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Don Francesco Braschi – Introduzione alla Spiritualità delle Chiese Orientali 2011-12 1 Centro Studi di Spiritualità – A.A. 2011/12 Don Francesco Braschi Introduzione alla Spiritualità dell’Oriente Cristiano Per cominciare Re celeste, Paraclito, Spirito della verità, tu che ovunque sei e tutto riempi, tesoro dei beni e datore di vita, vieni e poni in noi la tua dimora, purificaci da ogni macchia e salva, o Buono, le anime nostre. (Dalla liturgia bizantina) 1. Accostare un’esperienza di fede, nella fede Dal Decreto del Concilio Vaticano II sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio, del 21 novembre 1964 (n. 14.17 passim) 14. Le chiese d'oriente e d'occidente hanno seguito durante non pochi secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro conci- lio, tra le altre cose di grande importanza, richiamare alla mente di tutti che in oriente prosperano molte chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le chiese locali. Non si deve ugualmente passar sotto silenzio che le chiese d'oriente hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la chiesa d'occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e del- l'ordine giuridico. Nè si deve sottovalutare il fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana, quali quel- li della Trinità e del Verbo di Dio incarnato da Maria vergine, sono stati definiti in concili ecumenici celebra- ti in oriente. E per conservare questa fede quelle chiese molto hanno sofferto e soffrono ancora. L'eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e fin dai primordi stessi della chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per la diversità di mentalità e di condizioni di vita. E tutte queste cose, oltre alle cause estranee anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni. Perciò il santo concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le chiese orientali e la chiesa cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle chiese d'oriente, e la natura delle relazioni vi- genti fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio di tutte queste cose. Se tutto questo sarà accuratamente osservato, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole stabilire. 2. “Chiese orientali” e “Oriente cristiano” Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Orientale lumen” - 1995 (nn. 5-6): «5. “Nell'indagare la verità rivelata in oriente e in occidente furono usati metodi e prospettive diversi per giungere alla conoscenza e alla proclamazione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dal- l'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi” [Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 17]. Portando nel cuore le domande, le aspirazioni e le esperienze a cui ho accennato, la mia mente si volge al patrimonio cristiano dell'Oriente. Non intendo descriverlo né interpretarlo: mi metto in ascolto delle Chie- se d'Oriente che so essere interpreti viventi del tesoro tradizionale da esse custodito. Nel contemplarlo appaiono ai miei occhi elementi di grande significato per una più piena ed integrale comprensione del- l'esperienza cristiana e, quindi, per dare una più completa risposta cristiana alle attese degli uomini e delle donne di oggi. Rispetto a qualsiasi altra cultura, l'Oriente cristiano ha infatti un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente. La tradizione orientale cristiana implica un modo di accogliere, di comprendere e di vivere la fede nel Si- gnore Gesù. In questo senso essa è vicinissima alla tradizione cristiana d'Occidente che nasce e si nutre della stessa fede. Eppure se ne differenzia, legittimamente e mirabilmente, in quanto il cristiano orientale ha un proprio modo di sentire e di comprendere, e quindi anche un modo originale di vivere il suo rap- porto con il Salvatore. Voglio qui avvicinarmi con rispetto e trepidazione all'atto di adorazione che espri- mono queste Chiese, piuttosto che individuare questo o quel punto teologico specifico, emerso nei secoli

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Don Francesco Braschi – Introduzione alla Spiritualità delle Chiese Orientali 2011-12

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Centro Studi di Spiritualità – A.A. 2011/12 Don Francesco Braschi

Introduzione alla Spiritualità dell’Oriente Cristiano Per cominciare Re celeste, Paraclito, Spirito della verità, tu che ovunque sei e tutto riempi, tesoro dei beni e datore di vita, vieni e poni in noi la tua dimora, purificaci da ogni macchia e salva, o Buono, le anime nostre. (Dalla liturgia bizantina)

1. Accostare un’esperienza di fede, nella fede Dal Decreto del Concilio Vaticano II sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio, del 21 novembre 1964 (n. 14.17 passim)

14. Le chiese d'oriente e d'occidente hanno seguito durante non pochi secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro conci-lio, tra le altre cose di grande importanza, richiamare alla mente di tutti che in oriente prosperano molte chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le chiese locali. Non si deve ugualmente passar sotto silenzio che le chiese d'oriente hanno fin dall'origine un tesoro, dal quale la chiesa d'occidente molte cose ha prese nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e del-l'ordine giuridico. Nè si deve sottovalutare il fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana, quali quel-li della Trinità e del Verbo di Dio incarnato da Maria vergine, sono stati definiti in concili ecumenici celebra-ti in oriente. E per conservare questa fede quelle chiese molto hanno sofferto e soffrono ancora. L'eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e fin dai primordi stessi della chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per la diversità di mentalità e di condizioni di vita. E tutte queste cose, oltre alle cause estranee anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni. Perciò il santo concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le chiese orientali e la chiesa cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle chiese d'oriente, e la natura delle relazioni vi-genti fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio di tutte queste cose. Se tutto questo sarà accuratamente osservato, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole stabilire.

2. “Chiese orientali” e “Oriente cristiano” Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Orientale lumen” - 1995 (nn. 5-6):

«5. “Nell'indagare la verità rivelata in oriente e in occidente furono usati metodi e prospettive diversi per giungere alla conoscenza e alla proclamazione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dal-l'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi” [Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 17]. Portando nel cuore le domande, le aspirazioni e le esperienze a cui ho accennato, la mia mente si volge al patrimonio cristiano dell'Oriente. Non intendo descriverlo né interpretarlo: mi metto in ascolto delle Chie-se d'Oriente che so essere interpreti viventi del tesoro tradizionale da esse custodito. Nel contemplarlo appaiono ai miei occhi elementi di grande significato per una più piena ed integrale comprensione del-l'esperienza cristiana e, quindi, per dare una più completa risposta cristiana alle attese degli uomini e delle donne di oggi. Rispetto a qualsiasi altra cultura, l'Oriente cristiano ha infatti un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente. La tradizione orientale cristiana implica un modo di accogliere, di comprendere e di vivere la fede nel Si-gnore Gesù. In questo senso essa è vicinissima alla tradizione cristiana d'Occidente che nasce e si nutre della stessa fede. Eppure se ne differenzia, legittimamente e mirabilmente, in quanto il cristiano orientale ha un proprio modo di sentire e di comprendere, e quindi anche un modo originale di vivere il suo rap-porto con il Salvatore. Voglio qui avvicinarmi con rispetto e trepidazione all'atto di adorazione che espri-mono queste Chiese, piuttosto che individuare questo o quel punto teologico specifico, emerso nei secoli

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in contrapposizione polemica nel dibattito tra Occidentali e Orientali. L'Oriente cristiano fin dalle origini si mostra multiforme al proprio interno, capace di assumere i tratti ca-ratteristici di ogni singola cultura e con un sommo rispetto di ogni comunità particolare. Non possiamo che ringraziare Dio, con profonda commozione, per la mirabile varietà con cui ha consentito di comporre, con tessere diverse, un mosaico così ricco e composito.

6. Vi sono alcuni tratti della tradizione spirituale e teologica, comuni alle diverse Chiese d'Oriente, che ne distinguono la sensibilità rispetto alle forme assolute della trasmissione del Vangelo nelle terre d'Occiden-te. Così li sintetizza il Vaticano II: «E noto a tutti con quanto amore i cristiani orientali compiano le sacre a-zioni liturgiche, soprattutto la celebrazione eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria fu-tura, con la quale i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo Incarna-to, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trini-tà, fatti "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4)» [Ibidem, 15]. In questi tratti si delinea la visione orientale del cristiano, il cui fine è la partecipazione alla natura divina mediante la comunione al mistero della santa Trinità. Vi si tratteggiano la «monarchia» del Padre e la con-cezione della salvezza secondo l'economia, quale la presenta la teologia orientale dopo Sant'Ireneo di Lio-ne e quale si diffonde presso i Padri cappadoci [cfr. S. Ireneo, Contro le eresie, V,36,2: SCh 153/2,461; S. Basilio, Trattato sullo Spirito Santo, XV,36: PG 32,132; XVII,43, I.c., 148; XVIII, 47, I.c., 153]. La partecipazione alla vita trinitaria si realizza attraverso la liturgia e in modo particolare l'Eucaristia, mi-stero di comunione con il corpo glorificato di Cristo, seme di immortalità [cfr. S. Gregorio di Nissa, Discorso catechetico XXXVII: PG 45,97]. Nella divinizzazione e soprattutto nei sacramenti la teologia orientale attri-buisce un ruolo tutto particolare allo Spirito Santo: per la potenza dello Spirito che dimora nell'uomo la deificazione comincia già sulla terra, la creatura è trasfigurata e il Regno di Dio è inaugurato. L'insegnamento dei Padri cappadoci sulla divinizzazione è passato nella tradizione di tutte le Chiese orien-tali e costituisce parte del loro patrimonio comune. Ciò si può riassumere nel pensiero già espresso da San-t'Ireneo alla fine del II secolo: Dio si è fatto figlio dell'uomo, affinché l'uomo potesse divenire figlio di Dio [cfr. Contro le eresie, III,10,2: SCh 211/2,121; III,18,7, I.c., 365; III,19,1, I.c., 375; IV,20,4: SCh 100/2,635; IV 33,4, I.c., 811; V, Pref., SCh 153/2,15]. Questa teologia della divinizzazione resta una delle acquisizioni par-ticolarmente care al pensiero cristiano orientale [Innestati in Cristo «gli uomini diventano dei e figli di Dio, ... la polvere e innalzata ad un tale grado di gloria da essere ormai uguale in onore e deità alla natura divi-na», Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, I: PG 150,505]. In questo cammino di divinizzazione ci precedono coloro che la grazia e l'impegno nella via del bene ha re-so «somigliantissimi» al Cristo: i martiri e i santi [cfr. S.Giovanni Damasceno, Sulle immagini, I,19: PG 94,1249]. E tra questi un posto tutto particolare occupa la Vergine Maria, dalla quale è germogliato il Vir-gulto di Jesse (cfr. Is 11,1). La sua figura è non solo la Madre che ci attende ma la Purissima che - realizza-zione di tante prefigurazioni veterotestamentarie - è icona della Chiesa, simbolo e anticipo dell'umanità trasfigurata dalla grazia, modello e sicura speranza per quanti muovono i loro passi verso la Gerusalemme del cielo [cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987) 31-34: AAS 79 (1987), 402-406; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 15]. Pur accentuando fortemente il realismo trinitario e la sua implicazione nella vita sacramentale l'Oriente as-socia la fede nell'unità della natura divina alla inconoscibilità della divina essenza. I Padri orientali affer-mano sempre che è impossibile sapere ciò che Dio è, si può solo sapere che Egli è, poiché si è rivelato nella storia della salvezza come Padre, Figlio e Spirito Santo [cfr. S. Ireneo, Contro le eresie, II,28,3-6: SCh 294,274-284; S. Gregorio di Nissa, Vita di Mosè: PG 44,377; S. Gregorio di Nazianzo, Sulla santa Pasqua, or. XLV, 3s: PG 36,625-630]. Questo senso della indicibile realtà divina si riflette nella celebrazione liturgica, dove il senso del mistero è colto così fortemente da parte di tutti i fedeli dell'Oriente cristiano. «In oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi padri fiorì quella spiritualità monastica, che si estese poi all'occidente e dalla quale, come da sua fonte trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette ripetutamente nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze dei padri orientali, le quali trasportano tutto l'uomo alla contem-plazione delle cose divine» [Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio, 15]. ».

Alle peculiarità di tipo contenutistico, se ne affianca un’altra di tipo metodologico, già ben e-spressa dal Concilio Vaticano II nel già citato decreto Unitatis redintegratio:

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17. Ciò che sopra è stato detto circa la legittima diversità deve essere applicato anche alla diversa enunzia-zione delle dottrine teologiche. Effettivamente nell'indagare la verità rivelata in Oriente e in Occidente fu-rono usati metodi e cammini diversi per giungere alla conoscenza e alla confessione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e po-sti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi. Per ciò che riguarda le tradizioni teologiche autentiche degli o-rientali, bisogna riconoscere che esse sono eccellentemente radicate nella sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici orientali, e tendono a una retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana.

Bibliografia consigliata

JOHANN-ADAM-MÖHLER-INSTITUT (ED.), Le Chiese cristiane nel Duemila (= Giornale di Teologia 259), Queriniana, Brescia, 1998. Volume estremamente interessante, non limitato alle Chiese Ortodosse. Contiene un profilo sin-tetico, storico, teologico, statistico, delle diverse confessioni cristiane. Oggi rimane un utile punto di riferimen-to agile e ricco di informazioni, anche se già appare in alcuni punti datato rispetto al rapido mutare della si-tuazione storico-politica e religiosa.

J. LONGTON, Figli di Abramo. Profilo delle comunità ebraiche, cristiane e musulmane, Interlogos-Libreria Editrice Vaticana, Schio-Città del Vaticano, 1992. Contiene molte “schede” (a volte fin troppo sintetiche) descrittive del-le varie entità religiose. Non solo Chiese e Comunità cristiane, ma anche sette e denominazioni ebraiche e i-slamiche.

G. FEDALTO, Le Chiese d’Oriente, 3 voll., Jaca Book, Milano, 19912 (= Complementi alla storia della Chiesa diret-ta da Hubert Jedin). Un’opera di livello scientifico, utilissima per comprendere la storia delle Chiese Orientali.

Nuovo dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, diretto da A. DI BERARDINO, Marietti 1820, Genova-Milano 2007-2010. Per una panoramica, sintetica ma accurata, delle diverse modalità di evangelizzazioni delle regioni di origine delle Chiese trattate, si possono guardare le relative voci.

E. MORINI, La Chiesa ortodossa. Storia. Disciplina. Culto, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996. Testo inte-ressante e ricco per una conoscenza storica e di base delle Chiese Ortodosse di tradizione bizantina e slava.

ID., L’albero dell’Ortodossia. 1. Le radici e il tronco. I patriarcati apostolici. La nuova Roma e la Terza Roma, E-dizioni Studio Domenicano, Bologna, 2006. È il testo consigliato per lo studio di carattere storico della parte re-lativa alle Chiese di tradizione bizantino-slava. Di grande chiarezza ed equilibrio.

P. SINISCALCO, Le antiche Chiese orientali. Storia e letteratura, Città Nuova, Roma, 2005. Un testo con ampi con-tributi: le Chiese trattate sono quelle “Antico-orientali”: non si parla dunque delle Chiese “ortodosse” di tradi-zione bizantino-slava.

Popoli e Chiese dell’Oriente Cristiano, a cura di A. FERRARI, Edizioni Lavoro, Roma, 2008. Un altro manuale con ampia trattazione del tema delle Chiese Antico-orientali.

TH. ŠPIDLÍK, La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1995. Un testo irrinunciabile per la conoscenza della Cristianità orientale. Manuale di riferimento.

ID., La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Lipa, Roma 2002. Un vero e proprio “manuale si-stematico” composto con la consueta maestria, nato dall’esperienza dei corsi tenuti presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Alla sicurezza e comprensività delle nozioni trasmesse si unisce una scrittura comprensibile e ricca, che fa di questo testo anche un ottimo ausilio per la crescita personale.

ID., Il cammino dello Spirito, Lipa, Roma, 1995. Si tratta degli Esercizi spirituali predicati dall’allora padre Špi-dlík a Giovanni Paolo II e alla Curia romana nel 1995. Può a buon diritto considerarsi una sintesi della spirituali-tà patristica e orientale presentata ad occidentali.

V. LOSSKY, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente. La visione di Dio, Il Mulino, Bologna, 1967. Un testo dive-nuto ormai un “classico”: si radica nell’esperienza dell’emigrazione russa post-rivoluzionaria e presenta una sintesi della storia della teologia orientale che, al suo apparire (1944) segnò un importante momento nel con-fronto e nella conoscenza con la Chiesa latina.

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OLIVIER CLÉMENT, Roma diversamente. Un ortodosso di fronte al papato, Jaca Book, Milano, 1998. Splendida raccolta di contributi di carattere storico, dottrinale, spirituale, da parte di uno dei più famosi teologi ortodossi contemporanei, recentemente scomparso. Un testo che è necessario conoscere.

ID., Il respiro dell’oriente, Qiqajon, Comunità di Bose, 2011. Una lettura da parte ortodossa delle vicende che portarono alla separazione tra Roma e Costantinopoli

A. ASNAGHI, Le Porte Belle. Viaggio interiore nella ortodossia, CENS, Cernusco sul Naviglio, 1991. Testo di carat-tere spirituale, alla scoperta degli aspetti meno consueti (per un occidentale) del pensiero ortodosso.

B. PETRÀ, La Chiesa dei Padri. Breve introduzione all’Ortodossia, EDB, Bologna, 1998. Testo contenuto nella mo-le, per una prima informazione sulla tradizione bizantino-slava. Adatto a tutti.

AA. VV., Voci dal Monte Athos, Cens-Interlogos, Milano-Schio, 1994. Testi di carattere spirituale del monache-simo contemporaneo ortodosso e atonita. Non sempre il taglio è “ecumenico”, ma certamente il pensiero è au-tenticamente ortodosso.

F. LOVSKY, Verso l’unità delle Chiese, Qiqajon. Bose, 1993. Un piccolo saggio, ma estremamente prezioso. Un ottimo testo di base per chi non si è mai occupato di ecumenismo, e una proposta sempre valida di “spirituali-tà ecumenica”.

Etiopia. Un cristianesimo africano, introduzione di A. RICCARDI, Leonardo International, Milano, 2011. Un testo interessante per la conoscenza di una Chiesa antica, l’unica “autoctona” dell’Africa Nera

F. PICHON, Viaggio fra i Cristiani d’Oriente, Lindau, Torino, 2008. Un racconto di viaggio che si snoda soprattut-to nel Vicino Oriente, alla scoperta delle concrete (e difficili) condizioni dei cristiani che vivono nelle terre di Ge-sù e degli Apostoli.

ALEKSANDR MEN’, Manuale pratico di preghiera, Nova Millennium Romae, Roma, 2007. Un testo di particolare interesse perché scritto da una eccezionale figura di Sacerdote ortodosso russo contemporaneo (barbaramen-te ucciso nel 1990) per i suoi fedeli, tale da offrire perciò uno spaccato “dal vivo” dell’autocomprensione della spiritualità russa attuale. Per lo studio della Divina Liturgia di San Giovanni Cristostomo, consiglio: N. CABASILA, Commento della Divina Liturgia, Edizioni Messaggero, Padova 1984. Si tratta di uno dei commenti “classici” e più diffusi nella spiritualità bizantina. Interessante l’edizione ampiamente commentata. G. CHATZIEMMANOUIL, La Divina Liturgia (= Monumenta Studia Instrumenta Liturgica 26), Libreria Editrice Vati-cana, Roma, 2002. Un’opera moderna, ma ben rappresentativa della spiritualità contemporanea di area gre-co-atonita.

il TESTO della Divina Liturgia può essere scaricato: - in italiano (con trascrizione fonetica del greco e testo arberësh, unitamente a un commento di taglio popola-re) dal sito: http://www.webmit.it/LUNGRO.htm - in greco bizantino (testo ufficiale del Patriarcato di Costantinopoli – Arcidiocesi di America) si può trovare il testo al link: http://www.goarch.org/chapel/liturgical_texts/liturgy_hchc-el - il pdf del testo greco (edizione romana del 1950 per i Greco-cattolici, comprendente anche la Divina Liturgia di S. Basilio) si trova a questo link: http://www.archive.org/details/Liturgikon 3. Vangelo, Chiese e culture: Sguardo panoramico sulle Chiese Orientali

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1. Panorama storico-geografico: non solo una storia di divisioni

1.1. I numeri e la situazione odierna delle chiese orientali1

Gli Ortodossi 1. Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli

Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli tra le chiese ortodosse ha una posizione speciale, che non ha alcuna implicazione giuridica, ma viene indicata come 'primato d'onore'. Il patriarca, sotto la dominazione turca, era competente e responsabile per tutti gli ortodossi, ma nello stesso tempo dipendeva dal sultano. Quindi, il ministero patriarcale era condizionato in forte misura da influenze esterne. I territori liberati dai turchi nell'Europa sudorientale si organizzarono ecclesiasticamente in modo nuovo, così che il territorio di giurisdizione del patriarca è ridotto all'odierna Turchia e ad alcune parti della Grecia. Dopo la secolarizza-zione della Turchia l'ortodossia vi venne riconosciuta come religione; tuttavia, le facoltà del patriarca sono limitate all'ambito spirituale, cosa che ha condotto spesso a conflitti.

Il patriarca ecumenico ha anche giurisdizione su alcuni territori della Grecia (Creta, isole del Dodeca-neso, Patmos, Monte Athos) e sui fedeli ortodossi nei paesi nei quali non vi è alcuna chiesa autocefala. - Arcivescovo di Costantinopoli, la Nuova Roma, e patriarca ecumenico. Sede ad Istanbul. In Turchia vi sono ancora solo alcune migliaia di fedeli, ma in tutto 5.000.000 fedeli sono sottoposti al patriarcato ecumenico. A questi appartengono tra gli altri l'arcivescovato d'America con 15 diocesi nell'America set-tentrionale e meridionale (ca. 1.200.000 fedeli), la metropolia di Germania (sede a Bonn, ca. 300.000 fe-deli), d'Austria (Vienna, 40.000 fedeli) e della Svizzera (Ginevra, 20.000 fedeli).

2. Il patriarcato di Alessandria Il patriarcato di Alessandria si ricollega all'antica tradizione e teologia cristiane dell'Egitto. Per la gran-

de preponderanza dei copti, la chiesa ortodossa, calcedonese, di Alessandria ha perso molto in importanza ed è sempre più passata sotto l'influsso della chiesa di Costantinopoli, di cui ha alla fine assunto la liturgia (l'antica liturgia alessandrina è quindi conservata solamente tra i copti). Sotto la dominazione islamica, la chiesa ortodossa in Egitto è stata ancor più svantaggiata. - Papa e patriarca di Alessandria e di tutta l'Africa. Sede ad Alessandria. 1.500.000 fedeli circa (i più appartengono al gruppo greco, una grossa parte di essi vive tuttavia in altri paesi africani). 14 diocesi: Egit-to (4), Sudafrica (2), Sudan, Libia, Etiopia, Congo, Camerun, Kenya, Uganda e Zimbabwe.

3. Il patriarcato di Antiochia Dopo che nel 431 ad Efeso venne condannata la dottrina di Nestorio, che proveniva da Antiochia, il pa-

triarcato di Antiochia, che prima aveva avuto un grande influsso sulla teologia e la liturgia di Costantino-poli, è caduto sotto l'influsso della teologia alessandrina e, quindi, rifiutò in gran parte le decisioni di Cal-cedonia. Anche qui, rispetto agli anticalcedonesi (chiamati qui giacobiti) gli ortodossi diminuirono molto. Nell'epoca della signoria islamica la sede patriarcale è stata temporaneamente occupata solo in modo no-minale, mentre il suo vescovo risiedeva alla corte di Bisanzio. Dalla fine del secolo xix diminuì l'influenza del gruppo greco ed aumentò quella del gruppo siriaco. - Patriarca dell'antica città di Antiochia, di Siria, Arabia, Cilicia, Iberia e Mesopotamia e di tutto l'Oriente. Sede a Damasco. 2.500.000 fedeli. 18 diocesi: Siria (6), Libano (6), Turchia (3), Iraq, America setten-trionale e meridionale.

4. Il patriarcato di Gerusalemme La chiesa di Gerusalemme venne elevata al rango di patriarcato per la sua importanza come città della

morte e della risurrezione di Cristo. A causa dei numerosi pellegrini che visitavano Gerusalemme, la litur-gia locale ha avuto un significativo influsso su tutti gli altri riti. Dopo Calcedonia nel patriarcato ci fu poca opposizione al concilio. Sotto la dominazione islamica Gerusalemme perse la sua importanza. - Patriarca della Santa Città di Gerusalemme e di tutta la Palestina, la Siria, l'Arabia, la Transgiordania, Cana di Galilea e del Santo Sion. Sede a Gerusalemme. 140.000 fedeli. Vescovo residente a Nazareth, 11 vescovi titolari. Alla giurisdizione di Gerusalemme appartiene l'arcivescovato autonomo del Monte Sinai,

1 Questa scheda è stata preparata riprendendo (e spesso citando in modo letterale) due testi fondamentali, ai quali rimando per approfondimenti: JOHANN-ADAM-MÖHLER-INSTITUT (ED.), Le Chiese cristiane nel Duemila (= Giornale di Teologia 259), Queriniana, Brescia, 1998; J. LONGTON, Figli di Abramo. Profilo delle comunità ebraiche, cristiane e musulmane, Interlo-gos-Libreria Editrice Vaticana, Schio-Città del Vaticano, 1992. I dati numerici (che tuttavia vanno presi con molta cautela, in quanto sovente basati su quanto dichiarato dalle singole denominazioni, di difficile verifica) sono aggiornati al 2011 secondo quanto si pul leggere in: http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Christian_denominations_by_number_of_members , ove pure si possono reperire e controllare le fonti per ciascun dato numerico.

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che de facto comprende solamente il famoso monastero di S. Caterina.

5. Il patriarcato di Mosca Dopo l'accettazione ufficiale del cristianesimo da parte del granduca di Kiev Vladimiro i metropoliti di-

pesero da Bisanzio fino al 1459; la maggior parte fu greca. La chiesa russa raggiunse la sua indipendenza solo come conseguenza diretta del concilio di Firenze. Quando il metropolita di Kiev Isidoro (i metropoliti portavano il titolo di Kiev, anche se dal 1354 risiedevano stabilmente in Mosca), che era un greco, volle proclamare l'unione a Mosca, ne venne impedito. Poiché il granduca russo non volle chiedere alcun me-tropolita a Costantinopoli, che in quest'epoca aveva un patriarca uniate, nominò lui stesso un successore per Isidoro. Nell'anno 1589 il metropolita di Mosca venne riconosciuto come patriarca dagli antichi pa-triarcati, su pressione dello zar, con il titolo «di Mosca e di tutta la Russia». Durante la dominazione turca, gli antichi patriarcati erano finanziariamente dipendenti da Mosca e, quindi, arrivarono facilmente a que-sto riconoscimento. A metà del secolo xvii, dopo una riforma liturgica, si arrivò al cosiddetto 'scisma dei veteroritualisti' (o dei vecchi credenti) che sono riusciti a sopravvivere fino ad oggi nonostante aspre per-secuzioni, anche se si sono scissi in gruppi molto vari. Uno dei due più importanti rami dei vecchi credenti non ha più nemmeno un ministero sacramentale (‘senza presbiteri'). Dal 1701 al 1917 in Russia non vi fu un patriarca, ma un governo sinodale della chiesa orientato in senso evangelico: lo aveva introdotto lo zar Pietro il Grande. Negli anni del governo sovietico, la chiesa russa fu sottoposta a gravi persecuzioni, che si alternavano a periodi di relativa calma. Fino agli ultimi anni, tuttavia, lo stato sovietico ha potuto esercita-re grande influenza sulla chiesa russa. - Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. Sede a Mosca. 125.000.000 di fedeli (è la più numerosa di tut-te le chiese orientali). 57 diocesi in Russia e 3 rispettivamente in Kazakistan e Moldavia, 1 rispettivamente in Estonia, Lettonia e Lituania, 6 in Europa occidentale e 1 in Argentina.

Il patriarca di Mosca nel 1971 ha tolto la scomunica contro i vecchi credenti e ammesso ai sacramenti quelli che conservavano il ministero ordinato, sotto precise condizioni. I vecchi credenti hanno un arcive-scovo a Mosca e 3 vescovi. In relazione agli avvenimenti degli ultimi anni la chiesa ortodossa russa nel 1990 ha concesso alle chiese di Ucraina e Bielorussia una parziale autonomia. L'ex-esarcato della chiesa ortodossa russa in Kiev (metropolita di Kiev e di tutta l'Ucraina; 27 diocesi) e Minsk (metropolita di Minsk e di tutta la Bielorussia; 9 diocesi) sono ora chiese indipendenti (con certe limitazioni). in Ucraina vi sono nel frattempo delle organizzazioni ecclesiali ortodosse, che non si riconoscono reciprocamente.

6. Il patriarcato di Serbia La chiesa serba ha ottenuto nel 1219 l'indipendenza da Costantinopoli sotto il suo primo arcivescovo

Sava; nel 1346 ottenne l'elevazione a patriarcato. In quest'epoca lo stato serbo era una grande potenza. Durante il dominio turco il patriarcato venne soppresso e i serbi furono divisi in varie giurisdizioni. Dopo la fondazione della Jugoslavia (1920), si ebbe la loro riunificazione e la ricostituzione del patriarcato. - Arcivescovo di Pec’, metropolita di Belgrado e Karlovci, patriarca dei serbi. Sede a Belgrado. 11.500.000 di fedeli. 33 diocesi negli stati che sono sorti dalla rovina della ex-Jugoslavia (23) e negli Stati Uniti (3), Canada, Ungheria, Romania, Europa centrale, Italia, Scandinavia e Australia.

7. Il patriarcato di Romania Anche se già presto nel territorio dell'odierna Romania vi furono cristiani, solo a partire dal secolo xiv

sorsero varie organizzazioni ecclesiastiche autonome. Queste si unificarono dopo l'unione dei territori po-litici e vennero riconosciute come patriarcato, nel 1925, da Costantinopoli. - Patriarca della chiesa ortodossa rumena, metropolita dei molteni e arcivescovo di Bucarest. Sede a Bu-carest. 23.000.000 di fedeli. 21 diocesi in Romania (18), negli Stati Uniti, in Europa centrale e Francia.

8. Il patriarcato di Bulgaria Nel regno medievale bulgaro vi era già un'organizzazione ecclesiale; il vescovato di Ochrid (oggi in Ma-

cedonia) ha giocato un ruolo importante; vari vescovi avevano il titolo patriarcale. Con la dominazione turca la chiesa bulgara cadde sotto la giurisdizione di Costantinopoli. Il patriarcato ecumenico riconobbe solo dopo la seconda guerra mondiale l'autocefalia del patrtriarcato bulgaro. - Patriarca dei bulgari. Sede a Sofia. 10.000.000 di fedeli. 13 vescovati in Bulgaria (11), negli Stati Uniti e a Budapest (per l'Europa orientale).

9. Il cattolicato di Georgia La Georgia è stata evangelizzata già all'inizio del secolo iv. Sebbene si trovasse al di fuori dell'impero, la

chiesa georgiana riconobbe nel secolo vi il concilio di Calcedonia. Dopo la dominazione araba, l'indipen-denza, l'invasione mongola e il dominio persiano e turco, la Georgia si uni nel 1801 alla Russia e e anche sotto l'aspetto ecclesiale venne sottoposta alla chiesa ortodossa russa. Nel 1917 la chiesa georgiana si di-chiarò autocefala, cosa che la chiesa ortodossa russa riconobbe solo nel 1943 e il patriarcato di Costanti-nopoli solo nel 1990.

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- Arcivescovo di Mzcheta e Tbilisi, patriarca katholikós di tutta l'Iberia. Sede a Tbilisi (Georgia). 5.000.000 di fedeli. 15 vescovati in Georgia.

10. La chiesa di Cipro L’indipendenza della chiesa cipriota venne fissata già al concilio di Efeso nel 431. Durante la quarta

crociata la chiesa ortodossa di Cipro venne sottoposta alla gerarchia latina. Sotto i turchi ottenne nuova-mente l'indipendenza ecclesiastica. - Arcivescovo di Nea Justina e di tutta l'isola di Cipro. Sede a Nicosia. 700.000 fedeli. 6 vescovati.

11. La chiesa di Grecia Originariamente appartenuti al patriarcato occidentale, i territori dell'odierna Grecia vennero sottopo-

sti al patriarcato di Costantinopoli durante la crisi iconoclasta. Poiché dopo la liberazione della Grecia dai turchi il patriarcato ecumenico si trovò sotto l'influenza del sultano, la chiesa di Hellas nel 1833 si dichiarò autocefala: venne riconosciuta da Costantinopoli nel 1850. Alcuni territori appartengono ancora formal-mente al patriarcato, ma vengono amministrati da Atene. La chiesa di Hellas è l'unica chiesa ortodossa che dopo la seconda guerra mondiale si sia potuta sviluppare in libertà, senza vivere m una situazione di mino-ranza. - Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. Sede ad Atene. 11.000.000 di fedeli. Su 83 vescovati 35 ap-partengono secondo il diritto canonico al patriarcato ecumenico.

In relazione all'introduzione del 'nuovo calendario' in Grecia, nel 1923 si arrivò ad uno scisma. I cosid-detti 'veterocalendaristi' hanno una propria gerarchia e contano circa 1.000.000 di aderenti.

12. La chiesa di Polonia La chiesa ortodossa polacca nacque nel 1924 quando alcuni territori dell'Ucraina e della Bielorussia

vennero annessi al ricostituito stato polacco. Dopo la seconda guerra mondiale e il cambiamento dei con-fini polacchi il numero dei fedeli si è drasticamente ridotto. - Metropolita di Varsavia e di tutta la Polonia. Sede a Varsavia. 1.000.000 fedeli. 6 vescovati.

13. La chiesa della Repubblica Ceca e della Slovacchia Nella ex Cecoslovacchia i fedeli ortodossi sono soprattutto ucraini e slovacchi; per essi nel 1922 venne

creata una chiesa autonoma. - Metropolita di Praga, di tutte le terre ceche e della Slovacchia. 70.000 fedeli. 4 vescovati.

14. La chiesa di Finlandia La chiesa finnica faceva parte fino al 1917 della chiesa russa. Dopo la prima guerra mondiale ne venne

riconosciuta l'autonomia da Costantinopoli. - Arcivescovo di Carelia e di tutta la Finlandia. Sede a Kuopio. 80.000 fedeli. 4 vescovati.

15. La chiesa di Albania L’autocefalia della chiesa ortodossa di Albania venne riconosciuta nel 1937 da Costantinopoli, la sua orga-nizzazione venne disciolta comunque sotto il regime comunista. Nel 1992 poté insediarsi un metropolita a Tirana; da allora sono stati eretti 3 vescovati. Circa 800.000 fedeli.

16. La chiesa ortodossa russa all'estero Dopo la rivoluzione russa vari vescovi russi si ritrovarono a Sremski Karlovci (Jugoslavia) in esilio. Quan-do nel 1927 il metropolita di Mosca Sergij riconobbe per la chiesa russa lo stato sovietico, i vescovi in esilio dichiararono che la chiesa russa non era più libera e costituirono la 'chiesa ortodossa russa all'estero'. I suoi fedeli sono soprattutto emigrati russi in Occidente e i loro discendenti. Nel 1981 questa chiesa cano-nizzò, con molti 'neomartiri' della rivoluzione russa e dell'epoca seguente, anche l'ultimo zar russo e la sua famiglia. Negli ultimi anni alcuni sacerdoti e comunità in Russia si sono staccati dal patriarcato di Russia e si sono sottoposti alla chiesa estera come 'chiesa libera russa'. Nel 2007 è stata ristabilita la comunione canonica con il Patriarcato di Mosca - Superiore delle chiese ortodosse russe all'estero, metropolita dell'America dell'est e di New York. Sede a New York. 400.000 fedeli. 12 diocesi nel nord e nel sud America, Europa (3 in Russia) e Australia.

17. La chiesa ortodossa in America Con la missione russa dell'Alaska e la colonizzazione operata da paesi ortodossi nel nord America vi fu un numero sempre più alto di cristiani ortodossi. Dapprima erano sottoposti alla chiesa russa. Nel 1970 il pa-triarcato moscovita costituì la 'chiesa ortodossa russa in America' e la riconobbe come autocefala, ma que-sto fino ad ora non viene accettato dal patriarcato ecumenico. Quindi, vi sono ancora vescovati di altre chiese ortodosse in America. - Arcivescovo di Washington, metropolita di tutta l'America e del Canada. Sede a Washington. 1.200.000 di fedeli. 11 vescovati negli Stati Uniti e nel Canada.

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18. La chiesa ortodossa in Giappone Anche in Giappone l'ortodossia è nata dalla missione russa. Insieme alla chiesa ortodossa in America an-che la chiesa ortodossa in Giappone venne riconosciuta nella sua autonomia nel 1970 dal patriarca mosco-vita, cosa che il patriarca ecumenico finora non ha riconosciuto. - Arcivescovo di Tokio e metropolita di tutto il Giappone. Sede a Tokio. 20.000 fedeli. Un vescovato suf-fraganeo.

19 Altre chiese con problemi relativi alla giurisdizione a. La chiesa ortodossa di Macedonia La chiesa in Macedonia fino al 1967 faceva parte del patriarcato serbo. In quell'anno si dichiarò unilate-ralmente autocefala richiamandosi all'etnia macedone e alla tradizione del vescovato di Ochrid; nessuna delle chiese ortodosse riconobbe la validità di questo passo. - Arcivescovo di Ochrid e di Macedonia. Sede a Skopje. 2.000.000 di fedeli. 5 vescovati: in Macedonia (4) e in Australia. b. Le chiese ortodosse ucraine Queste chiese si costituirono soprattutto da viaggiatori ed emigranti ucraini in America e nell'Europa occi-dentale, da una parte, e per la divisione della chiesa ortodossa russa in Ucraina, dall'altra parte. Solamente la chiesa sanzionata nella sua autonomia da parte del patriarca moscovita è riconosciuta dalla globalità dell'ortodossia. Né la 'Chiesa autocefala ortodossa ucraina' (3.800.000 fedeli) né la 'Chiesa orto-dossa ucraina - patriarcato di Kiev' (5.500.000 fedeli) godono di un tale riconoscimento. Entrambe si trovano in strenua opposizione alla 'Chiesa ortodossa ucraina' del patriarcato moscovita (7.200.000 fedeli), alla quale esse rimproverano di dipendere dalla chiesa russa. Sul numero dei membri non vi sono riferimenti univoci, ma le stime risentono del clima di ostilità tra le Chiese. A queste chiese ne vanno aggiunte altre, sia legate al vecchio calendario, sia legate a realtà formatesi dopo la fine dell’URSS (ad esempio: la Chiesa autocefala Bielorussa o quella del Montenegro). Attual-mente esistono ancora questioni giurisdizionali irrisolte, e nelle conferenze di preparazione del Sinodo Panortodosso di cui si parla da decenni, al primo posto nel costituendo ordine del giorno vi è la questio-ne dell’approvazione di regole condivise da tutte le Chiese Ortodosse relativamente alla costituzione di Chiese autocefale. Le ultime notizie (Ginevra, agosto 2011) danno tuttavia ancora lungo il cammino per giungere alla effettiva convocazione del Sinodo.

I Veteroorientali Sono le chiese che non riconoscono il concilio di Calcedonia, o per motivi storici perché si sono trovate

sin dall'inizio al di fuori dell'impero romano e non hanno seguito gli sviluppi ecclesiali dei patriarcati al-l'interno dell'impero, o per motivi teologici, perché hanno percepito la conclusione di Calcedonia (o anche già quella di Efeso nel 431) come contraria alla loro tradizione dogmatica. Si distinguono in tre grandi fa-miglie liturgiche: siriaco-orientale, siriaco-occidentale e copta (alessandrina).

1. Chiesa orientale apostolica e cattolica d'Assiria (siro-orientale; 'nestoriani') La chiesa assira è sorta molto presto nell'impero persiano (secolo ii) e ha avuto una grande importanza

teologica. La partecipazione ai concili di Efeso e Calcedonia, a causa di persecuzioni, non le fu possibile, comunque difese in seguito la posizione di Nestorio, che era già stata condannata ad Efeso (da qui anche la designazione solita, anche se non corretta dal punto di vista storico, di 'nestoriani'). Per lo sviluppo della dottrina furono di importanza particolare le scuole teologiche di Edessa e di Nisibis. La chiesa assira si ca-ratterizzò per una missione feconda in Asia, missione che raggiunse l'India e la Cina. Passata attraverso pesanti persecuzioni da parte di mongoli, turchi e curdi, questa chiesa si è sempre ripresa. La carica di ka-tholikós è stata tradizionalmente tramandata fino a poco tempo fa da zio a nipote. Dal 1933 il katholikós di turno risiede negli Stati Uniti, dove è emigrata gran parte dei suoi fedeli. - Patriarca-katholikós. Sede a Morton Grave (USA, e un ufficio a Teheran). Circa 1.050.000 fedeli. 9 ve-scovati: in Libano, in Irak (2), negli Stati Uniti (4), in India (3) e in Australia. Da tempo vi è uno scisma: l'antikatholikós risiede a Bagdad con 4 vescovi (2 in Iraq e uno rispettivamente in Siria e negli Stati Uniti).

2. La chiesa siro-ortodossa di Antiochia (chiesa siriaca occidentale, 'giacobiti') Dopo le controversie sul concilio di Calcedonia il vescovo non calcedonese Giacomo Baradaios creò, nel

secolo vi, nel territorio dei patriarcato di Antiochia una gerarchia in opposizíone alla chiesa melchita orto-dossa. Questa chiesa si è potuta sviluppare sotto la dominazione araba e nel medioevo poté avere grande importanza teologica. Come la chiesa assira, anche la chiesa siro-ortodossa venne decimata aspramente dall'occupazione mongola e turca. In Turchia i cristiani siroortodossi sono violentemente perseguitati, così che negli ultimi anni è avvenuta una forte migrazione verso l'Europa centrale; per questo si sono create

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molte comunità in Germania. - Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l'oriente. Sede a Damasco. Circa 1.200.000 fedeli nei territori della Siria, della Turchia e dell'Iraq. 19 vescovati in Siria (5), in Iraq (3), in Libano (2), a Gerusa-lemme, in Turchia (2), negli Stati Uniti, in Australia, in Brasile, in Svezia e in Olanda.

2a. Le chiese indiane dipendenti dai siri occidentali Le chiese orientali in India si richiamano - con buone ragioni - all'apostolo Tommaso come loro fonda-

tore (e quindi i fedeli di queste chiese sono chiamati anche 'cristiani di Tommaso'). Dalla chiesa assira hanno ricevuto la tradizione siro-orientale. Fino alla fine del secolo xv esse, però, avevano coscienza di es-sere in comunione continua con la chiesa latina e la chiesa universale, anche se non avevano contatti con Roma perché il territorio era soggetto alla dominazione araba. Dopo l'arrivo dei portoghesi nel 1498 ci fu-rono tentativi di latinizzazìone sempre più pesanti ad opera degli europei; per questo una grossa parte dei cristiani indiani passò alla chiesa giacobita (siro-ortodossa). Oggi essi costituiscono la 'chiesa malanca-rica siro-ortodossa giacobita', che gode di una sua autonomia sotto il patriarcato della chiesa siro-ortodossa di Antiochia. Katbolíkós dell'Oriente. Sede a Muvattupuzha (Kerala, India). 2.000.000 di fe-deli. 8 vescovati in India, 1 vescovato negli Stati Uniti.

Un altro gruppo si associò nel 1912 ad un patriarca deposto e forma oggi la 'chiesa d'Oriente ma-lancarica ortodossa siriaca' ('chiesa ortodossa indiana'). Katholikós e patriarca dell'Oriente, me-tropolita di Malankar, successore della cattedra apostolica di san Tommaso. Sede a Kottayam (Kerala). 1.100.000 di fedeli. 17 diocesi in India e una rispettivamente anche in Europa e negli Stati Uniti.

Altri gruppi di cristiani di Tommaso si sono uniti alla chiesa cattolica od anglicana oppure sussistono in piccole comunità indipendenti. Alla tradizione siro-occidentale appartiene anche la chiesa maronita in Libano, l'unica chiesa orientale che è unita in toto a Roma.

3. La chiesa ortodossa apostolica armena In Armenia il cristianesimo si è diffuso a partire dal secolo iii. A causa della sua posizione geografica e

dell'appartenenza all'impero persiano l'Armenia fu spesso a lungo isolata dalla chiesa imperiale. Essa non partecipò neppure ai concili della prima chiesa, tuttavia respinse ripetutamente più tardi (ma solamente dal secolo vi!) le conclusioni di Calcedonia. Tra il 1198 e il 1375 vi fu un'unione con Roma. Dopo dure re-pressioni e massacri ad opera dei curdi e dei turchi nei secoli xix e xx, l'ex repubblica sovietica d'Armenia divenne centro spirituale degli armeni, dei quali molti vivono all'estero in Europa e in America. La chiesa armena ha due cattolicati, ad Ecmiadzin (Armenia), che ha la preminenza, e in Cilicia (il katholikós risiede in Libano). - Patriarca-katholikós di tutti gli armeni. Sede ad Ecmiadzin. 8.000.000 di fedeli (di essi circa 500.000 si trovano negli Stati Uniti e 200.000 in Francia). 5 vescovati in Armenia, e uno rispettivamente in Azer-baigian, Russia e Georgia. 9 nel resto dell'Europa. 6 nell'America settentrionale e meridionale e uno rispet-tivamente in Iraq, in Egitto, in Libano e in Australia. Il patriarcato armeno di Gerusalemme (5.000 fedeli) e di Costantinopoli (70.000 fedeli) con alcuni vescovati titolari sono sottoposti alla giurisdizione del catto-licato di Ecmiadzin. - Katholikós di Cilicia. Sede a Beirut. 1.500.000 fedeli. Vescovati in Libano (2), in Siria, in Grecia, a Ci-pro, in Iran (2) e negli Stati Uniti (2).

4. Il Patriarcato copto-ortodosso di Alessandria La chiesa di Alessandria si ricollega alla tradizione dell'evangelista Marco. In Egitto il concilio di Calce-

donia incontrò all'inizio la più strenua opposizione. Sotto il governo islamico il numero dei cristiani fedeli a Calcedonia decrebbe inesorabilmente; anche i copti vennero perseguitati, così che il numero dei cristiani oggi raggiunge a stento il 10% della popolazione. La chiesa copta ha un monachesimo fiorente. - Papa di Alessandria e patriarca della sede di san Marco. Sede a Il Cairo. 15.500.000 fedeli. 36 vescova-ti in Egitto, 2 nel Sudan, uno a Gerusalemme, 2 nell'Europa orientale e uno negli Stati Uniti.

5. La chiesa ortodossa etiope La chiesa degli etiopi, anch'essa nella tradizione del patriarcato alessandrino dal quale venne evangeliz-

zata nel secolo iv, poté svilupparsi relativamente libera, senza grosse oppressioni da parte dell'islam. Dal secolo xiii fino alla caduta dell'imperatore Hailé Selassié nel 1975 era una chiesa di stato. Comunque rima-se sino al 1959 dipendente gerarchicamente dalla chiesa copta di Alessandria, dalla quale ottenne l’autocefalia. - Patriarca della chiesa ortodossa etiope. Sede in Addis Abeba. 48.000.000 fedeli. Alcuni vescovati in Etiopia, 2 in Eritrea e uno rispettivamente nel Sudan, a Gerusalemme, nel Kenya, in Europa, nei Caraibi e negli Stati Uniti.

6. La chiesa ortodossa eritrea Seguendo le vicende che portarono all’indipendenza dell’Eritrea, anche la Chiesa Copta eritrea ottenne

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da Papa Shenouda III (capo storico della Chiesa Copta) l’autocefalia nel 1993, non senza tensioni (ancora non sopite) con la Chiesa etiope, che non accetta questo atto. 2.500.000 fedeli ca., ma al momento que-sta “giovane” chiesa vive una situazione di gravi conflitti interni conseguenti alla deposizione (2007) del Patriarca Abuna Antonios da parte del governo civile.

Le chiese orientali unite a Roma Le chiese unite orientali sono quelle chiese cattoliche di tradizione orientale (ortodossa e veteroorienta-

le), che sono in piena comunione ecclesiale con la chiesa latina. Professano lo stesso credo di questa e ri-conoscono il primato del papa, ma hanno conservato ampiamente la loro propria tradizione orientale per quanto riguarda la liturgia, la spiritualità, la costituzione ecclesiale e il diritto canonico.

Queste chiese sono nate dal tentativo di superare la separazione tra chiesa latina e chiesa orientale. Con un occhio odiemo la storia di questi tentativi deve essere giudicata anche criticamente. Nei tentativi di u-nione, accanto alla ricerca dell'unità ecclesiale, hanno avuto un ruolo non sottovalutabile anche interessi di politica statale ed ecclesiastica come anche motivi nazionali. La chiesa latina - in modo corrispondente alla sua passata autocomprensione centralistica e uniformista - non ha sempre rispettato in modo compiu-to la particolarità liturgica e canonica di queste chiese orientali nonostante il riconoscimento di base. Non si possono negare tendenze alla latinizzazione, che hanno portato a lungo andare a forme miste tra rito la-tino e orientale, come i danni recati ai diritti originari delle gerarchie locali. Solo il concilio Vaticano II ha compiuto una chiara svolta: la tutela dei «riti liturgici e la loro disciplina» (OE 6) vuole espressamente rassicurare le chiese unite; ugualmente il ripristino dei «diritti e… privilegi» dei patriarchi (OE 9).

Eccettuati i maroniti, la chiesa latina non ha potuto ripristinare con nessuna chiesa orientale la comu-nione ecclesiale. Si è arrivati solamente ad 'unioni parziali', che de facto hanno condotto ad una divisione della chiesa orientale in un ramo unito e in uno non unito e ad uno sdoppiamento delle gerarchie (un pa-triarca 'cattolico' accanto ad un patriarca 'ortodosso'). Dal punto di vista ecumenico le chiese unite costi-tuiscono, quindi, uno dei problemi più spinosi nel dialogo con le chiese orientali. Certamente la politica d'unione di vecchio stile non va più bene nell'epoca dell'ecumenismo, ma non sarebbe neppure giusto sva-lutare la tradizione e la storia, spesso secolari, delle chiese unite contro la volontà dei loro fedeli. Trovare una soluzione che vada bene ad entrambe le parti non è sicuramente facile.

Malgrado tutta la problematica l'esistenza delle chiese unite è sicuramente, dal punto di vista ecclesio-logico - ed anche ecumenico -, di grande importanza; infatti, mostra che la chiesa cattolica non è sempli-cemente la chiesa latina; la chiesa cattolica è ben più: è una comunione di chiese che sono unite nella pro-fessione di una sola fede, ma che possono essere distinte, e di molto, nella liturgia, nella spiritualità e nel-l'ordinamento della vita ecclesiale. Se si prende sul serio la rivalutazione, operata dal concilio Vaticano II (OE 7-11), della struttura patriarcale consueta nella chiesa antica, allora la chiesa latina come 'patriarcato d'Occidente' è solamente una 'parte' della chiesa cattolica. Nell'invito conciliare ad erigere nuovi patriarca-ti dove necessario (OE 11), si offrono (presupposta l'unità nella fede) possibilità totalmente nuove per l'or-dinamento della chiesa cattolica, possibilità che sono pure di ampio significato ecumenico, non solamente quindi in relazione alle chiese orientali.

Le chiese unite di tradizione “bizantino-slava” 1. La chiesa ucraino-cattolica risale all'unione di Brest-Litovsk. Venne conclusa nel 1595/1596, quando ampi territori dell'Ucraina e della Russia bianca si trovarono in potere polacco-lituano. Questa u-nione ha avuto successo soprattutto nei territori che sono rimasti alla Polonia o che con la dívisione della Polonia sono passati all'Austria (Galizia). Qui si trova, a L’viv (Lemberg), la sede del grande vescovado u-craino. Sciolta nel 1946 sotto Stalin, questa chiesa sopravvive solamente di nascosto e all'estero, soprattut-to negli Stati Uniti, in Canada, Brasile, Argentina e Australia. Si è ricostituita dopo i cambiamenti politici dell'Europa dell'est nell'Ucraina e nella Polonia; con circa 4.300.000 fedeli, è la più grande chiesa unita.

2. Le chiese unite in Carpazia e Ucraina, nella Slovacchia e in Ungheria sono nate dall'unione di Uzhorod. Venne conclusa nel 1646, quando questi territori entrarono a far parte del regno di Ungheria. Prima della seconda guerra mondiale queste chiese contavano circa 1.300.000 fedeli in tre vescovadi (Mukacevo nella Carpazio-Ucraina, Pregov nella Slovacchia, Hajdudorog in Ungheria) e nell'esarcato apo-stolico di Miskolc (Ungheria) come pure grandi gruppi nell'Europa sud-orientale e in America. Fuori del-l'Ungheria queste chiese furono soppresse dopo la seconda guerra mondiale e hanno potuto sopravvivere solamente in clandestinità e all'estero (USA, Canada). Oggi contano nella Carpazio-Ucraina circa 320.000 fedeli, nella Slovacchia circa 209.000, nella Repubblica Ceca circa 10.000, in Ungheria circa 279.000 e in Nord America 215.000.

3. La chiesa unita in Romania nacque nel 1697-1700 a Siebenbürgen, che al tempo apparteneva al-l'Ungheria. Soppressa nel 1948, ora si è ricostituita. Conta circa 1.000.000 fedeli nella chiesa metropoli-tana di Fagaras con 4 diocesi suffraganee e un vescovado negli Stati Uniti.

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4. La chiesa unita che si trova nel territorio della ex-Jugoslavia è sorta dall'unione che nel 1611 venne conclusa con i serbi residenti in Croazia. Oggi raggruppa circa 30.000 fedeli sotto la giurisdizione dei vescovo di Krizevci (Croce). Per i circa 5.000 macedoni dal 1972 è visitatore apostolico il vescovo di Skopje-Prizren.

5. Chiese unite minori si trovano in Bulgaria (esarcato di Sofia) con circa 10.000 fedeli, in Grecia (esarcato di Atene) con circa 2.300 fedeli e in Albania con circa 1.500 fedeli, tutte sorte nella secon-da metà dei secolo xix come quella in Polonia, nata con la rifondazione della Polonia dopo la prima guerra mondiale (prevalentemente costituita da ucraini e russi), ancora oggi costituita da un'unica parroc-chia, che è sottoposta al primate latino. Una piccola chiesa uniate formano anche i circa 100.000 italo-albanesi residenti nel sud Italia e in Sicilia.

6. Il patriarcato melchita di Antiochia e di tutto l'Oriente, Alessandria e Gerusalemme con-ta 1.300.000 fedeli circa di rito bizantino nel lontano Oriente e anche all'estero. Il patriarca risiede a Damasco, Rabboueh (Libano) e al Cairo. Il patriarcato sorse nel 1724 da una unione parziale con il pa-triarcato ortodosso di Antiochia. Dal 1772 tutti i cattolici di rito bizantino residenti nel lontano Oriente sono sottoposti a questo patriarcato.

Le chiese unite dell’antico oriente 1. Il patriarcato caldeo di Babilonia, sede di Bagdad, è nato a metà del secolo xvi come unione parziale con la chiesa apostolica e cattolica assira d'Oriente. Dopo l'unione stabilita temporaneamente nel passato, venne ripresa nelle unioni di Diarbekr (1681) e Mosul (1778). Il patriarcato ha 10 eparchie in Iraq, 4 in Iran e un'eparchia anche in Siria, in Libano, in Egitto, in Turchia e negli Stati Uniti con circa 400.000 fedeli in tutto.

2. La chiesa siro-malabarica nel sud-ovest dell'India si è sviluppata dalla missione portoghese del se-colo xvi a partire dal locale cristianesimo di rito siriaco orientale (cristiani di Tommaso). Resistendo con-tro i tentativi di latinizzazione una grossa parte di fedeli, tuttavia, nei secoli xvi e xvii lasciò l'unione e for-mò la chiesa siro-ortodossa d'Oriente. Nel 1887 i restanti fedeli ottennero una propria giurisdizione, ma solo nel 1896 vennero nominati vescovi autoctoni. Nel 1923 venne eretta una propria provincia ecclesiastí-ca, che conta oggi circa 3.800.000 fedeli.

3. La chiesa siro-cattolica è sorta come unione parziale con la chiesa siro-ortodossa di Antiochia da tentatívi di unione dei secoli xvi e xvii. Fin dal 1783 è stato istituito il patriarcato siro cattolico di Antio-chia, con sede a Beirut. Ad esso sono sottoposti gli esarcati patriarcali del Libano, della Turchia e di Geru-salemme, come anche 4 eparchie in Siria, 2 in Iraq e un'eparchia in Egitto e negli Stati Uniti con circa 110.000 fedeli in totale.

4. La chiesa siro-malancarica nel sud dell'India è nata nel 1930 come unione parziale con la chiesa siro-ortodossa d'Oriente. Dal 1932 è stata istituita la chiesa metropolitana dei siro-malancari, con sede a Trivandrum, Kerala, con due eparchie suffraganee e con circa 400.000 fedeli.

5. La chiesa armeno-cattolica è un'unione parziale con la chiesa armena. Mentre la prima unione del 1198 non ebbe seguito per la fine dell'impero armeno ad opera dei mamelucchi nel 1375 e anche l'unione conclusa al concilio di Firenze (1439) non ebbe alcuna consistenza, i nuovi tentativi dei secoli xvii e xviii portarono, nel 1742, ad un'unione duratura. Oggi il patriarcato armeno-cattolico di Cilicia, con sede a Bei-rut dal 1928, conta 4 arcidiocesi e 5 diocesi, 2 esarcati patriarcali, 2 esarcati apostolici e 3 ordinariati. I cir-ca 400.000 fedeli di questa chiesa vivono in Libano, in Turchia, in Iraq, in Siria, in Egitto, in Iran, in Armenia come anche in America ed Europa.

6. La chiesa copto-cattolica sorse grazie all'opera dei francescani nel secolo xviii come unione parzia-le con la chiesa copto-ortodossa. Dal 1895 vi è il patriarcato cattolico-copto di Alessandria, con sede al Cai-ro, e con circa 200.000 fedeli in 6 eparchie.

7. La chiesa etiopico-cattolica, dopo il fallimento dell'unione del 1628, sorse una seconda volta nel se-colo xix grazie all'opera dei lazzaristi come unione parziale con la chiesa etiope copta. Dal 1961 vi è una chiesa metropolita etiope cattolica, con sede in Addis Abeba, e con circa 200.000 fedeli in 5 eparchie.

8. La chiesa maronita, chiamata così dal monastero di san Marone in Siria, è l'unica chiesa orientale che sia unita totalmente con la chiesa latina. Questa chiesa sorse nel secolo viii per divisione dal patriarca-to ortodosso di Antiochia. L'unione con la chiesa latina avvenne nel 1181. Oggi il patriarcato dei maroniti, con sede a Bkerké (Libano), conta 10 eparchie in Cipro, Egitto, Argentina, Brasile, Australia, Canada e Messico e l'esarcato patriarcale a Gerusalemme, con circa 3.100.000 fedeli complessivamente.

9. Per gli uniti che vivono in aree di rito latino vi sono proprie strutture ecclesiastiche - comparabili con le comunità di emigrati di rito latino -, proprie comunità e (in relazione al numero) proprie gerarchie, affinché gli uniti possano vivere la propria identità nella liturgia e nella vita ecclesiale.

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1.2. Dal grande Nilo al Fiume Giallo: l’“epopea” delle Chiese Antico-Orientali

At 2,5-11: Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tut-ti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti (sud dell’Iran) e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio».

Questo brano degli Atti degli Apostoli che tutti conosciamo, relativo alla Pentecoste, ci presenta un elenco di popoli che – secondo il racconto lucano – sono in qualche modo venuti a contatto con l’evento dell’annuncio del kerygma e ci introduce così assai bene al tema che questa sera vogliamo ac-cennare. L’elenco che Luca riporta, infatti, attinge probabilmente non solo ad antiche tradizioni rela-tive all’evento stesso che viene descritto, ma si presenta come una sorta di “attestato” relativo al pri-mo seme di quelle che sarebbero poi state comunità cristiane fiorenti e che avrebbero potuto confer-mare – leggendo gli Atti – la veridicità dell’affermazione. Questo fenomeno di “autenticazione” del primo diffondersi del vangelo presso un determinato luogo o popolo si trova anche in altre occasioni negli Atti (si pensi ad At 8,26ss, con il caso della conversione dell’Etiope ad opera di Filippo), e dun-que possiamo notare – scorrendo l’elenco di At 2 – come fin dagli albori della Chiesa vi fosse la con-sapevolezza che essa si diffuse ben oltre i confini dell’Impero romano. In realtà sono molte le Chiese nate nel mondo considerato “barbaro”. Normalmente sono anche assai poco conosciute. Non potremo certamente esaurirne la conoscenza questa sera: vorrei solo limi-tarmi a suscitare in voi la curiosità di approfondirne – ove possibile – lo studio, riconoscendo nel contempo come sia ben più vario di quanto riteniamo il panorama offerto dall’inculturazione del van-gelo nelle regioni e nelle culture più diverse: cf. la produzione artistica, letteraria, liturgica, musicale…

1. La Chiesa siro-occidentale Circa le origini di questa chiesa offriamo solo pochi cenni, poiché essa nasce in realtà all’interno

dell’Impero romano, ed è anzi il primo “teatro” dello scontro-incontro tra il cristianesimo di matrice giudaico-gerosolimitano e i proseliti di provenienza etnicocristiana. La diffusione del Cristianesimo ad Antiochia è databile intorno al 33.-34 d.C., dopo il martirio di Stefano e la persecuzione degli Elle-

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nisti ad esso seguita. Abbiamo poi sempre ad Antiochia figure importanti come Ignazio, vescovo e martire sotto l’imperatore traiano (98-117), che scrive in lingua greca alle Chiese dell’Asia Minore e di Roma mentre viene condotto a Roma per morirvi nel circo.

“Siria”, però, se indica in senso proprio quanti abitano ad occidente dell’Eufrate, in senso lato con-nota quanti parlano la lingua aramaica anche ad oriente dello stesso fiume, fino alla Mesopotamia e alla Persia. La Siria, dunque, vive con “due identità” che si rispecchiano nella cultura, nel modo di vita e nelle espressioni linguistico-letterarie: quella “greca”, che rimane esterna, per quanto penetrata profondamente, e quella sua “nativa”, in cui si parla il siriaco e si preservano antiche tradizioni e co-stumi. Proprio il siriaco è la lingua tipica di una cultura cristiana e letteraria di grande importanza e valore – sia teologico che stilistico – che si sviluppa tra il II e il XIII secolo, anche se dopo il VII seco-lo, con la conquista araba, il siriaco scompare come lingua parlata, per restare confinato all’ambito letterario e liturgico.

Nell’ambito del cristianesimo di espressione siriaca, grande parte ha la città di Edessa, capitale del regno di Osroene ma conquistata nel 115 d.C. da Traiano insieme all’Armenia. La città vede la presen-za di una comunità cristiana che si riconosce fondata dall’apostolo Addai (Taddeo?) per incarico di Gesù stesso, in risposta alla missiva inviatagli dal re Abgar.

Questa comunità edessena ha comunque ricevuto assai presto il vangelo. Secondo W. Bauer sareb-be stata evangelizzata dai Marcioniti, che lì sono attivi fino al IV secolo. Altri studiosi vedono l’opera di missionari cristiani venuti dalla Palestina come responsabile della cristianizzazione di Edessa, e di alcuni caratteri giudeocristiani marcati della sua comunità.

Nel IV secolo viene fondata la scuola teologica di Nisibi, da cui uscirà S. Efrem. Dopo la cessione di Nisibi ai Persiani (363- Gioviano), la scuola si trasferisce a Edessa, ove dopo il 431 verrà coltivata l’eredità dottrinale di Nestorio.

Le controversie cristologiche:

Paolo di Samosata: è un siriano (e non un greco!), che ha un alto compito nell’amministrazione fi-nanziaria sotto la regina Zenobia (267-271, sconfitta da Aureliano e condotta prigioniera a Tivoli, do-po aver messo in crisi il dominio geopolitico romano in Oriente) oltre ad essere vescovo di Antiochia. Per lui l’uomo Gesù è il tempio nel quale viene accolto il Logos, e dunque professa una forma di cri-stologia modalistica, nella quale Cristo non è personalità autonoma, ma la forma che Dio prende per mostrarsi agli uomini.

Poi abbiamo Apollinare di Laodicea (condannato ad Alessandria nel 362), che professa la presenza in Cristo di corpo e anima irrazionale umane, mentre il Logos prende il ruolo dell’anima superiore razionale…

Nel V secolo il conflitto tra Alessandria e Antiochia si fa più serrato, e vive veri e propri momenti di rottura (ad esempio tra il Concilio di Efeso del 431, che condanna Nestorio, e il tomus unionis proclamato nel 433).

Il concilio di Calcedonia (451) vede in Siria l’apertura di una stagione nuova. Dal

sostegno precedente alle idee di Nestorio si passa all’apprezzamento della posizione cirilliana in cri-stologia, avviando una serie di scontri tra calcedonesi e anticalcedoniani. L’esito sarà quello di una moltiplicazione delle chiese ad Antiochia, dove calcedonesi e monofisiti creeranno ciascuno la propria gerarchia e le proprie comunità.

Quanti non riconobbero le decisioni di Calcedonia presero il nome di Giacobiti (da Giacomo Ba-radeo, morto nel 578 e vescovo di Edessa).

I tentativi di Eraclio imperatore (610-640) di ingraziarsi i monofisiti con il monotelismo (638) non andarono a buon fine; nel frattempo (640) avvenne la conquista di Edessa, che seguì la capitolazione di Gerusalemme e Antiochia.

Il Regno di Palmira sotto Zenobia, dopo l'espansione del 270, prima della riconquista di Aureliano (271)

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Oggi possiamo annoverare nell’ambito siro, in base alla loro tradizione, queste Chiese: Chiesa siro ortodossa e Chiesa siro-cattolica: tradizione giacobita

Chiesa greco-ortodossa di Antiochia e Chiesa greco-cattolica (melchita) Chiesa cattolica maronita.

Leggiamo ora un passo della Didascalia di Addai: un testo del V secolo, ma che contiene sicuramente del materiale tradizione più antico e capace di riportarci all’autocoscienza “originaria” di questa Chie-sa (testo in: TESTI CRISTIANI SIRIACI ANTICHI, Didascalia di Addai. Introduzione, traduzione dal siriaco e note a cura di MONICA CASADEI [= Testi dei Padri della Chiesa 87], Qiqajon, Bose, 2007):

Dalla Didascalia di Addai (3-4, passim) 3. Successione apostolica e tradizione 1. Gli apostoli non stabilirono tutto ciò per se stessi ma per coloro che sarebbero venuti dopo di lo-ro. Temevano, infatti, che lupi si preparassero a indossare la veste degli agnelli. Per loro era sufficiente lo Spirito Paraclito che [era] in essi, il quale, così come aveva posto queste leggi per mano loro, secondo la legge li conduceva: coloro, infatti, che avevano ri-cevuto da nostro Signore forza e potenza non avevano bisogno di leggi che venissero poste per loro da altri. Anche Pa-olo, infatti, e Timoteo, mentre passavano per la regione di Siria e di Cilicia, avevano consegnato, alle chiese delle re-gioni in cui proclamavano e annunciavano, questi stessi comandamenti e leggi degli apostoli e dei presbiteri per coloro che erano sotto la mano degli apostoli. 2. I discepoli, poi, dopo aver stabilito questi ordinamenti e leggi non cessarono di proclamare l'an-nuncio e di fare stu-pendi portenti, che nostro Signore compiva per mano loro. E infatti un popolo numeroso si adunava ogni giorno presso di loro, e credeva nel Messia; e da diverse città venivano presso di loro, udivano le loro parole e le accoglievano. Nico-demo e Gamaliele, capi della sinagoga dei giudei, giunsero presso gli apostoli in segreto, avendo aderito nel cuore alla loro dottrina; ma anche Giuda, Levi, Peri, Giuseppe e Giusto, figli dei sacerdoti Anania, Caifa e Alessandro, giunsero presso gli apostoli di notte, confessando il Messia Figlio di Dio e [confessando] che temevano di manifestare tra i figli del loro popolo i loro pensieri nei confronti dei discepoli... Quando i loro padri sentirono tali cose dai loro figli, li attaccarono duramente, non per il fatto che avevano creduto nel Messia ma perché [li] avevano ingannati e avevano reso manifesto il pensiero dei loro padri dinnanzi ai figli del popolo. Quelli che credettero, però, seguirono i discepoli e non se ne andarono da presso di loro perché videro che ciò che in-segnavano alla moltitudine, essi realmente [lo] compivano dinnanzi a tutti. 3. Mentre la vessazione e la persecuzione si alzavano contro i discepoli, [quelli che credettero] gioi-vano di essere ves-sati con loro, ricevevano nella gioia pene e prigionia, nella confessione della loro fede nel Messia, e ogni giorno della lo-ro vita proclamavano il Messia davanti a giudei e samaritani. 4. Dopo la morte degli apostoli [costoro] furono guide e sovrintendenti nelle chiese, e ciò che gli apostoli avevano tra-smesso loro e [loro] avevano ricevuto da essi, lo insegnavano alle moltitudini ogni giorno della loro vita. Anche costoro poi, alle loro morti, trasmisero e consegnarono ai loro discepoli dopo di loro tutto ciò che avevano ricevuto dagli aposto-li, e anche ciò che scrisse Giacomo da Gerusalemme, Simone dalla città di Roma, Giovanni da Efeso, Marco da Ales-sandria la grande, Andrea dalla Frigia, Luca dalla Macedonia e Giuda Tommaso dall'India, affinché le lettere degli apo-stoli fossero ricevute e proclamate nelle chiese in ogni luogo, [così] come vengono proclamati i trionfi dei loro atti, che scrisse Luca; perché con ciò, riguardo agli apostoli e ai profeti e all'alleanza antica e alla nuova, fosse reso noto che una sola verità è stata proclamata in tutti questi [scritti] e che un unico Spirito ha parlato in tutti loro a partire da un unico Dio, che tutti quanti hanno adorato e tutti quanti hanno annunciato, e le regioni [della terra] hanno ricevuto la loro dottri-na. 5. Tutto quello che è stato detto da nostro Signore per mezzo degli apostoli e che gli apostoli conse-gnarono ai loro di-scepoli fu creduto e ricevuto in ogni luogo, nel segno di nostro Signore, colui che disse loro: Sono con voi fino alla fine del mondo, dopo che le guide ebbero disputato con i giudei riguardo agli scritti dei profeti e conteso anche con gli erro-nei pagani per l'abbondanza dei por-tenti che avevano compiuto nel nome del Messia. Tutti i popoli, infatti, anche quelli che abitavano in altre regioni erano quieti e silenti per l'annuncio del Messia e coloro che confessavano [la fede] nella persecuzione gridavano: «La nostra persecuzione di oggi sarà per noi avvocata, poiché in principio fummo persecuto-ri»; e vi erano tra di loro coloro che erano stati condannati alla morte per spada e coloro a cui era stato tolto ciò che possedevano e che erano stati fiaccati. E per quanto l'assedio infuriasse contro di loro, la loro adunanza si arricchiva e aumentava e nella gioiosità del loro cuore ricevevano la morte, qualsiasi essa fosse, e per mezzo del sacerdozio, che gli apostoli stessi avevano ricevuto da nostro Signore, il loro annuncio fu disseminato ai quattro lati della terra rapida-mente; ed essi, facendosi visita l'un l'altro, l'un l'altro si servivano. 4. Le chiese stabilite dagli apostoli 1. Ricevette il sacerdozio Gerusalemme e tutta la regione della Palestina, la terra di Samaria e di Filistea, la regione degli arabi e di Fenicia, e gli abitanti di Cesarea da Giacomo, colui che fu sovrintendente e guida nella chiesa degli apo-stoli che fu edificata in Sion.

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2. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: Alessandria la grande, Tebe, tutto l'Egitto interiore, tutta la regione di Pelusio e fino al confine degli indiani da Marco, l'evangelizzatore, che fu lì sovrintendente e guida nella chiesa che vi edificò e in cui esercitò il ministero. 3. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: l'India e tutte le regioni sue e dei suoi dintorni fino al mare estremo da Giuda Tommaso, colui che fu guida e sovrintendente nella chiesa che lì edificò e in cui esercitò il ministero. 4. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: Antiochia, la Siria, la Cilicia e la Galazia fino al Ponto da Simon Cefa, che lì po-se le fondamenta della chiesa e fu sacerdote e lì esercitò il ministero, fino al tempo in cui salì di là a Roma, a causa di Simon Mago, che fece errare gli abitanti di Roma con le sue magie. 5. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: la città di Roma e l'Italia tutta e la Spagna e la Britannia e la Gallia, con il resto delle altre regioni d'intorno, da Simon Cefa, che salì da Antiochia e fu sovrin-tendente e guida nella chiesa che edificò lì e nei suoi dintorni. 6. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: Efeso e Tessalonica e l'Asia tutta e tutta la regione dei co-rinzi e dell'Acaia tutta e dei suoi dintorni, da Giovanni l'evangelista, colui che si posò sul petto di nostro Signore, che lì edificò la chiesa ed e-sercitò il ministero nell' amministrazione del luogo. 7. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: Nicea e Nicomedia e tutta la regione della Bitinia e della Gezia e le località dei suoi dintorni da Andrea, fratello di Simon Cefa, colui che fu guida e sovrintendente nella chiesa che lì edificò e dove fu sacerdote ed esercitò il ministero. 8. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: Bisanzio e tutta la regione della Tracia e dei suoi dintorni fino al grande fiume, confine che divide la terra dei barbari, dall'apostolo Luca, colui che lì edificò la chiesa ed esercitò il suo ministero nella giurisdizione e nell' amministrazione del luogo. 9. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: Urhoi e tutte le regioni dei suoi dintorni d'ogni lato e Nisibi e il Bet Arabaye e tutto il nord e le località che gli stanno d'intorno e tutta la regione confinante del Bet Nahrain, da Addai l'apostolo, uno dei settantadue apostoli, che lì fece discepoli ed edificò la chiesa e vi fu sacerdote ed esercitò il ministero nell'ammini-strazione del luogo. 10. Ricevette il sacerdozio degli apostoli: tutta la Persia, [quella] degli assiri, e degli armeni e dei medi e delle regioni dei dintorni di Babele, il Bet Huzaye e il Gilan fino ai confini delle Indie e fino al paese di Gog e Magog, e, ancora, le regioni tutte d'ogni parte da Aggai, fabbricante di [panni di] seta, discepolo dell'apostolo Addai. 11. Il resto, poi, degli altri compagni degli apostoli giunse nelle regioni remote dei barbari e passavano di luogo in luogo facendo discepoli e lì esercitarono il loro ministero di proclamazione e lì uscirono da questo mondo. E camminarono dietro a loro i loro discepoli, fino a oggi, e non vi fu mutamento o aggiunta alla loro proclamazione. 12. Luca l'evangelista, poi, si prese cura di scrivere le glorie degli atti degli apostoli, gli ordinamenti e le leggi del loro ministero sacerdotale e dove ciascuno di essi si recò. Grazie alla cura di Luca, dunque, tali cose, e altre molto più nu-merose di queste, [egli] scrisse e consegnò tramite Prisco e Aquila, suoi discepoli; ed essi furono al suo fianco fino al giorno della sua morte, come Timoteo, Aristo di Listra e Menas, primo discepolo degli apostoli, furono al fianco di Paolo, fino a che costui salì alla città di Roma, per opporsi al retore Tertullo, e il Cesare Nerone condusse in catene lui e Si-mon Cefa nella città di Roma.

2. La Chiesa siro-orientale o assira La Chiesa assira o siro-orientale vede la sua storia svilupparsi all’esterno dell’Impero romano, in

un vasto territorio che tocca l’Armenia a nord, l’India a est, l’Arabia a sud. Il contesto socioculturale vede dapprima la presenza dell’Impero persiano e poi di quello sassanide con il mazdeismo come re-ligione dominante, e poi, verso il 650, la conquista musulmana che impone l’Islam come credo.

Sembra che le origini di questa Chiesa vadano cercate nelle comunità ebraiche presenti in Babilo-nia fin dall’esilio seguito alla distruzione del Tempio di Gerusalemme: la presenza di “Parti, Medi, E-lamiti e abitanti della Mesopotamia” segnalata da Atti 2,9 il giorno di Pentecoste potrebbe essere un indizio della prima via di diffusione del cristianesimo. La tradizione di Eusebio, che cita Origene, vuo-le che sia stato Tommaso l’apostolo evangelizzatore dell’Assiria, mentre i testi siriaci più antichi men-zionano l’opera dell’apostolo Addai (Taddeo): costui nel 37 d.C. avrebbe stabilito a Seleucia-Ctesifonte la prima sede vescovile della regione. Un ulteriore impulso alla crescita del cristianesimo può essere ravvisato nello stabilirsi (226) della dinastia sassanide: nelle sue campagne militari contro l’Impero romano, verso il quale vi fu sempre una politica di ostilità, i sassanidi giunsero fino in Siria, Cappadocia e Cilicia, facendo coì prigionieri molti cittadini romani, tra i quali certamente vi erano cristiani, deportati poi in Persia. La crescita dei cristiani provoca verso la fine del III secolo, con il re Wahram II, una persecuzione istigata dal capo dei Magi, Kartir, che temeva per le sorti della religione nazionale, il mazdeismo. I cristiani erano accusati di predicare il rifiuto del matrimonio e della procreazione, a causa della loro erronea confusione con i manichei, e dunque di indebolire l’impero. Questa persecuzione non fu certo

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l’unica: dopo un quarantennio di pace, il re Sapore II (309-379) riprese, sempre istigato dai magi e – secondo fonti agiografiche, dagli ebrei della diaspora – le ostilità, ritenendo che i cristiani fossero una sorta di “quinta colonna” degli imperatori romani, essi pure non alieni da misure ostili all’impero sas-sanide. Con il re Iezdegerd I (399-420) l’influenza dei Magi venne meno, e alla Chiesa furono permes-si rapporti più stretti con l’Occidente: i vescovi assiri poterono così riunirsi nel 410 a Seleucia-Ctesifonte, adottando la fede e la disciplina di Nicea e riorganizzando l’assetto territoriale della loro Chiesa, che si estendeva dall’Armenia al Golfo Persico. Il re Iedzgerd non solo ratificò le decisioni del Concilio, ma le rese leggi dello stato: ciò portò al riconoscimento, ma anche al controllo della Chiesa da parte dello stato, che si arrogò il diritto, in tempi successivi, di influenzare l’elezione del katholi-kos, a sua volta resosi indipendente dal vescovo di Antiochia (autocefalia del 424: Dad-Ièsu I chiese inoltre al Sinodo di essere sottratto alla possibilità di un giudizio che appellasse al romano pontefice). Ciò portò alla progressiva costituzione della Chiesa assira come chiesa nazionale, liberandola dalla “tutela” bizantina, ma pure accentuandone le tendenze separatiste. Ma per la “rottura” definitiva con le altre Chiese si dovrà attendere l’epoca delle controversie cristologiche. Il “latrocinium” di Efeso (449) e poi i concilii di Calcedonia (451) e Costantinopolitano II (553) vi-dero la ripetuta condanna di teologi della Scuola antiochena ed edessena di orientamento filonesto-riano; questa corrente teologica, tuttavia, trovò fortuna nella Chiesa assira, oltre i confini dell’Impero romano. Tale favore fu sicuramente dovuto alla ragione politica dell’ostilità tra sassanidi e romani (che erano calcedonesi o monofisiti), ma anche al desiderio di indipendenza e autonomia della Chiesa assira. Già durante l’episcopato di Rabbula di Edessa (412-435) i seguaci di Nestorio erano stati allon-tanati dalla scuola di Edessa, fondata da Efrem nel secolo precedente, ma con il successore Ibas la si-tuazione fu capovolta, e ulteriore fortuna ebbe il nestorianesimo con l’opera di Narsai, a capo della scuola nella seconda metà del V secolo. Egli spostò volutamente la scuola di Edessa a Nisibi (fuori dalla giurisdizione di Costantinopoli), premunendosi contro il prevalere dell’orientamento calcedone-se nell’Impero romano e preparandosi così ad accogliere i nestoriani, espulsi nel 489 dall’imperatore Zenone. Acacio (485-496) e Mar Aba (540-552), ambedue katholikoi, consolidarono la dottrina e l’organizzazione della Chiesa persiana, favorendone la riforma e la crescita. All’inizio del VI secolo iniziarono le prove: quando l’imperatore Giustino I (518-527) esiliò i mono-fisiti dall’Impero, molti di costoro si rifugiarono in Persia, dove diedero inizio a centri di diffusione antinestoriani che potevano contare su una già valida tradizione di pensiero (tra i rappresentanti: Fi-losseno di Mabbug [440-523], Giacomo di Sarug [450-520]). La presenza di eresie come il messalia-nesimo, l’introduzione dell’esegesi origeniana nella scuola di Nisibi, la persecuzione di Cosroe II, in-debolirono la Chiesa assira, che rimase anche priva di un katholikos, mentre si profilava la conquista musulmana: nella prima metà del VII secolo la loro avanzata travolse non solo la presenza bizantina in Siria e Palestina, ma anche l’impero sassanide. I nestoriani, peraltro, non fecero molto per difende-re un regime che li aveva lungamente perseguitati, ma si assoggettarono ai nuovi padroni, che pur te-nendoli in uno stato di sottomissione morale e giuridica, non impedirono loro di professare la loro re-ligione.

3. Le “missioni” nestoriane in Asia centro-orientale – la Chiesa “nestoriana” cinese La conquista musulmana, con la conseguente proibizione di qualunque forma di proselitismo, die-de un forte impulso alla diffusione del messaggio cristiano fuori dai confini. Sulla scia delle rotte commerciali, i cristiani assiri arrivarono fino a Ceylon, sulle coste indiane del Malabar e in Cina, nel VII-VIII secolo. Alla fine del sec. VIII risale la stele nestoriana di Xi’an, con un’iscrizione cinese che unisce teologia e storia della diffusione del cristianesimo in Cina: afferma che nel 635 l’imperatore Taizong ricevette il vescovo Aluoben, proveniente dall’Occidente; fece tradurre le Scritture da lui portate con sé, si con-vinse della fondatezza e della verità della dottrina in esse contenute, e ne ordinò la diffusione, ponen-dolo in contatto con taoismo, confucianesimo e buddismo, in un periodo di forte apertura culturale per la Cina. Tale diffusione durò fino al secolo IX, quando un nuovo imperatore – Wuzong – proscris-se tutte le religioni straniere, avviando una tremenda persecuzione che non lasciò quasi più alcuna presenza cristiana. Tracce di cristiani rimangono tuttavia fino al XI-XII secolo a Canton, mentre alla metà del XIII secolo – con l’invasione di Gengis Khan – sono alcuni esponenti della classe nobile mongola a convertirsi al cristianesimo. In quest’epoca giungono in Cina anche missionari occidentali francescani, che tuttavia non avranno molti successi durante la dinastia Ming; infine, nel XVI secolo saranno i Gesuiti (Matteo Ricci: 1552-1610) a testimoniare il Cristianesimo in terra cinese.

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La stele di Xi’an fu scoperta intorno al 1623-1625, e narra delle alterne vicende delle comunità cri-stiane tra il 635 e il 781. Vi sono tracce tradizionali di presenze cristiane già sotto il regno dei katholi-koi Ahai (411-415) e Shila (505-520), che tuttavia necessitano di maggiori conferme storiografiche. Tra i secoli VII e IX la chiesa siro-orientale arriva ad avere in Cina tra i 230 e i 250 vescovi, con mi-lioni di credenti. Le missioni siro-orientali erano però iniziate già nell’Asia centrale, nella zona di Sa-marcanda ed Herat (detta Serindia), ove testi cristiani furono tradotti in lingua sogdiana (una lingua iranica usata nelle comunicazioni dei mercanti) permettendo un fecondo incontro del cristianesimo con le culture locali, da cui origina un’opera di inculturazione profonda in un ambiente totalmente di-verso da quello originario semitico o greco-latino. Abbiamo così notizia di un patriarca (Timoteo I – 780-823) che ricevette dal califfo al-Mahdi giurisdizione su tutti i cristiani del mondo musulmano e – come pare – avrebbe persino nominato un metropolita per la Cina, elevata a provincia ecclesiastica esterna e che vedeva pure la presenza di numerosi monaci. Nell’asia centro-orientale, il cristianesimo assunse caratteri propri, profondamente segnati dal confronto con la cultura dei luoghi, e ciò avvenne in particolare per quanto riguarda la Cina, dove si è potuto isolare un corpus di nove manoscritti (VII-VIII s.) risalenti ai vescovi Aluoben e Ciriaco e al monaco Adam-Jingjing. In questi scritti – che rappresentano quanto ci rimane di un patrimonio di cui conosciamo almeno altri 35 titoli e la menzione di altri 530 libri – possiamo trovare uno stile let-terario ed un utilizzo dell’immaginario religioso propri del contesto culturale cinese. Possiamo così ipotizzare l’esistenza in Cina (nella capitale dell’impero Tang, Chang’an) di una vera e propria équipe di traduttori: essi traducevano dal siriaco al cinese per mezzo di interpreti sogdiani, che conoscevano entrambe le lingue, ed erano assistiti da “esperti religiosi”: monaci buddhisti, preti taoisti, letterati confuciani. La religione cristiana venne chiamata “jingjiao”, o “religione della Luce”, poi detta – dal luogo di provenienza – “Da Qin”. Particolarmente significativa è l’attitudine – già riscontrabile nella Stele di Xi’an – a riformulare il messaggio evangelico in un linguaggio accessibile a destinatari di cul-tura cinese, impiegando cioè concetti e termini tipici del taoismo e del buddhismo per esprimere le verità cristiane.

Da: La stele di Xi’an È il documento più importante e famoso che testimonia la diffusione del vangelo in Cina. Si tratta di una stele risalente alla fine dell’VIII secolo, che racconta le vicende dell’arrivo di religiosi persiani della Chiesa siro-orientale nella capitale dell’impero cinese e delle vicende delle comunità cristiane da loro fondate tra il 635 e il 781. La stele fu scoperta intorno al 1625, pochi anni dopo la morte di Matteo Ricci, il grande missionario gesuita (1552-1610) che tanto fece per tentare una ritraduzione del messaggio evangelico nell’ambiente culturale cinese. La stele è opera di un monaco, Adam-Jingjing, che si è probabilmente avvalso dell’aiuto di monaci buddisti, ispirandosi altresì ad uno scritto celebrativo di un loro monastero. Leggiamo la parte più “dogmatica” per apprezzare la pre-sentazione del cristianesimo con concetti, linguaggio e immagini cinesi (testo in: TESTI CRISTIANI CINESI ANTICHI (SECOLO VIII), La via della Luce. Stele di XI’an. Inno di lode e di invocazione alle tre Maestà della religione della Luce [= Testi dei Padri della Chiesa 51], Edizioni Qiqajon Monastero di Bose, Magnano, 2001, pp. 22-31 passim).

Si dice che [vi sia un Essere] eterno nella sua verità e stabilità, senza origine e al di qua di ogni inizio; insondabile nella sua spiritualità e immutabilità, Essere trascendente al di là di ogni fine; il quale, disponendo del misterioso cardine del mondo, crea e trasforma [ogni cosa]; Supremo Venerabile, [egli] ispira ogni santità: ma questo non è forse proprio Dio, l'Essere trascendente della nostra Triunità, vero Signore senza origine? Tracciando una croce, egli ha separato le quattro regioni dello spazio; suscitando lo spirito primordiale, ha dato origine ai due soffi. Le tenebre e il vuoto furono trasformati, e il cielo e la terra furono separati; il sole e la luna iniziarono a ruo-tare, e il giorno e la notte cominciarono ad alternarsi. Dopo aver forgiato e portato a compimento tutte le cose, creò il primo uomo: a lui diede, differenziandolo [dagli altri esseri viventi], ogni buona qualità in armonia e il dominio sulle mi-riadi di creature. La natura umana originaria era pura e umile, e il suo cuore, semplice e sereno, era nella sua essenza libero da passioni disordinate. Ma venne Satana che con la menzogna ingannò la sua essenza pura: egli causò la separazione di ciò che è comunemente ritenuto nobile dal [vero] bene, insinuando così con un falso pretesto un'oscura identità tra quello e il male. In questo modo i trecentosessantacinque principi iniziarono a susseguirsi l'uno dopo l'altro e ad aprirsi le loro vie, intrecciando una rete di [varie] dottrine: alcuni di essi indicarono le cose materiali come le vere realtà da adorare; altri portarono all'eliminazione della distinzione tra essere e non-essere; altri [indicarono] la preghiera e i sacrifici come mez-zo per ottenere la benedizione; altri ancora esaltarono la bontà [della natura umana] per ingannare gli uomini. [Di fronte a ciò] l'uomo, con la sua conoscenza e il suo intelletto, si sforzò di operare un discernimento, ma i suoi pensieri e le sue

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intenzioni erano ormai stati resi completamente schiavi [dal potere di Satana], e l'uomo non poté più nulla. Il suo tor-mento e la sua angoscia divennero fuoco divorante; egli, sprofondato ancora di più nell'oscurità, smarrì definitivamente il cammino, e vagò a lungo incapace di ritrovare la via del ritorno. [Allora] la nostra Triunità divise il suo Essere [divino], e il Radioso Venerabile Messia, spogliando se stesso e celando la sua vera maestà, apparve come uomo. Un angelo portò la benedizione a una vergine, che diede alla luce il Santo pres-so Da Qin. Un astro luminoso annunciò il lieto evento, e dalla Persia, avendo scorto lo splendore della stella, vennero a rendergli omaggio con doni. Portando a compimento l'antica legge esposta dai ventiquattro santi, egli insegnò come governare famiglia e nazione secondo il suo grande piano. Stabilì la nuova dottrina fondata sullo Spirito puro della Triu-nità e [perciò] ineffabile: in questo modo egli formò [l'uomo] alla virtù attraverso la retta fede. Definendo la norma degli otto precetti, purificò l'uomo dalla corruzione e lo [ri]portò alla sua vera condizione. Aprendo le porte delle tre virtù co-stanti, dischiuse la vita e abolì la morte. Sospendendo [nel cielo] il sole luminoso, distrusse la dimora delle tenebre. In questo modo tutti gli inganni del demonio furono definitivamente annientati. Postosi ai remi della Barca della misericor-dia, ascese al Palazzo della luce, e condusse nella traversata verso la salvezza [tutti] gli esseri animati. Avendo così portato a termine la sua potente opera, nell'ora meridiana ascese infine alla Verità. Egli lasciò i ventisette libri della Scrittura, i quali espongono [agli uomini] la grande trasformazione [da lui operata], abbattendo così i limiti dello spirito [umano]. La sua dottrina prevede l'immersione nell'acqua e nello Spirito, grazie alla quale l'uomo viene mondato dalle vanità e purificato, ritrovando così la sua purezza e il suo candore. La croce che [i cristiani] portano come emblema unisce nella luce i quattro orizzonti della terra, radunando insieme ciò che era disperso. Battendo il legno, diffondono un suono che incita alla bontà e alla benevolenza. Nelle loro cerimonie si volgono verso est, e avanzano rapidamente sulla via della vita e della gloria. Si lasciano crescere la barba in segno del loro ministero pubblico, e si rasano la sommità del capo per ricordare che non hanno volontà propria. Non tengono servi né serve presso di sé, e considerano sullo stesso piano gente altolocata e gente di umili origini. Non accumulano beni né ricchezze, offrendo loro stessi un esempio di assoluta rinuncia. Completano i loro digiuni con l'isolamento e la meditazione; rendono salda la loro disciplina attraverso la quiete e la vigilanza. Sette volte al giorno si ritrovano per la preghiera e la lode, invocando la divina protezione sui vivi e sui morti. Una volta ogni sette giorni celebrano il culto, puri-ficando così il loro cuore e ritornando alla loro [originaria] purezza. Questa Via vera e immutabile è trascendente e difficile da definire con un nome: tuttavia la sua efficace azione si mani-festa in modo così luminoso che, sforzandoci di descriverla, la chiameremo con il nome di religione della Luce. Ma la Via da sola senza [l'azione di] un Santo non potrebbe diffondersi, e [così pure] un Santo senza la Via non potrebbe rag-giungere la [vera] grandezza. Soltanto quando la Via e il Santo si congiungono come [le due parti di] un accordo, il mondo è istruito e illuminato. Quando Taizong, imperatore dalle colte virtù, inaugurò il suo regno glorioso e splendido, si rivelò un saggio illuminato nel governo del suo popolo. [A quel tempo] nel regno di Da Qin vi era [un uomo di] virtù superiore, chiamato Aluoben, il quale, avendo scrutato i segni delle nuvole azzurre, prese [con sé] le vere Scritture, e avendo esaminato le note musi-cali dei venti, attraversò difficoltà e pericoli: nel nono anno dell'era Zhenguan egli arrivò dunque a Chang'an. L'imperato-re inviò il suo ministro di stato, il duca Fang Xuanling, con la guardia imperiale nel quartiere occidentale della città per accogliere il visitatore e introdurlo a palazzo. [L'imperatore] fece tradurre le Scritture nella Biblioteca [imperiale] ed esa-minò attentamente quella Via [all'interno] delle porte proibite: egli giunse così ad essere profondamente convinto della fondatezza e della verità [di quella dottrina], e diede speciali ordini affinché essa potesse essere propagata. D'autunno, nel settimo mese del dodicesimo anno dell'era Zhenguan, fu promulgato il seguente decreto imperiale: «La Via non ha un nome immutabile, il Santo non ha un'apparenza corporea immutabile: ogni regione della terra ha il suo proprio insegnamento religioso, [così che] tutti i viventi possano essere condotti misteriosamente alla salvezza. Il Grande Virtuoso Aluoben, del regno di Da Qin, è venuto da molto lontano per presentare le Scritture e le immagini [del-la sua religione] nella nostra suprema capitale. Avendo esaminato attentamente la natura del suo insegnamento, [ab-biamo trovato che esso] è non-azione misteriosa; avendo valutato i suoi elementi essenziali, [abbiamo concluso che es-si] riguardano le esigenze fondamentali della vita umana e del suo perfezionamento. Il suo linguaggio è semplice e scarno, e i suoi princìpi permangono anche dopo che è passata l'occasione per i quali erano stati stabiliti. [Questo inse-gnamento] conduce alla salvezza [tutte] le creature, e [da essa] traggono benefici [tutti] gli uomini. Sia concessa [dun-que] la sua diffusione nei territori dell'impero, e le autorità competenti costruiscano immediatamente un monastero di Da Qin nel quartiere Yining della capitale, con un numero di ventun religiosi».

Da: La via del Cielo. Libro sull’ascolto del Messia. Primo rotolo Testo databile tra il 618 e il 907, mostra un dialogo profondo con il buddhismo, nell’utilizzo signifi-cativo di vocabolario e concetti presi da quella tradizione sapienziale al fine di riesprimere e rende-re comprensibile il messaggio cristiano in un contesto culturale totalmente diverso. Questo scritto testimonia altresì la collaborazione esistente tra monaci cristiani e buddhisti nella capitale cinese (Chang’an) dei secoli VII-IX, che portò a un mutuo scambio di aiuto e conoscenze in riferimento non solo alla traduzione cinese di testi cristiani, bensì anche nella traduzione dal sanscrito di testi bud-

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dhisti. Si nota il nome di Dio: il Venerabile del Cielo, che prova compassione per gli uomini, incapaci di compiere il bene (testo in: TESTI CRISTIANI CINESI ANTICHI, La via del Cielo. Libro sull’ascolto del Messia. Primo rotolo [= Testi dei Padri della Chiesa 75], Edizioni Qiqajon Monastero di Bose, Ma-gnano, 2005, pp. 32-40 passim).

Nessuno di coloro che hanno accolto i precetti faccia del male agli altri, [ma] si mostri sempre cordiale nei confronti di tutti gli esseri viventi. Anche se tu sei afflitto dal male, non desiderare il male altrui. Dei molti [precetti], pochi sono es-senziali: ognuno faccia sempre il bene a tutti gli esseri viventi. Se qualcuno desidera conoscere [questi precetti], [sappia che] coloro che li hanno accolti li hanno messi per iscritto... Il Venerabile del cielo ha disposto che gli esseri viventi obbediscano a lui: chi gli obbedisce non permetterà che gli esse-ri viventi vengano uccisi, nemmeno per i sacrifici. Coloro che non obbediscono a questo insegnamento uccidono gli es-seri viventi e li sacrificano, e poi ne mangiano le carni; si affidano agli dèi falsi e uccidono agnelli e altri [animali]. Coloro che, non compiendo il bene, non obbediscono a questo insegnamento e dispongono che gli [altri] uomini facciano altret-tanto, questi si volgono indietro a compiere il male, e di conseguenza volgono le spalle anche al Venerabile del cielo. Il Venerabile del cielo, vedendo gli esseri umani in questa situazione, provò grande compassione. [Dal momento che,] incitati a compiere il bene, essi non gli obbedivano, il Venerabile del cielo inviò il dolce Spirito su una vergine, il cui no-me è Maria. Il dolce Spirito entrò nel ventre di Maria e, secondo quanto aveva ordinato il Venerabile del cielo, Maria ri-mase subito incinta: ciò avvenne perché il Venerabile del cielo aveva inviato il dolce Spirito, [mentre] accanto alla Ver-gine non vi era un uomo responsabile della gravidanza. [Questo] provocò che tutti, vedendo che non vi era un uomo re-sponsabile della gravidanza, dicessero tra loro: «Il Venerabile del cielo è davvero potente!»; inoltre [ciò] indusse gli uo-mini a ritornare a volgersi verso la causa del bene con fede e purezza. Maria, terminata la gravidanza, partorì un figlio maschio, il cui nome è Gesù. La paternità è da attribuire al dolce Spirito, ma vi furono alcune persone ignoranti che dissero: «Se è così, allora la responsabilità della gravidanza e il parto sono da attribuire allo Spirito. Ma in questo mondo [non può essere così], [poiché in esso] vi è un santo sovrano che emana i decreti: basta una sua delibera e si viene allontanati, e così tutti gli uomini vi si sottomettono». Il Venerabile del cielo fa splendere dall'alto dei cieli la sua luce in cielo e sulla terra. Al momento della nascita di Gesù il Messia nel mondo se ne vide il brillante effetto in cielo e sulla terra: una stella fu riconosciuta nel cielo; la stella era grande come la ruota di un carro, e rischiarò la dimora del Venerabile del cielo. In quel momento [il Messia] nacque nel-la città di Gerusalemme, nel paese di Fulin. Dopo che furono trascorsi cinque anni dalla nascita del Messia, [egli] iniziò a parlare e a predicare la legge, nonché a operare il bene verso tutti i viventi. Passati dodici anni, [il Messia] si recò nel luogo della purificazione chiamato Giordano, per essere segnato e immerso nel fiume da Giovanni. Giovanni, che fin da principio fu discepolo del Messia, si prostrò dinanzi al santo. [Giovanni], che viveva in una caverna, durante tutta la sua vita non mangiò carne né bevve vino, ma si nutrì soltanto di verdure crude e di miele, miele della terra. In quel tempo molti andavano da Giovanni per la cerimonia dell'immersione, ritornando così ad aderire ai precetti. Allora Giovanni lasciò che il Messia entrasse nel Giordano per il lavacro. Il Messia, dopo essere entrato nel fiume, uscì dall'acqua, e avvenne che il dolce Spirito scese dal cielo: il suo aspetto era simile a una piccola colomba, che si posò sopra il Messia. Nell'aria [una voce] disse: «Il Messia è mio figlio. Tutti i viventi che sono nel mon-do si sottomettano alle volontà del Messia: ciò che egli dispone è che tutti compiano il bene». Il Messia ha mostrato ai viventi la via del cielo, quale è stata predisposta dal Venerabile del cielo. Egli infatti] ha dispo-sto che tutti i viventi che sono nel mondo cessino di essere asserviti agli dèi [falsi]: coloro che, avendo ascoltato queste parole, cessano di essere asserviti agli dèi [falsi] e cessano di fare il male, pongano la loro fede nelle azioni buone. Il Messia, dall'età di dodici anni fino all'età di trentadue, implorò che tutti gli uomini malvagi tornassero a volgersi verso la via del bene e delle azioni buone. Il Messia aveva dodici discepoli, che in seguito patirono sofferenze. I morti veniva-no riportati alla vita, i ciechi ottenevano la vista, coloroil cui aspetto era deforme venivano in seguito sanati, i malati ve-nivano curati e [le loro malattie] eliminate, coloro che erano soggiogati dai demoni ne erano liberati, perfino gli zoppi ve-nivano guariti. Tutti i malati si avvicinavano al Messia e, afferrando il [suo] abito, venivano guariti. Ma nemmeno in quel tempo mancavano coloro che compivano il male, che non si erano volti verso la via del bene, che non credevano all'insegnamento del Venerabile del cielo, che erano impuri e avidi di guadagno. [Così] vi furono alcuni uomini colti, amanti del vino e della carne, asserviti agli dèi [falsi], che, persistendo nelle loro calunnie e nella loro invi-dia, desideravano che [il Messia] fosse ucciso. Molti però credevano a quell'insegnamento, così che sarebbe stato im-possibile uccidere il Messia. In seguito gli uomini malvagi si unirono e sobillarono gli uomini fedeli e puri, inducendo così anche i governanti a volere la morte del Messia. Per lui non vi fu più modo di sfuggire al gran re. Gli uomini dalle parole e dalle azioni malvagie calunniarono il Messia, presentando come malvagità il fatto che egli avesse compiuto il bene e per di più lo avesse anche insegnato agli altri. Compiuti i trentadue anni, [il Messia] fu condotto in giudizio davanti al gran re Pilato da quegli uomini dalle azioni mal-vagie. Di fronte a Pilato [essi] dissero: «Il Messia merita la condanna a morte». Il gran re indagò tutte le cause della [sua] malvagità, portate a testimonianza contro il Messia. Davanti al gran re Pilato venne considerata l'opportunità della condanna a morte del Messia. Il gran re, sul punto di dare disposizioni circa l'opportunità della condanna a morte di

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quell'uomo, [disse]: «In verità io non sento e non vedo [nulla a sua colpa]: quest'uomo non merita la morte». [Infatti] ciò era stato orchestrato da quegli uomini malvagi. Il gran re disse: «Io non posso uccidere quest'uomo». Ma gli uomini malvagi dissero: «Se quest'uomo non verrà messo a morte, [ne andrà dei] nostri uomini e delle nostre donne». Il gran re Pilato chiese dell'acqua e si lavò le mani; [poi], di fronte agli uomini malvagi, [disse]: «Io non posso davvero uccidere quest'uomo». Ma gli uomini malvagi insistevano nel richiedere [la condanna], così che non fu più possibile che [il Mes-sia] fosse risparmiato dalla morte. Il Messia consegnò se stesso ai malvagi, a beneficio di tutti i viventi. Perché gli uomini del mondo sapessero che la loro vita è come una candela che sta per estinguersi, [egli] donò la sua vita e patì la morte in riscatto dei viventi di questo mondo. Il Messia consegnò se stesso e patì la morte. Gli uomini malvagi condussero il Messia in un altro luogo, nel quartiere delle esecuzioni, il cui nome è Golgota, e lo legarono al legno. Condussero [là] anche due ladroni, uno alla sua sinistra e uno alla sua destra. Quel giorno, in cui il Messia restò legato al legno per cinque ore, era il digiuno del se-sto giorno. Lo legarono all'alba, e fino al tramonto vi fu buio dappertutto. La terra tremò e le montagne crollarono. Tutti i sepolcri della terra si aprirono e tutti i morti riebbero la vita...

4. La Chiesa d’Etiopia La “scoperta” dell’Etiopia in Occidente Fino a ben dopo l’anno 1000 non si aveva un concetto chiaro della localizzazione dell’Etiopia: vi

era piuttosto un’idea confusa di quello che veniva chiamato “Regno del Prete Ianni”. Questa ignoran-za durò fino al secolo XV, quando alcuni monaci etiopici furono accolti e ospitati in Vaticano. Le pri-me testimonianze di una conoscenza dell’Etiopia ci vengono da un codice custodito a Firenze che mo-stra itinerari in Etiopia e risale probabilmente al regno di Re Dawid (1382-1401), contenente anche una raccolta lessicale integrata dalle informazioni ricevute da un monaco nel 1503.

La prima cartina conosciuta dell’Etiopia in Occidente è opera di un certo Fra Mauro e si trova a Venezia nel 1457. Nel giugno del 1459 il duca di Milano Francesco Sforza prega Simon Jacobo e il Pre-te Ianni di mandargli libri sull’Etiopia (dobbiamo ricordare che nel XV secolo i romanzi cavallereschi menzionano abbondantemente e con tratti leggendari la figura del Prete Ianni).

Per tornare invece alle testimonianze storiche, abbiamo notizia di pellegrini abissini a Roma fin dal pontificato di Sisto IV (1461-1484), che li ospita nella chiesa di S. Stefano. Nel settembre 1539, poi, Paolo II compra una casa che diviene il convento di S. Stefano “dei Mori” e viene loro destinato, diventando il primo “centro europeo di studi etiopici”.

Nel 1512, in occasione del Concilio Lateranense V, è documentata a Roma la presenza di Etiopici e Siro-caldei, la cui liturgia viene esaminata da parte di un canonico del Laterano, che tuttavia fatica as-sai a trovare un interprete. È così che – a partire dall’aiuto offerto dai pellegrini abissini – si inizia uno studio della lingua che porta, nel 1513, alla prima stampa in etiopico: un Salterio con aggiunta di inni. Giovanni Potken, che è lo stampatore, ritorna poi a Colonia, sua patria e ristampa il salterio, dif-fondendo l’interesse per l’etiopico.

Nel frattempo, l’Etiopia è dilaniata dalle guerre tra musulmani e cristiani: per questo i profughi

che scappano a Roma permettono lo studio dell’Etiopico. Abbiamo il ricordo di tre monaci provenien-ti da Dabra Libanos, famoso monastero etiopico, che favoriranno la conoscenza e la stampa di libri in etiopico, grazie anche all’opera di “Pietro Indiano”, nato a Roma, che nel 1548 pubblica i Vangeli e le lettere paoline. Del 1552 è la prima grammatica etiopica, ad opera del Vittori, e intorno a quest’epoca abbiamo anche i primi rapporti politici “ufficiali”: un’ambasciatore etiopico a Roma e un’ambasceria portoghese che per sei anni rimane in Etiopia. Anche S. Ignazio di Loyola prepara missionari per l’Etiopia, ma solo nel secolo XVII alcuni gesuiti riusciranno ad entrare in quel paese, studiandone a fondo l’ambiente e la storia.

L’introduzione del Cristianesimo nel regno di Axum L’Etiopia, per la sua posizione geografica, ha sempre avuto rapporti commerciali con lo Yemen, il

mitico paese della regina di Saba. Nel I secolo d.C. troviamo nel nord il regno di Axum, una monar-chia indipendente che ha tra i suoi “miti di fondazione” quello della discendenza della propria casa reale dalla regina di Saba e da Salomone tramite il loro figlio, Menelik, al quale Salomone avrebbe conferito l’unzione regale e affidato l’arca dell’alleanza e le tavole della legge.

1Re 10:1 La regina di Saba, sentita la fama di Salomone, venne per metterlo alla prova con enigmi. 2 Venne in Gerusa-lemme con ricchezze molto grandi, con cammelli carichi di aromi, d'oro in grande quantità e di pietre preziose. Si pre-sentò a Salomone e gli disse quanto aveva pensato. 3 Salomone rispose a tutte le sue domande, nessuna ve ne fu che

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non avesse risposta o che restasse insolubile per Salomone. 4 La regina di Saba, quando ebbe ammirato tutta la sag-gezza di Salomone, il palazzo che egli aveva costruito, 5 i cibi della sua tavola, gli alloggi dei suoi dignitari, l'attività dei suoi ministri, le loro divise, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tempio del Signore, rimase senza fiato. 6 Al-lora disse al re: «Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua saggezza! 7 Io non a-vevo voluto credere a quanto si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non hanno visto; ebbene non me n'era stata riferita neppure una metà! Quanto alla saggezza e alla prosperità, superi la fama che io ne ho udita. 8 Beati i tuoi uomini, beati questi tuoi ministri che stanno sempre davanti a te e ascoltano la tua saggezza! 9 Sia benedetto il Signore tuo Dio, che si è compiaciuto di te sì da collocarti sul trono di Israele. Nel suo amore eterno per Israele il Signore ti ha stabilito re perché tu eserciti il diritto e la giustizia». 10 Essa diede al re centoventi talenti d'oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono mai tanti aromi quanti ne portò la regina di Saba a Salomone. 11 Inoltre, la flotta di Chi-ram, che caricava oro in Ofir, portò da Ofir legname di sandalo in gran quantità e pietre preziose. 12 Con il legname di sandalo il re fece ringhiere per il tempio e per la reggia, cetre e arpe per i cantori. Mai più arrivò, né mai più si vide fino ad oggi, tanto legno di sandalo. 13 Il re Salomone diede alla regina di Saba quanto essa desiderava e aveva domanda-to, oltre quanto le aveva dato con mano regale. Quindi essa tornò nel suo paese con i suoi servi. Questo scarno racconto biblico viene ampliato, nella tradizione etiopica, nell’opera “Kebra nagast”

(Gloria dei Re), una cronaca dei re d’Etiopia destinata a legittimare il potere della dinastia “salomoni-ca” installatasi sul trono a partire dal XIII secolo. Secondo questo racconto, la regina di Saba sarebbe stata sovrana dell’Etiopia, e avrebbe concepito un figlio da Salomone, Menelik (dall’ebraico ben melek o dall’arabo ibn malik – figlio di re). Giunto all’adolescenza, Menelik volle conoscere suo padre e partì per Gerusalemme con la benedizione della regina madre, mostrando una tale somiglianza con il pa-dre, che il popolo di Israele stentava a distinguerli. Salomone avrebbe voluto il figlio Menelik (Meni-lek) come successore, ma il giovane gli spiegò che il suo posto era in Etiopia. Salomone allora accon-sentì a lasciarlo partire, insieme ai primogeniti di Israele, e all’ultimo momento, con l’aiuto di giovani sacerdoti, Menelik e compagni riuscirono a rubare l’Arca dell’Alleanza, portandola in Etiopia. Essa sarebbe ancora lì, collocata – come vuole una tradizione ancora oggi molto viva – nella Cattedrale di Sion ad Axum. Sempre secondo il Kebra Nagast, gli Etiopi si sarebbero convertiti all’Ebraismo, prepa-randosi così a riconoscere il Messia e ad unirsi ai suoi discepoli. Ciò sarebbe accaduto con il battesimo dell’eunuco etiope.

Un altro racconto dal sapore leggendario vede l’introduzione del Vangelo in Etiopia come frutto della conversione dell’Etiope, funzionario della regina Candace, di cui parla At 8,26ss.

At 8:26 Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e và verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». 27 Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etiope, un eunuco, funzio-nario di Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, 28 se ne ri-tornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia. 29 Disse allora lo Spirito a Filippo: «Và avanti, e rag-giungi quel carro». 30 Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leg-gendo?». 31 Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32 Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora fu condotto al macello e come un a-gnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. 33 Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita. 34 E rivoltosi a Filip-po l'eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». 35 Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù. 36 Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c'era acqua e l'eunuco disse: «Ecco qui c'è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?». 38 Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò. 39 Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino. Ma questo racconto presenta notevoli elementi di problematicità: “Candace” era il titolo attribuito

ai sovrani dell’Etiopia e del Sudan… Di questa leggenda cosa rimane? Certamente il fatto che, nonostante dal punto di vista etnografico

gli Etiopi appartengano al gruppo cuscitico, l’Etiopia ha subito moltissime influenze semitiche, fino ad avere una lingua imparentata con arabo, ebraico e aramaico. In Etiopia esistette poi per secoli una comunità giudaizzante di origini misteriose, i Falasha, che si attribuiscono il nome di Beta Israel (Ca-sa d’Israele); numerosi autori hanno poi sottolineato il significativo permanere di usi veterotestamen-tari (circoncisione, sabato, arca dell’alleanza) nel cristianesimo etiopico.

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Axum era in realtà una città fiorente di commerci e conosciuta nel medio Oriente, nella quale c’era una presenza di Ebrei e di Cristiani: mercanti Greci e Romani con le loro famiglie, che costituivano una piccolissima minoranza. Dal punto di vista storico, è Rufino di Aquileia, Padre della Chiesa (345-410 ca.) che scrive nella seconda metà del IV secolo, a raccontarci la cristianizzazione dell’Etiopia. Egli racconta che un tale Merobio, filosofo, si dice volesse penetrare nell’India ulteriore per esplorarne i luoghi. Costui partì da Tiro, portando con sé due giovanetti che educava nelle lettere: Edesio e Frumenzio. Mentre erano sul-la via del ritorno, la nave su cui viaggiavano fece naufragio sulle coste etiopiche. I giovani vennero catturati dal re di Axum, che dopo alcune vicissitudini – probabilmente anche grazie alla cultura di cui i due fratelli diedero mostra - fece di Edesio il suo coppiere e a Frumenzio affidò il tesoro. Alla morte del re, la regina gli succedette, facendo da reggente al figlio bambino, e Frumenzio divenne primo ministro per volontà della sovrana. Egli iniziò allora a ricercare con più cura se tra i mercanti vi fossero dei cristiani, e per loro ottenne la possibilità di riunirsi a pregare ed avere un luogo di culto. Quando il principe crebbe, i due fecero per lasciare il paese. Mentre Edesio si affrettò a rientrare a Ti-ro, Frumenzio si recò ad Alessandria, ritenendo che non andasse nascosta l’esistenza di una comunità cristiana ad Axum. Incontrò dunque Atanasio, vescovo di Alessandria, e gli chiese un vescovo, ma in tutta risposta ricevette egli stesso l’episcopato e fu rimandato in Etiopia come pastore. Lì convertì molti pagani e fece dell’Etiopia un popolo cristiano. Rufino apprese queste cose da Edesio stesso, di-venuto poi a Tiro presbitero, e denomina il paese di cui narra le vicende “India Ulterior”. Vi sono altri documenti, però, che ci aiutano a comprendere meglio la testimonianza di Rufino: nel 356, infatti, l’imperatore Costanzo – figlio di Costantino – scrive ai due sovrani di Axum Ezanas e Sa-zanas, invitandoli a rimandare Frumenzio ad Alessandria per sottomettersi al patriarca Giorgio, da lui posto sul trono episcopale al posto di Atanasio; ora, sulle monete d’oro del re Ezana compaiono simboli cristiani, e nelle sue iscrizioni troviamo l’espressione “Dio del Cielo”, tipicamente cristiana. Possiamo dunque collocare la conversione di questo re nella prima metà del IV secolo. Dal punto di vista canonico, questa testimonianza ci mostra l’origine di una storia millenaria di dipendenza dalla Chiesa alessandrina della Chiesa etiope. Nel V secolo le testimonianze sul cristianesimo etiope si moltiplicano: Gerolamo, che morì intorno al 420 a Betlemme, testimonia che “torme di monaci” si recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme, per visitarne i luoghi santi, e quindi ci narra indirettamente la diffusione del cristianesimo, in modo tale che all’inizio del VI secolo possiamo parlare di uno stato cristiano. Nel V-VI secolo uno scritto più tardo colloca la testimonianza di un gruppo di monaci provenienti dalla Siria, che avrebbero operato la cristianizzazione dell’Etiopia interna, morendo poi come martiri. Certo è che in questa epoca si colloca la fondazione di monasteri e la traduzione in ge’ez della Bibbia, comprendente anche numerosi apocrifi. La presenza di numerose parole di origine siriaca nella lin-gua ge’ez, relativamente ai termini di carattere religioso, ci testimonia ulteriormente l’importanza dei missionari siriani per la chiesa etiopica. Su questi “nove santi” provenienti da Siria, Roma, Asia e Costantinopoli (secondo la leggenda) si sono sviluppati molti racconti agiografici. Essi sarebbero stati dapprima in contatto con San Pacomio, nell’alto Egitto, e da lì sarebbero poi arrivati ad Axum per imparare l’etiopico e disperdersi poi nel pa-ese. In ogni caso, è in questo periodo che si colloca la nascita del monachesimo etiopico. I secoli VII-XII vedono una decadenza civile e religiosa dovuta anche all’“accerchiamento” che l’Etiopia vive, a motivo dell’espansione musulmana. Axum perde i suoi possedimenti in Arabia (alla fine del VI secolo, nel tempo della nascita di Maometto, gli axumiti erano arrivati ad attaccare la Mec-ca) e l’invasione persiana mette definitivamente fine alla presenza etiopica in Arabia. Ma il re Armah di Axum, si tramanda, accolse e protesse i discepoli di Muhammad, perseguitati in Arabia: a ciò si do-vrebbe il fatto che il suo territorio fu risparmiato dalle conquiste musulmane dei secoli VII e VIII. Ma il crescente potere degli stati musulmani portò comunque allo sgretolamento del regno di Axum: resi-stette un piccolo regno cristiano nella regione del Lasta, ove troviamo testimonianze artistiche insigni quali le chiese monolitiche di Lalibelà (costruite dal 1190 al 1225 circa dalla dinastia Zagwe). Questa epoca fu assai felice per la devozione religiosa, come mostra la “replica” di Gerusalemme costruita a Lalibelà per venire incontro a quanti non potevano recarsi a Gerusalemme. Nei secoli XIV-XV il cambiamento dinastico che vede i salomonidi (dal 1270 al 1974) succedere a-gli Zaguè, ormai dilaniati da violenti conflitti intestini, porta con sé anche una nuova fioritura per la Chiesa etiopica, pur se funestata da una serie di eresie trinitarie o cristologiche che hanno origine so-prattutto negli ambienti monastici, e contro le quali si opporranno i re etiopici. In questo periodo tro-

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viamo la grande figura di san Tekla Haymanot, uno dei più grandi santi monaci etiopici. Non a caso, perché in questo periodo abbiamo una grande diffusione del monachesimo, che attira anche molti giovani aristocratici. Purtroppo, i secoli XIV e XV videro anche una serie di divisioni interne alla chie-sa, dovute agli eustaziani che osservavano “i due sabati”. Lo scisma fu sanato nel XV secolo dal re Za-ra Yaqob, che pure mandò delegati etiopici al Concilio di Ferrara-Firenze (1438-1441). Il XVI secolo vede una impegnativa lotta di resistenza contro l’invasione mussulmana, nella quale vengono chiamati in soccorso i portoghesi. Arrivano anche i Gesuiti, e la possibilità di una riunione con il cristianesimo cattolico sembrerà a volte vicina, anche se vivrà alterne vicende. Nel 1959 la Chiesa etiopica è divenuta autocefala, ovvero indipendente dalla Chiesa di Alessandria.

Tra i caratteri specifici della Chiesa Etiopica possiamo annoverare questi tratti: - è la prima Chiesa autoctona dell’Africa nera; - è una Chiesa che elabora una propria cultura religiosa cristiana, contemplando – ad esempio – l’utilizzo liturgico della danza e dei sistri, nonché la celebrazione festiva anche del sabato, oltre che della domenica (cf. un possibile collegamento con la tradizione siriaca, da cui pure viene un risalto particolare al sabato presente anche nel rito ambrosiano); - fa un largo utilizzo degli apocrifi veterotestamentari, arrivando a diventare uno dei principali canali di tradizione per alcuni testi: il libro di Enoch, il libro dei Giubilei, l’Ascensione di Isaia: - oltre alla celebrazione festiva del sabato, possiamo ricordare altri elementi di ascendenza giudaica presenti nella spiritualità etiopice: l’uso di custodire un simulacro dell’arca dell’alleanza nelle Chiese e la pratica della circoncisione maschile. Il Monachesimo è molto diffuso in Etiopia, ma arriva a sviluppare caratteristiche singolari e distin-tive relativamente – ad esempio – alle forme di ascesi e ai modelli agiografici.

Dagli Atti di san Takla Hāymānot (1215-1313) Uno dei santi più importanti della tradizione etiopica, grande fondatore di monasteri tra cui quello – ancora oggi abitato da centinaia di monaci e monache – di Dabra Libānos. Viene raffigurato normalmente con un solo piede, per indicare le conseguenze della sua rigidissima ascesi.

San Takla Hāymānot abbraccia l'eremitismo «Allora nostro padre san Takla Hāymānot si mise a riflettere e disse: "Ahimè, ahimè misero! Cosa risponderò il giorno in cui il giusto Giudice verrà? Mi ricordo della sua parola che dice: 'Nessuno entrerà nel Regno dei cieli se non farà la giu-stizia del Padre mio che è nei cieli'. Povero me, dove fuggirò e dove troverò rifugio davanti alla sua collera contro i vivi? Povero me, povero me, non sono rivestito di alcuna buona opera per le nozze del cielo. Sono come il sale con cui il cibo è salato: quando perde sapore, lo si getta sulla strada e gli uomini lo calpestano. Sono come una lampada spenta, che nessuno riesce a riaccendere e rimane nell'oscurità. Chi può guarire il medico che non riesce a guarire se stesso? Così la mia anima in me: ho salato gli altri, ma io stesso sono senza sapore; ho illuminato il mondo, ma sono divenuto tene-bra per me stesso; ho fatto il medico per gli altri, ma io stesso sono una creatura malata". E richiamava ancora alla sua anima le parole del profeta che dicono: "Non concederai sonno ai tuoi occhi, né riposo alle tue palpebre finché la tua anima non sia liberata come agnello dalla trappola ed uccello dalla rete del cacciatore". Si co-struì in mezzo al deserto una cella, sufficientemente larga a destra e a sinistra da consentirgli di restare in piedi. All'in-terno, dove avrebbe potuto sedersi, fissò otto punte taglienti di ferro per pungergli il corpo, due a due, davanti, dietro, a destra e a sinistra. Il suo corpo era molto debole e delicato: egli era giunto in età avanzata e non poteva più muoversi come prima. Ecco perché desiderò restare in piedi». Stava là, in piedi, senza mai uscire dalla cella, né di giorno né di notte. Non sedeva, non si girava né a destra né a sini-stra, e non si nutriva né di erbe verdi né di acqua, tranne il sabato. Quanto al cibo monastico ordinario, non ne mangiò mai più fino al giorno della morte. Non prestava attenzione né al sole, né alla luna, né alle stelle, estate e inverno; non osservava le piante coltivate, i fiori o i frutti. Benché provvisto di occhi, era come cieco; benché dotato di orecchie, era come sordo; benché la sua voce fosse soave e melodiosa, divenne come animale muto: non pronunciò mai una parola ad eccezione di quelle con cui lodava il Signore, cosa questa che faceva giorno e notte. Il mondo gli appariva come una realtà effimera e sporca. Era crocifisso con Cristo, e la sua anima era rapita nel più alto dei cieli. Visse in tal modo per lunghi anni, compiendo simili imprese». San Takla Hāymānot diventa storpio «Ora, dopo essere restato a lungo in piedi, uno dei femori si ruppe e cadde. I suoi discepoli lo raccolsero e, dopo averlo avvolto in bende di stoffa, lo seppellirono in chiesa ai piedi dell'arca. Dopo questo fatto, egli rimase ritto su una sola gamba per sette anni e, per quattro di questi anni, non bevve più acqua. Verso il finire del suo ministero spirituale, di-

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giunava in modo rigoroso come i profeti, predicava il Vangelo come gli apostoli e si consegnava alle sofferenze e ai tormenti come i martiri, mentre conduceva vita solitaria come i monaci. Digiunava a tal punto che la pelle era come tira-ta contro le ossa e vi si potevano contare le costole, essendo stata eliminata la carne dal corpo. Ciò era dovuto alle nu-merose prostrazioni, che gli facevano traspirare come gocce di sangue. La sua preghiera divenne quale flusso di acque di una sorgente inesauribile. Anche quando prendeva un po' di riposo, un fiume di lacrime senza fine scorreva dai suoi occhi giorno e notte. Ma per quanto grande fosse il combattimento, quell'uomo santo non desiderava affatto una gloria passeggera, che anzi ripudiava, conformemente alla condanna con cui l'avevano colpita i Padri ispirati».

Dalla Effigie del padre nostro Habta Māryām L’effigie è una forma particolare di lode poetica religiosa, tipica della letteratura etiopica. Prevede uno schema fisso, che vede ogni strofa dedicata a lodare una parte del corpo del Santo. Leggiamo una parte dell’Effigie di Habta Māryām, santo monaco morto nel 1497, poco prima della invasione dell’altopiano etiopico operata dai musulmani guidati da Ahman Gragn, che portò una tremenda distruzione per l’Etiopia cristiana. Salve alle tue labbra, che stabilì porta della temperanza, e alla tua bocca, salve, che non gustò il cibo della malvagità; Habta Māryām, Kiros, che ripudiasti il mondo, ti ho costituito protettore dell'anima mia, poiché, dalla mia fanciullezza, ho fatto il male.

Salve ai tuoi denti, che non risero come i fanciulli, così pure la tua lingua, che non si assuefece allo scherno, Habta Māryām, la tua opera fu manifesta agli angeli: a chi, nel tuo nome, sfamò e a chi rivestì l'ignudo, concedi di riposare nel tuo seno.

Salve alla tua voce, proclamatrice dei 4 vangeli, e al tuo respiro insieme, che non fu disgiunto nel suo eremo, Habta Māryām, beato, adempitore dei 6 precetti, orsù, fammi comprendere: quanto è il compenso della tua santità? Poiché cerco le briciole che in esso sono rimaste.

Salve alla tua gola, con il tuo collo glorioso, che prese lo scapolare dalla mano del venerando Melchisedech; Habta Māryām, eletto, che sei senza macchia, proteggi, con il tuo aiuto, questa comunità, dall’insidia nascosta e dal nemico straniero

Salve alle tue spalle, che si curvarono per portare la croce, e al tuo dorso, salve, il cui indumento è una veste di luce, Habta Māryām, valoroso, garante di Dabra Libānos: chi, chi è che mi odia, chi? Poiché il Figlio ti amò, luce del mondo.

Salve al tuo petto e al tuo seno, che è amato come il seno di Dio, il convito che fece il figlio del tuono; Habta Māryām, così fa' sedere sempre coloro che hanno cura dei tuoi figli, questa comunità, mentre cercano la tua gloria.

Salve alle tue mani, congiunte con le tue braccia, che sono tese per compiere ogni precetto; Habta Māryām, nardo, cedro di Dabra Libanos, che fosti irrigato dalla tua fanciullezza da Takla Hāymānot, ruscello, il tuo profumo, per l'uomo che lo odora, è soave...

Salve alla tua mente, che non pensò la vita del mondo, e alle tue viscere innocenti che non tramarono malvagità; Habta Māryām, giorno che governa il sole, risana, col tuo calore, la mia anima ignuda, poiché, per il freddo della colpa, grida, dicendo: «Ahimé!»

Salve ai tuoi organi interni, che non si esauriscono dei loro beni, e al tuo ombelico, puro, vaso dell’unguento della fede; Habta Māryām, Giovanni, eletto del Figlio di Maria, tu vedesti ciò che gli angeli del cielo non videro, poiché il Figlio ti costituì, in tutto, suo compagno.

Salve ai tuoi fianchi, che cinsero il cingolo dei puri, e alle tue gambe che furono lontane dalle delizie del mondo; Habta Māryām, quando il Creatore ti portò in alto, mandò la folgore a chi ti aveva fatto torto, e per questo fatto il padre tuo perì...

5. Le Chiese dell’India I cristiani presenti in India meridionale hanno da sempre il nome di “Cristiani di san Tommaso”.

Tale nome indica l’autocoscienza di tali comunità, poiché esse si richiamano alla predicazione dell’Apostolo Tommaso, che nella loro terra (Madras) sarebbe stato martirizzato e sepolto, prima del-la sua traslazione a Edessa. Su questa lettura delle origini, tuttavia, gli studiosi occidentali non sono d’accordo, e sostengono che Tommaso mai si sarebbe recato in India. È in realtà da ricordare che – a livello storico – possiamo considerare ampiamente documentata la presenza di comunità ebraiche della diaspora sin dal I secolo a.C., come pure è noto che per aggirare il “blocco” dell’Impero partico, i Romani navigarono dall’Egitto (Mar Rosso) alle coste occidentali in-diane. Di per sé, quindi, non sarebbe inverosimile l’ipotesi di un viaggio di Tommaso fino in India. Tuttavia, la prima testimonianza relativa a Tommaso in India si trova negli apocrifi Atti di Tom-maso, redatti nella prima metà del III secolo in siriaco, con parti di chiara impronta gnostica (Canto della perla) e legato alla forma del romanzo ellenistico. Ma anche la Didascalia apostolorum (ca. 250) ed Efrem (nei suoi Inni) manifestano la medesima convinzione. Origene (vissuto tra la fine del II

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secolo e l’inizio del III), dal canto suo, afferma che la terra dei Parti (che si estendeva fino alla fine del I secolo anche al nord-ovest dell’India) sarebbe stata il luogo di predicazione di Tommaso. Accanto a questi dati, va segnalata la presenza di una tradizione ininterrotta nella stessa Chiesa indiana, che si presenta essa stessa come testimonianza viva: purtuttavia, dobbiamo notare che non vi sono stati nell’antichità storici indiani che abbiano ritenuto di dover scrivere la storia della loro Chie-sa… ma questo riflette probabilmente una concezione culturale che affida ad altro (poesia, consuetu-dini, calendario, feste…) il compito della memoria storica. Dal punto di vista “storico” (nel senso “occidentale” del termine), dal IV secolo abbiamo notizia dell’esistenza di rapporti che portano la chiesa assiro-persiana ad offrire aiuti alla chiesa indiana, ol-tre che della firma di un vescovo rappresentante delle Chiese dell’India al Concilio di Nicea. Ancora, un certo Teofilo detto l’Indiano avrebbe nella seconda metà del IV secolo visitato le comunità cristia-ne indiane indigene, riformandone alcuni costumi erronei ma approvando la loro dottrina. Cosma Indicopleuste, mercante, viaggiatore e scrittore egiziano parla, intorno alla metà del VI secolo, di una chiesa esistente nell’isola di Taprobane (Sri Lanka), con preti dipendenti da un vescovo ordinato in Persia. Viene da domandarsi se per caso non siamo qui di fronte a un fenomeno simile a quanto avvenne in Etiopia: infatti anche in India la figura episcopale siriaca era legata alla liturgia (celebrata consue-tudinariamente in siriaco, fino ad oggi!) mentre l’amministrazione della chiesa era in mano a un arci-diacono locale, considerato come il “vero” capo della chiesa. Le parrocchie erano poi condotte da as-semblee dei fedeli, ispirate alla “legge di Tommaso”, espressione di uno stile ecclesiale autonomo, che è stato definito “hindu quanto alla cultura, cristiana quanto alla religione e orientale quanto al culto”. Purtroppo le chiese indiane, tra loro in comunione e unite con la Chiesa assira, vengono quasi di-strutte dall’arrivo dei portoghesi (1498: Vasco de Gama approda in Malabar). In un primo momento i rapporti con i religiosi latini al seguito dei “colonizzatori” non furono negativi, ma verso il XVI secolo la situazione si deteriorò per il riacutizzarsi del sospetto occidentale contro ogni forma di cristianesi-mo non latino, nonché per la pretesa di giurisdizione ecclesiastica da parte dei portoghesi sulle Chiese indiane in comunione con il patriarcato di Seleucia. Nel 1599 il sinodo di Diamper, costellato di irre-golarità sostanziali e formali, impose il ripudio del patriarca dei Cristiani di san Tommaso (che era in comunione con Roma) e la latinizzazione del rito (rimasto però in lingua siriaca orientale).

6. La Chiesa armena Nell’antichità abbiamo due diversi territori denominati (nella terminologia in uso da parte

del’Impero romano) “Armenia maior” (corrispondente all’Armenia propriamente detta) e “Armenia minor”, comprendente i territori posti a occidente dell’Eufrate.

La tradizione vuole che tali luoghi siano stati evangelizzati da Taddeo o Bartolomeo apostoli, men-tre la documentazione storica ci parla di una provenienza della predicazione cristiana dalla Siria. In ogni caso, possiamo riscontrare delle tracce cristiane verso la fine del II secolo (secondo la testimo-nianza di Tertulliano).

Di grande importanza per la Chiesa armena è la figura di San Gregorio l’Illuminatore (260ca.-328ca.), di origine partica ma convertito al Cristianesimo a Cesarea di Cappadocia. Costui rientra in patria dopo la sua adesione alla fede cristiana e converte il re Tiridate III, presto seguito dal popolo tutto (301). Verso la fine del III secolo, Gregorio viene consacrato vescovo da Leonzio di Cesa-rea, diventando suo suffraganeo e ponendo così le basi per la gerarchia ecclesiastica armena.

La cristianizzazione segna per l’Armenia anche l’instaurarsi di una forte identità nazionale, dal momento che il regno sassanide contro cui combatte è di religione mazdea, e che proprio l’aspetto re-ligioso viene a costituire il “collante” dell’autocoscienza etnico-religiosa, con un processo di cui anco-ra oggi si può constatare l’estrema importanza.

Verso la metà del V secolo Mesrop Mashtots (ca. 361-440) inventa l’alfabeto armeno, che pure concorre a formare la coscienza nazionale e permette la traduzione della Bibbia, dei Padri, della litur-gia, secondo un processo che possiamo paragonare a quello che – dopo più di 400 anni – vedrà un’analoga impresa ad opera di Cirillo e Metodio nei confronti dei popoli Slavi.

Al Concilio di Calcedonia non abbiamo notizia di una rappresentanza armena. Ma quando nel VI secolo Giustiniano imperatore vuole ridurre l’Armenia a provincia imperiale, la resistenza contro questo disegno rende plausibile la scelta anticalcedonese da parte della Chiesa armena.

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La storia dell’Armenia continua poi vedendo l’invasione araba e turca, che accomuna le vicende di questa Chiesa a quelle di tutte le altre compagini ecclesiali ritrovatesi sotto il dominio dell’Impero ot-tomano. Degno di nota è il fatto che nel secolo XVI assistiamo alla formazione di una Chiesa di arme-ni cattolici, in comunione con Roma.

Tratto tristemente e tragicamente distintivo della storia della Chiesa e del popolo armeno sono le stragi da essi subite ad opera dei Turchi. Se ne conta più di una, e segnatamente possiamo indicare quelle avvenute nel 1894, 1896, 1909; vi sarà poi quella più nota, a cavallo della prima guerra mon-diale. Dal 1915 si stima che vi siano stati più di 1.500.000-2.000.000 morti. Dal punto di vista ecu-menico , nel 1996 abbiamo la dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del katholikos Karekin I relativamente al mutuo riconoscimento della fede cristologica, cui però non è ancora seguito il rista-bilimento della piena comunione ecclesiale.

7. La Chiesa in Georgia Quella che oggi è la Georgia era una terra mitica per i Greci, che la chiamavano Iberia o Colchide e

la consideravano patria dei Titani, di Prometeo, di Medea, delle Amazzoni. Dopo essere già entrata a far parte (dal 65 a.C.) dell’impero romano, nel III secolo la parte orienta-

le della Georgia è sotto tutela sassanide, mentre la parte occidenatale rimane sotto l’impero romano. Le radici del cristianesimo georgiano risalgono, secondo la tradizione autoctona, che si trova già

attestata nel II secolo, agli apostoli Andrea e Simone il Cananeo. Questa origine apostolica è il fondamento dell’autocefalia della Chiesa georgiana, che verrà riconosciuta nel V secolo dal patriarca-to di Antiochia. Ma una azione evangelizzatrice sistematica e non limitata a pochi sporadici tentativi, capace di arrivare a far riconoscere il cristianesimo come religione dei Georgiani e fondamento della loro identità nazionale, si ha solo all’inizio del IV secolo, ad opera di Santa Nino (ca. 290-340) apo-stola della Georgia. Secondo Rufino, costei sarebbe stata una schiava (o, piuttosto, una religiosa) di origine gerosolimitana che, dopo aver guarito miracolosamente la regina, entrò nelle grazie della cor-te e iniziò a far conoscere il vangelo a partire dalla famiglia reale. Questo avvenne al tempo di Costan-tino, che, richiestone, mandò poi presbiteri a sostegno di Nino.

Nell’autocoscienza della Chiesa Georgiana (che si raccoglie nel racconto della Conversione della Kartli, risalente al V secolo ma con probabili stratificazioni che ne rendono più complessa la datazio-ne) c’è poi la presenza nell’antica capitale, Mcxeta, di una colonna (ricavata da un cedro del Libano) che segnalava il luogo in cui era stata seppellita la tunica indossata da Cristo durante il Battesimo e la Trasfigurazione, e lì portata da un ebreo che l’aveva ricevuta al momento della Crocifissione. L’albero diviene “colonna di luce” e in esso si scolpisce una colonna attorno alla quale viene i costruita la chie-sa più importante della Georgia. La stessa città di Mcxeta diviene così una sorta di “Nuova Gerusa-lemme” che conferisce identità cristiana universalmente valida al nuovo paese. Sul piano più propriamente storico, possiamo segnalare come la diffusione del cristianesimo sia attestata già nel III secolo e abbia probabilmente origine da evangelizzatori di origine siriaca o arme-na. Un vescovo georgiano, Stratofile di Pitionte (oggi Bic’vinta) fu presente al Concilio di Nicea nel 325. Il 483 è la data tradizionale in cui si fa iniziare l’autocefalia della chiesa di Georgia, che vede ri-conosciuta la propria autonomia dalla sede patriarcale di Antiochia. Dal V al VIII secolo si verifica un imponente sviluppo del monachesimo, grazie anche all’arrivo di monaci siriani; monaci georgiani so-no attestati a Gerusalemme, al monte Athos e al Sinai a partire dal VII secolo.

Intimamente collegata alla cristianizzazion è la scrittura georgiana, testimoniata dopo il 430. La letteratura georgiana inizia di fatto con l’accoglimento del cristianesimo, cui conseguono la tradu-zione dei Vangeli e delle lettere paoline, del Salterio e deo testi liturgici. Dopo il 640 la Georgia – divisa in diversi principati – subisce la conquista araba. Tuttavia il dominio musulmano non segnerà con una oppressione particolarmente dura la popolazione, a causa della de-bolezza del potere centrale, dovuta alla scarsa strutturazione dell’emirato ed alla lontananza della Ge-orgia da Baghdad.

Nel 979 viene fondato un monastero georgiano sul Monte Athos, dal quale ha origine una impo-nente opera di traduzione di testi dal greco in georgiano.

Nel susseguirsi degli anni, la Chiesa georgiana rimane ancorata alla fede di Calcedonia e non reagi-sce alla scomunica del 1054 tra la Chiesa di Roma e quella Costantinopolitana, considerandola un problema legato a divergenze personali tra il Papa e il Patriarca.

Dopo il 1453 (anno della caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi ottomani), la Georgia rimane isolata e impedita nei rapporti con l’Occidente ed esposta a invasioni mongole, turche, persiane che causano una estrema frantumazione del territorio, con gravi conseguenze anche dal punto di vista so-ciale e religioso. Nel XVIII secolo un trattato di amicizia (e forse di vassallaggio) con la Russia, che

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sta rivolgendo la sua attenzione alle regioni del Caucaso, provoca una feroce rappresaglia degli Otto-mani. Tra il 1801 e 1810 la Georgia smette di essere un regno autonomo e diventa una provincia rus-sa. Anche la Chiesa georgiana perde l’autocefalia, diventando un esarcato dipendente dal santo sino-do russo. Questo stato di cose perdura fino al 1917, quando la Chiesa – in seguito alla rivolizione di Ottobre, rivendica la propria autocefalia e ritrova il georgiano come lingua liturgica, eleggendo un nuovo katholikos, la cui autonomia sarà riconosciuta solo nel 1943 dal Patriarcato di Mosca.

Per concludere: da: Unità e divisione dei Cristiani, di ‘Alî ibn Dâwud al-Ârfadî Di questo autore sappiamo poco: originario della Siria settentrionale, scrive in arabo e vive nel XI secolo, ma coglie problemi ed elabora prospettive attualissime anche nel XXI secolo, riflettendo sul tema della divisione dei Cristiani.

1. ‘Alî ibn Dâwud al-Ârfadî, prospero in Dio e servitore dell'obbedienza a lui, disse: Quando considero il fulgore della re-ligione cristiana, lo trovo splendente nella verità della fede in Dio – egli è potente e maestoso –; puro per il dovere del-l'adorazione che spetta al Creatore dei cieli e della terra e di quanto si trova su di essa; adorno della condotta desidera-bile nella legge della retta via imposta dal Creatore – egli basta a se stesso ed è misericordioso –; sparso ovunque nel mondo intero; manifesto e diffuso tra le nazioni e i popoli disseminati nei paesi lontani e in tutte le regioni. E ogni nazio-ne si gloria e gioisce di quanto possiede della religione cristiana, unanime nell'ammissione del vangelo veritiero, che è la base della religione, il ramo della fede e la luce della certezza. Poi vedo alcune di queste nazioni colte da uno stato che, sorto dall'astuzia del demonio maledetto, le obbliga a deviare e ad allontanarsi le une dalle altre, come fa la passione che contagia le menti; ma non solo: le vedo separarsi in molte fazioni, che sarebbe troppo lungo enumerare ma che, nonostante la loro grande quantità e sebbene si siano allontanate per le opinioni e separate per le passioni, rimandano a tre fazioni [principali] e risalgono a tre comunità, che per questi gruppi sono come dei tronchi e rispetto ai quali essi sono dei rami. Sto parlando della fazione dei nestoriani, del gruppo dei melkiti e della comunità dei giacobiti. Tutto ciò che è diverso da queste tre fazioni parte da loro e a loro ritorna; così è per i maroniti, gli isacchiani, i pauliniani e le altre fazioni della religione cristiana. Trovo che in ognuna di queste tre fazioni che ho menzionato vi sia gente ignorante, gente che semina discordia ed è ostinata, ogni comunità accusando d'infedeltà chi l'abbia contraddetta e denunciandone il distacco dalla fede. Ma quan-do considero a fondo tutto ciò e lo esamino con la cura necessaria, non trovo tra loro alcuna differenza che renda obbli-gatorio dissentire in merito alla prassi religiosa e al simbolo di fede; non vedo in loro una fede che neghi quella dell'altro, né una credenza che abolisca quella dell'altro. 2. In altre parole risalgono tutti, per quanto concerne la propria fede e l’origine della propria predicazione, al vangelo veritiero di Dio, a loro trasmesso dalle guide della retta via, dagli apostoli devoti, cioè dai discepoli di Cristo nostro Signore... 6. Quando ho colto questa diversità che li ha divisi e che è quanto li ha distinti gli uni dagli altri, e l'accusa d'infedeltà che gli uni muovono contro gli altri, ho considerato a fondo tutto questo, senza passione né spirito di parte, e in nessun caso ho trovato tra loro alcuna differenza. In altre parole, sono unanimi nel dichiarare autentiche la divinità e l'umanità di Cristo nostro Signore; ammettono la sua unione e che in lui non c'è divisione né separazione tra la divinità e l'umanità; tutti respingono i difetti dalla sua divinità e da essa escludono i dolori, i mali, la morte e le sofferenze, pur non separan-dola dall'umanità nel momento in cui questa ne è colpita... Su quanto divergono a parole, sono d'accordo nel significato; e su quanto si contraddicono in apparenza, sono unanimi nella sostanza. Tutti sono guidati verso una sola fede, credono secondo una sola religione e adorano un solo Signore; tra loro non c'è divisione in questo né separazione alcuna, se non per la passione, lo spirito di parte e la supremazia. Cerchiamo rifugio in Dio dalle tenebre della passione e dagli eccessi dello spirito di parte. 7. Quanto alla loro divergenza sul segno della croce, e sul fatto che alcuni lo fanno con due dita muovendo da destra verso sinistra, mentre altri lo fanno con un dito solo muovendo da sinistra verso destra, questa è cosa in cui non vi è una contraddizione che impone di dividersi; essa è dello stesso genere di quanto abbiamo descritto circa la natura uni-ca e le due nature. In altre parole i giacobiti fanno il segno della croce con un dito solo, da sinistra verso destra. Con questo intendono esprimere la fede in un solo Cristo sulla croce che con la propria crocifissione li ha salvati: dal lato si-nistro, che è il peccato, [passano] al lato destro, che è il perdono. I nestoriani e i melkiti lo fanno con due dita e muo-vendo da destra verso sinistra. Con questo intendono esprimere la fede nell'esistenza della divinità e dell'umanità, in-sieme, sulla croce, senza separazione alcuna; e il fatto che la salvezza è nella manifestazione della fede dal lato destro, che è la buona direzione e il rifiuto dell'infedeltà, verso il lato sinistro, che è il traviamento. Questo è un argomento in cui non vi è una divisione che implichi l'infedeltà di una delle due parti agli occhi di quella discordante, poiché il significato nella fede è uno solo... In ogni caso non c'è in questo, nel momento di formulare la fede, divisione né allontanamento dalla verità, ma tutto ciò rientra nella parola dell'altro e non ne è escluso. A mio parere è come della gente che si dirige verso una città, sulla cui

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Don Francesco Braschi – Introduzione alla Spiritualità delle Chiese Orientali 2011-12

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autenticità ed esistenza sono tutti d'accordo, ma dissentono sulle vie e sulle strade che conducono ad essa. Ogni grup-po prende una strada che afferma essere la via giusta per la città, a esclusione delle altre. Terminata la via, si riunisco-no tutti nella città, senza che vi sia dissenso sulla sua autenticità e sulla sua esistenza, nonostante la diversità delle strade. Allo stesso modo il dissenso tra i fedeli della religione cristiana è dovuto soltanto al modo di formulare e di e-sprimere le cose, senza però che ne siano [intaccati] il significato e la fede, giacché la fede è una sola e in essa non vi sono assolutamente divisioni. 9. Quanto al loro disaccordo sulle preghiere, ciò consiste soltanto nell'aumentare o nel diminuire quello che è recitato, nel rango delle feste, nella venerazione delle chiese, nel ritardare e nell'anticipare i momenti della preghiera, nell'au-mentare il digiuno degli uni rispetto agli altri e in altre cose simili. Non è una divisione circa la fede o la prassi religiosa, ma sono soltanto consuetudini prescritte per un paese a esclusione di un altro o per una lingua a esclusione di un'altra. Tutte le nazioni del mondo sono entrate nella religione cristiana e l'hanno abbracciata con gioia e anche con applicazio-ne e cura. E Dio – eccelsa è la sua menzione – ha ispirato in ogni popolo alcune persone e le ha assistite [rivelando lo-ro] le consuetudini ritenute buone ai loro occhi e le preghiere possibili nei loro paesi; consuetudini e preghiere di cui conveniva che si servissero. [Questi uomini ispirati] si sono susseguiti uno all'altro e tutti, in ciò che è lecito e in ciò che è proibito, cominciano dal vangelo e si valgono delle consuetudini dei discepoli di Cristo, laddove non sono obbligate da alcuna prescrizione né gravati da alcuna imposizione... Noi vediamo tutti i fedeli della religione cristiana d'accordo sulla fede in Dio – egli è potente e maestoso –, d'accordo sul vangelo, il libro di Dio, sul libro di Paolo, sugli Atti e sui libri antichi, cioè la Torà e i Profeti; sono unanimi sull'assiduità nelle preghiere, sul simbolo di fede, sull'eucaristia, sul battesimo, sulle feste, sulle domeniche, sul digiuno, sul sacerdo-zio, sulla croce, su ciò che è lecito e ciò che è proibito; sull'ammissione del giorno della resurrezione, della chiamata al-la vita, della resurrezione dalle tombe, del paradiso e dell'inferno. Quale differenza esisterebbe tra queste tre fazioni che abbiamo menzionato, che si opporrebbe alla dimostrazione di ta-le unanimità? E il nome della fede [sarebbe forse] legato solo ad alcuni a esclusione di altri, quando invece [tutti] pro-vengono da un'unica fonte, sono diretti verso un'unica meta, seguono un unico cammino, fatta eccezione solo per la passione e lo spirito di parte che sono a discapito della verità e della fede? Questo è quanto abbiamo voluto spiegare! 11. ‘Alî ibn Dâwud disse: In questo libro ho perseguito ciò per cui spero la ricompensa di Dio – egli è potente e maesto-so –, perché sia allontanata l'inimicizia tra i fedeli della religione cristiana e si riavvicinino i cuori degli uni a quelli degli altri. Io ho fatto in modo che questo mio libro, per chi lo esamini, sia un monito contro la durezza e contro l'astio verso i fedeli della propria religione; che procuri amore e concordia, la cui unione Dio ha reso necessaria; che metta insieme gli uni con gli altri. Se la base della religione cristiana sono l'amore e l'umiltà, chi è privo di amore e umiltà si allontana dalla religione cristiana e la sua fede svanisce... Lode a Dio che ha esaltato la sua religione in tutte le tribù e in tutti i popoli; che ha illuminato la sua santa chiesa con la gioia della fede, nei paesi lontani e nelle vaste regioni; che ha esaltato la potenza della sua croce in mezzo a tutte le nazioni e a tutte le famiglie; che le ha messe d'accordo sull'autenticità della sua predicazione, sulla proclamazione della sua sovranità e sull'ammissione di quanto è prescritto dal suo vangelo veritiero; che le ha incitate alla reciproca intesa, al perdono, all'amore e all'umiltà.