Etica del lavoro nelle civiltà orientali: il caso della Cina

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Etica del lavoro nelle civiltà orientali: il caso della Cina Quando parliamo del lavoro, riteniamo che quest‟ultimo sia nato in occidente proprio perché la storia ci insegna che la parte occidentale del mondo si è sviluppata con maggiore facilità nel corso del tempo rispetto alla parte orientale. Ma la stessa storia ci insegna anche che la prima civiltà a dedicarsi al lavoro fu quella dei Sumeri, antico popolo mesopotamico, che venne ad abitare il territorio poi definito di Babilonia, tra il Tigri e l‟Eufrate. Questo territorio era costituito da terreno alluvionale e i Sumeri, supportati dall‟abbondanza di acqua, costruirono i primi canali e le prime dighe, adoperandosi per far rendere al meglio i propri terreni. Dunque, possiamo definire quella dei Sumeri la prima civiltà di lavoratori e soprattutto di agricoltori. Ma il lavoro non era un semplice mezzo di sussistenza, infatti quest‟ultimo era parte della vita dell‟uomo, una parte molto importante, come il pezzo di un puzzle che va a completare l‟intero quadro della sua esistenza. Il lavoro era di fondamentale importanza per i Sumeri, che erano dediti totalmente alla coltivazione dei campi e ne avevano grande cura, come una madre ha cura del proprio figlio. Dovremmo sicuramente rifarci all‟etica di questo popolo nella società odierna , se non nella totalità, almeno in parte, e soprattutto dovrebbe farlo chi, dedicandosi ad unattività, vuole solo ricavarne un profitto per raggiungere il successo attraverso la ricchezza o la ricchezza attraverso il successo. D‟altronde quest‟ultimo atteggiamento è inevitabile poichè i bisogni nel tempo cambiano, cambiano le culture, le usanze, le tradizioni, il pensiero religioso e anche la stessa etica cambia, soprattutto quella del lavoro; per questo bisognerebbe che noi tutti guardassimo come lavoravano i popoli che ci hanno preceduti e perché lavoravano. L‟attività che ognuno di noi svolge o svolgerà in futuro dovrebbe essere qualcosa che ci completa come persona, che ci fortifica e ci rende liberi di fare ciò che più ci piace. Questa è democrazia, questa è libertà, questa è etica. Passiamo alle antiche tribù dell‟Iran, per le quali la religione e le loro credenze combaciavano in un certo qual modo con la loro filosofia del lavoro. Infatti nell‟antico Iran il bene e il male erano considerate divinità, rispettivamente AHURA-MAZDA, il principio del bene, e ANGRA-MAYNYU, signore delle forze ostili. La stabilità dipendeva dalla vittoria del BENE sul MALE; male erano i deserti, bene erano i territori coltivati, bene era anche il seme che dava il grano. Qui il lavoro era proprio una filosofia di vita, infatti il trionfo del BENE sul MALE era tutto per l‟esistenza di questo popolo, perché dipendeva dalla coltivazione dei campi. Un‟altra società in cui il pensiero filosofico ha influenzato fortemente la concezione del lavoro è quella del Grande Maestro KUNG FU-TZU, più comunemente conosciuto con il nome di

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Etica del lavoro nelle civiltà orientali: il caso della Cina

Quando parliamo del lavoro, riteniamo che quest‟ultimo sia nato in occidente proprio perché

la storia ci insegna che la parte occidentale del mondo si è sviluppata con maggiore facilità nel

corso del tempo rispetto alla parte orientale.

Ma la stessa storia ci insegna anche che la prima civiltà a dedicarsi al lavoro fu quella dei

Sumeri, antico popolo mesopotamico, che venne ad abitare il territorio poi definito di Babilonia, tra

il Tigri e l‟Eufrate. Questo territorio era costituito da terreno alluvionale e i Sumeri, supportati

dall‟abbondanza di acqua, costruirono i primi canali e le prime dighe, adoperandosi per far rendere

al meglio i propri terreni. Dunque, possiamo definire quella dei Sumeri la prima civiltà di lavoratori

e soprattutto di agricoltori.

Ma il lavoro non era un semplice mezzo di sussistenza, infatti quest‟ultimo era parte della

vita dell‟uomo, una parte molto importante, come il pezzo di un puzzle che va a completare l‟intero

quadro della sua esistenza. Il lavoro era di fondamentale importanza per i Sumeri, che erano dediti

totalmente alla coltivazione dei campi e ne avevano grande cura, come una madre ha cura del

proprio figlio.

Dovremmo sicuramente rifarci all‟etica di questo popolo nella società odierna, se non nella

totalità, almeno in parte, e soprattutto dovrebbe farlo chi, dedicandosi ad un‟attività, vuole solo

ricavarne un profitto per raggiungere il successo attraverso la ricchezza o la ricchezza attraverso il

successo. D‟altronde quest‟ultimo atteggiamento è inevitabile poichè i bisogni nel tempo cambiano,

cambiano le culture, le usanze, le tradizioni, il pensiero religioso e anche la stessa etica cambia,

soprattutto quella del lavoro; per questo bisognerebbe che noi tutti guardassimo come lavoravano i

popoli che ci hanno preceduti e perché lavoravano. L‟attività che ognuno di noi svolge o svolgerà in

futuro dovrebbe essere qualcosa che ci completa come persona, che ci fortifica e ci rende liberi di

fare ciò che più ci piace. Questa è democrazia, questa è libertà, questa è etica.

Passiamo alle antiche tribù dell‟Iran, per le quali la religione e le loro credenze

combaciavano in un certo qual modo con la loro filosofia del lavoro. Infatti nell‟antico Iran il bene e

il male erano considerate divinità, rispettivamente AHURA-MAZDA, il principio del bene, e

ANGRA-MAYNYU, signore delle forze ostili. La stabilità dipendeva dalla vittoria del BENE sul

MALE; male erano i deserti, bene erano i territori coltivati, bene era anche il seme che dava il

grano. Qui il lavoro era proprio una filosofia di vita, infatti il trionfo del BENE sul MALE era tutto

per l‟esistenza di questo popolo, perché dipendeva dalla coltivazione dei campi.

Un‟altra società in cui il pensiero filosofico ha influenzato fortemente la concezione del

lavoro è quella del Grande Maestro KUNG FU-TZU, più comunemente conosciuto con il nome di

Confucio (551 - 479 a.C.). Questi è il più importante e influente filosofo cinese e il suo pensiero è

alla base stessa della cultura orientale; in particolare egli si è soffermato sull'etica e la morale.

Secondo Confucio, la virtù deriva dall'armonia nel rapporto con gli altri. Alla base di ogni rapporto

e società c'è il lĭ, traducibile con rito, ovvero quella serie di comportamenti o tradizioni che

regolano i rapporti sociali e permettono la stabilità e prosperità della società. Al fianco del lĭ vi è

lo yì, cioè la rettitudine, intesa come perseguimento del bene superiore, il fine di ogni cosa. La

differenza tra lĭ e yì è sottile: secondo il lĭ la ricerca del proprio bene particolare non è condannabile

finché non entra in contrasto con le regole della società, ma per lo yì sarebbe preferibile la ricerca

del bene comune. Fondamentale è anche il concetto di rén, la benevolenza, cioè la virtù di

adempiere perfettamente ai doveri verso gli altri, che contiene quindi i nostri concetti di umanità,

pietà, compassione. Da ciò deriva quindi la regola d‟oro secondo il confucianesimo: non fare agli

altri ciò che non vorremmo per noi.

La civiltà sviluppatasi in Cina era prettamente agricola, ma formata nell‟etica altamente

civile come quella del grande maestro. Quest‟ultimo ebbe l‟occasione di entrare in familiarità con

l‟ambiente aristocratico e i signori ereditari e di questi si fece una reputazione piuttosto bassa,

dall‟altra parte sentì la sofferenza del popolo. Infatti la Cina era divisa da un dualismo interno: da

una parte i gentiluomini, tali per nascita, dall‟altra i non-gentiluomini, il popolo aggiogato dai lavori

più duri. Questo dualismo ritiene tutti, attraverso l‟educazione, destinati al guadagno, appresi i lĭ

(rituali, regole di condotta) della saggezza.

L‟etica di Confucio è soprattutto un‟etica sociale che ha come scopo rendere tutti uguali

attraverso il “TAO”, la “Via”, e la sua espressione di etica sociale, di filosofia del lavoro e di

religione che si fondono insieme si può riassumere in una frase del grande maestro: “l‟uomo può

rendere grande la Via, non è la Via che rende grande l‟uomo”. La Via porta al benessere non del

singolo, ma di tutti e questo è lo scopo dell‟etica di Confucio. È chiaro che egli riteneva che il

governo dovesse aver di mira i raggiungimento del benessere e della felicità di tutto il popolo e che

a ciò si potesse pervenire solo quando il governo fosse tenuto dai più capaci degli uomini del paese.

Tale capacità non aveva nulla a che fare con la nascita, la ricchezza, la posizione sociale, ma era

puramente questione di personalità e conoscenza; queste sono prodotte da una corretta educazione.

Dunque, l‟educazione deve essere ampiamente diffusa, sicchè le persone di maggior talento,

nell‟intero popolo, possano essere preparate all‟amministrazione del governo, che dovrebbe essere

affidato a loro senza alcun riguardo alla loro origine.

L„economia era intimamente correlata all‟etica: un popolo affamato probabilmente non bada

molto alla morale, ma, tuttavia, Confucio non vedeva il mondo solo in termini economici: credeva

che il popolo dovesse essere dotato di sufficienti mezzi di sostentamento, ma sosteneva anche che

dovesse essere educato per elevarne la morale al di sopra del livello della pura e semplice risposta ai

bisogni del momento.

Molto probabilmente proprio perché la Cina pone le proprie basi lavorative sugli

insegnamenti di Confucio oggi è la seconda potenza mondiale. Infatti attualmente la Cina non è più

un modello socialista; dalla morte di Mao (1976) i dirigenti cinesi hanno abbandonato la linea

comunista e avviato una politica economica aperta al capitalismo internazionale. Per quasi 30 anni

l‟impegno cinese per uscire dalla condizione di drammatico sottosviluppo ereditata dai rapporti

feudali e dal colonialismo ha costituito un modello per gran parte del Terzo Mondo. Oggi, dopo la

svolta avviata da Mao Zedong, si stanno modificando i rapporti città-campagna su cui si basava lo

sviluppo della società cinese. Va prevalendo una nuova ideologia riassunta nello slogan “arricchirsi

è glorioso”.

Nei trent‟anni di politica volta al potenziamento dell‟agricoltura sotto la guida di Mao

Zedong il paese ha raggiunto l‟autosufficienza alimentare riuscendo a sfamare il 22% della

popolazione mondiale. Per fare un esempio, le campagne cinesi producono più di un terzo del riso

del mondo! Inoltre, secondo alcuni analisti con esperienza diretta nelle economie in considerazione,

gli standard etici del lavoro in Cina sono migliori di quelli americani poiché il lavoro, come nella

maggior parte dei paesi orientali, è un dono divino e viene accolto con grande senso d‟onore e

rispetto: mentre gli americani si lamentano del proprio stipendio, degli orari, delle tasse e per il

proprio destino sociale, i cinesi sono semplicemente felici di possedere un‟occupazione; d‟altro

canto, il reddito pro capite cinese è di 3.600 dollari annui, mentre quello americano è di 46.000

dollari circa.

Però, se da una parte l‟etica del lavoro è fortemente affermata in Cina, d‟altra parte ci

troviamo davanti a situazioni di lavoro forzato e di sfruttamento minorile, strumenti usati per

aumentare la competitività nell‟economia internazionale e per i quali il lavoratore è costretto anche

a 18 ore di lavoro quotidiano. Inoltre l‟esportazione di prodotti spesso nocivi alla salute e derivati

dal lavoro forzato e minorile non è soltanto profondamente immorale ma è anche molto dannosa

alla nostra economia, soprattutto in un contesto di crisi economica come si è verificato nel 2009. Per

questi motivi la Cina ha bisogno di trovare un equilibrio etico-sociale per garantire una certa

stabilità nel proprio mondo lavorativo. Se riuscirà a garantire questo, allora diventerà una potenza

assoluta e la parte orientale del mondo, spesso sottovalutata, verrà presa come modello di etica

lavorativa e sociale.

Per portare l‟esempio di una situazione recente, possiamo parlare delle condizioni di lavoro

degli operai cinesi nella metropoli industriale di Wenzhou, città portuale della provincia dello

Zeijang, a sud est della Cina, città che ha costruito la sua potenza economica sull‟export di prodotti,

di capitali e di persone, tant‟è che, secondo fonti Istat, da Wenzhou proviene il 90% dei cinesi

presenti in Italia. È stato fatto un reportage sulle fabbriche minuscole e buie di questo luogo, la cui

realtà, in una società che utilizza l‟impiego minorile e semplicemente ignora concetti come quelli di

sindacato e diritti umani dei lavoratori, stride fortemente con l‟immagine che abbiamo delle nostre

imprese italiane.

Recentemente due imprenditrici di Forli‟, già artigiane provette, si sono fatte paladine della

difesa del made in Italy nel settore tessile dei salotti intraprendendo una strenua, anticonformista

battaglia culturale contro l‟assalto senza regole, sul territorio del nostro Paese, della manodopera

cinese fatta da un esercito di operai-schiavi sotto scacco delle mafie, costretti a lavorare per

ripagarsi del costo del loro viaggio oltreoceano. Dopo le loro sortite in pubblico, hanno resistito a

conseguenti rappresaglie sul lavoro, all‟isolamento e alle incertezze del futuro decidendo infine di

lanciare una nuova sfida. Ad ARTI e MESTIERI EXPO‟ in occasione del premio l‟Eccellenza delle

Donne si sono presentate unite, con un nuovo marchio significativo, Etica Divalia, che produrrà

soltanto veri sofà made in Italy fatti interamente con materiali italiani, in laboratori a norma con le

misure di sicurezza e dalle mani di operai con contratti in regola.

Ancora, la straordinaria crescita economica della Cina, che ha reso questo paese, una

nazione con quasi due miliardi di abitanti, la seconda potenza mondiale, ha bisogno di una

inimmaginabile quantità di materie prime per svilupparsi; per questo la nazione cinese sta

investendo ingentissime quantità di denaro nel Continente Nero, rilevando le aziende locali e

innestando in loco lavoratori cinesi. Dall‟edilizia al commercio, dalle armi alle materie prime, dal

petrolio, all‟edilizia e alle tecnologie più avanzate, nessun settore produttivo è stato tralasciato, con

un intervento a tutto campo che conta di creare nell‟Africa una vasta zona di influenza economico-

politica gestita dai vertici della nazione cinese. Una penetrazione iniziata agli inizi degli anni

novanta, quando il continente africano con le sue ricchezze ha attirato l‟attenzione di una Cina in

continuo boom economico e spianato la strada ai prodotti cinesi che comunque sbaragliano la

concorrenza della produzione interna dei Paesi africani, grazie soprattutto allo sfruttamento del

lavoro nelle fabbriche cinesi, ai salari bassissimi e ai turni massacranti (da 8 a anche 12 ore per il

lavoro “legale”). Il 2006 è stato l‟anno della “Cina in Africa”, come ribadito al summit Focac di

Pechino in una città tirata a lucido, dove giganteggiavano striscioni con scritto: “Amicizia, Pace,

Cooperazione e Sviluppo”.

Ma dietro la facciata di perbenismo della dittatura asiatica si aggira un mero interesse

economico, poco regolato e poco spinto dai valori etici. Quanto a diritti umani, la Cina di strada ne

deve ancora fare. Nelle parti dell‟Africa dove non sposta la sua manodopera, utilizza quella locale.

E questi sono i nuovi schiavi dell‟Impero Asiatico, costretti a lavorare in condizioni disumane, fra

crolli quotidiani dei cunicoli e malattie, dentro miniere di rame, oro e diamanti per circa 3 dollari al

giorno.

La Cina, ormai superpotenza mondiale, esporta la “sua” etica del lavoro; queste sono cose

che vanno perlomeno denunciate, per testimoniare una nuova escalation di ingiustizie e prepotenze

di cui si parla troppo poco e che invece dovrebbero far accendere i riflettori su ciò che accade

all‟infuori della nostra piccola e miope realtà quotidiana.

Giovanni Prosini

Classe II C

Liceo classico “Vittorio EmanueleII”

Lanciano