Recensioni - uprait.org · Il professore Carlo Cardia insegna di-ritto ecclesiastico e storia del...

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Alpha Omega, XI, n. 1, 2008 - pp. 153-166 Recensioni Carlo Cardia, Le sfide della laicità. Eti- ca, multiculturalismo, islam, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 197 pp. Il professore Carlo Cardia insegna di- ritto ecclesiastico e storia del diritto nell’Università di Roma Tre. In questo volume fa una presentazione agile e pro- fonda del tema della laicità, avendo pre- sente sia la storia di un fenomeno com- plesso che caratterizza il mondo occiden- tale, specialmente l’Europa interpellata dal pluralismo religioso e dal multicultu- ralismo, sia le problematiche speculative ad esso connesse. L’Autore offre, come punto di parten- za, il significato più nobile di laicità, quel- lo che fa sì che lo Stato laico sia acco- gliente, divenendo così uno Stato «che ga- rantisce la libertà di coscienza, lascia le religioni libere di diffondersi senza osta- coli o ingerenze, favorisce il dispiegarsi delle diverse forme di spiritualità» (p. 5). Esistono altri modi di definire la laicità, fino a quelli chiaramente distorti che sbocciano nel laicismo e nell’ateismo di Stato (forme degenerate che distruggono il vero senso della laicità, cf. pp. 5-6, 55- 77). Il libro è diviso in quattro capitoli. Il primo, Laicità e stato moderno, fa un per- corso storico delle radici (anche cristiane) della laicità, e del suo diffondersi in Eu- ropa e in America, attraverso esperienze traumatiche come quelle sorte dopo la ri- forma protestante e le guerre di religione. L’Illuminismo e la Rivoluzione francese sono conseguenze delle fratture religiose precedenti, e danno luogo alle lotte che, nel XIX secolo e in parte del XX secolo, insanguinarono in particolar modo i paesi di tradizione cattolica dove si confronta- rono laicisti e cattolici. Il secondo capitolo, Totalitarismo, laicità, diritti umani, analizza le lotte del XX secolo, sia per quanto riguarda la di- struzione della laicità nei paesi comunisti (promotori dell’ateismo di stato), sia per quanto riguarda l’uso strumentale della religione in alcune nazioni controllate dai totalitarismi di destra (come nell’Italia di Mussolini e nella Spagna di Franco). Il capitolo mostra, nella parte finale, la sin- tesi alla quale si era pervenuti nella se- conda metà del XX secolo, sintesi che permette di vivere la laicità in modo giu- sto e che è stata accompagnata da una grande rivitalizzazione del ruolo del papa- to nel mondo. Allo stesso tempo, l’Autore non na- sconde la permanenza nell’attuale pano- rama politico europeo di elementi laicisti di stampo ottocentesco, elementi che ri- sultano anacronistici e lontani dalla vera situazione sociale e culturale che sta vi- vendo il mondo occidentale. Tali elementi contrastano fortemente con i cambiamenti nella Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II, che nella Gaudium et spes la- scia da parte le pretese temporalistiche senza però rinunziare al ruolo della Chie- sa di essere «coscienza critica del mon- do», chiamata a «diffondere il suo mes- saggio morale», perché non vuole diven- tare «una sorta di agenzia di spiritualità disincarnata dalle vicende storiche e so- ciali dell’uomo» (p. 82). Il terzo capitolo, Laicità, etica, diritto, studia i legami che esistono (senza confu- sione) fra legge e morale. Alla luce di tali legami si fanno evidenti i rischi sia del re- lativismo di Stato (proprio delle società totalitarie che negano l’esistenza di norme etiche al di sopra della volontà dei gover- nanti, pp. 101-103), sia di quelle forme di relativismo degli individui presenti in al- cune società democratiche. Il relativismo degli individui porta a svuotare lo Stato di qualsiasi contenuto etico e ad accettare quasi tutte le scelte, perfino le più aber- ranti, dei singoli, il che va contro l’essen- za del diritto e contro il suo legame intrin-

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Alpha Omega, XI, n. 1, 2008 - pp. 153-166

Recensioni Carlo Cardia, Le sfide della laicità. Eti-ca, multiculturalismo, islam, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 197 pp.

Il professore Carlo Cardia insegna di-

ritto ecclesiastico e storia del diritto nell’Università di Roma Tre. In questo volume fa una presentazione agile e pro-fonda del tema della laicità, avendo pre-sente sia la storia di un fenomeno com-plesso che caratterizza il mondo occiden-tale, specialmente l’Europa interpellata dal pluralismo religioso e dal multicultu-ralismo, sia le problematiche speculative ad esso connesse.

L’Autore offre, come punto di parten-za, il significato più nobile di laicità, quel-lo che fa sì che lo Stato laico sia acco-gliente, divenendo così uno Stato «che ga-rantisce la libertà di coscienza, lascia le religioni libere di diffondersi senza osta-coli o ingerenze, favorisce il dispiegarsi delle diverse forme di spiritualità» (p. 5). Esistono altri modi di definire la laicità, fino a quelli chiaramente distorti che sbocciano nel laicismo e nell’ateismo di Stato (forme degenerate che distruggono il vero senso della laicità, cf. pp. 5-6, 55-77).

Il libro è diviso in quattro capitoli. Il primo, Laicità e stato moderno, fa un per-corso storico delle radici (anche cristiane) della laicità, e del suo diffondersi in Eu-ropa e in America, attraverso esperienze traumatiche come quelle sorte dopo la ri-forma protestante e le guerre di religione. L’Illuminismo e la Rivoluzione francese sono conseguenze delle fratture religiose precedenti, e danno luogo alle lotte che, nel XIX secolo e in parte del XX secolo, insanguinarono in particolar modo i paesi di tradizione cattolica dove si confronta-rono laicisti e cattolici.

Il secondo capitolo, Totalitarismo, laicità, diritti umani, analizza le lotte del XX secolo, sia per quanto riguarda la di-

struzione della laicità nei paesi comunisti (promotori dell’ateismo di stato), sia per quanto riguarda l’uso strumentale della religione in alcune nazioni controllate dai totalitarismi di destra (come nell’Italia di Mussolini e nella Spagna di Franco). Il capitolo mostra, nella parte finale, la sin-tesi alla quale si era pervenuti nella se-conda metà del XX secolo, sintesi che permette di vivere la laicità in modo giu-sto e che è stata accompagnata da una grande rivitalizzazione del ruolo del papa-to nel mondo.

Allo stesso tempo, l’Autore non na-sconde la permanenza nell’attuale pano-rama politico europeo di elementi laicisti di stampo ottocentesco, elementi che ri-sultano anacronistici e lontani dalla vera situazione sociale e culturale che sta vi-vendo il mondo occidentale. Tali elementi contrastano fortemente con i cambiamenti nella Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II, che nella Gaudium et spes la-scia da parte le pretese temporalistiche senza però rinunziare al ruolo della Chie-sa di essere «coscienza critica del mon-do», chiamata a «diffondere il suo mes-saggio morale», perché non vuole diven-tare «una sorta di agenzia di spiritualità disincarnata dalle vicende storiche e so-ciali dell’uomo» (p. 82).

Il terzo capitolo, Laicità, etica, diritto, studia i legami che esistono (senza confu-sione) fra legge e morale. Alla luce di tali legami si fanno evidenti i rischi sia del re-lativismo di Stato (proprio delle società totalitarie che negano l’esistenza di norme etiche al di sopra della volontà dei gover-nanti, pp. 101-103), sia di quelle forme di relativismo degli individui presenti in al-cune società democratiche. Il relativismo degli individui porta a svuotare lo Stato di qualsiasi contenuto etico e ad accettare quasi tutte le scelte, perfino le più aber-ranti, dei singoli, il che va contro l’essen-za del diritto e contro il suo legame intrin-

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seco con la legge naturale. «Mentre lo Stato totalitario rivendica una sovranità assoluta, e si dichiara fonte dell’etica, og-gi l’esito è quello opposto. Lo Stato e la legge si spogliano di ogni relazione con la moralità, e spostano la sovranità nell’indi-viduo. Questi diventa interprete unico dell’etica, nessun limite può essergli im-posto perché arbitrario e partigiano» (p. 119).

Sono particolarmente illuminanti in questo capitolo le critiche contro le diver-se proposte di legalizzare o di legiferare sulle convivenze fra persone di diverso sesso oppure dello stesso sesso (pp. 127-132). Hanno grande attualità le riflessioni sui pericoli che nascono quando vengono superati certi limiti nei temi della vita e della morte, perché così si arriva a cadere inevitabilmente in situazioni che portano verso il peggio (secondo l’idea della china fatale, pp. 124-127).

Il quarto capitolo, Laicità e multicul-turalismo, affronta diverse problematiche attuali: il tema delle sette (sulle quali esi-ste il rischio di legiferare in forme che va-dano contro il rispetto della libertà di co-scienza, pp. 149-153), le nuove situazioni originate dal continuo arrivo in Europa di immigrati di religioni non radicate in Oc-cidente, specialmente quelli che apparten-gono all’Islam. Secondo l’Autore, l’Occi-dente è diviso di fronte ai cambiamenti dovuti alla crescita della popolazione i-slamica, perché non riesce ad avere un’idea chiara sui possibili atteggiamenti che gli immigrati musulmani possano as-sumere di fronte alle società europee spesso carenti di principi forti perché gra-vemente ferite a causa delle idee relativi-ste.

In genere si nota come per il professor Cardia la laicità includa elementi positivi del diritto moderno, soprattutto nell’ambi-to della promozione e della tutela della li-bertà religiosa. Pensiamo, tuttavia, che sa-rebbe stata opportuna una riflessione su altre interpretazioni della laicità, come quella molto presente in Francia che vede in essa semplicemente una caratteristica dello Stato che sceglie la massima neutra-lità in tema di religione, senza promuove-re con tale nozione di laicità la libertà re-ligiosa, la quale andrebbe garantita come

sono da garantire tutti i diversi diritti che appartengono ai membri della società. In altre parole, la laicità non è la fonte del ri-spetto, per esempio, della donna nei suoi diritti (come s’intravede, invece, nelle ri-flessioni di Cardia, a p. 174, cf. p. 195), ma tale rispetto nasce da principi profondi che vanno al di là del principio di laicità, principi che hanno la loro radice in una visione sull’essere umano e sulla sua di-gnità sorta in Europa, specialmente grazie all’azione feconda che il Vangelo ha la-sciato nella nostra cultura.

Ci sono alcune affermazioni che sa-ranno, a quanto mi pare, non condivisibili. Per esempio, a p. 119 si dice che la reli-gione «si muove a un livello di puri con-cetti, e convinzioni [...] e si esplica in [un] orizzonte coscienziale e rituale, mentre l’etica è rivolta ai comportamenti esterni e sociali dell’uomo», quando in realtà anche la religione influisce direttamente sul comportamento sociale e illumina forte-mente la visione etica degli individui e dei gruppi, senza per questo dover essere con-fusa con l’ambito statale. Nel contesto di alcune importanti tematiche bioetiche, a p. 134 si intravede la possibilità di un uso responsabile della fecondazione in vitro, quando in realtà la tecnica in sé va contro il rispetto dovuto alla generazione e alla dignità del concepito. Più avanti l’Autore considera una regressione della visione e-tica presente in Italia e in Europa il fatto che alcuni emigranti cinesi usino gatti e cani come fonti alimentari, affermando che esista un «rispetto verso tutte [sic] le forme di esistenza» (p. 154); la formula «tutte» ci sembra esagerata, perché non sono rispettate in Europa né in Italia in-numerevoli forme di esistenza di piante e di animali.

Per concludere, è giusto sottolineare l’utilità di un volume dedicato a una te-matica particolarmente viva nel mondo occidentale, sia per il bisogno di riscopri-re una morale in grado di dare coesione alle nostre società, sia per i problemi su-scitati dall’incontro con uomini di altre culture e religioni che vengono a vivere in una Europa che non può solo limitarsi ad un principio, quello della laicità, come se fosse in grado di garantire la convivenza, ma che deve mostrare il legame profondo

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che esiste fra la legge e la morale, fra i principi giuridici e quella normativa pro-fonda, razionale e anche religiosa, che sia in grado di unire gli uomini durante la lo-ro esistenza terrena.

Fernando Pascual, L.C.

Maria G. Zaccone Sina, La corrispon-denza di François Lamy, benedettino cartesiano, Olschki, Firenze 2007, LXXIV-421 pp.

La professoressa Maria Grazia Zacco-

ne Sina è conosciuta per i suoi pregevoli lavori sulle vicende del cartesianesimo, nonché per la sua collaborazione, insieme al prof. Mario Sina, alla pubblicazione del monumentale Epistolario (4 voll.) di Jean Le Clerc tra il 1987 e il 1997. In particola-re riferimento alle opere del padre bene-dettino dom François Lamy, Maria G. Zaccone ha curato nel 2003 un altro libro, contenente il carteggio inedito tra Franç-ois Lamy e Jean-François de Saint-Laurens, pubblicato sotto il titolo La Rel-ligion défendu par la Raison sur l’immor-talité de l’ame et sur quelques autres im-portantes verités. En plusieurs lettres ré-ciproques (Olschki, Firenze 2003).

L’opera ora presentata è la raccolta delle duecentosedici lettere (di cui abbia-mo conoscenza) scritte o ricevute da Fra-nçois Lamy, sessantacinque delle quali vengono ora pubblicate per la prima volta in questo volume.

Oltre alla raccolta delle lettere (Rege-sto, che occupa ben trecentotrentotto pa-gine), il volume qui recensito include un’Introduzione (pp. IX-LXII), un’indica-zione dei Criteri di edizione seguiti nell’opera (LXIII-LXXI), un elenco di Abbreviazioni (LXXI-LXXIV), tre Ap-pendici (pp. 339-388) (contenenti due biografie di François Lamy, una cronolo-gia della sua vita e un elenco dei corri-spondenti dell’illustre benedettino) e tre Indici (389-412) (delle fonti manoscritte del Regesto, dei mittenti e dei destinatari e dei nomi di persona).

Di particolare interesse per la cono-scenza dell’autore e del suo cartesianesi-mo sono le appendici appena descritte.

L’Appendice A contiene due biografie. La prima è un breve profilo di quattro pagine che ha per titolo “D. François Lamy – Le 10 Avril 1711”, composto probabilmente immediatamente dopo la morte del mona-co. L’anonimo autore ci racconta che Lamy fu “il primo dei professori della Congregazione che, scuotendo il giogo della Scuola, intraprese il compito di in-segnare la filosofia in una forma più ele-vata”. Quale fosse questa forma più eleva-ta di insegnare la filosofia lo apprendiamo dal secondo resoconto biografico, intitola-to “1711. Notice de la vie de Dom Lami. Venant des Archives de la Congregation de S.t Maur”, elaborato più dettagliata-mente tra il 1711 e il 1712 e composto in forma di panegirico da dom Martène (1654-1739), posteriormente rimaneggia-to nel Novecento nella Vie des Justes e nell’Histoire de la Congregation de Saint-Maur. Infatti, nella “Notice de la vie de dom Lami” leggiamo: “Nell’abbazia di Saint Remy c’è una magnifica e ben for-nita biblioteca. Dom Lamy, dovendo co-minciare gli studi di filosofia, percorse lì indifferentemente la maggior parte dei fi-losofi antichi e moderni. Egli trovò Carte-sio, il quale lesse come gli altri, anche se con prevenzione, non avendo sentito par-lare di lui se non per mezzo dei suoi mae-stri. Inizialmente egli non lo trovò così cattivo. Lo lesse una seconda e una terza volta; e più lo leggeva, più lo trovava con-forme alla retta ragione. Egli giunse infine a una tale stima, che malgrado fosse stato fino ad allora un peripatetico molto zelan-te, fece sacrificio di tutte le sue opinioni per seguire un autore così chiaro” (f. 10-11v). Nella Vie des Justes si dice anche che “dom François Lamy studiò le filoso-fie, e avendo trovato Cartesio nella biblio-teca, lo lesse, gli piacque e fu il primo a insegnarlo nella Congregazione, abban-donando tutti i pregiudizi che aveva avuto prima a favore dei Tomisti” (De la vie des justes de la Congregation de Saint Maur, publièe par dom Heurtebize, in “Archives de la France Monastique”, Paris 1926, p. 54).

Nell’Appendice B si trova una Crono-logia della vita di Lamy, nella quale ac-quista particolare importanza la notizia circa i due provvedimenti del re Luigi

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XIV, degli anni 1682 e 1689, con i quali veniva imposto a dom Branchet, superiore generale della Congregazione dei maurini, di escludere padre Lamy da ogni genere di carica nell’Ordine, sia di governo che di insegnamento. Le ragioni di queste pu-nizioni hanno come sfondo la lotta delle istituzioni francesi sia contro il cartesia-nesimo, sia contro il giansenismo.

Una terza appendice (Appendice C) include un elenco, a modo di schede bio-bibliografiche, dei quaranta corrisponden-ti di François Lamy.

Tre indici chiudono infine il lavoro della professoressa Zacone Sina: un Indi-ce delle fonti manoscritte del Regesto, un Indice dei mittenti e dei corrispondenti e un Indice dei nomi di persona. In questo ultimo i nomi che riccorrono più spesso sono quelli di Agostino di Ippona, Ar-nauld, Bossuet, Descartes, Fénelon, Ma-lebranche, Nicole, Puget, Saint-Laurens e Spinoza.

Il pensiero di F. Lamy non può essere adeguatamente capito senza considerare lo stretto rapporto che lo accomuna col cartesianesimo. Già da tempo, V. Cousin aveva messo in rilievo la presenza del car-tesianesimo tra i benedettini (cf. Le cardi-nal De Retz, cartésien, in “Fragments phi-losophiques pour servir a l’histoire de la philosophie”, Didier, Paris 1886, t. III, pp. 140-228). Anni dopo, P. Lemaire richia-mò l’attenzione sullo stesso argomento (cf. Le cartésianisme chez le Bénedictins. Dom Robert Desgabets, Alcan, Paris 1901). Nel 1944, uscì la monografia di J. Zehnder, che si proponeva identico scopo (cf. Un représentant de la vie intellectuel-le française entre 1680 e 1710: dom Fra-nçois Lamy, impr. Kalt-Zehnder, Zoug 1944). Ora M.G. Zaccone ritorna sullo stesso tema, ricordandoci che “Lamy en-trò in una congregazione che, costretta a difendere il suo patrimonio spirituale e temporale, stava sviluppando una forte consapevolezza della propria identità, un’identità che si alimentava dagli scritti di Agostino e riconosceva in Bernardo e Anselmo le sue più alte espressioni. In questa congregazione il cartesianesimo trovava terreno favorevole” (La corri-spondenza, p. XXVII).

Infatti, la diffusione del pensiero di

Cartesio nell’ambiente dei benedettini francesi della seconda metà del Seicento è un dato ormai ben conosciuto, come, ad esempio, nella Congregazione di Saint-Vanne, ma anche in quella di Saint-Maur. Indichiamo qui alcune prove di questo cartesianesimo benedettino. Dom Jean Mabillon, uno dei maggiori eruditi della Francia del tempo, non nascondeva la sua simpatia per la filosofia di Cartesio: “Se non si ha la fortuna di conoscere le cose con certezza, occorre al meno sapere quando si dovrebbe dubitarne, il che co-stituisce il secondo grado della saggezza. Per non cadere nell’errore, una volta ab-bandonati tutti i pregiudizi, sia quelli della nascita, come quelli dell’educazione, dei sensi, delle passioni e delle comuni opi-nioni degli uomini, non bisogna affermare niente su ciò di cui non si ha un’idea chia-ra e distinta” (Traité des études monasti-ques, Paris 1691, vol. I, p. 243). In questo senso, se il capitolo generale dell’Ordine del 1675 stabiliva che “le nuove opinioni sorte in questi tempi circa l’essenza e la natura dei corpi, che queste opinioni fan-no consistere nell’estensione attuale” (e-vidente riferimento alla fisica cartesiana) dovevano essere evitate e prescriveva la misura dell’allontanamento per chi con-travvenisse a questa norma, tale provve-dimento deve essere interpretato come una misura di difesa della Congregazione nei confronti del re, che in quel tempo a-veva interdetto l’insegnamento del carte-sianesimo nell’università di Parigi. Se, in seguito a tale provvedimento, dom Franç-ois Lamy dovette lasciare l’insegnamento, egli contò sempre con la benevolenza e la simpatia dei suoi superiori e confratelli. Anche sulla stessa scia del cartesianesimo maurino deve intendersi la risposta di dom Vincent Marsolle (1616-1681), supe-riore generale dei maurini e, in suo mo-mento, maestro dei novizi dello stesso Lamy, che respinse la richiesta dei gesuiti, giunta per mezzo dell’arcivescovo di Pa-rigi, di una dichiarazione contro Cartesio, simile a quella già sottoscritta a Saint-Vanne, a Saint-Geneviève e presso l’Oratorio, ritenendola superflua e consi-derando sufficienti le misure già adottate, consistenti sia nella firma del formulario che la Congregazione richiedeva all’atto

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della professione sia nella proibizione del 1675 di insegnare le nuove opinioni.

M.G. Zaccone sostiene che il cartesia-nesimo di Lamy non soltanto “non fu per-cepito come un ostacolo per la formazione dei maurini, ma che esso fu una genuina espressione della loro spiritualità” (p. XXXIII). Secondo dom Martène, verso il 1670, il generale dei maurini, dom Mar-solle, progettava la composizione di una “teologia benedettina sui sentimenti degli autori dell’Ordine di san Benedetto” (Hi-stoire de Saint-Maur, V, p. 79). Nel conte-sto di questo progetto dom Gerberon pub-blicò le opere di sant’Anselmo d’Aosta, abate di Bec. Ma coloro che furono in prima linea nella preparazione di questa teologia benedettina furono gli allievi di dom Marsolle: Mabillon, Blampin e Lamy. Così, Mabillon pubblicò le opere di san Bernardo e lavorò agli Acta sancto-rum dell’Ordine; Blampin portò avanti la pubblicazione delle opere di sant’Agosti-no. Infine, Lamy elaborò una filosofia i-spirata a quella teologia benedettina che i suoi confratelli stavano pubblicando. Pre-sentando la vita monastica come un cam-mino privilegiato per adempiere il co-mando agostiniano dell’in te ipsum redi, Lamy disponeva i suoi allievi ad un favo-revole accoglienza di Cartesio; di un Car-tesio, che letto ora alla luce di Agostino, di Anselmo e di Bernardo, i maurini pote-vano trovare a loro misura (cf. p. XXXVII).

Come ci racconta Martène nella “No-tice de la vie de dom Lami”, il Lamy, che considerava se stesso come un solitario in mezzo a questo grande mondo, “ritenen-dosi spogliato di ogni conoscenza e di o-gni pregiudizio […], percorse i principi della natura dai più semplici fino ai più composti e alle idee più astratte e metafi-siche; e dopo essersi impossessato dei principi più sicuri e più chiari […] discese alle cose sensibili” (f 11-11v).

Dopo aver messo in luce lo spirito cartesiano della filosofia di p. Lamy, Mar-tène si sofferma sulla struttura cartesiana dei corsi di filosofia che egli impartiva. “Con questa amabile filosofia, che cade come latte nello spirito dei giovani stu-denti, essendo essa così conforme ai loro lumi naturali, dom Lamy conduce per

mano i suoi allievi lungo gli stessi sentieri che lui stesso ha percorso, in modo da pe-netrare nella conoscenza delle cose natu-rali. Egli comincia a spogliarli di tutti i lo-ro pregiudizi […] Poi li fa passare attra-verso una Logica più netta e più consona alla retta ragione […] Da questa Logica egli avanza fino a una Metafisica dove si trovano principi e idee più chiare […] [Dopodichè egli li conduce] quasi imper-cettibilmente a una Fisica generale […] Infine li fa gioire gradevolmente del loro lavoro con la Fisica speciale […] in una maniera così incantevole e convincente da meritare la stima e l’amicizia intima delle persone più illustri e più di spicco nelle scienze” (f. 11v-12v).

La corrispondenza di François Lamy contenuta nel regesto di questa opera può essere suddivisa in tre periodi:

a) Lettere del periodo di insegnamen-to (1672-1679), nel quale F. Lamy, filoso-fo cartesiano e teologo benedettino, dispu-ta su questioni naturali (con Malebranche e Joblot) e su questioni morali (con un anonimo autore, sul debole fondamento della morale dei pagani, e in particolare degli stoici, poiché “soltanto Dio può es-sere il Bene sovrano e il fine ultimo dello spirito”, e con tre lettere sulla costrizione che è lecito esercitare sulle anime cadute in colpa mortale, tutte e tre risalenti al 1680).

b) Lettere degli anni di emarginazione (1682-1689), tra le quali cinque lettere con Arnauld, due con Malebranche, due con Mabillon, otto con Bossuet, tre con Nicole, ecc.

c) Infine, le lettere degli anni di pub-blicazione (1689-1711) che costituiscono di gran lunga le lettere più numerose. Tra di esse, se ne contano sessantuno con Fé-nelon, trentasette con Puget e sedici con Saint-Laurens. Come fa notare M.G. Zac-cone, “colpisce un tratto comune a questi carteggi, pur così lontani tra loro per l’oggetto che li caratterizza: è la capacità di Lamy di stimolare le migliori energie dell’interlocutore nei confronti della veri-tà ricercata, una dote che conduce Puget a comporre osservazioni su fenomeni natu-rali degne di pubblicazione, che ottiene da Fénelon le lettere sulla predestinazione e la grazia, e che stimola Saint-Laurens a

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più di un tentativo di sistemazione del suo pensiero” (p. XLVIII).

In conclusione, La corrispondenza di Francois Lamy, benedettino cartesiano, ora pubblicata da Maria G. Zaccone Sina offre un pregevole contributo per una comprensione più adeguata della storia del cartesianesimo in sede di filosofia na-turale, metafisica, filosofia morale e per-sino di teologia dogmatica e spirituale. Dinanzi ad un tale lavoro sulle fonti della storia della filosofia moderna è doveroso congratularsi con la curatrice per la felice iniziativa.

Leopoldo Prieto López, L.C.

Proverbi. Nuova versione, introduzione e commento di Mario Cimosa, I libri Biblici – Primo Testamento 22, Paoline, Milano 2007, 383 pp.

Mario Cimosa, Jahrgang 1940, ein

gebürtiger Neapolitaner und seit 1967 Sa-lesianerpriester, wirkt als ordentlicher Professor für Altes Testament an der »Università Pontificia Salesiana« (UPS) in Rom und als Direktor des Pastoraltheo-logischen Institutes der Theologischen Fakultät derselben Universität. Im Be-reich der biblischen Studien kann er zahl-reiche Veröffentlichungen vorweisen, die sich zumeist mit der weisheitlichen Lite-ratur und der griechischen Übersetzung des Alten Testaments in der Form der Septuaginta (LXX) beschäftigen. Cimosa ist Autor wichtiger Werke, die internatio-nal einem jeden Biblisten bekannt sein dürften: L’ambiente storico-culturale del-le Scritture ebraiche, EDB, Bologna 2000 und Guida allo studio della Bibbia greca (LXX). Storia, lingua, testi, Roma 1995. Mit dem vorliegenden Band zum Buch der Sprichwörter schließt Cimosa ein fast acht Jahre dauerndes Forschungsprojekt ab. Auf seiner Homepage kann seine im-posante Bibliographie eingesehen werden (http://cimosa.unisal.it/).

Nach einer »Prefazione« mit anschlie-ßender Liste der Abkürzungen und Siglen (S. 5-9) bietet Cimosa eine fast 30seitige Einleitung zum literarischen und histori-schen Profil des Buches der Sprichwörter

(S. 11-36). Darauf folgt in einem zweiten Teil eine neue italienische Übersetzung des biblischen Buches der Sprichwörter nach dem masoretischen Text, versehen mit einem reichlichen wissenschaftlichen Kommentar in Form von Fußnoten (S. 37-294). Ein dritter Teil beschäftigt sich in drei Schritten mit den theologischen As-pekten (S. 295-343): An erster Stelle steht die Theologie der Sprichwörter, die unter sieben verschiedenen Gesichtspunkten (»prospettive«) ausgeleuchtet wird. An zweiter Stelle wird der Bezug des Buches zum biblischen Kanon untersucht. Schließlich bietet Cimosa dem interessier-ten Leser auch einen Ausblick auf die In-terpretationsgeschichte der Sprichwörter, der in raschen Zügen über 2.000 Jahre Auslegung dieses Buches nachvollzieht: von Qumran bis zu den modernen Ten-denzen der zeitgenössischen Exegese. Am Ende des Bandes findet sich ein »lessico sapienziale del libro dei Proverbi« (S. 344-349), das, auf neun Untergruppen verteilt, das weisheitliche hebräische Vo-kabular in Transliteration mit kurzen Di-daskalien erläutert. Abschließend eine ausführliche kommentierte Bibliographie (S. 351-365) und die verschiedenen Re-gister (ab S. 367).

Das Buch der »Sprichwörter Salo-mos« ist Teil der »Schriften« im hebräi-schen Kanon; im griechischen Text der LXX findet es sich unter den poetischen Büchern. Sein Umfang beträgt 31 Kapitel, die sich in neun Sammlungen unterteilen lassen (Spr 1-9; 10,1-22,1-16; 22,17-24,22; 24,23-34; 25-29; 30,1-14; 30,15-33; 31,1-9; 31,10-31). Wenn auch König Salomo als Autor der Spruchsammlungen genannt wird, so ist doch klar, dass es sich um ein Ergebnis von ca. acht Jahrhunder-ten weisheitlichen Nachdenkens handelt, das erst später – wie bei biblischen Bü-chern üblich – nach einer jahrhunderte-langen mündlichen Überlieferung eine schriftliche Form gefunden hat. Linguisti-sche und literarische Untersuchungen un-terstreichen, dass das Buch der Sprich-wörter aus verschiedenen sozialen und kulturellen Milieus hervorgegangen ist, was auch durch die parallele griechische Überlieferung der Septuaginta belegt werden kann. Diese erweist sich als eine

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eigenständige Version des gleichnamigen biblischen Buches, die sich nicht nur durch textuelle Unterschiede der einzel-nen Sprüche gegenüber dem Hebräischen, sondern auch durch eine verschiedenarti-ge Anordnung des gesamten Stoffes aus-zeichnet. Dies ist für Cimosa ein ausrei-chendes Motiv, für die einzelnen Samm-lungen von Sprichwörtern eine ausdrück-liche Autonomie in Entstehung und Über-lieferung vorauszusetzen. Cimosa weist ganz zurecht auf die Verbindung der ein-zelnen Bildungsphasen des Buches mit dem Fortschreiten der alttestamentlichen Offenbarung hin: Von der »ersten Salo-monischen Spruchsammlung«, die Spr 10,1-22,1-16 umfasst und den wohl ältes-ten Bestand des Buches darstellt, das bis in die Zeit des Königs Salomos (962-922 v.Chr.) zurückreicht, bis hin zu Spr 30-31: zwei Kapitel, die den jüngsten Bestandteil des Buches ausmachen und wohl auf das 3. oder 2. vorchristliche Jahrhundert da-tiert werden können.

Doch wollen wir unsere Aufmerk-samkeit auf die Unterschiede zwischen der hebräischen und griechischen Überlie-ferung dieses biblischen Buches richten. Die frühesten textuellen Zeugen in unse-rem Besitz sind zwei fragmentarische Hss. aus Qumran (4QProa, 4QProb) aus vorchristlicher Zeit, die sich sicherlich nicht mit der Vorlage der LXX identifi-zieren lassen. Dem gegenüber zeichnet sich der heute gebräuchliche hebräische Text der masoretischen Überlieferung durch 25 Verse aus, die in der griechi-schen Überlieferung ohne Spur geblieben sind. Im Gegensatz dazu finden sich im griechischen Text zahlreiche Doppelüber-lieferungen: T. Fritsch zählt insgesamt 66, die seiner Meinung nach im Zuge einer Angleichung an den hebräischen Text entstanden sind. Cimosa verweist zudem auf die unterschiedliche Stoffanordnung; wenn wir für die hebräische Überliefe-rung eine lineare Anordnung der neun Sammlungen setzen, dann ergeben sich für die griechische Überlieferung die fol-genden Unterschiede: I, II, III, VI, IV, VII, VIII, V, IX.

Überhaupt zeichnen sich Cimosas Übersetzung und Kommentar durch eine erhebliche Aufmerksamkeit für den grie-

chischen Text aus. Der Autor macht kei-nen Hehl daraus, dass er den griechischen Text für zumindest ebenbürtig mit dem hebräischen hält, wenn nicht sogar für den ursprünglicheren. Doch musste den edito-rischen Vorgaben der Reihe »I libri bibli-ci« Rechnung getragen werden, weshalb Cimosas Übersetzung auf dem masoreti-schen Text beruht. Die vom Autor postu-lierte Ebenbürtigkeit erweist sich dann als entscheidend bei der Ausarbeitung des überaus reichen Apparats, der ständig auf die verschiedenartige Überlieferung des griechischen Textes hinweist. So erhält der Leser die italienische Übersetzung des masoretischen Textes im Hauptteil, die Unterschiede des Griechischen zum Heb-räischen dagegen in den gelehrten Fußno-ten. Mit Recht verweist Cimosa auf den intentionalen Charakter der Zusätze und Änderungen im griechischen Text. Dass unser Autor mit dieser aufwertenden Ein-schätzung der griechischen Überlieferung nicht allein auf weiter Flur steht, belegt auch die im Jahr 2000 veröffentlichte französische Übersetzung des Buches der Sprichwörter für die Reihe »La Bible d’Alexandrie« (Bd. 17) von David-Marc d’Hamonville. Cimosa schließt sein Vor-wort mit einem Verweis auf den bekann-ten Vortrag des Heiligen Vaters Benedikt XVI. in Regensburg (12. Sept. 2006), in dem die eigenständige Rolle der LXX auch von höchster Warte aus unterstri-chen wird: »Heute wissen wir, dass die in Alexandrien entstandene griechische Übersetzung des Alten Testaments – die Septuaginta – mehr als eine bloße (viel-leicht sogar wenig positiv zu beurteilen-de) Übersetzung des hebräischen Textes, nämlich ein selbständiger Textzeuge und ein eigener wichtiger Schritt der Offenba-rungsgeschichte ist, in dem sich diese Be-gegnung auf eine Weise realisiert hat, die für die Entstehung des Christentums und seine Verbreitung entscheidende Bedeu-tung gewann.« Die vom Heiligen Vater hier angesprochene Begegnung griechi-scher Weisheit mit dem biblischen Glau-ben hat wohl kaum einen angestammteren Platz als die volkstümliche Weisheit, wie sie besonders im Buch der Sprichwörter ihren biblischen Ausdruck gefunden hat. Die starke patristische Resonanz, die die

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Sprichwörter gefunden haben, insbeson-dere aufgrund der Identifizierung seitens der Kirchenväter, neutestamentlich moti-viert, des »Logos« mit der »Sapientia« und dem hieraus fließenden christologi-schen Interesse (Spr 8-9), ist bekannt.

Dirk Kurt Kranz, L.C.

Tertuliano, El Bautismo - La Oración, edición bilingüe preparada por Salvador Vicastillo, Fuentes Patrísticas 18, Ciudad Nueva, Madrid 2006, 416 pp.

Salvador Vicastillo, sacerdote de la

diócesis de Zaragoza y doctor en Filosofía por la Universidad Complutense, se espe-cializó en Patrología en la Universidad Gregoriana de Roma, bajo la dirección del P. Orbe. En la actualidad trabaja para la colección «Fuentes patrísticas» de la edi-torial Ciudad Nueva. Una de sus últimas monografías es Un cuerpo destinado a la muerte. Su significado en la antropología de Tertuliano, publicada en 2006 por la Biblioteca de Autores Cristianos. En la misma serie Fuentes Patrísticas publicó: Tertuliano, Prescripciones contra todas las herejías (Fuentes Patrísticas 14, Ma-drid 2001). Entre sus últimos artículos podemos mencionar: Los hermanos de Je-sús en el testimonio de Tertuliano (2006); El pecado original en el pensamiento de Tertuliano (2005); Tertuliano, testigo y maestro de la oración cristiana (2004); Paganos y cristianos ante la muerte del otro en el testimonio de Tertuliano (2004); La tradición y la Escritura según Tertuliano (2003): todos aparecidos en la «Revista agustiniana». Esta amplia docu-mentación nos hace ver que Vicastillo es un investigador más que cualificado para emprender la edición crítica latina con su traducción castellana de los dos breves tratados antes mencionados.

El volumen de edición crítica del texto latino y traducción castellana se abre con la lista de las Siglas y Abreviaturas (pp. 7-9), seguidamente se ofrece una amplísima Introducción (pp. 13-83) al primer trata-do, El Bautismo, que concluye con una Bibliografía (84-89). El texto latino con su traducción se imprime en páginas para-

lelas (pp. 91-199). El mismo esquema se aplica al segundo tratado, La Oración: In-troducción (pp. 203-245), Bibliografía (pp. 247-250), texto latino con su traduc-ción (pp. 252-361). El volumen en pasta dura se cierra con un quíntuplo índice (pp. 365-402), separadamente para los dos tra-tados: Índice bíblico, tertulianeo, autores y obras antiguos, autores modernos, índi-ce temático y de nombres propios.

El editor describe, para ambas obras, de la siguiente manera la función de los aparatos críticos: «El texto latino lleva al pie un doble aparato: en el superior se re-gistran las citas explícitas o implícitas de la Biblia, los lugares paralelos del mismo au-tor, los ecos que en él tienen autores ante-riores, o sus propios ecos (testimonia) en autores posteriores; en el aparato inferior se recogen todos los datos de crítica tex-tual. Al pie del texto español va un aparato en el que se registran todas las citas de la Biblia y se ofrecen notas explicativas para aclarar los diversos contenidos.»

Tertuliano (155 – después de 220), en el juicio de Johannes Quasten, es con san Agustín, el más importante y original es-critor cristiano de lengua latina. El De baptismo es el único tratado anteniceno dedicado a un sacramento. Es en su géne-ro un escrito antiherético ya que se debe a los ataques de parte de una cierta Quintila, miembro de la secta de los cainitas. No ofrece ningún rastro de montanismo, por lo que va colocado en el primer período de la vida de Tertuliano. Escribe para la instrucción de los catecúmenos y de los bautizados más o menos ignorantes y para salir al paso de la actividad que estaba desarrollando allí la secta de los cainitas. Otros temas afrontados son: 1. El valor del bautismo de Juan y su relación con los apóstoles (cap. 10-12). 2. Sobre si la sola fe basta para salvarse (cap. 13). 3. Sobre si la predicación hace innecesario el bau-tismo (cap. 14). 4. La validez del bautis-mo administrado por los herejes (cap 15). 5. La facultad de la mujer para bautizar (cap. 17, 4-5). 6. El bautismo de los niños (cap. 18, 4-5).

El texto de las obras de Tertuliano fue trasmitido a la posteridad a través de cin-co colecciones: el corpus Trecense, el Corbeiense, el Agobardinum, el Clunia-

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cense y el Ottobonianum. El tratado De baptismo sólo se contiene en el corpus Trecense, del siglo V. Está conservado en un códice del s. XII, de la Abadía de San-ta María de Claraval, llamado codex Tre-censis 523. Fue descubierto tan sólo en el 1916 por Dom Wilmart. Como este códi-ce contiene algunas lagunas y resulta co-rrompido en algunos pasajes, los primeros editores prefirieron seguir la edición prín-cipe de 1545. Las demás ediciones del si-glo pasado (1931, 1933, 1948, 1952, 1960, 1968) se decidieron o por el texto de la edición príncipe o por el texto del codex Trecensis. Ante la imposibilidad de avanzar más en la crítico del texto, el edi-tor Vicastillo se decide por una posición libre: «Con este panorama a la vista, he acometido la fijación del texto del tratado desde una posición libre, dispuesto a re-coger aquellas variantes (del códice y de los editores) que me resultasen más con-vincentes por razón del contenido o del lenguaje.» Está es la justificación de esta nueva edición.

La segunda obra recogida en el volu-men está dedicada a la oración (De ora-tione). Como la anterior, se remonta a su período de doctor en la comunidad de Cartago. A través de la misma buscaba enseñar a los catecúmenos sobre la ora-ción, y fue redactada entre el 196 y el 206. Famosa es la formulación del texto del Padrenuestro por Tertuliano: Pater qui in caelis es. Sanctificetur nomen tuum. Fiat uoluntas tua in caelis et in terra. Veniat regnum tuum. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Dimitte no-bis debita nostra. Remittere nos quoque debitoribus nostris. Ne nos inducas in temptationem, sed deuehe nos a malo (los respectivos esticos se toman de las frases iniciales de los diversos capítulos). Como se ve, Tertuliano cambia el orden de la segunda y tercera petición respecto al or-den tradicional, tal vez porque piensa que el Reino de Dios no se realiza sin que se haga su voluntad.

Después del comentario al Padrenues-tro siguen unas indicaciones sobre el mo-do de hacer la oración: disposiciones in-ternas, observancias rituales, la mujer orante. Cierra Tertuliano su tratado con una exhortación sobre el misterio de la

oración. De entre las cinco colecciones (como

ya se dijo para el tratado anterior) que transmiten las obras de Tertuliano, sólo el corpus Agobardinum contiene el tratado De oratione; de este corpus sólo nos ha llegado un códice, el Agobardinus, man-dado transcribir por Agobardo, arzobispo de Lyón (816-840), denominado técnica-mente codex Parisinus latinus 1622. El códice (amputado) sólo contiene los cap. 1-21 de nuestro tratado. Los demás capí-tulos se toman de otro códice que parece pertenecer al mismo corpus: el codex Am-brosianus G 58. El mismo M. Mesnart sa-có la edición príncipe en 1545 basándose en el Agobardinus. Las ediciones del siglo pasado (1947, 1953, 1954) constituyen la base de la que parte nuestro editor: «Te-niendo muy en cuenta el trabajo realizado por los tres últimos editores, he acometido mi propia recensión del texto tertulianeo. Como quiera que la edición del CCL ofrece un aparato crítico exhaustivo, yo me limitaré a registrar aquellas variantes que justifican mi propia lectura del tex-to.»

Los estudiosos apreciarán sobre todo el rico aparato crítico de la traducción castellana con abundantes referencias bi-bliográficas para la profundización.

Dirk Kurt Kranz, L.C.

Manfred Hauke (ed.), La donna e la salvezza. Maria e la vocazione femmini-le, Eurpress FTL, Lugano (CH) 2006, 212 pp.

Il settimo volume della Collana di

Mariologia, curata da Manfred Hauke e pubblicata sotto gli auspici della Facoltà di Teologia di Lugano, nella Svizzera ita-liana, è frutto della ricerca svoltasi duran-te una settimana di studi e dibattiti, pro-mossa dal suddetto Ateneo ticinese. Il bi-nomio su cui si concentra l’attenzione de-gli autori è il nesso che corre tra la figura della donna e la femminilità in genere e la salvezza, ovvero tra ciò che il Servo di Dio Giovanni Paolo II era solito chiamare il “genio della donna”, in riferimento al mistero della salvezza rivelata in Gesù

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Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria. È in Maria che “la Chiesa vede […] la mas-sima espressione del ‘genio femminile’ e trova in lei una fonte di incessante ispira-zione” (Lettera alle donne del 1995, n. 10). Nel libro sono tre le prospettive delle riflessioni proposte: biblica, liturgica e a-giografica, arrivando a cogliere varie di-mensioni del tema della donna nella storia della salvezza, che nella persona di Maria ha portato al culmine la vocazione fem-minile.

La raccolta si apre con i contributi e-segetici dei due professori della Facoltà luganese. Don Giorgio Paximadi, esperto di Antico Testamento, si dedica alle figu-re femminili anticotestamentarie, valoriz-zandone alcuni esempi di donne “media-trici” (pp. 11-27). Nonostante le afferma-zioni comuni circa un ruolo femminile del tutto subalterno di fronte a quello patriar-cale/maschile, proprio della cultura del tempo, si rilevano nondimeno gli elementi indicanti anche l’importanza salvifica che si può attribuire alle figure di donne, co-me: Miriam, sorella di Aronne (Es 15,20-21), Debora (Gdc 4-5), Anna, la madre di Samuele (1Sam 1-2) e Giuditta (Gdt 15-16). Saranno il Nuovo Testamento e la Chiesa antica ad attingere dal loro patri-monio per illustrare la Vergine Maria, di-venuta la mediatrice e la cantatrice della salvezza operata dal Dio d’Israele nel Fi-glio Gesù.

Segue la relazione dell’esegeta bre-sciano don Mauro Orsatti, ben noto, sia per varie pregiate ricerche scientifiche (ad esempio importanti studi sui Vangeli dell’infanzia), sia per i volumi di spicco, che con grande abilità teologica e senso pedagogico, portano il lettore alla com-prensione sempre più profonda delle Scritture (tra i primi si ricorda il bel libro “Luca: un Vangelo al femminile”). Nel presente volume il prof. Orsatti coglie la figura della Vergine Maria nei Vangeli, attraverso il semplice nome di “donna, senza aggettivi” (pp. 29-41). Egli, parten-do da alcune note sulla sana devozione mariana, rileva dal pensiero degli Evange-listi i tratti fondamentali di Maria. Nella concisa narrazione di Marco, si vede la fi-gura della madre credente, ovvero di colei che ascoltando la Parola di Dio, ha inau-

gurato la parentela più stretta e più genui-na con il Figlio (Mc 3). Luca, il “pittore della Vergine”, la coglie come la piena di grazia (Lc 1), invece Matteo la presenta come la Vergine Madre (Mt 1), per cono-scerla poi con Giovanni, nel IV Vangelo, come quella “donna” delle nozze di Cana (Gv 2) e dell’ora della Croce del Figlio (Gv 19), che è la Madre della Chiesa.

Nel volume sono inclusi due contributi di teologia liturgica. Alceste Catella, retto-re del santuario di Oropa, tratta la promul-gata nel 1986, “Collectio Missarum de Be-ata Maria Vergine”, introducendo alla na-tura e scopo del libro liturgico e analizzan-do i contenuti teologico-liturgici espressi dalla eucologia (pp. 43-73).

Il ben noto mariologo Ermanno Maria Toniolo, membro dei Servi di Maria, pro-cedendo nella tradizione della liturgia o-rientale, offre anch’egli l’icona di Maria, donna nuova, trattando la ricchezza ma-riana dei testi bizantini della divina Litur-gia e dell’Ufficio divino, nonché l’inno Akathistos, da cui Maria emerge non sol-tanto come la donna nuova, ma come co-lei che, unita al mistero di Cristo e della Chiesa, rinnova l’universo e il creato (pp. 75-111).

Suor Maria Francesca Perillo offre un contributo alla riflessione sulla donna, dal punto di vista dell’agiografia, avvicinan-do, in particolare, l’esperienza e l’inse-gnamento di santa Chiara d’Assisi e di santa Veronica Giuliani (pp. 133-196), Pier Luigi Molla offre invece la preziosa testimonianza su sua madre, santa Gianna Beretta Molla (pp. 197-201).

Il curatore del volume, don Manfred Hauke, professore di dogmatica alla Fa-coltà di Lugano, ritenuto oggi uno dei più importanti conoscitori della teologia femminista e del quale riportiamo qui so-lamente due importanti opere pubblicate in tedesco e tradotte in inglese: “Die Pro-blematik um das Frauenpriestertum vor dem Hintergrund der Schöpfungs und Er-lösungsordnung” e “Gott oder Göttin? Feministische Theologie auf dem Prü-fstand”, nel presente libro interviene tre volte, indicando innanzitutto le ragioni della raccolta (pp. 7-10) e sintetizzando infine i risultati dell’attuale confronto ac-cademico nel riassuntivo capitolo:

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“L’importanza della donna nella storia della salvezza” (pp. 203-211). Inoltre, prof. Hauke propone uno studio analitico sulla persona di Maria, donna nuova, per quanto appare a partire dall’esperienza di santa Edith Stein – Teresa Benedetta della Croce (pp. 113-131). Quest’ultima si av-vicina al profondo significato della realtà della creazione dell’uomo e della donna già dal punto di vista filosofico, rilevando in particolare la specificità del femminile, per passare poi, con la conversione, ad of-frire nuove intuizioni in riflessione teolo-gica specialmente sulla Madre di Dio, di una forte tonalità ebrea.

Considerando l’importanza delle que-stioni femminili nel nostro tempo, nonché la presenza degli svariati sviluppi di una teologia femminista, non sempre libera dalle forme radicali ed estreme, questa a-gile raccolta è indubbiamente un approc-cio importante all’approfondimento della riflessione sulla donna nel contesto della salvezza, partendo sempre dalla rivelazio-ne biblica e dalla tradizione della Chiesa per sfociare nelle pagine sulla santità femminile e il valore specifico della col-laborazione femminile alla salvezza, che in Maria vede il massimo e più evidente esempio e modello.

Cristoforo Charamsa

Pietro Bolognesi - Leonardo di Chirico - Andrea Ferrari, Dizionario di teologia evangelica, Marchirolo 2007, 876 pp.

No es fácil dar con un diccionario de

teología evangélica (es decir, protestante reformada), y de manera particular en len-gua italiana. De ahí que una obra así susci-te no poco interés para todo lector que haya tenido alguna relación con esta vertiente del protestantismo actual, máxime si como es bien sabido, el mundo protestante no cuenta con un magisterio en sentido estric-to como ocurre en el campo católico. Por otro lado, esta obra, bastante completa de-ntro de lo que cabe, aborda temas de diver-sa índole como la Biblia, la epistemología, la música, la metafísica y la moral, así co-mo otros motivos prácticos como la socio-logía de la religión.

Este diccionario no parte “ex novo”, sino que sus diversos autores han sabido readaptar otras voces ya existentes en obras precedentes como el “Evangelical Dictionary or Theology” de E. Elwell del año 1984; el “New Dictionary of Theolo-gy” de S. Ferguson-J.J. Packer-D. F. Wright de 1988; del “Dictionary of Theo-logy” de E. F. Harrison de 1982; el “Grand Dictionnaire de la Bible”, del 2004.

Llama positivamente la atención la apertura con que se han redactado ciertas voces, como es el modo como se presenta el tema del movimiento ecuménico; tam-poco se eluden determinadas realidades históricas como el hecho de que Lutero denominara la epístola de Santiago “carta de paja” por ir contra su interpretación sobre la doctrina paulina de la justifica-ción por la (sola) fe. Me fijaré en otro ejemplo, en el epígrafe “milenarismo” de la p. 451, se citan autores católicos dentro de la bibliografía general, como es el artí-culo de U. Vanni “Il millenarismo. Para-metri per un discernimento cristiano alla luce di Apocalisse 20,1-10”, etc. Por otro lado, habría sido recomendable que en de-terminados apartados se abordaran los principios basilares de la doctrina protes-tante como es la “sola Escritura”. La voz que ataja el tema de la Escritura alude a temas de interés como el “canon”, la “re-velación”, la “inspiración”, pero no apa-rece tratado aquí este principio aún hoy vigente en el mundo evangélico. Sobre el “canon”, se afirma que la “Escritura es antes que cualquier otra cosa norma de fe y de moral”: se cita al respecto a F. F. Bruce, pero no se prueba en qué parte de la Escritura se basa para esta afirmación; surge de rigor una pregunta al respecto: ¿“es la Escritura la ‘sola’ norma de fe y moral antes que cualquier otra cosa”? Se dice en dicho apartado que el “canon” del AT ha llegado a la Iglesia directamente desde Cristo y los apóstoles, pero no se afirma el modo: si es por la Escritura na-da más, ¿dónde se encuentra dicho elen-co?

Como quiera que sea, si el objetivo de este diccionario consistía en suscitar en el lector un interés que vaya más allá de la simple noción, siento que dicho objetivo

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se cumple crecientemente, no obstante la multiplicidad de los temas tratados.

José Antonio Caballero, L.C.

Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa e Conferenza delle Chiese d’Europa, Charta Oecumenica. Un te-sto, un processo, un sogno delle Chiese in Europa, Presentazione di Mons. Vin-cenzo Paglia. Ed. italiana a cura del Con-siglio delle Chiese Cristiane di Milano, Coedizione Claudiana-Elledici, Torino 2007 (2ª edizione ampliata), 264 pp.

La Charta Oecumenica – Linee guida

per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa, firmata ufficialmente a Strasburgo il 22 aprile 2001 dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE: questo consiglio riunisce le trenta-quattro Conferenze episcopali cattoliche del continente), insieme alla Conferenza delle Chiese d’Europa (KEK: raduna cen-toventisei Chiese europee ortodosse e co-munità dell’ambito della riforma protestan-te), contiene ventisei impegni che le Chiese in Europa sono invitate ad assumersi per rendere di nuovo visibile storicamente – come si legge nel titolo della prima parte – l’«una, santa, cattolica, apostolica» Chiesa di Cristo. La terza e più ampia parte della Charta Oecumenica: «La nostra comune responsabilità in Europa» delinea i contri-buti fondamentali che le Chiese sono chiamate ad offrire all’Europa.

Questa nuova edizione della Charta Oecumenica, oltre a contributi e testimo-nianze di protagonisti cattolici, ortodossi e protestanti dell’avventura ecumenica in corso tra le chiese d’Europa, contiene un’appendice di materiali per la sua appli-cazione pratica, tra cui testi liturgici per at-tività ecumeniche. Nella seconda edizione sono stati corretti alcuni errori di traduzio-ne dall’originale tedesco presenti nella prima.

Questa pubblicazione in lingua italiana e molto opportuna, perché l’Italia ha svol-to, grazie alla collaborazione interconfes-sionale tra cattolici, evangelici e ortodossi, un ruolo significativo nel processo di pre-parazione alla Terza Assemblea ecumenica

europea da celebrare a Sibiu, in Romania, dal 4 al 9 settembre 2007. Innanzitutto, ha ospitato a Roma dal 24 al 27 gennaio 2006 la prima tappa del percorso programmato dalla KEK e dal CCEE, in preparazione all’incontro di Sibiu, L’Italia è stata pure la prima a inaugurare la seconda tappa del percorso verso Sibiu, caratterizzata da in-contri nazionali o regionali, con il Conve-gno ecumenico nazionale promosso a Ter-ni, dal 5 al 7 giugno 2006, dalla Commis-sione episcopale della CEI per l’ecumeni-smo e il dialogo, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dall’Arcidio-cesi ortodossa d’Italia.

Mons. Vincenzo Paglia, presidente del-la Commissione episcopale della CEI per l’ecumenismo, nell’Introduzione al volu-me, afferma che la Charta Oecumenica è una sorta di Magna Charta per le Chiese d’Europa di come servire Dio nell’atten-zione ai problemi e alle necessità degli eu-ropei. “All’interno del processo in atto di unificazione dell’Europa e della presa di coscienza delle sue radici, questo docu-mento è stato salutato come un segnale di profetica eloquenza, perché ai tempi in cui i cristiani europei si sono divisi e hanno esportato le loro divisioni nel resto del mondo sono sopraggiunti i tempi della loro riconciliazione per una comune testimo-nianza dell’Evangelo. Infatti, solo una mis-sione che nasce dalla comunione è credibi-le e non si può rievangelizzare l’Europa re-stando divisi” (p. 5). Non a caso la Secon-da Assemblea ecumenica europea tenutasi a Graz (23-29 giugno 1997) aveva come tema Riconciliazione, dono di Dio e sor-gente di vita nuova, mentre la Terza, che si terrà a Sibiu, ha come titolo La Luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnova-mento e di unità in Europa.

Nell’arco del decennio 1997-2007 che separa le due assemblee ecumeniche rap-presentative di tutte le Chiese d’Europa, la Charta Oecumenica del 2001 assume una posto centrale. Essa nasce per adempiere una specifica raccomandazione dell’As-semblea di Graz, nella quale – constatata “la difficile situazione in cui si trova la comunità ecumenica, per vari motivi” e la necessità di “curare una cultura ecumenica della convivenza e della collaborazione” – si chiedeva alle Chiese d’Europa di “elabo-

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rare un documento comune, che contenga i diritti e i doveri ecumenici fondamentali, e di dedurne una serie di direttive, regole e criteri ecumenici, che possano aiutare le Chiese, i loro responsabili e tutti i loro membri a distinguere tra proselitismo e te-stimonianza cristiana, tra fondamentalismo e autentica fedeltà alla fede e a configurare infine in spirito ecumenico le relazioni tra le Chiese maggioritarie e quelle minorita-rie”.

La Charta Oecumenica non affronta la questione di un discernimento tra proseliti-smo e testimonianza cristiana. Il testo è, per certi versi, più prezioso, perché elabora i principi che presiedono a una cultura e-cumenica a tutto campo e alla più vasta collaborazione tra le Chiese in Europa. La Charta Oecumenica si presenta già come un frutto maturo e come foriero di molti frutti nel vissuto concreto delle comunità ecclesiali e nelle loro reciproche relazioni interconfessionali.

Sono molteplici ed essenziali i temi trattati nei dodici paragrafi in cui si articola il testo della Charta Oecumenica: dall’uni-tà della fede al comune annuncio del-l’Evangelo, dalla reciproca apertura e dal dialogo all’operare e pregare insieme, dall’impegno a dare un volto all’Europa e a riconciliarne popoli e culture, alla salva-guardia del creato e alle relazioni interreli-giose con l’ebraismo, l’islam e le altre reli-gioni o visioni del mondo. In ciascuno di questi paragrafi – enunciati i principi ispi-ratori di corrette relazioni ecumeniche – sono suggerite delle possibili forme di im-pegno da condividere. Questa attenzione alla concretezza e all’azione rende prezioso il documento, perché stimola a confrontare la propria attuale prassi pastorale con quel-la che può e deve diventare la vita delle comunità ecclesiali, quando l’ecumenismo entra come dimensione trasversale e quali-ficante della pastorale ordinaria e della spi-ritualità dei cristiani.

Nel prologo alla Charta si afferma che essa non riveste “alcun carattere dogmati-co-magisteriale o giuridicoecclesiale”. Alla richiesta di Graz di elaborare un fondamen-to vincolante, la Charta ha preferito ri-spondere indicando che “la sua normatività consiste piuttosto nell’auto-obbligazione da parte delle Chiese e delle organizzazioni

ecumeniche europee”. È opportuno, quindi, che nei diversi contesti si provveda a cono-scerlo, accoglierlo e attuarlo. Così come nella vita ecclesiale, al processo di traditio del messaggio deve seguire e corrispondere un processo di receptio nella fede e di red-ditio nella testimonianza attiva, così do-vrebbe potersi verificare anche nell’ambito ecumenico: alla consegna di un testo con-cordato a livello interconfessionale do-vrebbe seguire la sua ricezione e la sua re-stituzione attraverso un condiviso e attivo impegno di collaborazione ecumenica. Mons. Paglia considera che sarebbe signi-ficativa, nelle Chiese locali, una celebra-zione ecumenica in cui responsabili e rap-presentanti delle diverse confessioni fir-massero ufficialmente la Charta Oecume-nica come atto pubblico di ricezione e di impegno a realizzarne i contenuti. Ringra-zia, anche, per la coedizione ad opera di due case editrici, l’una protestante e l’altra cattolica, perché in questo modo la collabo-razione ecumenica di cui parla la Charta è già in atto.

Il volume consta di tre parti. La prima, intitolata La Charta Oecumenica, è costi-tuita da una introduzione dei presidenti del-la CCEE e della KEK, dal documento “Charta Oecumenica” e da alcuni contribu-ti sulla storia della Charta: “Perché una Charta Oecumenica per l’Europa” di Aldo Giordano, Segretario generale della CCEE, colloca la Charta nell’attuale contesto e-cumenico dell’Europa; “La genesi della Charta Oecumenica” di Viorel Ionita, Se-gretario agli Studi della KEK, racconta il processo di redazione del testo, durato cir-ca quattro anni; “La firma della Charta Oe-cumenica: Strasburgo 2001” di Viorel Ioni-ta e Sarah Numico offre una cronaca dell’evento di Strasburgo, con alcuni spunti di riflessione. Di seguito, sempre in questa prima parte, sotto il titolo “Letture teologi-che della Charta Oecumenica” si includono le presentazioni dei tre capitoli principali della Charta: il primo “Crediamo «la Chie-sa, una, santa, cattolica e apostolica»” è let-to dalla prospettiva di un teologo ortodos-so, Grigorios Larentzakis; il secondo, “In cammino verso l’unità visibile delle Chiese in Europa”, è analizzato dal teologo catto-lico Waclaw Hryniewicz; il terzo, infine, “La nostra comune responsabilità in Euro-

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pa”, dal teologo protestante Reinhard Frie-ling. Sotto il titolo “La Charta: un’agenda ecumenica per le Chiese d’Europa” si of-frono alcuni contributi che ampliano gli o-rizzonti: “L’originalità della Charta” di Lu-ca Maria Negro; “I giovani protagonisti” di Petra Pajdakovic; “Il contributo della Char-ta Oecumenica alla costruzione dell’Euro-pa” di Keith Jenkins e John Coughlan; “La sfida del dialogo interreligioso” di Heinz Klautke e Hans Vöcking e, infine, “Pro-spettive future” di Keith Clements.

La parte seconda “Linee guida per l’applicazione pratica della Charta” offre, innanzitutto, una “Introduzione alla Charta Oecumenica” e “Linee guida”; poi i se-guenti “Spunti per celebrazioni e preghie-ra”: Liturgia ecumenica (con riferimento ai 12 punti della Charta); Professare la fede: professione delle Chiese sui tre articoli del Credodi Nicea-Costantinopoli (punto 1); Preghiera per l’Europa (punti 7 e 8); Uo-mo, giardiniere maldestro (punto 9); Spunti biblici; Invocazioni con donne della Bibbia e della Chiesa (punto 5). Seguono, infine, i seguenti “Strumenti per il lavoro di grup-po”: Presentazione della Charta Oecume-nica a gruppi di giovani e adulti; Imparare l’ecumenismo in incontri per giovani; Pro-

posta di attività per far conoscere la Charta Oecumenica a bambini e ragazzi; L’ecu-menismo inizia con il rinnovamento dei cuori (punto 3); A immagine di Dio – la dignità di tutti gli uomini (punto 8 ); Serata comunitaria con un parlamentare europeo (punto 7); Incontri interculturali e interreli-giosi per il lavoro con giovani e giovani adulti (punti 10 e 11).

La parte terza, “Le chiese verso Sibiu. Speranze e sfide”, è divisa in due capitoli: “Le chiese verso Sibiu” di Colin Williams e “Terza Assemblea ecumenica europea. Le Chiese europee in cammino verso Si-biu” di Thierry Bonaventura. Con questa terza parte aggiunta per la seconda edizio-ne, il volume guarda al futuro. Infatti, la Charta è stata consegnata alle Chiese af-finché ne recepissero lo spirito, i contenuti, gli impegni. A Sibiu si potrà valutare come è stata recepita e vissuta nelle diverse co-munità ecclesiali.

Il chiaro senso pastorale e pratico della pubblicazione non oscura i meriti che gli studiosi della storia dell’ecumenismo euro-peo potranno scoprire negli articoli che compongono questo libro.

Jesús Villagrasa, L.C.

Alpha Omega, XI, n. 1, 2008 - pp. 167-174

Segnalazioni Benedetto XVI et alii, Dio salvi la ragione, Cantagalli, Siena 2007, 191 pp.

Il volume ha uno scopo molto preciso,

come spiega il direttore editoriale nelle prime pagine: dare nuova risonanza alla Lectio Magistralis tenuta dal Papa Bene-detto XVI a Regensburg il 12 settembre 2006. In questo modo, potrebbe continua-re ed essere promosso un dialogo tra cul-ture e religioni, nella «consapevolezza che tutta la nostra civiltà è intrisa dalla mera-vigliosa sintesi, attuata dal Cristianesimo, tra il Dio Logos dell’Antico Testamento, il Dio Agape del Nuovo Testamento e l’“Illuminismo” greco» (pp. 6-7).

I primi tre documenti sono interventi di Papa Benedetto XVI nei giorni della sua visita in Germania nel 2006. Il primo la menzionata Lectio Magistralis a Re-gensburg, il secondo l’Omelia tenuta a München il 10 settembre, incentrata sul bisogno di Dio nel mondo contemporane-o, il terzo l’Omelia nella messa celebrata a Regensburg il 12 settembre, nella quale il Papa parlava della fede e dell’idea di Dio che ci viene offerta attraverso il Cre-do, al di là delle patologie che possono danneggiare la religione e la ragione.

Vengono proposti, dopo, cinque saggi abbastanza liberi sia nella forma che nei contenuti. Da una prospettiva araba e let-teraria (e in genere un po’ lontana dai contenuti del discorso di Regensburg) Wael Farouq offre un interessante reso-conto delle radici della ragione araba, con speciale attenzione alle caratteristiche lin-guistiche dalle quali essa si nutre. André Glucksmann disserta sui pericoli che sor-gono sia per la fede sia per la ragione se ambedue rimangono separate. Sari Nus-seibeh elabora alcuni spunti critici sulle parole del Papa sottolineando la diversità che esiste fra razionalità e ragionevolezza, ed evidenziando l’importanza del ricono-scimento della dignità umana di tutti co-

me cammino per arrivare alla tolleranza. Robert Spaemann evidenzia come la ne-gazione di Dio porta verso la negazione della verità e perfino verso la perdita della nozione di «persona» e della fiducia nel mondo; soltanto attraverso una riacquista-ta fiducia in Dio può essere superata que-sta situazione e si riapre così un dialogo che superi il pericolo della violenza. Infi-ne, Joseph H.H. Weiler loda l’autenticità di Papa Benedetto nel sottolineare le pro-prie convinzioni, un fatto che permette l’inizio di un dialogo credibile e sincero.

I diversi autori parlano con la libertà propria della ricerca e dell’invito al dialo-go offerto da Benedetto XVI nella sua le-zione in ambito universitario. In questo senso, il volume è veramente stimolante, anche attraverso affermazioni che non sa-ranno condivise da tutti, ma che comun-que permettono di dare vita alla riflessio-ne sulla fede e sulla ragione che fu il tema centrale del discorso pronunziato dal Pon-tefice a Regensburg.

Fernando Pascual, L.C.

Maurizio Migliori, Il Sofista di Platone. Valore e limiti dell’ontologia, Morcellia-na, Brescia 2006, 196 pp.

Maurizio Migliori, professore di filo-

sofia all’Università di Macerata, raccoglie e pubblica in questo volume una serie di lezioni sul Sofista che lui stesso aveva te-nuto all’Università di Pisa.

La struttura dell’opera riflette le attivi-tà accademiche tenute a Pisa. Vengono offerte, come parte più cospicua, le cinque Letture da parte di Migliori, con le quali non solo sono analizzati importanti conte-nuti del Sofista, ma in modo speciale sono messi in risalto i temi fondamentali della dialettica platonica.

In seguito, il lettore trova tre appendi-

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ci. Nella prima, si riflette su un tema (rap-porto tutto-parti) nel Parmenide e nel Tee-teto. Nella seconda si offre un’agile pre-sentazione sulla coppia agire-patire. Nella terza, l’Autore elabora una brevissima ri-flessione sulla dialettica dell’essere nel Parmenide.

Segue, nel volume, il resoconto delle discussioni suscitate dalle letture di Mi-gliori, con critiche profonde sul metodo e sui risultati ottenuti. Dopo tale resoconto, lo stesso Migliori risponde con grande li-bertà di spirito e con profondo senso filo-sofico alle difficoltà sollevate, nello spiri-to di dialogo che nasce grazie al sempre stimolante incontro con il pensiero plato-nico.

Fernando Pascual, L.C.

Alain Marchadour, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa, Ed. Dehoniane, Bo-logna 2007, 215 pp.

El mismo título de esta monografía

pone de relieve el objeto, así como el con-tenido y el método que sigue su autor: concebir la cristología en términos rela-cionales y narrativos para asistir al desve-lamiento progresivo de la persona de Je-sús. La obra se lee con agrado. La selec-ción de los personajes principales se anto-ja oportuna; resultan ser asimismo intere-santes las breves referencias a los perso-najes escogidos en obras apócrifas, a los temas o motivos teológicos aludidos, que aparecen en recuadros grises. El autor ha optado por dar a cada capítulo el nombre del personaje tratado dentro de él. Habría sido oportuno desde una perspectiva me-todológica, si cabe observarlo, una biblio-grafía más exhaustiva al final del libro, ya que no basta siempre con remitir a las no-tas a pie de página de los capítulos, como sugiere Marchadour en la p. 205.

El libro es fruto de una mejor percep-ción, a raíz de un curso impartido en los años 2000-2001 en Jerusalén y en Tolosa, de que por medio de los personajes que entran en contacto con Cristo a lo largo del cuarto Evangelio, se puede tener una puerta de acceso a la lectura.

Marchadour ofrece en la introducción algunas notas que ayudan a aclarar su acercamiento a Jn: el Evangelio de Jn como libro, Jesús en el centro de la encru-cijada, la variedad de los personajes, la selección de dichos personajes, su carac-terización en intermediarios, incompletos y simbólicos. Como notas conclusivas, Marchador ofrece 4 incisos: los tres nive-les de una cristología narrativa, el creer en Jesús; Judas, ¿el hombre programado para traicionar?; los judíos un actuante dos ve-ces tratado; de los discípulos al discípulo predilecto; Pilato novelado.

Los personajes elegidos son Juan, tes-tigo fiel; María, la mediadora; Simón Pe-dro, la fidelidad difícil; Jesús y Nicode-mo, el encuentro de noche; la mujer de Samaria frente a Jesús; un ciego, discípu-lo iluminado; Lázaro, Marta y María, la familia que Jesús amaba; María de Mág-dala, de la tumba vacía al jardín habitado; Tomás, el discípulo de los extremos, Je-sús, Pilato, los judíos: la realeza inespera-da; el enigma del discípulo que Jesús amaba.

José Antonio Caballero, LC.

Fernando Inciarte - Alejandro Llano, Metafísica tras el final de la Metafísica, Ediciones Cristiandad, Madrid 2007, 382 pp.

Como explica Alejandro Llano en el

prólogo, el libro nació de las conversacio-nes filosóficas entre él y su amigo Fer-nando Inciarte, unas veces en Münster otras en Pamplona. F. Inciarte (1929-2000) fue profesor de Filosofía en las Universidades de Colonia y Friburgo de Brisgovia y, desde 1975, fue Catedrático en la Universidad de Münster, donde también ocupó el cargo de Decano de la facultad. Escribió numerosos libros y artí-culos sobre filosofía práctica, análisis del lenguaje y metafísica. A. Llano (1943) ha sido Profesor de Filosofía de la Universi-dad de Valencia y en la Universidad Au-tónoma de Madrid y, en la actualidad, es Catedrático de Metafísica de la Universi-dad de Navarra, de la que ha sido Rector. Entre sus obras filosóficas más reconoci-

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das se cuenta Metafísica y lenguaje (2ª ed. 1997).

El libro Metafísica tras el final de la Metafísica fue redactado inicialmente por F. Inciarte y, ante la inminencia de su muerte, acaecida en junio de 2000, lo en-vió a Llano. Inciarte consideraba que su manuscrito original escrito en alemán, es-taba “sólo empezado”, en un “estado inci-pientísimo”. Llano pensó que la mejor manera de dar a conocer su trabajo y hon-rar su memoria consistía en traducirlo del alemán y reelaborarlo con algunos com-plementos, matices y síntesis.

Los autores de este libro han tenido el atrevimiento de defender las pretensiones de una filosofía primera y de ofrecer unas propuestas para relanzar una “metafísica mínima”, como la elaborada por Aristóte-les, es decir, una indagación filosófica de-dicada exclusivamente a las cuestiones fundamentales, a “lo nuclear de la filoso-fia primera, dejando atrás el lastre del que se ha ido desprendiendo tras las críticas a las que se ha visto sometida en los tres úl-timos siglos” (p. 12). En este sentido, se trata de una propuesta análoga a la “meta-física débil” de Enrico Berti. Los autores proponen un pensamiento metafísico que, sin pretensiones de exclusividad, aspira a alcanzar la profundidad de las cosas y la verdad, y que se aleja de otros plantea-mientos que, en palabras de Llano, llevan a “una erudición desesperante, un análisis lógico-lingüístico minimalista, o un diver-timento lúdico que empieza a resultar te-dioso”.

El libro resulta a la vez maduro e inci-piente. Tiene la madurez de sus autores: ambos han pasado una vida meditando en la posibilidad de una metafisica tras el fi-nal que se le ha decretado en el siglo XX. Puede decirse incipiente porque se replan-tea continuamente las preguntas y los problemas originarios, los propios de la metafísica, los temas de la filosofía clási-ca y moderna, los argumentos de una on-tología realista que es cuestionada e inter-pelada por el idealismo moderno y el es-cepticismo contemporaneo. Un libro que, entre otras grandes contribuciones, pro-blematiza las fórmulas de cierta metafisi-ca realista (también aristotélica y tomista) de divulgación. El contenido de un libro

de estas características no puede resumir-se en unas tesis. Quien quiera leerlo se sentirá invitado a embarcarse en esa con-versación filosófica de dos amigos, inte-rrumplida por la muerte del más veterano de ellos; y, a través de esa conversación, será introducido a los problemas que hoy encuentra la elaboración de una metafísi-ca realista. Un libro imprescindible, por tanto, para quien hoy quiera hacer metafí-sica en el sentido fuerte, aristotélico, de este término.

Jesús Villagrasa, L.C.

Giuseppe D’Acunto, La parola nuova. Momenti della riflessione filosofica sulla parola nel Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, 146 pp.

Il volume di D’Acunto raccoglie otto

brevi saggi accomunati dalla riflessione sulla parola come “istanza di discorso”. Non si tratta, dunque, di uno studio su un fenomeno linguistico dotato di coordinate ben precise, ma di un’indagine filosofica su quell’avvenimento che, attraverso il di-re, si stratifica e informa la realtà.

Su queste basi, il terzo saggio della raccolta, Metafora, logica poetica, unità della parola in Szondi, assume un’impor-tanza fondamentale perché concepisce la dimensione della metafora non come un semplice atto di trasposizione del senso, ma come una sorta di “idea estetica” («i-dea della parola») che, tramite un com-plesso schematismo della significazione, si concentra in singole unità storicamente date. In questo contesto, ogni compren-sione comunicativa, quantunque determi-nata, non potrà mai essere ricondotta in maniera biunivoca alla manifestazione cui si riferisce (come accade, invece, nel co-siddetto “referenzialismo ingenuo”), per-ché riposerà sempre su una certa indeter-minatezza semantica. Si sviluppa, così, quella che Szondi chiama una «logica del-la poesia» che l’ermeneutica può attinge-re, di volta in volta, solo per mezzo di «un’analisi genetica del processo creati-vo» (p. 44).

All’interno di una gnoseologia storica diventa molto pertinente il quinto saggio,

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Il silenzio parlante. Linguaggio e perce-zione in Merleau-Ponty, in cui D’Acunto avvicina la scoperta di una corporeità co-me «potenza simbolica» (p. 76) all’oriz-zonte extralinguistico che “attornia” la pa-rola. L’espressione, in virtù di un contatto primordiale col mondo preriflessivo (nel linguaggio dell’ultimo Merleau-Ponty, il chiasma), non presuppone un pensiero – come vuole l’intellettualismo – o un appa-rato di contenuti provenienti dall’espe-rienza – come vuole l’empirismo. All’ori-gine della lingua vi è, infatti, una capacità di “usare” il corpo secondo atteggiamenti e tonalità emotive, che trascendono il pa-trimonio già disponibile di significati: «Si definisce, così, la distinzione fra atto indi-viduale di parola, o “parola parlante”, e linguaggio, come sistema già costituito di sintassi e di vocabolario, o “parola parla-ta”» (p. 81).

Perciò, se è legittimo parlare di ideali-tà del testo, possiamo farlo solo grazie al-la frattura tra significato (unitario) e signi-ficazione (individuale).

Nel sesto saggio, La parola giusta. Gadamer sulla persuasività della lettera-tura, l’attualità della parola si esplica in maniera esemplare nell’opera letteraria che, stabilendo un primato della persuasi-vità (la dynamis aristotelica) sull’esecu-zione, produce una dialettica tra materia – l’espressione – e significato – l’intenzione che, vincolata dalla lettura, permane nella molteplicità delle apparenze. In questa prospettiva, la comprensione dell’evento linguistico avviene con un’intuizione che nasce dalla relazione tra “ritenzione” e “riempimento”, un indugiare che, «tratte-nendo lo scorrere dell’istante nel flusso temporale, fa sì che “nell’attimo indugian-te vi sia un qualcosa che si mantenga”: “l’unità della forma”» (p. 95). Per Gada-mer l’indugiare (in questo, molto distante dall’epoché husserliana) si rianima di continuo con la trasposizione metaforica che Kant ha descritto nel § 59 della Criti-ca della facoltà di giudizio, a proposito della “funzione simbolica del linguaggio”.

In conclusione, l’interessante libro di D’Acunto sembra attualizzare, seppure non esplicitamente, il retaggio delle filo-sofie del linguaggio di Vico, Kant e Cro-

ce, cercando di darne declinazioni efficaci e attente ai nuovi problemi della filosofia.

Luca Viglialoro

Roberto Grasso - Marcello Zanatta, La forma del corpo vivente. Studio sul De anima di Aristotele, Unicopli, Milano 2005, 309 pp.

Nell’Introduzione gli autori offrono

un’agile panoramica delle principali opi-nioni sull’unità dell’opera e sui contenuti ivi discussi, con le diverse interpretazioni elaborate dagli specialisti durante il XX secolo.

Seguono poi cinque parti. La prima parte, La definizione di anima, inizia con la nozione platonica di anima, per mettere subito in luce le differenze che sussistono fra Aristotele e il suo «maestro». La se-conda parte, La dottrina della percezione, situa tale tematica nel contesto degli studi sorti dopo la svolta cartesiana; per questo motivo, vengono studiati sia gli aspetti somatici della percezione, sia la classica dottrina della distinzione fra i sensi e i sensibili. La terza parte tocca le difficoltà che sorgono nello sforzo di capire la no-zione aristotelica di «phantasia», che sa-rebbe per Aristotele un fenomeno diverso dalla percezione sebbene in rapporto con essa. La quarta parte, Il desiderio e la lo-comozione negli animali, studia le possi-bilità di un’azione autocontrollata con le problematiche particolari che nascono quando ci sono due desideri contrapposti. L’ultima parte, La dottrina del «noûs», considera questa complessa tematica in Aristotele con le diverse spiegazioni date-ne dal mondo antico e dagli interpreti contemporanei. Per gli autori, sarebbe dif-ficile provare aristotelicamente l’immor-talità dell’anima umana anche per quanto riguarda il noûs.

Il volume non dedica nessuna sezione specifica a riflettere sul I libro del De a-nima (benché parti di questo libro siano menzionate in diversi luoghi), mentre tale sezione sarebbe stata utile come strumen-to per elaborare un’importante cornice te-oretica e storica dei problemi da studiare.

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Il volume, molto ricco in riferimenti agli interpreti più importanti sull’argo-mento, si chiude con un’ampia bibliogra-fia ragionata e con un indice dei molti nomi citati.

Fernando Pascual, L.C.

L’opera di Giovanni Garbini. Bibliogra-fia degli scritti 1956-2006, Paideia Editri-ce, Brescia 2007, pp. 124.

L’agile volume vuole celebrare, in oc-

casione del suo 75º compleanno, Giovan-ni Garbini, il noto successore dell’altret-tanto noto Sabatino Moscati alla cattedra di Filologia Semitica all’Università La Sapienza di Roma. È costituito da una Premessa (pp. 7-10), firmata da Riccardo Contini, una Prefazione (pp. 13-17) del festeggiato G. Garbini, un Elenco delle sigle (19-22) e la susseguente Bibliografia 1956 – 2006 (pp. 25-124).

Stupisce la mera mole di produzione scientifica, ancor prima della sua valuta-zione (Contini non ha mancato di mettere in risalto il carattere polemico di alcune pubblicazioni): 24 monografie, con tre traduzioni in lingue straniere, 424 articoli, 180 voci per enciclopedie, 239 recensioni e bollettini bibliografici e 13 personalia.

La premessa di Contini rievoca alcuni dati importanti per comprendere la vastis-sima produzione scientifica di Garbini, facendo notare due degli ambiti d’indagi-ne da lui preferiti: la linguistica camito-semitica comparata e la filologia veterote-stamentaria. La cornice storica di questi cinquant’anni così fecondi è imperniata, in primo luogo, sul ruolo di assistente non ancora venticinquenne del suo maestro Sabatino Moscati (1956-1968), poi sul-l’insegnamento a Napoli (1960-1977, con parallela docenza anche a Roma) e a Pisa (1977-1982), e sul professorato alla Sa-pienza (1982-2006).

Non avendo voluto altra espressione editoriale per celebrare la felice occasione del suo 75º (come anche in altre occasioni precedenti), il presente volume è l’unica espressione celebrativa ammessa dal fe-steggiato, curato da lui stesso.

L’indice bibliografico procede per an-

ni anagrafici offrendo, in ordine, le mo-nografie (con indicazione delle recensio-ni), gli articoli, voci enciclopediche e re-censioni. Qua e là si trovano didascalie sintetiche dei principali argomenti dei suoi articoli e di rinvii alle ristampe di-sponibili, con qualche annotazione di ag-giornamento.

Sarà opportuno segnalare soprattutto l’iniziale interesse, come tema di tesi di laurea, per le iscrizioni aramaiche antiche, tesi che costituì la base della sua prima pubblicazione, L’aramaico antico del 1956. Negli anni seguenti il Garbini deci-se di dedicarsi anche all’archeologia e all’arte classica e in tale veste fu invitato ad entrare nella redazione dell’Enciclope-dia dell’arte antica classica e Orientale.

Ancora da sottolineare, nel 1972, l’importante monografia Le lingue semiti-che, il cui indice grammaticale sistemati-co doveva essere l’anticipazione di una futura grammatica comparata, progetto che poi fu abbandonato. Negli anni ottan-ta viene alla luce un nuovo settore d’inte-resse: la civiltà dei Fenici, mentre il 1993 vide la ristampa in un solo volume (Ara-maica) degli scritti ancora ritenuti validi dall’Autore sulla filologia aramaica. Gli scritti sul mondo della Bibbia ebraica, in-vece, sono tutti impostati sugli aspetti lin-guistici, storici e storico-letterari.

Dirk Kurt Kranz, L.C.

Giovanni Reale (a cura di), I Presocra-tici, Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti nella raccolta di Hermann Diels e Walther Kranz, Bompiani, Milano 2006, LVIII + 2002 pp.

Siamo di fronte all’edizione e tradu-

zione integrale di un’importante opera per lo studio del pensiero antico, Die Frag-mente der Vorsokratiker (I Frammenti dei Presocratici), pubblicata come risultato di una lunga collaborazione fra Hermann Diels e Walther Kranz nella prima metà del XX secolo.

Giovanni Reale, nel suo Saggio intro-duttivo, fa vedere la necessità di questa nuova edizione, in quanto non esisteva

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ancora un volume di queste caratteristiche in nessuna delle lingue moderne, e perché la traduzione italiana presso la casa editri-ce Laterza dell’opera di Diels-Kranz non aveva seguito criteri chiari per essere con-siderata scientificamente di qualità (cf. pp. IX-XII).

Reale spiega anche per quali motivi non si sia approfittato dell’uscita di quest’edizione per fare un lavoro di ag-giornamento del Diels-Kranz, in quanto erano stati già pubblicati molti volumi su singoli autori presocratici dove tale ag-giornamento era già stato messo in atto (pp. XV-XVIII).

Nei seguenti capitoli del Saggio intro-duttivo, Reale illustra l’importanza storica e teoretica dei presocratici anche per il mondo moderno, in quanto possiamo tro-vare in essi l’origine del filosofare e, allo stesso tempo, l’origine culturale dell’Eu-ropa e dell’Occidente.

Di speciale interesse è la spiegazione offertaci da Reale dei principali concetti-chiave dei presocratici che segnano pro-fondamente non solo il pensiero greco ma, si potrebbe dire, tutto il pensiero oc-cidentale, come viene espresso in un testo di Max Pohlenz citato a p. XLVIII.

Dopo il testo bilingue, che occupa ben 1863 pagine, il volume include tre accura-ti indici: autori antichi, luoghi citati, e passi delle opere usate come fonte per i frammenti. L’insieme risulta uno stru-mento prezioso per lo studio dei presocra-tici e dei sofisti, ovviamente ricorrendo al necessario complemento dei più recenti studi (sui quali Reale, come è stato detto, avverte nella sua nota iniziale) che per-mettono di aggiornare il nostro acceso ai pensatori che hanno gettato le basi della filosofia occidentale.

Fernando Pascual, L.C.

Origene, Commentario al Cantico dei cantici, EDB, Bologna 2005, 615 pp.

En edad avanzada, alrededor del año 240, Orígenes dictó un gran comentario en diez libros sobre el Cantar de los can-tares, juzgado por San Jerónimo como su obra exegética maestra. Lamentablemente

sólo ha sobrevivido una traducción latina parcial —hasta 2,15—, realizada por Ru-fino di Aquilea al inicio del siglo V, la versión latina del mismo San Jerónimo y numerosos fragmentos en griego, que son los que ahora se nos ofrecen en esta obra. Una parte de estos fragmentos viene de la “cadena exegética” sobre el Cantar de los Cantares del Epitome, que nos llegado bajo el nombre de Procopio di Gaza en tres códices parisinos. Estas partes de la obra de Orígenes aparecen en la Patrolo-gía griega de Jacques-Paul Migne, pero con algunas lagunas y en parte contamina-das por otros textos que no son del autor.

A los fragmentos del Epitome se han añadido otras seis pequeñas partes: una extraída del comentario al Cantar de los Cantares compuesto por Orígenes en dos libros en edad juvenil; dos extraídas de la Philocalia y el resto, de cuatro “cadenas exegéticas” diversas. Cuatro de estas seis breves secciones están atestiguadas en la versión latina del grande comentario dic-tado por Rufino de Aquilea, y una en la traducción latina de la segunda homilía a cargo de San Jerónimo.

A los textos de Orígenes, colocados a la izquierda, se ofrece a la derecha una traducción en italiano por la autora de esta edición (pp. 149-299), Maria Antonietta Barbàra, que ha escrito, además, una am-plia y provechosa introducción (pp. 61-143) y un detallado y erudito comentario crítico (pp. 301-533), paso por paso, don-de también se citan los testigos del texto origeniano, la correspondencia de su co-mentario exegético en otras obras suyas y la interpretación de autores sucesivos que dependen del Alejandrino. Siguen diver-sos índices muy útiles: de citas bíblicas, de nombres y palabras en los fragmentos, de las obras de Orígenes, de los autores antiguos y medievales, de nombres y ma-terias importantes, de los manuscritos y de los autores modernos y contemporá-neos (pp. 537-615). También es notable el aparato bibliográfico (pp. 7-57).

Esta obra versada presentación del comentario de Orígenes constituye, sin duda, un nuevo impulso a los estudios pa-trísticos y, en general, a la teología.

Thomas D. Williams, L.C.

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Juan Escoto Eriúgena, Sobre las naturalezas (Periphyseon), introducción y notas de Lorenzo Velázquez, traducción de Pedro Arias y Lorenzo Velázquez, EUNSA, Pamplona 2007, 835 pp.

Se ofrece en castellano esta compleja

obra de uno de los más importantes repre-sentantes del Renacimiento Carolingio, Juan Escoto Eriúgena.

Nacido en Irlanda entre los años 800-810, Juan Escoto desarrolló la mayor par-te de su trabajo intelectual en Francia, donde tradujo importantes obras del grie-go al latín, y donde compuso la mayor parte de sus escritos, entre los que destaca el que ahora presentamos, Periphyseon (Sobre las naturalezas).

En su introducción, Lorenzo Veláz-quez expone los datos fundamentales de la vida de Juan Escoto Eriúgena, cuáles fueron sus fuentes, cómo está organizada la obra y qué cuestiones presenta al estu-dioso (especialmente respecto a los distin-tos estratos de elaboración del texto). Si-guiendo al profesor E. Jeauneau, Veláz-quez defiende la conveniencia de respetar el título original de la obra (Periphyseon), pues el que aparece citado en muchos lu-gares, De divisione naturae o Periphyseos merismou, habría sido el resultado de una interpretación incorrecta del pasado.

Velázquez ofrece también un cuadro general de contenidos, libro por libro. Igualmente, expone sintéticamente algu-nos temas importantes de la obra: la divi-sión entre naturalezas y teofanías, los momentos del conocimiento humano acerca de Dios, la antropología y el cogito erigeniano (con sus semejanzas y diferen-cias respecto del cogito cartesiano), la no-ción de ciencia, el tema de la fe y la ra-zón. A continuación expone cuál haya si-do, a lo largo de los siglos, la proyección e influjo del Periphyseon, y recopila una ágil bibliografía sobre las traducciones y los estudios principales sobre el autor y la obra.

La traducción se basa en la edición canónica de la obra, e incluye en el texto las indicaciones de las columnas en la Pa-trología Latina de Migne (PL). A pie de página son recogidas algunas glosas ori-ginadas en la historia de la elaboración y

transmisión del texto, y las distintas fuen-tes que habría tenido presentes Escoto en sus reflexiones (cf. p. 23). En algunos momentos de la traducción aparecen dos columnas, en las que se recogen una pri-mera versión y una segunda versión de la obra, sin que se indique cuál de las dos pueda ser considerada definitiva o mejor (cf. p. 22). Habría sido oportuno, para ayudar al lectores, recordar sintéticamente estos detalles (ofrecidos en la introduc-ción) como frontispicio del texto en caste-llano.

Escoto Eriúgena escoge la forma dia-lógica para presentar sus ideas. Se interca-lan las voces del discípulo (que tiene cier-to protagonismo, con intervenciones pers-picaces) y del maestro, en un camino inte-lectual en el que el desarrollo de los ar-gumentos es dirigido, según un plan pre-ciso, por el maestro. El texto refleja un profundo conocimiento de la Escritura, de la tradición filosófico-teológica de algu-nos importantes Padres y Escritores ecle-siásticos de cultura griega (especialmente del PseudoDionisio Areopagita), de san Agustín y de otros autores (cristianos y paganos) de cultura latina. Es una auténti-ca síntesis del saber cristiano y filosófico, con abundantes elementos platónicos, en una época que merece la atención de los estudiosos por su fecundidad académica y por haber influido no poco en la prepara-ción de las grandes elaboraciones de la Escolástica.

Fernando Pascual, L.C.

Benito Marconcini y col., Profeti e Apo-calittici, Elledici, Torino 2007, 2ª edición, 549 pp.

En agosto del 2007 ha salido a la luz

la 2a edición de la obra Profeti e Apocalit-tici de Benito Marconcini y colaborado-res. Esta obra corresponde al 3º de 8 vo-lúmenes de la colección de Logos: Corso di Studi Biblici dirigida a los estudiantes de teología y de Ciencias religiosas para el estudio científico de la Biblia. Un arco de tiempo de 12 años separa la primera edición de la obra de Marconcini (1995) de esta segunda, tiempo que ha comporta-

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do una valoración de lo ya aportado y un enriquecimiento mayor. Como el autor señala (p. 5), la 2a edición, conservando la estructura de la precedente (introduccio-nes, ensayos, exégesis y temas bíblicos), ha quedado mejorada por nuevas contri-buciones que actualizan su valor en el contexto hodierno.

Una introducción general (pp. 39-78) titulada Profeta e parola profetica abre la obra ofreciendo un acercamiento históri-co, literario y teológico al mundo del pro-fetismo, desde un marco no sólo israelita sino universal, que consiente delimitar y apreciar la singularidad y el valor de la profecía bíblica. A la introducción prece-de una bibliografía general (pp. 25-36) básica y actualizada para el estudio de los libros proféticos.

A continuación la obra se despliega como un tríptico. Cada una de las 3 sec-ciones que la componen responde a una finalidad específica. La 1ª sección Forma-zione degli scritti profettici (pp. 79-269) pretende ofrecer los conocimientos histó-rico, literarios y teológicos para alcanzar un conocimiento directo y fructuoso de cada uno de los libros proféticos. De este modo la presentación de los diversos con-textos en que los profetas realizan su mi-sión (histórico, religioso, social, económi-co) sirven como faro de luz para com-prender mejor el mensaje divino comuni-cado por los profetas (p. 81). El análisis, presentado por Marconcini, de la forma-ción de los “libros escritos” de los diver-sos profetas que han llegado a nuestras manos permite delimitar cuál es la contri-bución aportada por los profetas mismos y aquella que proviene de otros hagiógrafos que han intervenido a lo largo de los si-glos en la cadena de la transmisión del le-gado profético, buscando conservar y ac-tualizar el tesoro original.

La 2ª sección es una colección de on-ce Saggi di esegesi (pp. 271-427). De es-tos ensayos 7 de ellos están dedicados a los así llamados “profetas mayores” (3 a Isaías, 2 a Jeremías, 1 a Ezequiel y 1 a Daniel). A estos ensayos siguen otros 4 sobre algunos “profetas menores” (Amós, Oseas, Sofonías y Joel). Gracias a la va-riada y selecta temática es posible un con-tacto más directo y enriquecedor con los

textos proféticos. Los ensayos ofrecen además una panorámica bastante comple-ta de los diversos argumentos que están en el centro de la predicación profética: comenzando por los relatos de vocación (tema 1) y pasando por el tema de la pro-fecía mesiánica (temas 2 y 3), tienen lugar otros argumentos recurrentes en los labios de los profetas, como el de la conversión (tema 4), la defensa de los pobres (te-ma 8), las visiones (temas 6 y 7), los dis-cursos de condena (temas 5 y 9) y los dis-cursos de salvación (temas 10 y 11).

La 3ª y última sección, centrada en Temi di teologia biblica (pp. 431-537), con una estructura similar a la 2ª sección (una parte de los temas corresponde a los “profetas mayores” y la otra a los “profe-tas menores”), pretende ayudar a descu-brir cuál es el mensaje teológico conteni-do en los libros proféticos.

Mérito de la obra es la presentación sintética y complexiva de los diversos as-pectos que comporta el estudio de los li-bros proféticos. Así, quien se dispone al estudio de este sector de la Sagrada Escri-tura puede encontrar en esta obra una guía clara, concisa y bien fundada.

Pedro Mendoza, L.C.