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Il grande gioco geopolitico in Asia Centrale

DOTT. GIANLUCA SARDELLONE

PANORAMA INTERNAZIONALE

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Un mosaico complesso

La Grande Scacchiera, così l’ex Segretario diStato americano, Zbigniew Brzezinski defi-nisce l’Asia Centrale in un famoso libro:

coacervo di razze, popoli, religioni e sistemi politi-ci differenti, questa regione rappresenta oggi ilnuovo terreno di confronto e competizione tra leGrandi Potenze tradizionali (USA, Europa e Rus-sia) e quelle emergenti (Iran, Arabia Saudita, Paki-stan e Turchia).

Le cinque Repubbliche appartenenti alladisciolta Unione Sovietica (Kazakistan, Repubbli-ca di Kirghisia, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbe-kistan) hanno da poco festeggiato i primi diecianni di indipendenza e celano risorse energetichedi enorme valenza strategica; la recente guerracontro i santuari del terrorismo in Afghanistan hariportato quest’area all’attenzione dell’opinionepubblica internazionale.

Nonostante la relativa lontananza geograficadall’Europa Occidentale e, quindi, dall’Italia, ilCentro Asia costituisce una sorta di ponte natura-le tra i due rimland (1) rappresentati, rispettiva-mente, dall’Europa e dall’Asia (2).

John Mackinder, famoso ed autorevole geopo-litologo del secolo scorso, definiva l’Asia Centralecome il “perno della storia” e, al contempo, “ilcuore della terra”: la “Via della Seta” è un mitoancora assai vivo nella coscienza di chi legge, cosìcome fresco è il ricordo di una regione autentica,strada ideale per ogni invasione da e verso l’O-riente e l’Occidente.

Ma, soprattutto, una regione, in cui straordi-narie sono state, nei secoli, le sintesi culturali, leespressioni culturali ed istituzionali e che stannoalla base della storia stessa di Europa ed Asia (3).

A lungo percepita come una periferia remotaed un crogiuolo di barbari e predoni pronti aminacciare la civiltà, l’Asia Centrale, oltre a sepa-rare i centri vitali di due potenze nucleari - Russiae Cina - si trova all’intersezione di quattro grandiregioni geopolitiche ed etniche: l’euro-asiatica, l’islamica, la cinese e l‘indiana.

Questo nonostante una orografia ed unageografia assai complesse: ci sono migliaia di

chilometri di deserto, non esiste un accessodiretto agli oceani e, dunque, i traffici com-merciali debbono obbligatoriamente svolgersiattraverso la terraferma.

Fin dai secoli scorsi, l’Asia Centrale ha alimen-tato la cupidigia delle maggiori potenze euro-asia-tiche: quelle cosiddette out of area, cioè esterne allaregione Cina, Russia, Regno Unito e, più di recen-te, gli Stati Uniti, hanno assunto, nel tempo,un’importanza ed esercitato un forte impatto sugliequilibri regionali.

L’Occidente, del resto, non ha avuto tradizio-nalmente una politica sufficientemente articolataed organica riguardo all’Asia Centrale, quantun-que fin dal secolo scorso gli strateghi ne avesseroevidenziato l’enorme importanza geopolitica. Lapresenza della Russia zarista prima e di quellasovietica poi hanno, infatti, consigliato di noninterferire in un’area così importante per nondestare le preoccupazioni o, peggio, la reazione diMosca in quello che considerava come il propriospazio vitale.

La Gran Bretagna, il cui Impero abbracciava laquasi totalità del Medio Oriente e del Golfo Persi-co fino all’India, era fermamente intenzionata atutelare i propri interessi coloniali, senza, però,entrare in attrito con Mosca.

Il risultato di questi pericolosi intrecci di natu-ra demografica, politica, storica e militare hannoprodotto soluzioni talvolta sorprendenti; ma, a dif-ferenza dei Balcani o del Caucaso lacerati da con-flitti e guerre civili, non si è arrivati ad esplosionigeneralizzate di violenza (4).

Certamente non è questa la sede per ripercorre-re la storia dell’Asia Centrale: dunque, l’analisi chesegue, per evidenti ragioni di spazio, parte dagliinizi del secolo scorso, quando la regione finì nellemire dell’impero zarista e di quello britannico.

Mosca intendeva compensare con una politicaestera fortemente dinamica le gravi difficoltà socia-li ed economiche sul piano interno - le stesse che,nel 1917, avrebbero portato alla rivoluzione bol-scevica ed all’eliminazione fisica dello Zar e dellasua famiglia.

Non solo: ma mirava ad estendere la propriainfluenza arrivando fino ai mari caldi, come giàaccedeva sugli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli,che Mosca intendeva sottrarre al languente Impe-(1) Letteralmente terra di margine

(2) Si veda in proposito C. Jean, Geopolitica, Laterza, 1996(3) V. F. Piacentini, Asia centrale: verso un sistema cooperativo di

sicurezza, Franco Angeli, 2000 (4) L’unica eccezione è rappresentata dal Tagikistan

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ro Ottomano per godere di uno sbocco sul Medi-terraneo (5).

Londra, al contrario, mirava a consolidare unimpero coloniale che, in Asia, vedeva gli uomini diSua Maestà controllare la Palestina, parte delGolfo Persico e l’India.

L’invasione dell’Asia Centrale sancì, al contra-rio, il canto del cigno per la storia imperiale dellaRussia zarista.

L’espansione verso oriente, verso un’area,cioè, meno sviluppata economicamente avevauna motivazione strategica chiara: quella di ren-dere più sicuri i propri confini orientali, proteg-gendo le popolazioni ivi residenti, dalle pressio-ni e, più spesso, dalle violenze di cui eranooggetto da parte delle popolazioni nomadi delCentro Asia.

Con lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobree la successiva nascita dell’Unione Sovietica,ebbe inizio una fase nuova e drammatica: Sta-lin creò una struttura amministrativa assaicomplessa, in cui coesistevano, come cerchiconcentrici, le Repubbliche Socialiste Sovieti-che (RSS), le Repubbliche Socialiste SovieticheAutonome (RSSA), le Repubbliche Autonome(RA) ed infine i distretti nazionali, le cosiddet-te oblast.

Il fine era chiaro: in spregio a qualsiasi fatto-re etnico e storico, Mosca intendeva acuire letensioni etniche già esistenti, per rafforzare ilproprio controllo centralistico (divide et impera).

Le frontiere geografiche vennero ridotte asemplici linee tracciate sulla cartina, ognipopolazione poteva legittimamente avanzarepretese territoriali nei confronti di quelle vici-ne: la storia ed i destini di ogni Repubblicaerano indissolubilmente legati a quelli dellealtre, mentre molti gruppi venivano a trovarsiall’interno di territori sconosciuti e, spesso,ostili.

Furono organizzati massicci movimenti migra-tori da una repubblica all’altra: la popolazione diorigine russa - diversa per religione, storia e cul-tura - venne trasferita in Asia Centrale per com-pensare la prevalenza dell’etnia locale- peraltrooggetto di violenze e stermini di massa.

Questo trend all’emigrazione verso l’Asia Cen-trale si è invertito soltanto dopo il 1991, allorchéha avuto inizio un massiccio “riflusso” di cittadi-ni russi all’interno della Federazione.

L’impossibilità di pervenire ad una logica ecoerente sistemazione dei confini, a causa di que-ste tensioni, ha indotto i governi delle repubbli-che ex sovietiche ad attuare una sorta di “mora-toria” (6), congelandone sine die la sistemazione:il loro carattere illogico ed arbitrario rischierebbe,infatti, di scatenare un pericoloso effetto a cate-na, i cui effetti sul piano strategico sarebbero ter-ribili.

L’analisi che segue, dunque, seguirà, sostan-zialmente, un duplice binario: da un lato cisaranno riflessioni sulla realtà interna all’AsiaCentrale, con specifico focus sulle Repubbliche exSovietiche; dall’altro saranno presi in esame gliattori regionali esterni, interessati alla competi-zione geopolitica.

In particolare, verranno evidenziati sia gliaspetti prettamente militari, comunemente defi-niti di hard-security (connessi con la presenza diarmi nucleari, chimiche e batteriologiche) siaquelli, assai più numerosi di soft-security che, perconverso, riguardano:• tensioni etniche e tribali esistenti in ciascun

Paese;• influenza del fattore religioso - quello islamico -

che ha, di fatto, creato un unicum che si sten-de dall’Estremo Oriente fino alla Bosnia ed alKosovo, cioè alle porte dell’Europa;

• attività illecite delle grandi organizzazioni cri-minali - sovente colluse con i governi locali -che vanno dal traffico di clandestini ed armi aquello, particolarmente fiorente in Asia Cen-trale, della droga;

• lotta per il controllo di importanti risorsenaturali ed energetiche, specie gas e petrolioscoperte nella regione;

• gravi rischi ambientali, determinati sia dalloscriteriato impiego di fertilizzanti altamentetossici, sia dallo stoccaggio delle scorie prodot-te dalle centrali nucleari ex sovietiche;

• fattore acqua, in una regione assai arida ed incui l’unico specchio d’acqua - il Lago d’Aral -

(5) Questa proiezione “mediterranea” di Mosca andrà avanti anche dopo la seconda guerra mondiale, allorché ad essere “interessata” saràsia la Jugoslavia di Tito che la Turchia post-kemalista. Per la protezione di questo Paese dalle minacce esterne, gli USA formularonouna dottrina - quella del Contenimento - che ha rappresentato l’inizio della contrapposizione est-ovest e, quindi, il primo passo versola guerra fredda

(6) V. F. Piacentini, Asia centrale: verso un sistema cooperativo di sicurezza, Franco Angeli, 2000

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vive un processo di continuo ed inarrestabileprosciugamento (7).

Le Repubbliche ex sovietiche

Il KazakistanCon una superficie di 2.7 milioni di kmq, il

Kazakistan è l’unico Paese ex sovietico a far parteal contempo di Asia ed Europa: nonostante l’aper-ta ostilità dell’Iran, nel 1998 ha concluso un accor-do con Mosca che garantisce uso comune e liberanavigazione nel Mar Caspio.

Il Paese, travolto dalla corruzione e da unagrave crisi economica e finanziaria, deve fronteg-

giare l’emergenza ecologica legata al prosciuga-mento del Lago d’Aral e, soprattutto, risolvere ildrammatico ed oneroso problema di come gestirei siti nucleari ereditati dall’Unione Sovietica.

Dal punto di vista etnico, è assai eterogeneo:all’etnia dominante - quella kazaka appunto - siaggiungono considerevoli gruppi di ucraini, tede-schi e, soprattutto, russi che, concentrati nel nordindustrializzato, detengono tuttora il controllopolitico del Paese. Con l’abbandono dell’alfabetoarabo a vantaggio di quello latino avvenuto neglianni venti, il Kazakistan cercò un deciso avvicina-mento all’Occidente, abbandonando l’Islam edaccostandosi alla Turchia che Ataturk aveva tra-sformato in un Paese moderno ed europeo .

Ma Stalin, perseguendo la “russificazione” for-zata, impose l’uso dell’alfabeto cirillico e del russoquale lingua ufficiale: ancor oggi, nonostante

l’acquisita indipendenza, il russo resta la lingua piùdiffusa ed il mezzo ufficiale di comunicazione.

Le autorità hanno evitato che l’Islam - religio-ne prevalente rispetto a quella ortodossa e cattoli-ca unite - potesse subire degenerazioni integraliste:è stata accordata libertà di culto a tutti i gruppi e,parimenti, ridotta la potenziale valenza politicadelle moschee.

La vera minaccia per il Paese è, però, di naturastrategica: oltre ad un ingente arsenale convenzio-nale, il Kazakistan ha “ereditato” dall’UnioneSovietica anche 1400 testate nucleari dislocate sulproprio territorio.

Queste sono in parte montate su missili terra-

terra SS-18 a testata multipla ed in parte su missi-li a testata singola. Ma le autorità locali non disponevano né del know-how necessario, né deicodici elettronici per la gestione e l’eventuale lan-cio dei missili, sicché de facto il loro controllorestava nelle mani di Mosca.

Con il Trattato di Non Proliferazione Nucleare(TNP) firmato nel 1993, il Governo si è impe-gnato ad eliminarle; l’operazione si è effettivamen-te realizzata nel 1995 e l’uranio impoverito dirisulta è stato trasferito negli USA in cambio dimassicci aiuti finanziari per la disastrata economialocale.

Le Forze Armate sono, chiaramente, il settorein cui più evidente è stata la necessità di adeguarsial nuovo quadro politico ed istituzionale.

Ai tempi dell’URSS, in Kazakistan operava la40

aArmata (8); dopo il 1991, è stata attuata una

(7) V. F. Piacentini, Asia centrale: verso un sistema cooperativo di sicurezza, Franco Angeli, 2000(8) 1 divisione corazzata e 3 motorizzate. Al suo interno, tuttavia, c’era una forte discrasia tra il personale di truppa - di etnia kazaka - e

gli ufficiali - quasi totalmente di etnia russa

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completa ristrutturazione sia per quanto attienealla logistica, sia per quanto attiene alla catena dicomando.

Oggi ai 40mila uomini di Esercito ed Aviazio-ne alle dipendenze del Ministero della Difesa, siaggiungono 2.500 uomini della Guardia Presi-denziale, 20.000 delle Truppe per la SicurezzaInterna, sotto il controllo del Ministero degliInterni ed infine 12.500 Guardie di Frontiera,tuttora sotto comando russo.

Del resto, Russia e Kazakistan sono tuttoralegati da un Accordo di Amicizia, Cooperazio-ne e Mutua Assistenza firmato nel 1992.

La KirghisiaL’emergenza ecologica riguarda anche un’al-

tra repubblica ex sovietica, cioè la Kirghisia.Pur avendo un territorio assai limitato ed in

gran parte montuoso, la Kirghisia ha forti ten-sioni con i Paesi vicini, che concernono lo

sfruttamento delle risorse idriche e la sovranitàsu alcune falde acquifere.

Ma, soprattutto, deve far fronte alla minac-cia rappresentata dai siti nucleari e dagli stabi-limenti militari fatiscenti che ha “ricevuto indono” dall’URSS. Gli stessi cantieri per la rea-lizzazione dei sottomarini nucleari, privi dicommesse, sono praticamente abbandonati ase stessi.

Con un 18% di Russi ed un 13% di Uzbe-ki, emergono, inoltre, tensioni etniche di nonfacile composizione: sia il russo che il kirghiso

sono lingue ufficiali, la religione prevalente èquella islamico-sunnita anche se il culto catto-lico è ammesso e ampiamente tollerato.

Del resto, l’Islam in Kirghisia ha caratteriassai peculiari ed è fortemente intriso di tradi-zioni e superstizioni propri dell’animismo,della tradizione degli sciamani e degli stregonie, dunque, assai lontano dai rigidi dogmi dellaSharià, la legge islamica.

Le reiterate dichiarazioni di “neutralità” e l’e-strema cautela - ai limiti della paura - in politicaestera e di sicurezza si sono tradotte nella manca-ta costituzione di Forze Armate nazionali affran-cate dal comando russo - eccezion fatta per unaGuardia Presidenziale di 800 unità preposta alladifesa personale del Capo dello Stato.

Nei primi mesi di indipendenza, alla tuteladella piccola Repubblica provvedevano, infatti,le forze russe ed un contingente di 5.000 Guar-die di Frontiera come previsto da un accordo

bilaterale.Ma, fin dal 1992, a causa dei forti tagli al

bilancio della difesa, le forze di Mosca sonostate ritirate ed il governo kirghiso ha dovutoavviare una propria autonoma politica di sicu-rezza.

Le Forze Armate comprendono oggi unadivisione motorizzata ed una brigata di truppedi montagna ex sovietiche e dispongono di 230carri armati, 250 pezzi di artiglieria e 400 vei-coli da trasporto truppe, in gran parte fatiscen-ti e senza pezzi di ricambio.

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Lo Stato Maggiore è stato creato solo in unsecondo momento; peraltro, quasi tutti gli uffi-ciali ed i tecnici che operavano in Kirghisiaerano russi ed il Paese si è trovato nella necessi-tà di formare i quadri di comando praticamen-te dal nulla.

Ma i problemi non sono legati solo allacarenza di capitali ed alla difficoltà di formarepersonale qualificato: all’interno delle ForzeArmate kirghise c’è una cronica assenza dicameratismo e si sono manifestate fiere rivalitàetniche, che vedono opposti elementi prove-nienti dalla parte settentrionale e da quellameridionale del Paese (9).

L’UzbekistanL’Uzbekistan, terzo Paese per estensione del-

l’Asia Centrale e con una notevole percentualedi territorio coltivabile, ha pesantemente risen-tito della crisi afgana, anche se non in manieradrammatica come il Tagikistan.

Tashkent, non a caso, ha evitato con cura difarsi coinvolgere direttamente nella lotta fratricidatra le varie fazioni di Mujaheddin che avevanocombattuto l’Armata Rossa; peraltro, in unaprima fase aveva guardato con interesse, se noncon favore all’emergere dei Talebani, nella speran-

za di potersi inserire nel business legato alla realiz-zazione di alcune infrastrutture nella regione.

Ma, di fronte alla politica reazionaria e liber-ticida degli studenti coranici, è tornato ad

appoggiare l’Alleanza del Nord, offrendo anzisostegno logistico alle truppe alleate anglo-americane impegnate nella lotta contro i terro-risti di Al Qaida.

In tema di sicurezza e difesa, ha compiutoscelte coraggiose quanto tempestive e postoimmediatamente sotto la propria sovranitàtruppe e mezzi appartenenti all’ex URSS pre-senti sul proprio territorio.

Dopo aver dato vita ad un Ministero dellaDifesa nazionale, ha impedito con legge ainon-uzbeki di servire le Forze Armate naziona-li e, chiaramente, di assumere incarichi dicomando al loro interno.

Ingenti risorse vengono destinate alla forma-zione degli ufficiali: quelli che provengono dal-l’Accademia di Tashkent, oltre a beneficiare diuna rapida carriera, vengono inviati in alcuniPaesi stranieri - per esempio la Turchia - percompletare l’addestramento, ricevere ulterioriinsegnamenti tecnico-tattici ed acquisire lacapacità di impiegare anche tecnologie diffe-renti rispetto a quella russa.

Del resto, l’Esercito, la Guardia Nazionaledi Frontiera e la Guardia Nazionale sono alledipendenze del Governo nazionale, senza alcu-na influenza diretta russa.

Nonostante la penuria di risorse e la diffusacorruzione, il governo uzbeko ha un obiettivoambizioso: quello di creare un Esercito nazio-nale di 25-30.000 uomini con una buona com-

(9) Military Balance, 2000, International Institute for Strategic Studies

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bat-readiness ed un’elevata mobilità e versatilità. Dopo aver “blindato” la frontiera con l’Af-

ghanistan, ha ridotto al minimo i traffici diarmi e droga da e verso questo Paese.

I rapporti di collaborazione tra Uzbekistan eRussia comunque restano notevoli: il Trattatodi Cooperazione Militare del 1994 è partico-larmente importante nei settori aeronautico edella difesa aerea, mentre militari di ambo iPaesi sono impegnati in attività di peace-kee-ping nei pressi del confine con due “paesi caldi”come Afghanistan e Tagikistan.

Pur avendo aderito al programma dellaNATO di Partnership for Peace (PfP), permane,di fatto, una certa conflittualità nei rapporticon l’Organizzazione per la Sicurezza e laCooperazione in Europa (OSCE): quest’ulti-ma, infatti, giudica negativamente la politicadel governo in tema di diritti umani e tuteladelle minoranze.

Il TagikistanIl Tagikistan è la repubblica territorialmente

meno estesa: in massima parte è occupata dacatene montuose che ostacolano pesantementesia l’agricoltura che le comunicazioni, impeden-done, di fatto, lo sviluppo economico e, per con-

verso, favorendo la guerriglia e lo svolgimento diattività criminali legate al traffico di armi e stu-pefacenti.

Ai forti contrasti per la definizione del confi-ne con Kirghisia e Cina, si aggiungono le tensio-ni determinate dalla crisi afgana che ha avuto cer-

tamente inizio molto prima dell’arrivo in locodel Principe del Terrore, Bin Laden e dell’affer-mazione degli studenti coranici, i Talebani.

La lunga e sanguinosa guerra combattuta e,peraltro, persa da Mosca in Afghanistan ha fattosentire i propri effetti anche in Tagikistan: al riti-ro russo nel 1988, è, infatti, seguita una fase dilunga e cruenta conflittualità tra le varie animedella resistenza anti-sovietica.

Le singole fazioni e tribù, dopo aver sconfittoil nemico comune, l’URSS, hanno scatenato unaferoce guerra civile “tutti contro tutti” che havisto l’affermazione dei talebani del mullahOmar sui nove/decimi del territorio, fieramenteavversati dall’Alleanza del Nord del leggendariocomandante Massud, il Leone del Panshir uccisoin un attentato proprio pochi giorni prima degliattacchi agli Stati Uniti dell’11 settembre.

I Mujaheddin afgani hanno iniziato a pene-trare in Tagikistan, approfittando del crollosovietico, sia per sfuggire agli attacchi delle fazio-ni nemiche, sia per ricevere armi e cibo dai guer-riglieri islamici locali, con cui hanno formatouna sorta di asse trasversale.

La frontiera tagika è così divenuta una sorta dizona franca per il contrabbando di droga edarmi, grazie anche alle divisioni tra i clan locali ed

alla lotta feroce tra il governo centrale ed i guer-riglieri islamici.

Anni di guerriglia hanno inflitto pesanti per-dite alle Forze Armate tagike, comprendentiappena 8.000 uomini cui si aggiungono 1.200Guardie di Frontiera - queste ultime sono con-

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trollate dal Ministero degli Interni russo.Scarsamente armate ed addestrate, devono

fronteggiare circa cinquemila guerriglieri anti-governativi che hanno proseguito le loro attivitàanche dopo gli accordi siglati nel 1997 con cui ifirmatari si impegnavano a porre fine alle ostilità.

In Tagikistan, unica Repubblica asiatica del-l’ex URSS a non aver aderito alla PfP, operanooltre 15.000 soldati russi - un numero enormeanche se inferiore rispetto al passato.

Il TurkmenistanIl Turkmenistan, in gran parte desertico, ma in

possesso di straordinarie riserve di gas naturale, hatentato inizialmente di ingerirsi nella spartizionedei giacimenti di greggio del Caucaso, avvicinan-dosi prima alla Russia ed all’Iran e, in una secon-da fase, all’Azerbaigian, alleato della Turchia.

Ma l’avventatezza delle scelte governative haprodotto come unico risultato quello di acuirel’isolamento internazionale del Paese, che, peral-tro, non ha potuto trarre beneficio neppure dal-l’enorme mole di armi e mezzi sia aerei che ter-restri “lasciati” da Mosca dopo il 1991.

Mosca, anzi, garantisce ancora oggi la dife-sa del paese, insieme con le forze locali, puravendo mantenuto sotto il proprio controllosoltanto le unità di frontiera e quelle più spe-cializzate.

Nonostante la creazione di un Comando

Congiunto, i problemi restano: la quasi totalitàdegli ufficiali non è di origine turkmena e, perbloccarne la fuga, il governo ha deciso di accor-dare loro un trattamento finanziario e pensioni-stico assai vantaggioso ma dagli effetti devastantiper le disastrate casse erariali.

Pur avendo aderito alla PfP ed avendo par-tecipato alle esercitazioni congiunte con laNATO, il governo ha proclamato una non-meglio definita “neutralità positiva” nella chia-ra intenzione di non vedersi invischiato nelmarasma tagiko.

Gli attori esterni

Ma, in realtà, la geopolitica dell’Asia Centraleè anche e soprattutto caratterizzata dall’azione dialcuni attori esterni, ognuno fermamente deter-minato ad estendere la propria influenza sullaregione ed a trarre giovamento dal vuoto di pote-re determinatosi dopo il 1989.

L’adesione di tutte le Repubbliche ex Sovieti-che - eccetto il Tagikistan - alla PfP ha rappre-sentato un primo, importante passo verso l’inte-

grazione dell’intera area nel sistema di sicurezzaeuro-atlantico.

Nel 1997 si è, dunque, tenuta una prima eser-citazione congiunta, ripetuta l’anno seguente edenominata “Centrasbat-98”: tenutasi in Uzbe-kistan, ha visto la partecipazione di due Paesi

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della NATO, USA e Turchia (10), della Russia,di Kirghisia, Uzbekistan, Kazakistan, Azerbaigiane Georgia. Fermi restando gli interessi statuni-tensi, la potenza occidentale che guarda conmaggiore interesse all’Asia Centrale è, infatti,proprio la Turchia - Paese islamico ma assoluta-mente laico e allineato su posizioni anti-integra-liste. Ankara, in competizione con Russia ed Iran,intende sfruttare la koiné religiosa quale strumen-to di penetrazione politica: in Asia Centrale vivo-no consistenti gruppi turcofoni, di religione isla-mico-sunnita (11) che guardano con preoccupa-zione all’ipotesi di un’affermazione degli Sciitifilo-iraniani. Grazie anche alla stabilità dell’al-leanza politico-militare con Israele, Ankara colti-va malcelate ambizioni panturchiste, tendenti aricreare la grandezza dell’allora Impero Ottoma-no. Per queste ragioni, Ankara ha accordato alleRepubbliche della regione condizioni speciali peril commercio ed ingenti prestiti monetari.

Oggi, del resto, grazie alle armi della geoeco-nomia, è possibile controllare un Paese economi-camente e politicamente senza bisogno di ricor-rere ad una guerra aperta che provocherebbecosti finanziari, oltre che in termini di vitaumane, assai elevati.

Le palesi difficoltà di Iraq e Siria - sorvegliatispeciali per il sostegno al terrorismo e detenzionedi armi di distruzione di massa - rendono ancorpiù forte e salda la posizione della Turchia qualepunta avanzata dell’Occidente in Asia Centraleoltre che in Caucaso, due aree strettamente cor-relate da un punto di vista strategico. Restano sultappeto questioni di non facile soluzione: dalleistanze autonomiste - il Kurdistan - al radicali-smo islamico anti-occidentale in costante espan-sione, dalle difficoltà economiche fino a giunge-re al sommario rispetto dei diritti umani. Sonoproblemi insoluti che, oltre ad impedire l’ingres-so nell’UE, rischiano di gettare ombre inquietan-ti sul Paese che, peraltro, dispone dell’Esercitomeglio armato ed equipaggiato della NATOdopo quelli di USA e Regno Unito. Ma, forse, ilvero protagonista del Grande Gioco in Asia Cen-trale è la Repubblica Islamica dell’Iran.

Teheran, dopo il rovesciamento del governofilo-occidentale dello Scià, è stato il primo Paese

a creare una forma di stato teocratica, retta dallemassime autorità religiose - gli ayatollah ed aporsi come guida del mondo islamico e comeleader della lotta contro qualsiasi forma di colo-nialismo politico ed economico.

Le enormi riserve petrolifere di cui dispone(12), l’immenso territorio (1.6 milioni di kmq)ed il potenziale demografico (65 milioni di abi-tanti, destinati a diventare 100 nel prossimodecennio) ne fanno un interlocutore di estremarilevanza strategica.Oltre che una cerniera tra leterre interne dell’Asia Centrale e quelle adiacential mare, l’Iran è posto al vertice di un immagina-rio triangolo strategico comprendente Golfo Per-sico, Mare Arabico ed Oceano Indiano. La socie-tà ha un carattere multietnico e vi coesistono dueconfessioni principali, quella sciita e quella sun-nita: non è la “persianità” a fungere da collantenazionale, ma la fede sciita (peccato che sia asso-lutamente minoritaria).

L’ascesa in Afghanistan dei Talebani sunniti-che solo “Libertà Duratura” ha scalzato dal pote-re - ha rappresentato una grave minaccia: quellotalebano era, infatti, un movimento fortementeanti-iraniano, che non aveva esitato a massacrarenove diplomatici di Teheran nella città santa diMazar-i Sharif, a nord di Kabul. Per reazione,Teheran aveva appoggiato i ribelli uzbeki e tagikidi religione sciita inquadrati nella cosiddettaAlleanza del Nord che combattevano il regimetalebano di Kabul - i Mujaheddin guidati daMassud. Grazie ad un’enorme frontiera comune,Teheran potrebbe assicurare al Turkmenistanuno sbocco al mare ed un punto di passaggioobbligato verso la Turchia: sono stati, inoltre,siglati accordi per la realizzazione di una ferroviae di una strada che colleghino i due Paesi.

Ciononostante, perché Teheran possa recitareun ruolo di protagonista nelle dinamiche centro-asiatiche, occorre recuperare il rapporto con gliUSA che ritengono la Repubblica degli Ayatol-lah uno stato-canaglia ed uno sponsor del terrori-smo internazionale (13).

Non è sicuramente nell’interesse dell’Iran farsicoinvolgere in maniera troppo diretta nelle que-stioni interne dell’Asia Centrale; ma, al contem-po, verranno mantenute alcune costanti di poli-

(10) I due Paesi maggiormente interessati agli sviluppi della situazione in Asia Centrale(11) Politicamente vicini all’Arabia Saudita, dove domina un Islam radicale ed oltranzista, nella forma wahhabita(12) Il carattere obsoleto degli impianti di estrazione e raffinazione e gli elevati costi di trasporto obbligano Teheran a varare una concreta politica

di rilancio e riconversione nel settore petrolifero(13) Da anni il Paese è colpito dall’embargo americano decretato tramite la Legge D’Amato

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tica estera quali il miglioramento dei rapporticon Russia ed India in funzione anti-pakistana,l’intensificazione dei rapporti economici e com-merciali con Uzbekistan e Turkmenistan, il rilan-cio di alcune iniziative di cooperazione regionalequali la Conferenza Islamica.

Nonostante la collaborazione tecnologica conRussia, Cina e Corea del Nord - documentata dafonti dell’intelligence israeliana - l’Esercito irania-no non ha una notevole capacità di proiezioneesterna: non dispone di molti avamposti oltreconfine- eccetto la valle libanese della Bekaa - enon è riuscito a modernizzare il potenziale cheaveva nel 1979, costituito soprattutto da armi difabbricazione americana (caccia F-4, F-5 ed F-14) acquisite ai tempi dello Scià.

Ma, si badi, ha compiuto notevoli progressinel settore nucleare entrando nella poco invidia-bile lista nera elaborata dal Governo americano,quella cioè dei Paesi-canaglia che stanno realiz-zando un massiccio riarmo non convenzionale:Teheran possiede il know-how necessario per laseparazione degli isotopi di uranio 235 e 238, harealizzato ben tre reattori nucleari e, nel giro diuna decina d’anni, potrebbe assurgere al rango dipotenza nucleare tout-court.

Ha, infine, acquisito sottomarini russi dellaclasse “Kilo” e missili nord-coreani tipo No-Dong equipaggiabili eventualmente conarmi chimiche e batteriologiche (14), anche se ilPakistan, ex principale sostenitore dei Talebani,ha tolto a Teheran un primato, quello di essere ilprimo Paese islamico a realizzare un’armanucleare.

Dispone di un arsenale sovente obsoleto e,comunque, assai eterogeneo, composto da armiamericane - acquisite prima della Rivoluzione del1979 - ma anche sovietiche e cinesi; cionostante,ha realizzato con successo un missile - lo Shahab3 - che ha una gittata di 1.500 km ed un margi-ne di errore di appena 3 chilometri.

Nel frattempo, sono in corso esperimenti perla realizzazione dello Shahab 4 che, rappresen-tando una versione avanzata del missile terra-terra SS-4 russo, potrebbe essere operativo addi-rittura entro la fine dell’anno corrente.

Nel contempo, i tecnici militari iraniani pro-

seguono gli studi e le ricerche per la realizzazionedello Shahab 5 - un missile balistico e interconti-nentale che dovrebbe essere operativo nel 2005.

La politica iraniana non può non allarmare ilPakistan, potenza nucleare (15) in perenne insta-bilità e lacerato da corruzione, tensioni etniche erivalità tribali.

Tradizionalmente alleato degli USA e nemicodell’India - con cui è stato sovente ad un passodalla guerra - ha visto ridursi pesantemente ilproprio peso politico dopo la cacciata di quelregime talebano che aveva decisamente contri-buito ad insediare nel 1996.

Paese a maggioranza islamica, il Pakistandeve fare i conti con due giganti non-islamicicome Russia e Cina, per nulla intenzionati arinunciare alle proprie tradizionali ambizioniin Asia Centrale; ma, parimenti, può fare levasulla prossimità geografica e la relativa abbon-danza di vie di comunicazione (attraverso ivalichi di Kandahar ed Herat e la grande via delKarakorum), che permetterebbero ad esempiodi convogliare i beni finiti e l’elettricità prodot-ti in Kirghizia.

La guerra che sconvolge il Tagikistan e la pre-caria situazione in Afghanistan - anche dopo lacacciata dei Talebani - inducono il Pakistan adevitare un eccessivo rafforzamento dell’Islamnella regione, che potrebbe allarmare la Cina,gigante silenzioso ma sicura superpotenza delXXI secolo.

Islamabad ha per anni beneficiato del soste-gno economico dell’Arabia Saudita; nel 1999 uncolpo di Stato della classe più efficiente e menocorrotta - quella militare - ha portato al potere ilGenerale Musharraf schieratosi apertamente congli USA e contro i terroristi di Al Qaida.

La giunta golpista oltre a riportare l’ordine sulpiano interno, ha saputo condurre una credibilepolitica estera, definendo obiettivi e priorità, inmodo lucido e realistico.

Ma, soprattutto, ha evitato una degenerazionefondamentalista nel Paese, dove l’infiltrazionedell’Islam radicale non ha praticamente cono-sciuto soluzione di continuità in questi ultimianni, grazie, peraltro, alla grave crisi economicaed al diffuso malessere sociale.

(14) G. Sardellone, Dopo l’eccidio delle Torri Gemelle, una nuova fase nei rapporti USA-Iran?, Analisi Difesa, Ottobre 2001. Sito InternetWWW.ANALISIDIFESA.IT

(15) Ha sperimentato con successo il missile Ghauri-2 con una gittata di 1200 km e lavora alla realizzazione di un altro missile a più lungagittata

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Il ruolo speciale della Federazione Russa

Una trattazione speciale, infine, deve esserecondotta per quanto attiene alla FederazioneRussa, erede dell’ex Unione Sovietica e prima interpares all’interno della Confederazione degli StatiIndipendenti (CSI) nata nel 1991. Seppur pesan-temente mutilata sul piano territoriale dopo ilcrollo dell’URSS, Mosca continua ad essere unattore geopolitico di primissimo piano per gliequilibri sia dell’Europa che dell’Asia Centrale edOrientale.

La crisi nei Balcani prima ed in Afghanistan,poi hanno evidenziato che essa non intende essereemarginata dalla gestione della politica internazio-nale, né intende recitare un ruolo di comprimaria,nonostante le tensioni politiche interne, la crisieconomica e finanziaria e, soprattutto, nonostantele tentazioni revanchiste dei vecchi apparati di par-tito e dei funzionari dell’Armata Rossa.

L’incontro tra il Presidente del Consiglio, Ber-lusconi, e quello russo, Putin, ha sancito il ritornodi Mosca ad un ruolo di protagonista nella gestio-ne degli affari europei, proprio nel momento incui riemergono incertezze ed inquietudini nellaPolitica Estera Comune dell’Unione Europea.

Il vertice di Rejkiavik ha segnato il primo passoverso un ruolo sempre più attivo di Mosca nel-l’Alleanza, che, dopo l’ingresso di Polonia, Unghe-ria e Repubblica Ceca, si avvia a comprendere ben20 Paesi, un quinto dei quali, fino ad un decennioorsono, nemici (16).

L’Italia, troppe volte ingiustamente accusata diinerzia in politica estera e di eccessivo appiatti-mento su posizioni euro-atlantiche, ha svolto unruolo pionieristico: non è casuale che, proprio aRoma, sia stato firmato l’Accordo tra la NATO ela Russia. In particolare, l’ingresso della Russia nel-l’Alleanza servirà ad incrementare la cooperazionenei settori della lotta al terrorismo, nelle operazio-ni di peace-keeping, nella limitazione e riduzionedegli armamenti (specie quelli di distruzione dimassa) e nella gestione delle crisi regionali.

A Mosca, tuttavia, non sarà attribuito alcunpotere di veto e poteri decisionali limitati solo adalcune materie specifiche.

Del resto, solo una Russia forte e credibile sulpiano internazionale, seppur allineata su posizionifilo-occidentali, oltre a rappresentare un elemento

di stabilizzazione del Vecchio Continente, potreb-be riportare ordine in Asia Centrale.

L’azione di Mosca in quest’area potrebbe, da unlato, allontanare la minaccia rappresentata dall’Islam integralista ed anti-occidentale e, dall’al-tro, frenare l’emersione di focolai di tensione loca-le e la proliferazione di armi di distruzione dimassa. Dopo gli attacchi alle Torri Gemelle, ècambiata la situazione internazionale e, con essa, sisono rovesciati alcuni equilibri ritenuti ormai con-solidati: la cooperazione tra l’intelligence russa equelle occidentali nella lotta al terrorismo, il soste-gno politico e logistico offerto agli USA durantel’Operazione “Libertà Duratura”, hanno eviden-ziato il bisogno della Russia quale partner politicocredibile. Al contempo l’affermazione di un mer-cato globale e globalizzato, in cui si annullano defacto le distanze geografiche e quelle ideologiche,aumenta l’importanza, e, anzi, la necessità di unacooperazione nel campo della sicurezza.

L’ambito di analisi si fa sempre più ampio ecomplesso, così come l’ambiente politico e strate-gico, in cui variabili causali e relativi effetti sonocorrelati in maniera tanto nuova quanto comples-sa. Mosca, in particolare, potrebbe svolgere unruolo fondamentale per realizzare forme di coope-razione regionale e trans-regionale in Asia Centra-le e, in forza del proprio peso politico e strategico,fungere da arbitro e moderatore delle tensioni esi-stenti in loco. L’esperienza dei conflitti in Afghani-stan e Turkmenistan inducono a ritenere che i ten-tativi di modernizzazione e democratizzazione, inrealtà statuali, immature e sovente legate a model-li post-medievali, rischiano solo di acuire le ten-sioni e di produrre effetti destabilizzanti con suc-cessivi interventi militari esterni.

Certamente le difficoltà da superare sono note-voli sia sotto il profilo politico che giuridico: nel1991 era stato il Turkmenistan a proporre la rea-lizzazione di una Confederazione dei Paesi dell’A-sia Centrale, ma l’idea fallì nel momento stesso incui si diede vita alla CSI.

La riunione dei Capi di Stato e di Governo aTashkent nel 1993 aveva evidenziato la volontà diaccrescere l’integrazione regionale, sulla base dicomuni interessi culturali, strategici ed ambientali- legati al Lago d’Aral.

L’Unione Economica di Repubblica di Kirghi-sia, Kazakistan ed Uzbekistan divenne realtà nel

(16) Il vertice di Praga del prossimo autunno segnerà un nuovo capitolo nella storia dell’allargamento ad est e stabilirà quali Paesi del-l’Europa Centro-Orientale entreranno nell’Alleanza

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1994: questi ultimi due, inoltre, davano vita ad unTrattato per la creazione di uno Spazio Economi-co Comune: esso, alla maniera di quello europeo,prevedeva libera circolazione dei beni, dei servizi,della manodopera e dei capitali, oltre ad un coor-dinamento delle politiche monetaria, fiscale e deisistemi di pagamento.

Non solo: ma essendo la regione assai ricca dipetrolio e gas naturale, si iniziava a pensare alla rea-lizzazione di un enorme sistema di vie di trasportoe comunicazione, all’uso congiunto di strade ferra-te, rotte navali ed aeree. Il fine era palese: convo-gliare nei mercati dell’Europa Occidentale le risor-se energetiche senza passare per la Russia e l’Ucrai-na. Mosca, del resto, rappresentava allora e conti-nua a rappresentare ancor oggi, il principale inter-locutore commerciale, politico ed economico per iPaesi dell’Asia Centrale, specie per Repubblica diKirghisia e Kazakistan. Nel 1992, Mosca ed AlmaAty hanno siglato un Trattato di Amicizia, Coope-razione e Mutua Assistenza che garantisce a ciascunfirmatario un aiuto in caso di attacco dall’esterno.Mosca, tuttavia, continua a guardare con diffiden-za, se non con ostilità, all’ipotesi di una penetrazio-ne esterna in Asia Centrale e, comunque, di un’in-tegrazione regionale che non la veda protagonista.Non solo: ma intende continuare a svolgere quelruolo di protezione e garanzia dei gruppi etnici rus-sofoni presenti nella regione e minacciati dall’e-spansione del fondamentalismo islamico cherischia di modificare radicalmente le scelte politi-che dei singoli governi. Il Trattato di Sicurezza Col-lettiva siglato a Tashkent nel 1992 da Russia,Armenia, Repubblica di Kirghisia, Kazakistan edUzbekistan avrebbe dovuto assumere, nelle inten-zioni dei firmatari, un’importanza determinantenegli equilibri geopolitici della regione, anche insinergia con la CSI. A Mosca veniva, in particola-re, garantita la possibilità di mantenere una presen-za politica e, soprattutto militare nella regione, aprotezione dei confini e di continuare ad occupar-si dell’addestramento delle Forze Armate e di Sicu-rezza di questi Paesi. A complicare i piani, tuttavia,sono stati i timori da parte di molti Governi di unapossibile espansione della conflittualità esistente inAfghanistan e Turkmenistan e di un “contagio”anche ai Paesi limitrofi. Il fallimento del Trattato di

Tashkent quale momento di avvio di una coopera-zione regionale in tema di sicurezza venne eviden-ziato dalla crisi russa del 1998: il gravissimo disse-sto economico e finanziario che colpì Mosca inquel periodo - con la caduta verticale del rublo -evidenziò la forbice tra le ambizioni russe di poten-za e l’effettiva capacità di realizzarle. Come ulterio-re ed imprevisto effetto, si ebbe una crescente sfi-ducia degli stessi firmatari verso il Trattato: nel1999, scadendo il termine quinquennale, Uzbeki-stan, Georgia ed Azerbaigian non vollero rinnovar-lo e, ritirandosi, sancirono il fallimento della strate-gia russa della “linea avanzata”.

Mosca, infatti, aveva tentato di perseguireanche in Asia Centrale la cosiddetta “opzione Bie-lorussa”: pur rispettando l’indipendenza politica edi confini delle ex repubbliche, cercava di mantene-re comunque forte la propria influenza, diploma-tica ed economica, su di esse. Si tratta di preoccu-pazioni che hanno riguardato anche l’Ucraina,preoccupata per la tendenza russa a restaurarealmeno de facto la struttura dell’ex URSS e, dun-que, le prerogative della Russia quale prima interpares. È noto, infatti, che proprio dall’Asia Centra-le si sono sviluppati i primi segni del morbo repen-tino e devastante che ha portato il gigante sovieti-co a sciogliersi come neve al sole: basti pensare alleforti tensioni nazionali ed etniche esistenti nellevarie repubbliche ed al fallimento dell’avventuraafgana. Del resto, solo l’affermazione ed il consoli-damento di un sistema politico ed economico ditipo liberale e democratico potrebbe eliminare o,perlomeno ridurre, le possibili fonti di conflittua-lità ed allontanare lo spettro del fondamentalismoislamico. L’Occidente, dunque, pur volendo evita-re di trovarsi invischiato direttamente, intende,comunque, coinvolgere in vario modo i Paesi del-l’Asia Centrale nella realizzazione di un nuovoordine mondiale: la NATO, quale perno dellasicurezza europea e, in generale, occidentale, hasvolto pienamente questo compito, invitando leRepubbliche asiatiche dell’ex URSS ad aderirealla Partnership for Peace (PfP) fin dal 1994 (17).Nel giro di un anno, appena l’accordo di parteci-pazione è stato siglato da tutti i Paesi invitati, eccet-to il Tagikistan dove, peraltro, stazionano trupperusse in funzione di peace-keeping (18).

(17) Il Documento fondamentale che istituisce la PfP è stato firmato ed approvato tra il 1994 ed il 1999 da 25 Paesi: Albania, Armenia, Austria,Azerbaigian, Bielorussia, Bulgaria, Estonia, Finlandia, Georgia, Irlanda, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia, Lituania, Macedonia, Moldova,Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Turkmenistan, Ucraina ed Uzbekistan

(18) Per quanto attiene alla PfP, si rimanda a G. Sardellone, Le nuove relazioni intra-europee: origini e prospettive future della Partnership for Peace,Informazioni della Difesa, 6-2001

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