Esperienze nel restauro del moderno · 2017. 2. 2. · 33 Il restauro del moderno alla scala urbana...

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Esperienze nel restauro del moderno a cura di Emanuele Palazzotto Nuova serie di architettura FRANCOANGELI

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A partire dal XVI ciclo, il Dottorato di ricerca in Progettazione Ar-chitettonica di Palermo, Napoli, Parma e Reggio Calabria si è occu-pato del tema “La scienza del progetto nel restauro del moderno”,indagando sulla comprensione dei temi più intimi del rapporto nuo-vo/preesistente e sulla logica dei principi strutturanti il progetto diarchitettura di qualità. Il progetto di architettura, principale prota-gonista del lavoro di ricerca, nell’approccio del dottorato è stato as-sunto come strumento di comprensione piuttosto che come capitoloconclusivo del percorso affrontato.

Questo libro, in continuità con altre due pubblicazioni precedenti,dà conto degli esiti dell’attività di ricerca svolta negli ultimi anni, at-tività indirizzata a chiarire quell’equivoco, diffuso in gran parte delmondo accademico italiano, secondo cui il “restauro” appare comeun sinonimo di “conservazione”.

Emanuele Palazzotto è professore associato in Composizione ar-chitettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura dell’Uni-versità degli Studi di Palermo. È titolare dei laboratori di Progetta-zione architettonica presso i corsi di laurea in Architettura ed è, dal2013, referente/coordinatore del dottorato di ricerca in Progetta-zione Architettonica della stessa Università. Ha all’attivo una riccaproduzione di testi, saggi e articoli su riviste scientifiche a caratterenazionale e internazionale, che danno conto di un’attività di ricercaorientata sui temi della didattica e sulla teoria del progetto di archi-tettura, applicata in particolar modo sulle questioni dell’architetturadella liturgia rinnovata e del progetto urbano.

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Esperienze nel restaurodel modernoa cura diEmanuele Palazzotto

Nuova serie di architetturaFRANCOANGELI

FrancoAngeliLa passione per le conoscenze

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DOTTORATO DI RICERCA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA

Sede amministrativa:Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura

Sedi consorziate:Università degli Studi di Napoli “ Federico II”Dipartimento di Progettazione Urbana

Università degli Studi di Parma Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’ Ambiente, del Territorio e Architettura

Università degli Studi di Reggio Calabria Dipartimento di Arte Scienza e Tecnica del Costruire

Collegio dei docenti:Cesare Ajroldi (coordinatore), Giuseppe Arcidiacono, Francesco Cannone, Dario Costi,Ludovico Maria Fusco, Pierfranco Galliani, Antonino Marino, Vincenzo Melluso, EmanuelePalazzotto (vice-coordinatore), Marcello Panzarella, Renata Prescia, Sandro Scarrocchia,Andrea Sciascia, Roberto Serino, Zeila Tesoriere, con Tilde Marra

Segretario:Emanuele Palazzotto

Dottorandi XXI ciclo:Sabina Branciamore, Monica Gentile, Ilenia Grassedonio, Vincenzo SimanellaDottorandi XXII ciclo:Giuseppina Farina, Edmondo Galizia, Luciana Macaluso, Fosca Miceli, Almerinda Padricelli,Rosa Maria Provvidenza PecoraroDottorandi XXIII ciclo:Valerio Cannizzo, Eugenio Mangi, Giuseppe Borzellieri, Giovanni Giannone, Glenda Scolaro

Comitato Scientifico: Cesare Ajroldi, Giuseppe Arcidiacono, Francesco Cannone, Dario Costi, Antonino DellaGatta, Lodovico Maria Fusco, Pierfranco Galliani, Antonino Marino, Vincenzo Melluso,Emanuele Palazzotto, Marcello Panzarella, Renata Prescia, Sandro Scarrocchia, AndreaSciascia, Roberto Serino, Zeila Tesoriere.

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Esperienze nel restauro del moderno

a cura di Emanuele Palazzotto

DOTTORATO DI RICERCA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICAUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO, NAPOLI (FEDERICO II), PARMA, REGGIO CALABRIA

Nuova serie di architetturaFRANCOANGELI

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Pubblicazione realizzata nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica

con il contributo dei fondi PON 2000/2006 “Ricerca Scientifica, Sviluppo Tecnologico, Alta Formazione”

Misura III.4 “Formazione Superiore e Universitaria” - Dottorati di Ricerca

In copertina: Gibellina Nuova, plastico dell’insediamento e degli interventi di progetto per il centro civico, 1986 c.

Copyright © 2013 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sul diritto d’autore. L’Utente nel momento incui effettua il download dell’opera accetta tutte le condizioni della licenza d’uso dell’opera previste e

comunicate sul sito www.francoangeli.it.

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Parte prima Esperienze nel restauro del moderno

9 Il progetto di restauro del moderno: consuntivo di una esperienzaCesare Ajroldi

13 Un restauro del moderno a Catania: progetto di nuovi servizi sportivi per S. Pio X, a NesimaGiuseppe Arcidiacono

17 La nuova Gibellina: opera d’arte e qualità urbanaFrancesco Cannone

23 Tra architettura moderna e città contemporaneaDario Costi

27 Recupero architettonico e rigenerazione urbana per la valorizzazione dei luoghi della dismissione industriale. Un caso di progetto a Reggio EmiliaPierfranco Galliani

33 Il restauro del moderno alla scala urbanaAntonino Marino

39 Punteggiata di architetture fra il Tirreno e lo IonioVincenzo Melluso

47 Per una scienza “probabile” del progetto di architettura Emanuele Palazzotto

55 Il restauro del moderno. Problemi di tutela, problemi di progettoRenata Prescia

61 Metodologia della progettazione per il restauroSandro Scarrocchia

67 Architettura e fenomenologia a Palermo. Paci, Rogers, Gregotti, Culotta e LeoneAndrea Sciascia

79 Dopo l’obsolescenza. Progetti per i viadotti ferroviari dismessiZeila Tesoriere

Parte secondaLe ricerche dei dottorandi (cicli XXI, XXII e XXIII)

87 Un monumento incompiuto. Il Teatro Popolare di Sciacca di Giuseppe e Alberto SamonàSabina Branciamore

93 La colonia “XXVIII ottobre” per i figli degli italiani all’estero a Cattolica, di Clemente Busiri ViciMonica Gentile

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Indice

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99 La sede della Federazione dei Consorzi Agrari a Catania di Francesco Fiducia, 1938Vincenzo Simanella

103 Il sistema di piazza Castronovo a Messina Giuseppina Farina

109 L’edificio INA nella Palazzata a mare di Messina (1936-38).Un restauro del moderno in una città di ricostruzioneEdmondo Galizia

113 Il restauro del moderno e la verifica di un metodo: la Chiesa Madre a GibellinaLuciana Macaluso

119 Il Centro Civico di Oswald Mathias Ungers a Gibellina Nuova Fosca Miceli

123 La palazzata a mare di Messina (1931-1958). Isolati VIII - XI Almerinda Padricelli

127 Il Municipio di Gibellina NuovaRosa Maria Provvidenza Pecoraro

131 Problemi di tutela, problemi di progetto. L’hangar per dirigibili ad Augusta Giuseppe Borzellieri

135 Il gruppo scolastico “el Timbaler del Bruc” a Barcellona di Oriol Bohigas e Josep M. Martorell. Tra architettura e pedagogiaValerio Cannizzo

141 Una declinazione del moderno in Sicilia. Palazzo Scia a Catania (1951) di Luigi PositanoGiovanni Giannone

145 Tra città reale e progetto incompiuto. Il caso dell’isolato di Cerdà alle spalle del-l’edificio in Carrer Pallars di O. Bohigas e J. M. MartorellEugenio Mangi

149 La fabbrica Cedis a Palermo (Marco Zanuso, 1954-57)Glenda Scolaro

153 Cronistoria del dottoratoa cura di Emanuele Palazzotto

165 English abstracts I contributi dei docenti del collegio

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Parte prima

Esperienze nel restauro del moderno

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Questo Quaderno del Dottorato di Palermo, a conclu-sione di oltre dieci anni di lavoro sul tema del restaurodel moderno, di cui gli ultimi sei condotti dal sotto-scritto nelle vesti di coordinatore, rappresenta la sintesidi questa esperienza.Sono stati anni a mio avviso molto significativi, inquanto hanno permesso di mettere a punto in modoevidente l’ipotesi iniziale di centrare il lavoro delDottorato sul progetto, e in particolare sulla scienza delprogetto: titolo-base permanente di questi anni, su cuisi è innestato, dopo un anno di prova, quello del restau-ro del moderno. Il primo anno, infatti, si è scelto disvolgere un progetto sul tema della casa temporanea,localizzata in un sito molto particolare, molto suggesti-vo, sul mare nei pressi di Palermo.L’esperienza del progetto nel Dottorato è stata impo-stata sin dall’inizio con un programma che prevedevauna fase di studio iniziale, condotta in modo diversonegli anni e che ha preso una parte del primo anno dilavoro, poi una fase di progettazione fino alla conclu-sione del secondo anno, con il terzo dedicato alla scrit-tura del progetto, alle riflessioni cioè sul percorsocompiuto, che mostrasse la scientificità dell’operazionecondotta attraverso il processo progettuale.Il tema della scientificità del progetto è stato quindi iltema centrale dell’operazione compiuta: è un temastrettamente attinente al senso del Dottorato, all’internodel quale deve essere condotto un lavoro che abbia iconnotati della scientificità, quindi non può basarsi suun progetto comunque elaborato. Su questo tema emergono posizioni diverse, ma ci inte-ressano quelle che ammettono la necessità del ricono-scimento dell’esistenza di uno statuto disciplinare del-l’architettura.1 Questo mi sembra sia, e debba essere,un punto necessario di riferimento, in quanto la scuola,e la scuola italiana in particolare, anche attraverso idottorati, può in questo modo esprimere una scelta difondo, quasi come un momento riconoscibile di resi-stenza contro una deriva della nostra disciplina, tenden-te a divenire un puro atto artistico.Così inizia il suo testo La metopa e il triglifoMonestiroli:2«Questa lezione è rivolta a coloro che credono alla

Il progetto di restauro del moderno:consuntivo di una esperienzaCesare Ajroldi

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Fig. 2. COTTONE D., Cotonificiosiciliano, progetto della sala fila-tura con gli scavi al posto dellemacchine

Fig. 1. COTTONE D., Cotonificiosiciliano, foto d’epoca della salafilatura

2. MONESTIROLI A., La metopa e iltriglifo, Roma-Bari 2002, pp. 3-15.

1. Si veda la posizione di GiorgioGrassi, secondo cui il corpus delladisciplina è rappresentato dallearchitetture, costruite o progettate.

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necessità di una teoria della progettazione. Oggi questaesigenza è forte e la si riconosce nella contraddittorietàdegli esempi dell’architettura contemporanea.Sembra perduto, nell’architettura e nell’arte, un puntodi vista unitario su cui fondare una teoria, quellacoscienza civile che è sempre stata alla base dell’arte dicostruire».E più avanti: «L’architettura è una scienza, appartienein generale al processo di conoscenza e si costruisceattraverso un insieme di regole individuate.» Riporto anche la posizione di Purini:3«La domanda riguardante la possibilità che in architet-tura possano esistere vere teorie anima da sempre ildibattito disciplinare, in ambito non solo italiano. Sitratta di una questione destinata a rimanere sostanzial-mente irrisolta, anche se il modo con il quale essaviene via via riformulata costituisce di per sé l’occasio-ne di un significativo e sempre avanzato approfondi-mento della domanda stessa. In effetti, essendo per cosìdire un’arte scientifica o, se si preferisce, una scienzaartistica, l’architettura partecipa sia dell’ambito relati-vo alla creazione della forma, con l’imprevedibilitàdella sua fenomenologia, che prevede anche l’irrazio-nalità, la casualità e l’errore, sia di quello che concernela messa a punto di rigorose progressioni logiche».E ancora Purini si domanda:4«... se e come l’architettura si dia come scienza, inquanto tale capace di esprimersi in categorie diverse daquelle facenti capo alla propria autoreferenzialità. Nonc’è dubbio che la risposta a questa domanda non possache essere del tutto contraddittoria. L’architettura èsicuramente scienza ma solo nel suo a posteriori, nellarestituzione logica della sua imprevedibile fenomeno-logia, laddove nel suo presente progettuale, nel suo apriori, essa si consegna al dominio ipotetico ed empiri-co dell’azione costruttiva in quanto azione eminente-mente artistica».Monestiroli riprende le posizioni della Tendenza italia-na degli anni sessanta-settanta, in particolare quelle diAldo Rossi e Giorgio Grassi espresse nei testi chehanno costituito un fondamento per la nostra genera-zione, L’architettura della città (o anche Architetturaper i musei, in Teoria della progettazione), e Lacostruzione logica dell’architettura:5 tutti libri dellaseconda metà degli anni sessanta.In questo ambito pensiamo, per fare un esempio, alla condu-zione del Dottorato di Venezia per un certo periodo, in parti-colare durante il coordinamento di Polesello, in corrispon-denza con il primo incontro dei dottorati in Progettazioneitaliani a Milano nel 1995 e con i primi numeri di «Arc», larivista dei dottorati diretta da Ernesto D’Alfonso. In quelcaso, una certa omogeneità del Collegio dei docenti ha con-sentito una progettazione in continuità col processo proget-tuale dei tutor, quasi un “progetto in stile”.6

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6. PURINI F., E tutto ciò sarà unbel problema, in «Arc» n. 2, 1997.

5. ROSSI A., L’architettura dellacittà, Padova 1966; GRASSI G., Lacostruzione logica dell’architettu-ra, Padova 1967.

4. PURINI F., La scena nuova, in«Arc» n. 8, 2002, p. 23.

3. PURINI F., Necessità, moltepli-cità e contraddittorietà della teo-ria, in «Parametro» n. 267, 2007,p. 34.

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Il nostro Dottorato, tuttavia, non si riconosce nel suocomplesso in queste posizioni, e quindi il percorso cheporta a un’elaborazione scientifica si è svolto secondomodi più articolati. Ritengo che l’esperienza del primo anno, di un proget-to sulla casa temporanea sul mare di Mondello, abbiaavuto un risultato solo in parte compiuto, in quanto iltema, e in particolare la suggestione del luogo, hannoavuto un peso tale da mettere in dubbio la scientificitàdell’operazione: che si è svolta soprattutto con caratte-ristiche più simili a quelle di un progetto di laurea chenon a uno di dottorato.Invece, affrontare il tema del progetto di restauro delmoderno ha permesso di porsi in modo diverso: analiz-zare una serie di edifici più o meno conclamati ha com-portato la messa in luce di un sistema di regole relativeal processo progettuale, trattandosi di elaborazioni nonfondate su un puro atto intuitivo, ma su una costruzionerazionale da cui ricavare dei principi. La questione delle regole, dei principi del progetto èper me fondamentale, in quanto consente un percorsoche, anche nella fase dell’ideazione, assume un caratte-re di scientificità, perché il progetto si struttura a parti-re da elementi certi. Legandosi in questo modo a unatradizione italiana che, a partire dai maestri Samonà,Quaroni, Muratori e altri, si è sviluppata negli anni deldopoguerra, dando all’architettura del nostro paese unaconnotazione specifica, poco sviluppata in altre nazio-ni, e fatta di attenzione a una elaborazione teorica, alrapporto con la città e il territorio, alla relazione con lastoria, a un impegno civile. Questa tradizione è oggimessa in discussione dalle ultime generazioni, cheaspirano ad assumere acriticamente elaborazioni svi-luppate da altri. Esse conducono a un prodotto che èuna riproduzione imperfetta di architetture tendenti aun risultato separato dagli statuti della disciplina, evolto a un rapporto diretto con l’arte. La disciplina architettonica, invece, si fonda per mesulle nozioni di ordine, perché non esiste forma se nonall’interno di un ordine, come sostiene Kahn,7 e dicostruzione, seguendo gli aforismi di Perret: «Lacostruzione è la lingua materna dell’architettura, l’ar-chitetto è un poeta che pensa e parla in costruzione».8Sono due nozioni oggi in forte discussione, e che devo-no essere rimesse al centro dell’elaborazione, soprattut-to al livello dei dottorati.Del nostro Dottorato hanno fatto parte anche docenti diRestauro, che hanno concordato sulla nozione direstauro come progetto, facente parte integrante cioèdella disciplina architettonica.Ritengo che questo sia stato il nostro principale contributo nelDottorato, che viene esemplificato nei due Quaderni già editi 9e in questo. È un contributo che ha costituito una specificitàriconoscibile nel nostro lavoro rispetto ad altri dottorati italiani.

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9. PALAZZOTTO E. (a cura di), Ilprogetto nel restauro del moderno,L’Epos, Palermo 2007, e Il restaurodel moderno in Italia e in Europa,FrancoAngeli, Milano 2011.

8. PERRET A., Contribution à unethéorie de l’architecture, 1952, inGARGIANI, R.: Auguste Perret1874-1954, Electa, Milano 1993.

7. GIURGOLA R. (a cura di), LouisKahn, Zanichelli, Bologna 1972.

Fig. 5. ARGIROFFI G., Aviorimessedi Marsala, veduta dello stato difatto

Fig. 4. BURGIO G., CinodromoMeridiana, pianta di progetto efoto dopo il restauro di X.Monteys

Fig. 3. BURGIO G., CinodromoMeridiana, foto e pianta prima delrestauro

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Ho condotto come tutor i seguenti progetti di tesi (iprimi tre sulla casa temporanea, gli altri, anche comecoordinatore, sul restauro del moderno):- Amelia Rizzo, La casa dello studente tra temporaneae stabile. Spazio pubblico, spazi di relazione e spazioprivato (2004).10- Zeila Tesoriere, L’alloggio temporaneo come labora-torio per l’architettura. Caratteri genealogia e pro-spettive di uno spazio domestico (in cotutela conl’Università di Paris VIII Saint-Denis, 2004)- Renzo Lecardane, Il ruolo delle grandi esposizioninella trasformazione della città contemporanea.L’esperienza dell’abitazione nelle esposizioni (in cotu-tela con l’Ecole Nationale des Ponts et Chaussées,2004).- Gianluca Burgio, Il Cinodromo della Meridiana aBarcellona, di Antoni Bonet Castellana e Josep PuigTorné (2006).11- Dario Cottone, Il Cotonificio siciliano a Palermo, diPietro Ajroldi (2006).12 - Stefania Filì, L’edificio per uffici SGES-ENEL aPalermo, di Giuseppe Samonà (2006).- Aurora Argiroffi, L’Istituto Nautico di Palermo, delgruppo Bonafede (2008).- Giulia Argiroffi, Gli hangar per idrovolanti aMarsala, di Pier Luigi Nervi (2008).13- Luca Bullaro, Il Dispensario antitubercolare diBarcellona (1933-1937) di J.L. Sert, J. Torres Clavé,J.B. Subirama (2008).- Beatrice Teresa Feist, La Casa del Fascio a Messinadi Giuseppe Samonà e Guido Viola (2010).- Fosca Miceli, Il centro civico a Gibellina, di OswaldMathias Ungers (2012).- Giuseppe Borzellieri, L’hangar per dirigibili adAugusta (2013).- Marilù Cannarozzo, Habitat climatique vs.Architecture durable. Georges Candilis, logement nidd’abeille a Casablanca (in co-tutela con l’Università diParigi, in corso).Gli edifici studiati per il restauro del moderno hannotutti, come si può notare, il carattere di essere basati suprincipi che sono stati analizzati e sono serviti da guidaper l’elaborazione dei dottorandi.È un patrimonio di ricerca che consiste in totale diquasi 50 progetti e che ritengo di grande interesse e uti-lità per il complesso dei dottorati in progettazione ita-liani, che dovrebbero costituire un punto di riferimentoper chi crede alla disciplina architettonica e ai suoi sta-tuti, continuando le esperienze che ho prima ricordato eche costituiscono l’ultimo fondamentale apporto dellascuola italiana all’architettura internazionale.

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13. Pubblicato in Cantiere Nervi –La costruzione di un’identità,Skira, Milano 2012 (con uno scrit-to di C. Ajroldi).

12. Pubblicato col titolo: Il restau-ro del moderno e il tema dell’uso.Il Cotonificio Siciliano di PietroAjroldi, Aracne, Roma 2011(introduzione di C. Ajroldi).

11. Pubblicato col titolo: IlCinodromo Meridiana diBarcellona, Torri del Vento,Palermo 2011 (presentazioni di C.Ajroldi e X. Monteys).

10. Pubblicato col titolo: La casatemporanea per studenti, Grafill,Palermo 2004 (introduzione di C.Ajroldi).

Fig. 6. ARGIROFFI G., Aviorimessedi Marsala, progettodell’Aviorimessa orientale conimpianto sportivo

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Sorto per effetto delle demolizioni nel centro storico diCatania attuate dal Piano Regolatore Generale del1954, il borgo di Nesima viene descritto, al pari dellealtre periferie abbandonate sulle sciare di lava, comeuna «una città-giardino, dalle case dai gai colori, cir-condate di verde e di fiori»: questa è la retorica cheSaverio Fiducia propone in un cinguettante articolopubblicato su «La Sicilia» l’8 febbraio 1955, dal titoloSinfonia primaverile a ovest della città: «Tutto intornoè pittoresco e festoso: le facciate gialle cromo-scuro,arancio, azzurro, cobalto; […] i declivi più ripidi ridottia gradi, che accoglieranno i roseti, le palme nane, leerbe aromatiche, i gelsomini. Dove sarà la chiesa, ove icampi da gioco, dove le sale da spettacoli di cui ebbro[…] d’aria e di luce ho dimenticato di chiedere alla miaguida?». Altro che guida; a Nesima, nel 1955, c’è solola sciara. (Proprio quella che oggi potrebbe costituireper il borgo una risorsa: solo che questa sciara, nonfosse destinata ad area residenziale, e lasciata in ostag-gio di future speculazioni private; ma potesse diventa-re, al contrario, quel parco delle lave dell’Etna cheCervellati aveva suggerito nell’ultimo PRG, presentatonel 1996 e mai approvato). La chiesa a Nesima arriverà solo nel 1959, su progettodi Giuseppe Condorelli: ed è una chiesa “moderna”;cioè ancora nei canoni di quel razionalismo “littorio”,ai quali si erano adeguati i razionalisti catanesi dellaprima ora, come Giuseppe Marletta che aveva parteci-pato col Miar alla 1a e 2a Mostra dell’ArchitetturaRazionale, o come Rosario Marletta che era il più“razionalista” tra i collaboratori di Francesco Fichera.La chiesa S. Pio X prova a riscattare la modesta qualitàdelle residenze per 15.000 abitanti, con l’autorevolezza“monumentale” del suo impianto e con il programmadecorativo pensato fin dall’inizio per proporre un luogodi incontro e di acculturazione della comunità. La curadei particolari, insieme alla presenza delle sculture diCarmelo Florio; agli affreschi absidali (oggi danneg-giati dall’umidità) di Roberto Rimini, uno dei pochissi-mi pittori apprezzati da Federico De Roberto; le pitturedel transetto di Nunzio Sciavarello e Francesco Ranno;le tele di Archimede Cirinnà, di impostazione novecen-tista; e quelle di Salvatore Quattrocchi; costituiscono

Un restauro del moderno a Catania:progetto di nuovi servizi sportivi per S. Pio X, a NesimaGiuseppe Arcidiacono

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Fig. 1. S.Pio X, stato attuale conla corte murata sul sagrato

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una galleria della cultura figurativa moderna a Catania,degna di interesse, e un luogo meditativo/contemplati-vo d’arte sacra contemporanea. Più tardi, nella prima metà degli anni sessanta, allachiesa si aggiunge l’oratorio: una grande corte a porti-co - un tempo “trasparente” verso la piazza/sagrato -che avrebbe dovuto ospitare il campetto di calcio, auleper doposcuola e catechismo, le abitazioni dei PP.Salesiani; e ancora laboratori artigianali, e un cinema-teatro da 1400 posti, che non furono mai realizzati.Dagli anni sessanta la situazione è andata deteriorando-si: cresciute le abitazioni ma non i servizi, il caratterepopolare del borgo ha fatto posto alla “vita violenta”del sottoproletariato e al disagio giovanile; che hannotrasformato la centralità del complesso religioso in unrecinto assediato. La piazza/sagrato è oggi abbandonataall’occupazione indiscriminata degli ambulanti e allasosta selvaggia dei loro camioncini e delle automobilisul parterre; mentre a causa dei vandalismi, il porticosud è stato murato. Così, lo stato di “rischio sociale”nel quartiere ha prodotto l’isolamento culturale delcentro religioso, del quale la cittadinanza disconosce ilpatrimonio artistico.

Per un restauro del ModernoIl progetto che ho elaborato, con Roberta Imbergamo eMario Covello, conseguendo il 1° premio al concorso“Architettura, Cultura e Sport” bandito da CEI, CONIe CNA, riconosce il valore architettonico dell’esistenteed esalta l’oratorio per re/instaurare i valorisociali/ambientali del complesso religioso di Nesimache, come ha auspicato l’Arcivescovo di Catania, deve«accogliere il maggior numero possibile di giovani». Aquesto scopo si ridefiniscono gli ambiti funzionali dellapiazza, confermandone la zona alberata al ruolo disagrato/spazio urbano dell’incontro sociale; ma si pren-de atto del mercato spontaneo, correggendone gli abusie assegnandogli il rettangolo ovest della piazza: doveparcheggiare e montare temporanei banchi di vendita,

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Figg. 4a-4b. Progetto della corte,con il campo di calcio superiore ela palestra inferiore

Fig. 3. La corte interna con ilcampo di calcio (stato attuale)

Fig. 2. Progetto, con la corte tra-sparente sulla piazza/sagrato

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seguendo l’ordine scandito da paracarri ed il limitesegnato dagli alti pilastri/lampioni. Sull’angolo a sud-ovest il raddoppio fuori asse dei pilastri/lampioni segnal’ingresso al parco sulle sciare della colata lavica del1669: che vengono riconosciute, secondo le indicazionidel piano Cervellati, come una risorsa naturalistica,utile a contenere la pressione edilizia e a conservare ilpaesaggio; mentre le alberature della piazza vengonoinfittite per sottolineare la continuità tra il sagrato e ilparco lavico.

L’unità visiva e compositiva tra la piazza/sagrato ed ilportico sud dell’oratorio, viene ripristinata sostituendoil tamponamento murario con una cancellata -egual-mente sicura ma trasparente- che piegandosi predispo-ne una panchina di ferro tra le campate; la spallieradella panchina è un filo orizzontale di irrigidimento,raffigurante il volo di una colomba sul paesaggio cata-nese. L’interno del portico viene scavato con unarampa per disabili che raggiunge un campo di basket euna palestra a quota mt -6.00, la cui copertura sostitui-sce il piano dell’antico cortile, ma ne mantiene la prati-cabilità come campo di calcio, sollevandolo di mt 1,50per garantire l’altezza utile di mt 7,50 allo spazio spor-tivo ipogeo. La nuova quota del cortile non altera laspazialità a corte del vecchio impianto tipologico, delquale si vuole mantenere la continuità; e rafforza l’ideadel recinto porticato per mezzo di un nuovo telaiostrutturale che sostiene la copertura e si solleva a pro-teggere il lato sud del campetto con reti d’acciaio tra lecampate, disegnando un “doppio portico” che s’inter-rompe su una croce simbolica. Sul lato nord la copertu-ra poggia su un nuovo muro di sostegno, indipendentedalla vecchia struttura del portico che distribuisce leaule; il pavimento di tale portico viene sollevato insie-me alle aule, riducendo l’attuale altezza di mt 4,20 a mt2,70, e ricavando nell’intercapedine uno spazio ispe-zionabile per gli impianti.L’illuminazione e la ventilazione del nuovo impiantosportivo sono studiate per rendere lo spazio ipogeo un

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Figg. 6a-6b. S.Pio X (progetto): lacontinuità tra la corte interna, la piaz-za/sagrato, e il Parco delle “sciare”

Fig. 5. La palestra ipogea

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secondo “cortile al coperto”; esse sono garantite dall’a-sola a est che si produce tra le differenti quote (mt 0,00e mt +1,50) del cortile, dal “doppio portico” a sud, edai finestroni a ovest -che disegnano il nuovo prospettosu via Mirone, e sottolineano le uscite di sicurezza rea-lizzate sfruttando il dislivello tra la quota superioredella strada e quella inferiore del piano di campagna-.Ulteriori uscite sono collocate alla quota mt -4,00 dellagradinata per il pubblico, ristrutturando l’attuale scalache ad est collega il seminterrato della Chiesa al cortilesuperiore. Questa scala, attualmente conduce a unampio seminterrato che è impropriamente adibito a salacomune; il progetto scava il cortiletto est, a destra dellachiesa, per aprire opportune uscite di sicurezza.Tale cortiletto -come si evince da una foto storica- eradelimitato un tempo dall’alto gradino che, elevandosimbolicamente chiesa e sagrestia, porgeva al contem-po una naturale seduta intorno l’edificio sacro e lo iso-lava dalla strada; ma il muro di mattoni e la successivainferriata che gli è stata sovrapposta, e il filo spinatoultimamente aggiunto, raccontano lo stadio d’assediodella chiesa.Il cortile est viene dunque messo in sicurezza, dalleintrusioni vandaliche e sacrileghe, attraverso uno scavoche mette a nudo le lave del 1669, sulle quali la chiesasi erge. Sulla quota più bassa del cortile, come si èdetto, sono aperte le uscite di sicurezza del seminterra-to; mentre la scala “dell’angelo” assicura la comunica-zione con gli uffici parrocchiali e la piazza, attraversouna passerella metallica in quota, che sostituisce l’at-tuale pavimento.Sul lato nord della chiesa, per ridare senso al telaiorazionalista che cinge la bella abside della chiesa, siprocede al ripristino del gradone di seduta; il qualepotrà acquistare un senso di utilità con la realizzazionedi piccoli chioschi commerciali (tabacchi e giornali,bibite e gelati) che punteggiano il nuovo porticato d’in-gresso alle corti residenziali. Restaurando i valori urba-ni si prova a restaurare il senso della comunità:perchémalgrado le difficoltà che presenta il contesto diNesima - come ci esorta Adorno - «una architetturadegna dell’uomo ha degli uomini un’opinione miglio-re».

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Fig. 8. Il cortile est con la scaladell’Angelo (progetto)

Fig. 7. Cortile est (stato attuale)

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Parlare di opera d’arte e qualità urbana, nell’esperienzamolto particolare e articolata della nuova Gibellina,comporta il mettere in discussione, porre in esame, unafilosofia (o meglio più filosofie) di organizzazionedello spazio urbano in quanto spazio sociale, spazio divita collettiva. Comporta pertanto approfondire e valu-tare innanzitutto i dati più specifici, più caratterizzanti,della nuova città di fondazione: dati urbani, sociali,architettonici, paesaggistici, che possiamo leggere oggicome esito sufficientemente configurato, pur nella suaincompiutezza, di politiche realizzative diluite nell’ar-co di circa quarant’anni.Per spiegare meglio questa proposizione introduttiva, eal contempo formulare un primo giudizio di merito, vachiarito che esiste oggi, nella nuova Gibellina, un dop-pio sistema di precarietà: una precarietà fisica, in cui sidisgregano le opere d’arte e di architettura aulica rea-lizzate da maestri della contemporaneità, ovvero in cuisi assiste all’interrompersi, fino a chissà quando, diambiziose realizzazioni, assieme ad una precarietànelle relazioni urbane tra le diverse parti e i diversioggetti della città.Nuova Gibellina può essere riguardata come un grandecontenitore di contraddizioni e paradossi, valga pertutti la contraddizione tra l’immagine esterna dellacittà, paradossalmente caratterizzata da un senso dilimite e di apparente concentrazione, e l’esperienzaurbana interna, fatta di diluizione e rarefazione dellospazio pubblico.Arrivando da fuori siamo colti da una prima immaginesintetica, resa delle case unifamiliari che quasi sisovrappongono tra loro: la mente dell’osservatore nonpuò non essere almeno sfiorata dal ricordo delle imma-gini tipiche dei paesi dell’interno siciliano, un caso?Forse, ma forse no.A questo si sovrappongono le immagini dei monumentidella modernità, realizzati nell’ambito della ricostru-zione: la grande stella, Porta del Belice, di PietroConsagra, la sfera della chiesa madre di LudovicoQuaroni, ricca di simbologie, il volume molto lavorato,quasi risentito, della sala del consiglio del nuovo muni-cipio, di Giuseppe e Alberto Samonà, che guarda versola ferrovia e l’autostrada, il volume asciutto che acco-

La nuova Gibellina: opera d’arte equalità urbanaFrancesco Cannone

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Fig. 4. Lo spazio interno pedonaledi una delle insule

Fig. 3. Aggregazioni edilizielineari in rapporto alla viabilitàautomobilistica

Fig. 2. La vecchia Gibellina distrut-ta dal sisma, immagine d’epoca

Fig. 1. Il margine della città versola campagna circostante

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glie la riproposizione, meditata ed intimistica, del fron-te ottocentesco del palazzo Di Lorenzo, di FrancescoVenezia.È questa è l’immagine sintetica più tipica dell’attualeGibellina, un’immagine di indubbio valore estetico,niente affatto equilibrata né armoniosa, ma proprio perquesto coinvolgente.Un’immagine in cui s’invera una particolare sintesi traarchitettura, urbanistica, arte contemporanea, in cui sipuò cogliere la relazione tra città e arte, tra tessuto edemergenza.Nell’esperienza giornaliera, sociale della città, a questapercezione esterna sintetica si sostituisce un’immaginecompletamente diversa: l’immagine cioè della diluizio-ne dello spazio urbano, la consapevolezza di carenza direlazioni tra le diverse parti della città.La densità insediativa della nuova Gibellina è inferioredi quasi dieci volte rispetto a quella del vecchio paesedistrutto dal sisma del 1968, questo ha creato una solu-zione di continuità netta nella cultura dell’abitare, unasorta di modernizzazione forzata e repentina in cui, afronte del brusco travolgimento dei valori urbani tradi-zionali, molto stentatamente e tra mille difficoltà e con-traddizioni si è tentato di costruirne dei nuovi.Un procedimento fatto anche di stanche riproposizionidi modelli del moderno e originali prove di autore,insomma, per certi versi, una sorta di colonialismo cul-turale di urbanisti e architetti che hanno dialogato traloro e con se stessi, attraverso disegni, proposte, realiz-zazioni, dibattiti, dotte pubblicazioni.Si avvertì la necessità di imprimere segni forti, in gradodi riscattare l’anonimato dei sistemi residenziali delpiano di fondazione e le incertezze nella costruzionedegli spazi pubblici della città. Opere di architettura earte qualificate furono il rimedio sperato alla diluizionee all’anonimato. Si andarono così istituire due sistemi,sovrapposti l’uno all’altro, ma in generale non relazio-nati: il sistema urbano e il sistema degli oggetti e delleopere d’arte.Il sistema urbano è a sua volta organizzato per parti: la

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Fig. 5. da sx: UNGERS O.M., Ilcentro civico: scorcio della lineaedilizia, MENDINI A., Sequenze,SAMONÀ G. e A., municipio,MENDINI A., torre civica

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trama viaria del piano di insediamento, largamentesovradimensionata; le parti residenziali, organizzateper insule molto allungate, con ampi spazi pedonaliall’interno, caratterizzate da una sorta di elencalità, percerti versi riferibile ai sistemi aggregativi dei vecchicentri, e dovuta all’accostarsi di singoli interventi, ana-loghi nel loro complesso, sempre piuttosto modesti sulpiano architettonico, e tutti quanti dotati di seppur pic-cole differenze. Ciò vivacizza questi sistemi, tirandolifuori da quel terribile senso di omogeneità dei primissi-mi interventi di edilizia sociale paracadutati dall’alto.A ciò si aggiunge la costruzione dei servizi civici: unavera e propria tela di Penelope! La struttura lineareprogettata dai Samonà, Gregotti, Pirrone nei primi anni‘70, solo in piccola parte realizzata (il nuovo municipiodi Giuseppe e Alberto Samonà), rappresenta un’occa-sione mancata nel destino della città: un sistema artico-lato per parti diverse, in cui strategia insediativa, lin-guaggio e uso del materiale (il “tufo” del trapanese)potevano garantire complessiva unità, simbolica e rap-presentativa, e costituire riferimento riconoscibile eaffidabile per la costruzione della città. Abbandonatal’idea di rappresentatività del progetto originario non siè più riusciti a riannodare il filo di un racconto architet-tonico rispetto a cui l’intera città potesse rapportarsifattivamente.

Da lì svariate ipotesi successive, alcune delle quali ini-ziate e interrotte: modelli di urbanizzazione compatta,improbabili passeggiate trionfali, tentativi, proposte,studi. In definitiva da questo tumulto concitato di piani,progetti, realizzazioni e ripensamenti deriva un elencodi oggetti architettonici, pregevoli, ma slegati da tutto:il municipio, la chiesa madre, il palazzo Di Lorenzo,gli interventi di Ungers …In sintesi: un sistema urbano in cui i diversi protagoni-sti, oltre a presentare determinate contraddizioni inter-ne, non riescono a relazionarsi in un quadro di ricono-scibili corrispondenze e dipendenze.

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Fig. 6. SAMONÀ G. e A., GREGOTTIV., PIRRONE G., Centro civico,progetto originario

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A questo sistema è sovrapposto quello degli oggetti edelle opere d’arte, le quali, non avendo a riferimentoun quadro urbano sufficientemente stabile, soffrono diuna sorta di sindrome da galleggiamento: l’arte è pena-lizzata dallo spazio (non-spazio) urbano.Così, la torre civica di Alessandro Mendini aspettanella generale indifferenza di relazionarsi ad una verapiazza, ad oggi inesistente, mentre le sculture e le istal-lazioni di Arnaldo Pomodoro, Paolo Schiavocampo,Fausto Melotti e altri stanno lì, orgogliose di se stesse,aristocraticamente distaccate dai luoghi.E allora: l’arte salverà la città o sarà la città a salvarel’arte (e se stessa)? Ecco un altro evidente paradosso!Sono comunque convinto che esista, nel futuro dellacittà, la possibilità di nuovi legami tra opera d’arte equalità urbana; l’attuale condizione, contraddittoria e atratti paradossale come già detto, può essere consideratatutta quanta ancora aperta, disponibile ad una riletturadisincantata ma operativa nella concretezza del fare,ribaltando la contraddizione in prospettiva per il futuro.Occorre a Gibellina, nell’attuale condizione di labilità

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Fig. 8. Edilizia sociale, Insula delprimo impianto,

Fig. 7. Edilizia sociale, Insula delprimo impianto

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dell’assetto urbano, individuare quello che definirei unordine diverso, che non pretenda di assoggettare le coseesistenti a modelli aprioristici, ma le colleghi reciproca-mente, contestualizzandole. Un ordine diverso che cifaccia capire, con la chiarezza e la concretezza di azionitrasformative praticabili, come si può passare dalladiluizione dello spazio urbano, in cui gli oggetti sem-brano navigare senza rotta, ad una condizione in cui lacittà, dotata di una sua morfologia non compatta, potràcaratterizzarsi per un suo misurato equilibrio tra i siste-mi di spazi pubblici e collettivi, la qualità di architetturae arte, la cultura sociale della comunità insediata.Perché concretezza di azioni trasformative praticabili?Perché ritengo sia tempo di venir fuori da una ormaipiù che quarantennale situazione di transitorietà e atte-sa: a Gibellina non vi è nulla di finito, di concluso, manon tanto o soltanto in termini fisici (il che nella rico-struzione del Belice è una condizione quasi normale),quanto in termini concettuali e culturali! Intanto, altroparadosso, edifici e opere d’arte si sbriciolano, aggredi-ti dal tempo e dall’incuria. È ormai ora di rinunciare aulteriori tentazioni di ferrea e pervasiva globalità pro-gettuale, di rinunciare ad aggiungere o sovrapporrealtro a quanto già presente, l’ordine diverso va trovatoall’interno di ciò che esiste, mettendo in relazione evalorizzando i diversi elementi.A fronte di questa rinuncia occorrerebbe metter manoad un programma, a cui pervenire passando attraversola lettura e l’interpretazione dei dati presenti, entro cuiinnestare un codice di comportamenti alle diverse scalee nelle diverse parti della città, un codice che, proprioperché desunto dall’interpretazione del reale, dia con-cretezza, chiarezza ed affidabilità alle future azioni, perrestituire alla comunità fiducia nei valori della formaurbana.Non è facile prevedere quali potranno essere gli ele-menti più significativi del nuovo ordine diverso, è peròpossibile quantomeno azzardare alcuni ambiti di auspi-cabile approfondimento.Partirei dalla tipologia insediativa delle parti residen-ziali, in cui va riconosciuto il valore (forse casuale, macomunque importante) del sistema aggregativo elenca-le, nel quale andrebbe verificata l’opportunità di undiverso, più efficace, rapporto con gli spazi aperti dipertinenza (le case si confrontano oggi con il nulla). Adesempio: quali risultati potrebbe dare il riorganizzare ilunghissimi vuoti, praticamente inutilizzati e amorfi,interposti tre le schiere edilizie delle insule secondolunghezze più misurate e utilizzando elementi anchemolto semplici di scansione e disegno dello spazio col-lettivo?Occorrerà altresì valorizzare il rapporto, ricorrente emutevole nella storia delle città, tra architettura edemergenze: emergenze di forma, di uso, di valore arti-

Fig. 9. VENEZIA F., museo civico,riproposizione del fronte delpalazzo Di Lorenzo

Fig. 10. Sistemi residenziali esistema viario

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stico. Ciò significa capire come istituire collegamenti erelazioni tra le diverse parti, capire quali modificazionipossano far dialogare le diverse presenze, di edifici edopere d’arte, delle aree centrali. La contraddizionedella piazza che non c’è (la piazza del municipio) vasciolta in una normativa d’intervento in grado di colle-gare le presenze fisiche all’esperienza giornaliera dellaforma urbana da parte della cultura sociale. Ma tuttoquesto al di fuori da ulteriori, ennesime idee innovativesovrapposte alla morfologia esistente.Altrettanto importante, infine, è l’idea di margine urba-no, ovvero il rapporto tra la città e il circostante, unrapporto, netto ed assoluto nel dolente cretto di Burri,che nella città nuova assume forme più articolate, dif-ferenziate, caratteristiche di una città viva.È il rapporto tra la città costruita e il paesaggio, nei duesensi, che potrà riorganizzarsi in forme di grande inte-resse, di cui esistono già oggi elementi importanti: miriferisco all’immagine esterna di articolazione-compat-tezza dei sistemi residenziali, alla grande stella d’in-gresso di Consagra, alla scatola muraria del museo diVenezia, alla sfera di Quaroni, al senso di austera rap-presentatività che scaturisce dal volume della salagrande del municipio dei Samonà.Occorre, concludendo, un modo diverso di considerarei problemi della precarietà, dell’arte, della città: è unospunto di lavoro da approfondire, nell’architettura econ l’architettura, entro una nuova prospettiva culturalee pragmatica ad un tempo.Una prospettiva entro cui opera d’arte e città, città eopera d’arte, dialoghino secondo nuove corrispondenzetra forme e contenuti, come futura qualità complessivadella nuova Gibellina, come sintesi di valori artistici,storici, sociali.

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Lo studio su un’architettura degli anni cinquanta dadiscutere con chi l’ha, in quei tempi, progettata è unaoccasione fortunata di sperimentazione e di verificametodologica che può riscontrare dal vivo le corrispon-denze e le coerenze possibili tra le soluzioni proposte ele intenzioni originarie.1La ricerca delle argomentazioni che sostengono il rico-noscimento brandiano delle qualità dell’opera trovano,in questa chiave, una nuova possibilità di verifica chesostiene l’individuazione di principi come strumenti diinterpretazione dell’architettura e rafforza la loro pro-pellenza progettuale.Se i principi individuati possono essere assunti comescelte del progetto che, nel loro insieme, contribuisco-no a definire il carattere dell’architettura, la loro messain evidenza è la condizione per attivarne le potenzialitàoperative.La lunga tradizione di studi sul restauro del Modernoche ha sottolineato il ruolo della progettazione architet-tonica nel confronto con l’esistente ha, negli anni, veri-ficato diversi percorsi di lavoro ed individuato molteoccasioni di sperimentazione che possono riaffermare,nelle loro differenze e varietà, l’utilità e l’attualità dellavoro progettuale sul restauro.2Così se numerose prove (anche in questo volume docu-mentate) dimostrano la necessità di un approccio nonsolo conservativo al restauro dell’architettura, l’attenzio-ne della ricerca si è concentrata da subito sul come inter-venire non tanto, una volta per tutte, nella definizione diuna metodologia codificata quanto, caso per caso, nellapredisposizione di un’attitudine alla riflessione proget-tuale che soppesi l’obiettivo di dare nuova vita agli edifi-ci con la finalità parallela ed integrata di mettere in valo-re il luogo e il costruito su cui si interviene. Penso cheproprio questa disposizione all’interpretazione delle con-dizioni date stimoli una ricerca di misura e di confronto,che può trovare un esito coerente attraverso la praticacontinua di uno spazio intermedio3 di lavoro, distinto siadalla riproposizione delle forme incontrate che dall’e-spressività autonoma e sovraimposta. Un modo di pen-sare l’architettura come strumento rivelatore delle qua-lità dei luoghi4 che ha visto a Palermo un’affermazioneteorica precisa e numerose occasioni di applicazione in

Tra architettura moderna e cittàcontemporaneaDario Costi

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2. Ho argomentato queste temati-che in: COSTI D., Attualità e utilitàdel lavoro compositivo sul restau-ro e sul moderno in PALAZZOTTOE. (a cura di), Il restauro delmoderno in Italia e in Europa,Franco Angeli, Milano 2011, pp.43-48.

1. MANGI E., Tra città reale e pro-getto incompiuto. Sondare i limitidel restauro del moderno applica-to alla scala urbana: il caso del-l’isolato di Cerdà alle spalle del-l’edificio per abitazioni operaie inCarrer Pallars di Oriol Bohigas eJosep Maria Martorell(Barcellona 1958 – 1959), Tesi diDottorato di Ricerca inProgettazione architettonica,Università degli Studi di Palermo– Ciclo XXIII, tutor Dario Costi(Università di Parma), co-tutorAntonio Pizza (ETSAB).

3. Ivi p. 45.

4. CULOTTA P., L’architettura perti-nente delle stratificazioni, inCULOTTA P., FLORIO R., SCIASCIA A.(a cura di), Il Tempio-duomo diPozzuoli, lettura e progetto, OfficinaEdizioni, Roma 2006, p. 32.

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vari ambiti. Il Dottorato ha lavorato a lungo su come ilnuovo può trovare una propria dimensione anche forma-le dialogando col preesistente nelle occasioni più stretta-mente architettoniche, mentre aveva meno praticato, neiprimi anni di attività, la direzione di ricerca che portavadall’opera verso l’intorno.Così, negli ultimi tempi, abbiamo pensato di verificarese era possibile attivare la stessa tensione progettuale,prima per lo più circoscritta al dialogo progettuale tral’oggetto architettonico ed il suo destino contemporaneo,anche nel rapporto tra il progetto di ieri e la città di oggi,tra l’attesa di compimento di un’architettura interrotta el’attualità di una sua presenza urbana.Di certo si ripropongono anche per il Moderno le perples-sità sulla riproposizione di un progetto storicamente collo-cato e, per varie ragioni, non praticato nel suo tempo.Non penso sia utile oggi aggiornare il dibattito sullalegittimità della ricostruzione del “dov’era com’era” inun improbabile “dov’era come doveva essere” applicatoal secolo appena trascorso ma, piuttosto, svolgere unariflessione sulla verifica delle possibilità che un’operaincompiuta, di riconosciuta qualità, possa influenzare lospazio del suo compimento immaginato, confrontandosicon la forma nel frattempo cambiata dei tessuti e deglispazi urbani in cui si inserisce e con le mutate condizionied esigenze della città contemporanea.In questa prospettiva il caso del progetto realizzato daM.B.M. sul Plan Cerdà, di seguito descritto nella pubbli-cazione, si presta ad alcune considerazioni metodologiche.Il blocco di residenze operaie attestato su CarrerPallars era, nelle intenzioni dei progettisti, il primolato di un isolato chiuso pensato come perimetro urba-no, suddiviso in una fitta sequenza di nuclei minori cheproteggevano lo spazio comune interno.Il disegno dell’intero isolato rappresenta una ipotesi,forse più vicina ad una dichiarazione di intenti che aduna proposta realmente praticabile (a causa di una seriedi condizionamenti contestuali come la “manzana” sto-rica preesistente che attraversa l’area). L’edificio realizzato presenta la soluzione d’angolotipica del Plan Cerdà con un lato cieco che sembraattendere un proseguimento e uno spazio retrostanteabbandonato in attesa di una ridefinizione.Fino a che punto ha senso, oggi, ragionare sulla memo-ria di un progetto immaginato nella ricomposizione diquel che rimane dell’isolato?Con questi interrogativi abbiamo costruito un palinse-sto del progetto che ha visto sovrapporsi ed interagirealcuni piani della riflessione: il sistema dei principiprogettuali, la matrice insediativa del Plan Cerdà ed ildivenire della città contemporanea. Alla messa a fuocodi una visione incompiuta dell’architettura si sovrappo-ne, così, un’idea di assetto morfologico analogamentechiaro ma interrotto ed una recente trasformazione

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urbana particolarmente significativa che sembrava sug-gerire una direzione di lavoro. L’addensamento di ser-vizi pubblici di quartiere lungo la “manzana” storica ela sua riqualificazione in asse attrezzato con verde espazi di sosta ci ha portato alla convinzione di mante-nere l’area dell’isolato libero e di destinarla ad usi col-lettivo complementari a quelli sociali dell’intorno.Un progetto di assoluto valore e di riconosciuto ruolostorico-critico (addirittura di apertura esemplare deldialogo tra la cultura archiettonica spagnola e quellaitaliana) può essere il riferimento per la ridefinzionecosì articolata di quell’area mai risolta che dovevaoccupare? Fino a che punto?Ripercorrere le diverse ipotesi progettuali significariscontrare, nella sequenza delle proposte, l’impossibi-lità di una scelta perentoria di compimento del progettointerrotto. Significa anche prendere le distanze dalrischio di attribuire una malposta sacralità nell’operaed interrogarsi sul suo significato oggi, proprio a parti-re dalla presa d’atto del suo mancato successo di ieri.Tra le molte ipotesi esplorate, è forse utile ricordarequella che ha provato a ripercorrere il processo logicosvolto da Costantino Dardi a Venezia in occasione delprogetto per Ca’ Venier dei Leoni alla Biennale diVenezia del 1985. In quel caso la quota perduta dell’e-dificio storico veniva raggiunta nuovamente dal volu-me arretrato del museo mentre la riedificazione dellecolonne libere segnava le diverse scansioni degli ordinie dei partiti del palazzo e denunciava, insieme ai solidiplatonici posti in sommità, l’impossibilità di una rico-struzione completa. Mi aveva sempre colpito questoprogetto per la scelta di incarnare l’architettura perdutasenza ricostruirla e per la capacità evocativa di attivareuna tensione progettuale senza speranza, mettendo invalore formale la mancanza.Era possibile, quindi, segnare le altezze irraggiungibilidell’isolato immaginato da Bohigas e Martorel riper-correndo i passi di questo «elegiaco omaggio al lin-guaggio moderno»?5La soluzione proposta sospendeva a sbalzo su un piedeeccentrico alcune piastre all’ultima quota dell’opera sullato libero dell’isolato, riproponendo la sequenza deicorpi di fabbrica originari e delimitando lo spazio libe-ro interno. Se l’insieme sembrava funzionare in rappor-to alle residenze collettive esistenti cui si rapportava,sembrava invece poco convincente sia il rapporto conle destinazioni possibili a servizi (portate ad una quotanon facilmente praticabile) che il rapporto con lo spa-zio pubblico alla quota della città.A partire da queste valutazioni la proposta finale limita ilcampo d’azione dei principi progettuali dell’opera allamatrice geometrica, sullo sfondo della quale si articolaun progetto complesso che ricuce le trame urbane.Guardando in controluce questo esito, da intendersi

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Fig. 1. C. Dardi, Progetto per Ca’Venier dei Leoni – Biennale diVenezia 1985, fotomontaggio trat-to da DARDI C., Semplice linearecomplesso, l’acquedotto di Spoleto,op. cit., p. 316

5. DARDI C., Semplice lineare com-plesso, l’acquedotto di Spoleto,città e progetto 1, Quaderni diTeoria e progetto, Edizioni Kappa,Roma 1987, p. 314.

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come soluzione trovata anche scartando le altre possibi-lità, la nostra riflessione si può allora soffermare su dueproiezioni sovrapposte ed inverse che risultano evidenti.Una prima direzione di influenza vede muovere lasonda progettuale dall’architettura verso la città.La memoria delle intenzioni progettuali diviene unamatrice geometrica sulla base della quale fare emerge-re, o abbassare, i piani delle relazioni definendo, attra-verso il disegno del suolo, un programma di ricucituradegli spazi che dall’interno dell’isolato tendono a ricol-legarsi ai percorsi ed ai giardini disposti sulla stradastorica della “manzana” che aveva, come una crepa,messo in crisi la matrice geometrica ed assoluta delCerdà.Un secondo spazio di interazione ribalta i termini deldiscorso e riporta l’opera all’oggi. Il ridisegno e laschermatura del fronte posteriore, allora intenzional-mente trascurato, trova nella risposta all’esigenza didotare le residenze di nuovi spazi all’esterno l’occasio-ne per ripensare il lato meno importante dell’edificiocome nuovo fondale urbano per un sistema di spazipubblici che possono trovare, nell’area dell’isolatooggi occupata a parcheggio, una nuova centralità diservizi e di socialità.Rovesciando le gerarchie attese, la città contemporaneacondiziona l’opera incompleta più di quanto la suavisione mancata possa guidare la configurazione deglispazi incompiuti che gli sono prossimi.Non a caso tra tutti i disegni prodotti quello più convin-cente sembra essere proprio quello alla scala urbana,con una prefigurazione complessiva di riarticolazionearchitettonica del piano originario.Non per nulla lo stesso Bohigas, parlando con noi, sotto-lineava l’esigenza di intervenire senza scrupoli e senzaremore sugli isolati del Plan Cerdà. Ad una mia doman-da sulle possibilità di intervenire sulla sua opera e nellospazio retrostante seguì, nell’intervista del 2010, unaprecisa presa di posizione che ci ha riportati alle premes-se di quel progetto ed ad una chiara idea di città comemodificazione costante e dialettica a partire da regolecondivise e sedimentate: «È lo spazio pubblico chedetermina il limite entro il quale si può assorbire uncerto grado di informalità di un progetto meno dogmati-co dal punto di vista formale. Già nel blocco CarrerPallars cercavamo di dimostrare questo…».6

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6. Vedi la tesi di Dottorato diMANGI E., op. cit., vol. II,Apparati, Incontro con OriolBohigas, p. 12.

Fig. 2. Immagine dall’interno dellapiazza della quarta soluzione,MANGI E., Tra città reale e progettoincompiuto. Sondare i limiti delrestauro del moderno applicatoalla scala urbana..., op. cit.

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L’azione del recupero architettonicoIl recupero architettonico si identifica in un processoprogettuale indirizzato a mantenere e incrementare levalenze del bene costruito, oggetto di studio. Le verifi-che per destinarlo a nuove funzionalità compatibili conle sue prerogative morfologiche e spaziali, sono unpassaggio peculiare del progetto in quanto la preminen-za dell’obiettivo del riuso considera l’introduzione diparziali modifiche o integrazioni idonee a mutarne l’u-tilizzo.Nel recupero, le azioni trasformative per soddisfare inuovi requisiti d’uso sono però da controllare nella lorocongruità con la “materia costruita” in modo che essanon sia alterata nei caratteri fondamentali che la rendo-no distinguibile.1 Gli adeguamenti necessari, orientatiall’aggiornamento delle esigenze distributive e presta-zionali, sia tecniche che normative, impongono rifles-sioni profonde che non autorizzano semplificazioni neiconfronti del cambiamento affinché essi siano determi-nati nell’ambito del “minimo intervento” e della cosid-detta “lecita modifica”. Il tipo di intervento e, di conseguenza, il suo risultatodipendono principalmente dalla rappresentatività (cul-turale, urbana, ambientale) che il bene architettonicopossiede e dalla sua condizione di utilizzazione odismissione, ovvero dal suo rapporto di continuità-discontinuità tra la persistenza dei caratteri spaziali,morfologici, figurativi, e di uso e significato,2 che sta-biliscono i limiti dell’adeguamento contemporaneo e,soprattutto, lo rapportano al proprio contesto di appar-tenenza.Se si considera come ogni bene architettonico soggettoa recupero sia sostanzialmente sottoposto a un processodi storicizzazione che riorganizza la conoscenza delsuo passato e del suo presente in funzione di un pro-gramma rivolto al futuro,3 la sua relazione con il conte-sto non può tralasciare l’opportunità che il progetto direcupero sia collegato a contigui processi di rinnova-mento o rigenerazione urbana, o ne faccia parte, traen-do da essi la possibilità di un ruolo strategico specificonella conferma della memoria del luogo e nella limita-zione del consumo di nuovi suoli.

Recupero architettonico e rigenera-zione urbana per la valorizzazione deiluoghi della dismissione industriale.Un caso di progetto a Reggio EmiliaPierfranco Galliani

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Fig. 1. Reggio Emilia: struttura eriferimenti urbani

3. Cfr. GALLIANI P., Identità del-l’architettura del XX secolo e pro-getto contemporaneo, in«Territorio», n. 62, 2012, p. 77.

2. Ibid.

1. Cfr. GALLIANI P., Recuperoarchitettonico: problematiche equestioni di metodo, in«Territorio», n. 51, 2009, p. 97.

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I casi problematici ricorrentiLa grande maggioranza dei casi nei quali intervenire,insieme ad organismi architettonici isolati, si presentain complessi composti da più edifici, talvolta proget-tualmente interrelati a formare consistenti tessuti urba-ni. Tra i casi problematici ricorrenti vi sono quelli dellaresidenza collettiva e dei comparti ex industriali realiz-zati nel Novecento: i primi, formati da alloggi ancoraabitati, ma spesso mancanti di idonei requisiti distribu-tivi e di accessibilità, ormai indispensabili; i secondi,dismessi o in via di dismissione, che spesso presentanoubicazioni di interesse urbano, in quanto non più peri-feriche, ma al contempo vaste e complesse spazialitàda riutilizzare.Dato interessante è che entrambi i casi presentanosovente soluzioni architettoniche ancora condivisibili, ein alcuni casi paradigmatiche rispetto al tipo di inter-vento originario, per quanto riguarda tipologia ediliziae disposizione morfologica, ma per contrastarne l’ab-bandono pongono l’urgenza della presenza di nuoveattività – per servizi collettivi a sostegno della residen-za;4 per attività alternative, preferibilmente legate allaproduzione o alla collettività5 – e al contempo la neces-sità di ripensare gli spazi aperti di relazione per avvici-narli alle nuove esigenze di fruizione e, soprattutto, allasensibilità contemporanea.Tramontati i tempi in cui rapidi “processi metabolici”intervenivano secondo i criteri totalmente sostitutividella tabula rasa e della ricostruzione ex novo, appareevidente che sia per la residenza che per i complessi exindustriali occorra agire strategicamente, collegandointerventi selettivi di recupero architettonico ad azionidi rigenerazione trasformativa – senza confonderne iruoli –, che possano originare operazioni sostenibili erinnovare un’attenzione diffusa al rapporto dialogicotra passato e presente.

I luoghi della dismissione industrialeIl fenomeno della dismissione di aree industriali, origi-nato dal decentramento e dalla trasformazione deisistemi produttivi, è in particolare da decenni uno dei

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5. Mi riferisco a studi condotti sucomplessi industriali dismessicome nel caso dell’ex ManifatturaTabacchi a Milano, oggetto di spe-rimentazione progettuale nell’am-bito della ricerca Miur Prin 2002“Gli archivi del progetto di urba-nistica, architettura e design:spazi, organizzazione e gestione”,i cui risultati applicativi sono rac-colti in PIVA A., GALLIANI P. (acura di), Gli archivi del progetto,Lybra Immagine, Milano 2005.

4. Mi riferisco a recenti esperienzedi sperimentazioni didattiche,avviate nell’a.a. 2012-2013 nelLaboratorio di Progettazionearchitettonica e urbana (sez. A, P.Galliani con L. Spinelli) delDottorato di ProgettazioneArchitettonica e Urbana delPolitecnico di Milano, nel qualesono stati affrontati il recupero ela rifunzionalizzazione dei quartie-ri Fabio Filzi e GabrieleD’Annunzio, realizzati da FrancoAlbini (e altri) a Milano negli anni‘30 (dottorandi XXVIII ciclo: B.Angeli, S. Maglio, A. MigliareseCaputi, I. Peron, D. Salaheldin, E.Scattolini).

Fig. 3. Il nucleo della “cattedra-le” del Consorzio AgrarioProvinciale (Cap).

Fig. 2. Veduta a volo d’uccello delcomparto Mapre-Cap

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temi centrali del dibattito sulla città contemporanea esulle trasformazioni del territorio. La dismissione gene-ra la disponibilità di nuove aree che possono essereconsiderate occasioni per uno sviluppo non più legatoall’accrescimento del territorio urbanizzato.Per conciliare gli interventi di rinnovamento con laconservazione critica delle preesistenze maggiormentesignificative, con l’obiettivo di salvaguardare/rielabo-rare l’identità di luoghi ricchi di memoria collettiva, lascelta delle operazioni da attuare può essere oggi rivol-ta, da un lato, verso l’inserimento di attività compatibilie sostenibili, indirizzate al contenimento dei consumi,dall’altro alla necessità di ricomporre il sistema dellerelazioni con il tessuto urbano circostante a partire dal-l’apertura dei recinto industriale.L’occasione di poter recuperare spazi ampi, come rara-mente la città contemporanea progetta, risulta un valoreaggiunto che talvolta richiede un particolare impegnointerpretativo nel processo di risignificazione dei luo-ghi. In genere lo spazio per la produzione industriale ècaratterizzato da grandi invasi unitari, ritmati dalla pre-senza cadenzata di strutture verticali di sostegno, spes-so abbinati alla preponderanza di superfici perimetralicieche nelle parti di basamento e coperture inclinate,con l’inserimento di estese aperture finestrate nelleparti superiori e lucernari in copertura.Una costante delle architetture industriali, anche quan-do sono state oggetto di un pensiero unitario, è datadalla sovrapposizione di adattamenti funzionali,aggiunte volumetriche, trasformazioni di parti checomporta l’esigenza di intervenire in modo ponderatonell’individuare i manufatti più significativi e idonei adospitare le nuove funzioni.

Il caso studio Mapre-CapLa ricerca progettuale sul comparto Mapre-Cap aReggio Emilia rappresenta una esperienza che speri-menta la possibilità di interrelare recupero architettoni-co e rigenerazione urbana in modo alternativo.6Il comparto, ubicato nella prima periferia storica dellacittà, sorta all’inizio del Novecento con la costruzionedella ferrovia Reggio-Ciano d’Enza e il progressivoinserimento di laboratori, fabbriche, case popolari eservizi, è costituito dai complessi del ConsorzioAgrario Provinciale (Cap), insediatosi alla fine deglianni ‘40, e del Mercato Agricolo Provinciale di ReggioEmilia (Mapre), realizzato all’inizio degli anni ‘70.La loro estensione di circa 65.000 mq7 è paragonabiledimensionalmente ad alcuni riferimenti urbani come ilCimitero o il Parco del Popolo, la più grande area averde del centro storico. Come analoghi complessiindustriali-produttivi, il comparto è caratterizzato da untessuto morfologico più denso rispetto ai tessuti resi-denziali adiacenti, con estese superfici coperte all’in-

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6. Il lavoro di analisi e studio difattibilità è stato svolto nell’ambi-to dell’incarico di consulenza peril “Programma funzionale e pro-getto morfologico di rigenerazionee valorizzazione dell’area Mapre edel suo comparto”, affidato daMapre s.r.l. (Reggio Emilia) alDipartimento di Architettura eStudi Urbani del Politecnico diMilano: responsabile scientifico P.Galliani, Laboratorio diProgettazione Integrata (Lab.Pro)con M. Besana, L. De Michelis,M. Gerli, A. Migliarese Caputi(dicembre 2012-aprile 2013).

7. Il comparto, che comprendeanche la contigua area Conad, indisuso, corrisponde a un quartodell’Ambito di RiqualificazioneAr4 che il Piano StrutturaleComunale (Psc) indica come partedi città edificata da sottoporre atrasformazione morfologica e fun-zionale programmata, attraversoPiani Operativi Comunali.

Fig. 5. Lo spazio ipostilo del MercatoAgricolo Provinciale (Mapre)

Fig. 4. Proposta di rifunzionaliz-zazione del Cap

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terno dei lotti ed edifici grandi quanto interi isolatidelle aree centrali.Il Cap è articolato in un perimetro di edifici disposticon continuità lungo i margini stradali, in un consisten-te nucleo interno e in altri corpi di fabbrica posteriori;il Mapre è invece edificato centralmente alla propriaarea di pertinenza ed è dotato di un corpo accessoriolaterale. Le due strutture si differenziano anche dalpunto di vista altimetrico: mentre il Mapre, di edifica-zione più recente, coincide essenzialmente in una este-sa piastra orizzontale con copertura a shed; il Cap siidentifica in un insieme di alti edifici paralleli con unnucleo centrale pluripiano detto “cattedrale”, che con-teneva i sili per la conservazione dei cereali.Le due sedi risultano separate da una via alla qualesono allineati gli edifici posteriori del Cap, che penetraverso sud fino al margine ferroviario. Il comparto sitrova in una condizione di notevole vantaggio dalpunto di vista dell’accessibilità privata, pubblica eciclabile, essendo posto all’incrocio dell’importanteasse nord-sud di via Fratelli Manfredi e del tratto dellacirconvallazione est-ovest di via Cisalpina.

La trasformazione morfologica e funzionaleLa trasformazione finalizzata alla valorizzazione delcomparto Mapre-Cap si basa sulla valutazione di alcu-ni elementi peculiari, messi in luce dall’analisi del con-testo urbano e dalle verifiche del patrimonio edilizioesistente.8Dal punto di vista urbano appare evidente la necessitàdi agire sulla chiusura e sulla separazione delle areeintroducendo permeabilità e connessioni oggi negate daalcuni edifici e dai recinti esistenti, considerando l’al-largamento della pedonalizzazione come uno dei mag-giori incentivi alla fruizione collettiva dei luoghi. Lapossibilità di uno spazio connettivo centrale, sviluppatolungo il tracciato di via Ligabue che oggi divide i duecomplessi, risulta un efficace asse scambiatore di nuoviflussi pedonali trasversali est-ovest, considerando l’op-portunità che esso sia tramite privilegiato per l’accessoalla nuova fermata della futura metropolitana leggeraReggio-Ciano.Questa constatazione trova un parallelo riscontro neiconfronti delle considerazioni sulle prerogative delleparti costruite del comparto, che individuano nel siste-ma di edifici del Cap, che fa capo alla “cattedrale”, enell’edificio a piastra del Mapre i due capisaldi tipolo-gici che caratterizzano la morfologia del comparto.L’idea di mantenere ai fini del riuso essenzialmentequesti corpi di fabbrica permette di porre in direttarelazione i due sistemi architettonici, riconoscendo alla“cattedrale” il ruolo di elemento identitario del luogo.Questa impostazione risponde a una duplice necessità:quella di ridurre l’estensione delle superfici da recupe-

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8. L’analisi del contesto urbanoinquadra e valuta le problematicitàe le potenzialità del comparto inrapporto ai poli funzionali, alleinfrastrutture, alla mobilità (priva-ta, pubblica, ciclabile), agli ele-menti della composizione dellastruttura urbana, alle funzionalilocalmente stabilite dal Psc, chenon prevede nuove aree di espan-sione puntando invece su program-mi di trasformazione e riqualifica-zione. La verifica del patrimonioedilizio consistite nella schedaturacompleta di ogni edificio con l’an-notazione, corredata di disegni efoto, di notizie sulla realizzazione,le funzioni originaria e attuale, latipologia, i caratteri costruttivi edistributivi, i materiali e le finituredi facciata, lo stato di conservazio-ne, le possibilità di riuso.

Fig. 8. Inserimenti volumetrici peril parcheggio seminterrato delCap e per le nuove residenze

Fig. 7. Schema dell’accessibilitàciclopedonale e delle aree per lasosta veicolare

Fig. 6. Proposta di rifunzionaliz-zazione del Mapre

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rare entro margini quantitativi economicamente e fun-zionalmente sostenibili; quella di acquisire come datopositivo la particolarità tipologica dell’impostazionedel piano rialzato che hanno tutti i corpi di fabbrica delcomparto. L’estensione sia nel Cap che nel Mapre diquesta quota di calpestio verso lo spazio connettivocentrale rende possibile l’inserimento di nuovi par-cheggi seminterrati in aderenza al Cap, permettendouna continuità pedonale trasversale che riduce gliattuali dislivelli e interfaccia i due fronti costruiti.L’articolazione funzionale del comparto riconosce lospazio centrale come totalmente pedonale e ciclabile.Su di esso convergono le tre aree principali, destinatead altrettanti settori di attività: commercio e ristorazio-ne di alto profilo qualitativo, e parzialmente ufficiamministrativi nel settore ovest, caratterizzato daigrandi magazzini voltati del Cap, attestati al corpo tra-sversale su strada; eventi espositivi e di mercato tema-tizzati, riferiti al riuso creativo e al collezionismo, eservizi collettivi nel settore est, contraddistinto dalvasto spazio ipostilo del Mapre; residenza e servizi nelsettore sud lungo la ferrovia. Nell’estremo margine estdel Mapre è inoltre individuato un ulteriore settore dadedicare alla logistica di supporto alle attività commer-ciali del centro storico, che può riutilizzare il corpodepositi esistente e comprende numerosi parcheggiesterni a raso.9 Strategia di fondo è la promozione diuna mixité funzionale in grado di rivitalizzare l’interocomparto attraverso la proposta di attività tra loro com-plementari che garantiscano un uso diuturno deglispazi disponibili e non ne prevedano una eccessivaframmentazione fisica che potrebbe risultare in contra-sto con le caratteristiche degli edifici esistenti.Il recupero selettivo delle preesistenze costruite per-mette di intervenire con un’azione di ricomposizionemorfologica del comparto introducendo alcuni nuovivolumi dedicati alla residenza, la cui disposizionetende a rendere congruente il margine lungo la ferroviarispetto alle matrici insediative, dettate dalle presenzedel Mapre e del Cap, nonché dallo sviluppo dello spa-zio connettivo centrale in direzione della nuova ferma-ta della futura metropolitana leggera.Le funzioni residenziali, già previste dal PianoStrutturale Comunale (Psc) in ogni piano esecutivo ditrasformazione urbana, risultano il necessario comple-tamento delle attività terziarie che sono di preferenzacollocabili negli edifici ex produttivi per ragioni tipolo-giche e di rinnovata rappresentatività del luogo. Daquesto punto di vista, due scelte coordinate risultano inparticolare determinanti nel dimostrare un aggiorna-mento dei caratteri architettonici delle preesistenze neiconfronti delle opportunità urbane: la permeabilità delfronte costruito su via Fratelli Manfredi e lo svuota-mento del volume della “cattedrale”.

9. Le scelte del programma fun-zionale sono frutto di uno specifi-co approfondimento sui nuovi cri-teri di rifunzionalizzazione per larigenerazione del tessuto urbanoobsoleto, nel senso di attività chedeterminino la partecipazione col-lettiva e di generale fruizione pub-blica dello spazio aperto.

Fig. 10. Masterplan della ricom-posizione morfologica e funziona-le del comparto Mapre-Cap

Fig. 9. Riarticolazione dei flussiciclopedonali e veicolari nellospazio connettivo centrale (sopra,stato di fatto; sotto, progetto)

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Ipotesi configurativaL’ipotesi proposta dichiara l’idea di una rimodellazioneglobale del comparto, in cui i “materiali preesistenti”,cioè gli elementi mantenuti, entrano nel processo crea-tivo per riacquistare tutta la loro capacità di espressioneinsieme ai nuovi corpi di fabbrica.10La proposta si concentra sul disegno del suolo e sullaverifica che limitate variazioni altimetriche restituisca-no organicità ai dislivelli dello stato di fatto, risponden-do all’esigenza di coordinare, senza sovrapposizioni, lepercorrenze pedonali-ciclabili e i numerosi accessi car-rabili.La texture delle pavimentazioni e la disposizione dellesuperfici a verde rendono riconoscibile un primoimportante sistema di percorrenza che dal margineovest di via Fratelli Manfredi procede fino allo spazioconnettivo centrale, sottopassando l’edificio su strada eil nuovo giardino verticale inserito nella “cattedrale”.Un secondo sistema di percorrenza entra a nord da viaCisalpina nello spazio connettivo centrale e dà la possi-bilità di cogliere la nuova complessità espressiva di unluogo su cui si affacciano tutti gli edifici principali. Quiil doppio percorso, pavimentato e verde, trova una con-clusione prospettica nella lama residenziale verso ilmargine ferroviario. L’edificio dialoga con l’allinea-mento del parterre dei parcheggi seminterrati e ordinala giacitura degli edifici residenziali verso est che,intervallati nel verde, scandiscono lo spazio antistanteil “nuovo centro eventi” Mapre.

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Fig. 14. Veduta di progetto delcentro esposizione-mercato neglispazi del Mapre

Fig. 13. Veduta di progetto dellospazio connettivo centrale in dire-zione della lama residenziale

Fig. 12. Veduta di progetto delgiardino verticale nella “cattedra-le” al centro del complesso del Cap

Fig. 11. Veduta di progetto all’in-crocio tra via Fratelli Manfredi evia Cisalpina

10. Cfr. GARDELLA I., in «AU»(L’architettura, lo spazio pubbli-co, la forma della città), n. 29,1988, p. 62.

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La gran parte dei lavori degli ultimi cicli del dottoratodi Palermo (XXI, XXII e XXIII) sul restauro delModerno pur partendo dalla volontà di affrontare iltema del restauro su casi studio specifici, identificabilicon singoli edifici (peraltro citati nei titoli delle diversetesi), si sono poi sviluppati nella loro indagine proget-tuale su ambiti più ampi comprendendo a volte partiurbane di particolare rilevanza.Soltanto per citarne alcuni lavori è avvenuto che la tesidi S. Branciamore sul “Teatro Popolare di Sciacca” diGiuseppe e Alberto Samonà si è dilatata sino a com-prendere il parco del teatro e la vasta area del promon-torio di Cammordino, la tesi di G. Farina sul “Sistemadi Piazza Castronovo” a Messina ha affrontato il nodourbano della testata sud della via Garibaldi e della suarelazione con l’antica circonvallazione ed ancora, rima-nendo sempre a Messina, le tesi di E. Galizia insiemeal progetto di restauro degli isolati I-VII della Palazzatadi Messina di Viola, Autore, Samonà, ha affrontato iltema del rapporto funzionale della Palazzata con l’areaportuale e con il mare, mentre la tesi di F. Fragale sulrestauro e trasformazione funzionale di alcuni padiglio-ni della Fiera di Messina si è ampliata sino a dilatare ilprogetto a tutta l’area della Fiera e ai suoi rapporti conla città. Anche i lavori su Gibellina Nuova come la tesidi L. Macaluso sulla “Chiesa parrocchiale” di L.Quaroni, la tesi di R. M. Pecoraro sul “Municipio” diAlberto Samonà o come ancora la tesi di F. Miceli sul“Centro Civico” di O. M. Ungers nell’affrontare ilrestauro dei singoli edifici hanno ampliato il campo diindagine e quindi di progetto con l’intento di dare solu-zione a situazioni critiche di alcune parti urbane dellanuova Gibellina. Infine il lavoro di E. Mangi che avevacome obiettivo dichiarato il restauro dell’isolatoincompiuto di O. Bohigas e J. M. Martorell aBarcellona ha individuato nei principi urbanistici earchitettonici del piano Cerdà le soluzioni spaziali efunzionali del progetto di completamento dell’isolato.I motivi di tali scelte possono essere rintracciati da unlato nella circostanza che i casi studio hanno riguardatosempre edifici del “moderno” (risalenti agli ultimiottanta anni) le cui operazioni di restauro comportanopossibilità di trasformazioni funzionali e spaziali degli

Il restauro del moderno alla scalaurbanaAntonino Marino

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interni (a volte anche radicali), dall’altro lato dalla cir-costanza che il dottorato di Palermo, unico tra i dotto-rati di progettazione architettonica d’Italia, ha assuntoil progetto come strumento di indagine, per cui è statoabbastanza conseguenziale che lo studio, partendo dal-l’interno dell’edificio, si sia ampliato all’esterno coin-volgendo parti anche ampie del territorio circostantearticolandosi, quindi, come un vero e proprio progettourbano. Un progetto che ha assunto modalità di approc-cio nuove rispetto al tradizionale, processo che affidavaall’urbanistica, attraverso il piano preliminare di inqua-dramento morfologico funzionale, la priorità sul pro-getto di architettura. I progetti sviluppati nel Dottoratohanno delineato un processo inverso, ponendo l’archi-tettura al centro del processo di definizione del ruolourbano cercando la soluzione esatta di un problemaestremamente specifico e per questo unico.È abbastanza noto come il Movimento Moderno non sisia posto, a meno di alcuni casi espliciti, il problemaarchitettonico ed urbanistico di un ambito urbanocome sistema spaziale definito. I valori della composi-zione urbana erano identificati in sistemi aperti, poten-zialmente estensivi, basati sull’iterazione di edificipoggiati su un piano indefinito. Le relazioni tra i volu-mi avrebbero acquistato valore estetico attraverso uncomplesso dosaggio di riflessi e asimmetrie secondo lateoria lecorbusieriana degli “objets à reaction poèti-que”.

La ricerca portata avanti dal Dottorato ha il meritoquindi di avere aperto un nuovo modo di affrontare ilprogetto di restauro percorrendo la strada del restauroalla scala urbana che ha comportato il confronto condiversi temi, da quello delle infrastrutture (strade, mar-gini, viadotti) a quello della residenza, da quello deiservizi (aree dismesse, fabbriche, aree militari) a quellodegli spazi aperti (piazze, giardini, corti).Tali modalità operative hanno presentato una certa dif-ficoltà dovuta anche al fatto che alla mancanza di pre-cedenti significativi e spesso di ipotesi teoriche utili perimpostare i problemi in modo generale.È per questo che sono apparsi interessanti alcuni inter-venti degli anni settanta realizzati in Europa in occasio-ne di progetti di restauro di ambiti urbani ampi chehanno saputo coniugare il recupero di vaste aree verdi

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Fig. 1. BRENNER H.,Il parco aerodi-namico, Adlershof, Berlino 1936.

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con la ricostruzione o il restauro di manufatti architet-tonici significativi.È chiaro ormai che non potendo incidere se non in tempilunghi sulla trasformazione e sul recupero dei tessutiurbani degradati o di scarsa qualità la possibilità diavviare un processo di restauro urbano può avvenire sol-tanto tramite interventi puntuali su aree strategiche cir-coscritte, recuperate dalla dismissione di vecchie struttu-re, come strutture commerciali o strutture militari, ina-datte a restare all’interno di centri urbani consolidati. Il recupero e il riuso dell’ex aeroporto militareAdlershof, principale centro di studi aeronautici duran-te la prima e la seconda guerra mondiale, avvenuto«attraverso gli effetti congiunti provocati dall’accosta-mento di scienza, industria ed economia, deciso dalprogramma di sviluppo e frutto della coalizione diimprese private, della Humboldt Universitat e dellaWista (che gestisce il parco e la commercializzazionedelle aree alla maniera di Silicon Valley) fanno oggi diAdlerdhof uno dei distretti più moderni di Berlino».1Se il parco ricavato nella parte centrale dell’aeroportodall’architetto paesaggista G. G. Kiefer crea un legameforte con il tessuto urbano e con il paesaggio circostan-te, il riuso a centro d’incontro degli studenti dei bellis-simi edifici in cemento armato del 1936 di H. Brennerdestinati alla progettazione degli aerei (la grande galle-ria del vento, la torre di avvitamento e il laboratorio perla prova dei motori) crea una continuità fisica dellaHumboldt Universitat con la storia di questo luogo.

Differente nella soluzione progettuale, ma simile nel-l’impostazione concettuale è il progetto del quartiere diBercy sulla rive droit della Senna a Parigi. Il quartiere«per la sua destinazione prevalentemente residenziale ela presenza di una parcellizzazione antica, irregolare eminuta è un’isola fragile che stenta a trovare una pro-pria centralità».2 Il nuovo intervento attraverso ilJardin de la mémoire di B. Huet cerca un ancoraggionella struttura viaria del vecchio quartiere, demolito,dei depositi del vino, mentre sul limite del parco J. P.Buffi coordina la progettazione degli edifici residenzia-li predisponendo, a partire dal modello della casaRustici di P. Lingeri e G. Terragni, un sistema di isolatiserrati da volumi paralleli continui, legati da tesi pro-spetti trasparenti affacciati sul parco. Tornando ai lavori svolti all’interno del dottorato èinteressante notare come alcune delle aree oggetto di

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2. BÉDARIDA M., La memoria ingioco, in «Lotus», n. 84, febbraio1995.

1. GALLOTTA M., Recupero e riuso aBerlino Adlershof. La città dellaScienza e dell’economia, in«Casabella», n. 683, novembre 2000.

Fig. 2. BUFFI J. P., Piano di svi-luppo del quartiere di Bercy,Parigi, 1988

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studio siano oggi al centro di programmi di restauro edi trasformazione da parte delle amministrazioni pub-bliche, spesso con la partecipazione attiva di cittadini evolontari interessati a controllare le modalità e i tempiper tali interventi. Anche da questo punto di vistaemerge la lungimiranza di Pasquale Culotta nell’averescelto come tema del dottorato il restauro del Modernoe di avere indirizzato i ricercatori verso architetture diqualità abbandonate o comunque non più idonee alleoriginarie funzioni. La Fiera di Messina oggetto di tretesi di restauro, ognuna con caratteristiche diverse, èuna di queste aree.

L’Autorità Portuale, proprietaria dell’area, oltre adavviare gli interventi di restauro conservativo degli edi-fici originari (testimoni dell’architettura del Modernoa Messina, quali il Portale d’ingresso e l’edificio delleMostre dell’Artigianato e il lungo edificio delleEsposizioni) e ad affidare il progetto esecutivo diristrutturazione dell’edificio d’angolo del Teatro, susollecitazione di cittadini operatori economici e cultu-rali ha avviato un serrato dibattito per individuare lesoluzioni più idonee per una fruizione pubblica dellaFiera. Al centro della discussione vi è la volontà diaprire l’area della Fiera alla città valorizzando attraver-so attenti restauri sia gli edifici del Moderno che levaste aree intorno. L’idea è di individuare un progettodi restauro a scala urbana capace di tenere insieme inun unico disegno strategico l’aspetto urbanistico, pae-saggistico e architettonico alla luce delle istanze con-temporanee.Da questo punto di vista sono quanto mai attuali alcuneconsiderazioni di P. Belfiore sul carattere dell’origina-rio impianto della Fiera di Messina: «Più che un pianourbanistico, si trattava di un progetto a scala architetto-nica che investiva una dimensione urbana, un “costrui-to nel costruito”, si sarebbe detto in anni più recenti.Del resto tutta la vicenda costruttiva della Fiera diMessina e la storia stessa del sito fanno pensare all’im-magine dell’ordito e della trama, laddove su una strut-tura (ordito) più stabile fatta di confini con la città e il

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Fig. 3. ROVIGO F., Nuovo Ingressodella Fiera di Messina. 1946

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mare, di permanenze botaniche e di arredi, di alternan-ze tra pieni e vuoti, di ingressi e percorrenze, di luoghidi sosta e terrazze a mare, si innestano disegni (trame)sempre variabili prodotti dai molti progetti che hannointeressato l’area a partire dalla prima edizione dell’a-gosto 1938. In quella sede, accanto ad uno scarnorepertorio di padiglioni e porticati di discreta fatturainseriti nel reticolo delle preesistenze otto-novecente-sche, compariva un edificio-padiglione che, unico,mostrava più autorevoli paternità progettuali perchévertebrava con sicurezza e conferiva disegno unitarioad una composizione altrimenti irrisolta, restituivamateria e cubicità ad una immagine complessiva trop-po rarefatta per l’uso quasi generalizzato di portici,pensiline e telai strutturali».3Nelle tesi di dottorato cui si è fatto cenno all’inizio enegli esempi illustrati, all’importanza storico architet-tonico, si coniuga l’interesse per il carattere di struttureautonome e separate a volte, come nella Fiera diMessina, fisicamente recintate. Il carattere di enclave di molte di queste aree fornisceun ulteriore grado di interesse al tema generale delrestauro urbano. In molti casi la soluzione progettualedeve bilanciare la volontà di mantenere l’autonomiadella struttura precedente (con l’inserimento di nuovefunzioni) e con la necessità di relazionarsi con la cittàintorno attraverso l’uso di apparati idonei a creare unacomplementarietà tra il dentro e il fuori capace di rivi-talizzare lo spazio circostante. Da questo punto di vista tale impostazione risulta affi-ne a quella proposta da alcuni autori francesi degli anninovanta come M. Kagan e H. Ciriany a proposito dellasperimentazione di una nuova forma urbana pensataper dare identità ai luoghi indefiniti delle periferie:«Concepire gli interventi su tali strutture autonomecome frammento di un’ipotetica grille européenn.Questa viene messa in opera come dispositivo pro-grammatico e formale grazie al quale la megalopoliritroverà la sua eleganza mediante la costruzione diconsistenti enclaves in mezzo al deserto della motoriz-zazione».4È da capire se una tale analogia può essere applicata ailavori del dottorato. Non vi è dubbio che, a prescinderedalle soluzioni formali e funzionali, il restauro e lariqualificazione di molte aree circoscritte e autonome seaffrontate con l’intento di pensare ad un sistema territo-riale di enclaves européenn può essere lo spunto per unprocesso più ampio di rigenerazione delle nostre città.

4. FRAMPTON K., Microcosmi epièces urbane, in «Casabella», n.594, ottobre 1992.

3. BELFIORE P., Quell’arco, arco-baleno di pace tra Roma eMessina, in MARINO A., Progettiin Fiera, Iiriti editore, ReggioCalabria 2010.

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Il mio interesse verso l’architettura e la struttura urbanadi Messina si è avviato ormai da tempo, a partire dagliinizi degli anni Ottanta. In quel periodo si sono createle premesse per una serie di ricerche, studi e indaginiprogettuali che emergevano dalle questioni legate allaformazione della città dello Stretto dopo la ricostruzio-ne avvenuta a seguito del terremoto del 1908. A partiredal 1983, questa attività di ricerca si è sviluppata lungodue fondamentali linee di lavoro: la prima, attraversoletture orientate e indagine sul campo; la seconda, conesplorazioni progettuali a scala urbana.In questo senso ha assunto particolare rilievo il SimposioInternazionale di Progettazione Architettonica “L’Isolatodi Messina” (1984/1985),1 che ha rappresentato unasorta di primo traguardo per un’iniziale presa di coscien-za del valore della struttura insediativa di Messina, chetrova nella trama ad “isolati” la matrice costitutiva delsistema urbano post terremoto.

Altre tappe significative sono state due mie iniziativeorganizzate nel 1993: la Mostra “L’ArchitetturaModerna a Messina”2 e il Seminario di Studi “Valoreed uso del Moderno”.3Le due occasioni sono state utili, in particolare, per fareemergere con grande evidenza alcune opere di architet-tura di indubbio interesse, fino ad allora non considera-te, e sulle quali era importante richiamare attenzione esollecitare ricerche ulteriori e da lì, di conseguenza,generare un senso di necessaria tutela e valorizzazionedi questo patrimonio.

Punteggiata di architetture fra il Tirreno e lo Ionio Vincenzo Melluso

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1. Il Simposio - promosso daVincenzo Melluso e coordinatodallo stesso con Pasquale Culotta,insieme a Michele Ministeri ePompeo Oliva - ha offerto unmomento significativo per letematiche poste e per le modalitàdi confronto, grazie ai laboratoridi progettazione. L’iniziativa videla partecipazione di figure diprimo piano, al centro del dibattitoarchitettonico di quegli anni. Traquesti si possono certamente ricor-dare Mario Botta, VittorioGregotti, Eduardo Souto deMoura, ed ancora Joan Busquets,Bibi Leone, Carlo Magnani,Francesco Venezia. Per gli esitidel Simposio si rimanda al volu-me: AA.VV., L’Isolato diMessina, Medina, Cefalù 1986, eanche «Casabella», n. 523/1986,pp. 16-27.

2. I materiali della Mostra, curatada Vincenzo Melluso, furono rac-colti sinteticamente in una guida,realizzata in occasione dell’inaugu-razione e in parte pubblicati sullarivista «Abitare», n.320,luglio/ago-sto 1993, numero monografico“Sicilia Nuovissima”, AbitareSegesta, Milano 1993, pp. 128-135.

3. Il Seminario, promosso e coor-dinato da Vincenzo Melluso, sisvolse a Messina nel luglio del1993 e mise in evidenza la neces-sità di tutelare e valorizzare l’ar-chitettura moderna, con particola-re riferimento al patrimonio mes-sinese.Parteciparono al dibattito, tra glialtri, Claudia Conforti, FulvioIrace, Pierluigi Nicolin.

Fig. 1. Copertina del volume cheraccoglie gli esiti del Simposio“L’Isolato di Messina”

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In seguito, l’interesse per il contributo originale espres-so dalle istanze del linguaggio Moderno a Messina èstato da più parti motivo di considerazione e oggetto dimolte ricerche, in particolare nell’ambito del Dottoratodi Ricerca in Progettazione Architettonicadell’Università di Palermo, all’interno del quale si sonosviluppati studi e progetti, con differenti declinazioni,attraverso numerose tesi di dottorato.4All’interno delle attività dello stesso Dottorato diPalermo un ulteriore passaggio di riflessione critica èstato possibile attraverso il Workshop “La forma edifica-ta”5 dal quale, ancora una volta, è emerso il valore e lepotenzialità già individuate e poste al centro del dibattitodisciplinare in occasione del Simposio del 1984.

In avvio di questo scritto si ricordavano gli aspetti e itemi di particolare interesse che hanno contraddistintoquesti studi legati anche a singole opere di architettura.Opere che segnano nella sua interezza la città, princi-palmente all’interno della trama urbana racchiusaall’interno del Piano Borzì.Queste architetture, come ho avuto modo di definirenegli interventi critici del 1993, costituiscono una sortedi itinerario di architettura razionalista messinese edoffrono un panorama significativo rispetto alla ricercafigurativa e compositiva degli anni che hanno contrad-distinto l’edificazione della città tra gli anni Trenta enel successivo dopoguerra, fino alla fine degli anniCinquanta.

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1. Edilizia popolare, 1936/39 (Uff. Speciale Genio Civile); 2. Cinema Odeon, 1951 (R. Gunter);3. Istituto Tecnico Verona Trento, 1959 (P. Quirino Paolino); 4. Edilizia popolare, 1942 (Uff.Speciale Genio Civile); 5. Residenze e negozi, 1949/52 (M. Ridolfi, W. Frankl); 6. StazioneMarittima e Centrale, 1936/39 (A. Mazzoni); 7. Palazzo INA, 1935 (C. Autore, G. Viola, G.Samonà); 8. Cinema Apollo, 1954 (F. Rovigo); 9. Centrale telefonica 1958 (V. Pantano); 10.Cinema Olimpia, 1951/55 (F. Rovigo); 11. Ex Palazzo Littorio, 1939 (G. Viola, G. Samonà);12. Palazzo INAIL, 1939 (G. Viola, G. Samonà); 13. Palazzo INPS, 1956 (G. Samonà); 14.Edilizia popolare, 1954 (Uff. Speciale Genio Civile); 15. Cittadella fieristica: portale d’ingresso,1955 (V. Pantano); 16. Cittadella fieristica: padiglione 1A, 1953 (V. Pantano); 17. Casa Ballo,1951/55 (F. Rovigo); 18. Cittadella fieristica: padiglione 2, 1953 (V. Pantano); 19. Cittadellafieristica: padiglione 12-14, 1952 (V. Pantano); 20. Residenze e negozi, 1952/57 (F. Rovigo);21. Lido di Mortelle, 1955/58 (F. Rovigo); 22. Lido del Tirreno, 1955/58 (N. Cutrufelli).

Figg. 2a-2b. In alto. Melluso V.,Mazzoni a Messina, Laboratorio diArchitettura, Messina 2002. A destra. itinerario di architetturarazionalista messinese

5. Il Workshop, svoltosi nel 2009e curato da Vincenzo Melluso, haripreso con forza le questioni e gliesiti emersi in occasione delSimposio “L’isolato di Messina”,con l’obiettivo di riportare all’at-tenzione al sistema dell’Isolato diMessina, come questione apertadella progettazione, e indagandointorno alle possibilità di riconfi-gurare l’assetto di una porzionerappresentativa del sistema ad iso-lati della città, a partire dal poten-ziale insediativo giocato su esem-plari dispositivi gerarchici orga-nizzativi.

4. Si ricorda, tra queste, la tesi “Ilsistema di Piazza Castronovo aMessina”, sviluppata tra il 2008 eil 2010 da Giuseppina Farina sottola guida di Vincenzo Melluso(vedi: G. Farina, Infrastrutture etessuti urbani, Edizioni Novagraf,Assoro, 2011).

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Una ricerca architettonica che aveva certamente sullosfondo le migliori esperienze che in quel periodo siandavano sviluppando in Italia, ma non solo. Si può,infatti, rintracciare negli esempi messinesi l’attenzionea progetti e opere che si producevano certamente nelcontesto europeo. Anni durante i quali figure di rilievonazionale, come Angiolo Mazzoni,6 e architetti locali,come Vincenzo Pantano e Filippo Rovigo,7 hannoofferto contributi di assoluto valore.Dalle loro opere è emersa con forza la capacità divisione ed elaborazione progettuale, attenta alle pecu-liarità proprie del territorio dello Stretto, ed in partico-lare della città.Gli esiti, ormai ampiamente riconosciuti ed apprezzatida parte della critica e da numerosi studiosi, rappresen-tano ancora oggi testimonianza significativa per rin-tracciare metodi, processi e modelli di riferimento dellaricostruzione della “città nuova”.

Avendo ormai in più occasioni testimoniato il mio per-sonale interesse e apprezzamento verso l’esperienza diquegli anni, desidero qui riportare l’attenzione su trecasi specifici che emblematicamente descrivono gliaspetti distintivi di quell’approccio: la capacità dideclinare virtuosamente l’opera architettonica, non soloverso i caratteri fisici e morfologici dei luoghi, maattenta anche alle istanze della società e alle dinamicheeconomiche in modo da produrre un processo positivodi trasformazione del territorio.Tre opere che rappresentano una sorta di punteggiatalungo la costa che accompagna la città, dal suo nucleoprincipale fino alle estremità di Capo Peloro, verso illitorale settentrionale.

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Fig. 3. Pagine dal numeromonografico “Sicilia Nuovissima”,«Abitare», n. 320, luglio/agosto1993, Abitare Segesta, Milano1993.

Fig. 4. Punteggiata di architetturafra il Tirreno e lo Ionio:1. Lidi balneari2. Cittadella fieristica3. Stazione marittima e centrale

6. In riferimento al progetto diMazzoni per il Complesso dellaStazione Marittima e Centrale dMessina si rimanda a: MELLUSOV., Stazione marittima centrale.Messina, «Area», n. 53, 2000, pp.18/29; e anche: MELLUSO V.,Mazzoni a Messina, EdizioniLaboratorio di Architettura,Messina 2002.

7. Attraverso la Mostra “Il disegnodi architettura nell’esperienzarazionalista messinese” si docu-menta per la prima volta la produ-zione di due figure del panoramaarchitettonico messinese:Vincenzo Pantano (1906/1957) eFilippo Rovigo (1909/1984). La Mostra propose un’ampiadocumentazione, con elaborati ori-ginali di opere e progetti, testimo-niando gli esiti della ricerca deidue architetti che operarono aMessina a partire dall’immediatosecondo dopoguerra.I materiali e i documenti riferitisostanzialmente alla produzione diPantano e Rovigo sono stati neglianni raccolti ed ordinati nell’archi-vio di Vincenzo Melluso, graziealla disponibilità degli eredi deidue architetti messinesi.

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Architetture diverse per programma e articolazionefunzionale, particolarmente complesse, ma certamenterappresentative di un contesto e di un clima socialeattento ad acquisire le migliori soluzioni per soddisfarei bisogni di un’intera comunità.Una punteggiata quindi che dallo Ionio, guardando loStretto, raggiunge le località poste a nord lungo ilTirreno.In questa sequenza troviamo le tre opere scelte, di cuidi seguito si descrivono sinteticamente i caratteri archi-tettonici e le logiche insediative.

Gli Stabilimenti BalneariVengono realizzati tra il 1955 e il 1958, in localitàMortelle, rappresentano testimonianze significative diuna ricerca architettonica attenta alle istanze e bisognisociali ed economici, capace di interpretarle e offren-dosi come esempi virtuosi per la trasformazione delterritorio. Gli stabilimenti balneari sono costituiti sostanzialmenteda due complessi: Il Lido di Mortelle ed il Lido delTirreno, progetti rispettivamente di Filippo Rovigo e diNapoleone Cutrufelli.Le scelte figurative e compositive che li caratterizzanoraccolgono certamente varie sollecitazioni provenientidal dibattito razionalista, coniugandole con grandecapacità interpretativa e fornendo quindi risultati origi-nali e di un notevole significato architettonico.Contrariamente alla grande tradizione italiana legataall’architettura delle colonie marine, che ha determina-to lungo i litorali della penisola numerosi ed importantiesempi di architettura, i due esempi messinesi sonofrutto di iniziative imprenditoriali private e seguono diun ventennio le opere appartenenti a questa tipologia,realizzate per la maggior parte negli anni trenta dalregime fascista.Sono entrambi progetti fondati su un programma fun-zionale alquanto semplice che si articola in parti bendistinte, concepite anche in tempi diversi, che riprodu-cono elementi seriali (cabine e piccoli alloggi) o spazicomuni che si leggono in contrapposizione come ecce-zioni formali. I due Lidi fondano tutta la loro capacitàespressiva sull’organizzazione dello spazio d’ingresso,sia nella sua articolazione planimetrica sia in quellaspaziale.Il Lido del Tirreno prevede un grande terrazza panora-mica d’ingresso a pianta esagonale, sovrastata da unacopertura sorretta da un poderoso pilastro circolare cen-trale ed alcuni, più esili, perimetrali. L’elemento princi-pale della struttura contraddistingue il corpo centraledel lido e consente di sviluppare lo spazio d’ingressointeramente aperto verso il mare. Si articola su duelivelli: nella parte basamentale una grande sala, rag-giungibile anche dall’arenile, dove trovano collocazione

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Fig. 5. CUTRUFELLI N., Lido delTirreno (1955-1957)

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anche le strutture per la ristorazione; al piano superiore,alla quota della strada, la terrazza panoramica copertache si imposta sullo stesso livello della strada.Il colore rappresenta un elemento di forte caratterizza-zione della finitura interna della copertura. La defini-zione di campi triangolari, in cui si alternano sapiente-mente giallo, verde e blu, danno una sensazione di tri-dimensionalità, anche se l’intradosso della copertura èuna superficie completamente piana. In tale realizza-zione sono ben leggibili i riferimenti a soluzioni lecor-buseriane e ciò manifesta chiaramente l’attenzioneall’evoluzione del linguaggio architettonico moderno.Le altri parti del Lido sono costituite dalla ripetizioneseriale del sistema delle cabine stagionali smontabili eda quelle in muratura, dotate di servizi autonomi, checonsentono anche di soggiornarvi. Queste ultime for-mano un unico grande edificio su due livelli il cui fron-te a mare è caratterizzato da ampi loggiati colonnati. Il complesso ha sostanzialmente un andamento oriz-zontale, con unica eccezione del serbatoio dell’acquache, con una forma determinata da due volumi pirami-dali contrapposti, si eleva perentoriamente in altezzaoffrendosi come un elemento scultoreo e di forte rico-noscibilità dell’intero Lido.Il Lido di Mortelle ospita, oltre a tutte le attrezzatureper la balneazione, una piccola struttura alberghieracon annesso ristorante e piscina. È quindi un progettopiù articolato del precedente, che trova nella suggestivacopertura dell’ingresso al lido l’elemento più caratte-rizzante. Una copertura dall’immagine molto plastica,frutto di un disegno accurato che si determina attraver-so un insieme di paraboloidi sorretti da un intreccio ditravi e pilastri. Ne deriva una composizione che ricordala coda di un’enorme “aragosta”, rimando che vieneulteriormente evidenziato dall’intenso colore rossodella superficie superiore delle volte. Un progetto studiato e sviluppato in tutti i dettagli, chepur nella loro semplicità descrivono un’attenzione pro-gettuale capace di dare coerenza figurativa all’insiemedell’opera. Tutto ciò è dimostrato dalla grande quantità di elaboratigrafici che sono stati rintracciati relativi ai vari elemen-ti del complesso: scale, gradonate, ringhiere, pavimen-tazione, rivestimenti, lampade.Rispetto alla parte relativa all’albergo, il primo volumeche si scorge arrivando dalla città, e interessante evi-denziare la soluzione adottata per l’affaccio dellecamere da letto: un’apertura aggettante a doppia incli-nazione, rivolte in parte verso le colline ed in parteverso il mare.

La Cittadella FieristicaL’area della Fiera costituisce, nell’ambito di questopossibile itinerario di architettura razionalista messine-

Figg. 6a-6b. ROVIGO F., Lido diMortelle (1955-1957)

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se, un ruolo particolarmente rappresentativo per collo-cazione e per le dinamiche che hanno segnato il suoformarsi come complesso di edifici e padiglioni.Raccoglie, infatti, al suo interno esempi assai interes-santi per le soluzioni formali adottate in relazione alladestinazione funzionale ed alla suggestiva ubicazione,aperta verso lo straordinario panorama dello Stretto esulla grande falce del porto.L’attuale impianto risponde ancora, nelle sue parti piùsignificative, alla soluzione prevista da VincenzoPantano, che risulta vincitore del concorso nazionale diidee, bandito nel 1947, al quale parteciparono tra glialtri personaggi di rilievo come Libera e De Renzi.L’attività progettuale nell’ambito del complesso dellaFiera, che vide come protagonista anche FilippoRovigo, fu sempre di estrema qualità. Dall’immediato dopo guerra, infatti, fino alla fine deglianni Cinquanta, si realizzò al suo interno una sorta disingolare laboratorio di ricerca compositiva che trova-va nelle istanze razionaliste le sue fondamentali matricie fonte di ispirazione architettonica di grande forzafigurativa.

La Stazione Marittima e CentraleÈ certamente l’esempio più importante dell’esperienzarazionalista a Messina ed è tra i più rappresentativi del-l’opera di Angiolo Mazzoni, protagonista del panoramaarchitettonico italiano tra le due guerre.Figura controversa, spesso contraddittoria, impegnatain una ricerca che di volta in volta approdava figurati-vamente all’utilizzazione di stilemi classicisti o allapoetica del linguaggio moderno. L’architettura delcomplesso della stazione di Messina contiene certa-mente i caratteri legati alle esperienze più care aMazzoni, alle quali ha certamente fatto riferimentonegli anni dal 1926 al 1943, ma soprattutto rimandaalle suggestioni sollecitate dalla ricerca di artisti comeDepero, Prampolini, Fillia, Tato: «Mazzoni incontral’architettura moderna – ci suggerisce Carlo Severati –in una chiave che piace ai pittori futuristi». Un’opera dalle articolate connotazioni funzionali edalle delicate e difficili implicazioni urbane.Approdo e smistamento delle navi traghetto e dei con-vogli ferroviari, posto lungo il margine della città aper-to verso la zona falcata, il progetto di Mazzoni riesce adare conto della complessità funzionale dell’operaattraverso soluzioni capaci di mettere insieme partidella città. Senza pregiudicarne quindi le possibilità direlazione, riesce a fare diventare il complesso sistemadel nodo ferroviario un evento urbano dai forti conno-tati architettonici e ricco di un articolato sistema di per-corsi e spazi di uso pubblico. Un’opera quindi che pro-prio nell’assetto urbano trova probabilmente i suoi con-notati di maggiore valore ed espressività: cerniera fun-

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Fig. 7. PANTANO V., Fiera diMessina, Padiglione delle Mostre(1949)

Fig. 8. ROVIGO F., Fiera diMessina, portale d’ingresso (1946)

Fig. 9. PANTANO V., Fiera diMessina, Padiglione per laCittadella Fieristica (1947-1957)

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zionale ma anche soprattutto visiva in particolare percoloro che, arrivando dal mare a bordo dei traghetti innavigazione lungo lo Stretto di Messina, trovano sullosfondo questa enorme “abside” di travertino. La partepiù significativa è sicuramente l’elemento curvilineo, aridosso della banchina del porto, che accoglie i varipercorsi necessari per l’imbarco e lo sbarco dalle navi,ma consente anche l’attraversamento pedonale tra ledue parti della città, tagliate dalla presenza del fasciodel tracciato ferroviario. Una sequenza di passaggipedonali e di spazi aperti, che si sviluppano su varilivelli, arricchiscono l’assetto planimetrico e fornisco-no al complesso un carattere che supera gli stretti con-fini di un’opera infrastrutturale. Percorsi interni edesterni, corti, giardini pensili si succedono con grandeefficacia, conferendo al sistema una ricca ed articolatasequenza di spazi e di vedute, sia all’interno degli

ambienti della stazione sia verso il panorama della cittàe del paesaggio dello Stretto. Anche in questo lavoroMazzoni manifesta grande capacità nel controllare ilprogetto alle varie scale di definizione, fornendo unaquantità enorme di informazioni e disegni di dettaglioper tutti gli elementi e gli spazi che caratterizzano ilcomplesso della stazione. Sono innumerevoli gli elabo-rati conservati nell’Archivio di Rovereto che descrivo-no questa enorme produzione di disegni esecutivi:tavoli, banchi, sgabelli, sedie, poltroncine, maniglie,porte, vetrate, ed ancora lampade, orologi, insegne, car-relli, fontane, ecc. sono descritte attraverso innumere-voli tavole, anche di grande dimensione, che testimo-niano il desiderio del progettista di controllare l’operanei più minuti dettagli, quasi nel tentativo di conferireall’intero complesso un carattere scultoreo. Questaestrema attenzione gli consente, anche attraverso l’at-tenta scelta dei materiali, di determinare una grandecoerenza ed unitarietà dell’opera nel suo complesso.

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Fig. 10. MAZZONI A., Il complessodella Stazione marittima e centrale(1936-1939)

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La definizione del lavoro di ricerca che il Dottorato inProgettazione Architettonica di Palermo ha sviluppatoper circa dieci anni attorno al tema del “Restauro delModerno” (e di cui questa pubblicazione costituiscel’ultima testimonianza)1 ci offre oggi l’occasione peravanzare una più ampia riflessione che ci costringerà aspingerci, forse con una buona dose di presunzione,fino a lambire i territori impervi dell’epistemologia2del progetto di architettura.

Nel dottorato palermitano, a partire dal XV ciclo, iltema generale di ricerca (valido per tutte le tesi delciclo) esplicita per la prima volta, quale propria pre-messa e postulato, la definizione di «scienza del pro-getto per l’architettura del manufatto».3 Con tale deno-minazione si presentavano, in maniera chiara e assio-matica, le intenzioni e la linea su cui il dottorato inten-deva muoversi, conferendo all’idea di progetto quelcarattere di scientificità necessario per assicurare aidottorandi il più adeguato percorso didattico e di ricer-ca. Ci si manteneva così all’interno di un rigoroso peri-metro di demarcazione metodologica, in grado di con-finare arbitri e licenze personali e in cui l’attenzioneverso i «nuovi modi di abitare» costituiva il controcan-to necessario per segnare un punto di vista rispetto alquale, nello studio del singolo manufatto, il dottorandoavrebbe potuto trovare ragioni e temporalità specifiche.Con il successivo XVI ciclo, il collegio dei docenti,mantenendo ferma la premessa tematica generale (che,da ora in poi, resterà sempre la medesima) avvia illavoro di ricerca sul “restauro del Moderno”, sintetiz-zandolo nel titolo: «La scienza del progetto per l’ar-chitettura del manufatto. Il restauro del Moderno enuovi modi di abitare la città». Tale scelta prende lemosse da un’intuizione di Pasquale Culotta4 (che inten-deva per “scienza del progetto” soprattutto la «scienzadel fare, del costruire») sull’opportunità strategica dilegare il tema di lavoro al postulato d’inquadramentogenerale, attraverso cui era anche possibile affermareche il progetto (di architettura), possedendo una pienadignità scientifica, è strumento necessario per un cor-retto approccio al restauro dei manufatti e, in particolarmodo, per quei manufatti riferibili alla controversa

Per una scienza “probabile” del progetto di architetturaEmanuele Palazzotto

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3. Per il ciclo XV, attivato nel 2003,il tema generale individuato dal col-legio dei docenti impone per laprima volta la premessa/postulatoriferita alla definizione di “scienzadel progetto” e presenta la seguentetitolazione: La scienza del progettoper l’architettura del manufatto. Lacasa temporanea e i nuovi modi diabitare la città. Con il successivo ciclo XVI, la pre-messa viene mantenuta e si introdu-ce la tematica specifica del Restaurodel moderno, che resterà costante,per circa dieci anni, fino al cicloXXIII: La scienza del progetto perl’architettura del manufatto. Ilrestauro del Moderno e nuovi modidi abitare la città.

2. L’epistemologia è quella brancadella filosofia che si occupa dellecondizioni sotto le quali si puòavere conoscenza scientifica e deimetodi per raggiungere tale cono-scenza, come suggerisce peraltrol’etimologia del termine, il qualederiva dall’unione delle parole gre-che episteme (“conoscenza certa”,ossia “scienza”) e logos (discorso).In un’accezione più ristretta l’episte-mologia può essere identificata conla filosofia della scienza, la discipli-na che si occupa dei fondamentidelle diverse discipline scientifiche.

1. Le tappe di questo lavoro sonotestimoniate, oltre che dal presentevolume, dalla pubblicazione dei pre-cedenti “Quaderni del dottorato”dedicati al medesimo tema:PALAZZOTTO E. (a cura di), Il pro-getto del restauro del Moderno,l’Epos, Palermo 2007; PALAZZOTTOE. (a cura di), Il restauro delModerno in Italia e in Europa,Franco Angeli, Milano 2011.

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categoria del “Moderno”. Il progetto di restauro eracosì ricondotto, con chiarezza, all’interno dello specifi-co disciplinare del progetto di architettura. Se è possibile individuare un germe di “tendenziosità”nella scelta dell’utilizzo secco ed esplicito del termine“scienza” in associazione al termine “progetto”,5 que-st’associazione apre a molteplici interpretazioni chesollecitano i necessari atti di distinzione e di precisa-zione affinché essa possa rivelarsi con chiarezza nelleproprie potenzialità, ma anche nei propri limiti e mar-gini di utilizzo. Inoltre, la scelta di occuparsi di untema come quello del “restauro del Moderno” all’inter-no di un dottorato in Progettazione Architettonica, seosservata in riferimento ad una scientificità (vera o pre-sunta) del progetto (che si associa alla possibilità diuna trasmissibilità e ripetibilità dei risultati raggiunti),implica una volontà di infrazione di quegli steccatidisciplinari al cui interno si coltivano numerose scienti-ficità “specifiche”, destinate troppo spesso a restarevalide solamente all’interno del recinto stesso. L’esperienza nel campo del progetto di “restauro delModerno” ha probabilmente condotto (in maniera più omeno esplicita) docenti e dottorandi, direttamente e conmaggiore evidenza, al confronto con quelle questioniepistemologiche che qui vogliamo evidenziare e concui, riteniamo, dovrebbe misurarsi qualsiasi discorso(teorico e pratico) svolto all’interno della disciplina delprogetto di architettura. Più che del tema specifico di ricerca in se e delle que-stioni che riguardano il restauro del Moderno (abbon-dantemente disquisito sia in questo volume sia nei“quaderni” che lo precedono) ci interessa quindi, inquesta sede, indagarne soprattutto la premessa («Lascienza del progetto per l’architettura del manufatto»),una premessa che ci sembra descriva una base indiffe-ribile per comprendere l’approccio epistemologico cheha sostenuto la metodologia didattica e di ricerca svi-luppata dal dottorato e che procede di pari passo con lariflessione sulle possibilità, limiti, condizioni e scopidella conoscenza scientifica nel campo disciplinareentro cui esso si colloca. Se si vuol dare un giusto peso alle intenzioni che stan-no dietro all’associazione tra i termini “scienza” e“progetto”, dovremmo allora cercare di interpretare ilsenso del loro utilizzo congiunto e specificare qualisiano state le intenzioni e gli ambiti contestuali entrocui il dottorato ha inteso muoversi assumendo questascelta. Bisognerà, in fin dei conti, cercare di compren-dere quale possa essere la particolare concezione di“scienza” che è sottesa al nostro postulato tematico.

La durezza che è insita nel termine “scienza”, posta inassociazione con una disciplina (il progetto di architet-tura) che, per sua natura, gioca da sempre un ruolo cul-

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5. Alla convinta adesione alladefinizione tematica da parte deidocenti del collegio ha corrispostouna nutrita serie di dubbi e osser-vazioni provenienti da parte diautorevoli voci esterne.

4. Il prof. Pasquale Culotta assu-merà il ruolo di coordinatore deldottorato dal 1996 e lo manterràfino alla sua prematura scomparsa,avvenuta nel 2006.

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turale ambiguo, molteplice, aperto, non facilmenteclassificabile, con grandi margini di libertà e d’inter-pretazione (tanto nel proprio farsi quanto nel ragiona-mento sul già fatto), conduce a un particolare corto-cir-cuito concettuale e teorico. In architettura, infatti, teo-ria e progetto (che riguardano, rispettivamente, il pen-sare e il fare), non possono essere disgiunti e, in unragionamento non dogmatico, s’influenzano vicende-volmente. Il corto-circuito operativo della “scienza delprogetto” comporta, in fin dei conti, il credere in unacircolarità del “pensare” e del “fare” progettuale, checonduce al “fare con coscienza” e che confida nel valo-re ermeneutico dell’azione di progetto. La “scienza del progetto”, quindi, non può che esserequalificata come una scienza empirica “inesatta” (cheoggi potremmo avvicinare a un paradigma post-positi-vista) che può trovare una sua sponda più generalenella demolizione del mito della scienza operata dapensatori come Feyerabend. Diversamente dalle cosid-dette scienze “esatte”, nel progetto di architettura l’esi-to non è mai certo e, una volta ottenuto, esso è (odovrebbe essere) ancor meno ripetibile. Pur trattandosidi una scienza “inesatta”, in essa esistono comunquenumerosi passaggi necessari, che vanno percorsi affin-ché sia possibile raggiungere un valore di qualità rico-noscibile.

Oggi, nel nostro paese, la discussione sulla scienza esull’idea di dove debba risiedere la qualità della ricercasi presenta in tutta la sua crudezza, soprattutto in questiultimi anni, segnati da una convulsa sperimentazionesulle modalità di valutazione per la ricerca scientifica,rispetto a cui l’architettura ha dovuto (e, con buon pro-babilità, dovrà ancora) faticare non poco per ottenere ilgiusto riconoscimento del proprio particolare e ambi-guo status (da sempre a cavallo tra arte e scienza),posta com’è tra hard e soft science, tra inapplicabilibibliometrie e consuetudini di ricerca che, anche neisuoi stessi prodotti, trovano singolari specificità cheappaiono difficilmente comprensibili all’esterno delcampo disciplinare e che spesso, quindi, arrivano adessere considerate con sufficienza se non, talvolta,addirittura con superficiale disprezzo. La questione della “scientificità” (o della “non scienti-ficità”) di una disciplina è pertanto centrale anche in undibattito contemporaneo allargato che, spostandosidallo specifico disciplinare, metta tutte le carte sultavolo per giocare con regole adeguate agli obiettiviculturali comuni e consenta la sopravvivenza di percor-si di ricerca, spesso antichi e prestigiosi. Il conferimen-to dell’attributo di “scientificità” a un’attività di ricercao, all’opposto, la privazione di una tale qualità, apparecruciale in tempi, come gli attuali, in cui la distribuzio-ne di risorse sempre più limitate e la futura sopravvi-

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venza di autorevoli discipline sembra dipendano dallapercezione che di esse ha una società (sempre piùdistratta da priorità con riscontri immediati) e una clas-se politica la quale ritiene che la qualificazione cultura-le di una nazione possa essere misurabile semplice-mente “a peso” (intendendola, troppo spesso, comesemplice merce, vista in funzione delle possibilità diuna spendibilità sul mercato), segno preoccupante dellapervasiva trasformazione della conoscenza in bene eco-nomico il cui valore è amministrato dallo Stato e a cuicorrisponde una visione burocratizzata del sapere. Siassiste alla nascita di un nuovo mercato che «trasformala ricerca, o meglio definisce che cosa è dicibile inquanto “scientifico” e “veritiero” in una ricerca e cosanon lo è…».6 La possibilità di parlare di “scienza delprogetto” giunge ad assumere così, in un siffatto conte-sto, anche lo sgradevole sapore di una rivendicazionedella propria necessità.

Ma a quale concezione di scienza possiamo riferirciquando si parla di “scienza del progetto”?7 Comeabbiamo già accennato, potremmo pensare si tratti diuna scienza fondamentalmente empirica che,8 comeaccade per molte scienze umane (con significativi puntidi contatto con le scienze sociali), deve essere concet-tualmente orientata ed è in grado di produrre nuovaconoscenza solo attraverso l’applicazione di operazionidi ricerca svolte con rigore logico-procedurale e tecni-co-operativo. Questo tipo di scienza si fonda su unametodologia (logica dell’indagine e teoria delle proce-dure) in cui interessa non tanto il risultato materiale daraggiungere con la ricerca quanto i criteri e le condizio-ni del ragionamento che la sostiene, rendendola fonda-ta; essa inoltre deve basarsi sui principi generali dirazionalità, formulati nell’ambito della propria rifles-sione epistemologica. Una siffatta procedura scientifi-ca, sostanzialmente empirica, nel campo del progetto diarchitettura non può aspirare a una ripetibilità pedisse-qua nei risultati: il metodo del percorso di progetto puòe deve essere scientificamente impostato, ma esso nondovrà condurre a risultati univoci. Nel rapporto tra teoria, ipotesi e prassi, la concezione discienza rintracciabile nell’idea di “scienza del progetto”procede per tentativi ed errori, facendo propria la con-vinzione generale che le conoscenze positive siano sem-pre provvisorie e soggette a revisione. In questo percor-so il progetto è “strumento”, uno strumento scientificoche consente l’applicazione di “regole” e procedurespecifiche, strutturando un percorso metodologico che,nel caso del lavoro di progetto sulla preesistenza signifi-cativa (e quindi nel restauro) include anche l’approfon-dimento e la conoscenza sistematica delle regole e deiprincipi custoditi all’interno del manufatto, necessariaper la corretta ermeneusi dell’opera oggetto di studio.

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6. CICCARELLI R., Valutare e puni-re: Anvur, Invalsi e altri acronimi.Come la valutazione crea bollespeculative a partire dalla ricercascientifica, «Rivista critica delDiritto Privato», anno XXXI, n. 1,marzo 2013, Iovene editore,Napoli 2013, pp. 149-160.

8. La ricerca empirica è una sequen-za di operazioni svolte allo scopo diprodurre risposte a domande sullarealtà (cfr. BOUDON R., Il posto deldisordine, il Mulino, Bologna1985). È pertanto indispensabileporsi le domande “giuste”, perchéesse influenzano il tipo di rispostache possiamo ottenere.

7. Nell’evoluzione del pensierooccidentale si sono sviluppate dif-ferenti concezioni di scienza, tuttecomunque, sebbene in misuradiversa, sovrappongono il concet-to di scienza, e di sapere scientifi-co, a quello di verità. Ciò checambia, nei secoli, è il livello digaranzia che la scienza è in gradodi offrire rispetto alla verità.

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Nel confronto operativo con il tema del “restauro delModerno” (ma il discorso potrebbe allargarsi al restau-ro tout court) emerge con evidenza il “primato del pro-blema”, nel senso che solamente a partire dal ricono-scimento della sua natura (e quindi dal caso specificodi applicazione) è possibile approntare quelle decisionie scelte consapevoli e adeguate alla soluzione dellostesso.

Aderendo così a un “realismo critico” e volendo rin-tracciare un “paradigma cognitivo”9 a cui potrebbeessere associato il nostro ragionamento, esso, probabil-mente, troverebbe un’agevole sponda in quello che insociologia sarebbe definito come “paradigma post-positivista”. Secondo tale paradigma l’approccio dellaricerca si appoggia a un fondamento empirista (checomunque mantiene la fiducia nella conoscibilità dellarealtà), dipende dalla teoria adottata (attraverso cui siconcettualizzano i problemi) e rende consapevole ilricercatore (che la fa propria) sull’importanza del pro-prio ruolo, sulla provvisorietà e sul carattere probabili-stico delle generalizzazioni adottate, oltre che sullanecessità che i risultati della propria ricerca vadano sot-toposti alla critica e alla validazione della più ampiacomunità scientifica. Tra l’oggetto d’indagine (ilmanufatto, il luogo…) e il soggetto indagante si rico-nosce uno scambio mutuo, che si realizza nel processoconoscitivo; i procedimenti deduttivi e quelli induttivisi valorizzano vicendevolmente senza operare distin-zioni vincolanti. Con un tale approccio di tipo “non-standard” allascienza, che non può prescindere dalle conoscenze per-sonali del ricercatore e che considera gli oggetti studia-ti come soggetti, le scelte e le decisioni sono consape-volmente assunte nel percorso di ricerca e, nel nostrocaso, si organizzano nel progetto, che “costruisce” ilfondamentale strumento per raggiungere il fine/obietti-vo della ricerca.

Nel dottorato palermitano tale tipo di approccio è pie-namente riconoscibile nella metodologia e nel percorsoprogettuale adottato, nei suoi molteplici passaggi dallaprova all’errore, che puntano a raggiungere la composi-zione di un solido e strutturato sistema in grado di sor-reggere, alle varie scale, la complessità delle questioniche emergono dallo studio del manufatto, riconoscendola necessità del partire dal “caso per caso” (nel restaurotale questione emerge con particolare evidenza). In tale percorso si rivela indispensabile il lavoro di cri-tica collegiale, attraverso cui è possibile mettere incampo punti di vista differenti, per l’assunzione di unatteggiamento estremamente rigoroso da parte del dot-torando, che sia parte costituente di quell’approccioscientifico generale che si intende applicare. Il confron-

9. Le tre dimensioni costitutive diun paradigma sono: la dimensioneontologica (entro cui ci si chiedequale sia la natura della realtà); ladimensione epistemologica (la realtàè conoscibile?); la dimensione meto-dologica (che riguarda il “come”possa essere conosciuta la realtà).

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to molteplice, con carattere seminariale, tra docenti edottorandi, genera un’articolata eterogeneità nei contri-buti che inevitabilmente porta con se il rischio implici-to di uno spaesamento per il dottorando, sempre allaricerca di indicazioni quanto più precise e sicure permuoversi serenamente (nell’illusione di poter raggiun-gere con linearità gli obiettivi individuati) sulla stradadel progetto. Ma proprio nell’esperienza di tutte le ine-vitabili difficoltà per individuare questa strada sta ilvalore (maieutico) del percorrere il progetto di architet-tura e di porlo (come strumento) al centro del percorsodidattico e di ricerca, un percorso non lineare, fatto diaccelerazioni improvvise e di continui ritorni.

Giunti a questo punto del nostro ragionamento, nel ten-tativo che abbiamo intrapreso di comprendere e descri-vere quale concezione di scienza possa essere sottesa alpostulato tematico della “scienza del progetto”, un utilecontributo può venire in nostro aiuto nel riprendere unsaggio del 1984 di Massimo Cacciari, in cui moltedelle problematiche di cui oggi parliamo trovavano uninteressante sbocco interpretativo. Cacciari, infatti, nelsuo Un ordine che esclude la Legge,10 partendo dall’in-tenzione di definire alcune «consonanze» rintracciabilitra i due saggi introduttivi pubblicati quell’anno sullostesso numero doppio di «Casabella»,11 giungeva adenunciare dieci “regole”, definite “orientative”, chesegnavano alcuni punti fermi, ancora oggi estremamen-te validi, per descrivere l’epistemologia contemporaneanel suo rapporto con l’idea di “progetto” e che noi, daarchitetti, potremmo facilmente riferire direttamente alprogetto di architettura e ai rapporti con i suoi possibilicaratteri di scientificità. Cacciari “intuitivamente”, attraverso la proposta dellesue dieci “regole”, descriveva la fine di quel “paradiso”deduttivo in cui, a partire da alcuni assiomi era ancorapossibile, «attraverso un numero finito di passi, decide-re ogni questione»; egli riconosceva peraltro che ogginon è neanche più possibile, attraverso “salti”, superarela temporalità necessaria di un lavoro che si può ormaicompiere solamente «per spostamenti minimi, attraver-so “continue modificazioni”». Secondo Cacciari gliapriorismi hanno quindi rivelato tutta la loro relativitàrispetto ai casi specifici e l’intuizione è ancora in gradodi porre i problemi, ma questi però non possono esserepiù risolti matematicamente, visto che il procedimentoda seguire non può essere predeterminabile «ma vienescoperto caso per caso», attraverso la formulazione diipotesi, che accettano il grado di “probabilità” dellanatura induttiva. La nozione di “costruttività”, che«costruisce nuovi enti da enti dati» e che non parte da“totalità universali”, diventa così centrale in questocontesto, dove si costruisce «per scelte successive incontesti determinati, cioè: nel costruito» con caratteri

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11. Si tratta dell’editoriale diVittorio Gregotti dal titoloModificazione e del saggio diBernardo Secchi Le condizionisono cambiate. Cfr. «Casabella»,498/499, gennaio-febbraio 1984,Electa, Milano 1984, pp. 2-13.

10. CACCIARI M., Un ordine cheesclude la Legge, «Casabella»,498/499, gennaio-febbraio 1984,Electa, Milano 1984, pp. 14-15.

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di «arbitrarietà e contestualità». La sintesi operata daCacciari ci conferma come oggi risulti ormai impossi-bile giungere a spiegazioni totalizzanti ed esaustive eche anche l’idea stessa di “legge” «perde ogni caratte-rizzazione deterministica ... per esprimere un campo dipossibilità costruttive», poiché nessun ente è riducibilea “dato”. Il progetto deve allora essere inteso comeinterazione tra oggetto e soggetto, un’interazione checostruisce la realtà sulla base di questa partecipazione eche spinge, «sotto i più diversi profili disciplinari» equindi anche dal punto di vista dell’architettura, adaccettare la sfida di «costruire un ordine che esclude laLegge», impedendo così «precipitosi ritorni alle anti-che sicurezze o consolatorie uscite».

Su tali basi, il progetto nella contemporaneità non puòquindi che perdere del tutto quell’aura di scientificitàdeterministica che per lungo tempo gli era stata possi-bile possedere, ma a esso è concesso ampio spazio nel-l’interpretazione induttiva della scientificità, in sensoprobabilistico, in un confronto non scontato o preordi-nabile con la realtà. Le regole, che costituiscono il modo attraverso il qualeuna determinata cultura organizza il proprio sapere e lorende trasmissibile, nell’interpretazione proposta daCacciari (in cui possiamo affermare di riconoscercipienamente) esprimono così «un campo di possibilitàcostruttive (…) in una dimensione di possibilità di pro-babilità, interazioni». Si giunge così a una concezione di scientificità “proba-bile” del progetto di architettura secondo cui la realtà siforma o si costruisce sulla base del “parteciparvi” delsoggetto, che fa salvo il fondamentale valore dell’intui-zione, che definisce le modalità del rapporto in archi-tettura tra «fondamenti logici» e «elemento soggetti-vo»,12 tra la teoria e il fare architettura e che risultadecisamente distante da tutte quelle tentazioni di para-metrizzazione dei dati che, seppur utili per definireun’ampia base di conoscenza, non possono presumeredi concludere in se la complessità dei processi proget-tuali. Il progetto di architettura se epistemologicamente inte-so in tal senso e con la consapevolezza necessaria deilimiti sopra indicati, potrà certamente continuare arivendicare pienamente quel grado di dignità scientifi-ca, del tutto specifico, che gli è proprio.

12. In cui la prima si pone comefondamento per il secondo ma inun rapporto biunivoco in cui, comeprecisa Aldo Rossi, nel suoArchitettura per i musei, accadeanche che «… quando noi proget-tiamo, conosciamo, e quando noi ciavviciniamo a una teoria della pro-gettazione tanto più definiamo unateoria dell’architettura. In questosenso tutti gli architetti antichi emoderni hanno portato avanti ana-lisi e progettazione nei loro scritti enei loro progetti a un tempo». Cfr.ROSSI A., Architettura per i musei,in. CANELLA G., COPPA M.,GREGOTTI V. et alii., Teoria dellaprogettazione architettonica,Dedalo, Bari 1968, p. 125.

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Problemi di tutelaLa vigente Legge di tutela, il Codice dei beni culturalie del paesaggio, ha ormai sancito giuridicamente l’al-largamento degli oggetti da tutelare, passando dal con-cetto storico di “monumento” a quello, di ben piùampio respiro, di “patrimonio culturale”, che compren-de beni culturali e beni paesaggistici (art. 2).1Nella esplicazione dei ‘beni culturali’ (art. 10) perònon sono soggetti a tutela i beni «che siano opera diautore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre50 anni» (art. 10 c. 5); l’unica possibilità di dichiararel’interesse culturale di un’architettura contemporanea(art. 13) è pertanto legata al riconoscimento di impor-tanza «in relazione alla coeva storia della cultura» (art.10 c. 3 lettera d). In tal senso quindi è necessario revisionare il Codice inmaniera che l’interesse culturale di un’architettura con-temporanea, prescindendo dalla data di realizzazione edall’autore, possa essere facilitato al fine di arrestare lapreoccupante scia di demolizioni e alienazioni, conrelative trasformazioni, che si stanno susseguendonegli ultimi decenni e per le quali non è sufficiente ilricorso alla Normativa di tutela sul diritto d’autore L.633 del 1941,2 che risponde ad un’altra filosofia e chenon è comunque un’azione posta in essere dal compe-tente Ministero dei BB.CC. La situazione si complica ancor più con il recentedecreto-legge n. 70 del 13 maggio 2011 “Disposizioniurgenti per l’economia” che innalza l’età degli edificipubblici da vincolare da 50 (fissata dalla legge Nasi del1902) a 70 anni (art. 4), il cui esito - come denunciaSettis - è quello di favorire le alienazioni e vendite.3Difatti il palazzo della Civiltà del Lavoro all’EUR (B.La Padula, G. Guerrini, M. Romano 1938-42), il cosid-detto Colosseo quadrato, appena restaurato da PaoloMarconi, è stato dato in uso al gruppo Fendi-Arnault,quale sede della ditta Fendi ed Esposizione permanentedel made in Italy e del design italiano, abbandonandola precedente designazione pubblica a sede nazionaledell’istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi.4La comprensione di tali rischi ha indotto il Ministero,sulla base del comune sentire che l’architettura moder-na sia, tradizionalmente, ‘altro’ da quella antica, all’in-

Il restauro del moderno. Problemi ditutela, problemi di progettoRenata Prescia

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4. «La Repubblica» 18 luglio2013.

3. SETTIS S., La privatizzazione diun patrimonio, in «LaRepubblica» 25 maggio 2011.

2. E relativo Regolamento RD n.1369 del 1942. V. PICCHIONEM.G., La tutela delle opere diarchitettura contemporanea, in«L’architetto italiano», 4, ott-nov.2004, pp. 44-46.

1. La realtà della tutela oggi fariferimento al Codice dei beni cul-turali e del paesaggio, Decr. Leg.n. 42 del 22.1.04 e successiviDecr. Legs. n. 157 del 24.3.06, nn.62 e 63 del 26.3.08.

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dividuazione di un ambito autonomo, all’interno dellaistituzione, con la creazione della Direzione Generaleper la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura el’arte contemporanea, la DARC , le cui funzioni, unavolta soppressa nel 2009, nell’incessante trasformazio-ne di questo Ministero nella sua pur giovane età, ven-gono ad oggi svolte dal Servizio di Architettura e Artecontemporanea, all’interno della Direzione generaleper il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte con-temporanea.5 Essa ha continuato, seppur limitata nelledisponibilità finanziarie e di personale, l’avviata atti-vità di censimento delle architetture del secondoNovecento, ha censito 205 “Luoghi del contempora-neo” e ha favorito, nell’ambito del Premio delPaesaggio del Consiglio d’Europa, la designazione nel2011 per Carbonia, quale città di fondazione del 900.L’ambito regionale siciliano, nonostante l’autonomiache permetterebbe anche balzi in avanti, ove ve nefosse la volontà politica, registra invece posizioni dimaggior attardamento che impediscono l’urgente atti-vità di conoscenza e salvaguardia dell’architettura con-temporanea,6 e di quella moderna, che ormai è storiciz-zata.7 Il parallelismo avviato con le vicende nazionali con l’i-stituzione, all’interno dell’Ass.to Reg.le per iBB.CC.AA., del Dipartimento per l’architettura con-temporanea (DARC),8 che ha permesso di disciplinarele procedure per il rilascio della dichiarazione diimportante interesse artistico delle opere di architetturacontemporanea,9 emettendo i decreti relativi allaChiesa Madre di Gibellina di L. Quaroni, e il Sistemadelle piazze di Gibellina di Purini-Thermes, si è bloc-cato con l’ estinzione del Dipartimento, a cui nonhanno fatto seguito azioni di tutela specifiche per l’ar-chitettura contemporanea.10Da quanto appena detto si comprende facilmente comel’architettura contemporanea, ma direi anche quellamoderna in Sicilia, sia ancora fortemente a rischio,affidata solo a fortuite occasioni in cui l’accensione dispecifici appelli da parte del mondo della cultura riescea trovare una contestuale disponibilità di tempo e per-sonale da parte degli organismi di tutela. Scorciatoie particolari si possono sviluppare mettendoin sinergia l’art. 37 Contributi e l’art. 11 Beni oggettodi specifiche disposizioni di tutela (c. 1 lettera e: operedell’architettura contemporanea di particolare valoreartistico, di cui all’art. 37),11 oppure utilizzando il vin-colo paesaggistico che tutela «i complessi di coseimmobili che compongono un caratteristico aspettoavente valore estetico e tradizionale» (art. 136, c. 1 let-tera c), generalmente usato per i centri storici, quandoun’architettura contemporanea fa parte di un contestoconsiderato unitario o il ‘vincolo indiretto’ (art. 45)che impone una serie di prescrizioni limitative a beni

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11. Questo è stato fatto per es. nel casodella chiesa di S.M. Annunciata pressol’Ospedale S. Carlo Borromeo aMilano (G. Ponti 1960-69) vincolatanel 2005. Cfr DI FRANCESCO C.,FABBRI R., KEOMA A., CONFORTI A., Ilcantiere di studio come strumento pro-grammatico per la conservazione. Ilcaso della chiesa di S.MariaAnnunciata presso l’Ospedale S.CarloBorromeo a Milano, in CANZIANI A. (acura di), Conservare l’architettura.Conservazione programmata per ilpatrimonio architettonico del XX seco-lo, Milano 2009, pp. 133-143.

10. Il Dipartimento è stato sop-presso con L.R. n. 19 del 6.12.08.Norme per la riorganizzazione deiDipartimenti Regionali.Ordinamento del Governo edell’Amm.ne della Regione.

9. Con successivo decreto delDirigente generale n. 3 del 15.3.07(GURS 16 del 13.4.07).

8. L.R. n. 15 del 14.3.06.

7. In questo testo si intende per“Architettura Moderna” l’architetturacompresa tra la RivoluzioneIndustriale e la seconda guerra mon-diale, caratterizzata da materiali e tec-niche costruttive industriali e non piùartigianali e/o dall’adesione ai canonidel Movimento Moderno, oltre laquale si intende per “Architetturacontemporanea”, l’ architettura conte-stuale alla generazione vivente.

6. Ad es. come si è potuto verificareal recente Incontro-Dibattito“Maledetti vincoli: un tema, una pro-spettiva” tenutosi a Ferrara lo scorso22 marzo, nell’ambito del Salone delRestauro, organizzato dal MIBAC,che ha reso noto come il suddettoCensimento del contemporaneo rea-lizzato sul territorio nazionale, nonabbia compreso ad oggi la Sicilia.

5. La Direzione, istituita con ilRegolamento di riorganizzazioneDPR 233 del 26.11.07, veniva sop-pressa con la modifica al suddettoRegolamento con DPR 91 del 2.7.09.Cfr PICCHIONE M.G., La tutela… cit..Cfr inoltre ROSA F., Conoscere pertutelare, conservare e valorizzare, in«Hevelius», agosto 2013.

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diversi dal bene culturale oggetto di tutela, ma che sitrovano in relazione spaziale con quest’ultimo.12Auspichiamo che la revisione del Codice appena avvia-ta dedichi a tali questioni lo spazio e l’attenzionenecessaria;13 ma ad essa è necessario affiancare unapiccola rivoluzione culturale che induca a convinceregli organismi di tutela che l’attenzione da dedicare aquesto patrimonio è la stessa di quella che riversiamoper l’antico, ma che il patrimonio ha uno statuto diver-so da quello, che esigerebbe la costituzione di gruppi dilavoro specifici, composti da persone con una forma-zione diversa; ad indurre gli istituti universitari a predi-sporre adeguati profili formativi in tal senso, più diquanto non sussista ad oggi; a convincere tutti che latutela e il progetto non sono accaniti nemici, su spondecontrapposte, ma compartecipanti in operazioni di sal-vataggio. Del resto una pre-istruttoria nella prima fase di proget-to quasi sempre è foriera di risultati migliori e più paci-fici di quanto non sia un parere calato dall’altro a pro-cesso di progettazione concluso,14 o parimenti un vin-colo già presente nel bando di concorso.15

Problemi di progettoCome nel restauro tradizionalmente inteso la prassiattuale oscilla tra pura conservazione (a cui si somma-no aggiunte, ove necessarie, moderne) e ripristino, nelmoderno si oscilla tra posizioni anch’esse antiteticheche sono, ancor peggio, la demolizione e il ripristino.Pochissimi e recenti (2004) i casi di pura conservazio-ne: grattacielo Pirelli a Milano, ex-Casa del fascio aComo, e prevalentemente in area settentrionale.La demolizione è la scelta dettata dall’ignoranza comemancata azione di ri-conoscimento del Moderno, a meno dicasi eccezionali (eco-mostri) in cui può essere necessaria.Il ripristino, ancora tanto perseguito nella prassi del-l’antico, a dispetto delle montagne di elucubrazioniteoriche prodotte (ivi incluse le Carte del restauro), èviepiù avallato, nel Moderno, in cui centrale è l’idea diprogetto, per il fatto che quasi sempre si ritrovano igrafici di progetto o ancora i progettisti sono in vita ecostituiscono fonte orale documentaria.Anche la sempre più farraginosa burocratizzazionedelle procedure di approvazione e/o di adeguamentinormativi che ha caratterizzato tutto l’arco delNovecento, all’insegna del progresso e della razionaliz-zazione del procedimento costruttivo, unitamente aigrandi eventi che si sono determinati quali le guerre, ilboom dell’edilizia e delle industrie, hanno determinatoin ogni opera, pur in un tempo breve, un tale numero divarianti e modifiche, da avvalorare la convinzione chein realtà il progetto abbia una maggiore importanzarispetto alla realizzazione, oltre che una maggiore dura-bilità, e che quindi il ripristino è bene.

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15. È quello che S. Scarrocchia cri-tica per il Bando di concorso che haportato nel 2000 lo studioDiener&Diener a vincere l’amplia-mento della Galleria Nazionale d’ar-te moderna a Valle Giulia a Roma,dopo il primo ampliamento di LuigiCosenza 1975-87 di cui si decreta lademolizione. Cfr. «Ananke», n. 45.

14. Il già citato CARUGHI U.,Maledetti… cit., ha reso noti i casidell’area ex-Sofer a Pozzuoli e delleOfficine Meccaniche ex-Ilva nellapiana di Bagnoli in cui il vincolopaesaggistico ha permesso allaSoprintendenza di intervenire nellavalutazione del progetto evitandodelle troppo estese demolizioni e nelprimo caso lo stesso arch. PeterEisenman ha riconosciuto l’impor-tanza dei suggerimenti, pp. 109-116.

13. È stata appena nominata unaCommissione guidata dal prof.Salvatore Settis.

12. Sull’importanza delle relazionitra bene monumentale e contesto,cfr. l’ottimo contributo reso daCARUGHI U., Maledetti vincoli. Latutela dell’architettura contempo-ranea, Torino 2012. Questo sug-gerimento può essere utile se solopensiamo ad aree di lavoro(Officine, stabilimenti industrialiecc..) o nel caso di edifici fuori daicentri abitati, da relazionare ad uncontesto paesaggistico.

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L’avere spostato l’obiettivo sulla Costruzione, fondantenella metodologia di restauro, e obbligato nella sceltadel dottorato di Palermo, di cui faccio parte, sia pureattraverso “la sonda del progetto”, ha permesso di ri-dimensionare la sacralità del progetto originario: lacorposa messe di temi affrontati ha dimostrato, sempre,che mai la realizzazione è identica al progetto, ancorpiù, paradossalmente, se esitata da un concorso (CasaMalaparte a Capri, Istituto Nautico a Palermo, e contri-buti dei dottorandi in questo stesso volume).La condizione postmoderna è d’altronde la stagionedella crisi del progetto e, come registrano le ultime epiù recenti svolte filosofiche del “nuovo realismo”,oggi, per un architetto, la realtà è la costruzione e alloranon possiamo che ripetere, seppur dovrebbe essereormai ovvio, che l’intervento su una preesistenza,anche moderna o contemporanea, non possa non partireda una esaustiva campagna conoscitiva di storia, rilie-vo, conoscenza dei materiali e delle strutture e delleloro patologie.16

Partire da questa conoscenza del reale, nelle sue condi-zioni di “stato di fatto”, mi induce a fare qualche altrariflessione. La divaricazione, come al solito manichea eduale tra conservazione e valorizzazione, prevista dalCodice, induce a pensare che l’intervento su una pree-sistenza debba essere la risultante della sommatoria didue fasi, di cui non sono necessariamente previste pos-sibilità di relazioni, e che possono essere pertantodemandate a istituzioni e persone diverse. La vera ricerca, che è anche uno degli assunti di questodottorato, è quella di invece di sviluppare un processounitario che è progetto fin dal primo momento diincontro con l’oggetto architettonico in questione: unpercorso critico, di andata e ritorno, che lavora in con-tinua dialettica tra quanto conservare e quanto modifi-care, tentando di dare risposte in maniera olistica alrispetto delle varie fasi storiche, sottoposte innanzituttoal ri-conoscimento di qualità ma, anche, alla compren-sione dei significati e alla necessità di ri-comprendereil manufatto nel vivere contemporaneo.17Un «progetto critico», come è stato definito daCornoldi, che «per le presenze storiche si ricollega al“restauro critico” di Roberto Pane e Renato Bonelli(…) per la dimensione territoriale sviluppa ipotesi di“regionalismo critico” teorizzate tra gli altri daFrampton e già prima messe in pratica in Italia da moltiautori»,18 a cui si è pervenuti forse anche grazie allaglobalizzazione, se per essa vogliamo intendere ilrafforzamento delle identità locali da porre in reti diconnessione immateriale.19Se pensiamo alle tre categorie ricorrenti nell’architettu-ra italiana, individuate con chiarezza da Purini e condi-vise: la concezione del progetto architettonico come

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19. Cfr PRESCIA R., Verso un nuovo‘Codice’ dei beni culturali in Italia,in VALTIERI S. (a cura di), Della bel-lezza ne è piena la vista! Restauro econservazione alle latitudini delmondo nell’era della globalizzazio-ne, Roma 2004, pp. 438-445;PRESCIA R., Umanesimo e città sto-riche, in Atti del convegno interna-zionale “Roberto Di Stefano 1926-2005. Filosofia della conservazionee prassi del restauro”, Napoli 29-30novembre 2012, in corso di stampa.

18. CORNOLDI A., Per una composi-zione critica, in CORNOLDI A. eRAPPOSELLI M. (a cura di), MassimoCarmassi. Pisa, ricostruzione diS.Michele in Borgo, Padova 2005.

17. PALAZZOTTO E., SCIASCIA A.,La scienza del progetto nel restau-ro del moderno, pp. 143-144.

16. Ferraris da allievo di Vattimo edel suo Pensiero debole, compie lasvolta e propone negli ultimi anni lanuova posizione del “NuovoRealismo” che ribalta l’assioma «nonci sono solo fatti, ma interpretazioni»in «ci sono solo fatti e non interpreta-zioni». V. FERRARIS M., Manifestodel nuovo realismo, Roma-Bari 2012e, con riguardo all’architettura,VISCONTI F. e CAPOZZI R., MaurizioFerraris. Lasciar tracce: documenta-lità e architettura, Milano-Udine2012, p. 59 e passim.

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funzione ed espressione della città, la centralità tra tra-dizione e innovazione; la capacità di pensare in terminidi scala umana,20 possiamo opporre alla triade conser-vazione/ripristino/demolizione una triade alternativache è quella di conservazione programmata/ completa-menti aggiornati correttivi/ ri-composizioni urbane, conassegnazione di nuovi usi.21Tralasciando in questa sede di trattare delle scelte diconservazione programmata, in primis auspicabili maancora limitate per motivazioni economiche e per unanon ancora matura cultura, anche normativo-politica,22quelle più diffuse sono i completamenti e le ri-compo-sizioni per la quantità e stato di conservazione dellamaggior parte del patrimonio moderno. Per quanto riguarda i primi, dobbiamo osservare chemolto spesso il Moderno ci ha lasciato tante opere ini-ziate e mai portate a termine, per le quali sono da pre-vedere specifici progetti di completamento come“opera altra” o, più raramente, sempre in omaggio alprogetto originario, come “opera differita”.23 Estesidibattiti hanno raccontato, dimostrato, giustificato lediversificate scelte assunte in casi emblematici quale lascelta (2002, Genio Civile e Ufficio tecnico delComune di Gibellina) della semplice intonacatura alposto del previsto rivestimento con rottami a mosaicodi klinker colorato per l’esterno e tinteggiatura a spruz-zo con pittura a tempera di colore giallo oro per l’inter-no per la sfera della Chiesa Madre di Gibellina di L.Quaroni (1971);24 ovvero la scelta di eseguire il rivesti-mento in lastre di pietra (seppur non l’originaria pietranera di Promontorio perché oggi non più disponibile)pensato da Quaroni e mai realizzato per la chiesa dellaSacra Famiglia a Genova (1956-9).25 Per quanto riguarda la seconda, dobbiamo osservareche il Moderno, oltre ai cosiddetti monumenti, opered’autore e/o opere di grande raffinatezza formale ecostituenti un anello della catena di sviluppo storico, aiquali forse meglio si attaglia la pratica del completa-mento, comprende un patrimonio amplissimo e molto

23. MANIERI ELIA M., La conserva-zione: opera differita, in «Casabella»,n. 582, set. 1991, pp. 43-45.

24. Sulle complesse vicende dellaChiesa Madre di Gibellina, inau-gurata nel 2010 cfr. la tesi di dot-torato XXII ciclo di LucianaMacaluso, tutor prof. A. Sciascia.V. infra contributo.

22. CANZIANI A. (a cura di),Conservare … cit., Conservazioneprogrammata per il patrimonioarchitettonico del XX secolo,Milano 2009; DELLA TORRE S.,Conservazione programmata: irisvolti economici di un cambio diparadigmi, in «Il capitale culturale»,1, 2010, pp. 47-55.

21. Queste categorie sono un po’quelle delineate in PALAZZOTTO E.,SCIASCIA A., Principi ed azioni diprogetto nei casi di restauro delModerno, in PALAZZOTTO E. (acura di), Il restauro del moderno inItalia e in Europa, Milano 2011,pp. 91-109, e che vengono fuoridalla riflessione concreta fatta nelcorso dei cicli di dottorato dedicatial tema “Restauro del moderno”.

20. PURINI F., Permanenze e muta-menti nell’architettura italiana,inaugurazione dell’A.A. 2003-4,Roma 2004.

25. Sulle complesse vicende dellaChiesa cfr. la tesi di dottorato diIlenia Grassedonio, tutor prof. A.Sciascia; e BRAGHIERI A., La pro-posta di restauro, in Eredità diLudovico Quaroni: per il futurodella Sacra Famiglia di Genova,«Quaderni di Ananke», n. 3, 2011,pp. 36-67. La tesi non ha previstoil rivestimento perché si è ritenutoche la superficie unica di un into-naco sia più coerente compositiva-mente con l’esiguo spessore dellamuratura ed esalti la qualità dellatorre stessa, capace già di per séstessa di suscitare delle domande.

Fig. 1. Il tema del completamento:Il rivestimento in semplice intona-co della sfera nella Chiesa-Madredi Gibellina, inaugurata nel 2010(Foto L. Macaluso)

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diversificato: ci sono le architetture specialistiche (luo-ghi del lavoro, infrastrutture, porti e stazioni); grandiinsediamenti residenziali e lo sprawl, che è il conti-nuum residenziale delle espansioni edilizie e delle peri-ferie. Questa prima identificazione di ambiti tipologici cipermette di dire che, mentre tra i monumenti, le stradee il tessuto edilizio nella città storica esistevano ferreerelazioni, per cui si poteva parlare di unicum, nella cittào nel paesaggio moderno tra i nuovi insediamenti e ilcontesto non esistono relazioni, o sono espressamentenegati dalla costituzione di recinti, per cui la progetta-zione di tali relazioni diventa forse il primo obiettivoprogettuale, da giustapporre alla scelta di destinazioned’uso. Ri-significare e ricollegare il monumento al suocontesto immediato (edificio INA a Messina), crearenuovi paesaggi culturali per i grandi complessi funzio-nali; attribuire qualità alle periferie magari partendo daemergenze puntuali, antiche o nuove (preesistenze perlo ZEN o Brancaccio) è quindi il nostro compito, daattestare su rigorosi riconoscimenti di qualità.26Solo individuando precise strategie per il riuso sosteni-bile del patrimonio architettonico dismesso, l’architet-tura moderna si trasforma da rovina a risorsa culturale.

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26. Cfr. le Carte di Qualità messe apunto per il sito di Carbonia inSardegna e per la città industrialedi Ivrea. Esse, tra l’altro, essendoinserite nei relativi PRG divengonoun anello di connessione tra com-petenze di tutela e competenze dipianificazione territoriale, avviandoquella tanto invocata integrazionetra tutela e gestione del territorio.

Figg. 2a-2b-2c-2d. Nuovi paesaggiculturali: 2a. L’edificio centrale della TargaFlorio in attesa di valorizzazione2b-c. Museo del carbone nellaminiera di Serbariu (Carbonia).Esterno e interno. 2d. Scorcio dei Cantieri Culturalialla Zisa a Palermo. Sulla destra ilPadiglione ZAC riaperto nel dicem-bre 2011 come luogo di installazio-ni contemporanee, di fronte la Torredel Tempo di Emilio Tadini, appenarestaurata. (Foto dell’autore)

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Afferendo alla Scuola di Restauro dell’Accademia diBrera, dove dall’andata in pensione di Cesare Chiricitengo anche le lezioni di Teoria e storia del restauro(settore disciplinare MIUR-AFAM ABST49), horichiesto che l’insegnamento Metodologia della pro-gettazione (ABPR15), in cui sono incardinato, sia rico-nosciuto all’interno del piano di studi che, incredibil-mente, allo stato attuale non lo contempla. D’altra parteil D.M. 26 maggio 2009, n. 86 concernente il profiloprofessionale del restauratore,1 prevede esplicitamente[l’enfasi in corsivo è mia]: «Art. 1. Restauratore di beniculturali: (…) A tal fine, nel quadro di una programma-zione coerente e coordinata della conservazione, ilrestauratore analizza i dati relativi ai materiali costituti-vi, alla tecnica di esecuzione ed allo stato di conserva-zione dei beni e li interpreta; progetta e dirige, per laparte di competenza, gli interventi; esegue direttamentei trattamenti conservativi e di restauro; dirige e coordi-na gli altri operatori che svolgono attività complemen-tari al restauro», specificando dettagliatamente cosa siintende per progettazione nell’Allegato A dedicato alle«Attività caratterizzanti il profilo di competenza delrestauratore di beni culturali»: « (…) B - ProgettazioneB1 - Redazione della scheda tecnica prevista dalla normativa disettore.B2 - Prima formulazione del programma diagnostico e di acquisi-zione dei dati (anche in collaborazione con le professionalità indi-cate all’articolo 4 [come complementari]).B3 - Formulazione del progetto preliminare e definitivo dell’inter-vento sul bene e sul contesto (anche in collaborazione con le pro-fessionalità dello storico dell’arte, dell’archeologo, dell’architetto,dell’archivista, del bibliotecario, dell’etnoantropologo e delpaleontologo).B4 - Redazione - e relativo aggiornamento in corso d’opera - delprogetto esecutivo e del piano di manutenzione.B5 - Pianificazione delle operazioni di imballaggio, trasporto emessa a deposito del bene o predisposizione del bene nel caso diintervento in loco. B6 - Redazione della parte di competenza del piano di conserva-zione programmata relativo ai beni dell’area di indirizzo speciali-stico».

Metodologia della progettazione peril restauroSandro Scarrocchia

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1. D.M. 26 maggio 2009, n. 86,Ministero per i Beni e le AttivitàCulturali - Regolamento concer-nente la definizione dei profili dicompetenza dei restauratori edegli altri operatori che svolgonoattivita’ complementari al restau-ro o altre attivita di conservazionedei beni culturali mobili e dellesuperfici decorate di beni architet-tonici, ai sensi dell’articolo 29,comma 7, del decreto legislativo22 gennaio 2004, n. 42, recante ilcodice dei beni culturali e del pae-saggio.

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Si tratta, pertanto, di sanare un vulnus: da un lato siriconosce, infatti, per la prima volta e per legge, il pro-filo progettuale del restauratore, superando la triadebrandiana (storico dell’arte, scienziato, tecnico); dal-l’altro, incomprensibilmente, si dimentica di inserirenel profilo formativo e relativo piano di studio la mate-ria fondamentale corrispondente: la metodologia dellaprogettazione, per l’appunto. Si dovrà, di conseguenza- e già questo scritto mira a ciò - proporre allaCommissione paritetica AFAM-CUN di rettificarequanto previsto dal DM 23 giugno 2011 n. 81 concer-nente gli ordinamenti curriculari,2 introducendo nellaTabella A contenente l’elenco degli insegnamenti lamateria matrice del settore ABPR15, cioè Metodologiadella progettazione. Naturalmente i docenti che vorran-no fornire il loro insegnamento per le scuole e i corsi direstauro dovranno avere specifica qualificazione, comesi richiede per tutti i docenti di questo iter formativosecondo il regolamento in questione.

Ho ritenuto opportuno iniziare con questa, per cosìdire, memoria aneddotica, di carattere tuttavia quanto-mai attuale, perché mi pare testimoniare a sufficienzanon tanto uno strabismo o pressappochismo istituzio-nale, ma una ignoranza culturale: cosa può celare unasvista come quella sopra esposta? Solamente la nozio-ne, meglio l’errore, che il restauro non abbia molto ache fare col progetto (anche se si riconosce che ilrestauratore è un progettista - sic! -); pertanto che ilprogetto di restauro non sia un ambito disciplinare diper sé, composito e complesso al pari di altre discipli-ne, ma possa essere surrogato per sintesi posticcia daaltri e vari ambiti tecnici quali: la conoscenza dei mate-riali, le tecniche artistiche, le varie e specifiche analisidiagnostiche. Non si è considerato che cosí si perdetutto del vecchio, cioè della tradizione del restauro: ilrestauro come fatto unitario brandiano, l’unità metodo-logica baldiniana, la metodologia sanpaolesiana, adesempio; e si sostitusce con uno spezzatino condito dimolte tecniche e svariati apporti scientifici che costitui-sce l’esatto contrario della figura unitaria cui il proget-tista deve corrispondere, almeno per come e quantodescritto nei decreti istitutivi citati. La legge della nemesi non fa sconti: da sempre lui, ilrestauro, figlio legittimo del secolo dello Storicismo,ha osteggiato la sorellastra, figlia legittima delNovecento, la conservazione; a tal punto che, puressendo quest’ultima madrina di corsi di laurea speri-

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2. DM 23 giugno 2011 n. 81Restauro: definizione degli ordi-namenti curriculari dei profili for-mativi professionalizzanti delcorso di diploma accademico didurata quinquennale in restauro,abilitante alla professione di“Restauratore di beni culturali”.

Figg. 1-4. Concorso diProgettazione per il MuseoNazionale dell’Ebraismo Italiano edella Shoah di Ferrara 2011, pro-getto dello Studio Lenzi (G. Lenzi,C. Montani, S. Quarenghi, F.Savoretti, I. Shehu, G. CarboniMaestri, S. Scarrochia, D.Primerano, A, Violetta, M.Cavalleri, con la collaborazione diA. Maschera, A. Iovine, C. NielsenC. Toscano, D. Villalon, E. Grassi,G. Bresciani, J. Ferrari, J. MargotLellouche, M. Pescio, M.Muggianu, N. Shoval, R. Vassallo,R. Calmieri, S. Labanti, T. Colombi,Y. Hirsh), che prevedeva la conser-vazione integrale e radicale delle exCarceri, luogo di memoria essestesse, e un innesto ponderato dellestrutture aggiuntive necessarie alnuovo Museo ebraico

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mentali (e oggi purtroppo in crisi) da prima soltanto aUdine e Viterbo e poi in ogni accademia e villaggiodella penisola, come pure di una specifica categoriadell’ordine professionale degli architetti, evocata perfi-no nei Codici dei Beni Culturali e nei decreti istitutiviqui richiamati, mai è stata riconosciuta come dotata diun ambito disciplinare compiuto e autonomo. Al con-trario di quanto accade nei paesi di lingua tedesca, laconservazione non è salita mai su una cattedra dellapenisola.3 Certamente il mancato riconoscimento dellaconservazione non può essere attribuito soltanto alrestauro, anche se la cultura del restauro ha contribuitonon poco a prospettare la conservazione come suaappendice e/o sua specifica tendenza: la conservazionecome grado zero del restauro. Ma ora esso viene ripa-gato con la stessa moneta: dovrebbe formare un proget-tista a tutto tondo, ma il progetto, la riflessione sul pro-getto, non fa parte della sua formazione. Quindi si trat-terà di un progettista “differito”, per dirla con ManieriElia,4 cioè il suo operato sarà riconosciuto progettuale,ma “dopo”, soltanto dopo; oppure “per parti”, cioè ilsuo progettare sarà un’accozzaglia di pezzi, un consun-tivo, con grande disappunto di quanti hanno dedicatoattenzione al tema del progetto nel campo del restauro,a partire dal Dottorato di Palermo in progettazionearchitettonica dedicato al Restauro del Moderno.5Sulla scia del magistero sanpaolesiano, per quantoacquisito sui banchi della scuola fiorentina, ritengo, alcontrario, la materia del restauro bisognosa di un“discorso sulla metodologia”6 e, pertanto, di un meto-do, di una verifica e riflessione costante che leghi laoperatività (della disciplina) alla teoria (del progetto) ealla storia (dell’architettura e delle arti). In questobreve articolo cercherò di illustrare come rendere pos-sibile il raccordo tra il programma di conservazione,che scaturisce dalla magistratura di cura, e il progettodi restauro.Per ciò che concerne il metodo si sta assistendo a unagrande rivalutazione della lezione di Riegl e in partico-lare della sua teoria della conservazione come teoriadei valori confliggenti.7 Riegl riconosce la funzionedell’osservatore nell’attribuzione di valore (coincidentecon l’interesse); riconosce inoltre che l’azione di tutelamobilita sempre una pluralità di interessi/valori, i cuiconflitti sta alla disciplina di conservazione individua-re, ponderare e comporre. Ho definito nel 1995 questafunzione disciplinare “magistratura di cura”.8 Da que-sto punto di vista, l’essenza della Conservazione comedisciplina autonoma, cioè come Denkmalpflege, consi-ste nell’istruttoria che istruisce in modo ponderato ilprogramma di intervento sulla materia dell’opera/monumento/documento/bene culturale (la con-servazione non si esaurisce in topografia artistica,inventario, catalogazione, indagini e analisi chimico-

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3. Se non perifericamente, in sensonon geografico, all’Acc. Albertina diTorino per alcuni anni in forma d’in-segnamento complementare biennale,quando i corsi di restauro erano infase sperimentale, e con intitolazioneTeoria e prassi della conservazionedei monumenti, programmaticamentetratta dall’allora appena pubblicatoSCARROCCHIA S (a cura di), AloisRiegl, Teoria e prassi della conserva-zione dei monumenti. Antologia discritti, discorsi, rapporti 1898-1905,2º ed. Gedit Bologna 2003 (1ª ed.Accademia Clementina, Clueb 1995).

4. Vedi il suo La conservazioneopera differita, in PEDRETTI B. (acura di), Il progetto del passato:memoria, conservazione, restauro,Bruno Mondadori, Milano 1997,pp. 115-131.

5. Vedi anche Il progetto direstauro e i suoi strumenti: secon-do Corso di perfezionamento inrestauro architettonico, diretto daR. Ballardini, (1991), atti a cura diSCARROCCHIA S. e SPELTA R., Ilcardo, Venezia 1996.

6. SANPAOLESI P., Discorso sullametodologia generale del restaurodei monumenti, Edam, Firenze1973. V. ora anche TAMPONE G.,GURRIERI F., GIORNI L. (a cura di),Piero Sanpaolesi, Restauro eMetodo, Nardini, Firenze 2012.

7. DOLFF-BONEKÄMPER G.,Gegenwartswerte. Für eineErneuerung von Alois RieglsDenkmalwerttheorie, in:DENKmalWERTE. Beiträge zurTheorie und Aktualität derDenkmalpflege (Georg Mörsch zum70. Geburtstag), a cura di MEIER

H.R. e SCHEURMANN I., DeuscheKunstverlag, Berlin-München2010, pp. 27–40; SCARROCCHIA S.,La teoria dei valori confliggenti deimonumenti, in: SCARROCCHIA S. (acura di), Alois Riegl, Il Cultomoderno dei monumenti. Il suocarattere e i suoi inizi, Abscondita,Milano 2011, pp. 75-141; WERTE.Begründungen der Denkmalpflegein MEIER H.R., SCHEURMANN I. eSONNE W. (a cura di), Geschichteund Gegenwart, Jovis, Berlin 2013.

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fisiche). La ponderazione dello specifico conflitto divalori avviene “caso per caso”, ma secondo un metodochiaramente individuato (che costituisce la Teoria deivalori confliggenti) e una prassi (che costituisce laStoria della Conservazione, dei suoi cantieri e delle suebattaglie culturali). C’è, tuttavia, un altro aspetto della lezione di Riegl nonconsiderato debitamente: l’istruttoria, cioè l’azione specifi-ca della cura dei monumenti (della Denkmalpflege), trovala sua applicazione nei Consigli, ovvero negli organi istitu-zionali e amministrativi in cui la tutela è organizzata, ed èalla base della loro decisione. Quest’ultima non riguardasole le fasi tecnico progettuali di intervento sulla materiadelle opere/monumenti/documenti/beni culturali (e noncoinvolge solo architetti, restauratori; laboratori scientifici,ditte specializzate; ecc.). I Consigli di Riegl, nella prospet-tiva imperiale e sopranazionale dell’Austria fin-de-siécle,non sono “autoreferenziali”, non sono composti cioè sol-tanto da membri degli organi della tutela (come accade, adesempio, nel Consiglio Superiore organo del Ministero ita-liano per i beni culturali), ma da rappresentanti deivalori/interessi in conflitto. Ciò conferisce alla Teoria unorizzonte potentissimo e alla Prassi di tutela un’efficacia eun riconoscimento sociale che non hanno uguali in nessu-no degli ordinamenti europei. E il rapporto tra Istruttoria eConsigli può essere esaminato e verificato in alcuni esem-pi: storici (Spalato e Cracovia) e recenti (BorghettoFlaminio a Roma, La Fenice a Venezia, Piazza Armerinain Sicilia, Neues Museum Berlino), come abbiamo fattoaltrove.9 In ogni caso, anche a prescindere dalla conforma-zione procedimentale e amministrativ(istic)a dell’istrutto-ria in sedi propriamente consiliari, è essenziale dare rilievoal rapporto tra istruttoria e consigli, riallacciandoci al pro-getto per quanto esso rappresenta nella nostra cultura, cioèil tratto distintivo (almeno fino a qualche decennio passato)della nostra italianità.Lo scenario consiliare sopra descritto si può simulare, tea-tralizzandolo, per così dire, e facendo assumere l’istruttorianon già da istanze istituzionali, inadeguate o che non esi-stono, ma direttamente in quelle del progetto, allo scopo digiungere a una sua versione ponderata e bilanciata: comese il modello riegliano di riorganizzazione della tutelafosse stato adottato in tutta Europa, quindi anche da noi, eil progetto non potesse fare a meno di confrontarsi e dialo-gare con questo straordinario, per quanto miratamene ipo-tetico, scenario. In questo senso l’istruttoria assume nelprogetto di restauro, un valore analogo a quello che il rilie-vo esercita nel discorso metodologico di Piero Sanpaolesi.Procederemo, quindi, seguendo uno specifico protocollo.10Il bilanciamento del progetto nasce dal riconoscimentodi due elementi caratterizzanti l’ambito di intervento:A - Si tratta di monumenti, patrimonio, eredità culturali,pertanto ogni intervento contemporaneo dovrà preoccupar-si di non precludere alle generazioni future l’esperienza

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8. Cfr. introduzione nell’antologiadegli scritti di Riegl sulla tutela cit.(nota 3) e SCARROCCHIA S., Oltre lastoria dell’arte. Alois Riegl vita eopere di un protagonista della cul-tura viennese, Christian Marinotti,Milano 2006; SCARROCCHIA S.,Riegl en la práctica. De la maestríaen la conservación de los monu-mentos al proyecto de restauroarchitectónico, in ARJONES

FERNÁNDEZ A. (a cura di), AloisRiegl, El culto moderno de losmonumentos, su carácter y sus orí-genes, Junta de Andalucía,Consejería de Cultura, Sevilla 2007.

9. Anche se il progetto consiliareriegliano non ebbe applicazioneinfluenzò, infatti, l’operato di MaxDvořák e, come argomentato daErnst Bacher, la prima legge di tute-la austriaca del 1923. Cfr.SCARROCCHIA S., Conservazione edecisione, in «Ananke», n. 13, 1996,pp. 52-55; SCARROCCHIA S., Il con-corso per il Borghetto Flaminio aRoma. Conservazione e progetto,in: ALBERTI F., SCARROCCHIA S. (acura di), Cultura di conservazione eistanze del progetto, Alinea, Firenze1998, pp. 79-82; SCARROCCHIA S.,La ricostruzione del Neues Museuma Berlino e il progetto vincitore diGiorgio Grassi. Autonomia del pro-getto e ruolo istruttorio della con-servazione, ivi, pp. 99-105;SCARROCCHIA S., Un vivace dibatti-to sull’architettura contemporaneae sull’insostenibile leggerezza diPiazza Armerina, in «Ananke», n.56, 2009, pp. 110-137;SCARROCCHIA S., Max Dvořák.Conservazione e Moderno inAustria (1905-1921), FrancoAngeli, Milano 2009.

10. Riporto qui le Linee guida perla realizzazione dell’istruttoria el’elaborazione del progetto direstauro, da me definite per ilLaboratorio B di Restauro archi-tettonico IV anno della Facoltà diarchitettura Aldo Rossi dell’Univ.di Bologna, sede di Cesena, A.A.2003-2004 in collabb. con R.Scannavini, A. Baldassari, P.Gabrielli e F. Savoretti. Cfr.SCARROCCHIA S., Il progetto di

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delle generazioni passate, per quanto è possibile, nelle con-dizioni storiche date.B - Si tratta di un ambito in cui insistono molteplici valorie interessi pubblici e privati in conflitto tra di loro. Questiconflitti non rappresentano “ostacoli”, “difficoltà”: sono glielementi (immateriali) che animano il processo della con-servazione (materiale, ma, quindi, non soltanto materiale).Il metodo progettuale proposto parte dal riconoscimentodelle soggettività insite in ogni operazione di tutela fin dal-l’inizio, cioè già nella fase di rilievo, trovando gli strumen-ti per la rappresentabilità del “relativismo” or ora accenna-to e l’interrelazione di esso con la strutturazione del pro-getto, secondo la tabella sintetico riassuntiva seguente,scandita secondo un arco annuale didattico (diviso insemestri, per un corso di 12 crediti formativi/ECTS).

Per la complessiva “fase A” si fa riferimento alle lezioni diPiero Sanpaolesi e Giovanni Carbonara.11Le elaborazioni della “fase B” si avvalgono di analisi qua-litative e quantitative.12 Pertanto si procede nel modoseguente:Fase A - Verranno aggiornati/completati i dati raccolti col rilievo, tenendoconto di due obiettivi di fondo:A.1. descrizione elementi ordinati secondo scheda Normal 1/88 e statodi conservazione;A.2. rappresentazione e mappatura dati di cui al precedente punto A.1.Fase B - Si parte da una considerazione schematica dei valori di Riegl (3 + 3)aggiornati (con individuazione di ulteriori e specifici) al fine dellevalutazioni, evidenziando/rendendo esplicitoB.1 - gerarchia di interventoB.2 - relatività di giudizioViene ampliato e approfondito il punto B.2 con:

restauro come progetto pondera-to, in «Architettura 11», Facoltà diArchitettura “Aldo Rossi”dell’Università di Bologna, sede diCesena, Il Vicolo, Bologna 2004,pp. 114-117.

11. Cfr.: SANPAOLESI P., Discorsosulla metodologia generale delrestauro dei monumenti, cit. (innota 6); CARBONARA G., Restaurodei monumenti. Guida agli elabo-rati grafici, (nuova ed. ampliata),Liguori, Napoli 1990; Trattato direstauro architettonico, UTET,Torino 1996 e, in particolare, isuoi saggi Teoria e metodi delrestauro, vol. 1°, pp. 1-107. 183 eAnalisi degli antichi edifici, vol.2°, pp. 417-519.

12. BOLDIOLI A Quantitative andqualitative criteria for priorities inConservation: Methods, feeling andexperience, Master Thesis 1997-1998 Katholieke Universiteit Leuen.

Figg. 5-6. BRANCATO S., reintegra-zione pittorica del rodovetro n. 72della sequenza n. 15 del film dianimazione La lunga Calza Verde(di R. Gavioli, 1961 – il personag-gio rappresentato è C. Benso diCavour-) non realizzata diretta-mente sull’originale ma persovrapposizione, sfruttando la tra-sparenza dell’acetato, in base auna ponderazione di valori con-fliggenti che ha ispirato e guidatola tecnica di intervento

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B.2.a - matrice dei valori B.2.b - rappresentazione delle posizioni dei valoriB.2.c - ponderazione dei singoli valori (loro andamento, plausibilità,ecc…)B.2.d - bilanciamento: a cosa rinuncia ciascuno degli interessi rappre-sentati, che cosa è disposto a concedere. Si tratta di mediazioni in unorizzonte di “decisione senza perdenti”B.2.e - scenario prima e dopo il restauro: cosa resta, cosa cambia ciòche si aggiunge/ciò che si perde.Fase C - Sulla scorta dell’Istruttoria si elabora una perimetrazione dell’area daconservare soggetta a misure di protezione, individuando tecniche diintervento e modalità di conduzione/applicazione; si ridefinisce l’azio-ne complessiva di riparazione, descrivendo con il progetto la connesio-ne tra conservazione e ricontestualizzazione. La ricontestualizzazione è funzionale all’Istruttoria e dipende da essa.La stessa azione di bilanciamento e ponderazione che ha agitonell’Istruttoria dovrà compiersi e rendersi visibile nel progetto. Perquesto il progetto che sarà elaborato risulterà “ponderato”.

In ultima istanza, come specificato all’interno delLaboratorio di restauro della Facoltà di architetturaAldo Rossi e in altre occasioni,13 non si tratta dicostruire un marchingegno che consenta semplicemen-te di esplicitare la soggettività e la relatività della valu-tazione lungo tutto il percorso della tutela e all’internodel progetto di restauro, ma di riportare all’interno delprogetto nel suo insieme, cioè all’interno del progettodi riparazione e di ricontestualizzazione la culturadella conservazione in tutta la sua ampiezza di signifi-cato e capacità operativa, per quanto simulata, cioè noncorrispondente a un quadro istituzionale (peraltro ingrave crisi). Quindi non si tratta di un ulteriore proto-collo per riguadagnare le certezze di una oggettività o,se si vuole, scientificità del (progetto di) restauro. E ciò, si badi, vale non soltanto per il solo settore deibeni architettonici, ma per i beni ritenuti eredità cultu-rale nel loro complesso, nella loro molteplicità e mul-tiformità. Così non soltanto da avviare un dialogo traconservazione e progetto, ma da qualificare il progettoche ha da misurarsi con un contesto di eredità culturalein base al suo grado di rispondenza al mandato indivi-duato chiaramente e pubblicamente dalla conservazio-ne.Forse, per tornare a parlare di unità di metodo, cioèdella sola via che consente di contrastare la tendenza alpredominio della tecnica, bisognerà riconoscere la cen-tralità dell’istruttoria e il ruolo dei consigli (dei deciso-ri), contrastare l’autoreferenzialità del progetto,(ri)considerare il restauro come progetto e dare mag-gior impulso al dialogo tra conservazione e progetto.

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13. SCARROCCHIA S., Il progetto direstauro come progetto ponderato,cit. (in nota 10) e SCARROCCHIA S.,Gli strumenti della conservazione peril restauro dell’architettura contem-poranea. In dialogo con GiuseppeArcidiacono, in «recupero&conserva-zione», n. 72, 2006, pp. 34-39.

Figg. 7-9. MANZONI M., NICOLETTI B.,Restauro del Fregi del Partenone diJ. Henning, 2012, copia/modello ingesso. Durante le operazioni direstauro: in primo piano l’equilibriotra antico e contemporaneo, checostituisce lo specifico della pondera-zione e che si concretizza nella sceltadi stuccature sottolivello e manteni-mento di fessurazioni e patina. Confronto tra la prefigurazione vir-tuale (a sinistra), e il risultato reale. Dialogo antico contemporaneo: l’ar-tista L. Palmieri ritrae/elabora/tradu-ce l’immagine neoclassica del fregiodel Partendone. Ache questa fase èparte del progetto di restauro: all’ar-tista è stato chiesto di riprodurre libe-ramente l’oggetto per verificare se ilrestauro fosse stato in grado di man-tenere inalterata la leggibilità delleimmagini, dei particolari.

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Alcune occasioni recenti, la conferenza di FrancescoRispoli sul colloquio tra Enzo Paci e Ernesto NathanRogers1 e la presentazione2 del libro di MarcelloPanzarella, dedicato alle case unifamiliari di Culotta eLeone a Cefalù,3 hanno fatto riaffiorare - per certi aspettiin maniera diretta, per altri, in modo più sotterraneo -quella trama di relazioni che si distende dalla fenomeno-logia di Husserl, attraverso l’interpretazione di Paci e icontributi di Rogers e Gregotti, all’architettura diPasquale Culotta e Giuseppe (Bibi) Leone. Rintracciarealcuni passaggi di questo rapporto, permette una verificaravvicinata su quanto profonda sia stata l’influenza dellafenomenologia sugli studi di architettura a Palermo, equali apporti siano giunti, forse in maniera indotta, sinoal dottorato in progettazione architettonica.

IndiziScrive Francesco Rispoli:

«È quella di Paci, un’influenza talvolta più latente e contaminatacon altre linee di pensiero che si sono affacciate sulla scena del-l’architettura italiana. Tuttavia essa affiora a più riprese, come unmovimento carsico, nello scenario contemporaneo».4

Qualche anno prima Vittorio Gregotti ha chiarito come:

«molti vocaboli della fenomenologia paciana sono passati nel lin-guaggio degli architetti: alcuni di noi parlano sovente di sospen-sione del giudizio, di orizzonti, di intenzionalità, di Umwelt, direlazione, di mondo della vita, espressioni che, sia pure con vistosislittamenti, descrivono anche oggi, per alcuni architetti, un’areaparticolare di metodi, di prospettive, di esperienze di resistenza difronte alle ideologie della crisi, di volontà, di ricostituzione direlazioni necessarie tra disciplina e contesto fisico sociale».5

Soffermandosi sulla parola orizzonti,6 posta in eviden-za fra le altre da Gregotti, è interessante notare l’usoche, dello stesso termine, fa Marcello Panzarella nelpresentare le case di Culotta e Leone a Cefalù.Orizzonte o orizzonti7 risaltano nel definire, nelle varieproposizioni e con diverse sfumature, una meta cultura-le elevata dei due progettisti e un loro modo di porsirispetto all’esperienza del mondo ma, le stesse parole

Architettura e Fenomenologia aPalermo. Paci, Rogers, Gregotti,Culotta e LeoneAndrea Sciascia

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1. Ci si riferisce alla conferenza tenu-ta, presso la Facoltà di Architettura diPalermo il 6 novembre 2013, inoccasione della settima commemora-zione della scomparsa di PasqualeCulotta. La conferenza traeva spuntodal saggio: RISPOLI F., La ragione diUlisse. Il colloquio tra Enzo Paci eRogers, in «aut aut», n. 233, gen-naio–marzo 2007, pp. 57–81.

2. La presentazione del libroPANZARELLA M., Culotta e Leonea Cefalù. Le case unifamiliari,edizioni Arianna, Rende (CS)2013 a cui ci si riferisce, è quellasvolta il 14 dicembre 2013 aCefalù presso il Circolo Unione.

3. PANZARELLA M., Culotta e Leonea Cefalù. Le case unifamiliari, edi-zioni arianna, Rende (CS) 2013.

4. RISPOLI F., op.cit., p.79.

6. «… l’orizzonte che vedo è limitatodal mio sguardo e sfuma dal centroverso i confini del mio occhio, manon per questo io dubito di altri oriz-zonti, quelli che so potrei vedere vol-tandomi o guardando da altre posi-zioni. Orizzonti che sono sempre pre-senti nella stessa percezione dell’o-rizzonte che ora vedo e senza i qualiesso non sarebbe quello che è, oriz-zonti che non solo posso e potrò rag-giungere ma anche che non possopiù o non potrò mai raggiungere. Inciò che ora percepisco sono innestatialtri tempi e passati irrecuperabili,che fanno il presente che si apre alfuturo. Il presente vive del passatoche muore e non può far morire cheun passato realmente esistito». PACIE., Diario fenomenologico,Bompiani, Milano 1961, pp. 14-15.

5. GREGOTTI V., In ricordo diEnzo Paci, «Casabella», n. 523,aprile 1986, p. 2.

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costituiscono un indizio per un’altra indagine volta aconoscere una delle radici più significative della lorostessa ricerca. E Panzarella, allievo di Culotta e, comelui, di Cefalù, dà nuova linfa all’eco degli etimi di Paci,facendoli riaffiorare con forza. Poco importa, almenoin quest’occasione, quanto volontariamente o involon-tariamente perché, nei fatti, le parole di Panzarella con-tengono un messaggio nel messaggio, una sovrascrittu-ra alla scrittura. D’altra parte Martin Heidegger hascritto: «l’uomo si comporta come se fosse lui il crea-tore e il padrone del linguaggio, mentre è questo, inve-ce, che rimane signore dell’uomo».8 Gli orizzonti sonoun’iniziale conferma e, al contempo, un’improvvisaaccelerazione rispetto a un percorso che si vuole com-piere un po’ più lentamente.

ProveÈ necessario porre un dubbio: perché l’uso di alcuneparole costituisce un indizio sufficiente per individuareun’impostazione fenomenologica nella ricerca architet-tonica di Culotta e Leone e una sua persistenza e vita-lità negli studi di architettura di Palermo? Dagli indizisi passa alle prove certe: Pasquale Culotta consigliavasempre, e sino ad anni recentissimi, a tutti i suoi allievi,la lettura attenta di Esperienza dell’architettura9 diErnesto Nathan Rogers e lo stesso Marcello Panzarellaha confermato che la stessa importanza era attribuita daCulotta al Diario Fenomenologico10 di Enzo Paci.Esperienza dell’architettura raccoglie una serie discritti di Rogers e, soprattutto, una parte dei suoi edito-riali pubblicati su «Casabella-Continuità», da lui direttadal numero 199 del 1953 al 294-295 del 1965; EnzoPaci faceva parte del comitato di redazione della rivi-sta, dal numero 215 del 1957 sino all’ultimo diretto daRogers. A questo legame diretto con le fonti, si aggiun-ge, inoltre, com’è noto, la presenza di Vittorio Gregottia Palermo, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anniSettanta, come docente di composizione architettonica.Lo stesso Gregotti era stato assistente universitario diRogers,11 e redattore della rivista «Casabella-Continuità» dal 1953 al 1957 e caporedattore dal 1957al 1962. Inoltre Giuseppe Leone era stato il primo degliassistenti di Gregotti12 a Palermo.

Insomma un indizio solo all’apparenza tenue, l’uso dellaparola orizzonti da parte di Panzarella, si rivela come lapatina di una stratificazione densa con molti piani posti adiverse profondità, che invita a capire come la riflessio-ne di Paci sia stata terreno fertile per l’architettura diCulotta e Leone.In questo iniziale approfondimento, sicuramente embrio-nale, si scelgono alcuni nuclei, come dei cuori, da cui siallontana progressivamente un sistema arterioso che ali-menta il “processo” del progetto dei due architetti sici-

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7. «Un altro rilievo, quello delTempio di Diana, alto sulla Roccache domina la Cattedrale, megaliti-co, arcaico, primordiale, è uno deiprimi atti di architettura compiuti daPasquale Culotta. (…) L’andare allefonti, il riconoscerle e toccarle conmano, riportandole nell’ambito dellecose comprese e possedute, indicanon tanto o non solo una direzione,ma soprattutto l’intenzione di segna-re per sé la qualità di un orizzonte»,PANZARELLA M., op.cit., pp. 15-17.«Dopo il cosiddetto Tempio diDiana e la Cattedrale normanna, laterza soglia attraverso cui Cefalù hapotuto realizzare il proprio incontrocon l’architettura è stata una casanel bosco. Si tratta di una casa per lavilleggiatura, progettata dall’archi-tetto Giuseppe Samonà per il fratel-lo Alberto, e costruita tra il 1948 e il1950 sulle pendici del monte diGibilmanna. Con quest’architettura,tre volte segreta – perché nel bosco,perché privata, perché non divulgata– l’architetto cinquantenne, giàautore di grandi interventi monu-mentali, mostra di voler dare unsenso e una consistenza differenti alproprio esercizio della disciplina.(…) In questo bosco, con questacasa, l’architettura torna ad osserva-re il proprio modo di essere nei luo-ghi, e a riconoscere la necessità ditogliersi dalla rusticità e dall’oblioin cui era caduta, per tentare unapropria rifondazione locale.Culotta e Leone, ancora studenti,osservano e riconoscono questi atti,che per loro costituiscono dellesoglie, dei precedenti immediati diriferimento. La scena antica delpaese dei pescatori si modifica eritrova il punto di partenza per unprocesso del tutto nuovo, in cui peròsi recupera coscienza di qualcosache è già stato, così nel tempo piùremoto, come in quello più recente.(…) In questi esempi e in quellepratiche di architettura si mostranodegli orizzonti, forse più attraenti diun indirizzo esatto, dunque dellestrade da battere, delle strade larga-mente da scoprire», PANZARELLAM., op.cit., pp. 20-23. «Una tra le prime case (casaButtitta, 1968, non realizzata), ben-

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liani. Le successive citazioni da Gregotti, Paci e Rogerssono assunte come pietre di confronto, come se fosserovocaboli ai quali Culotta e Leone, hanno saputo attribui-re, a posteriori, etimologie corrette ed originali. In questa ricerca delle radici si farà riferimento direttoall’architettura di Culotta e Leone e, in alcuni passaggi,alla complessiva esperienza dell’architettura di Culotta,intendo per questa, oltre la produzione architettonicacondivisa con il suo amico fraterno Bibi (GiuseppeLeone), la sua riflessione teorica e la non meno impor-tante sperimentazione didattica.I nuclei che si vogliono indagare possono essere riassun-ti nei seguenti:- la lezione di Frank Lloyd Wright e il mito mediterra-neo nell’architettura contemporanea;- la “sospensione del giudizio” e l’opposizione al pregiu-dizio di una “concretizzazione mal posta”;- la poetica delle preesistenze ambientali e l’architetturadella modificazione;I nuclei, artificiosamente separati, sono anelli di unastessa catena; inseparabili ma, ai fini di questo ragiona-mento, tenuti tra loro distanti.

La lezione di Frank Lloyd Wright e il mito mediter-raneo nell’architettura contemporaneaSe la riflessione passa dalle parole all’architettura, èindubbio che le prime opere di Culotta e Leone, ilComplesso parrocchiale13 (1970) a Finale di Pollina,lungo la costa nord orientale della Sicilia, e la casa Mitra(1968 - 1970) a Cefalù, sono entrambe architetture dichia-ratamente wrightiane. La propensione ad osservare, consempre maggiore attenzione, le architetture d’oltreoceanoè molto più di un’adesione giovanile e il riferirsi al mae-stro di Taliesin ha delle conseguenze sul loro modo di farearchitettura che supera le iniziali assonanze di linguaggio.Era stato proprio Frank Lloyd Wright a dare corpo a unvento impetuoso, una corrente oceanica che, con la mostradi Berlino del 1910 e la pubblicazione edita da Wasmuth,aveva tracciato, poco prima della grande guerra, qualiorizzonti immensi potevano aprirsi ai giovani architettieuropei. E a distanza di cinquant’anni dalla esposizioneberlinese anche Culotta e Leone subiscono il fascino del-l’architettura dell’allievo di Luis Sullivan. Anche per lorole architetture di Oak Park erano state una folgorazione,che aveva aperto una strada verso un continente,l’America, da esplorare, in cui tutto era possibile e dovenon vi erano preclusioni.Enzo Paci scrive:

«Wright ci ha dimostrato di fatto che anche i metodi più audacidella tecnica non valgono in quanto mezzi puramente utilitari ma inquanto sono “vissuti”. Essi non devono restare al di fuori della inte-gralità dell’uomo ma devono essere sentiti come qualcosa che sca-turisce da una natura originaria e da un’esperienza originaria. Ciò

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ché per l’impianto e per i problemiaffrontati fosse alquanto differentedalla casa Samonà, mutua da quellail grande muro, assieme arcaico ewrightiano, e ripete di quella l’usodel forno esterno, isolato, posto adefinire con le altre murature, inmodo quasi miesiano, una cortepressoché virtuale. Si inizia qui perCulotta e Leone, un tirocinio, unapprendistato a distanza, da maestrie luoghi di elezione. Essi imparanoa proiettare, e progettano proiettan-do se stessi e questi luoghi sullosfondo di orizzonti distanti, pursempre osservandoli da qui, con lelenti di cui erano disponibili»,PANZARELLA M., op.cit., p. 25.

9. ROGERS E. N., Esperienza del-l’architettura, Giulio Einaudi edi-tore, Torino 1958.

8. HEIDEGGER M., Costruire abita-re pensare, in HEIDEGGER M.,Saggi e discorsi, Mursia, Milano,1976, p. 97.

11. Vittorio Gregotti è stato assi-stente universitario di ErnestoNathan Rogers, nel corso diCaratteri stilistici e costruttivi deimonumenti presso la Facoltà diArchitettura di Milano, tenuto dal-l’a.a. 1952-53, all’a.a. 1960-61.

10. PACI E., Diaro fenomenologi-co, Bompiani, Milano 1961.

12. TUMBIOLO R., intervista aMarcello Panzarella Cultura escienza di Pasquale Culotta, inTUMBIOLO R., Lo stretto rapportotra didattica dell’architettura ericerca progettuale. L’esempio diPasquale Culotta, tesi del dottora-to internazionale Villardd’Honnecourt, II ciclo, p. 159.

13. Cfr. SCIASCIA A., Chiese e tes-suti urbani. L’esperienza diPasquale Culotta, dai riferimentiinternazionali alle forme primarie,in FLORIO R. (a cura di), Città stori-che Città contemporanee. Strategiedi intervento per la rigenerazionedella città in Europa, Clean edizio-ni, Napoli 2012, pp. 74-92.

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non significa il rifiuto della tecnica ma, al contrario, che essa deveessere ricondotta alla realtà umana e non imporsi a tale realtà. Seuno degli aspetti della crisi contemporanea è dato dal modo con ilquale l’uomo risponde alla tecnica ciò che Wright ha proposto inesempi viventi è un rovesciamento del senso della tecnica: non piùun’architettura che si lascia condizionare dall’esterno ma un’archi-tettura che dall’interno fa la sua tecnicizzazione».14

Alla luce di queste proposizioni, basterebbe sfogliare Leoccasioni del progetto,15 monografia che raccoglie i pro-getti e le realizzazioni di Culotta e Leone, dalla fine deglianni Sessanta alla metà degli anni Ottanta, per capirecome nelle loro architetture ogni “soluzione”, dal sistemastrutturale, al disegno degli infissi, passando per quellodelle coperture siano sempre parte inscindibile del proget-to tout court. Non vi sono tecnicismi subiti, anzi il fre-quente contenimento delle energie economico-finanziarieda parte dei committenti li ha portati ad una eleganteessenzialità, raggiungendo, con maggiore chiarezza, l’esi-to architettonico desiderato. Fra i diversi casi che si posso-no portare all’attenzione, per evidenziare il rapporto traarchitettura e tecnica, si ricorda esclusivamente la soluzio-ne di copertura della casa Salem a Mazzaforno, localitànei pressi di Cefalù. Nel giro di pochi anni i rimandi wri-ghtiani sfumano e sono sostituiti da quelli provenientidalle architetture progettate dalla generazione post kahnia-na, come rilevato da Vittorio Gregotti16 sulla costa occi-dentale degli Stati Uniti d’America. Infatti la casa Salemsi pone, sulle rive del Mediterraneo facendo eco ai volumiche Moore, Lyndon, Turnbull e Whitaker disponevano suibordi dell’Oceano Pacifico. La casa Salem si presentacome un prisma, a base quadrata, su pilotis a pochi metridal mare, dove l’intonaco, di un colore, «verde umido enerissimo»17 ne ricopre in maniera continua il volume,sino all’ultimo lembo della copertura. Quest’ultima, afalde inclinate, si offre come una quinta facciata per chiraggiunge la casa dall’alto e il rivestimento, si ripetemonomaterico e monocromatico dai piedi alla testa, mutatotalmente il significato dell’architettura che sembrava“condannata” all’ineluttabile rivestimento in tegole(coppi). Con casa Salem Culotta e Leone tracciano unostretto sentiero tanto distante dagli “apriori” dettati daitecnicismi della modernità quanto da quelli banali prove-nienti da una tradizione locale ormai, per alcuni aspetti,afona. Riferendosi alla polemica che contrapposeRogers18 a Banham, Culotta e Leone non vogliono custo-dire frigidairesma, forse perché di una generazione diver-sa, trovano una strada del tutto alternativa al neo liberty,sapendo criticare anche i cliché locali. O, da un altropunto di vista, come ha più volte sostenuto MarcelloPanzarella, hanno saputo coniugare globale e locale19dimostrando, in questa occasione specifica, come era pos-sibile proporre una sintesi complessa fra più tradizioni emodi di pensare l’architettura. Al loro “guardare lontano,

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14. PACI E., Wright e “lo spaziovissuto”, «Casabella-Continuità»,n. 227, 1959. Anche in «aut aut»,n. 233, gennaio-marzo 2007, p. 47.

16. GREGOTTI V., Presentazione,in CULOTTA P., LEONE G., op. cit.,pp. 5-6.

18. ROGERS E. N., L’evoluzionedell’architettura. Risposta alcustode dei frigidaires,«Casabella-Continuità», n. 228,giugno 1959.

19. PANZARELLA M., op. cit., p. 101.

17. PANZARELLA M., op. cit., p. 41.

15. CULOTTA P., LEONE G., Leoccasioni del progetto, Medina,Palermo 1985.

20. «Guardano però lontano, guarda-no soprattutto all’America, e qui, inquesti luoghi, proiettano un’Americadell’invenzione, certo un’America deldesiderio, forse anche passata attraver-so gli affetti e i ricordi dell’America dichi, tra i familiari, un tempo vi eraemigrato o ancora vi abitava: unagrande America del mito. Di taliproiezioni, qua e Là effettuate nei din-torni di Cefalù, è oggi rintracciabileuna serie di esempi», PANZARELLA M,op. cit., pp. 25-26.

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soprattutto l’America”,20 sul quale si tornerà per spiegarele ragioni che fanno preferire frequentemente ai due gio-vani architetti siciliani l’architettura americana a quellaeuropea, bisogna aggiungere, da parte di PasqualeCulotta, la capacità di sentirsi parte di un’altra tradizione,quella che vedeva il mito mediterraneo come matricedeterminante dell’architettura contemporanea.21 Taleappartenenza era denunciata da parte di Culotta con unasorta di refrain che si concretizzava nel ripetere, con unacerta insistenza, una sua particolare definizione di archi-tettura. Di un’architettura senza tempo ma riferita a unluogo preciso: la parte nord occidentale della Sicilia e taledefinizione era, come i suoi schizzi, contemporaneamen-te, descrizione e traguardo progettuale. “Prismi conficcatinel suolo, monomaterici e monocromatici dalla linea diterra alla linea di colmo”. Nel “senza tempo”, cioè al difuori del tempo, Culotta rinverdiva il modo perenne delmito mediterraneo.

«Molte affinità di clima, di tradizioni, di toponimi e perfino di trattietnici sono riscontrabili lungo le fasce costiere dei paesi che affaccia-no sul Mediterraneo. E tra le varie manifestazioni antropologichequella che maggiormente registra e conserva i segni di una civiltàsovranazionale è l’architettura. Si badi però: non l’architettura“colta”, bensì quella anonima, espressione di tecniche costruttiveripetitive e corali, collaudate da una cultura collettiva dell’abitaresedimentatosi nel corso dei secoli (…) E l’inganno che il mito “medi-terraneo” propina è la rappresentazione sovra storica del passatocome presente, insinuando l’elegante supposizione dell’eterno, al di làdel ciclico mutare delle stagioni, del perenne alternarsi del giorno edella notte e delle infinite forme attraverso cui il tempo si mostra,quasi che l’arte di ogni epoca si fosse misurata con un unico tema: ildesiderio di armonia. Ed è appunto come mito, come fantasma di uncostruire semplice e armonioso, come simulacro dell’assenza di deco-ro e dei puri volumi euclidei, come forma simbolica dei canoni arit-metici della “divina proporzione”, come ombra della bellezza apolli-nea e come eco delle sirene trasmesso dal mare… che la “mediterra-neità” va valutata, al di là della sua obiettiva verificabilità».22

Una architettura dai volumi semplici, assoluti - Culotta nonavrebbe condiviso l’aggettivo “anonima” in contrapposizio-ne a “colta” - monomaterica e monocromatica azzera icodici provenienti da una presunta tradizione aulica del pas-sato quanto quelli appartenenti agli “ismi” mitteleuropei deiprimi decenni del XX secolo. Esiste una eccezione, unagrande eccezione, la ricerca di Le Corbusier. Vi è, infatti,una forte assonanza fra un’architettura fatta da “prismi con-ficcati al suolo, monomaterici e monocromatici dalla lineadi terra alla linea di colmo”, e un’architettura come “giocosapiente, corretto, magnifico dei volumi sotto la luce”.In entrambe le definizioni sono le ombre e quindi la luce adessere protagoniste assolute e a costituire la relazione vitaledell’architettura. Attraverso la luce (e le ombre) che bagnale superfici dei volumi, l’architettura da corpo inanimato,

22. GRAVAGNUOLO B., op. cit., p.8.

21. Cfr. GRAVAGNUOLO B., Il mitomediterraneo nell’architetturacontemporanea, Electa Napoli,Napoli 1994.

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inizia a vivere dando forma e dimensione al tempo sia nellasua accezione cronologica che in quella atmosferica. Lacasa Salem, abitazione e torre di avvistamento, costruisce,quindi, una relazione con il suo contesto specifico, la costacefaludese e il mare. Ma questo mare non è il soloMediterraneo, si tratta di un fluido che tiene insieme il MareNostrum, l’oceano Atlantico sino a raggiungere il Pacificostabilendo un legame fra il mito mediterraneo e quello dellawest coast. E l’architettura di Culotta e Leone può essereletta come una sintesi difficilissima fra l’architettura ameri-cana - non solo quella di Wright e poi di Moore - e quellalecorbusieriana. E cioè un’architettura libera da pregiudizi ein grado di accogliere, nel silenzio di un intonaco monocro-matico disteso in modo uniforme, la vita della luce.

La sospensione del giudizio e l’opposizione al pre-giudizio ad una concretizzazione mal posta

«Noi non riusciamo, dunque, a vedere e a sperimentare la comples-sa vita dell’esperienza perché abbiamo, prima ancora di sperimenta-re e di vedere, costruito delle cose artificiali, delle forme astratte,che ci impediscono di vedere le cose come sono e di vivere in modospregiudicato la vita dell’esperienza. Bisogna liberarsi dalle “teorieprecostituite”, dai giudizi dati prima di sperimentare e di vedere ecioè dai pregiudizi. La liberazione dai giudizi precostituiti è quell’o-perazione che Husserl chiama “la sospensione del giudizio” o epo-ché. Soltanto se ci liberiamo da tutte le convinzioni precostituite, dalpeso di tutte le astrazioni di cui viviamo molto di più di quanto disolito siamo disposti ad ammettere, riusciamo a entrare davvero incontatto con il flusso vivente dell’esperienza, con quello cheHusserl indica come l’autentico e concreto mondo della vita».23

Le affermazioni di Paci contenute ne L’architettura e ilmondo della vita, hanno costituito per Pasquale Culotta eGiuseppe Leone una stella polare in base alla quale traccia-re una rotta, che ha orientato la loro attività di progettisti.E, tornando al mito mediterraneo dell’architettura contem-poranea, anche la “divina proporzione”, laddove assuntacome un apriori, è scartata. La geometria e i suoi rapporti(aurei) sono per Culotta e Leone un importante strumentodi controllo ma mai la causa generativa dell’architettura.Nell’approccio al progetto rifiutano qualsiasi fatto chepotesse costituirsi come modello. Anche la nozione menorestrittiva di tipo, così intesa da Quatremère de Quincy, ela conseguente riflessione tipologica è, in particolar mododa Culotta, sempre accompagnata e bilanciata dalla impor-tanza attribuita all’architettura come organismo. ÈMarcello Panzarella a chiarire questo passaggio.

«Ho imparato il rilievo dell’architettura con l’assistente di studio diPasquale Culotta, che era la bravissima disegnatrice Domenica Pedi, econ un altro giovane geometra che aiutava nello studio di Culotta &Leone, oltreché, naturalmente, con Pasquale Culotta, che conduceva laregia delle operazioni. Facemmo allora il rilievo di una casa da lui scelta

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23. PACI E., L’architettura e ilmondo della vita, «Casabella-Continuità», n. 217, 1957, pp. 53-55.

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tra quelle dei suoi conoscenti. Si trovava in via Spinuzza, a Cefalù, nelcentro storico, e con loro l’ho rilevata dal magazzino, posto al piano terra,fino alla soffitta. L’occasione mi fu utile per comprendere il concetto ditipo edilizio, un’astrazione che nessuno mi aveva mai spiegato come sideve, ma che Pasquale Culotta mi aiutò a capire mostrandomi come tuttele case di quella via fossero organizzate con un principio simile (la scalaera messa nello stesso modo e la distribuzione era analoga, il rapporto trafronte e lati ciechi era simile, e così via). Ma Pasquale Culotta, nella con-cretezza fisica del contatto col costruito, mi mostrò anche come l’indivi-dualità dei vari organismi che interpretano il tipo sia una ricchezza daosservare e da assumere piuttosto che un fatto secondario da trascurare.Soprattutto, nella verità dell’organismo concreto, mise in evidenza la ric-chezza delle soluzioni contingenti che quanti avevano costruito la casa,modificandola anche nel tempo, avevano escogitato e messo in atto perrispondere alle esigenze specifiche o puntuali di chi nella casa già vivevao di chi l’avrebbe abitata. Dunque, per me, la scoperta del tipo fu contem-poranea alla scoperta dell’organismo e si verificò in relazione a un unicoesempio, posto a confronto con gli altri consimili e circonvicini: tale con-temporaneità garantì per me la consapevolezza chiara e immediata del-l’intreccio e della distinzione tra i due fatti (in termini di concetto e in ter-mini di oggetto), il tipo e l’organismo, ed ha costituito per me una ric-chezza che ho custodito e, spero, anche arricchito nel tempo».24

Tale attenzione all’organismo allontana l’esperienzadell’architettura di Culotta, anche nel sodalizio conLeone, da una parte consistente della ricerca italianaladdove questa ha fatto della tipologia il cardine quasiesclusivo del suo approfondimento disciplinare. Sianell’accezione “apriori” muratoriana, che in quelladove si è utilizzata la tipologia come strumento di ana-lisi della architettura e della città, e quindi come sintesia posteriori. Rispetto a questo modo di pensare l’archi-tettura e la città si frappone una pausa, in alcuni casi unbaratro profondo rispetto alle intenzioni architettonichedi Culotta, ben rappresentate dalle parole estreme uti-lizzate da Aldo van Eyck in risposta a Vittorio Gregottiche gli chiedeva un suo intervento per il numero di«Casabella» dedicato ai Terreni della tipologia.25Se l’architettura possiede tale irriducibile complessitàespressa negli organismi, impossibile da sterilizzare inschemi, allora è facile immaginare quanto affine possaessere sembrato a Culotta lo sguardo spregiudicato diRobert Venturi espresso in Complessità e contraddizio-ni nell’architettura. Opponendo al less is more miesia-no il suo more is no less, confermava l’apertura menta-le di Culotta e Leone nell’aver capito, per tempo, che«pretendere di costruire in uno “stile moderno” apriori-stico è altrettanto assurdo che di imporre il rispettoverso il tabù di stili passati».26

Il rifiuto dell’apriori è una costante nell’attività propo-sitiva, cioè in quella progettuale di Culotta e Leone, maresta tale anche nella lettura dei luoghi. Il non accoglie-re gli apriori, i pregiudizi, ha permesso a Culotta di svi-

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25. «Casabella», n. 509-510, gen-naio-febbraio 1985, numero mono-grafico dedicato all’attualità dellanozione di “tipo” in architettura.

26. Rogers E. N., Le preesistenzeambientali e i temi pratici contem-poranei, «Casabella–Continuità»,204, febbraio–marzo 1955; anchein MAFFIOLETTI S. (a cura di ),Ernesto Nathan Rogers,Architettura, misura e grandezzadell’uomo. Scritti 1930–1969, IlPoligrafo, Padova 2010, p. 528.

24. TUMBIOLO R., intervista aMarcello Panzarella, Cultura escienza di Pasquale Culotta, inTUMBIOLO R., op. cit.,pp.158–159.

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luppare uno specifico modo di affrontare i sopralluo-ghi, posti a fondamento della sua didattica della proget-tazione, dove poteva accadere di «svegliarsi continua-mente nello stupore del paesaggio del mondo».27Pasquale Culotta, ricordava spesso una gita estiva fattanegli anni del suo apprendistato universitario al fiancodi Edoardo Caracciolo28 a Castelbuono, centro delleMadonie a pochi chilometri da Cefalù, come una delleesperienze che più l’avevano segnato nella lettura dellastruttura urbana. Questa esperienza è stata (da me) rie-vocata, anni addietro, in occasione di una consultazio-ne proposta dalla rivista «d’Architettura»,29 in collabo-razione con il Festival dell’architettura di Parma.

«Culotta insegna per le strade della città, scruta, osserva, medita e con-temporaneamente spiega e commenta. Questo mi sembra il trattosaliente da cui iniziare: insegna passeggiando. Anche la sua matita chesi muove sul foglio può essere descritta come un errare, un passeggia-re. La lezione en plein air del maestro stabilisce, al contempo, dellecontinuità e delle costanti all’interno della Facoltà di Architettura diPalermo. Infatti, se faccio un sopralluogo con Culotta lui cita sempreEdoardo Caracciolo (suo docente e maestro) e, in particolare, il ricordodi una visita estiva a Castelbuono, centro delle Madonie a circa centochilometri da Palermo. Sentendo questo racconto ho capito che quellagita è stata per Culotta una vera iniziazione. La lectio magistralis diCaracciolo, manifesta a Culotta, molto di più dell’essenza urbana diCastelbuono, gli svela il “come” affrontare, conoscere e dialogare conl’architettura della città. A volte penso a Caracciolo, alto forse più diun metro e novanta e a Culotta di trenta centimetri più basso, a passeg-gio per le strade di Castelbuono, sotto un micidiale sole d’agosto, el’allievo che pende letteralmente dalle labbra del maestro. Il giganteCaracciolo spiega, spiega e ragiona ad alta voce sul perché di quell’al-lineamento, della logica di alcune altezze, della necessità di alcuni fon-dali, mentre un cielo di un azzurro denso sovrasta entrambi. L’allievoresta incantato e rivede le architetture come se fossero scacchi. Lepedine, i cavalli, gli alfieri, le torri ed anche re e regine hanno assuntole sembianze degli edifici che le mani dei progettisti hanno spostato espostano nell’interminabile partita tra architettura e città».30

A questa descrizione si aggiungono alcune proposizio-ne tratte dal Diario Fenomenologico di Enzo Paci.

«Il selciato sul quale cammino … La durezza, la compattezza, l’impene-trabilità delle cose. Per il filosofo, per l’uomo che vive nel filosofo, tuttoquesto può diventare enigmatico, diventa enigmatico. Tutto: la città, lapropria casa, il tavolo sul quale lavora. E tutti gli eventi nei quali vive ele persone. Sono lì. Ma in qualche modo io nego gli eventi e le persone ele cose. Questa negazione è fondamentale. Non posso negare quello chec’è, non posso negare il mondo nel quale vivo. Eppure dico di no. Nonaccetto l’impenetrabilità, l’opacità delle cose. Dire di no è, fenomenolo-gicamente, “porre tra parentesi”, esercitare l’epoché, la sospensione delgiudizio. (…) Il mondo è là: è stato creato, si diceva. Il mondo è là efinora io credevo che fosse naturale, che fosse ovvio il suo essere là. Oraso che questo suo essere là è oscuro, enigmatico, coperto. (…) Devo

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28. Edoardo Caracciolo, professore diurbanistica dal 1946 al 1962 presso laFacoltà di Architettura di Palermo. Lesue ricerche sulla storia dell’architetturae l’interesse verso l’urbanistica si fon-devano con l’attenzione costante versol’architettura rurale e spontanea sicilia-na. Restano fondamentali i suoi studisu Erice e sulla Val di Noto. Di seguitosi riportano alcune delle sue pubblica-zioni:CARACCIOLO E., Edilizia minore erici-na, in AJROLDI, CARACCIOLO, LANZA,Galleria mediterranea - Rilievi di edili-zia minore siciliana, Palermo 1938;Edilizia ericina, Palermo 1939; Ambienti edilizi sul Monte Erice,Proposta di scheda per la storia del-l’urbanistica, Estratto dall’ArchivioStorico Siciliano, serie III, vol. IV,Società siciliana per la Storia Patria,Palermo 1950;La città sul Monte Erice, «Casabella»n. 201, 1954;La casa ericina, estratto dagli atti del VConvegno Nazionale di Storia dell’ar-chitettura, Perugia 1948, Firenze 1956;Erice: conservazione e valorizzazionedi un patrimonio eccezionale, in Attidel Convegno di Gubbio, 1960 -«Urbanistica» n. 32, 1960 e inSalvaguardia e risanamento dei Centristorico-artistici, Atti del Convegno diGubbio - Stampa a cura della rivista«Urbanistica», Torino 1961;La cattedrale di Erice e cenni sulla edi-lizia ericina, Comunicazione allaSocietà Siciliana per la Storia Patria,Palermo.PIRRONE G. (a cura di), La ricostruzio-ne della Val di Noto, Quaderno n. 6della Facoltà di Architettura diPalermo, Palermo 1964.

30. SCIASCIA A., Archivi ArchitetturaSicilia, Laboratorio Italia 2005,esposizione d’Architettura,«d’Architettura» n. 27, maggio-set-tembre 2005, pp. 166-167. Uno stral-cio più esteso, ma ancora non com-pleto, del sopralluogo a Castelbuono,si trova in TUMBIOLO R., intervista adAndrea Sciascia Happy Days TimpaRussa, op. cit., pp.173-180.

29. Laboratorio Italia 2005, esposi-zione d’Architettura, «d’Architettura»n. 27, maggio-settembre 2005.

27. PACI E., op. cit., p.43.

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risvegliare me stesso, diventare sveglio come finora non sono mai stato.Ritrovare in me e nel mondo che sgorga da me la sorgente di tutti i signi-ficati. Il mondo nasce in me, nasce in me per la prima volta, perché perla prima volta lo sento significativo. Sono vivo nella vita desta, nelWachleben, come dice Husserl. D’ora in avanti, in me, e negli altri chevegliano con me, che operano con me, il mondo sarà trasformato inmodo vero. Questa verità mi supera, mi appare come un’idea infinitaalla quale continuamente cerco di avvicinarmi. Così ho compiuto unarivoluzione. Ciò che era là, il mondo che era già là, è ora davanti a me:non è più un mondo già fatto ma da fare. È diventato un compito, un fineche dà significato alla vita, alla mia vita e a quella degli altri. L’epochémi ha fatto scoprire una vita che va al di là di ciò che ho già vissuto, unavita che continuamente si supera, che sempre si trascende trasformandoil già fatto in un compito, in un significato di verità. Questa vita nellaquale davvero vivo è la vita intenzionale».31

Ci si accorge, con estrema evidenza, almeno per chi èstato anche una sola volta al fianco di Culotta in unodei suoi sopralluoghi, che tipo di sintesi era riuscito afare tra la lezione di Caracciolo e quella derivante dallafenomenologia. Un modo di vivere l’architettura e lacittà inedito, ricco di conseguenze, fecondo e del tuttoalternativo all’analisi urbana quando questa, per quantosapiente, si pone come momento slegato e senza conse-guenze per il progetto. L’intenzionalità della lettura ègià progetto. Ed è in questo passaggio che la pratica diHusserl della sospensione del giudizio si compone,nella lettura di Paci, con il rischio della misplaced con-creteness di Alfred North Whitehead. Architetture tra-sformate in modelli ma anche modi della conoscenzache divengono gabbie apriori sono esorcizzate in alcu-ne delle pagine più nitide del Territorio dell’architettu-ra di Vittorio Gregotti che si concludono con questafrase:

«Poiché la liberazione dal pregiudizio costituito è il fondamentodella nostra prima azione di lettura della forma architettonica delmondo, ed essa è attività progettante, come la lettura dell’essenzadelle cose che ci circondano e di ciò che esse sono per noi».32

La poetica delle preesistenze ambientali«È difficile immaginare un chilometro quadrato dellapenisola dove non si abbia a interferire con una preesi-stenza naturale o artistica di un qualche valore».33La poetica delle preesistenze ambientali è fortementecorrelata alla filosofia del relazionismo. Per Paci

«La realtà non è costituita dalla sostanzialità ma dalla modalità degliattributi, delle relazioni. Nessuna esistenza, o, meglio, nessuna “situa-zione” è in sé indipendente dalle relazioni ambientali. Una situazionesi risolve nei modi delle sue possibilità. Ogni cosa che esiste, o chenon esiste, che esiste e non esiste, è in relazione ad altro da sé».34

Per quanto il passaggio possa sembrare meccanico, si

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31. PACI E., Diaro fenomenologi-co, op. cit., pp.41-43.

33. ROGERS E. N., Il problema delcostruire nelle preesistenzaambientali, «L’architettura.Cronache e storia», n. 22, agosto1957; anche in MAFFIOLETTI S. (acura di ), Ernesto Nathan Rogers,Architettura, misura e grandezzadell’uomo. Scritti 1930–1969, IlPoligrafo, Padova 2010, p. 619.

32. GREGOTTI V., Il territorio del-l’architettura, Feltrinelli, Milano1988, p. 113.

34. PACI E., op. cit., p. 33.Considerazioni simili sono espresseda Paci nel saggio, Problematica del-l’architettura contemporanea.«Casabella–Continuità», n. 209, 1956,pp. 41-46. Anche in «aut aut», n. 233,gennaio-marzo 2007, pp. 16-33.

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potrebbe prendere in considerazione qualsiasi architetturadi Culotta e Leone e spiegarla a fondo ripercorrendo quellerelazioni che queste hanno costruito con l’intorno e con laparticolare dialettica elaborata con la tradizione disciplina-re. Le relazioni con l’intorno, e quindi con le preesistenze,sono stabilite principalmente attraverso una serie di percorsi- definiti da Culotta camminamenti - grazie ai quali, durantela redazione del progetto rendevano la nuova architetturaparte indissolubile del luogo; crocevia di preesistenti enuovi percorsi, grazie ai quali si moltiplicano le relazioni.Dalle architetture di Culotta e Leone si percepiscono visiva-mente traguardi, figure artificiali o naturali, che prima delloro intervento, nello stesso luogo, erano vaghe o inesisten-ti. Tracciare le connessioni rendeva vive, cioè realmentepresenti, le preesistenze e costruiva un radicamento profon-do al principio insediativo che stavano elaborando.Preesistenza è l’uliveto di casa Di Paola, il Duomo diCefalù e la massa straordinaria della Rocca per ilMunicipio. Anche la stazione ferroviaria costituisce preesi-stenza rispetto al complesso dell’EGV center di via Roma.Nei confronti di ciò che preesiste i progetti definiscono unarete di relazioni che sono costitutive delle architetture.Per casa Di Paola l’uliveto guida le scelte dei volumi eporta con sé la costruzione dell’orto, ambito complementa-re delle case presenti nella campagna di Cefalù. Ulivi edorti non sono spettatori ma attori protagonisti nella spazia-lità della casa come ha saputo descrivere nel dettaglioMarcello Panzarella.35 E, con la stessa logica, l’inflessionedel prospetto del Municipio annuncia, da corso Ruggero, lapresenza del Duomo e della Rocca e il sistema di apertureregolari del prospetto costituisce una soglia fra “l’internourbano” dell’architettura e la stanza a cielo aperto di PiazzaDuomo. Sempre a Cefalù la stazione posta ad una quotasuperiore rispetto alla via Roma, sul cui margine sorgel’EGV center, diventa un polo attrattivo e determina l’intro-duzione di un percorso-muro che attraversa diagonalmentetutta l’opera costruendo una connessione urbana tra la stra-da di accesso al centro urbano e il terminal ferroviario.La questione delle preesistenze ambientali diventa perl’architettura di Culotta e Leone un tema centrale, unmodo di pensare l’architettura rispetto a qualsiasi con-testo. E l’orizzonte disciplinare è definito in manieraunivoca da un processo, tutt’altro che lineare, che sidistende dalla lettura, al progetto alla realizzazione.Processo e non procedimento perché «nessuna attivitàumana, e soprattutto l’opera dell’architetto, è deducibileda principi geometrici, o logici, che valgono soltanto peralcune tecniche particolari e non possono essere trasfor-mati ipso facto in realtà oggettive senza imprigionare lavita dell’uomo».36Quindi il progetto nel suo incedere scopre condizioni,fatti, relazioni e, nel suo specifico avanzare, ordinaquesti materiali e, nel porli in sequenza, stabilisce dellenuove interazioni del tutto impreviste e imprevedibili

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36. PACI E., Wright e lo spazio vissu-to, «Casabella-Continuità», n. 227,1959, pp. 9-10. Anche in «aut aut»,n. 233, gennaio-marzo 2007, p. 45.

35. PANZARELLA M., op. cit., pp.63-69.

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nel momento del suo avvio. Il grado di imprevedibilitàrende vane le costruzioni apriori e porta in superficie,connessa alla questione delle preesistenze ambientali,la riflessione di Vittorio Gregotti sul tema dell’architet-tura della modificazione. E l’architettura di Culotta eLeone è tutta dentro l’idea di progetto che

«diviene misura della qualità della modificazione che esso stessoinduce. In questo secondo caso non si dà conciliazione apparente oapparente assimilazione come nel primo, ma la trasformazione dellerelazioni (il confronto) assume essa stessa valore di linguaggio, omeglio di tensione verso il linguaggio».37

Ma osservando più nel dettaglio le loro architettureresta da precisare in che modo stabiliscono questa ten-sione verso il linguaggio. E nell’aggiungere, in modocomplementare, alla teoria delle preesistenze ambienta-li il tema dell’architettura della modificazione si hal’impressione che nella loro opera prevalga soprattuttoquell’approccio caso per caso, più volte richiamato daRogers. Come se la lezione appresa, nel corso deglianni, dalla viva voce di Gregotti abbia reso via via piùpenetrante quella di Rogers e soprattutto quella di Paci.Dopo casa Mitra l’architettura di Culotta e Leone tendea diventare monomaterica e monocromatica, dalla lineadi terra alla linea di colmo, ma questa scelta nasce dauna specifica condizione insulare, dalla quale Culotta sistaccherà negli ultimi anni della sua vita nelle opereprogettate, senza Leone, al di fuori della Sicilia. Ma èaltrettanto vero che l’accumularsi della loro esperienzaprofessionale non ha mai costituito un limite, un aprioriinterno, nella loro sperimentazione caso per caso. Laloro resistenza a frenare ogni possibile irrigidimentodel loro processo progettuale può essere letto attraversoun illuminante passaggio di Francesco Rispoli, espres-so nel suo saggio La ragione di Ulisse. Il colloquio traPaci e Rogers, nella coniugazione fra una parte dellariflessione di Paci, con l’avventura formativa di LuigiPareyson.38 L’avventura della formatività di un “fareche mentre fa inventa il modo di fare” sembra descri-vere, oltre che una sintesi tra Paci e Rogers, il sentieropercorso dall’architettura di Culotta e Leone.Quando si scrive di un “fare che mentre fa inventa ilmodo di fare” riferendosi al progetto di architetturabisogna capire gli effetti sconvolgenti che questa sceltapuò avere. Produce una tensione continua rivolta in duedirezioni contrapposte; verso le conoscenze acquisite,dandogli continuamente un nuovo ordine, e verso lameta, il punto di arrivo, del progetto che, sino all’ulti-mo, può subire degli spostamenti. Nel caso opposto ilprogetto si riduce ad un’operazione di montaggio, adun puzzle di pezzi precostituiti, ad un mero assemblag-gio. Questa modalità, oltre ad essere lontana dalla pro-gettazione è anche altrettanto distante dalla composi-

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38. RISPOLI F., op. cit., p. 60.

37. GREGOTTI V., Modificazione,«Casabella», n. 498-499, gennaio-febbraio 1984, numero monograficodedicato all’indagine dell’idea di“modificazione” nella progettazionearchitettonica contemporanea.

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zione volta a cogliere i principi dell’architettura.Aldo Rossi ha scritto:

«Osserviamo ora un monumento: il Pantheon. Prescindiamo dalla com-plessità urbana che presiede a questa architettura. In un certo senso noipossiamo riferirci al progetto del Pantheon o addirittura ai principi, aglienunciati logici, che presiedono alla sua progettazione. Io credo che lalezione che posso prendere da questi enunciati sia del tutto attuale quan-to la lezione che noi riceviamo da un’opera di architettura moderna; opossiamo confrontare due opere, e vedere come tutto il discorso dell’ar-chitettura, per quanto complesso, possa essere compreso in un solodiscorso, ridotto agli enunciati base. Allora l’architettura si presentacome una meditazione sulle cose, sui fatti; i principi sono pochi eimmutabili ma moltissime sono le risposte concrete che l’architetto e lasocietà danno ai problemi che via via si pongono nel tempo».39

Nel rileggere il brano, tratto da Architettura per imusei, frequentemente si è esaltato il ruolo dei principi,pochi e immutabili, ma rare volte si è richiamata laresponsabilità che deriva dalla scelta, o meglio dallaindividuazione, di una fra le moltissime risposte con-crete. Invece, in questo caso, la sottolineatura si vuoleporre proprio sul modo in cui fra le moltissime, forseinfinite, risposte si giunge a quella che si ritiene piùsignificativa. Ribaltando, si ribadisce almeno per unavolta, il senso della frase di Rossi ci si trova in mareaperto quando, pur confortati dalla conoscenza deiprincipi, bisogna progettare per quello specifico luogo,in relazione a quelle preesistenze, a quella determinatacondizione climatica e in rapporto alle concrete richie-ste di una committenza. Anche in Rossi, d’altra parte,dopo lo svelamento dei principi, gli stessi trovano unaconclusione densa di significato nelle sue opere facen-do riferimento al profilo autobiografico. In altri termi-ni, raggiunti i principi, compresi i principi, la loroapplicazione, che dà forma all’opera architettonica,dipende sempre dall’azione del soggetto, dalla suacapacità di stabilire trame di relazioni fra un luogo dipartenza, pazientemente svelato, e uno di arrivo imma-ginato nel processo del progetto. Culotta e Leone intra-prendevano tale avventura come in un viaggio compre-so fra alcuni elementi di partenza e degli schizzi checostituivano, più che una meta certa da raggiungere,una bussola grazie alla quale non smarrirsi.

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39. ROSSI A., Architetture per imusei, in CANELLA G., COPPA M.,GREGOTTI V., ROSSI A., SAMONÀ A.,SCIMEMI G., SEMERANI L., TAFURIM., Teoria della progettazione archi-tettonica, Dedalo Bari, 1967, p. 126.

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Architettura riparatriceIl sec. XX ha trasformato le città occidentali attraversoun doppio movimento. Di espansione, all’inizio, quan-do ne ha specializzato gli spazi producendo la maggiorparte dei luoghi interclusi delle nostre città. Di ritrazio-ne, sul finire, quando le modifiche delle modalità pro-duttive, le nuove necessità energetiche, la riqualifica-zione dei trasporti e dei rapporti spaziali nella costru-zione dei territori delle reti hanno trasformato profon-damente quegli stessi spazi. L’apparato di edifici e infrastrutture dell’industrializza-zione ha introdotto nella città non solo nuovi manufatti,ma anche i loro caratteri e temporalità. Realizzate perprodurre, queste costruzioni erano dotate di nuovecaratteristiche. In particolare, erano capaci di funziona-re, come strumenti di precisione - quali gli orologi o ipiccoli automi già prodotti alla fine del Settecento - maalla scala della città e direttamente innervati da sistemidi alimentazioni energetica. Inversamente, essi poteva-no smettere di funzionare, ovvero rompersi, condizioneche non si era mai associata sino ad allora agli edifici.L’interruzione del funzionamento dei manufatti tecnicie delle infrastrutture introduce nelle città occidentalidel Novecento la nuova dimensione del tempo ciclico.Alla linearità del tempo omogeneo e continuo, sisovrappone la nuova possibilità di un tempo disconti-nuo, successione disomogenea di momenti dal valorediverso, con intervalli e riavvii.Le rovine di architettura, sino all’Ottocento, ci ricorda-no che la durata degli edifici si misurava su intervallilunghissimi. Il decadimento delle fabbriche avvenivaalla fine di un’innumerevole e agevole serie di trasfor-mazioni che compiva senza interruzioni la metamorfosidei templi in cattedrali, dei Palazzi imperiali o deglianfiteatri romani in nuclei urbani, dei conventi in ospe-dali, e poi in scuole o in carceri. Il disfacimento dell’ar-chitettura era, allora, questione di un piccolo numero dicasi. Esso dipendeva spesso dalla distruzione fisica delmanufatto (crolli, incendi, guerre), che sopraggiungevaquando ne era ancora in corso l’uso, e pertanto noninficiava la linearità che ne qualificava la natura tem-porale.Le attrezzature del Novecento, invece, sopravvivono al

Dopo l’obsolescenza. Progetti per iviadotti ferroviari dismessiZeila Tesoriere

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loro uso. Hanno grandi capacità di resistenza: sonoaggregati di parti metalliche, vetro e muratura; sonodefinite dalle loro porzioni tecniche: compressori,ingranaggi, accumulatori, ciminiere. Le condizionidella rovina ottocentesca si trovano invertite nel desti-no di questi oggetti, che chiama in causa la loro utilitase non la firmitas.Contraendosi come una marea, il Novecento ha cosìlasciato sull’arenile del sec. XXI gasometri, centralielettriche, macelli, fabbriche e industrie, ma ancheinfrastrutture per trasporti poi attualizzati.1 La produ-zione industriale, infatti, è stata costantemente affian-cata dalla ferrovia che permetteva l’arrivo delle materieprime e la successiva partenza delle merci. Le linee fer-roviarie di breve tragitto servivano inoltre al tempolibero, nuova condizione che le masse lavoratrici delsec. XX avrebbero contrapposto al tempo del lavoro.2Permettendo agli operai di raggiungere luoghi extraur-bani ma vicini alle città, le ferrovie di prossimità hannogarantito sino alla seconda metà del Novecento sposta-menti che più tardi sarebbero stati assicurati dalle retimetropolitane extraurbane, o dalle automobili. Privi di uso e di senso, i relitti di tecnologie e modi diproduzione ormai superati costellano da una quarantinad’anni il territorio delle città occidentali. Si tratta dimaterie architettoniche coinvolte in processi oscillatoriche ne diversificano il valore in rapporto alla durata delciclo in corso, e se non se ne riconosce il carattere e lepotenzialità si riducono a scarti. Per questo, da unaventina d’anni i processi descrittivi del progetto sioccupano di definire tale nuovo campo di azione.Mentre si precisano i caratteri del nuovo scenario, l’in-tervento su questi elementi assume un ruolo rilevantein processi di rigenerazione che vedono i manufattiobsoleti come risorsa, in cui l’architettura opera comeriparatrice di processi interrotti.In riferimento ai numerosi casi di riuso dei viadotti fer-roviari dismessi, si evidenzia che ciò avviene attraversopassaggi successivi. Il primo fra questi è sempre il rico-noscimento degli effetti determinati dall’interruzionedel ciclo d’uso per cui il manufatto era stato realizzato,e in particolare della dimensione formale e dell’inci-denza locale di questi effetti. Inserendosi fra le varia-zioni periodiche che interessano materie ormai incom-patibili e decostruiscono il senso degli spazi su cui con-vivono, l’architettura articola processi complessi eriformula il valore e le morfologie delle componenti.

Il paradigma della lentezzaAlla fine degli anni Ottanta, a Parigi, la conversionedella preesistente linea ferrata Paris Bastille –Vincennes – Verneuil l’Étang in Promenade Plantéeha introdotto nuove strategie di azione sui viadotti fer-roviari urbani dismessi.3 La principale è senz’altro

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3. Una disamina sensibile e digrande precisione dell’intero pro-getto della Promenade Plantée èsenz’altro l’articolo di SebastienMarot, le cui note bibliografichecompiono una rassegna delle pub-blicazioni specialistiche dedicatealla Promenade Plantée: MAROT,S., Bastille- Vincennes, visite de lapromenade plantée, «Le Visiteur»,n. 2, Société Française desArchitectes, maggio 1996, Parigi1996, p. 6- 49.

2. Per un inquadramento storicodel rapporto fra le pratiche cultu-rali ed economiche dell’inizio delNovecento e il tempo libero, sifarà riferimento all’opera di AlainCorbin: CORBIN A., L’avènementdes loisirs, 1850-1960, Parigi,Flammarion, 1995.

1. Per una prima sintesi degli effettidella dismissione sulle città occiden-tali, si rinvia il lettore a «Rassegna»,n. 42. In quest’opera collettiva i temitrattati, in particolare, da StefanoBoeri e Bernardo Secchi avvianol’elaborazione dell’ipotesi in cui ladismissione non è una somma difenomeni puntuali, ma il segno «diuna ritrazione dei modi d’uso cheriguarda i territori nel suo insieme»(BOERI, S. Il ritrarsi dei modi d’usodel territorio, ibidem, p. 21).

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quella della rinuncia alla demolizione, largamente pra-ticata sino ad allora, e per esempio già effettuata per lestazioni di Bastille e quella della grande area di movi-mento vagoni e gestione di Reuilly, lungo la stessalinea. Al riuso dell’infrastruttura come parco pedonaleè corrisposta la ripresa del mercato immobiliare inalcuni tratti contigui, condizione che ha reso laPromenade Plantée un riferimento. La riqualificazionedel lungo viadotto parigino non è stata la prima fraqueste esperienze di riuso.4 Dalle altre, relative a pontio ferrovie a raso, essa si distingue per la morfologia deltracciato, lungo 4,7 Km, che si svolge lungo l’odiernotessuto urbano in sopraelevata o trincea, senza interfe-renza con la rete viaria al suolo. Parte di questa condi-zione la accomuna all’High Line Elevated Parkway diManhattan,5 che più di vent’anni dopo ha ripreso alcu-ni approcci espressi dal parco parigino, rielaborati peròin un contesto completamente mutato. Negli anni inter-corsi, le esigenze dell’era del post-carbone, della decre-scita, i nuovi imperativi ecologici e della sostenibilità,hanno trovato sintesi in un orizzonte complessivo cui iprogetti di oggi si riferiscono, e di cui alimentano l’im-maginario. La Promenade Plantée ci appare come la

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4. Nel 1929, il Bridge of Flowers aShelburne Falls (Massachussets),opera la prima conversione di unpreesistente ponte ferroviario in pas-seggiata plantumata. Durante i 15anni necessari al completamentodella Promenade Plantée, è statorealizzato il Natur Park Südgeländea Berlino, che ha trasformato inriserva naturale urbana una prece-dente area di manovra ferroviariaper treni provenienti dall’interaEuropa, ampia circa 16 ettari ecostruita fra il 1880 e il 1890 dallaODEG - Ostdeutsche EisenbahnGmbH (East German Railway) nelquartiere di Tempelhof-Schöneberg.

Fig. 3. Promenade Plantée, passeg-giata centrale e bordi inaccessibili

Fig. 2. Promenade Plantée, ilViaduc des arts

Fig. 1. Promenade Plantée, passeg-giata centrale e elementi di arredo,tratto parallelo al Boulevard Diderot

5. La Promenade Plantée e la stes-sa High Line Elevated Parkwaysono invece molto diverse dagliormai numerosi altri casi in corsodi definizione, in cui il viadotto èun ponte (Blomingdale Trale a

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prima prova di strategie urbane che il parco diManhattan ha rivisto e precisato. La suddivisione dellaProménade in otto progetti, opera di architetti diversi,ha dato luogo a un’opera discontinua. I suoi brani sonoconnessi solo dalla fisica continuità della linea, marestano del tutto indipendenti nelle modalità di defini-zione formale, e nel significato che trasmettono aisistemi urbani attraversati. Solo nei casi in cui la dispo-nibilità di suolo ai lati permetteva la costruzione di edi-fici letteralmente prospicienti l’infrastruttura,6 il parcoè stato introdotto come elemento rigeneratore. Lasequenza parigina, che dispiega a più riprese uno stan-co repertorio di arredo urbano tardo ottocentesco e affi-da alle griglie per piante rampicanti o alle aiuole persiepi da ars topiaria la definizione del parco in luoghidi grandi potenzialità urbane come la porzione paralle-la al Blv. Diderot, o che liquida con qualche formali-smo postmoderno il delicato rapporto con l’AvenueDaumesnil, propone una soluzione poco comprensivadel contesto. Formata in prevalenza da un asse centralepedonale bordato da aiuole che non permettono di rag-giungere i bordi, la Proménade impedisce in più puntial visitatore di affacciarsi verso la città.Paradossalmente, quindi, il nuovo parco nega il caratte-re principale della stessa infrastruttura che ne è genera-trice: l’esperienza del tessuto urbano attraverso un per-corso pedonale ininterrotto e sospeso a mezz’aria. Inquesto, la Proménade mostra consapevolezza ancoraparziale dei valori formali e dell’incidenza locale -richiamati in apertura - originate dall’interruzione delciclo d’uso della vecchia linea ferroviaria.L’approccio unitario che le politiche di attuazionehanno imposto alla conversione del viadotto dell’HighLine a New York, mostra invece la certezza che ilnuovo parco sarà vettore della rigenerazione dei confi-nanti quartieri del Meatpacking District e di Chelsea. Ilprogetto è per intero definito dalla ricorrente meta-morfosi della traversa prefabbricata in cemento che è lacomponente di base della pavimentazione. Quest’unicoelemento, rastremandosi, affusolandosi, trasformandosiin diversi tipi di seduta e corpo illuminante, componeun sentiero mai assiale che oscilla incessante da unbordo all’altro proiettando senza soste il visitatore den-tro la città.7La stampa specialistica che si interessò al parco parigi-no alla sua apertura8 si attarda faticosamente a giustifi-care la scelta di mantenere il viadotto e non demolirlo,prassi più comune all’epoca.9 Il riuso appare in tal casouna scelta di circostanza, che non ambisce a indurremutamenti di ordine più generale, e non viene coltoappieno nella possibilità di riqualificare il mercatoimmobiliare.10 Il contrasto con la copiosissima pubbli-cista dedicata all’High Line è saliente nella ricorrentescioltezza con cui la conversione dell’infrastruttura

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10. L’azione di rilancio del mercatodei suoli non è stata incoraggiatalungo l’intera linea, ma solo in corri-spondenza delle nuove aree edifica-bili , per esempio a Reuilly. In talcaso, inoltre i terreni furono prestoacquisiti da soggetti pubblici e hannovisto sorgere un parco residenziale aforte partecipazione municipale.

9. Cfr. BÉDARIDA M., Percorsonella psicogeografia parigina,«Lotus International», n. 97, 1998.

8. Pochi sono in realtà gli articoliche si riferiscono all’interezza deltracciato. La stampa di settore siriferisce in genere a parti dellaPromenade Plantée (spesso ilViaduc des Arts e la porzione suc-cessiva, sino alla ZAC de Reuilly).

7. Alcuni lavori precedenti dell’auto-re tracciano la storia dell’High Line,dalla sua costruzione alla fine deglianni Venti sino alla conversione inParkway; ripercorrono le fasi dell’e-laborazione del progetto, dallo studiodi fattibilità sino alle diverse tappeconcorsuali; ne valutano il ruolo sim-bolico all’incrocio fra vecchi e nuoviparadigmi, buone pratiche e consoli-damento del Real Estate Cfr.TESORIERE Z., Recuperare l’infra-struttura: L’High Line di New York,1929-2009, in «Agathón», 2010/2,dicembre 2010, Offset Studio,Palermo 2010, p. 17- 22; TESORIEREZ., L’high Line Elevated Parkway :metamorfosi di un’infrastruttura inriconversione in «Trasporti eCultura», n. 35, maggio 2013, L.Facchinelli, Cannareggio 2013, pp.76-85; TESORIERE Z., L’urbanité del’héritage industriel. La reconversiondu viaduc de l’High Line à NewYork, in «In Situ, Revue des patri-moines» (in corso di stampa).

6. È il caso della ZAC sull’area del-l’ex stazione di Reuilly, o dei lottibordanti il giardino Charles-Péguy.

Chicago), o si tratta di una linea auno o più binari che viaggiano allastessa quota del piano stradale(Natur Park Südgelände a Berlino,o, a una scala molto maggiore, laBeltLine di Atlanta.)

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newyorkese in parco pedonale si considera assunta fragli strumenti consolidati di rigenerazione urbana. Lachiarezza di intenti dell’intervento, che estetizza letracce dell’antico abbandono e non indulge nell’auto-rappresentazione dei progettisti,11 permette al parco diManhattan di caricarsi del valore simbolico della rina-scita, emblematico per la comunità che ha vissuto gliattentati dell’11 settembre 2001. L’High Line si è fattoicona di un sentimento collettivo che si identifica con inuovi paradigmi virtuosi della fine dell’accelerazione,della lentezza, dell’ecosostenibilità e del risparmioenergetico. È l’emblema di un nuovo approccio cheriesce a conciliare l’inconciliabile: l’atteggiamentoecologista e di tutela nei confronti dell’infrastrutturaobsoleta e l’incremento vertiginoso del consumo e delvalore del suolo sullo sfondo di un processo di gentrifi-cazione cominciato anni prima, e accelerato nel suocompimento dal nuovo parco.

Nuovi paesaggiA una ventina d’anni dall’esperienza parigina, durante iquali l’esempio non ha avuto riprese, la conversione inparco pedonale del viadotto obsolescente di Manhattanha di colpo moltiplicato l’ispirazione per molte succes-sive operazioni, oggi in corso. A Chicago, la riconver-sione del Bloomingdale Trail è ormai sostenuta dallamunicipalità; a Philadelphia il riuso del ReadingViaduct è un’ipotesi elaborata dall’associazione theReading Viaduct Project che attende il sostegno degliattori pubblici. Ad Atlanta, un progetto più esteso pre-vede la conversione del circuito della BeltLine, anelloferroviario dismesso che cinge la città, come strumentodi rigenerazione dell’intero territorio urbano.12 InEuropa, dal 2003 la città di Rotterdam ha avviato lariqualificazione del Central District promuovendone losviluppo residenziale e a destinazione mista a partiredal riuso del viadotto ferroviario Hofpleinlinjn. Infine,anche in Italia il recente concorso per la rigenerazionedelle aree ferroviarie relative alla Stazione Centrale diBari ha individuato il vincitore nel progetto di M.Fuksas, l’unico che converte l’intera area in parcourbano, coinvolgendo in quest’ipotesi di riuso anche ilviadotto di Corso Italia, risalente al 1914 e fra i piùantichi a essere stati realizzati in cemento armato.Più che il carattere architettonico del parco newyorche-se, è l’approccio che lo ha prodotto a diveniremodello,13 elevando a metodo generale la conversionedi questi manufatti in parchi pedonali intesi comemotori per la ripresa degli aspetti formali, economici esociali delle aree. Rispetto al momento in cui si progettò la PromenadePlantée, il contesto è cambiato non solo perché intendeil progresso come decelerazione e accorda priorità allasalvaguardia dell’ambiente. Durante lo stesso arco tem-

13. Nei casi americani, ricorreormai la costituzione di associa-zioni di cittadini che si faccianointerlocutrici e elemento di solle-citazione dei soggetti politici, rac-cogliendo i fondi e sensibilizzandola comunità alla rivendicazionedell’intervento. Esse utilizzanocome linee- guida della loro azio-ne il dossier Reclaiming the HighLine, elaborato dall’AssociazioneFriends of the High Line per lapresentazione alla municipalitàdell’istruzione della procedura edella fattibilità dell’intervento.

12. La conversione in parco urba-no anulare dei 35 km di binari cheformano la BeltLine è stata affida-ta già nel 2010 a un gruppo in cuifigura lo stesso James Corner conField Operations.

11. Il parco è opera del gruppoformato dai paesaggisti JamesCorner con Field Operations,dagli architetti Diller & Scofidio +Renfro e dall’architetto di giardiniPiet Oudolf.

Fig. 4. High Line Elevatedparkway; Belvedere lungo il fiumeHudson (in libero accesso su:http://www.thehighline.org/)

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porale, si è compiuto un processo corale di riconosci-mento dei manufatti industriali obsoleti che li ha inseri-ti in un nuovo ordine, di cui oggi sono rappresentazio-ne. In questa costruzione sociale che attribuisce senso evalore, intervengono due estensioni dei concetti dipatrimonio e paesaggio. La definizione del patrimonioindustriale, cioè, ha legittimato l’iscrizione di questeopere tecniche nel quadro della tutela e trasmissionenel tempo, attribuendo loro valore identitario e memo-riale. Quella del paesaggio industriale si coglie nelnovero delle poliformi accezioni che la nozione haassunto nel Novecento. Nel secolo che ha reso i manu-fatti prodotti dall’uomo più numerosi degli elementinaturali, la città è divenuta essa stessa paesaggio diriferimento, o meglio, espressione di numerosi e diver-si paesaggi. Sempre accompagnato da un numero cre-scente di inseparabili suffissi: urbano, metropolitano,tecnologico, industriale, infrastrutturale, il paesaggio èun deus ex machina polisemico e ibrido, capace disignificare i molti frammenti ereditati dal nostro recen-tissimo passato industriale. Se il paesaggio (senza suf-fisso alcuno) si è costruito sino all’Ottocento attraversoun doppio processo che associa alla contemplazionedello spazio la sua interpretazione tramite la trasfigura-zione che l’arte ne compie, il paesaggio contemporaneoopera in modo analogo su un intorno fatto di frammenticon cui il resto degli elementi e l’uomo devono trovaremodalità di relazione. Oggi, le rappresentazioni checoncorrono a formare questi paesaggi sono non solol’arte, la fotografia e il cinema, ma anche lo spazio vir-tuale delle simulazioni digitali e dei videogiochi.Queste opere sviluppano quanto anticipato già, peresempio, dalle composizioni e dai collage di AldoRossi, in cui l’anatomia delle ciminiere e dei gasometridomina il profilo urbano come le cattedrali avevanodominato quello delle città medievali. A cavallo del cambio di secolo, il progetto stacostruendo una sintesi fra l’obsolescenza e il suo intor-no che riattiva i cicli e sviluppa i potenziali formaliancora esprimibili dei manufatti abbandonati. Così,oggi misuriamo la distanza fra gli straniati quadri com-parativi dei coniugi Becher, che dall’inizio degli anniCinquanta hanno repertoriato il patrimonio industrialeeuropeo astraendolo dal suo contesto e pietrificandoloin un bianco e nero assoluto, e ciò che l’architetturapuò costruire evocando il paesaggio metropolitano postindustriale.

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Fig. 5. BECHER B. e H., Duisburg-Bruckhausen, 1999 Gelatin-silverprint, 50 x 60 cm © Bernd und HillaBecher/Courtesy of Schirmer/Mosel(in libero accesso su:http://www.domusweb.it/en/news/2011 / 1 1 / 2 6 / b e r n d - a nd - h i l l a -becher.html)

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Parte seconda

Le ricerche dei dottorandi (cicli XXI, XXII e XXIII)

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Il Teatro Popolare a doppia sala di Sciacca (Agrigento),progettato da Giuseppe e Alberto Samonà a partire dal1972, è un’imponente composizione di volumi elemen-tari – un tronco di cono e un tronco di piramide (le duesale) addossate ad un parallelepipedo (la torre scenica)– collocato sul bordo dell’altura di Cammordino, lungola costa est della città, all’interno dell’area termale dellacittà.Si tratta di un’opera controversa, dal lunghissimo iterprogettuale e realizzativo – quest’ultimo mai conclusosi– che, a trent’anni dall’inizio della sua costruzione, con-tinua a dividere l’opinione pubblica, tanto a livello loca-le che nazionale ed internazionale, tra chi ne riconosceil valore architettonico e ne chiede il completamento echi, al contrario, lo vede come un fuori-scala – vero eproprio “corpo estraneo” rispetto al tessuto storico dellacittà e al suo territorio – e ne auspica la demolizione. È, ancora, un’opera di grande importanza nella produ-zione dei Samonà – una delle ultime ad impegnare “sulcampo” Giuseppe – che, sebbene poco studiata,1 ponequestioni di grande interesse – sia rispetto all’edificioper ciò che concerne la sua concezione architettonica,quanto rispetto al tema generale del restauro delModerno – che concorrono all’approfondimento dellaconoscenza di due dei protagonisti dell’architettura ita-liana del XX secolo.

La concezione architettonica e urbanaL’aspetto più evidente del Teatro di Sciacca è certamen-te la sua forte connotazione formale, che ne fa un ogget-to architettonico di grande impatto visivo. Ma, ad un’osservazione più attenta, l’edificio rivela unagrande attenzione alle tre scale fondamentali del proget-to: paesaggistica, urbana, architettonica – confermandol’interesse dei Samonà per l’“unità architettura-urbani-stica”,2 che viene significativamente estesa alla dimen-sione territoriale: così, alla scala paesaggistica il teatrosi manifesta come “oggetto singolare”, chiaramentericonoscibile, che si confronta con gli elementi naturali3– il mare, la montagna, il cielo; alla scala urbana i gran-di volumi del teatro entrano in relazione più chiara congli edifici preesistenti4 – il medievale Convento S.Francesco, lo Stabilimento Termale dei primi del ‘900 –

Un monumento incompiuto. Il Teatro Popolare di Sciacca di Giuseppe e Alberto SamonàSabina Branciamore

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2. Anche se a questo proposito,Tafuri invita a verificare l’effettivapermanenza di questo tema, «legatoalle condizioni del dibattito deglianni cinquanta», nella ricerca archi-tettonica dell’ultimo Samonà. Cfr.TAFURI M., Storia dell’architetturaitaliana 1944-1985, Torino 1986,pp. 143-145 (p. 143).

1. Sorprendentemente non esistonostudi monografici sull’opera, se siesclude l’articolo pubblicato su«Casabella» nel 1982, quando se neriteneva imminente il completamen-to e l’apertura al pubblico. Cfr.Giuseppe Samonà , AlbertoSamonà. Il teatro a doppia sala diSciacca, in «Casabella», n. 480,maggio 1982, pp. 48-61.

Fig. 1. Vista del Teatro dal mare.

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e con i viali del Parco delle Terme, i cui tracciati sonoimpiegati per definire alcuni orientamenti fondamentalidell’edificio; infine, alla scala architettonica la rigiditàdello schema compositivo tripartito è risolta attraversolievi scostamenti dei volumi generati dalle reciprochecompenetrazioni, come dei “giunti” che sottolineano larelativa autonomia delle parti.Ciascuna delle scale del progetto – in sé ed in relazionealle altre – offre significativi spunti di indagine e rifles-sione; in particolare, la questione della posizione restauno dei nodi cruciali dell’opera: una serie di “movimen-ti minimi” che si concludono nel progetto esecutivo delteatro del 1975 con una scelta apparentemente incom-prensibile, quella di ruotare l’edificio ponendolo sulbordo della strada con l’ingresso rivolto verso di essa;una scelta che, come vedremo, trova spiegazione allaluce delle scelte di pianificazione urbana compiute daglistessi Samonà e fornisce al contempo un indirizzo per ilsuo restauro.

Temi e questioni progettuali per il restauroL’anticipata condizione di rudere a cui il Teatro è per-venuto, a causa della sua incompiutezza, senza esseremai stato edificio a pieno titolo, ha certamente costituitouno degli spunti che hanno determinato l’avvio di que-sta ricerca.Ma l’approfondimento della conoscenza dei documentiha sempre con più forza messo in rilievo l’importanzadel ruolo giocato dalle condizioni contestuali nel deter-minare l’attuale, apparente, “estraneità” dell’edificiorispetto all’intorno urbano – l’esatto opposto di quantopensato e ostinatamente perseguito dai Samonà sino allafine. Il Teatro, infatti, nasce nell’ambito della pianificazioneper l’area termale di Sciacca, nella quale i Samonà sonocoinvolti a partire dal 1972 con la Proposta per l’am-pliamento delle aree termali di Sciacca,5 a cui segue nel1973 la redazione del nuovo Piano regolatore partico-lareggiato dell’area di Cammordino.6 Tale piano, checostituisce una esemplificazione del più generale Pianoparticolareggiato della zona termale di Sciacca,7 com-pletato nel 1975 dagli stessi Samonà, definisce due temiche orienteranno i successivi sviluppi progettuali: - il teatro è un “edificio libero” - un oggetto architetto-

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4. «[Il teatro] si pone anche in relazio-ne con gli edifici esistenti di contornoe con quelli previsti nel Piano partico-lareggiato; in particolare si collega conl’ex Convento S. Francesco […]».SAMONÀ G., SAMONÀ A., DI FALCEM., Teatro popolare a doppia sala per1210 spettatori. Sciacca – zona diCammordino. Relazione generale,Roma 1975, p. 2.

5. SAMONÀ G. e A., Sciacca ‘72.Preliminare area attuali terme,15.09.1972, in IUAV, ArchivioProgetti, Samonà 1.pro/1/060/1..

6. SAMONÀ G. e A., Piano regolato-re particolareggiato dell’area diCammordino, 10.06.1973, inIUAV, Archivio Progetti,Samonà1.pro/1/60/3.

7. SAMONÀG. e A., Piano particolareg-giato della zona termale di Sciacca,23.05.1975, in IUAV, ArchivioProgetti, Samonà1.pro/1/60/4.

3. «L’obiettivo è quello di assimi-lare l’edificio alla natura intorno,sul promontorio ove sorge».Alberto Samona, Alberto Samonà.10 anni di professione , Roma1992, p. 40.

Fig. 2. Vista del Teatro dalla StradaStatale Orientale Sicula

Fig. 3. Vista del Teatro nel contestodel Parco delle Terme. A destra ilConvento S. Francesco

Fig. 4. Vista del Teatro dalla VillaComunale

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nico autonomo, indipendente dalla logica dell’isolatourbano e dell’allineamento stradale – ma evidentementepensato per agire come una sorta di “elemento primarioretroattivo” per l’area di Cammordino, in grado di ride-finirne le relazioni tra gli elementi costitutivi;- il parco delle Terme nell’area di Cammordino è unaparte di un più ampio parco che si sviluppa senza solu-zione di continuità alla scala urbana e territoriale.La mancata realizzazione del piano nei suoi aspettiessenziali – in particolare quello viabilistico, risolto conuna strada interrata che accogliendo il traffico automo-bilistico avrebbe consentito la sostanziale pedonalizza-zione della passeggiata lungo il bordo dell’altura diCammordino – rende evidente come la principale causadel degrado del teatro risieda fondamentalmente nell’in-compiutezza del piano, molto più che in quella dell’edi-ficio stesso.Le acquisizioni documentarie relative alla questionedella posizione dell’edificio nelle diverse versioni diprogetto hanno chiarito i rapporti tra il Teatro, il Parcodelle Terme e la Villa Comunale di Sciacca. In partico-lare è emerso come la scelta di ruotare il teatro di 90°,possa, nel contesto delle previsioni del piano del 1973,essere vista come il tentativo di saldare, attraverso l’edi-

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Fig. 5. Il Teatro. Ridisegno dellostato di fatto: pianta alla quota delfoyer e sezioni

Fig. 6. SAMONÀ G. e A., PianoParticolareggiato dell’area diCammordino, 1973. Planimetriagenerale. Il Teatro presenta l’ingres-so principale rivolto verso l’internodel parco delle Terme

Fig. 7. SAMONÀ G. e A., PianoParticolareggiato dell’area diCammordino, 1973, Modello

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ficio, la relazione tra il parco e la villa – cioè tra l’areatermale e la città. Tale scelta, assumendo come dato larealizzazione della strada interrata, rivolgeva infatti l’in-

gresso del teatro verso la villa, su quella che sarebbedovuta diventare una strada pedonale. Ciò avrebberafforzato il carattere urbano dell’edificio senza com-prometterne la sua “oggettualità”: anzi, quest’ultimasarebbe stata esaltata dalla rotazione, consentendo lapercezione a distanza dei diversi volumi che lo costitui-scono.In quest’ottica, si è interpretato il progetto di restaurodel Teatro non tanto come un lavoro sull’oggetto archi-tettonico, quanto come un ragionamento sulle sue “con-dizioni al contorno” finalizzato a ri-posizionare l’edifi-cio, restituendogli condizioni contestuali compatibilicon quelle per le quali era stato pensato.Per far ciò si è approfondito lo studio delle trasforma-zioni degli spazi esterni che, a partire dal 1987, hannointeressato l’altura di Cammordino a seguito dei con-

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Fig. 9. Stato di fatto. Planimetriagenerale

Fig. 10 Progetto. Planimetria generale

Fig. 8. SAMONÀ G. e A., Teatro popo-lare a doppia sala per 1210 spettato-ri. Sciacca – zona di Cammordino.Veduta generale, 1.1.1975 (progettoesecutivo). Il Teatro assume qui lasua posizione definitiva, con l’ingres-so rivolto verso la strada

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temporanei progetti di Alberto Samonà per gli ingressial Teatro8 e di Alessandro Tagliolini – il noto scultore epaesaggista toscano – per la sistemazione del Parcodelle Terme.9L’indagine progettuale individua i punti di conflittualità trai due interventi e con il teatro, proponendo un interventoper sottrazione volto a restituire al teatro la sua centralità.

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Fig. 12a. Trasposizioni sullo stato difatto del progetto di A. Samonà pergli ingressi al Teatro, 1987-91Fig. 12b. Trasposizione sullo stato difatto del progetto di A. Tagliolini peril Parco delle Terme, 1988-93Fig. 12c. Trasposizioni sullo stato difatto del progetto di A. Samonà pergli ingressi al Teatro, 1987-91 e deiprogetti di A. Tagliolini per il Parcodelle Terme, 1988-93 e 1997-2000

8. SAMONÀ A., Progetto esecutivo perla sistemazione degli ingressi all’areatermale regionale di Cammordino,16.10.1987, in IUAV, ArchivioProgetti, Samonà1.pro/1/096.

Fig. 11. Assonometria di progetto:riportante la strada attualmente adia-cente al teatro e la strada di progetto

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Più delicata è stata la ridefinizione dello spazio di perti-nenza del Teatro: la vicinanza della strada carrabile – ilviale delle Terme – all’ingresso rende infatti del tuttoinadeguata la situazione attuale, per la quale gli oltre1000 spettatori dovrebbero entrare ed uscire dall’edifi-cio attraverso uno stretto marciapiede. Il questo caso laproposta progettuale prevede lo scostamento di circa 10mt a valle del tratto del viale delle Terme che fiancheg-gia il Teatro, pedonalizzando lo spazio così ricavato,che viene a disporsi in continuità con la strada che fian-cheggia la Villa Comunale, anch’essa pedonalizzata.In questo modo il progetto di restauro, riallacciandosialla storia interrotta del piano di Cammordino, aspira arestituire al Teatro le sue ragioni più profonde dal puntodi vista architettonico e urbano, ponendo i presuppostinecessari affinché il suo completamento non ne conser-vi, paradossalmente, il carattere di monumento incom-piuto.

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Fig. 13. Veduta prospettica dellasoluzione progettuale degli spaziantistanti il teatro

9. Cfr. ONETO G., TAGLIOLINI A., in«Ville e Giardini», n. 376, pp. 96-98;TAGLIOLINI A., Ricordi di un luogo e diun’idea, in GUIBBERT J.P., TAGLIOLINIA., D’ANIELLO A., AlessandroTagliolini. Opere dal 1973 al 1993,Sciacca 1993, p. 17; TAGLIOLINI A.,Parco delle Terme a Sciacca,Agrigento, in CAZZANI A. (a cura di),Architettura del verde. L’esperienzapaesaggistica, Milano 1994, p. 69.

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Sul bordo della costa adriatica, tra i fiumi Conca eVentena, una strada litoranea corre parallela alla lineaferrata e congiunge i centri costieri romagnoli, sullosfondo la corona dei monti retrostanti; è qui che i volu-mi della ex colonia marina “XXVIII ottobre” per i figlidegli italiani all’estero si dispongono quali elementidescrittivi del paesaggio a terminale del litorale nordovest della città di Cattolica verso Misano Adriatica. Il complesso della colonia, progettato da ClementeBusiri Vici1 a partire dal 1932, inaugurato nel 1934,ampliato nel ‘35 e successivamente pesantemente modi-ficato (con la demolizione di cinque dei suoi corpi edifi-cati) ha subito, nel tempo, diversi cambi di destinazioned’uso2 che lo hanno condotto fino alla sua sorprendenteconversione in acquario, avvenuta nel 1999.

Lo studio dei documenti d’archivio,3 l’analisi, la valuta-zione critica e il lavoro di progetto, hanno consentito diampliare lo sguardo sull’architettura delle colonie divacanza, immenso patrimonio dimenticato che ha costi-tuito un interessante laboratorio di sperimentazione perle idee architettoniche del Moderno italiano. Si tratta diun patrimonio che ha contribuito alla costruzione delpaesaggio costiero e che necessita oggi di esser valoriz-zato e recuperato come sistema complessivo. L’azionedi recupero delle colonie dislocate sulla costa e dei lorospazi attigui, potrebbe proporli come capisaldi di un

La colonia “XXVIII ottobre” per ifigli degli italiani all’estero aCattolica, di Clemente Busiri ViciMonica Gentile

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3. Costituiscono tappe fondamentalidella ricerca: l’indagine sui docu-menti d’archivio relativi all’opera(disegni, foto di cantiere e di vitadella colonia e varia documentazio-ne) selezionati, ridisegnati o trascrit-ti; la ricostruzione del processo direalizzazione; il rilievo dello statoattuale del complesso e le immaginiad esso relative; il confronto tra lasituazione originaria e quella attuale,modificata da demolizioni e trasfor-

2. Per una ricostruzione delle vicissi-tudini attraversate dal complessodella colonia si rimanda a GENTILEM., Il restauro del moderno. La colo-nia XXVIII…, op. cit., pp. 172-182.

1. Clemente Busiri Vici, architettoingegnere, nato a Roma nel 1887,appartenente ad una famiglia di illu-stri architetti. Per maggiori notizie inmerito alla sua opera e agli archiviche lo riguardano si rimanda a:GENTILE M., Il restauro del moderno.La colonia XXVIII ottobre per i Figlidegli Italiani all’estero a Cattolica,di Clemene Busiri Vici, Tesi di dotto-rato in Progettazione Architettonica,sede ammin. Univ. di Palermo, rel.prof. arch. E. Palazzotto, ciclo XXIII,a.a.2010/201I, pp. 101-124.

Fig. 1. Il primo nucleo della colonia-di Cattolica, 1934. (ArchivioFamiglia Clemente Busiri Vici,Roma -ACBV R)

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sistema di spazi a “rete”, come “nodi” di un sistema ingrado di trainare la riqualificazione di parti urbane e ter-ritoriali ben più ampie.

La scelta di occuparsi di questa colonia come oggetto diricerca si è mostrata ricca di interesse, sia per le caratte-ristiche formali dell’opera (dalla particolare conforma-zione architettonica) sia per le particolari vicende daessa vissute, sia per le implicite potenzialità nel suscita-re un recupero significativo e di ampio respiro. Si trattadi un’opera cui va riconosciuto un carattere di alta com-plessità, legato alla sua qualità di “documento” e“monumento”, e che si presenta come uno dei tanti casiproblematici, ricorrenti nel destino delle architetture delModerno. Attraverso il progetto di architettura, si èquindi riflettuto sul dibattito attuale nel campo delrestauro dell’architettura moderna, seguendo un approc-cio metodologico che ha un suo preciso spazio di movi-mento all’interno delle differenti posizioni sul ricono-scimento di valore e sulla tutela. Attraverso lo studio di situazioni complesse come que-sta di Cattolica, si affronta una riflessione generale, nontanto sulla “conservazione”, quanto sull’opportunità cheun progetto di restauro si sviluppi in continuità con unpassato più o meno recente, tentando di superare ladistanza tra conservazione e progettazione. Le diver-

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mazioni relative sia al contesto urba-no che a quello dello spazio architet-tonico interno; l’individuazione deiprincipi costitutivi dell’opera; ladefinizione degli elaborati relativialle varie ipotesi del progetto direstauro, nelle diverse fasi attraver-sate e nella stesura finale.

Fig. 5 Raccordo con il suolo dei dormi-tori nell’estremità verso mare (ACBV R)

Fig. 4. Vista dall’alto dell’edificio cen-trale nella successione dei volumi chelo compongono e dei due dei dormitoriverso mare oggi superstiti (ACBV R)

Fig. 3. Raccordo con il suolo escala d’accesso al secondo livellodei dormitori nell’estremità versomonte (ACBV CPC)

Fig. 2. L’edificio centrale del refettorio(Archivio Clemente Busiri Vici, CentroPolivalente Cattolica -ACBV CPC)

Fig. 6. Lo spazio interno del dormitoriorivela la corrispondenza tra forma strut-tura e funzione (Foto Da Rugna C.)

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genze sulle modalità di riconoscimento e di successivointervento riconducono ai necessari rapporti tra diversiambiti disciplinari: della storia, del restauro e della pro-gettazione architettonica. L’approccio all’interpretazio-ne critica dell’edificio in questione, ponendosi al di làdelle implicazioni relative alle differenziazioni discipli-nari, prova a superarne le distanze, sostenendo la valen-za del progetto di restauro quale “progetto architettoni-co tout court”, attraverso cui si conferma il riconosci-mento di valore dell’opera.Il progetto, condotto nella duplice valenza di “oggetto”e di “strumento” della ricerca, non si pone quale deter-ministico suo esito finale, ma come “sonda” attraversocui conoscere l’opera, interpretarla, conservarla, modifi-carla, a partire dall’individuazione dei principi architet-tonici costitutivi.

La ricerca progettuale,4 a partire dallo studio dei docu-menti d’archivio, prendendo come elementi di riferi-mento il disegno, la matrice compositiva originaria e iprincipi costitutivi, propone una ri-lettura e una ri-attua-lizzazione, attraverso l’operazione del re-instaurare (dicui l’operazione del processo progettuale rappresenta lasperimentazione e la verifica) e, considerate le perditesubite (con la mutilazione del disegno compositivo ori-ginario e le trasformazioni dell’acquario), lavora su una

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4. Il progetto assume il ruolo di“misurare” e mettere a sistema lediverse componenti che punteg-giano l’area e che coinvolgono iltema in questione.

Fig. 9. La colonia con l’ampliamentodel 1934 (ACBV CPC)

Fig. 7. La “capacità di prenderforma” del calcestruzzo, all’internodei volumi della colonia, trova lamassima espressione (ACBV CP C)

Fig. 11. Il complesso dell’ex-colonia,con la demolizione di cinque volumi ela presenza dell’albergo al suo interno

Fig. 8 Spazio interno originario deldormitorio. Il letto rappresenta ladimensione base su cui è modulata lastruttura (ACBV CP C)

Fig. 10. Il nucleo centrale del refetto-rio oggi con l’intervento dell’acqua-rio è stato chiuso per inserire unavasca all’interno della doppia altezza

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doppia scala d’intervento: quella urbana5 e quella dellariqualificazione del manufatto e del suo spazio interno.Restaurare o reimpostare le connessioni tra complesso ecittà, vuol dire ristabilire un nuovo perimetro di gravita-zione per la colonia, ripensandone i margini, gli attra-versamenti, i percorsi e cercando nuove relazioni congli edifici vicini, modificando i rapporti di scala, epreoccupandosi di “mettere a registro” le principali pro-

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Fig. 13. Schizzi di studio per lo spa-zio interno del dormitorio. In alto lasituazione odierna dell’acquario: untunnel chiuso anche superiormenteoccupa la parte centrale dello spazio,la doppia altezza non è assolutamen-te visibile, le aperture sono oscurateda pannelli fissi. In basso lo spaziocon l’intervento di rimozione del tun-nel, la quota interna di calpestioriportata a quella esterna

Fig. 15. Sezione trasversale sull’assecompositivo del complesso sullo spa-zio antistante il mare. Proposta pro-gettuale per un nuovo fronte a mare

Fig. 14. Planimetria di progetto aquota -4.70. Sono campiti gli spaziscavati previsti a cielo aperto

Fig. 12. L’intervento sull’interno degli edi-fici. Planimetria e sezione longitudinale

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blematiche sopraggiunte, tra cui emergono la nuovaingombrante presenza dell’albergo (sorto sull’area dellacolonia in seguito alle demolizioni) e il predetto inter-vento devastante dell’acquario, ricavato in gran parte aldi sotto dello spazio esterno della “piazza”, scavandotra gli edifici originari ma anche all’interno degli stessi.Con l’obiettivo di restituire una logica spaziale coerentesia allo spazio interno,6 sia a quello esterno,7 le opera-zioni condotte sono state indirizzate verso le seguentidirezioni principali: - individuazione di un nuovo perimetro d’intervento, - reinvenzione di un contesto, quale nuova area di gravi-tazione della colonia,8- intervento conservativo e di ripristino parziale sul testoarchitettonico degli edifici, sviluppato nel dialogo con il pro-getto del nuovo e con l’eliminazione degli interventi relativiall’acquario, ripensando questi spazi in funzione dell’indivi-duazione di un nuovo uso compatibile e significativo.9

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6. All’interno, attraverso la dismis-sione dell’intervento dell’acquario(che con il suo tunnel d’acqua, posi-zionato invadendo e saturando glispazi a doppia altezza dei dormitori,ne ha stravolto le qualità spaziali) eil ripensamento degli spazi scavatiin relazione ai nuovi elementi diprogetto e al nuovo uso proposto, siinstaurano connessioni inedite tragli edifici esistenti e la quota ipogea.

7. All’esterno, ponendo in relazionele differenze altimetriche tra gli edi-fici originari, l’attuale ingresso e ipercorsi, si prova a restituire chia-rezza e facilità di lettura ai principispaziali e strutturali originari.

5. Necessaria per ridefinire relazionie connessioni tra edifici della coloniae contesto, nella sua perimetrazioneattuale. Il legame tra colonia e città,oggi quasi del tutto scomparso, cosìcome la volontà della città di ricerca-re nella colonia un riferimento, un“segno” che la reinterpreti, può attra-verso il progetto essere elaborato inmodo da instaurare un’adeguata“gerarchia” tra gli oggetti e instaura-re possibili relazioni territoriali, con-sentendo al complesso di costituirsipolo di attrazione, in grado di confe-rire nuova chiave di lettura all’interaarea.

Fig. 16. Vista odierna dello spazioantistante il fiume Conca

Figg. 18 a-b. Modello e studio delfronte verso il mare

Fig. 17. L’edificio dell’albergo, l’in-gresso scavato dell’acquario, e ilfronte dell’edificio principale dellacolonia. Tre elementi del tutto estra-nei l’un l’altro posti a contatto

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Il progetto è stato pensato nei termini di differenza, diunità e di continuità, nel rispetto della qualità architetto-nica del manufatto originario. Per far sì che gli ambitidel progetto siano percepibili come “sistema”, elimi-nando l’attuale condizione di frammentazione e riquali-ficando la singola parte in un “tutto”, ci si è riferiti aleggi esplicite che trovano espressione nella ripetizionedel loro ri-manifestarsi.

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Fig. 19. Planimetria generale delprogetto finale

Fig. 20. Sezione trasversale lungol’asse compositivo del complessosullo spazio centrale. Proposta pro-gettuale per l’ingresso e per il nuovofronte dell’albergo

9. Mantenendo la “vocazione” natu-rale di una destinazione rivolta airagazzi si è pensato di proporre unnuovo uso compatibile. In conside-razione della riconosciuta importan-za delle sue potenzialità, dal puntodi vista del posizionamento urbano(quale snodo tra parco-città e mare),delle potenzialità spaziali ricono-sciute ai suoi spazi di aggregazione(sia interni che esterni), si è ritenutoche il nuovo uso potesse essere indi-viduato in un Centro di sperimenta-zione cinematografica: una “scuola”per ragazzi, con laboratori, spaziespositivi ma anche sale cinemato-grafiche a servizio della città e ampispazi esterni per la proiezione.

8. Il progetto opera su due quote dif-ferenti: una che sviluppandosi sulpiano urbano cerca di tracciare lerelazioni tra i vari elementi del con-testo; l’altra che, sotto il suolo,riguarda la ri-lettura e la ri-configu-razione degli spazi scavati per l’ac-quario, e la riconnessione con il per-corso posto sotto gli edifici esistentiverso mare, all’interno di una com-posizione planimetrica generale cheassume tale spazio come elementodi riferimento “contra punctus”.

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Nell’ambito del tema generale proposto ai dottorandidel XXI ciclo, “Il restauro del Moderno”, la ricerca hasviluppato uno studio sulla sede della Federazione deiConsorzi Agrari a Catania, indagando un episodio, ori-ginale, fin qui poco noto, del Moderno Siciliano checostituisce una preziosa testimonianza della ricercarazionalista di Francesco Fiducia che, nel 1938, operavala riforma di un nucleo industriale precedente, per tra-sformarlo nel Cotonificio di Catania. Sul manufatto deiConsorzi Agrari, non si avevano notizie certe: l’edificioè conosciuto solamente come sede della Federconsorzi;e molti ne hanno assecondato la proposta di demolizio-ne, confutando la autografia del Fiducia e la matricerazionalista del progetto, annoverando l’involucro pro-duttivo dismesso tra gli edifici dell’edilizia “anonima”degli anni cinquanta a Catania. Ma la ricerca ha permes-so di spostare indietro la lancetta del tempo fino ai bom-bardamenti della seconda guerra mondiale che il 16aprile del 1942 hanno squarciato l’edificio dellaFederconsorzi, restituendoci quella immagine di rudere,immutato da allora ad oggi: «con le ossa scoperte, asso-miglia al Mulino Santa Lucia, ad esso vicino e accomu-nato nella stessa drammatica vicenda di una impresaindustriale spazzata via lasciando abbandonati i ruderidi un’archeologia che, a quanto pare, a nessuno interes-sa conservare».1Lo studio ha proposto, a fronte della prevista demolizio-ne di questo importante complesso edilizio, la “compati-bilità” di una operazione di riuso del moderno cotonifi-cio, il cui stato di rudere è però riuscito a «sublimarsi inmagnifica rovina». Nel Cotonificio, infatti, assistiamo auna condizione insolita per il Moderno: «i ma-teriali delModerno, in genere, sono prodotti dall’artificio dellaindustria e - a differenza dei materiali naturali- non porta-no inscritto nel loro codice “genetico” il ritorno a unostato di natura; perché la costruzione moderna è unamachine-à-habiter che, quando sia preda dell’incuria, ècondannata come tutte le macchine a trasformarsi in sur-reale “carcassa”».2 Ma il rudere ad angolo tra la viaCristoforo Colombo e la via Aretusa, nonostante la scom-parsa di ogni rivestimento superficiale, mantiene una pre-cisa unità formale mettendo in luce l’organismo architet-tonico che svela la logica costruttiva dell’oggetto.

La sede della Federazione deiConsorzi Agrari a Catania diFrancesco Fiducia, 1938Vincenzo Simanella

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1. ROCCA A., L’arte del ventennioa Catania (il Déco, il ‘900, ilRazionale), Magma - La Terra delSole, Catania 1988, p. 97

2. ARCIDIACONO G., Il restauro delmoderno e il caso-studio Fiera diMessina, in PALAZZOTTO E. (a curadi), Il progetto nel restauro delmoderno (Attività svolta nell’am-bito del Dottorato di Ricerca inProgettazione Architettonica),L’Epos, Palermo 2007, pp. 23-24

Fig. 1. Vista Aerea dell’area delporto di Catania con la sequenza,delle fabbriche dismesse: dal basso ilcotonificio di F. Fiducia(1); il gazo-metro(2); l’ex macello(3); l’ex muli-no di Santa Lucia(4).

Fig. 2. Le ciminiere degli opifici difine Ottocento sul waterfront diCatania, immagine tratta da:MICCICHÈ E., DI FRANCO LINO N.,Catania allo specchio, EdizioniGreco, Catania 1992.

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Ecco comparire un timpano che giustifica il sistema dicopertura a capriate lignee della grande sala del deposi-to del seme; è svelato l’opus incertum della tradizionelocale che “collaborando” con il sistema intelaiato negaquel «carattere contraddittorio e impreciso che derivadall’accostamento delle differenti logiche di struttura etamponamento»3 tipiche dell’edificio moderno. L’edificio di Fiducia è così progetto di una “scrittura”moderna sovrapposta a un “testo” di architettura prece-dente, che la guerra ha riportato in luce. Nell’azione diconservazione e riuso del Cotonificio di Catania il pro-getto di architettura ha tenuto conto della compresenzadelle istanze storiche ed estetiche di un tempo per farledialogare con il progetto del nuovo. Il progetto di archi-tettura cioè, con le sue trasformazioni innovative e nelconfronto con la preesistenza, ha da sempre sollecitatoil rapporto dialettico tra antico e nuovo in cui il secondo«costituisce un’interpretazione, avanzamento rispetto alpreesistente».4 Il progetto di restauro del Cotonificio siè fatto carico delle istanze in cui il momento conservati-vo e innovativo avrebbero composto il progetto diarchitettura «nella consapevolezza che solo l’occasionepratica possa sciogliere il nodo della dialettica in que-

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4. AJROLDI C., Classicità e innova-zione, in AJROLDI C., APRILE M. (acura di), Innovazione inArchitettura, Caracol, Palermo2008, p.12

3. ARCIDIACONO G., Op. Cit., p.24

Fig. 3. L’isolato della Federazionedei Consorzi agrari a Catania sullaVia Cristoforo Colombo.

Fig. 4. Prospetto di come si presenta-no oggi i fronti del rudere del cotoni-ficio tra la Via Cristoforo Colombo ela Via Aretusa.

Fig. 5. Prospetto di come si presenta-va il fronte del cotonificio tra la viaCristoforo Colombo e la via Aretusanel 1938, tratta da PERDISA L.,Coltivazione Sgranatura eClassificazione del Cotone, (a curadella Federazione Nazionale deiConsorzi provinciali fra i Produttoridell’agricoltura), Roma anno XVII.

Fig. 6. CATTANEO C., Casa dello stu-dente di Roma del 1934; s’individuadistintamente la torre delle residenzeuniversitarie dal corpo basso dei servi-zi aperti al quartiere. In Italia la casadello studente ha sempre avuto questafunzione di elemento di riferimento, peril risanamento di quartieri da un puntodi vista sia urbano sia sociale.

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stione».5 Gregotti, parlando del Moderno come «luogodel riconoscimento della discontinuità della storia einsieme luogo di una rifondazione concettuale», indivi-dua i valori del suo restauro nell’attimo in cui «l’instau-razione di una modernità si porge come materiale por-tante della creatività e proposta di nuovi fondamenti».6Comprendere lo spirito del Moderno significa accettare,rivendicare la necessità del nuovo, diffidando di un“sacro” rispetto del manufatto che comporta il para-dosso di trovare nel Moderno valori ad esso estranei.Nel progetto del restauro del Cotonificio di Catania laricerca ha dimostrato come il recinto industriale deiConsorzi Agrari di Catania sia il risultato di diversescritture urbane che hanno trovato il loro momento disintesi nel progetto razionalista del 1938 e per questo nepropone il restauro attraverso riconoscibili tipologied’intervento che confermino il processo storico di“scrittura di scritture”, che si succedono come un’ulte-riore scrittura sul testo del Fiducia, inteso non come un

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6. GREGOTTI V., Moderno e nonmoderno, in « Casabella», luglio-agosto 1985, n. 515, p. 31

5. PRESCIA R., Il tema della rifun-zionalizzazione nella dialetticaantico-nuovo, in Ferlenga A.,Vassallo E., Schellini F., Antico enuovo, Architettura e architetture,IL POLIGRAFO, Venezia, 2007,volume 1, p. 987

Fig. 9. Sezione di progetto trasversa-le nord-sud: sulla sinistra la mensa;il corpo basso della biblioteca e delleaule didattiche; la torre delle resi-denze; infine, sulla destra il giardinodella memoria, ricavato all’internodel rudere del recinto murario.

Fig. 8. Planivolumetrico del progettodi trasformazione del Cotonificionella nuova casa dello studente aCatania: (1) piazza d’ingresso; (2)biblioteca e aule didattiche; (3) uffi-ci; (4) mensa; (5) piazza delle resi-denze; (6) torre alloggi; (7) giardinodella memoria.

Fig. 7. Vista assonometrica del pro-getto della casa dello studente dallaVia Cristoforo Colombo.

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“monumento” in assoluto per la città di Catania ma un“rudere” che ha mantenuto la capacità di “monere”, chesi offre come un palinsesto urbano. Il complesso diFiducia costituisce, cioè, un eredità materiale7 che vor-remmo contribuire a fare apprezzare nella sua unicità ediversità, attraverso il progetto di architettura che nonfaccia tabula rasa della memoria perduta. Il complessodi Fiducia, si presenta come un “frammento” lì dove lapietra si è fatta rudere, e come “permanenza” lì dove èancora integra la composizione volumetrica. Dalla per-manenza la storia trae energia, mentre le assenze sonocolmate dalla memoria. Il progetto si fa carico di questacondizione ambivalente: «testimonianza di qualcosa chein passato esisteva e prosperava, ma anche […] di qual-cosa che vive nel presente»,8 mediando col restauro, illuogo-permanenza con il non luogo-frammento. Il riconoscimento dei valori dell’opera di Fiducia, laconoscenza del suo stato attuale, in rapporto alla cittàche lo ingloba e che chiede di farlo partecipe delle suedinamiche urbane ha rappresentato il “corpo indiziario”su cui si sono indagate le ragioni del progetto di restau-ro. La presenza a Catania di un’Università dotata delleprincipali Facoltà, costituisce un elemento per lo svi-luppo della città e stimato il valore dell’opera architetto-nica, si è ritenuto di assegnarle una nuova destinazioned’uso ad essa compatibile in uno con le attrezzaturericettive e dei servizi richiesti dal nuovo assetto previstoper i quartieri “marginali” dell’area portuale: la nuovacasa dello studente per Catania.La proposta di rifunzionalizzazione scongiura la demo-lizione di un palinsesto di memorie urbane e definisceuna metodologia utile alle operazioni del suo recupero.Il progetto di architettura della nuova Casa delloStudente ha riproposto la logica insediativa che hacaratterizzato questa porzione della città:un tessuto informazione per sovrapposizione di differenti segni urba-ni. Questa volontà si è esplicitata nella scelta degli ele-menti di progetto che ci permette di riconoscere le stra-tificazioni presenti: gli edifici residenziali ottocenteschi;l’opificio con la sua qualità materica di lava e mattoni; ibianchi edifici razionalisti di Fiducia; i nuovi interventiin cemento armato e corten, continuando, cioè, asovrapporre la scrittura del nostro progetto alla preesi-stente, attenti a non cancellarne la memoria. La stratifi-cazione urbana dei nuovi elementi architettonici è unascelta di responsabilità che si è voluto indagare, attra-verso l’uso della disciplina del progetto inteso comestrumento di indagine ancor prima di essere strumentooperativo.

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7. DEZZI BARDESCHI M., MISERIA

DELLE RICOSTRUZIONI, in «ANANKE»n. 17-18, marzo-giugno 1997

8. AURELI P.V., BIRAGHI M.,PURINI F., Peter Eisenman, tutte leopere, Electa, Milano 2007; p. 104

Fig. 11. Esploso assonometrico delprogetto della casa dello studente

Fig. 10. Esploso assonometrico delCotonificio di Fiducia

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Il tema di studio1 è individuato all’interno delle città difondazione appartenenti al XX secolo la cui ricostruzio-ne risulta legata alle istanze riconducibiliall’Architettura Moderna. La città che all’interno di queste tematiche si è offertacome campo di ricerca è Messina, ricostruita a seguitodel terremoto del 1908 e, in un successivo momento, aseguito dei bombardamenti dell’ultimo conflitto mon-diale.2

La ricerca ha studiato la fondazione e trasformazionedegli assetti della città dalla ricostruzione post terremo-to fino ai nostri giorni ed ha individuato come campo diapplicazione il sistema di Piazza Castronovo. Nel tentativo di verificare i margini di azione e d’inter-pretazione del progetto del restauro del Moderno, laricerca si è concentrata su un nodo urbano significativodella città, dove il rapporto dei tracciati e le relazioni fraspazi pubblici e privati stabiliscono gerarchie che sipongono come eccezioni all’interno del Piano della cittàil cui impianto è ordinato dalla misura e dalla formadell’isolato. Il sistema di Piazza Castronovo si offrecome campo di verifica delle questioni urbane che tro-vano supporto nell’architettura degli edifici che la defi-niscono.3Il progetto di questi viene attribuito all’architettoFilippo Rovigo (1909-1984), di cui è stata studiata laproduzione architettonica legata alle istanze delMovimento Moderno nel territorio messinese.4 Questearchitetture costituiscono un interessante campo di lavo-ro di un architetto che, attraverso il progetto di architet-

Il sistema di piazza Castronovo aMessinaGiuseppina Farina

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3. Si individua come ambito distudio l’area definita dall’insiemedei tracciati viari che circondanola piazza e l’insieme dei quattroisolati (Is. 494, Is. 495, Is. 505 b,Is. 506) che la delimitano.

2. Per le notizie sulla formazioneed elaborazione del Piano ad operadell’ingegnere Luigi Borzì sirimanda alla pubblicazione dellaricerca effettuata su questo temadal dottorato di storiadell’Università di Architettura diPalermo e pubblicate in:MERCADANTE R., MESSINA DOPO IL

TERREMOTO DEL 1908: LA RICO-STRUZIONE DAL PIANO BORZÌ AGLIINTERVENTI FASCISTI, Caracol,Palermo 2009.

1. La ricerca “Il sistema di PiazzaCastronovo a Messina”, svoltanell’ambito del XII ciclo delDottorato di Ricerca inProgettazione Architettonicadell’Università di Palermo, haavuto come tutor il Prof. Arch.Vincenzo Melluso (Universitàdegli studi di Palermo) e comecotutor il Prof. Arch. LudovicoFusco (Università Federico II diNapoli).

Fig. 1. Messina. Planimetria genera-le della città con individuazione del-l’area di studio

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tura, ha saputo interpretare i caratteri specifici di unacittà e del suo territorio.5La complessità di queste questioni viene raccolta dallaricerca come calibro fondamentale del progetto che per-segue alcuni fondamentali obiettivi: la riconfigurazioneurbana del nodo, legata alla progettazione dei percorsipedonali e carrabili; il nuovo progetto della piazza e lasua completa pedonalizzazione; la sistemazione delgiardino; il riassetto delle unità abitative con il conse-guente restauro degli edifici prospicienti la piazza e lariconfigurazione tipologica e formale degli edifici edegli assetti interni degli isolati.La riflessione progettuale si propone di collegare lariconfigurazione di Piazza Castronovo all’interpretazio-ne delle regole che hanno governato la formazione etrasformazione della città utilizzando la storia comeantecedente logico su cui lavorare6 e come sedimenta-zione critica di un processo di conoscenza in cui con-corrono una pluralità di attori, culture ed istanze cherichiede un finale sviluppo sintetico in grado di tradurreil processo in una soluzione di ragionevole equilibrio. Ilprogetto riconfigura quindi i rapporti fra gli edifici,testo, e lo spazio urbano di sua relazione, contesto. Sipuò considerare per questo nell’accezione di progetto di

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5. Si ritiene opportuno precisareche, già dai primi anni novanta,l’interesse per il valore dell’archi-tettura moderna a Messina è statoposto attraverso alcune iniziative.L’avvio a rivolgere l’attenzione aitemi relativi al restauro ed al riusodelle architetture del MovimentoModerno prende spunto dalle ini-ziative curate da VincenzoMelluso. Il convegno “Valore eduso del Moderno”, accompagnatodalla mostra “L’ArchitetturaModerna a Messina”, tenutosi nel1993 a Messina, si è offerto comepremessa per una prima indaginesul valore dell’operato di architettimessinesi come Vincenzo Pantanoe Filippo Rovigo. Le attività sonostate coordinate da VincenzoMelluso, in qualità di responsabiledella Sezione Architettura delCentro Culturale Officina 1892.Intervennero al convegno, fra glialtri, F. Cervellini, C. Conforti, M.Dezzi Bardeschi, F. Irace, P.

4. Fra i documenti originali non èstato possibile rintracciare deidisegni a firma dell’architettoFilippo Rovigo. Per l’attribuzionedell’opera si è proceduto con unacomparazione del progetto conaltri di cui si hanno elaborati auto-grafi. Si è inoltre verificato il rap-porto di consulenza che Rovigoapportava ai progetti dello IACP.

Fig. 3. Immagine attuale della piazzaverso il giardino

Fig. 2. Piazza Castronovo. Vedutaaerea

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6. CIUCCI G., Riprogettare le sto-rie, in «Casabella», n. 498-499,1984, p.10.

Nicolin, P. Culotta, G. Campo, G.Scaglione. Osservando, inoltre, itemi di ricerca approfonditi neiprecedenti cicli del Dottorato diRicerca in Progettazione architet-tonica di Palermo, si ritrova uninteresse sistematico per le operedi Filippo Rovigo ed in generaleper lo studio dell’ArchitetturaModerna a Messina.

Fig. 5. Planimetria generale di pro-getto

Fig. 4. Planimetria generale dellostato di fatto che comprende i quattroisolati e l’intera area d’intervento

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architettura urbana,7 che determina la particolare atten-zione per i tracciati dei principali assi viari ed i percorsicarrabili e pedonali, la proposta di rinnovamento degliedifici e la reinterpretazione degli spazi.

Nella descrizione del progetto sono individuati dueambiti principali: la riorganizzazione dei percorsi, checomprende la pedonalizzazione della Piazza con conse-guente modifica dei tracciati carrabili, la realizzazione

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Fig. 8. Prefigurazione di progetto.Vista della piazza da Via Garibaldi

Fig. 9. Prefigurazione di progetto.Vista della piazza verso il giardino

Fig. 7. Riconfigurazione dell’isolato495. Planimetria di progetto dell’iso-lato 495 e sezione longitudinale

Fig. 6. Sezioni longitudinali di progetto

7. L’uso dell’aggettivo urbana asso-ciato alla parola architettura è statoutilizzato dopo la metà degli annisessanta a significare una riscopertanecessità del «rapporto fra luogo eprogetto che mette in crisi tutta laricerca sui modelli intesi come pro-totipi architettonici indifferenti a unaprecisa localizzazione urbana, men-tre conferma l’interesse per la defor-mazione che gli eventuali modellisubiscono nel collocarsi concreta-mente in una o nell’altra strutturaurbana» tratto da: AYMONINO C.,Progetto architettonico e formazio-ne della città, in «LotusInternational», n.7, 1970.

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Fig. 11. Esploso assonometrico cheillustra il progetto alle differenti quote

Fig. 10. Modello di studio

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di parcheggi interrati e il riassetto del giardino; la ricon-figurazione delle unità abitative, che coinvolge il restau-ro degli edifici della Corona, e la riprogettazione delletipologie abitative con l’esempio dell’isolato 495, lariconfigurazione delle corti interne.La questione fondamentale è la trasformazione «la rie-dizione del testo, l’aggiornamento e la trascrizione diqualcosa che si nasconde o dietro la condizione di natu-ra o dietro l’estremo degrado della sua artificializzazio-ne».8Per rendere chiari i principi della maglia urbana dellacittà di Messina e dei suoi isolati, il progetto affina lacapacità di lettura che è immaginare, vedere con il pen-siero, descrivere la condizione di esistenza e la storiacome potenziale di una nuova architettura.La condizione attuale, conseguenza della particolarestoria della fondazione di Messina dopo il terremoto del1908, della costruzione dei suoi luoghi, dei progettisti edelle dinamiche sociali che ne hanno condizionato eformato l’identità attuale si offre ancora come campo diricerca e di indagine aperto a nuovi interessantiapprofondimenti.

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8. SPIRITO F., IL PROGETTO DI

RICERCA, «ARC», anno V, n. 8,Milano 2002.

Fig. 12. Prefigurazione di progetto.Vista dell’area di progetto dallaquota alta della circonvallazione

Fig. 13. Riconfigurazione dell’isolato495. Elementi di riprogettazionedegli alloggi degli edifici interniall’isolato 495

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Questa ricerca di dottorato, partendo dallo studio di unafabbrica dell’architettura moderna ha lo scopo di opera-re una possibile costruzione metodologica del progettodi architettura: il progetto di restauro diventa, pertanto,uno strumento di conoscenza e così anche un momento“ermeneutico” in cui è possibile operare un’azioneinterpretativa di modificazione collocata all’interno diuna posizione di conservazione critica dell’esistente.1L’edificio “campione” di questa ricerca, il palazzo peruffici e abitazioni dell’INA realizzato tra il 1936 e il1938 a Messina, pur non disponendo di una adeguataletteratura critica, viziata anche da incertezze sullapaternità del progetto, ed esigendo una ricostruzionedocumentale,2 appare come luogo di particolari legamicon la città e la sua memoria storica essendo parte delsistema della palazzata: una architettura urbana in rap-porto dialettico col fronte a mare che ricerca, oggi, unequilibrio difficile tra le questioni infrastrutturali, diadeguamento alle trasformazioni delle attività portuali eturistiche.

L’aspetto storico e iconico dell’edificio, determinatodalla presenza della porta monumentale che unisce iprimi due isolati e funge da ingresso alla città dal mare,alimenta un processo di rilettura del suo duplice valorearchitettonico e urbano3 configurato in una complessaarticolazione funzionale e spaziale fra le più originalidel sistema della palazzata.Attraverso un approccio filologico, tanto dell’architettu-ra quanto del contesto urbano, è stato possibile elaborareun’ipotesi progettuale che, partendo dalla ricerca docu-mentaria, dal rilievo dell’edificio e dallo studio dellestratificazioni, assume uno specifico valore nella suadimensione processuale più che nel risultato formale.Il progetto, nella sua complessità interpretativa, si arti-

L’edificio INA nella Palazzata amare di Messina (1936-38). Un restauro del moderno in unacittà di ricostruzioneEdmondo Galizia

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3. «La porta è quindi monumentourbano, così come nel disegnourbano e nella teoria assume rile-vanza il tema dell’ingresso monu-mentale alla città» Cfr. VALENTE I.,ARCHITETTURA DELLA PORTA, LIMITI

E MARGINI URBANI, in CROTTI S.(acura di), Per un’architettura urba-na, Bergamo 1998, pp. 81-82.

2. Attraverso il recupero dei docu-menti e delle carte originali, con-servate presso gli archivi di Statodi Messina e dell’Archivio Storicodell’INA a Roma la tesi si soffermadiffusamente sul processo di elabo-razione sia della fase di progettoche degli aspetti esecutivi, appuran-do con certezza l’assegnazione delprogetto definitivo all’ingegnereromano Guido Viola.

1. Il progetto offre l’opportunità diuna scelta intellettuale nell’ambitodi una complessità di posizioni cheinvestono la cultura del restauro eprecisamente quella del restaurodell’architettura moderna: si ponenecessaria una riflessione dialetticatra il concetto di ripristino e quellodi conservazione integrale/aggiuntadel nuovo sostenendo una media-zione nella possibilità di una tra-sformazione critico- conservativadella preesistenza. Cfr. CARBONARAG. (a cura di), Il restauro delmoderno, in «Parametro», n. 266,nov-dic. 2006.

Fig. 1. Immagine dell’edificio INAlato sud-est, prospetto principale

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cola e si compenetra su due livelli scalari: la scala del-l’edificio e la scala del contesto urbano, quindi la palaz-zata e il sistema portuale. Dallo studio critico sulla città e sui processi che hannodeterminato il suo disegno urbano si evince come lapalazzata, sia nella sua versione seicentesca e ottocente-sca sia, in parte, nel disegno concorsuale del 1931 siproponga come ingresso monumentale dal mare trac-ciando una visione della città per assi di collegamentotrasversali mare-monti tramite le porte urbane dellapalazzata.

La ricostruzione post-terremoto e la definizione delpiano Borzì del 1909 determina una trasformazioneradicale della città barocca: il grande taglio longitudina-le della via Garibaldi e l’espansione a sud lungo l’assedi via San Martino ribaltano i valori urbani della palaz-zata disperdendo il valore delle sue porte.Il retorico progetto del concorso del 1931 ripone la que-stione urbana della palazzata e della sua ricostruzionecome tema centrale nella definizione della città nuova,un tentativo che però si compie solo in alcuni episodiarchitettonici come la Casa del fascio di Samonà e lostesso l’edificio INA. Nel dopoguerra, il completamen-to della Cortina sterzerà verso linguaggi neo-razionalistiinterpretati da Samonà in esempi caratterizzanti di unanuova ricerca architettonica4 anche se troppo intrisiforse di una certa autoreferenzialità che pregiudicheràl’unicità del progetto della palazzata.5L’ipotesi progettuale si fonda, pertanto, su un tentativodi re-interpretare, alla scala urbana e architettonica, ilvalore perduto delle porte urbane partendo da una valo-rizzazione del suo “frammento” monumentale nelprimo edificio INA. L’ipotesi avanzata è di reinterpreta-re le connessioni tra la città e il porto innestate lungouna dorsale che assume le fattezze di un portico-passeg-giata. L’idea del portico, antistante agli edifici, vuoleessere, pertanto, un asse di collegamento degli episodiurbani più importanti: la piazza, la torre littoria, il porta-le monumentale e dei principali monumenti della cittàantica, subito al dilà della cortina, come la chiesadell’Annunziata dei catalani o il duomo.Questa suggestione urbana, volutamente priva di unapprofondimento formale, è immaginata come unavisione prospettica che recupera l’unità del fronte attra-verso una duplicazione dello stesso, un’immagine vir-tuale, in cui un unico segno si sviluppa innanzi allapalazzata, sino all’altezza del basamento dei singoli edi-

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5. «Gli edifici costruiti prima dellaguerra corrispondono pur con varia-zioni, al progetto vincitore; quellicostruiti dopo gli anni cinquanta se

4. «La “Cortina” di questo dopoguer-ra, malgrado l’impegno e le indubbiecapacità del suo ultimo progettista,G. Samonà, non ha soddisfatto l’opi-nione pubblica corrente proprio per ilmancato soddisfacimento di unsogno tanto accarezzato ma rivelatosipiuttosto retorico e fondamentalmen-te illusorio. Essa pur tuttavia, rappre-senta il più interessante e grosso sfor-zo operato a Messina per uscire dalconformismo edilizio dell’ultimo cin-quantennio e urbanisticamente, hagià dimostrato la forza vitale che erainsita nell’idea della “Cortina”». Cfr.CALANDRA R., Lo sviluppo urbanoproblema di fondo di Messina dal1908 ad oggi, in «CronacheMessinesi» vol. I 1987, p. 18.

Fig. 3. Progetto di concorso dellaPalazzata del 1931, da MARCONI

P., Il concorso nazionale per ilprogetto della nuova Palazzata diMessina, in «Architettura ed Artidecorative», XII marzo, 1931

Fig. 2. Portale dell’edificio INA

Fig. 4. Stralcio progetto architettonicoprospetto su Corso Vittorio Emanuelenella versione provvisoria del 1 ago-sto 1935 (Archivio di Stato di Messina(ASMe), Fondo Genio Civile - servizioterremoto, B. 51, f. 3506-3567)

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fici; esso definisce visivamente l’unificazione degli iso-lati e rilegge le regole del prospetto attraverso la misuradella campata strutturale dei pilastri di sostegno con lamisura dei prospetti degli edifici.Partendo da questa ipotesi di un nuovo segno urbano èpossibile recuperare il tema della connessione e dell’at-traversamento porto-città integrando a esso le trasfor-mazioni alla scala architettonica. L’edificio INA può essere identificato, in ragione di unapermanenza di relazioni con la città, come uno dei princi-pali nodi attraverso cui è possibile istituire quella connes-sione irrisolta tra mare e città consolidata. L’ipotesi più interessante che poi rappresenterà la propo-sta definitiva di una serie di tentativi progettuali, saràquella di un collegamento ipogeo che consenta di media-re, in un’unica soluzione, l’attraversamento urbano porto-città e l’accesso agli spazi architettonici a uso collettivo.Il progetto, partendo dalla dimensione urbana, reinter-preta, dal di dentro, la struttura dell’edificio: il portale èadeguato alla necessità di valorizzare e separare la fun-zione pubblica dello spazio urbano di passaggio daquella privata delle abitazioni allocate nei due isolatiadiacenti.Il tentativo, forse ambizioso, è quindi quello di definireun sistema sequenziale di spazi urbani e architettonicitra loro interfacciati che costituiscano un insieme unita-rio: piazze, monumenti, percorsi, strade, diventano partidi un unico sistema, un unico percorso.6

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ne distaccano del tutto, per stile emateriali impiegati (...) nell’insieme,non si ha quell’effetto di uniformitàdi linguaggio architettonico checostituiva la sobria monumentalitàdella Palazzata». Cfr. DATO G., LACITTÀ E L’ARCHITETTURA DEI FRONTI

MARITTIMI IN SICILIA, inMAFFIOLETTI S. (a cura di), Pietredel Mediterraneo, ed. LybraImmagine, Milano 1999; pp. 90-93.

Fig. 7. Schematizzazione del tipospaziale della porta monumentale,obiettivo fondamentale è quello direstituire un’autonomia spaziale euna definizione formale degliambienti interni della porta

Fig. 5. La palazzata di Messina com-pletata dagli edifici degli anni ‘50,da CARDULLO F., Texture anni cin-quanta: la cortina di Messina, in«d’Architettura», 21, 2003)

Fig. 8. Sezione prospettica di progetto

Fig. 6. Schema compositivo del siste-ma degli elementi verticali dei corpiscala e dei pozzi di luce

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La ri-significazione progettuale passa per il recuperodel tipo spaziale della porta; adattata a spazio musealela porta viene integrata al collegamento urbano ipogeoche funge anche da ingresso sotterraneo, un simile inse-rimento opera un processo di valorizzazione e modifica-zione lungo un percorso dal basso verso l’alto, dall’at-tacco a terra, con nuove cavità sotterranee, sino incopertura con la riprogettazione della terrazza.

Le modifiche ottenute nella pianta dell’edificio con l’in-serimento di spazi museali dentro il blocco centraledella porta impongono necessariamente anche la ripro-gettazione delle unità residenziali adiacenti, tuttavia unasimile trasformazione è il risultato di un’interpretazionecritica di conservazione e valorizzazione degli elementifissi e invarianti della struttura spaziale composta daipieni e dai vuoti rispettivamente dei vani scala e dellechiostrine, una composizione verticale che compensal’orizzontalità del complesso architettonico.Il progetto, nell’ambito di una trasformazione dell’edifi-cio operata sostanzialmente dall’interno e che conservala sua logica costruttiva, i suoi valori simbolici e mate-riali, trova la sua più completa manifestazione nell’inse-rimento dell’“aggiunta”: un blocco di collegamentodelle due terrazze che assume le fattezze di un parallele-pipedo allungato, a esaltare lo sviluppo assiale dell’edi-ficio, posto sopra il portale, esso diventa un nuovosegno architettonico di ridefinizione del coronamentoche, oltre a svolgere la funzione di terminazione delpercorso ascendente del museo, assume un forte ruolourbano di riferimento visivo sia dal porto che dalla città.

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Fig. 11. Modello di studio dell’ipote-si di progetto

Fig. 9. Spaccato assonometrico del-l’ipotesi progettuale

Fig. 10. Prospetto principale, sezionelongitudinale, pianta della coperturadell’ipotesi progettuale

6. «L’urbanistica sotterranea acqui-sta interesse proprio se questadimensione viene organizzata concaratteristiche di vero e propriospazio pubblico, così da definirecon chiarezza i nodi di contatto e dicontinuità con lo spazio di superfi-cie». Cfr. Urbanità sotterranee, inDE SOLÀ MORALES M., Progettarecittà, «Quaderni di Lotus», (a curadi ZARDINI M.), 23, Milano 1999.

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La Chiesa Madre di Gibellina è stata progettata daLudovico Quaroni e Luisa Anversa, con la collabora-zione di Giangiacomo D’Ardia e Sergio Musmeci(strutture), dopo il terremoto che, nel 1968, distrussel’antica Gibellina.Secondo una consuetudine metodologica che caratteriz-za il Dottorato di Progettazione Architettonica diPalermo, nell’ambito del caso studio della ChiesaMadre, si è elaborato un progetto per svelare i principiarchitettonici dell’opera, anche in quei tratti che sem-brano offuscati nello stato di fatto dei luoghi. A proget-to concluso, un ritrovamento imprevisto ha rinnovato ilsenso di questo metodo di ricerca: presso l’archivio per-sonale di Luisa Anversa, una planimetria ineditamostrava una “cerniera urbana” dove nella tesi si eradisegnata una nuova piazza.

La corrispondenza fra la proposta e l’idea originariaspiega in che senso il progetto di architettura sia “stru-mento di conoscenza” dell’opera: i principi architettoni-ci del complesso parrocchiale emergono dal continuoconfronto fra fonti bibliografiche, d’archivio e rilievodello stato di fatto; questi principi guidano a tal punto ilprogetto di restauro, da condurlo a una soluzione prefi-gurata dagli stessi progettisti che, per fatti contingenti,non ha avuto seguito né diffusione. Affinità e differenzefra il progetto iniziale di Quaroni e Anversa e quellocontenuto nella tesi fondano il punto di vista da cui siosserva, in questo testo, l’indagine svolta.

Il restauro del moderno e la verificadi un metodo: la Chiesa Madre aGibellinaLuciana Macaluso

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Fig. 1. La Chiesa Madre e GibellinaNuova

Fig. 2. QUARONI L., ANVERSA L.,planimetria di progetto (archivioLuisa Anversa)

Fig. 4. QUARONIL., chiese di S. Gottardo(1956) e Sacra Famiglia (1956-59) aGenova, e di Gibellina (1970)

Fig. 3. QUARONI L., chiese delPrenestino (1947), di Francavilla aMare (1948), della Martella (1951-54)

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La Chiesa Madre di Gibellina Nuova sorge sul puntopiù alto della città. Una cupola sferica intonacata dibianco1 emerge da un parallelepipedo a base quadrataframmentato in più parti e rivestito da irregolari scagliedi pietra arenaria. I volumi del complesso parrocchialemediano il rapporto fra la sfera e il suolo. L’altura fa dabasamento all’opera e isola nel paesaggio la cupola,simbolo di rinascita e adunanza di una comunità. Lariconoscibilità di questo volume archetipico non è affi-

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1. La sfera secondo il progetto diQuaroni e Anversa doveva essere rive-stita di ceramica azzurra e brillante.

Fig. 5. Fra sintesi e analisi la propostaprogettuale si avvicina e si allontanadai principi dell’idea originaria, checosì si svelano. L’iter complessivo è illuogo di questa esplorazione. Alcunipassaggi mostrano la presenza della“sfera - monumento”, dei “percorsisull’altura” e della “basilica discoper-ta - cerniera urbana” come principicostanti. Fase 1: La chiesa discopertarafforza l’asse di via degli Elimi adiscapito della monumentalità dellasfera. Fase 2: Si estende l’attenzione atutta l’altura tentando di esplicitarnel’orografia per far risaltare la chiesacome elemento assoluto. Fase 3: Siordisce un sistema di percorsi radialifra Chiesa Madre e centro civico

Fig. 6. Iter progettuale. Fase 4: Ilprincipio insediativo del nuovoimpianto è in conflitto con quello dellaChiesa Madre. Fase 5: Una distanzadeve isolare la chiesa dagli altri edifi-ci. Il volume della basilica discopertadefinisce il margine inferiore dell’al-tura. Fase 6: Le relazioni fra le partisi possono rafforzare senza aggiunge-re volumi, pittosto scavando e model-lando il suolo

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data alla dimensione, bensì alla forma e alla posizionerispetto all’intorno. Le scelte progettuali dell’architettoromano sono, quindi, fortemente legate alla natura agri-cola del contesto e al tessuto urbano rarefatto, pianifica-to dall’ISES sul modello delle garden cities.Costruendo una “corona della città”, in riferimento allaStadtkrone di Bruno Taut,2 Quaroni risponde coerente-mente all’invito di Ludovico Corrao di completare ilcentro civico di Gibellina Nuova con un’opera capace dirappresentare la fiducia nel progresso e nella rinascita.

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Fig. 7. Iter progettuale. Fase 7: Ilsuolo diviene un tessuto artificialefatto di terrazzamenti, uno di questiospita la nuova basilica. I percorsisono simili a quelli di un cretto. Fase8: I percorsi sono ridisegnati prose-guendo tracce esistenti e il progettodi suolo tiene conto dell’orografiadell’altura. Fase 9: Si individuanodue ambiti. Il primo attorno allaChesa Madre mantiene l’attualeforma sinuosa. Il secondo, adiacentealla piazza del municipio, è terrazzato

2. TAUT B., Die Stadt-korone,1919 in TAUT B., La corona dellacittà, introduzione di QUARONI L.,Mazzotta Editore, Milano 1973.

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Tuttavia, le intenzioni di Quaroni e Corrao, documenta-te nella prima fase della ricerca, nello stato di fatto sonooffuscate a causa della mancata realizzazione deglispazi pubblici compresi fra gli edifici. Nonostante inumerosi progetti proposti dagli architetti chiamati acompletare la città,3 l’altura rimane, infatti, abbandona-ta e il principio architettonico della Chiesa Madre, sim-bolo dell’adunanza collettiva, è tradito dalla concretaimpossibilità di raggiungere la chiesa pedonalmente.

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Fig. 8. Fase 10: L’altura è un estesobasamento del complesso parroc-chiale da progettare in modo unita-rio. Fase 11: La basilica “cernieraurbana” non deve interrompere lacontinuità del suolo. Fase 12: Lapiazza intermedia, sagrato del com-plesso parrocchiale, la nuova basili-ca e i percorsi sono assorbiti in unsuolo da cui emerge esclusivamentela Chiesa Madre, raggiungibile daogni parte della città

3. Cfr. Il Progetto per il centro civicodi Gibellina, in MARINONI G.,Metamorfosi del centro urbano. Ilcaso Gibellina, «Lotus», n. 69, p.74.

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Il progetto di restauro cui giunge la tesi, coerentementecon la volontà di Quaroni, esclude la possibilità diaggiungere nuovi volumi sulla “collina”, che vienemodellata per accogliere alcuni percorsi pedonali. Ma ildisegno di suolo non ripristina tale e quale il progettooriginario,4 poiché tiene conto dello stato di fatto dell’o-pera e del dibattito che per quarant’anni ne ha messo indubbio l’adeguatezza liturgica.5Quaroni, mediante i progetti per le chiese a Roma,Francavilla a Mare, Genova e alla Martella, diviene ilpioniere del rinnovamento dello spazio liturgico neglianni a cavallo del Concilio Vaticano II,6 quindi sembraparadossale affermare che l’architettura di Gibellinarappresenti, da questo punto di vista, un’eccezione. Ilconcilio indica un nuovo equilibrio fra “divino” e“umano”: per la prima volta il sacerdote si rivolge versoi fedeli e parla la loro lingua e non più il latino, percoinvolgere l’assemblea. Le chiese di Genova, sebbenepreconciliari, rappresentano spazialmente questo cam-biamento: l’ambone è cerniera fra bema e aula e l’invo-lucro dell’edificio si articola per stabilire una relazionedi prossimità fra i celebranti all’interno della chiesa, efra quest’ultima e il contesto urbano, all’esterno. Nellachiesa di Gibellina l’immanente è assolutamente predo-minante: i fedeli sono spettatori passivi di una scenaimmutabile sia all’esterno che all’interno dell’aula; l’as-setto a cavea fa sì che l’attenzione si focalizzi sempresulla sfera. Tale è l’esigenza di conferire identità alla città e speran-za agli uomini, che le scelte compositive mirano adaccentuare il valore simbolico dell’opera, privilegiandol’aspetto sociale e urbano del progetto, secondo il desi-derio di Corrao, a discapito dell’equilibrio fra immanen-te e trascendente. A Gibellina Quaroni decide di metterein secondo piano gli aspetti specificamente liturgici del-l’opera e, dedicandosi alle questioni urbane, trova unasintesi inedita all’interno della sua ricerca incentrata sulprogetto dell’”unicum”, quale elemento la cui percezio-ne permane identica al variare della distanza (o dellascala di rappresentazione).

La contraddizione fra la prevalenza gerarchica dellacupola e l’adeguatezza liturgica della chiesa conduce alprogetto di una ecclesia sine tecto connessa a un nuovosagrato, a completamento del complesso parrocchiale.Durante l’iter progettuale questi spazi, nell’intento dipotenziare la monumentalità della sfera e la caricaimmanente del complesso parrocchiale, prendono formee posizioni diverse che, progressivamente, confermanoo tradiscono i principi architettonici riconosciuti nell’o-pera. L’approdo conclusivo dimostra la possibilità diregistrare la presenza della sfera attraverso una nuovaconformazione dell’altura, il cui suolo è immaginatocome uno stagno in cui sia stato lanciato un sasso. Il

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6. Il Concilio Vaticano II si svolsein quattro sessioni, dal 1962 al1965, sotto i pontificati di GiovanniXXIII e Paolo VI.

5. La chiesa è realizzata a metà deglianni ‘80. Nel 1994 crolla la copertu-ra dell’aula. I lavori di completa-mento si concludono nel 2010. Dalprogetto alla consacrazione trascor-rono quarant’anni densi di polemi-che e difficoltà, fra le quali emerge,per interesse scientificico, la que-stione dell’adeguatezza liturgica. Latesi ha dato origine a un testo, incorso di pubblicazione, in cui taliquestioni sono approfondite: cfr.MACALUSO L., La Chiesa Madre diGibellina. Quarant’anni dal proget-to alla realizzazione, Officina edi-zioni, Roma 2013.

4. Il progetto dell’intorno della chie-sa è disegnato fino alla scala di1:400, ovvero gli autori non arriva-rono, come per il resto dell’opera, adisegnare l’esecutivo.

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modo di propagarsi delle onde dipende anche da altrielementi presenti nell’acqua, come arbusti o rocce. Inmaniera simile, si può pensare che i percorsi e il dise-gno del giardino attorno alla chiesa interagiscano con labasilica discoperta, che media il rapporto fra il comples-so parrocchiale e il centro civico. L’introduzione di uno spazio significativo, dal punto divista urbano, fra la chiesa e la piazza del municipio èuna necessità confermata dalla presenza, sulle tavolereperite presso l’archivio di Anversa, di un piccolo anfi-teatro a pianta circolare posizionato proprio in quelpunto. Ecco come il progetto, verificando i principiarchitettonici di un’opera, ipotesi dopo ipotesi, conducea stabilire dove e come sia opportuno agire per restaura-re un’architettura, ovvero per modificarla al fine diesplicitarne il valore riconosciuto.

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Fig. 9 Plastico di progetto

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Il presente lavoro di ricerca si pone come obiettivo l’a-nalisi e l’approfondimento delle questioni relative allaconoscenza, alla conservazione e al restauro dell’archi-tettura moderna. Tali questioni vengono indagate a par-tire dallo studio del progetto per il Centro Civico diGibellina Nuova e in particolare dell’edificio residen-ziale progettato nel 1982 da Oswald Mathias Ungers.Il lavoro di ricerca si articola in quattro componenti,dedicate rispettivamente alle vicende della ricostruzionedi Gibellina e al contesto socio-culturale in cui si inseri-sce, alla figura di O. M. Ungers, al suo rapporto conl’Italia e all’analisi delle tematiche centrali nella suaopera, allo studio del progetto originale e dello stato difatto del Centro Civico e all’elaborazione del progettodi restauro.

Il Centro Civico di Oswald MathiasUngers a Gibellina NuovaFosca Miceli

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Fig. 3. Planimetria del Centro Civicodi Gibellina Nuova, Progetto

Fig. 1. UNGERS O. M., edificio resi-denziale a Gibellina Nuova

Fig. 2. Planimetria del Centro Civicodi Gibellina Nuova, stato di fatto

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Il momento coincidente con la fase di conoscenza del-l’opera è risultato fondamentale ai fini di una riflessionesugli obiettivi della tesi. Il progetto o, meglio, la «scien-za del progetto», ha costituito sin dall’inizio, lo stru-mento metodologico di approccio alla ricerca, attraver-so cui è stato possibile individuare quei prìncipi archi-tettonici, celati da uno stato di fatto incurante delle indi-cazioni del progetto originale. Non sempre nel corso del lavoro di ricerca, i prìncipidell’opera sono risultati chiari e facilmente riscontrabili:lo stato dell’arte ha messo in evidenza una quasi totalediscrepanza tra ciò che vediamo e ciò che avrebbedovuto essere. Gibellina comunica subito poche distinte sensazioni: dauna parte, la forte relazione con il paesaggio, il prevale-re della dimensione orizzontale, lo stagliarsi di enormioggetti scultorei e un rarefatto silenzio dall’altra unasensazione di straniamento, di solitudine, di disorienta-mento. Il Centro Civico coincide con quella parte di città in cuitrovano posto gli edifici più rappresentativi legati alcarattere istituzionale, culturale, religioso e aggregativo. Il viale Belice è l’asse portante e fondativo del nucleourbano, a questo si agganciano i monumenti di maggio-re rilievo: il Municipio di Samonà, Gregotti, Pirrone, lecase di Ungers, la Chiesa Madre di Quaroni, il museoDi Lorenzo di Venezia. Ognuno di questi edifici, pro-gettati in momenti differenti, faceva parte di un pianoparticolareggiato che forniva delle indicazioni specifi-che relative ai collegamenti tra le diverse emergenzearchitettoniche, al disegno degli spazi aperti, all’orga-nizzazione del verde. I sopralluoghi effettuati hannosubito messo in luce la natura di questa città di fonda-

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Fig. 7. Vista di progetto della zonaartigianale e commerciale

Fig. 6. UNGERS O. M., edificio resi-denziale a Gibellina Nuova, Sezionetrasversale di progetto

Fig. 5. UNGERS O. M., edificio resi-denziale a Gibellina Nuova,Prospetto di progetto

Fig. 4. UNGERS O. M., edificio resi-denziale a Gibellina Nuova, Piantadi progetto

Fig. 8. Vista di progetto dell’edificio diO. M. Ungers e dello spazio pubblico

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zione, che se da un lato può considerarsi uno dei pochiesempi in Europa per sperimentazione e metodologia disviluppo, dall’altro manifesta apertamente le contraddi-zioni e le problematicità proprie dell’intervento. Oggi lacittà è caratterizzata dalla presenza di frammenti privi dialcun rapporto tra loro, se non apparente, progettati erealizzati in periodi differenti.I singoli edifici, come appunto il caso di studio, hannoperso la carica iniziale, legata al progetto originale1 ealle forti relazioni urbane che avrebbero dovuto tessere.Proprio a partire dalla non sempre facile lettura deiprìncipi dell’opera si è deciso di analizzare nel dettagliol’opera teorica e architettonica di O. M. Ungers al finedi individuare le tematiche condivise dal progetto perGibellina. In particolar modo sono stati studiati tutti iprogetti che l’architetto tedesco ha redatto per l’Italia,2per poter dimostrarne i caratteri comuni, che hanno laloro matrice di origine nell’architettura storica italiana,di cui Ungers è un profondo conoscitore.Le operazioni sopra descritte, hanno condotto al ricono-scimento dei principi architettonici del caso di studio,all’analisi delle compromissioni subite e all’elaborazio-ne del progetto di restauro. Il progetto di restauro, prima ancora di pervenire ad unarisposta o di fornire un’eventuale soluzione, ha indivi-duato delle questioni: la vera natura dell’edificio, i rap-porti tra le varie parti, la commistione tra pubblico eprivato, l’assenza delle connessioni urbane.L’ipotesi generale di progetto prevede un nuovo dise-gno del suolo che sia in grado di rivalutare e ridefiniregli spazi aperti e le relazioni che intercorrono tra di essie le case di Ungers. L’obiettivo è esplicitare il fortevalore urbano insito nel progetto dell’architetto tedescoe celato dallo stato di fatto.Significativa, a tal proposito, è stata l’individuazione diun percorso parallelo al viale Belice, che collega ilMunicipio, le case di Ungers e la Chiesa Madre, attra-verso il progetto si è cercato, infatti, di reinterpretare ilconcetto di Centro Civico di una città di fondazione,quale Gibellina è, indagando il rapporto che intercorretra edifici, spazio pubblico, servizi e viabilità.

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1. Di fondamentale importanza ai finidella ricerca, è stato il reperimentodegli elaborati originali, pressol’Ufficio Tecnico del Comune diGibellina. Questi, seppur facenti capoad un progetto di massima, hannomesso in luce le caratteristiche pro-prie della stesura originale.

2. L’Italia, patria per eccellenza deitrattati di architettura, delle teorizza-zioni relative all’arte del costruire, del-l’architettura classica, ha influito forte-mente sulla formazione e sull’opera diUngers. Il Pantheon e villa Adriana aTivoli, in particolare, sono tra i suoiriferimenti progettuali prediletti.Mentre il primo, è l’edificio che più inassoluto è capace di generare nuoveforme, prestandosi ad essere ripropo-sto e interpretato, la seconda rappre-senta, per il maestro tedesco l’architet-tura della memoria collettiva. La villaè un microcosmo concluso, una cittàin miniatura, caratterizzata da tutti glielementi che compongono le nostrecittà. È a partire da questi ragionamen-ti che negli anni Settanta, Ungers svi-lupperà una ricerca relativa al temadella città nella città.

Fig. 10. Plastico di progetto

Fig. 9. Vista di progetto dell’attra-versamento dell’edificio

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Poiché l’architetto tedesco redige per la cittadina sicilia-na un piano particolareggiato caratterizzato da un insie-me di oggetti architettonici,3 l’attenzione della tesi si èspostata sull’analisi di quelle tematiche urbane, che par-tendo da ragionamenti di carattere generale, relativi allostudio degli spazi pubblici, degli spazi aperti, dei vuotiurbani e delle connessioni, ha spostato la sua attenzionesull’edificio. Questo non è mai stato considerato un’en-tità autonoma e a sé stante, ma parte integrante di unsistema complesso. Il forte carattere urbano, insito nelprogetto dell’edificio residenziale, ha costituito la pre-messa del progetto di restauro. Scendendo nuovamente di scala, ci si è dedicati all’al-loggio e ancora una volta si preso atto delle differenzetra stato di fatto e progetto. A partire da queste conside-razioni, attraverso la ricerca si è deciso di dimostrarecome l’intero intervento sia caratterizzato da un tradi-mento di fondo delle indicazioni progettuali, che interes-sa al tempo stesso scale diverse: la dimensione urbana,relativa ai collegamenti tra gli edifici e al disegno delsuolo; la dimensione dell’edificio, legata al principiodella percorribilità e al rapporto tra pubblico e privato; lascala dell’alloggio, che trova la sua ragion d’essere neltema ungersiano della «casa metafora della città».4L’obiettivo più generale della tesi è stato, quello di deli-neare un iter progettuale costituito da singole fasi chehanno condotto ad un risultato descrivibile e trasmissi-bile.I risultati ottenuti, nonché la metodologia di intervento,è applicabile ad altre opere, in maniera tale da poterpervenire, in linea con la tesi portata avanti dalDottorato in Progettazione Architettonica di Palermo, alraggiungimento di una procedura relativa al restaurodell’architettura moderna, basato sul progetto.

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4. Ungers, all’interno della sua teoriadell’architettura, paragona la casaalla città «la città è dominata, nellasua formazione, dalle stesse leggi cheregolano quelle di una singola casa,dalla cui somma con gli altri edifici ècomposta la città. La struttura dellacasa somiglia alla struttura, solo ledimensioni sono differenti». UNGERSO. M., Zum Project «Neue Stadt» inKöln, in «Werk», n. 7, 1963.

3. Il piano particolareggiato per ilCentro Civico di Gibellina, redattoda Ungers nel 1982, si poneva l’o-biettivo di inaugurare un diverso rap-porto tra le parti residenziali e gli edi-fici istituzionali. Il tema consistevanel costruire relazioni tra le differentiparti di città, attraverso l’attenta pro-gettazione di spazi urbani chiaramen-te riconoscibili ed identificabili.Ungers pensa ad una città che sicaratterizza per la presenza di ele-menti dal forte valore identificativoquali: il boulevard, il giardino, lapiazza, il porticato, il lago.

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Il lavoro proposto di seguito si inserisce all’interno diun percorso di ricerca basato su un’impostazione meto-dologica secondo cui l’approccio all’interpretazionecritica e alla progettazione supera la consueta divisionetra i diversi ambiti disciplinari della storia dell’architet-tura, del restauro e della progettazione e dunque traconservazione e progetto, concependo il progetto direstauro del patrimonio esistente come progetto archi-tettonico, strumento scientifico di comprensione, salva-guardia e trasformazione dell’opera.1La ricerca, sviluppata non in maniera canonica secondodue momenti distinti tra fase analitica e fase propositi-va, ma attraverso un percorso elaborativo continua-mente interrelato tra analisi e progetto, si propone,attraverso la ricostruzione critica della storia dellaPalazzata a Mare di Messina e l’operazione progettualedel suo restauro, di sviluppare e verificare una precisaposizione metodologica all’interno del dibattito sultema della tutela dell’architettura moderna con il con-vincimento di servirsi della sonda del progetto, intesocome principale strumento di indagine e conoscenza,per definire, per quanto possibile, i principi fondatividell’opera; da qui la necessità di individuare e verifica-re le qualità più significative del testo architettonico,del suo vocabolario compositivo e della sua sintassi,temi che proprio la fase progettuale ha messo in luce,ponendosi non come strumento di “trasformazione”

La palazzata a mare di Messina(1931-1958). Isolati VIII - XIAlmerinda Padricelli

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1. Tema centrale nell’ambito dell’attua-le dibattito sulla conservazione delquale si propongono due approcci total-mente contrastanti, Francesco LaRegina nel suo testo Il restauro dell’ar-chitettura, l’architettura del restauro,Liguori, Napoli 2004 attribuisce all’al-lontanamento del progetto architettoni-co dall’ambito della conservazione unadelle ragioni della crisi della cultura delrestauro; B. Paolo Torsello nel testoChe cos’è il restauro? Nove studiosi aconfronto chiarisce il suo dissensoall’uso del progetto per la conservazio-ne: « (…) Oggi possiamo dire che laconservazione del patrimonio storico eartistico è invocata da una pluralità disoggetti, ma con una contraddittoriapluralità di posizioni e fini. A comin-ciare dall’area della progettazione delnuovo, che rivendica il diritto di gestirela modificazione della città e dell’archi-tettura esistenti in nome di una storica einarrestabile legge del divenire (…)».TORSELLOB. P., Che cos’è il restauro?,in Che cos’è il restauro? Nove studiosia confronto, Marsilio, Venezia 2005.

Fig 1. SAMONÀ G., Edificio INAIL,Messina, e attuale passaggio deltram in viale S. Martino

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della preesistenza ma come strumento di “interpreta-zione” della stessa. La ricerca analizza, inoltre, la complessa problematicadella ricostruzione di Messina, città privata delle suestratificazioni storiche e dunque “tabula rasa” effettivaprima che concettuale, ponendo l’accento su come illavoro di molti esponenti della Modernità italiana2 leabbia restituito, mediante gli strumenti del nuovo lin-guaggio architettonico, un’identità urbana così grave-mente compromessa dal sisma. La “tabula rasa” e lariedificazione secondo nuovi criteri, il ripristino di unaipotetica facies originaria, la ricostruzione com’era edov’era, l’inserimento dell’opera moderna all’internodel tessuto storico e l’accostamento del telaio in calce-struzzo alla struttura in pietra rappresentano alcunidegli indirizzi teorici adottati nei cantieri della ricostru-zione; ed è all’interno delle dinamiche costruttive urba-ne3 che si inserisce la questione relativa al ridisegnodel fronte a mare di Messina, elemento iconico dellacittà più volte distrutto e ricostruito sulle tracce delleantiche mura difensive, caso esemplare nella storiadella ricostruzione siciliana e italiana. Partendo infattidallo studio della palazzata messinese emergono da unlato i temi generali del rapporto fra intervento proget-tuale e città storica e dall’altro l’esigenza di riconosce-re e dimostrare la sua qualità architettonica e la realenecessità di un intervento di restauro.4 Il lavoro proget-tuale svolto sulla Palazzata, individuati i principi fon-dativi dell’opera, le compromissioni subite e dunque lecause della mancata comprensione critica delle suequalità, non si ferma al riconoscimento del progetto diGiuseppe Samonà, certamente fondamentale per lacomprensione dello stato attuale, come “stato origina-rio” da ripristinare acriticamente, «ritorno dell’immagi-ne falsamente consolatoria di un presunto archetipooriginario, da riproporre come congelato al tempozero»,5 ma esplora le possibilità di un diverso uso,indagando non solo le delicate connessioni fra edificiomoderno e città antica circostante, ma verificandoanche la possibilità di riqualificazione degli isolatiVIII-XI attraverso la ridefinizione delle loro relazioniurbane con il contesto più ampio costituito dalle duestrade tangenti la Palazzata, la zona portuale e la piazzaMunicipio.Il progetto di restauro, seppur mantenendo inalterati iprincipi proposti dal progetto originario, li adatta alleesigenze sopraggiunte in piena coerenza con l’analisi

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3. Una sintesi del dibattito sul restau-ro in Italia negli anni della ricostru-zione è sviluppata in MARCONI P., Ilrestauro architettonico in Italia.Mentalità, ideologie pratiche, in DALCO F. (a cura di), Storia dell’architet-tura italiana. Il secondo Novecento,Electa, Milano 1997, pp. 368-395.

4. Per le architetture del moderno leragioni del degrado e della necessitàdel restauro sono spesso individua-bili in cambi d’uso impropri o neldegrado fisico dei materiali costrut-tivi. Per alcune opere, fra cui laPalazzata, lo stato di degrado è alcontrario imputabile non alla perditao al cambio della funzione né allostato dei materiali, ma ad unaprofonda frattura avvenuta fra statoideativo e stato realizzativo, accom-pagnata dalla progressiva compro-missione dei principi urbani del pro-getto e dalla perdita del ruolo archi-tettonico e urbano dell’opera.

2. Questo consente di confrontare lediverse strategie che i teorici del restau-ro da una parte e quelli della modernitàdall’altra hanno elaborato in queglianni di ricostruzione dell’identità urba-na della città; si intensificano i dibattitie i confronti sul piano teorico e nellapratica dei cantieri, fra le diverse posi-zioni assunte dai critici e dagli architettisulla ricostruzione delle città e sulrestauro dei monumenti.

Fig 2. AUTOREC., LEONER., SAMONÀG.e VIOLA G.. Planimetria generale delprogetto vincitore del concorso per lanuova palazzata di Messina. (1931)

Fig 3. Messina, plastico dell’aread’intervento

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delle trasformazioni subite dal luogo; non si arresta,dunque, alla pura conservazione degli edifici, non silimita a descrivere e commentare l’oggetto architettoni-co, non si riduce ad un’azione di adeguamento e rifun-zionalizzazione, ma tende ad una riqualificazione dellerelazioni dei manufatti con il contesto urbano in cuisono inseriti.

La prima operazione di restauro proposta ossia la con-nessione dei piani terra degli isolati tra loro e con lacittà, attuata attraverso il livellamento della quota diimposta dei fabbricati, innesca una successione dimodificazioni sia all’interno che all’esterno degli stes-si; al riuso delle terrazze di copertura come luoghiurbani polifunzionali e punti di belvedere segue diretta-mente la modificazione dei collegamenti verticali edell’accessibilità agli edifici; alla riconnessione con lacittà delle due testate del palazzo dell’INAIL seguedirettamente la modificazione del suo spazio d’ingres-so. Il progetto di restauro ricompone, dunque, l’attualefrattura fra edificio e città, tenendo conto per quantopossibile, delle trasformazioni che da tale azione deri-vano e utilizzando l’edificio dell’INAIL come pernodell’intera operazione di ridefinizione di tali relazioni

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5. DEZZI BARDESCHI M., Restauro:due punti e da capo, FrancoAngeli, Milano 2004.

Fig 5. Edificio dell’INAIL, piante esezione del progetto di restauro

Fig 7. Progetto urbano, vista

Fig 8. Schizzo di progetto

Fig 6. Edificio INAIL, progetto direstauro, plastico di studio

Fig 4. SAMONÀ G., Edificio INAIL,Sezione

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architettoniche ed urbane con l’edificio della Casa delFascio, che lo fronteggia, con lo spazio tra i due edificie con la Piazza Municipio, oltre che con la zona delporto.

L’ordine narrativo che si è dato al testo della tesi, orga-nizzato secondo tappe cronologicamente distinte, dallaricostruzione storica fino alla redazione del progetto direstauro, non corrisponde al reale sviluppo del lavoro,in cui studio critico dei documenti, analisi dello stato difatto e progetto si sono intrecciati per la costruzionedella ricerca. Il progetto di restauro non è stato elabora-to come prodotto finale dedotto linearmente dal lavorodi indagine e interpretazione, ma ha rappresentato essostesso il principale strumento di conoscenzadell’opera;6 dunque l’ipotesi progettuale non va intesacome possibile risultato definitivo ma nel suo rappre-sentare un “processo interpretativo” di una realtà urba-na; di fatto emerge dalla ricerca che un qualsiasi“testo” architettonico non può essere studiato, analizza-to ed interpretato come “elemento” isolato ed indipen-dente dal suo contesto, ma la specificità delle relazioniche esso instaura con il proprio intorno ne costruisce ilcarattere determinante e allo stesso tempo definisce ecircoscrive le possibilità di modificazione che derivanoessenzialmente da vocazioni insite nell’oggetto archi-tettonico stesso. Il valore fondamentale di un’operaarchitettonica è proprio nel presentarsi come elementoqualificante una realtà urbana più vasta.

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6. Al ruolo ermeneutico del progettoè dedicata una parte del saggio diEmanuele Palazzotto, Restauro èprogetto, in Il progetto nel restaurodel moderno (…), op. cit. pp. 43-52.

Fig 10. Progetto di restauro dell’edificiodell’INAIL, vista sulla chiostrina centrale

Fig 9. Progetto di restauro dell’edifi-cio dell’INAIL, vista della testatalato largo Minutoli

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Nell’ambito del tema generale del XXII ciclo, “Ilrestauro del Moderno”, l’oggetto specifico di questaricerca è stato individuato nel restauro del Municipio diGibellina Nuova, progettato tra il 1970 e il 1972 dalgruppo guidato da Giuseppe Samonà e composto daVittorio Gregotti, Gianni Pirrone e Alberto Samonà. L’interesse più ampio del XXII ciclo di Dottorato neiconfronti del tema della città di nuova fondazione1 e lasingolarità dell’oggetto di studio aprono un’indagine suimportanti questioni della città contemporanea e, al con-tempo, attraverso il progetto di restauro, tentano di rico-noscere e perseguire le intenzioni progettuali originarierelative al ruolo urbano del Municipio.2L’opportunità sulla scelta dell’opera si è rafforzata, nelcorso della ricerca, attraverso il riconoscimento dellanecessità concreta di un intervento di restauro, anche inrelazione ai numerosi fraintendimenti e manomissioniche l’hanno coinvolta, sia nel suo corpo e sia rispetto alpiù vasto ambito di pertinenza. L’indagine sull’opera è andata così definendosi anchecome riflessione sul rapporto architettura-città, aspettodecisivo del progetto originario ma anche nodo essen-ziale nel progetto di restauro. A partire dallo studio del processo ideativo e costruttivodell’opera, condotto sulla base di documenti originalid’archivio (scritti, disegni, schizzi, annotazioni)3 e attra-verso l’analisi e l’interpretazione dello stato di fatto(sopralluoghi, rilievi e ridisegni architettonici) si è cerca-to di individuare i principi architettonici dell’opera, inte-si come quei caratteri in grado di affermarne l’identità,in quanto rivelatori dei processi che l’hanno generata.Il rimando continuo tra ridisegno (mediante il confrontotra stato di fatto e stato originario) e progetto ha rappre-

Il Municipio di Gibellina NuovaRosa Maria Provvidenza Pecoraro

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2. All’interno del centro urbano diGibellina, infatti, l’edificio delMunicipio «è un segnale importante:ingresso per la città e punto di riferi-mento per la collettività» e la suacentralità è sottolineata dall’emergen-za della sala consiliare, vero cuoresimbolico e formale del tutto. «Il pro-getto esecutivo che presentiamo […]corrisponde nell’impostazione deivolumi edilizi all’idea espressadall’Ing. Fabbri di dare alla città unaforma servendosi della spina dorsalecome punto di forza espressivo,anche per la presenza in esso di tutti iservizi fondamentali. […] Questaspina presenta alla sua origine, ilMunicipio». Cfr. GREGOTTI V.,PIRRONE G., SAMONÀ A., SAMONÀG., Progetto per il Centro Civico,Commerciale e Culturale diGibellina. Relazione generale, 1971,Archivio Progetti IUAV Venezia.

1. Il 2008, anno di avvio del XXIIciclo, segnava l’anniversario di duecatastrofi: il terremoto di Messina del1908 e quello del Belìce del 1968. Lacircostanza ha fornito l’occasione perriflettere sugli esiti delle relative rico-struzioni, sebbene siano avvenute inmomenti differenti e con modalitàdiverse. Pertanto, tre delle tesi di dotto-rato del XXII ciclo si occupano di temigibellinesi, mentre le altre tre affronta-no temi ricadenti nella città di Messina.

Fig. 1. Municipio di Gibellina. (Foto del2008). La ricerca di una soluzione deldissidio tra “domestico” e “monumen-tale” costituisce il filo conduttore dellaprogettazione del Municipio

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sentato un importante momento nel metodo di controllodelle indagini scientifiche sul testo ed è stato un passag-gio fondamentale per l’approfondimento sulla conoscen-za del manufatto e per la definizione di un’ipotesi direstauro dell’edificio improntata al rispetto dei principîintrinseci del monumento ma al tempo stesso immune daun ossequio finalizzato al semplice ripristino. Attraverso le indicazioni dedotte dall’indagine storica edalla descrizione critica, fasi preliminari di studio orien-tate alla conoscenza, identificazione, riconoscimento e

interpretazione di valori, principî, caratteri specificitanto delle singole parti dell’opera quanto degli elemen-ti significativi del contesto, la ricerca giunge alla formu-lazione di un giudizio critico, su cui fondare le motiva-zioni della proposta d’intervento. Da tale riconoscimen-

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3. I documenti reperiti, gran parte deiquali inediti, hanno spesso per oggettonon soltanto il singolo progetto delMunicipio, ma comprendono l’interoCentro Civico. Tale progetto generale ècustodito presso l’Archivio CSAC diParma e l’Archivio IUAV di Veneziacon il titolo: I.S.E.S. Centro CivicoCulturale e Commerciale di Gibellina.

Fig. 4. Sala consiliare. Fronte sul parco.Ridisegno del progetto originario.

Fig. 5. Restituzione grafica dei prospetticon lo studio delle logiche compositive.Sebbene l’impiego dei tracciati regola-tori nell’architettura di Samonà non siamai esplicitato totalmente, si può osser-vare come l’impianto generale sia scan-dito da un tracciato regolatore basatosul principio della sezione aurea

Fig. 2. Rielaborazione grafica dellaplanimetria dell’ultima ipotesi diprogetto del Centro Civico eCommerciale. Stralcio

Fig. 3. Sala consiliare. Fronte sulla piaz-za. Ridisegno del progetto originario

Fig. 6. Restituzione grafica della piantadel piano terra con lo studio delle logi-che compositive. Studio b. La geome-tria dell’edificio è il risultato dell’in-contro di sistemi ortogonali autonomiall’interno dei quali vengono iscritte levarie funzioni. L’incontro di tali sistemisi risolve mediante spazi interstizialiliberi nei quali si producono movimen-to e comunicazione

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to e dalle interpretazioni dei significati attuali dell’edifi-cio, deriva la definizione, caso per caso, di obiettivi,temi e modalità specifiche del piano di lavoro. Il proget-to di restauro, considerato come una nuova fase nellavita del Municipio, definisce e rende coerenti l’insiemee le sue parti, reinterpretando il rapporto che s’instauracon la città e con il paesaggio, dimostrando la capacitàdel progetto originario di accogliere i nuovi cambia-menti e provando a consolidare la figura di protagonistadell’oggetto architettonico all’interno della scena urba-na e del tessuto edilizio. L’articolato rapporto che il monumento Municipio haavuto con il tempo è stato interpretato nel tentativo diritrovare un possibile sistema di regole, implicito onascosto. Rispetto a questo presupposto, il progetto sisviluppa in forma di continuità critica nei confrontidella preesistenza, attraverso una serie d’interventi chestanno alla base delle diverse direzioni in cui ha provatoa muoversi la ricerca.Le scelte operate dal progetto sono state guidate daiseguenti principi: ˗ rafforzare la centralità dell’edificio come centro simbolicoe rappresentativo del paese; ˗ realizzare un’integrazione funzionale attraverso una strut-tura architettonica di chiara riconoscibilità in grado di mani-festare la sua destinazione pubblica;˗ chiarire le gerarchie delle funzioni presenti e contempora-neamente definire una flessibilità degli spazi; ˗ sottolineare l’indipendenza gestionale e funzionale tra lediverse funzioni (Municipio, sala consiliare); ˗ adeguare gli spazi ai più alti standard di servizio che unedificio pubblico possa offrire in termini di confort di ade-guatezza e qualità degli spazi.

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Fig. 10. Sezione trasversale aulaconsiliare. Ipotesi di progetto

Fig. 11. Sezione Municipio. Ipotesi diprogetto

Fig. 9. Sezione longitudinale aulaconsiliare. Ipotesi di progetto

Fig. 8. Piano terra. Ipotesi di progetto

Fig. 7. Pianta della sala consiliare.Ipotesi di progetto

Fig. 12. La liberazione del portico.Esploso assonometrico. Ipotesi diprogetto

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Il progetto di restauro, attraverso differenti e complementarisoluzioni elaborate nell’ambito del dottorato, ha chiaritoche tali principi potevano essere affrontati attraverso:1. Un restauro urbano del contesto municipale, che nel pro-getto del 1971 proponeva un asse di attraversamento pedo-nale del centro civico.2. Un restauro di liberazione da elementi che ostruiscono ilportico per rendere possibile l’attraversamento nelle variedirezioni, operando così la ricomposizione dell’attacco aterra del Municipio e il restauro delle differenti modalità diaccesso. L’intervento si estende e coinvolge la riorganizza-zione del sistema della piazza attraverso la definizione deilimiti e l’articolazione delle presenze artistiche.3. L’integrazione di elementi architettonici rispondenti anecessità funzionali di utilizzo (le scale per accedere allacopertura, le modifiche distributive nella sala consiliare, ilcorpo aggiunto per un nuovo ingresso), salvaguardando laspecificità degli spazi preesistenti laddove possibile.4. L’adeguamento alle odierne esigenze prestazionali, neces-sario per una realistica rifunzionalizzazione dell’edificio.5. L’introduzione di elementi d’innovazione tecnologica,quali l’utilizzo di materiali moderni sotto il profilo dellafunzionalità tecnica e manutentiva.La ricerca ha offerto anche l’opportunità di ampliare laconoscenza e contribuire al riconoscimento di valore diun’opera la cui concezione mostra caratteri di origina-lità e indubbi elementi di continuità rispetto a tematichee orientamenti individuabili, in particolar modo, nellaricerca progettuale di Giuseppe Samonà.4Il continuo rimando tra pubblico e privato, in un giocosapiente di dualismo semantico, trova corrispondenzanel rapporto tra forma e funzione che in quest’opera diGiuseppe Samonà è sviluppata nella concezione dellediverse logiche compositive. Se il contenuto funzionaledell’edificio è chiaramente denunciato dal differentetrattamento dei volumi, nella sua bipartizione tra spazidedicati alle esigenze amministrative e alle relazionicon il pubblico, più sofisticata appare l’attenzione pre-stata dall’architetto a problematiche quali il proporzio-namento dell’edificio, la logica configurativa dell’invo-lucro e l’esigenza di monumentalità che traspaiono dadifferenti caratteri dell’edificio. La ricerca e la descrizione degli aspetti più innovatividel progetto del Municipio (dal punto di vista distributi-vo, compositivo, strutturale e tecnologico), ha rappre-sentato inoltre, un’occasione di riflessione sul modo diinterpretare il significato del linguaggio e dei simboliespressi da quest’architettura.

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4. Il progetto per il Centro Civico, eper il Municipio sono espressione diquella tensione tra architettura e urba-nistica costantemente ricercata eauspicata da Samonà, pertanto, ai finidel completamento di conoscenza sultema del Municipio e in relazione allapiù ampia ricerca progettuale diGiuseppe Samonà, lo studio si è con-centrato su due tematiche della suapoetica che ricorrono nell’edificiomunicipale di Gibellina: una è quelladel “monumento”, l’altra riguarda iltema dell’involucro, che racchiude inse concetti più generali attinenti alsignificato dell’edificio.

Fig. 13. La riconfigurazione dellapiazza. Ipotesi di progetto

Fig. 14. Il parco a ovest delMunicipio. Ipotesi di progetto

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La ricerca riguarda lo studio di un’opera innovativaquale l’hangar per dirigibili di Augusta in provincia diSiracusa realizzato nel 1917 dall’ingegnere AntonioGarboli.1L’opera rappresenta il risultato di un’ardita concezioneingegneristica, di particolare rilevanza storica per esse-re uno dei pochi edifici dell’età pioneristica dell’avia-zione a essere sopravvissuto e l’unico al mondo intera-mente costruito in calcestruzzo ad eccezione dei gigan-teschi hangars gemelli per i dirigibili “Limousin”costruiti nel 1921, ad Orly, da Eugène Freyssinet, mademoliti nel 1944.Attraverso lo studio dell’hangar di Augusta la ricercavuole indagare le questioni legate alla conoscenza,all’interpretazione critica e alla conservazione dell’ar-chitettura moderna. I ragionamenti legati al recupero e al riuso, all’internodel più ampio ambito di studi sul “restauro delModerno”, si pongono anche come strumento di letturacritico-interpretativa delle caratteristiche intrinseche delmanufatto secondo specifiche tematiche riferite princi-palmente ad alcuni aspetti specifici della fabbrica.2Il rapporto con il paesaggio e le relazioni tra contesto especificità morfologico-storiche dell’ambiente circo-stante, il confluire dell’architettura tecnica nel problemaestetico generale dell’architettura moderna tra evidenzatettonica e sperimentalismo strutturale, e il rapporto traclassicismo e tecnica nell’architettura del “moderno”,non solo rappresentano una chiave di lettura fondamen-tale per la comprensione dell’opera, ma uno strumento

Problemi di tutela, problemi di pro-getto. L’hangar per dirigibili adAugustaGiuseppe Borzellieri

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Fig. 2. La mole dell’hangar avvoltadalla folta vegetazione

2. Sui principi architettonici indagatie sull’impostazione metodologicaadottata per lo sviluppo della ricer-ca, si veda PALAZZOTTO E. (a curadi), Il progetto nel restauro delmoderno, Quaderni del Dottorato diRicerca in ProgettazioneArchitettonica, Palermo 2007 ePALAZZOTTO E. (a cura di), Il restau-ro del moderno in Italia e inEuropa, Quaderni del Dottorato diRicerca in ProgettazioneArchitettonica, Palermo 2011.

1. Il contributo di Antonio Garbolinell’arte del progetto strutturale haprodotto un significativo rispetto peril potenziale tettonico espresso allo-ra. Sensibile sia agli aspetti tecnico-strutturali che a quelli compositivi epaesaggistici, egli rende possibile lacostruzione di un’opera che se riferi-ta al periodo in cui è stata realizzatacon i mezzi e le competenze di allo-ra, assume i connotati dell’impresa.

Fig. 1. Hangar per dirigibili di Augusta,immagine relativa al dirigibile tipo“O.S.” che nel 1924 raggiunse l’aero-scalo di Augusta. (Centro di documenta-zione “Umberto Nobile”, Vigna diValle, Bracciano, Roma - CdUN)

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analitico in grado di finalizzare e sviluppare all’internodella ricerca, le stesse tematiche come elementi centralidel progetto. È attraverso la “valorizzazione innovativa” delle speci-fiche caratteristiche fisiche e vocazionali espresse dalcomplesso monumentale dell’hangar, che si cercherà digarantire la piena integrazione tra l’esistente e ilnuovo.3

A partire dalla lettura dei principi di carattere “elemen-tare”: un’aula contrassegnata dalla ripetizione di con-trafforti esterni e da un grande portale, il progetto tentadi confermare e valorizzare il carattere del grande spa-zio interno.L’opera rientra a pieno titolo fra quelle testimonianze diarcheologia industriale, di un passato che conobbe pre-cise specializzazioni nel settore ingegneristico-militare,e il caso dell’hangar di Augusta diventa del tutto ecce-zionale se si considera il fatto che a governare l’intero

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3. Cesare Ajroldi sostiene che «… ilriferirsi a casi conclamati, a veri epropri monumenti della contempo-raneità, consente meglio di porsi inrelazione con un sistema di regole.Lo studio di questi edifici non puòprescindere dall’analisi delle fasi diformazione del progetto, da unaindagine che assume con nettezza icaratteri dell’obiettività e della tra-smissibilità». AJROLDI C., Il restau-ro del moderno: un progetto aPalermo, in PALAZZOTTO E. (a curadi), Il progetto nel restauro delmoderno…, op. cit., pp. 9-16.

Fig. 5. Piante ai vari livelli, prospettie sezioni relativi all’intervento diprogetto

Fig. 4. Sezioni e profili del paesaggiocircostante l’hangar (progetto)

Fig. 6. Planimetria generale del com-plesso dell’aeroscalo riferita alla quotad’ingresso all’hangar (progetto).

Fig. 3. L’interno dell’hangar appenaultimato. In fondo la scala che per-metteva l’accesso alle passerelle diservizio: le due laterali e quella cen-trale, che consentivano la manuten-zione del dirigibile, 1920 (CdUN)

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sistema, incidendo in maniera significativa sia negliaspetti costruttivi che espressivi, non è l’impiego dellaprefabbricazione ed il conseguente modulo combinato-rio che la contraddistingue, ma un’architettura concepi-ta dal basso verso l’alto, anche nel vero senso di cresci-ta dell’edificio, che impiegando casseri, armature e for-nitura di calcestruzzo in loco, acquisiva anche graziealle sue incastellature lignee, le caratteristiche del can-tiere di una grande fabbrica.4Il progetto di restauro consiste nell’inserimento all’in-terno dell’hangar di un nuovo sistema strutturale, indi-pendente dalla struttura esistente e finalizzato all’idea diistituire una sorta di percorso all’interno di un grande“cassa muraria” introiettando al suo interno tutte quellespecifiche relazioni che la fabbrica istituisce con il pae-saggio circostante. La “gabbia trilitica”, intesa come elemento semplice dellinguaggio architettonico ed inserita all’interno dellaspazialità dell’hangar, si predispone come elemento sucui innestare il nuovo sistema dei percorsi: una sequen-za di quindici cavalletti metallici compongono una sortadi camminamento, che all’interno della “grande scato-

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4. Al processo della prefabbricazioneappartiene il principio della norma-lizzazione o standardizzazione deicomponenti, la prefabbricazionedegli elementi costruttivi, la gestionedel processo di costruzione e ilmodello combinatorio dei moduli.Questi aspetti incidono sulla costru-zione in maniera significativa, a voltene determinano anche la qualità este-tica finale. È fin troppo evidente risa-lire al fatto che il processo di costru-zione dell’hangar per dirigibili diAugusta non è stato regolato dai prin-cipi della prefabbricazione.

Fig. 9. Sezione prospettica longitudi-nale raffigurante la nuova condizio-ne spaziale interna dell’hangar (pro-getto)

Fig. 8. Esploso assonometrico gene-rale del sistema centrale dei cavallet-ti, del sistema del portale d’ingressoe della chiusura posteriore (progetto)

Fig. 7. Planivolumetrico relativo allasistemazione esterna del complessodell’aeroscalo (progetto)

Fig. 10. Schema raffigurante lascomposizione della fabbrica in partisignificative

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la” costituirà il luogo da dove osservare sia il grandevuoto centrale, ossia il luogo di una scena o di un even-to espositivo, sia il paesaggio circostante. Rivelare le geometrie implicite, le regole di ripetizionee di aggregazione, il potenziale tettonico espresso dallesue forme, significa aiutare il “testo” stratificato a “con-quistare” nuove coerenze e a cercare inedite amplifica-zioni.5Si introduce una sorta di “macchina” in senso proprio,concepita per risarcire questo grande spazio della perdi-ta di quanto vi era una volta ospitato, evocandone, sep-pure per analogia metaforica, la presenza, ed improntataall’assoluta autonomia strutturale.Parlare di carattere di un luogo significa pensare all’a-zione conoscitiva dell’architettura che deve iniziare“misurandola” con quelle che sono le sue forme archeti-pe, cioè la dimensione concettuale che precede l’ideastessa del progetto.6L’attenzione si sposta verso il riconoscimento e l’identi-ficazione di queste unità di misura e del campo archeo-logico del quale esse costituiscono le polarità, configu-randosi come insieme dei modi di esistenza ma soprat-tutto come chiave di lettura sia dello spazio architettoni-co sia di un contesto naturale Il progetto pone quindi come questione prioritaria quel-la della ri-definizione tipologica e del suo significato.7

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7. Secondo Aldo Rossi, le questionitipologiche hanno sempre percorsola storia dell’architettura e il concettodi tipo è «qualcosa di permanente edi complesso, un enunciato logicoche sta prima della forma e che lacostituisce». ROSSI A., L’architetturadella città, Padova 1966.

Fig. 11. Lo spazio interno viene “occu-pato” da un volume che grazie alla suanatura diafana permette di coglierel’intera percezione spaziale dell’han-gar (progetto)

5. Per le operazioni progettuali condot-te all’interno dell’hangar, diventa fon-damentale comprendere la strutturadello spazio. Franco Purini sostiene chela struttura dello spazio si articola indue modelli contrapposti: «Il primoderiva dalla griglia tridimensionale chematerializza l’impianto prospettico dimatrice brunelleschiano-albertiana. Inquesto caso gli oggetti s’inseriscono inun sistema isotropo e subordinano sestessi e i loro elementi costitutivi, allaregola determinata dalla quadraturadelle superfici che formano la gabbiaideale che li contiene (...). Il secondonon prevede schemi regolatori ma sibasa sulla semplice contrapposizione divolumi autonomi. Esso è lo spaziogreco, che si esprime esemplarmentenell’irregolare gioco di solidi perfettiche animano l’Acropoli di Atene».PURINI F., Comporre l’architettura,Roma-Bari 2000.

6. Come ha osservato AntonioMonestiroli «... la nozione di caratte-re, già presente nell’architettura del-l’antichità, diviene per gli architettidell’illuminismo la chiave di volta ditutto il loro sistema teorico. [...] Nelmomento in cui gli ordini dell’archi-tettura classica vengono progressiva-mente abbandonati, ci si trova difronte al problema di costruire unnuovo linguaggio e di doverlo fonda-re teoricamente». MONESTIROLI A,,La metopa e il triglifo, nove lezioni diarchitettura, Roma-Bari 2002.

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Nell’ambito del tema generale proposto ai dottorandidel XXIII ciclo, “Il restauro del Moderno”, il collegiodei docenti, ha individuato, in continuità con il lavorogià svolto in campo internazionale, il gruppo scolasticoel Timbaler del Bruc a Barcellona, progettato nel 1957dagli architetti catalani Oriol Bohigas e Josep M.Martorell. La prima riflessione riguarda la sua colloca-zione temporale distante da quel “periodo” a cui si faappartenere solitamente l’architettura del movimentomoderno. Ma è necessaria una data di nascita per asse-gnare ad una opera il titolo di moderna?1 Forse è suffi-ciente, perché un’architettura possa essere considerata

Il gruppo scolastico “el Timbalerdel Bruc” a Barcellona di OriolBohigas e Josep M. Martorell. Traarchitettura e pedagogiaValerio Cannizzo

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1. Sui rapporti temporali legati alMovimento Moderno A. Sciascia scri-ve: «Il restauro del moderno, conte-nendo in un arco temporale più ristret-to i due termini della questione –restauro e architettura moderna – nepropone inevitabilmente, un confrontodiretto riportando ad un nuovo puntodi vista, la riflessione sull’architetturamoderna. La denominazione di que-sta, a prescindere dal termine cronolo-gico a quo, ha il suo acme in molti“racconti” storici nei primi anni delXX secolo». SCIASCIA A., Restaurodel moderno. Restauro del metodo, inPALAZZOTTO E. (a cura di), Il progetto

Fig. 1. BOHIGAS O., MARTORELL

J.M., Gruppo scolastico ElTimbaler del Bruc, 1957. La pro-fessata unità compositiva vieneeseguita solo in parte. All’evidentee chiaro carattere del bianco edifi-cio dove si trovano le aule per lascuola elementare, riconducibilead una matrice razionalista, si con-trappone il basso corpo circolaredove la superficie vetrata vienetrattata in modo continuo dallabase sino al coronamento. (Fototratta da Grupo escolar ElTimbaler del Bruc, in «Cuadernosde arquitectura», n. 51, 1° trime-stre 1963, p. 15)

Fig. 2. Pianta a quota + 0.00. (Fototratta dall’archivio dello studioMBM, tav. RH-122 n. 2, Barcellona)

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moderna, quel riconoscimento di valore di cui parlaGiovanni Carbonara attraverso un giudizio storico-criti-co.2 Il concetto di architettura moderna, insito in questoprogetto, ancora prima che nella soluzione formale del-l’edificio stesso, è il frutto di un legame ideologico chegli autori hanno conservato nei confronti di una genera-zione precedente di architetti. Questo legame emerge già dal primo incontro avuto conOriol Bohigas. Confrontarsi direttamente con il progetti-sta diviene occasione singolare lungo questo percorso distudio. Le conversazioni che si sono succedute hannomesso in luce tutti quei passaggi culturali che hannointeressato lo stesso Bohigas e Josep Martorell e chehanno caratterizzato le loro opere degli anni cinquanta. Al fine di legittimare e tracciare un percorso direttoverso il restauro del moderno è necessario utilizzaredegli strumenti utili alla conoscenza dell’opera e chesiano propri dell’architettura moderna.3 Il primo, in ordi-ne pratico, è il tema del rilievo che stabilisce il confrontotra passato e presente, l’unità compositiva dell’opera e lasua funzione che, per un edificio specialistico come que-sto, acquista valore significativo. Infatti questa fase evi-denzia come l’opera scelta si avvicini alla eredità delMovimento moderno e alle più interessanti ricerchepedagogiche del tempo. Il riconosciuto principio peda-gogico su cui si fonda questo gruppo scolastico è quellodella scuola all’aperto,4 incentrato sulla volontà di stabi-lire un rapporto diretto tra alunno e spazio naturale.

Con riferimento a questa prima fase di conoscenza del-l’opera si è approfondita l’attività progettuale degli edi-fici destinati all’educazione, realizzati tra gli anniCinquanta e Settanta, dai due architetti catalani.All’interno del dibattito internazionale, in Europa il pro-getto di edifici destinati all’educazione si gioca sulladialettica tra aperture e spazio chiuso, sulla relazione traaule e spazi aperti. In entrambi gli ambiti, comunque,già a partire dal 1946, si definisce un tipo di scuola ispi-rata ad una pedagogia attiva: sale comuni e patio diven-

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3. Scrive Antonino Marino che «... laricerca di alcuni criteri generali datenere presente per il restauro delmoderno deve […] da un lato tenerein considerazione i contenuti teoricied operativi del restauro storico e dal-l’altro operare una riflessioneapprofondita sui caratteri e i contenu-ti dell’architettura moderna. […] èpossibile enucleare cinque temi - il

2. In merito all’attribuzione di un giu-dizio di valore sull’opera GiovanniCarbonara scrive: «Se “restauro” èintervento attuato, in primo luogo, afini di conservazione d’un oggetto cuisi riconosca un valore storico, artisti-co, di cultura o, in altre parole, di“testimonianza materiale avente valo-re di civiltà” si dovrà concludere chenon tutti gli interventi sulle “preesi-stenze” sono restauro (e che il “recu-pero”, che col primo tende spesso aconfondersi, è in realtà, per motivazio-ni di fondo, anche se non sempre permetodi e tecniche, tutt’altra cosa) eche non tutto il costruito è di per sébene culturale, ma solo quello che siariconosciuto tale attraverso un giudi-zio storico-critico». In CARBONARAG., op. cit., p. 21.

nel restauro del moderno, L’Epos,Palermo 2007, pp. 53-54. AggiungeCarbonara: «Di fronte all’edificio diqualità non dovrebbero sorgere dubbi:esso può considerarsi meritevole ditutela e restauro già per il solo valoreartistico, in totale indipendenza dallasua età ed anche se il suo autore fossetuttora vivente». CARBONARA G., Ilrestauro del moderno come problemadi metodo, in «Parametro», n. 266,novembre-dicembre 2006, p. 22.

Fig. 3. Negli anni Trenta anche laCatalogna vede l’apertura di diversescuole Montessori. Alla tradizionaleaula si affianca uno spazio all’apertodove i bambini possono lavorare.(Foto tratta da Ajuntament delBarcelona, L’escola pùblica deBarcelona i el mètode Montessori, IIde març MCMXXXIII)

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gono, definitivamente, il cuore della scuola. Così ilnuovo tipo di scuola, di cui l’esperienza spagnola èparadigma, è per molti versi il frutto dell’evoluzionedella moderna pedagogia. Sulla scia del dibattito cultu-rale e architettonico, nella prima metà degli anniCinquanta l’amministrazione della città catalana attua,per i nuovi quartieri, un programma di costruzione dinuovi gruppi scolastici. A cavallo tra gli anni Cinquantae Sessanta del Novecento, lo studio di architettura coor-dinato da Oriol Bohigas e Josep Martorell, del qualefarà parte l’architetto inglese David Mackay, ricopre unruolo di rilievo anche all’interno del panorama architet-tonico scolastico spagnolo. Dallo studio dei progetti emerge un approccio che indi-vidua due differenti modi di agire che definiscono unanetta linea di demarcazione all’interno dello stesso temadi lavoro (rapporto aula e tessuto connettivo). Questadistinzione ha portato la ricerca verso un approfondi-mento delle “fonti” (l’esperienza architettonica deiCiam e quella del Team X e la ricerca pedagogica diMaria Montessori) divenendone singolare declinazione.Il confronto tra i progetti di edifici destinati all’educa-zione di Bohigas e Martorell e i riferimenti culturalianalizzati, hanno messo in luce i principi fondativi (rap-porto architettura città, spazio all’aperto, relazione tra leparti) del Timbaler del Bruc. Le qualità dell’opera, evidenziate dall’approfondimen-to, ed in parte compromesse dall’uso, hanno reso neces-

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4. «A partire dalla prima metà delXIX secolo l’attenzione dei pedago-gisti viene rivolta verso una “nuova”scuola dove alle tradizionali auleviene affiancato uno spazio all’aper-to destinato alle attività didattiche.(...) Nel tempo prende sempre piùforza, in molte nazioni, una culturache pone al centro degli aspetti edu-cativi il rapporto diretto con la natu-ra. Particolarmente significativisono i contributi lasciati inInghilterra da Margaret Mc Millancon la sua città giardino per bambinio da Rousseau che già nel XVIIIsecolo affermava l’importanza deglieffetti benefici che l’attività all’aper-to ha per i bambini, ed ancora all’i-nizio del XX secolo MariaMontessori scopre la relazione tracapacità fisica e mentale inventandouna struttura di gioco capace dicombinarle entrambe». Cfr. DUDEK

M., Métodos maestros. Un recorri-do històrico por la enseñanza pre-scolar, in «Arquitectura Viva», n.126, V-VI 2009, pp. 25-29.

rilievo, l’unità, la funzione, la tecni-ca, il progetto - sui quali l’architetturamoderna assume una sua autonomiaconcettuale». MARINO A., Quattrotemi per il moderno, in PALAZZOTTOE. (a cura di), op. cit., p. 37.

Fig. 4. Recinzione realizzata nel 2009

Fig. 5. La recinzione originaria.(Foto tratta da Grupo escolar ElTimbaler del Bruc, in «Cuadernos dearquitectura», n. 51, 1° trimestre1963, p. 14)

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saria l’elaborazione di un progetto di restauro delmoderno coerente con la tematica e con il modus ope-randi del dottorato. Dagli anni Cinquanta ad oggi l’edi-ficio ha subito diverse manomissioni che ne hanno alte-rato il carattere ed ancor di più i principi pedagogici cuisi ispirava. Lo studio del Timbaler del Bruc ha messo in luce dellecriticità che sono diventate temi per il lavoro di ricerca:- Il legame tra architettura e pedagogia;- Il rapporto tra architettura e città giocato sul filo delrecinto.

Il punto di partenza diviene il programma pedagogicoperseguito e come questo influenzi e venga condiziona-to da una architettura per l’educazione.Rispetto agli attuali orientamenti pedagogici, l’educa-zione e la formazione del bambino non si concludonoall’interno dell’edificio scolastico ma tendono a coin-volgere il quartiere. Il primo tema messo a fuoco, all’in-terno del ragionamento progettuale, diviene quello del

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Fig. 7. Il tema dello spazio all’aper-to, ricopre per le attività di una scuo-la, un ruolo fondamentale. Nel casodel Timbaler del Bruc gli aspetti edu-cativi, legati alle attività all’esterno,vengono amplificati con l’uso delleterrazze. Pertanto si è scelto di por-tare avanti due possibili soluzionidella zona all’aperto: campo sporti-vo e spazio ludico. La soluzione incui lo spazio all’aperto viene destina-to al gioco si è voluta distinguere indiversi ambiti, per i bambini

Fig. 6. Le fasi di ricerca necessarie astabilire i principi dell’opera e lerelazioni tra il Timbaler del Bruc edil suo rapporto con la città, trovanoun momento di sintesi nel progetto diun nuovo ingresso alla scuola. Alfine di sottolineare, e quindi renderevisibile l’ingresso sulla carrerd’Emili Roca, si è pensato ad unlungo padiglione posto all’internodel recinto della scuola ma che, perla sua pronunciata copertura, vengaidentificato anche dall’esterno

Fig. 8. L’edificio circolare dell’asilocostruito nel 1960 viene demolito ametà degli anni Ottanta per fareposto al campo sportivo. Attualmentegli spazi destinati all’asilo occupanotre aule della scuola primaria. (Fototratta dall’archivio fotografico dellascuola Timbaler del Bruc)

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limite. Il recinto che ha il compito di separare due ambi-ti acquista, attraverso il progetto, un valore aggiunto; sitrasforma da elemento di divisione in elemento di rela-zione e scambio: un filtro. Allo stesso modo l’area incui si trova il campo sportivo, una volta dedicata alvolume cilindrico dell’asilo, si configura all’internodella scuola come “vuoto”, divenendo una nuova risor-sa. Così come è stato concepito da Bohigas e Martorell,il progetto della scuola tende a creare, attraverso il rap-porto tra le parti, delle relazioni spaziali che divengonooccasione di relazione sociale. L’edificio viene concepi-to su più livelli dove ogni aula acquisisce una propriaautonomia d’uso. Proprio questa indipendenza tra leparti del Timbaler del Bruc diviene motore di un movi-mento di bambini e insegnanti che tende a stabilire,

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Fig. 10. Le attuali necessità educati-ve vedono lo svolgersi delle attivitàdidattiche all’interno di specificheaule. Studenti e insegnati si spostanodurante le ore del giorno nelle diver-se aule dedicate. Il Timbaler delBruc è frutto della composizionemodulare dove le aule si ripetono inmodo uguale. Pertanto oltre cheripensare all’organizzazione funzio-nale dei diversi ambienti in funzionedell’età dei bambini e dell’attivitàche vi si andrà a svolgere è statoopportuno dare identità alle auleattraverso l’organizzazione degliarredi interni

Fig. 9. Il ballatoio in particolari cir-costanze supera la sua funzione ditessuto connettivo e si trasforma invero e proprio luogo di incontro erelazione tra i bambini. (Foto trattadall’archivio fotografico della scuolaTimbaler del Bruc)

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oggi ancora di più, l’occasione di incontro. Ulteriorepassaggio riguarda il ruolo dell’aula per le attività didat-tiche, dove il bambino passa gran parte della sua giorna-ta. Il tema dell’aula acquista in questa circostanzaun’autonomia che si pone come progetto nel progetto. Èpossibile affermare che i ragionamenti di caratteregenerale già affrontati incominciano e si concludonoall’interno della singola aula.5 Lo sforzo progettuale èquello di fare acquisire all’aula un carattere domestico,qui il bambino può lavorare serenamente come a casapropria. Il progetto di restauro, recuperando i principi dell’ope-ra, non agisce esclusivamente sul manufatto ed infatti,pur rimanendo circoscritto all’interno del suo perimetro,tende a coinvolgere un ambito urbano ben più ampio.

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5. Quello dell’aula scolastica è untema che nel tempo, soprattutto nelsecolo scorso, ha trovato diversedeclinazioni compositive legate allenuove ricerche pedagogiche. Questoambiente, in particolare l’aula del-l’asilo, ha cambiato molto spesso lasua configurazione, da semplicevano regolare si è trasformato in unospazio sempre più articolato dovegli allievi potevano svolgere più atti-vità contemporaneamente. Allo spa-zio dell’aula, successivamente, si èaccostato quello di un ambito all’a-perto al fine di stabilire un contattotra bambini e natura.

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«(...) il benessere dell’albero per le sue radici, la felicità di nonsapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passatocome eredi (...) - è questo ciò che oggi si designa di preferenzacome il vero e proprio senso storico». Ma «quando il senso storiconon conserva più ma mummifica la vita, allora l’albero muore,innaturalmente, disseccandosi a poco a poco verso la radice - e daultimo generalmente perisce la radice stessa. La storia antiquariadegenera nel momento stesso in cui la fresca vita del presente nonla anima e ravviva più».1

Nell’ambito del tema generale de La scienza del proget-to nel restauro del Moderno il Collegio dei docenti haproposto, tra gli altri, il caso di Palazzo Scia a Catania,progettato nel 1951 da Luigi Positano (in collaborazio-ne con Aldo Arcangeli, strutturista) e realizzato sotto lasua direzione entro la prima metà del 1953.Il progetto, fase conclusiva di un itinerario conoscitivodell’opera che ha permesso di identificarne i principifondativi, è stato elaborato mirando al restauro deimedesimi cercando di conciliare gli interessi conflig-genti della conservazione e dell’innovazione.L’istruttoria ha segnalato la necessità di risolvere, con-testualmente alle operazioni da condurre sull’edificio, ilproblema di una contigua lacuna dell’edificato, al finedi migliorare le relazioni che il palazzo intrattiene conun contesto che negli anni si è sviluppato con esitidiscutibili. È emersa, anche, l’idea di attribuire all’Anceil ruolo di ideale committente: innanzitutto perché dal-l’insediamento dell’ente in spazi concepiti originaria-mente per la residenza sono scaturite le modificazionipiù rilevanti - e quindi risolvere questo innesto si è rite-nuto necessario per ristabilire quella congruità deglispazi che definisce l’insieme dei valori di cui palazzoScia è memoria -, ma anche perché questa ipotesipotrebbe rappresentare una garanzia di tutela, legandoquesta agli interessi di un preciso soggetto. L’Ance,all’uopo interpellata, ha sottolineato l’impossibilità didisporre di spazi idonei per gli eventi divulgativi, espo-sitivi e didattici che periodicamente promuove: da quil’idea di proporre un nuovo edificio nel sito angolarelimitrofo al palazzo, rispondendo così a un tempo allequestioni concernenti la riqualificazione del contesto

Una declinazione del moderno inSicilia. Palazzo Scia a Catania(1951) di Luigi PositanoGiovanni Giannone

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1. NIETZSCHE F. W., UnzeitgemäßeBetrachtungen, Zweites Stück:Vom Nutzen und Nachteil derHistorie für das Leben, 1874. Tr.it. di Sossio Giametta inSull’utilità e il danno della storiaper la vita, Adelphi, Milano 1973-1974 (XIX edizione, Milano 2009,pp. 26, 27).

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dell’opera e alle necessità dell’associazione che, mante-nendo i propri uffici nel palazzo, verrebbe a disporre diuna sala conferenze, spazi espositivi, aule didattiche ecaffetteria. Il nuovo edificio è stato disegnato in analo-gia a palazzo Scia. In entrambi i casi un impianto a L,con collegamenti verticali disposti in posizione baricen-trica, definisce volumi ortogonali che determinano unacorte aperta verso l’isolato di appartenenza. I frontiurbani che ne conseguono registrano le differenti quali-ficazioni figurative indotte dai diversi ruoli gerarchici

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Figg. 1a-1b. POSITANO L., PalazzoScia, Catania 1951-1953. Planimetria e profilo su viale VittorioVeneto, stato di fatto.La configurazione di questa parte diCatania (lottizzazione Scammacca)secondo isolati rettangolari, definiti apartire dalla continuità su strada deifronti edificati secondo la regola orto-gonale dei tracciati disegnati dalpiano Gentile Cusa, implica la letturadel vuoto angolare limitrofo a palazzoScia come episodio in attesa di risolu-zione mediante un pieno, tanto più cheil prospetto cieco dell’edificio per abi-tazioni che ne definisce il limite a nordappare come cicatrice dell’edificatoche aspira a essere ricucita

Figg. 2a-2b. POSITANO L., PalazzoScia, Catania 1951-1953. Planimetriae profilo su viale Vittorio Veneto, dise-gni di progetto.Il progetto di un nuovo edificio a usodell’Ance, intervento complementareal restauro di palazzo Scia, consentedi riqualificarne il contesto radicandola presenza dell’ente attraverso il sod-disfacimento degli usi che non posso-no trovare adeguata allocazione neglispazi dell’edificio. Si è optato per unvolume a L, alto quanto gli edificigemelli per abitazioni che costituisco-no i canti opposti dell’incrocio strada-le nonché quanto il corpo dei simplexdi palazzo Scia prospettante su viaGenova. La hall-foyer è disposta incorrispondenza dell’incrocio viario,denunciata esternamente da un dop-pio ordine di superfici vetrate scanditedal passo strutturale che definisce, inanalogia a palazzo Scia, la partebasamentale. Il parallelepipedo dellasala conferenze, compenetrando ilvolume a L, determina un portico atriplice fornice e triplice altezza edetermina una loggia passante che, inrelazione con la caffetteria, prosegueall’interno in una terrazza, corte por-tata in quota omologa a quella dipalazzo Scia. Il terzo piano è destinatoa eventi espositivi mentre gli ultimidue livelli ospitano locali amministra-tivi e per attività didattiche definendo,con un ritmo regolare di finestre qua-drate reiterato per tutta la lunghezzadel fronte, il coronamento dell’edificio

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delle strade su cui prospettano, ottenute però a partiredall’idea di inversione dei rapporti tra pieni e vuoti edelle tensioni lineari con cui questi sono composti: ivuoti ordinati verticalmente su viale Vittorio Veneto e ipieni organizzati orizzontalmente su via Genova, dipalazzo Scia, sono stati invertiti nel nuovo edificio. Lascelta di procedere per analogia: 1) ha permesso di approfondire la conoscenza del primomediante la determinazione del secondo; 2) ha consentito di pervenire al nuovo per filiazione cri-tica dall’esistente, garantendo la lettura unitaria di ope-razioni agite diagonalmente, tra restauro e progettazio-ne.bPer quanto concerne espressamente al palazzo, i temi diprogetto sono conseguiti dal riconoscimento di un tripli-ce ambito di questioni che, distinte pur nella reciprocainterazione, sono scaturite dalla lettura delle parti fon-damentali dell’edificio: il primo attiene ai due livelliche ne definiscono l’attacco al suolo, concepiti rispetti-vamente per attività commerciali e uffici; il secondoconcerne il corpo delle residenze, costituito dall’aggre-gazione per blocchi omogenei di alloggi duplex e sim-plex; il terzo è relativo al coronamento, risolto comesistema di coperture piane in buona parte praticabili.Per il basamento si è scelto di conservare le attualidestinazioni d’uso giacché a esse, sin dal progetto pri-stino, è demandato il compito di risolvere il passaggiodalla città all’edificio (dallo spazio pubblico a quelloprivato). In riferimento al progetto originario, si è ricon-figurata la corte interna (le cui potenzialità tipologichesono state contraddette dalla realizzazione dei parcheggisecondo il lato lungo della corte invece che secondo illato corto) mediante l’eliminazione dei garage (peraltro

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Figg. 3a-3b-3c. POSITANO L., PalazzoScia, Catania 1951-1953. In alto: profilo su viale VittorioVeneto; al centro: profilo su viaGenova; in basso: sezione trasversale.Colonna sinistra: disegni del progettooriginario; colonna centrale: disegnidello stato di fatto; colonna destra:disegni di progetto.Al piano terra, lo spazio che nello statodi fatto si è ridotto a mero ambito fun-zionale di parcheggio assume valore dicorte mediante la rimozione dei gara-ge; un caffé ricavato negli spazi, datempo inutilizzati, dell’alloggio per ilcustode, mette in relazione la corte conla via Genova. La natura, a un tempopubblica e privata, della corte è conso-lidata dalla pianificazione dell’apertu-ra permanente, durante le ore diurne;l’atrio interno, in questa prospettiva,diviene una galleria civica. Gli interventi sugli alloggi mirano alristabilimento della massima chiarez-za d’impianto, salvaguardando gliimpaginati prospettici che ne conse-guono, per i quali sono previste azioniesclusivamente conservative. Il duplexè riassettato a partire dalla definizio-ne di un soggiorno a doppia altezza incontinuità con l’ordine doppio dellaloggia antistante. Il simplex è ridotatodella loggia contigua al soggiornoprevista dal progetto originario, inmodo da restaurare il principio di tra-sparenza adottato da Positano perrisolvere il raccordo delle due partidifferentemente alte in cui la fabbricaè articolata. Il ripristino delle mensole aggettivantiil coronamento del corpo dei duplex ela sistemazione, secondo i caratteridel tetto giardino, del sistema di ter-razze a differenti quote che costituiscela copertura del volume dei simplex,terminano il progetto di restauro

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insufficienti rispetto al numero dei residenti) sostituitida un parco auto sotto il nuovo edificio e, coinvolgendoparti dei piani terra e primo, definendo un ingresso rap-presentativo agli uffici dell’Ance da via Genova, inomologia a quanto già avviene per la Confindustria daviale Vittorio Veneto. Riguardo alle abitazioni, si è deciso di riformularne gliassetti interni al fine di condurre alla massima chiarezzai valori spaziali rimasti allo stato potenziale o compro-messi nel tempo; si è però avuto cura, in virtù della loropregnanza storica ed estetica, di preservarne i caratteritipologici e distributivi nonché l’impaginato e la mate-ria dei fronti urbani da essi determinati, per i quali sonostate previste azioni canonicamente conservative. Inparticolare: i duplex sono stati dotati di un soggiorno adoppia altezza in continuità con l’ordine doppio dellaloggia antistante, rendendo più evidenti le relazioni coni riferimenti lecorbusieriani (immeuble-villas) tenuti inconsiderazione da Positano; i simplex sono stati ridotatidelle logge su via Genova previste dal progetto origina-rio quale determinazione del principio di trasparenzaimpiegato per risolvere la contiguità di superfici pro-spettiche diversamente alte, secondo la lezione trattadalla casa Rustici-Comolli a Milano di Terragni. In merito alle coperture e alle soluzioni d’attico, infine,si è proposto il ripristino delle mensole aggettivanti ilcoronamento del corpo dei duplex (recentemente demo-lite pur essendo elementi significativi dell’opera sulpiano storico, estetico e tecnologico) e la riconfigura-zione, nei termini spaziali propri del tetto-giardino, delsistema di terrazze a differenti quote che definisce laterminazione del corpo dei simplex, in modo da esplici-tarne i riferimenti alla cultura progettuale delMovimento Moderno nella declinazione attuata nellericerche milanesi facenti capo alle esperienze diTerragni e Ponti.

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«l’unica via praticabile resta allora quella di un’architettura diricerca, un’architettura che persegua, con un’adeguata strumenta-zione, l’approfondimento delle proprie motivazioni ed il consegui-mento dei propri esiti formali»1

La tesi qui presentata, sviluppata all’interno del XXIIICiclo di Dottorato di Ricerca in ProgettazioneArchitettonica dell’Università degli Studi di Palermo eche vede come tutor il Professor Dario Costidell’Università degli Studi di Parma e come co-tutor ilProfessor Antonio Pizza, docente presso la EscolaTècnica Superior d’Arquitecture de Barcelona dellaUniversitat Politécnica de Catalunya, indaga, attraversola sperimentazione progettuale, la possibilità di applica-re la metodologia del restauro del Moderno alla scalaurbana.

Il lavoro è stato sviluppato su due binari paralleli: da unlato lo studio dell’edificio per abitazioni operaie di car-rer Pallars realizzato a Barcellona tra il 1958 e il 1959da Oriol Bohigas e Josep Maria Martorell; dall’altro l’a-nalisi urbana del distretto in cui esso si colloca, ed inparticolare delle relazioni che l’isolato su cui insiste ilmanufatto può instaurare con il contesto. Dopo aver verificato la relativa integrità dell’opera,

Tra città reale e progetto incompiu-to. Il caso dell’isolato di Cerdà allespalle dell’edificio in Carrer Pallarsdi O. Bohigas e J. M. MartorellEugenio Mangi

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1. DARDI C., Semplice linearecomplesso. L’acquedotto diSpoleto, presentazione diMOSCHINI F., Edizioni Kappa,Roma 1987, p.23.

Fig. 1. BOHIGAS O. e MARTORELL

J.M., L'edificio su carrer Pallars

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sono stati individuati alcuni principi del progetto diBohigas e Martorell attraverso una lettura critica dell’e-dificio, condotta sia dal punto di vista compositivo chefigurativo. I principi identificati e verificati, ancheattraverso la comparazione con alcune realizzazionidello studio catalano e di altri autori ad esso vicini,sono:1. Lo sviluppo Pallars: la casa scompone l’isolato; 2. Individuale come collettivo;3. Interno come esterno;4. Continuità dei piani;5. Aperture come bucature;6. Impianto contro unità della casa;7. Il progetto del suolo;8. Il rispetto per la soglia.

Al fine di rintracciare i riferimenti che hanno influenza-to Bohigas e Martorell nell’elaborazione di questo pro-getto, è stato eseguito un lavoro di approfondimento delcontesto storico in cui l’opera si colloca e del recuperooperato da Bohigas dei principali momenti dell’evolu-zione culturale catalana, finalizzato alla legittimazionedi una possibile “Scuola di Barcellona”. Inoltre, attra-

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Fig. 2. Gli otto principi del progettoindividuati. 1. Lo sviluppo Pallars: lacasa scompone l’isolato;2.Individuale come collettivo; 3.Interno come esterno; 4. Continuitàdei piani; 5. Aperture come bucatu-re; 6. Impianto contro unità dellacasa; 7. Il progetto del suolo; 8. Ilrispetto per la soglia

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verso una serie di raffronti, sono stati rintracciati queglielementi derivanti dalla cultura architettonica italiana,ed in particolare dalla “Scuola di Milano”, che maggior-mente hanno guidato ed influito nell’elaborazione deifondamenti teorici e progettuali della scuola catalana.Parallelamente all’analisi del manufatto, è stato com-piuto uno studio del tessuto urbano in cui si inseriscel’isolato del progetto di Bohigas e Martorell: esso sicolloca nella parte est della città di Barcellona, all’inter-no del distretto di Poblenou, un quartiere che, dagliinizi del secolo scorso sino alla fine degli anni Ottanta,era considerato uno dei centri produttivi della capitalecatalana. A partire però dalle Olimpiadi del 1992 è ini-ziato un processo di riqualificazione di questo compartoche ne ha garantito una progressiva apertura verso ilmare e la trasformazione da polo produttivo a centroterziario della città. Inoltre, la concentrazione di unaserie di attrezzature collettive in prossimità dell’area diintervento, ne hanno messo in evidenza la vocazione adessere immaginato come spazio pubblico a servizio delquartiere. Questa ipotesi ha trovato conferma nell’analisi di alcuniinterventi alla scala urbana realizzati a Barcellona daM.B.M. Arquitectes: in questi esempi la libertà formalecon cui viene concepita l’architettura diventa uno stru-mento per rompere la rigidezza dell’assetto morfologicodella città ottocentesca, mentre la differenziazione deidiversi ambiti all’interno della manzana viene raggiuntamediante il progetto del suolo. Un orientamento della ricerca in questo senso è venutoanche dall’incontro con Oriol Bohigas avvenuto nel gen-naio del 2010, in cui egli sostiene la necessità di definireuna gerarchia degli spazi pubblici ed una loro continuitàall’interno del tessuto urbano, nella configurazione di unassetto insediativo che reinterpreti in chiave contempora-nea la morfologia imposta dal Cerdà.2Nel corso dell’analisi urbana sono emersi, inoltre, due ele-menti di riflessione che hanno influito sulle ragioni del-l’impostazione della ricerca: il primo riguarda la configu-razione proposta da Bohigas e Martorell nel 1959 per l’in-tera manzana; il secondo è il fatto che, già all’epoca delprogetto, tale proposta non avrebbe mai trovato compi-mento, sia per questioni legate alla proprietà (la commit-tenza possedeva solo la fascia su cui insiste l’edificio) cheper l’assetto morfologico di questo brano di città. Essoinfatti, nel corso della sua evoluzione a partire dalla primametà dell’Ottocento fino alla contemporaneità, non pre-senta mai la conformazione tipica dell’Eixample ad isolatiottagonali geometricamente conclusi a causa della perma-nenza di un tracciato storico, il camí Antic de València, lacui giacitura è presente a partire dalle planimetrie antece-denti l’applicazione della maglia. Questa anomalia all’in-terno del Plan Cerdà ha generato la perdita dei codici diun assetto insediativo forte, determinando la mancanza di

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2. Durante questo incontro, il cuitesto è riportato integralmente nel-l’appendice della tesi, Bohigasafferma: «Nella Città Olimpicaquesta volontà è molto chiara: rea-lizzare progetti con vocazioni stili-stiche molto diverse, all’internoperò di uno spazio pubblico chia-ramente definito dalle strade edalla continuità della strutturadell’Eixample. È lo spazio pubbli-co che determina il limite entro ilquale si può assorbire un certogrado di informalità di un progettomeno dogmatico dal punto di vistaformale. Già nel blocco di carrerPallars cercammo di dimostrarequesto: la strada è sufficientemen-te forte per assorbire la varietà for-male dell’architettura, entro peròun determinato limite. Lo spaziopubblico conferisce ordine allascala urbana, mentre l’architetturaoffre un grado di variazione aduna scala inferiore».

Fig. 3. BOHIGAS O. e MARTORELL

J.M., assonometria del progettoimmaginato per l’intero isolato, 1959

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una gerarchia degli spazi pubblici per questa parte diPoblenou.In una condizione morfologica come questa, dove si èperso un principio insediativo chiaro, diventa importantela riconfigurazione della struttura degli spazi pubbliciattraverso un ridisegno urbano che trovi le proprie ragioniin una continua dialettica tra progetto e città consolidata,senza necessariamente ricomporre l’assetto morfologicodel Plan Cerdà. E più precisamente nel momento in cui ilprogetto urbano si confronta con la preesistenza storica,gli esiti della ricerca si svolgono nella sovrapposizione ditre elementi in costante dialogo tra loro: l’applicazione deiprincipi alla base dell’opera, la regola insediativa di cui lapreesistenza è parte (il Plan Cerdà) e l’evoluzione dellacittà contemporanea. Alla luce di queste considerazionil’attenzione della tesi si sposta allora da una concezionedel progetto come fine ultimo, ad una sperimentazioneprogettuale intesa come strumento conoscitivo, comesonda sensibile per capire entro quali limiti sia applicabilela metodologia del restauro del moderno alla scala urbana. Per giungere ad una sintesi organica e strutturata degli ele-menti che hanno giocato un ruolo determinante nellariconfigurazione dell’isolato, si è ricorsi all’elaborazionedi un “palinsesto del progetto”, uno strumento grafico ditipo critico-interpretativo con cui è stato possibile traccia-re le linee generali dell’intervento.3Coerentemente con l’idea espressa da Bohigas e Martorellnel 1959 il progetto (l’ultimo di una serie) si configuracome ri-perimetrazione di uno spazio pubblico che hacome fondale l’edificio per abitazioni operaie ed in cuil’applicazione dei principi dell’opera ha portato alla defi-nizione di un disegno del suolo che, nella sua articolazio-ne e nella sua capacità di ri-orientare la percezione spazia-le, diventa un mezzo utile per la caratterizzazione deidiversi ambiti all’interno dell’isolato. Questa trasformazione del vuoto urbano si pone in conti-nuità con le dinamiche che stanno riguardando il quartieredi Poblenou, inserendosi all’interno del sistema delleattrezzature collettive che insistono sull’area, nella logicadi una messa a sistema degli spazi pubblici segnati dallagiacitura del tracciato storico del camí Antic de València.

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3. «Chiamiamo “palinsesto del pro-getto” il tavolo di lavoro dove con-vergono ed interagiscono i materialidegli archivi, gli accadimenti e lequestioni irrisolte, le possibilità stu-diate sulla carta e quelle intuite sulcampo, le indicazioni e gli stimoliraccolti nei numerosi incontri. Unospazio logico necessario capace diinterpretare i diversi livelli di infor-mazioni: lo sfondo delle matrici sto-riche, le tracce trovate o ricostruite,le proiezioni delle suscettività attua-li, i percorsi e le diverse vocazionidei bordi, le occasioni percettive e ladinamica degli sguardi che attraver-sano lo spazio. L’esito è un grovi-glio di segni e riferimenti dei tempipassati e futuri della città da cui fardecantare, con la distanza criticanecessaria, il disegno del progetto».COSTI D., La “Piazza delle scuole”e i luoghi di Barriera Bixio, inLEONI G. (a cura di), Il complessodelle tramvie elettriche parmensi aBarriera Bixio, Officina Edizioni,Roma 2012, p.92.

Fig. 5. Inserimento del progetto perl’isolato all'interno del tessuto urba-no di Poblenou, viste da nord-est eda sud-ovest

Fig. 4. La nuova gerarchia dello spa-zio pubblico. La configurazione del-l'isolato su cui insiste l'edificio diBohigas e Martorell si configura inprogetto di suolo attraverso l'appli-cazione dei principi

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La struttura della ricerca si sviluppa lungo un percorsoche, muovendo dal generale al particolare e viceversa,individua progressivamente gli ambiti ed i margini d’ap-profondimento: dall’analisi della fabbrica come catego-ria del moderno allo studio dell’ex fabbrica di ceramicheCedis – realizzata a Palermo su progetto di MarcoZanuso – come manufatto architettonico, per giungereinfine alla formulazione di una proposta progettuale cheinterpreti la fabbrica come strumento di trasformazioneper la città. «Analizzare, criticare e proporre sono, dun-que, parti correlate di un unico processo diconoscenza»,1 processo che trova nel progetto architet-tonico il punto di partenza e di approdo del suo sviluppo.

L’oggetto della tesi ha costituito inoltre il pretesto peroccuparsi di un tema, quello dell’architettura industria-le, attraverso il filtro di una singola opera e delle suespecificità (architettoniche, storiche, geografiche, eti-che, estetiche) con l’obiettivo di provare a riconoscere –e quindi “conservare” – un potenziale di valori, spessolatenti, attraverso lo strumento del progetto. L’indaginesi è quindi soffermata inizialmente sul tema della fab-brica in quanto espressione di un determinato momentostorico e culturale, caratterizzato dalla sperimentazionedi materiali e tecniche di costruzione, ponendo l’atten-zione su una categoria di edifici pensati per essere

La fabbrica Cedis a Palermo(Marco Zanuso, 1954-57)Glenda Scolaro

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1. MARTÍ ARÍS C., La cèntina el’arco. Pensiero, teoria, progettoin architettura, Milano 2007 (I ed.2005), p. 19.

Fig. 2. Vista esterna ed interna diuna campata dello stabilimento perla produzione di ceramiche (1957)

Fig. 1. Vista della fabbrica Cedis(1957). Prospetto nord

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costruiti, assemblati e messi in opera con tempi e costistrettissimi, potenzialmente ampliabili e ripetibili comevere e proprie cellule sul territorio, mettendo a fuocoquelle istanze di modernità dalle quali ha preso formala fabbrica Cedis.

Attraverso il ridisegno dei materiali d’archivio rintrac-ciati presso il Fondo Marco Zanuso2 ed il confronto conla ricca documentazione fotografica d’epoca, è statopossibile giungere alla definizione di un apparato di ela-borati grafici in grado di descrivere il progetto dellafabbrica nella sua configurazione definitiva, dall’im-pianto generale alle singole parti (stabilimento, uffici,residenze), fino alla scomposizione dei suoi elementistrutturali ed alla codificazione delle sue componenti,fisse e variabili. Successivamente la fase di rilievo hamesso in evidenza la necessità di estendere i confinidell’area di progetto ad una porzione più ampia perriconnettere le eterogeneità del territorio (spazi residui,complessi residenziali, infrastrutture, giardini e villestoriche, verde agricolo), provando a mettere in eviden-za le modalità di crescita e trasformazione della cittàintorno alla fabbrica, selezionando al suo interno glistrumenti necessari alle strategie progettuali. La sceltaderiva non soltanto dai ragionamenti sulle caratteristi-che intrinseche del luogo ma soprattutto dalla volontà di

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2. Il Fondo Marco Zanuso è statodonato dallo stesso Zanuso nel2000 alla Fondazione Archivio delModerno di Mendrisio che racco-glie, conservandone la strutturaoriginaria, tutta la sua attività diarchitetto, designer e pubblicista.

Fig. 6. Planimetria generale dellafabbrica con lo stabilimento, gli ufficie le residenze. Quota piano terra ecoperture, stato di fatto

Fig. 5. Vista dello stabilimento dall’e-dificio per uffici e dettaglio del sistemacostruttivo della copertura, 2010

Fig. 4. ZANUSO M., dettaglio di unacampata tipo sul prospetto sud: pro-spetto frontale e laterale, esplosoassonometrico e sezioni generali

Fig. 3. ZANUSO M., planimetria gene-rale della fabbrica con lo stabilimen-to, gli uffici e le residenze, quotapiano terra e coperture

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legare il progetto di restauro della fabbrica ad un piùvasto sistema di spazi e di funzioni che ne modifichisignificativamente la fruizione totale. L’individuazionedi una nuova destinazione d’uso ha costituito in talsenso uno strumento indispensabile, rivelandosi di gran-de importanza il rapporto di collaborazione istauratocon l’ADI-Sicilia (Associazione per il DisegnoIndustriale) che, con la sua delegazione regionale, si èresa virtuale destinataria degli spazi dell’ex-fabbrica.3L’impianto generale del progetto di Zanuso rispondeinfatti perfettamente alle diverse esigenze dell’associazio-ne che, oltre ad una sede amministrativa e direzionale –posizionata all’interno dell’edificio per uffici – avrebbe adisposizione una foresteria – all’interno delle ex-residenzeoperaie – ed uno spazio espositivo – l’ex-stabilimento –per l’organizzazione di mostre temporanee, eventi e rasse-gne intorno al tema del design. La sede regionaledell’ADI verrebbe in tal modo a costituire il centro pro-pulsivo di un ipotetico parco caratterizzato sia da spaziaperti a servizio della collettività (giardini, percorsi cicla-bili, aree per lo sport, parcheggi) che da luoghi destinatiad un uso più privato (da parte di singoli produttori, asso-ciazioni culturali, piccole imprese, artigiani) attraverso ilriuso temporaneo di altri edifici dismessi. La diversifica-zione degli ambiti insieme alla volontà di connettere tra

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3. Costituitasi nel dicembre 2008,L’ADI-Sicilia, sulla scia delle espe-rienze finora promosse dall’ADInazionale, riunisce progettisti, impre-se, insegnanti, critici, giornalisti,intorno ai temi del design. Tra leprincipali attività condotte in camporegionale si trovano sia eventi divul-gativi - conferenze, mostre, incontri -che veri e propri momenti di forma-zione - workshop, performance - adiretto contatto con artisti, artigianied esperti del settore. La proposta didestinare all’ADI-Sicilia gli spazidell’ex fabbrica Cedis deriva non sol-tanto dal legame storico che sussistetra l’associazione e la figura diZanuso - che ne fu fondatore nel1954, vicepresidente dal 1962 al1964 e presidente dal 1966 al 1969 -ma anche da ragioni di natura ideolo-gica e culturale, sottolineando lanecessità di valorizzare un settoreimportante come il design, riallac-ciandosi anche ad una storia localeche certamente merita una più estesaconoscenza e diffusione sul territorio.

Fig. 8. Planimetria generale dell’a-rea dismessa intorno alla fabbrica(piano degli interventi di progetto)

Fig. 7. Planimetria generale dell’a-rea dismessa intorno alla fabbrica,stato di fatto

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loro i margini dell’area si traducono nella configurazionedi un grande parterre di raccordo dove l’inserimento di unnuovo asse di attraversamento ribalta di fatto il sistema dipercezione ed accessi, introducendo nuove gerarchie tragli elementi e privilegiando alcune specifiche visuali. La fase conclusiva della ricerca è stata infine indirizzataalla verifica delle scelte e degli strumenti fin qui adopera-ti, provando a “mettere in scena” il programma posto allabase del progetto. Uno degli obiettivi è stato quello direcuperare il ruolo essenziale del sistema strutturale – chesi è rivelato essere anche elemento figurativo dell’interoprogetto - liberandolo da tutte le superfetazioni, interne edesterne, introducendo un nuovo apparato di elementi“autonomi” attraverso i quali disegnare accessi, percorsi enuovi confini dentro l’originaria griglia compositiva, indi-cando una strategia di trasformazione aperta e flessibile.Una volta ripristinata la forma e la materia dello scheletrostrutturale, il principio progettuale ha portato a ragionareper scomposizione ed astrazione, individuando una seriedi “trasformazioni possibili” all’interno di una “sezionetipo”, introducendo all’interno della griglia modulare esi-stente, un sistema di elementi, riconoscibili per forma,dimensione e materiali, attraverso i quali calibrare i rap-porti tra spazi interni ed esterni, e tra le parti del progetto,originario e nuovo. Il progetto di restauro della fabbrica Cedis si è rivelatoquindi uno strumento diretto per il riconoscimento di unaspecifica metodologia di progettazione, trasmissibile ereinterpretabile, attraverso la quale provare a ri-pensare ilruolo della fabbrica all’interno della città, fino a conside-rare la sua attitudine alla trasformabilità come risorsaarchitettonica per la pianificazione urbana.

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Fig. 14. Dettaglio di una campatatipo sul prospetto sud: prospettofrontale e laterale, esploso assono-metrico e modello virtuale, progettodi rifunzionalizzazione

Fig. 13. Dettaglio di una campata tipoall’interno dello spazio espositivo:prospetto frontale e laterale, esplosoassonometrico e modello virtuale,progetto di rifunzionalizzazione

Fig. 12. Planimetria generale conindicazione delle nuove destinazionid’uso, progetto di rifunzionalizzazione

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Il dottorato in Progettazione Architettonica è uno deiprimi dottorati di ricerca attivati presso l’Ateneo paler-mitano e, nel corso della sua lunga attività, si è ritaglia-to un consolidato ruolo, riconosciuto a livello nazionalee internazionale, occupando, per la sua specificità, uncompito formativo centrale nell'ambito degli studi diarchitettura. Qui s’intende ripercorrere (schematicamente e nellesue tappe essenziali) la vicenda scientifica che il dotto-rato ha vissuto con alterne vicissitudini, sottolineando-ne i passaggi intervenuti in rapporto alla composizionedel Collegio dei Docenti e alla mutazione sviluppatasinei principali orientamenti tematici delle ricerche ivicondotte.

Il Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonicacon sede amministrativa a Palermo, si attiva (a partiredal VI ciclo), in consorzio con le Università di Napoli“Federico II”, Reggio Calabria e con il Politecnico diBari. Il Collegio dei Docenti, al momento dell’attiva-zione del Dottorato (avvenuta nel novembre 1992), eracomposto dai proff. Cesare Ajroldi, AlessandroAnselmi, Francesco Cellini (coordinatore), PasqualeCulotta, Claudio D’Amato, Antonino Della Gatta,Antonio Fabiano, Giuseppe Laudicina, GiuseppeLeone, Tilde Marra. I professori Alessandro Anselmi e Antonio Fabiano sidimettono nel 1994.In seguito al trasferimento nel 1996 del prof. FrancescoCellini alla Terza Università di Roma, il coordinamen-to del dottorato passa al prof. Pasquale Culotta. Dall’Università di Reggio Calabria, sempre nel 1996,si uniscono al Collegio i proff. Laura Thermes e FranzPrati, quest’ultimo, trasferitosi nel 1998 alla Facoltà diarchitettura di Genova, si dimette lo stesso anno daldottorato. Nel 1999 giungono dall’Università di Reggio Calabriail prof. Giuseppe Arcidiacono e dal Politecnico di Bariil prof. Attilio Petruccioli.Nel 2000, in seguito a pensionamento, il prof.Laudicina decade dal Collegio.Nel 2001 escono dal Collegio i proff. D’Amato ePetruccioli del Politecnico di Bari (che a partire dal XV

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Cronistoria del dottoratoa cura di Emanuele Palazzotto

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ciclo non è più consorziato con Palermo), e a sostituirlisono chiamati il prof. Antonino Marino dall’Universitàdi Reggio Calabria e, successivamente, il prof.Ludovico Maria Fusco dall’Università di Napoli“Federico II”.Nel 2002 la prof.ssa Thermes esce dal Collegio edentrano i proff. Marcello Sèstito dall’Università diReggio Calabria e Michele Cometa dall’Università diPalermo. Nel 2005 entrano nel Collegio i proff. EmanuelePalazzotto e Andrea Sciascia e, nel 2006, i proff.Stefano Piazza e Renata Prescia. Sempre nel 2006, acausa dell’immatura scomparsa del prof. PasqualeCulotta, il coordinamento del dottorato passa al prof.Cesare Ajroldi. Nel 2007 escono dal Collegio i proff. Giuseppe Leone,Michele Cometa e Stefano Piazza ed entrano FrancescoCannone, Dario Costi, Francesco De Simone,Pierfranco Galliani, Francesco La Regina e VincenzoMelluso. Nel 2008, con il XXII ciclo, si aggiunge il consorziocon l’Università di Parma. Nel 2009 il Dottorato attiva una convenzione per ilconsorzio con l’Accademia di BB.AA. di Brera e, apartire da tale anno, entra a far parte del Collegio ilprof. Sandro Scarrocchia, docente presso la suddettaAccademia. Nel 2010 entrano nel Collegio i proff. MarcelloPanzarella, Roberto Serino e Zeila Tesoriere. Nello stesso anno esce, per pensionamento, il prof.Francesco La Regina e, successivamente, anche il prof.Francesco De Simone. Anche a causa dei recenti orientamenti normativi e deicondizionamenti amministrativi, il dottorato è conflui-to, a partire dal ciclo XXV, nel 2011, quale sempliceindirizzo, all’interno del più ampio dottorato di ricercain Architettura attivato presso l’Università di Palermo.

I temi di ricerca svolti da parte dei dottorandi, sostan-zialmente, segnano quattro fasi e quattro aree di inte-resse disciplinare.

Sinteticamente:con la prima fase si è esplorata la Didattica della pro-gettazione architettonica nelle Scuole di Architettura;nella seconda si è indagato sulla tematica: Parti, insie-mi e sistemi nella costruzione dell’architettura; la terzafase ha indagato sull’argomento Luogo e atopia nel-l’architettura del Mediterraneo.Le tesi dei dottorandi del XIII ciclo sono state orientatesul tema: Centro e memoria nell’architettura delMediterraneo, confermando l’interesse di indagine nelcontesto geografico e culturale del Mediterraneo e alcontempo di mantenere sul piano teorico la problemati-

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ca disciplinare aperta ad approfondimenti diversificati.Per il ciclo XV il tema specifico è stato: La scienza delprogetto per l’architettura del manufatto. La casa tem-poranea e nuovi modi di abitare la città. A segnare una quarta fase negli interessi di ricerca deldottorato, comunque sempre centrati sulla “scienza delprogetto”, a partire dal XVI ciclo il tema precedente èstato declinato su: La scienza del progetto per l’archi-tettura del manufatto. Il restauro del Moderno e nuovimodi di abitare la città. Per i sette cicli successivi, in considerazione della rile-vanza critica e scientifica dimostrata dal tema, e deiriconoscimenti ottenuti dal dottorato per il suo impe-gno in tale direzione, il tema de La scienza del progettonel Restauro del Moderno è stato confermato e mante-nuto costantemente come ambito generale su cui fareconvergere tutte le ricerche dei dottorandi, caratteriz-zando il Dottorato rispetto a quest’ambito di ricerca econsentendone una specifica riconoscibilità.

A seguire sono riportati i nomi di tutti i dottorandi chehanno frequentato il dottorato sin dalla sua istituzione ei titoli di tutte le rispettive ricerche già concluse.

Tema generale: Il linguaggio e lo spazio nella didattica del progettoarchitettonico (cicli VI-IX)

VI cicloVincenzo Napoli, tutor: Prof. Giuseppe Leone,Progetto e contesto urbano: l’approccio di VittorioGregotti nella scuola di Palermo

Sirus Nikkhoo, tutor: Prof. Cesare Ajroldi,L’insegnamento di Alberto Samonà a Palermo dal1966 al 1976 (esame finale non esitato)

Valerio Palmieri, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, Saverio Muratori alla facoltà di Architetturadi Roma. 1954-68

Giovanni F. Tuzzolino, tutor: Prof. Pasquale Culotta,Salvatore Cardella e Gino Pollini alla facoltà diArchitettura di Palermo

VII cicloFabio Alfano, tutor: Prof. Tilde Marra, L’insegnamentodella progettazione e la “dimensione poetica” dell’ar-chitettura

Giuliana De Fazio, tutor: Prof. Claudio D’Amato

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Guerrieri, La didattica della Composizione architetto-nica a Reggio Calabria. 1970-90

Anna Bruna Menghini, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, Saverio Muratori alla facoltà di Architetturadi Roma. 1954-68

Luigi Stendardo, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, Le scuole di Napoli e Pescara negli anni set-tanta: l’approccio della “Tendenza”

VIII cicloGiuseppe Di Benedetto, tutors: Prof. Cesare Ajroldi,Prof. Angelo Torricelli, La scuola di Architettura diPalermo dal 1779 al 1865. L’insegnamento accademi-co in rapporto agli interventi e le ipotesi di trasforma-zione della città

Alessandro D’Amico, tutor: Prof. Francesco Cellini,Istanze sperimentali e linguaggi mediterranei nellaformazione della “scuola” di architettura di Palermotra il 1935 e il 1955

Gennaro Ferrari, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, L’insegnamento dei “Caratteri degli edifici”nelle facoltà di Architettura italiane dal 1935 al 1975

Ugo Pagliaro, tutor: Prof. Claudio D’Amato Guerrieri,Territorio, forma urbana e progettazione architettoni-ca. Metodologie e principi didattici nella tesi di laureain Composizione architettonica nella facoltà diArchitettura di Reggio Calabria dal 1972 al 1994

IX cicloRossana Carullo, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, L’insegnamento dell’architetturanell’I.U.A.V. dal ‘45 al ‘64. Percorsi didattici e aspettidi un’identità culturale

Emanuele Palazzotto, tutor: Prof. Pasquale Culotta, Laricerca della “Arte Nova” tra didattica e professione aPalermo. 1860-1915

Antonio Riondino, tutor: Prof. Claudio D’Amato Guerrieri,L’insegnamento di Ludovico Quaroni nella facoltà diArchitettura di Roma dal 1964 al 1971. La progettazionedella città e l’ampliamento dei confini disciplinari

Fabrizio Tramontano, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, L’attività didattica di Louis I. Kahn: stu-dent, lecturer, critic and professor of architecture(1947-74)

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Tema generale: Parti, insiemi e sistemi nella costruzione dell’archi-tettura. Luogo identità e atopia(cicli X-XII)

X cicloTania Culotta, tutor: Prof. Claudio D’Amato Guerrieri,Il progetto di Architettura e l’archeologia

Michele Montemurro, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, La costruzione in pietra da taglio in Franciae in Italia nei secoli XVIII-XX

Maria Dolores Morelli, tutor: Prof. Antonino DellaGatta, Da Mestre a Palermo, il tema della “nuovadimensione” nei concorsi di architettura in Italia dal’59 al ’70. Nuovi vocaboli e tipi architettonici

Steven T. Minnich, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, 1976-1990. Organizzazione della didattica edell’insegnamento alla Syracuse University sotto ladirezione di Werner Seligmann: una chiave di letturaper comprendere i cambiamenti avvenuti nel sistemaeducativo americano

XI cicloFrancesco Defilippis, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, Architettura in pietra e stereotomia.Rapporto tra tecniche stereotomiche e forma degli ele-menti costruttivi nel progetto moderno di strutturearchivoltate

Giuseppe Rotolo, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, Storia eprogetto: legami e continuità nelle teorie e nella prati-ca dell’intervento sulla preesistenza a Palermo nel XXsecolo

Valentina Acierno, tutor: Prof. Tilde Marra, Caratteripermanenti nella teoria e nella prassi dell’architetturain Catalogna. Architettura e costruzione nell’opera di:L. Clotet / I. Paricio, C. Ferrater, J. Llinas, E.Miralles, E. Torres / J.A.M. Lapeña

Mario Gurrieri, tutor: Prof. Tilde Marra, Spazio, strut-tura, involucro nelle architetture milanesi di Asnago eVender (1947-1969)

Marco Valenti, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, Caratteri dell’architettura italiana nelDodecanneso (1924-1944). La transizione al modernonell’area culturale plastico-muraria del Mediterraneo

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XII cicloDaniela Catalano, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, L’arte della replica. Questionid’Architettura nel rifacimento di elementi in pietra dataglio nell’architettura muraria

Luisa Ferro, tutors: Prof. Pasquale Culotta, Prof.Angelo Torricelli, L’insegnamento di Dimitri Pikionisal Politecnico di Atene. Teoria, metodo e contesto

Cristina Giuffrè, tutor: Prof. Pasquale Culotta,L’abitazione in Israele nell’opera degli architetti euro-pei tra il 1920 e il 1948

Luca Labate, tutor: Prof. Claudio D’Amato Guerrieri,Caratteri architettonici e riforma costruttiva della casatradizionale in muratura in Terra di Bari

Raffaella Riva Sanseverino, tutor: Prof. Cesare Ajroldi,Atlante sulla forma dell’insediamento microinsulare:le isole circumsiciliane

Giuseppe Todisco, tutor: Prof. Franz Prati, RudolfMichael Schindler. La scoperta di un metodo per l’in-tegrazione tra culture diverse nella costruzione della“casa moderna” californiana. 1921-23

Tema generale: Centro e memoria nell’architettura delMediterraneo(cicli XIII-XIV)

XIII cicloMaria Eliana Madonia, tutor: Prof. Giuseppe Leone,Identità, continuità e risignificazione mediterraneanella contemporaneità: Trapani, approdo-limite

Loredana De Nito, tutors: Prof. Pasquale Culotta, Prof.Gabriel Ruiz Cabrero, L’architettura dei nuevos pue-blos di José Luis Fernandez del Amo. Fondazioniagrarie in Spagna: 1953-1964

Adriana Galbo, tutor: Prof. Laura Thermes, “La fenetreest l’un des buts essentiels de... l’Architecture”Modalità di relazione interno-interno nell’architetturacontemporanea europea

Adele Picone, tutor: Prof. Antonino Della Gatta, Lacostruzione della forma e gli elementi naturali nell’ar-chitettura egiziana dalle esperienze vernacolari alleopere di H. Fathy e Ramses Wissa Wassef

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Ketty Muscarella, tutor: Prof. Tilde Marra, Problemi diforma e figura del territorio. Il muro di pietra a seccoe la costruzione del paesaggio mediterraneo. Tre areedi studio: il territorio dell’Etna, gli Iblei, l’isola diFilicudi

XIV CicloEliana De Nichilo, tutors: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, Prof. Enrique Rabasa Diaz, Stereotomia esistemi architettonici archivoltati e cupolati in pietrada taglio in Spagna (secc. XVI-XIX). Sequenze, noditettonici e tecniche stereotomiche a confronto

Calogero Montalbano, tutor: Prof. Claudio D’AmatoGuerrieri, La riforma del paesaggio mediterraneo: leforme del suolo e del sottosuolo nella progettazionearchitettonica contemporanea degli spazi di cava

Alessandro Casamento, tutor: Prof. Tilde Marra, “Cittàdiffusa” e disegno urbano in Francia. Analisi di casistudio degli ultimi dieci anni

Luigi Pellegrino, tutor: Prof. Giuseppe Arcidiacono,Abitare nel contado: evoluzione del tipo masseria nel-l’altipiano Ibleo

Tema generale: La scienza del progetto per l’architettura del manu-fatto. La casa temporanea e nuovi modi di abitarela città(ciclo XV)

XV cicloSimona De Giuli, tutor: Prof. Antonino Marino, Tramemoria e amnesia. La casa dell’intellettuale nomade

Maria Gaia Girgenti, tutor: Prof. Tilde Marra, La rappre-sentazione della provvisorietà e l’abitare contemporaneo

Renzo Lecardane, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, Il ruolodelle grandi esposizioni nella trasformazione dellacittà contemporanea. L’esperienza dell’abitazionenelle esposizioni

Olivia Longo, tutor: Prof. Giuseppe Leone, La casatemporanea per viaggiatori nella città contemporanea.Spazi domestici d’uso transitorio e spazi/soglia artico-lati in progressione

Claudio Montaudo, tutor: Prof. Pasquale Culotta,Abitare la temporaneità. Case ed eventi urbani

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Clelia Parrinello, tutor: Prof. Tilde Marra, La trasfor-mazione della provvisorietà in una categoria perma-nente. Le case d’emergenza e le case mobili come un‘catalogo’ dei modi di abitare

Amelia Rizzo, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, L’abitare dastudente, tra temporaneo e stabile. Spazi di relazione espazio privato

Antonella Romagnolo, tutor: Prof. GiuseppeArcidiacono, Temporaneità dell’abitare. La casa tran-sitoria nella trasformazione della città esistente

Adriana Russo, tutor: Prof. Antonino Marino,L’abitare con-temporaneo e la città: come il falanste-rio da acropoli diventa agorà

Zeila Tesoriere, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, L’alloggiotemporaneo come laboratorio per l’architettura.Francia, XIX-XX secolo. Caratteri, genealogia e pro-spettive di uno spazio domestico

Tema generale: La scienza del progetto per l’architettura del manu-fatto. Il restauro del Moderno e nuovi modi di abi-tare la città(ciclo XVI)

XVI cicloVincenzo Tiziano Aglieri Rinella, tutor: Prof. PasqualeCulotta, Il restauro del Moderno: La Villa La Roche-Jenneret di Le Corbusier

Antonio Biancucci, tutor: Prof. Pasquale Culotta, Ilrestauro urbano del Nucleo Sperimentale nel BorgoUlivia a Palermo di G. Samonà (capogruppo), con A.Bonafede, R. Calandra, E. Caracciolo

Angela De Fazio, tutor: Prof. Antonino Marino, Ilrestauro del moderno e i nuovi modi di abitare la città.Il progetto contemporaneo sul moderno: limiti e possi-bilità. Conservare, riscrivere, cancellare. La riscrittu-ra architettonica del cinema Apollo di Filippo Rovigoalla luce delle nuove tecnologie di comunicazione digi-tale

Ilaria Maria Lodato, tutor: Prof. Tilde Marra, IlRestauro del Moderno. Conservazione e riuso. Uncaso studio - L’asilo di Mario Ridolfi a Canton Vesco,Ivrea

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Vania Santangelo, tutor: Prof. Pasquale Culotta,Monumento-servizio urbano: tra conservazione e tra-sformazione. La Stazione Centrale e Marittima diMessina di Angiolo Mazzoni

Giuseppe Smeriglio, tutor: Prof. GiuseppeArcidiacono, Messina e il Moderno. Il restaurodell’Irrera a Mare nel recinto fieristico

Tema generale: La scienza del progetto nel restauro del Moderno.Le tecnologie nel linguaggio dell’architettura. Lanozione di uso in architettura(ciclo XVII)

XVII cicloGianluca Burgio, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, Il restau-ro del moderno: il caso del cambio d’uso delCinodromo Meridiana (Barcellona) di Antoni BonetCastellana e Josep Puig Tornè (1961-1963)

Dario Cottone, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, IlCotonificio Siciliano: il restauro del moderno e la que-stione dell’uso

Stefania Filì, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, La sede SGESdi Giuseppe Samonà a Palermo

Francesco Messina, tutors: Prof. Antonino Marino,prof. Laura Thermes, Il restauro del Padiglione delleMostre d’Arte e del Turismo alla Fiera di Messina: ilprogetto del dettaglio nella dimensione del paesaggio

Tema generale: La scienza del progetto nel Restauro del Moderno (cicli XVIII-XIX-XX)

XVII cicloCecilia Alemagna, tutor: Prof. Tilde Marra, Legamiinscindibili: architettura, natura, paesaggio. Il villag-gio turistico “Le Rocce” di G. Spatrisano, Mazzarò,1954-59, progetto di restauro

Filippo Amara, tutor: Prof. Pasquale Culotta, GuidoFerrazza: la Grande Moschea e la ridefinizione dell’a-rea dei mercati di Asmara (1935-1938). Un caso direstauro del moderno nelle ex colonie italiane in Africa

Daria Caruso, tutor: Prof. Antonino Marino, La Casadel Fascio e del Balilla di Ernesto Bruno La Padula,Ragusa 1934-1937. Un progetto di restauro tra valoreurbano e dettaglio architettonico

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Isabella Fera, tutor: Prof. Tilde Marra, I Lidi diMortelle (1955-58), architettura e costruzione di unpaesaggio balneare negli anni ’50 a Messina: unrestauro possibile

Brigida Santangelo, tutor: Prof. Ludovico Fusco,Rivalorizzazione del mercato ittico di Luigi Cosenza aNapoli. Un caso studio tra metodologia e progetto

XIX cicloAurora Argiroffi, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, L’IstitutoTecnico Nautico di Palermo

Giulia Argiroffi, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, Le aviori-messe di Pier Luigi Nervi a Marsala

Caterina Avitabile, tutor: Prof. Ludovico Maria Fusco,La funivia di Giulio De Luca a Napoli

Luca Bullaro, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, co-tutor Prof.Andrea Sciascia, Prof. Xavier Monteys, Il Dispensarioantitubercolare di Barcellona (1933-37) di J.L. Sert, J.Torres Clavé, J.B. Subirana

Emanuela Davì, tutor: Prof. Pasquale Culotta, co-tutorprof. Andrea Sciascia, Cortoghiana 1940, SaverioMuratori

Cinzia De Luca, tutor: Prof. Tilde Marra, VillaggioMonte degli Ulivi a Riesi, Leonardo Ricci, 1962-68

Valentina Fazio, tutor: Prof. Emanuele Palazzotto, LaVasca Idrodinamica del Centro Sperimentale Studi edEsperienze della Regia Aeronautica a Guidonia-Montecelio (1928-1943)

Francesco Fragale, tutor: Prof. Giuseppe Arcidiacono,co-tutor prof.ssa Laura Thermes, Il restauro delPadiglione Agricoltura Artigianato e Industria allaFiera di Messina

Antonio Provenzani, tutor: Prof. Tilde Marra, Nucleoedilizio a Sciacca (1951-53) di Giuseppe Samonà

Pietro Fabio Scibilia, tutor: Prof. Marcello Sestito, LaStazione Marittima di Messina di Angiolo Mazzoni

XX cicloGioacchino De Simone, tutor: Prof. Andrea Sciascia, Ilrestauro della chiesa di Santa Maria Maggiore aFrancavilla di L. Quaroni

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Beatrice Teresa Feist, tutor: Prof. Cesare Ajroldi, co-tutor: prof. Paola Barbera, La Casa del Fascio aMessina di Giuseppe Samonà e Guido Viola. 1936-1940

Valentina Fisichella, tutor: Prof. Pasquale Culotta, co-tutor: Prof. Pierfranco Galliani, Il complesso dellaSocietà Umanitaria a Milano 1945-60. ArchitettoGiovanni Romano

Francesca Giardina, tutor: Prof. Tilde Marra, Il Palazzodelle Poste di Palermo di A. Mazzoni

Andrea Pedalino, tutor: Prof. Emanuele Palazzotto, Ilrestauro della chiesa Valdese di Pachino di LeonardoRicci

Fabio Sedia, tutor: Prof. Tilde Marra, Il “villaggio S.Rosalia” a Palermo (1953-1963)

XXI cicloSabina Branciamore, tutor: Prof. Antonino Marino, co-tutor: prof. Michele Sbacchi, Giuseppe e AlbertoSamonà. Il Teatro Popolare di Sciacca

Monica Gentile, tutor: Prof. Emanuele Palazzotto, Ilrestauro del Moderno. La colonia Marina “XXVIIIOttobre“ per i figli degli Italiani all’estero a Cattolica

Ilenia Grassedonio, tutor: Prof. Andrea Sciascia, co-tutor prof. Crispino Valenziano, La chiesa della SacraFamiglia a Genova. L. Quaroni, A. De Carlo, A. Mor,A. Sibilla

Vincenzo Simanella, tutor: Prof. GiuseppeArcidiacono, Il restauro del Moderno. La sede dellaFederazione dei Consorzi agrari a Catania diFrancesco Fiducia, 1938

XXII cicloGiuseppina Farina, tutor: prof. Vincenzo Melluso, co-tutor: prof. Ludovico Fusco, Il Sistema di p.zzaCastronovo, Messina

Edmondo Galizia, tutor prof.sa Renata Prescia, co-tutorprof. Giuseppe Arcidiacono, L’edificio INA nellaPalazzata a mare di Messina (1936-38). Un restaurodel moderno in una città di ricostruzione

Luciana Macaluso, tutor: prof. Andrea Sciascia, co-tutor: prof. Francesco Cannone, Il restauro del

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Moderno. La Chiesa parrocchiale a Gibellina Nuova.Ludovico Quaroni e Luisa Aversa

Fosca Miceli, tutor: prof. Cesare Ajroldi, co-tutor: prof.Francesco De Simone, Restauro del Moderno: IlCentro Civico di Oswald Mathias Ungers a Gibellina

Almerinda Padricelli, tutor: prof. Francesco La Regina,co-tutor: prof. Antonino Marino, La Palazzata a maredi Messina (1931-1958). Isolati VIII -XI

Rosa Maria Provvidenza Pecoraro, tutor: prof.Emanuele Palazzotto, co-tutor: prof.sa Tilde Marra, IlRestauro del Moderno. Municipio di Gibellina Nuova(1970-1971)

XXIII cicloValerio Cannizzo, tutor: prof. Andrea Sciascia, co-tutorprof. Antonio Pizza (ETSAB), Il restauro del moderno.Il gruppo scolastico “el Timbaler del Bruc” aBarcellona di Oriol Bohigas e Josep M. Martorell. Traarchitettura e pedagogia

Eugenio Mangi, tutor: prof. Dario Costi , co-tutor prof.Antonio Pizza (ETSAB), Tra città reale e progettoincompiuto. Sondare i limiti del restauro del modernoapplicato alla scala urbana: il caso dell’isolato diCerdà alle spalle dell’edificio di abitazioni operaie inCarrer Pallars di Oriol Bohigas e Josep MariaMartorell (Barcellona 1958-1959)

Giuseppe Borzellieri, tutor: prof. Cesare Ajroldi, Unnuovo monumento dell’archeologia industriale”. Ilrestauro del moderno: progetto di recupero e riusodellʼHangar per dirigibili di Augusta (SR) dellʼIng.Antonio Garboli (1917)

Giovanni Giannone, tutor: prof. Giuseppe Arcidiacono,co-tutor prof. Renata Prescia, Una declinazione delModerno in Sicilia. Palazzo SCIA a Catania (1951) diLuigi Positano

Glenda Scolaro, tutor: prof. Ludovico Fusco, co-tutorprof.sa Tilde Marra, Il progetto nel restauro del moder-no. La fabbrica Cedis a Palermo (Marco Zanuso,1954-57)

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Cesare AjroldiThe project of the restoration of the Modern: consumptive ofan experience

This notebook from the PhD carried out in Palermo, concludingnearly ten years of research on the subject of the restorationproject of the modern, of which the last six conducted as coordina-tor, represents the summary of this experience.The theme of the scientific value of the project has been the cen-tral subject of the operation: the subject is strictly relevant to themeaning of the PhD, inside of which work has to be carried outwith a scientific approach.To confront the theme of the renovation project of the modern haspermitted to analyze a series of buildings more or less acclaimed,through an emphasis in a system of rules pertaining to the projec-tion process, dealing with elaborations founded on a rational con-struction from which to extract principles. In the first phase the PHD’s experience was based on a programthat included a preparation study, conducted in different waysthrough the years. The first year was dedicated to it, the secondyear was dedicated to studying the project and the third year wasdedicated to writing the project. In other words, the last year isdedicated to reflecting on the entire work, showing the scientificstructure of it, through the “project path”.

Giuseppe ArcidiaconoA restoration of the Modern in Catania: project of new sportsfacilities for the S. Pio X, in Nesima

Rose following the demolitions in the historic center of Catania,implemented by the Plan of 1954, the district of Nesima has neverachieved the look of a modern garden-city, but it appears as anordinary suburb, lacking in urban services. The church S. Pius X,built in 1959 to G. Condorelli’s plan, is the only social serviceoffered to the 15,000 inhabitants, but it is also the only construc-tion that seeks to redeem the low quality of buildings in the neigh-borhood: through a monumental design and the decoration of itsinterior basilica, it was planned to offer a cultural meeting placefor the community. Florio’s sculptures, Rimini’s absidial frescoes,Sciavarello and Rannos’ paintings on the transept, Cirinnà andQuattrocchi’s canvases, compose a modern sacred gallery inCatania.In the first half of the 60s, the oratory was added to the church: alarge courtyard, with open porches facing the square/churchyard,houses a small football field, catechism classrooms, and PP.Salesians’ dwellings. But since the 1960s, the situation has dete-

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English abstractsI contributi dei docenti del collegio

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riorated: the houses grew but not the services; the popular charac-ter of the suburb has given way to proletariat’s discomfort, whichhas transformed the centrality of the religious complex into anenclosure under siege. The square/churchyard is now abandoned to hawkers’ indiscrimi-nate employment and to the illegal parking of cars on the parterre;while, as a result of vandalism, the church porch was walled.Thus, the condition of social risk of the district produced the cul-tural isolation of the religious center, of which citizenship ignoresthe artistic heritage.The project that I have worked with R. Imbergamo and M.Covello, achieving the 1st prize at the “Architecture, Culture andSport” competition, firstly restores the social values of Nesimareligious complex. To this end, the square is redefined; confirmingits role as churchyard and as social meeting space; but the sponta-neous market is taken into account, correcting its abuses by assi-gning them to the western edge of the square. To the southwestthe doubling of the street lamps marks the entrance to the park ofthe 1669 lava flow: which is recognized as a natural resource.The visual unity between the square/courtyard and the oratoryporch is restored by replacing the wall plug with a gate. The inte-rior of the porch is carved with a ramp that reaches a new gym at6.00- m. The roofing of the gym replaces the plane of thecourtyard, but keeps the same practicability of the football field.In this way, the spatiality of the old installation is not altered, andthe idea of the fence is reinforced, through a new structural framethat supports the roof, drawing a “double porch” which stops on asymbolic cross.On the east side, another small courtyard is restored, today enclo-sed by a barbed wire which tells of the current siege of the church.This courtyard is placed on safety, from vandalism intrusions,through an excavation exposing the 1669 lavas, on which thechurch stands. Emergency exits from the basement are opened onthe lower level of the courtyard, while the new scale “of angel”ensures the communication with the parish offices and the square.Restoring urban values we try to restore the sense of community.

Francesco CannoneThe new Gibellina: work of art and urban quality

Talk about artwork and urban quality, in the very particular andarticulated experience of new Gibellina, implies questioning, put-ting under review, a philosophy (more philosophies) of urbanspace organization as social space, a collective living space.New Gibellina can be regarded as a large container of contradic-tions and paradoxes, as exemplified by the contradiction betweenthe external image of the city, characterized by a sense of limitand of apparent concentration, and the inner urban experience,made of diluition and rarefaction of the public space.The settlement density of the new Gibellina is almost ten timeslower than that of the old village destroyed by the earthquake, thatcreated a clear continuity solution in the culture of living.In Gibellina has formed a new urban system in which the variousprotagonists fail to relate in a framework of recognizable corre-spondence and dependencies.On this system is superimposed that of the objects and artworks,which, having no reference to an urban framework sufficiently

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stable, suffer from some sort of floating syndrome: art is penali-zed by the urban space (non-space).There is however, in the city’s future, the possibility of new con-nections between artworks and urban quality; the current condi-tion can be considered still open, available to a disenchantedrereading but operating in the reality of doing, reversing the con-tradiction in perspective for the future.We need a different way to consider the problems of precariou-sness, of art, of the city: is a starting point for further work withina new cultural and at the same time pragmatic perspective.A perspective in which artwork and the city talk according to newcorrespondences between forms and contents, as a future overallquality of the new Gibellina, as a synthesis of artistic, historical,social values.

Dario CostiBetween modern architecture and contemporary city

The study of a fifties architecture that can be discussed with theone that had designed it, it’s a lucky opportunity to experience andmethodological check that can find out all the possible correspon-dences and coherences between the solutions and the originalintentions.The research for the argumentations that support the identificationof the work qualities find, in this way, a new check possibility andsupport the identification of values like instruments for architectu-re interpretation and confirm their planning incentive.The essay carries out a consideration on the possibility that anunfinished quality project may affect the space of his imaginedfulfillment, comparing with the changed form of the tissue andurban spaces in which it is inserted and with the changed condi-tions of the contemporary city.Until what does it make sense to think about the memory of aproject imagined in the recovery of what remains of the block?The thesis documented in this publication shows an action ofmutual influence but also a prevalence of the contemporary citythat, reversing the hierarchies expectations, affects the incompletework more than his failed vision can guide the configuration ofthe unfinished spaces that are coming.

Pierfranco GallianiArchitectural recovery and urban regeneration for the enhan-cement of the industrial abandonment places. A design case inReggio Emilia

The architectural recovery takes place in a design process aimed atmaintaining and increasing the built heritage values. The purposeof reuse considers the introduction of partial architectural changesor additions that require careful considerations, because eachchange must be determined within the “minimal intervention” and“licit change”.The recovery project represents a historicization process that linkspast and present of the architectural heritage to a reliable future.This means that the project may have a strategic role in the confir-mation of the memory of the place in relation to the context if it isconnected to the parallel processes of renewal or urban regenera-tion.

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Most of intervention cases concern projects made of multiple buil-dings. Collective housing and former industrial sectors built inthe Twentieth Century are recurring problematic cases. Both posethe urgency of the presence of new activities and the need torethink the open spaces of relation for new functional require-ments.The design research on the Mapre-Cap sector at Reggio Emilia isan experience that tests the opportunity to interrelate architecturalrecovery and urban regeneration.Located on the first historic periphery of the city, the sector is in astate of remarkable advantage in terms of urban accessibility andis composed by the complexes of the Consorzio AgrarioProvinciale (Cap) and the Mercato Agricolo Provinciale of ReggioEmilia (Mapre). The first is divided into several buildings arran-ged around the perimeter of the area and a large inner core thathas at its center the body of the silos, called “cathedral”, thesecond corresponds essentially to an extended plate building withskylights in the roof and to a side building.The selection of the most significant built pre-existing elementsallows to reduce the surfaces extent to recover within economical-ly and functionally sustainable quantitative margins, and to createa central cycle-pedestrian connective space which is an efficientexchanger axis of new east-west flows and which provides accessfor the future light metro station.On the central space three different areas of new activities cometogether: trade, food services and offices in the western sector(Cap); exposition and thematic market for reuse and collectors inthe eastern sector (Mapre); housing and facilities in the south sec-tor, inserted in new buildings along the railway margin.

Antonino MarinoThe restoration of modern constructions on a urban scale

The majority of studies carried out in recent PH.D programmes onthe Restoration of Modern constructions in Palermo, whilst dea-ling with the issue of restoration in specific case-studies of indivi-dual buildings, have,within the framework of their project resear-ch,developed along broader guidelines sometimes taking in parti-cularly relevant urban spaces. The research carried out in thePH.D course can,therefore,claim to have extended the restorationproject onto an urban scale.Thus, it has dealt with issues rangingfrom infrastructure to housing and from amenities to open spa-ces.Some interesting examples of this can be seen in the seven-ties,such as the ex-military airbase in Adlershof which was tran-sformed into one of the most modern technological areas inBerlin.Another example of this can be found in the newarea,Bercy,on the right bank of the Seine created by reclaimingthe spaceleft after the demolition of the old wine warehouses inParis.The issue’s present relevance is confirmed by the fact thatsome architectural forms (which are being studied in the PH.Dcourse) form the core of Public administration restoration projectsas has happened with the Exhibition Centre in Messina (la Fiera diMessina).The idea behind the project is to connect the ex-exhibition centrewith the architecture and the landscape of the city’swaterfront.The project also strives to maintain the ExhibitionCentre’s historic and characteristic role as an urban enclave.This

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area’s enclave character as with other similar areas considered inthe PH.D has given rise to a general proposal of urban redevelop-ment seen as a set of interventions viewed as fragments in anhypothetical grille europeen.

Vincenzo MellusoDotted line of architecture along Tyrrhenian and Ionian coasts

Since 1980, various researches, studies and investigations ofprojects made by Vincenzo Melluso were allowed to emerge a fewtopics related to the formation of the city of the Straits after recon-struction took place following the 1908 earthquake. Since 1983this research was developed with two main lines of work: the first,through directed readings and studies, and the second, with designexplorations on an urban scale.In this essay focuses on three specific cases that symbolicallydescribe the design experience between the years 30 and 50 in theterritory of the city of Messina. Experience characterized by theability to compose the architectural design, not only to the physi-cal and morphological characters of the places, but also referred tothe demands of society and the economic dynamics in order toproduce a positive process of transformation of the territory.Three projects are an example of dotted along the coast thataccompanies the city, from its core to the extremities of CapoPeloro, towards the northern coast.

Emanuele PalazzottoFor a science “probable” of the architectural design

The definition of the research work that has been developed by thePhD in Architectural Design of Palermo around the theme of“Restoration of the Modern” today offers us the opportunity toadvance a broader reflection, pushing us in the field of epistemo-logy of architectural design, starting by that definition of “scienceof project for the architecture of the artifact” that has characterizedthe work done in the last years.In this paper we are interested to investigate especially the premi-se of this research work, a premise that well describes the episte-mological approach that supported the teaching and researchmethodology developed by PhD and that coincides with a broaderreflection on the possibilities, limits, conditions and purposes ofscientific knowledge in the disciplinary field of the architecturaldesign.The hardness that is inherent in the term “science”, that here is putin association with a discipline (the architectural design) which,by its nature, has always played a cultural role ambiguous, multi-ple, open, not easily classifiable, with large margins of freedomand interpretation, leads to a really particular conceptual and theo-retical short-circuit.The “Science of the Project”, in fact, can only be regarded as anempirical “inaccurate” science. Unlike the so-called “exact” sciences, in architectural design theoutcome is never certain and, once obtained, it is not (or shouldn’tbe) exactly repeatable.Although this is a science “incorrect”, in it there are anyway manysteps, ranging paths so that you can reach a value of recognizable

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quality.So we may come to a conception of science of the architecturaldesign “probable” according to wich, the reality is formed or isconstructed on the basis of the “participation” of the subject, andthat does not affect the fundamental value of the intuition. Thisconcept defines, in architecture, the modalities of the relationshipbetween “rationale” and “subjective element”, between the theoryand the making of architecture and it is very far from all thosetemptations of making an exclusive use of the data parameteriza-tion which, although it is useful in establishing a broad base ofknowledge, we can not presume to conclude in them the com-plexity of the design processes.

Renata PresciaThe restoration of modern. Protection’s question, Project’squestion.

The modern restoration has become a topic of great interest becau-se the modern architecture make the environment in which theylive and work the present generation. It’s a problem area on whichalso are with the actual demolition for replacement questioningthe institutions of protection and therefore confirms that fertileplace of scientific research since it raises a number of inputs forboth new historiographical considerations, and for new acquisi-tions on the conservation of materials, which, again, to refine “ascience project”. Unfortunately, in practice, is still very much atrisk-loss.The loss of the modern occurs in several ways: either with theactual demolition for replacement with new buildings, or for com-plying with new regulations, or a gradual change of materials that,fact, determine the total distortion. This contribution, which isrooted in the disciplinary culture of restoration, will express thebasic cultural reasons because it should keep the Modern, in thewider context of the interventions on existing structures, even inthe light of a shorter distance in time between the works themsel-ves and generation involved.If the re-cognition of an architecture of the twentieth century sug-gests the same method of approach, already codified for theremains of antiquity, and that develops from historical research,mountainous terrain, knowledge of materials, deterioration andinstability, the design choices may also acquire their specific cha-racteristics to the architecture of the twentieth century poses newproblem scenarios primarily on the question of materials, giventheir different shelf-life, but also in the re-use in relation to thewider variety of types (places of work, social welfare institu-tions...) and different urban contexts.

Sandro ScarrocchiaDesign Methodology for restoration.

The recent law establishing the system of studies for  professionalrestorers also recognizes their role as designers. However, contra-dictorily, the same study system does not give  due space to a spe-cific reflection on the project and its methodology. This articleattempts  to explain the relationship between preliminary investi-gations, an understanding of conflicting values, the conservation

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programme and the project of restoration, recognising that the lat-ter plays a crucial role in the  monument care mission, but at thesame time entrusting it with the surplus of reasoning relating tomonument care. In this sense, the  restoration project so orientedcan be considered methodologically “weighted”. The methodo-logy acknowledges the relativity of planning autonomy within thefield of restoration. 

Andrea SciasciaArchitecture and Phenomenology in Palermo. Paci, Rogers,Gregotti, Culotta and Leone

Andrea Sciascia describes a route that stretches from the Husserl’sphenomenology, through the Enzo Paci’s lesson and contributionsof Ernesto Nathan Rogers and Gregotti , until the architecture ofPasquale Culotta and Giuseppe Leone.After demonstrating, through clues and evidences, which is thelink between phenomenology and the reflection of the two desi-gners Sicilian, reasoning is divided in three groups:- The lesson of Frank Lloyd Wright and the Mediterranean mythin contemporary architecture;- The "suspension of judgment" and opposition to the injury of a "concretization misplaced ";- The poetry of the pre-existing environmental and architecture ofthe modification;For each of these areas, the paper shows how deep and originalCulotta and Leone have been able to trace their route in architec-tural design .The Wright's architecture, as well as being an example in itself, isthe gateway to the United States of America , and to an architectu-re free from prejudice and in which the use of the technique arisesfrom the necessity of the project. The suspension of judgment isstrongly directs the proposal phase that the reading of the places,fundamental practice in the learning of Culotta. While the systemof pre-existing environmental Rogers is placed in relation to thephilosophy of relationism Paci giving a wider meaning to the solu-tion "case by case "

Zeila TesoriereAfter the obsolescencie. Projects for the disused railway via-ducts

This article focuses on the increasing number of abandonedrailways converted into new parkways, briefly investigating themtrough the prism of obsolescence. Over the past forty years, thefeatures matching with the average lifetime of infrastructural buil-dings have became of growing relevance dealing with contempo-rary policies in restructuring our territories.In the beginning of 21th century, facing the new challenges of thepost-carbon era, cities of developed society are riddled with tech-nical ruins, testaments to their recent productive past. Since theentanglement of transport infrastructure, industry and architecturehighly represents important segments of 20th century urban tis-sues, the end of their use cycles makes raise questions concerningits formal and local impacts. We would like to stress how, in orderto re-obtain continuing use of those abandoned artifacts, architec-

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ture has to provide proper answers to the complex interweaving oftechnical questions, economical and cultural aspects alwaysembedded in such processes. Those issues, that are to be describedin figurative terms (rather than trough diagrams, lists, or othernon-figurative methods), demonstrate how temporalities actamong other catalysts in urban regeneration processes. systemShortly comparing recent examples of obsolete infra-tecture cut-ting trough urban tissue, such as the High Line, the ReadingViaduct or the Bloomingdale Trail, we will show how they distin-guish themselves from the previous case of the Promenade Plantéein Paris. Meanwhile, the devise of a new configuration of conceptsaffirmed the transformation of obsolete railways, rather than theirdemolition, as leading practice. Moreover, and closely intertwi-ning questions concerning art, architecture and technology, themobilisation of the two primary notions of industrial heritage andlandscape has definitively attributed aesthetic values to those for-mer relics, revealing them as powerful tools in addressing newproject strategies.

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