la legittimità costituzionale della discriminazione anzidetta, secondo la Corte il criterio ammissibile, previsto da alcune leggi regionali, è quello fondato sulla consistenza ed incidenza sociale della confessione che richiede il contributo e l’accettazione da parte di essa delle condizioni apposte alla concessione ed al vincolo di destinazione, a cui l’edificio di culto dovrà restare soggetto.

Le norme analoghe all’art, 1 della Legge Regione Abruzzo, emanate da altre Regioni, non possono pertanto essere giudicate in modo diverso. La mancanza, nell’ordinamento italiano, di una norma che consenta l’estensione automatica degli effetti della sentenza n. 195/1993 della Corte Cost. a tutte le altre leggi regionali simili a quella abruzzese in materia di finanziamenti all’edilizia di culto (e quindi chiaramente incostituzionali), fa emergere un favor per le confessioni munite di intesa, che diventano con la Chiesa cattolica, interlocutori privilegiati dei poteri pubblici. Prova ne sia che la Corte Costituzionale ha dovuto pronunciasi ancora una volta su una legge della Regione Lombardia che riproponeva questa discriminazione nel trattamento delle Confessioni senza intesa42. Malgrado ciò le regioni con orientamento difforme non hanno ritenuto di doversi adeguare.

Paradossalmente quindi l’attuazione dell’art 8 della Costituzione ha approfondito la diseguaglianza tra le confessioni nella direzione di accreditare l’idea che possa esistere una diversa 38 Parlano di “confessioni riconosciute”: l’art.5 della legge reg. Basilicata, n. 9/1987, che fa riferimento a “l’Ordinario diocesano per la Chiesa cattolica e/o il Rappresentante di altra confessione religiosa ancorché riconosciuta e che abbia una presenza organizzata nell’ambito del territorio comunale” ; la legge reg. Valle d’Aosta n.69/1992, che si riferisce alle “Chiese giuridicamente riconosciute, i cui rapporti con lo Stato sono regolati da intese in attuazione dell’art.8 Cost.”.Alla stessa tendenza possono essere ascritte quelle leggi regionali che prevedono la concessione di contributi a favore delle confessioni organizzate ai sensi degli artt. 7 e 8 della Cost.: l’art. 1, legge reg. Veneto, n. 44/1987 ; l’art. 1, legge reg. Marche, n. 12/1992.39 Le norme che limitavano l’elargizione del contributo alla Chiesa cattolica ed alle sole confessioni i cui rapporti con lo Stato siano regolati sulle base di intese sono state emanate : dall’art. 1, L. reg. Liguria, n. 4/1985, ( la regione Liguria ha però eliminato la discriminazione incostituzionale con la L. reg. n.59/1993 ); dall’art. 1 e 5 della L. reg. Abruzzo, n. 29/1988; dall’art. 1, L. reg. Piemonte, n. 1 5/1989; dall’art. 1, L. reg. Lazio, n. 27/1990; dagli artt. 1 e 3, della L. reg. Calabria, n. 21/1990; dall’art. 1, L. reg. Lombardia, n. 20/1992.40 In tal senso l’art. 11, L. reg. Friuli-Venezia Giulia, n. 53/1985, che facendo generico riferimento agli istituti di istruzione religiosa, alle opere di culto, edi ministero pastorale, compresi l’ufficio e l’abitazione del parroco, sembra con riguardo all’Italia alludere alle opere che interessino la Chiesa cattolica ; l’art 1, L. reg. Molise, n.4/1986.41 V.TOZZI, Osservazioni a Corte Costituzionale 19-27aprile 1993,n.195, in “QDPE”, 1993, II, pagg. 691-697. 42 Sentenza Corte Costituzionale 346 e3o 2002 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1 della Legge della Regione Lombardia n. 20 del 1992.

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condizione giuridica per le confessioni che hanno stipulato un’intesa rispetto a quelle che non l’hanno voluta (ritenendola, ad esempio, contraria ai loro principi) o non l’hanno potuta stipulare (per un rifiuto opposto dal Governo) o che l’anno sottoscritta, come i Testimoni di Geova e l’Unione Buddisti d’Italia e non la vedono convertita in legge..

Ciò significa che l’edilizia di culto realizzata sul territorio non sempre rappresenta fedelmente le esigenze religiose delle popolazioni in esso residenti; sono speso i gruppi minoritari a dovere rinunciare alla possibilità di avere un luogo dove officiare il loro culto. Sarà quindi opportuno che il legislatore rifletta con maggiore attenzione sulla necessità di una reale salvaguardia della libertà religiosa che potrebbe essere pregiudicata dall’attribuzione di fatto di una posizione di privilegio a determinate confessioni, per effetto della stipula delle intese43.

In questa direzione sembra andare sia la legislazione statale che quella regionale, la dove dispone il finanziamento per gli oratori44. Come è noto si tratta di strutture destinate a una componente ben individuata di popolazione (quella cattolica in generale, ma in alcune regioni anche quella appartenente a altri culti dotati di intesa) per i quali sembra escludersi una destinazione aperta45. Certamente per la Chiesa cattolica l’accesso a tali strutture è limitato e circoscritto all’utilizzazione da parte dei fedeli che vi afferiscono, come hanno dimostrato le limitazioni all’accesso disposte verso soggetti di altri culti o comunque non afferenti all’oratorio. Pertanto Stato e Regioni finanziano l’attività di culto di segmenti di popolazione, catalogati e contraddistinti in base all’appartenenza confessionale, sostenendo una “funzione sociale” di tali strutture che, in ragione di ciò, divengono percettori di un finanziamento pubblico.

Una volta che si accetta l’idea che lo Stato, in attuazione del combinato disposto dell’art. 19, 3 e 8 della Costituzione, deve intervenire sostenendo finanziariamente l’esigenza delle diverse

43 R. BOTTA, Manuale di Diritto Ecclesiastico, Torino, 1994, pag. 27044 La strada per il finanziamento di tali strutture è stata aperta dalla “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.” n. 328 del 08.11.2000, la quale, smantellando le strutture pubbliche dello Stato sociale, ha aperto la strada all’approvazione della Legge 1 agosto 2003, n. 206, contenente “Disposizioni per il riconoscimento della funzione sociale svolta dagli oratori e dagli enti che svolgono attività similari e per la valorizzazione del loro ruolo”, fortemente sostenuta e voluta dall’episcopato.La legislazione statale è oggi affiancata dalla legislazione regionale che di seguito segnaliamo: Riconoscimento della funzione sociale ed educativa svolta dagli oratori parrocchiali e valorizzazione del loro ruolo, L. R. Abruzzo, n. 36 del 31.07.2001; Riconoscimento e valorizzazione della funzione sociale svolta dalla comunità cristiana e dagli operatori parrocchiali nell'ambito del percorso formativo della persona. L. R. Calabria, n. 16 del 02.05.2001; Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della regione. L. R. Friuli-Venezia Giulia, n. 2 del 22.02.2000; Riconoscimento della funzione sociale ed educativa degli oratori., L. R. Lazio, n. 13 del 13.06.2001, Interventi regionali per la valorizzazione della funzione sociale ed educativa svolta dagli oratori e da enti religiosi che svolgono attività similari., L. R. Liguria, n. 16 del 10.08.2004; Azioni di sostegno e valorizzazione della funzione sociale ed educativa svolta dalle parrocchie mediante gli oratori., L. R. Lombardia, n. 22 del 23.11.2001. Riconoscimento della funzione educativa svolta dalle parrocchie e valorizzazione del loro ruolo nella regione Molise., L. R. Molise, n. 6 del 27.01.2003; Riconoscimento e valorizzazione della funzione educativa, formativa, aggregatrice e sociale svolta dalle parrocchie, dagli istituti cattolici e dagli altri enti di culto riconosciuti dallo stato attraverso le attività di oratorio. L. R., Piemonte, n. 26 del 11.11.2002.; Sistema integrato d'interventi e servizi sociali., L. R., Puglia, n. 17 del 25.08.2003; Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della regione per l'esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie., L. R., Sicilia, n. 19 del 22.12.2005; Riconoscimento e valorizzazione della funzione sociale, educativa e formativa svolta dalle parrocchie mediante gli oratori., L. R., Umbria, n. 28 del 20.12.2004; Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2003, L. R., Veneto, n. 3 del 14.01.2003.45 In tre casi, Lazio, Lombardia, Piemonte, i destinatari sono individuati non solo negli oratori parrocchiali e degli enti ecclesiastici cattolici ma anche in analoghe espressioni di altri enti di culto riconosciuti dallo Stato. La legge della Calabria parla di «comunità cristiane e oratori parrocchiali» aprendo così agli altri culti cristiani.

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confessioni di disporre di edifici e strutture nelle quali non solo celebrare il culto, ma anche svolgere attività sociali religiosamente caratterizzate, occorre avere chiaro che:

a) l’eguale libertà assicurata alle confessioni porta con se l’obbligo di una risposta positiva a tutti i culti;

b) avranno uguale diritto al finanziamento le strutture della comunità ebraica, come quelle della Chiesa cattolica, dei mussulmani per le loro moschee (e non per la sola sala di preghiera)46, i protestanti che lo richiedano per le loro strutture laicali, gli appartenenti a scientoloy per i loro enti collaterali, ecc.;

c) sarà necessario elaborare dei parametri in base ai quali concedere il sostegno dello Stato e degli enti pubblici territoriale, stante la dimensione finita delle risorse;

d) trovare degli strumenti di verifica e controllo sull’utilizzazione e gestione delle risorse erogate.

Ciò premesso, nell’attuale panorama legislativo e alla luce delle esperienze maturate dall’ordinamento nel rapporto con la Chiesa cattolica, niente appare più adatto a chi scrive di una rivisitazione della fabbriceria per risolvere questi problemi.

1. 6. La gestione degli edifici di culto costruiti con il concorso dello Stato. Un nuovo ruolo delle fabbricerie oggi

Questa proposta appare razionale se si tiene conto che il definitivo riparto di competenze crea – come si è detto - una ormai indiscussa ed esclusiva competenza delle Regioni e dei Comuni in materia di costruzione di nuovi edifici di culto.

Nessuno pensa di mettere in discussione i finanziamenti ormai consolidati alla manutenzione di questi edifici e complessi architettonici, finanziamenti che vanno ad aggiungersi agli autonomi, ma scarsi investimenti delle confessioni e dei fedeli in questo settore. Ma la presenza del finanziamento pubblico impone la rivisitazione della fabbriceria, proprio come ente di natura pubblica per la gestione di quegli edifici di culto per i quali le confessioni richiedono e accettano il prevalente finanziamento pubblico, a meno di non pensare comunque ad un nuovo istituto che preveda penetranti controlli sull’utilizzazione delle risorse messe a disposizione delle confessioni.

Così, se è vero che le fabbricerie esistenti andrebbero certamente soppresse – purché vi sia il consenso delle due parti - quando l’attività ad esse richiesta è quella relativa alle spese per l’officiatura e insieme la gestione dei proventi relativi ai diritti di acceso al godimento del patrimonio culturale museale e artistico amministrato, da ciò consegue la cessazione di ogni

46 L’art. 5.3. dell’accordo di villa Madama del 1984 e l’art 16.3. della L. 516/88 impegnano le autorità civili competenti in materia di pianificazione del territorio a tenere conto delle esigenze religiose delle popolazioni nel programmare le opere di urbanizzazione secondaria, categoria all’interno della quale si collocano gli edifici di culto. Relativamente ai finanziamenti per tali opere, mentre l’art. 12 della L. 10 /77, ora abrogato, faceva rientrare tali opere tra quelle finanziate con i fondi genericamente destinati alle opere di urbanizzazione secondaria, ora l’art. 16 d.p.r. 380/01 si limita a sollevare le confessioni dal pagamento della quota relativa agli oneri di urbanizzazione da corrispondere all’atto del rilascio del permesso di costruzione. In effetti l’art 94, c. 2, lett. d del d. lgs 112/98, confermando le competenze regionali del vecchio art. 117 della Costituzione in materia urbanistica opera un rinvio all’attività legislative di queste, ora rafforzate dal testo novellato dello stesso articolo. Per questo motivo sono le leggi regionali citate a disporre il finanziamento per gli edifici di culto, mantenendo in larga parte e malgrado le citate sentenze della Corte Costituzionale, la discriminazione nei confronti delle confessioni che non hanno stipulato intesa. Si nota tuttavia una tendenza della giurisprudenza, tuttavia minoritaria, a circoscrivere benefici e privileggi al solo edificio di culto, limitando l’estensione alle sue pertinenze. Cfr.: TAR Veneto, Sentenza n. 929 del 1999; TAR Piemonte, Sentenza 543 del 1993 mentre il TAR Marche, con sentenza 899 del 2003, ha operato una interessante distinzione tra le strutture previste tra le opere di urbanizzazione secondaria, esentate, e quelle non previste e quindi escluse dall’esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione.

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finanziamento pubblico. Non altrettanto può dirsi quando lo Stato o le Regioni, o i Comuni erogano sovvenzioni pubbliche all’ente gestore, comunque denominato, che presiede all’amministrazione dell’edificio di culto, delle sue pertinenze e di beni museali artistici, architettonici di valore storico o allo svolgimento di attività a fini sociali.

Si obietterà che si tratta di un intervento pubblico giustificato e motivato da quanto disposto nell’art. 19 Costituzione là dove si tratta di contribuire in modo positivo al diritto di consentire la celebrazione del culto e quindi la partecipazione dei fedeli all’esercizio del loro diritto di dare concreta realizzazione pratica alle attività religiose. Ma, fermo restando il diritto di ogni confessione di costruire propri edifici di culto a proprie spese - nel qual caso la gestione del bene non può che essere loro propria, nel rispetto delle norme di diritto privato - la presenza del finanziamento pubblico o comunque l’intervento dei poteri pubblici nel consentire la realizzazione e l’attuazione di tale diritto, non impone solo un vincolo di destinazione degli edifici, ma anche il controllo pubblico sulla finalizzazione effettivamente religiosa del finanziamento e dell’utilizzo del bene. Già la previsione nei piani regolatori dell’accesso all’utilizzo di aree destinate al culto, attiva di per se il vincolo pubblico all’utilizzazione di tali edifici, in relazione ai quali le autorità pubbliche hanno diritto ad ottenere effettive garanzie47. A maggior ragione la necessità di controlli e verifiche si impone quando il finanziamento riguarda la costruzione degli edifici e le attività che vi si svolgono. Ne vi sono problemi ad individuare l’interlocutore deputato a questi compiti in ambito religioso, anzi questa necessità imposta dalla richiesta di finanziamento risulta utile allo Stato per conoscere i rappresentanti della confessione, o a darseli se non ne dispone già.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica si dovrebbero attivare i medesimi meccanismi di concertazione tra le parti, indicate dall’intesa, in modo da individuare soluzioni concordate al problema, tanto più che la Chiesa cattolica ha provveduto da tempo all’introduzione del criterio della corresponsabilità laicale nella gestione del patrimonio di culto che avviene mediante il consiglio parrocchiale per gli affari economici (CAEP), previsto dallo stesso Codice Canonico. Il can. 537 impone infatti che vi sia in ogni parrocchia un tale organo; le norme che riguardano la sua costituzione, il funzionamento e le specifiche competenze sono definite dal diritto particolare e dagli Statuti48. Pertanto, in questo caso, pur senza ricorre alla costituzione di una fabbriceria, esiste per le autorità pubbliche un interfaccia confessionale con la quale interagire per effettuare quei controlli di risultato indispensabili, connessi al finanziamento pubblico di una struttura dedicata ad un’attività protetta quale l’esercizio del culto, in quanto attuativa di una libertà fondamentale (art. 19 Cost.). Sulla competenza per l’effettuazione dei controlli si può ancora pensare al Prefetto o agli uffici amministrativi della Regione o dei Comuni che erogano il finanziamento.

Altri culti possono individuare, nella loro autonomia e con le procedure statutarie autonomamente decise, dei soggetti incaricati di rappresentare la comunità che richiede i necessari

47 Ai sensi dell’art. 53 della L. 20 maggio 1985, n. 22 relativa all’edilizia di culto cattolico e all’art. 28 della L. 8 marzo 1989, n. 101 relativa all’edilizia di culto ebraico prevedono che gli edifici di culto costruiti usufruendo di finanziamenti regionali e comunali non possono essere sottratti alla loro destinazione (neppure per effetto di alienazione) se non decorrono venti anni dall’elargizione del contributo, in ciò confermando lo spirito e la lettera dell’Art. 831 C. C. Il vincolo di destinazione viene trascritto nei registri immobiliari al momento della corresponsione del finanziamento e può essere estinto d’intesa tra le autorità pubbliche eroganti e l’autorità ecclesiastica competente prima del termine, previa restituzione delle somme percepite proporzionalmente al tempo della mancata utilizzazione. Atti e negozi compiuti in violazione del vincolo sono nulli ai sensi dell’art 53 della L. 20 maggio 222/85 per la Chiesa Cattolica e all’art. 28 L. 8 marzo 101/89 per quelli ebraici. Queste condizioni sono rinvenibili in tutte le leggi regionali citate con le quali si finanzia l’edilizia di culto.48 In Italia in base al regolamento proposto dal Comitato CEI per il sostentamento del clero, il 12 luglio 1985, il consiglio parrocchiale per gli affari economici è costituito dal parroco, che di diritto ne è il presidente, dai vicari parrocchiali e da almeno tre consiglieri laici nominati dal parroco per un triennio (o per un quinquennio). Più diffusamente sul punto: CLEMENTI P., COLOMBO G., RADAELLI C., Gli enti religiosi., Natura giuridica e regime tributario. Le attività istituzionali e commerciali. La contabilità e il bilancio., Milano, 1999, 65-76.

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permessi e autorizzazioni per la costruzione dell’edificio di culto, in una prima fase nella forma di comitato e nella fase attuativa come organo statutario preposto alla rappresentanza territoriale della comunità religiosa richiedente o beneficiaria del finanziamento.

Il riconoscimento della presenza di un organo specifico di gestione dell’edificio di culto, autonomamente definito dalla confessione e non solo per il culto cattolico, consentirebbe la creazione, sia pur graduale, di un tessuto di rappresentanza diffuso sul territorio di quei culti non dotati di un clero gerarchicamente organizzato e che tuttavia necessitano di una rappresentanza riconoscibile, se vogliono richiedere e ottenere finanziamenti pubblici. E’ del tutto evidente che in questo caso la scelta degli amministratori deve essere lasciata all’autonomia confessionale, ma sottoposta all’evidenza pubblica mediante la notifica della composizione dell’organo al Prefetto e al Sindaco e la nomina da parte loro di un rappresentante all’interno dell’organo preposto all’amministrazione della struttura destinata ad erogare servizi religiosi. Per costruire tali organismi l’esperienza sedimentata grazie alle fabbricerie risulterebbe preziosa.

Si tratta di un ritorno ad una forma, sia pur attenuata, di giurisdizionalismo, certamente criticabile, e tuttavia non si comprende perché mentre lo Stato ha diritto di conoscere i legali rappresentanti del soggetto giuridico che gestisce una attività imprenditoriale o culturale, finanziata con denaro pubblico, dovrebbe non richiedere, in nome di una malintesa tutela della libertà religiosa, la medesima garanzia ad una confessione.

Un soggetto privato, qual’è una confessione, non può essere privo di limitazioni e obblighi quando utilizza la fiscalità generale per esercitare un diritto, quando richiede e ottiene l’utilizzo di aree riservate all’interno di un piano regolatore, quanto beneficia di un sostegno pubblico sotto qualunque forma. La “contaminazione” derivante dal rapporto con lo Stato che la confessione persegue e accetta consapevolmente, rivendicando il diritto al finanziamento o la collaborazione delle autorità pubbliche, svolge quel positivo compito di immissione del culto nel circuito sociale che lo secolarizza e lo rende compatibile con le opzioni differenti in materia spirituale di altre componenti della popolazione che vive sul territorio49, diffondendo pluralismo religioso e tolleranza quali componenti della laicità dello Stato.

Un tale modus operandi consente alla laicità e alla tolleranza di dispiegare lo loro efficacia e alla neutralità dell’ordinamento civile di produrre effetti, quanto meno sotto il profilo di un eguale trattamento di tutti i culti e di tutte quelle formazioni sociali, come le associazioni filosofiche non confessionali, che assumono come propria caratteristica l’obiettivo di dare una risposta a interrogativi profondi della persona50.

Unica alternativa a questa scelta una radicale separazione tra Stato e confessioni religiose e l’applicazione alle confessioni del diritto comune: scelte auspicabili, ma realisticamente oggi non percorribili e comunque avversate dalla grande maggioranza dei culti.

49 Gli strumenti della multiculturalità: il diritto a disporre di edifici di culto, …..50 Sul principio dell’uguale trattamento introdotto dalla risoluzione n. 11 allegata al trattato di Amsterdam Amsterdam: VENTURA M, La laicità nell’Unione Europea, Torino, 2001, 105; MARGIOTTA BROGLIO F., Il fenomeno religioso nel sistema giuridico dell’Unione Europea, in MARGIOTTA BROGLIO F, MIRABELLI C., ONIDA F., Religioni e sistemi giuridici , Bologna , 2002, 99 ss.; Parisi M., Dalla dichiarazione n. 11 alla futura Carta costituzionale dell’Unione Europea: quale ruolo per le confessioni religiose nel processo di integrazione europea, “Dir. eccl.”, 114 ( 2003), n. 1, I, 327-62.

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