Lo Stato Moderno

45
1 LEZIONE STATO MODERNO 1 Filosofia politica 2011-12 Parte Prima: Il cantiere storico 2 Il periodo storico che si colloca fra il XIV ed il XVII secolo presenta, seppur con delle continuità nelle forme di organizzazione del potere, delle vicende estremamente complesse e variegate. Definiti spesso come una fase di transizione, questi secoli sembrano quasi scomparire fra i due pilastri sovrastanti del medioevo e dell’età moderna. Caratteristica peculiare di questa fase storica, che condiziona in modo non indifferente ogni percorso di ricerca che voglia muoversi al suo interno, è l’evidente resistenza ad ogni tentativo di ricondurne i processi ad unità e uniformità. L’età cetuale sembra giocare agli occhi dello storico un effetto particolare: processi e tendenze che da lontano sembrano mostrare ritmi e caratteristiche comuni, si frantumano appena l’analisi sposta il fuoco su situazioni più particolari, rimandando un’immagine che difficilmente riesce a ricondurre in un quadro comune specificità territoriali e temporali. Pur tuttavia all’interno di questa eterogeneità si consumano delle trasformazioni comuni allo spazio politico europeo, soprattutto continentale, che saranno cruciali per la genesi della dimensione politica moderna. Nell’analisi della società di antico regime è possibile fare emergere alcune direttrici di fondo: la rottura della base imperiale-religiosa del rapporto feudale e la crisi del suo modello politico gerarchico e bilaterale, da un lato, e il superamento della dimensione naturale dell’economia, dall’altro. Questi due processi assumono 1 Questo testo costituisce un materiale interno e ad uso esclusivo al corso di Filosofia Politica, che sfugge alle norme redazionali correnti per le pubblicazioni ma è redatto sulla base di materiali editi, dunque si diffida da qualunque altro impiego. 2 Tratto da Serena Marcenò, Biopolitica e sovranità. Concetti e pratiche di governo alle soglie della modernità, Milano, Mimesis 2012.

description

Appunti scienza politica

Transcript of Lo Stato Moderno

Page 1: Lo Stato Moderno

1

LEZIONE STATO MODERNO 1

Filosofia politica 2011-12

Parte Prima: Il cantiere storico2

Il periodo storico che si colloca fra il XIV ed il XVII secolo presenta, seppur con

delle continuità nelle forme di organizzazione del potere, delle vicende estremamente

complesse e variegate. Definiti spesso come una fase di transizione, questi secoli

sembrano quasi scomparire fra i due pilastri sovrastanti del medioevo e dell’età

moderna. Caratteristica peculiare di questa fase storica, che condiziona in modo non

indifferente ogni percorso di ricerca che voglia muoversi al suo interno, è l’evidente

resistenza ad ogni tentativo di ricondurne i processi ad unità e uniformità.

L’ età cetuale sembra giocare agli occhi dello storico un effetto particolare:

processi e tendenze che da lontano sembrano mostrare ritmi e caratteristiche comuni,

si frantumano appena l’analisi sposta il fuoco su situazioni più particolari,

rimandando un’immagine che difficilmente riesce a ricondurre in un quadro comune

specificità territoriali e temporali. Pur tuttavia all’interno di questa eterogeneità si

consumano delle trasformazioni comuni allo spazio politico europeo, soprattutto

continentale, che saranno cruciali per la genesi della dimensione politica moderna.

Nell’analisi della società di antico regime è possibile fare emergere alcune

direttrici di fondo: la rottura della base imperiale-religiosa del rapporto feudale e la

crisi del suo modello politico gerarchico e bilaterale, da un lato, e il superamento

della dimensione naturale dell’economia, dall’altro. Questi due processi assumono

1 Questo testo costituisce un materiale interno e ad uso esclusivo al corso di Filosofia Politica, che sfugge alle norme redazionali correnti per le pubblicazioni ma è redatto sulla base di materiali editi, dunque si diffida da qualunque altro impiego. 2 Tratto da Serena Marcenò, Biopolitica e sovranità. Concetti e pratiche di governo alle soglie

della modernità, Milano, Mimesis 2012.

Page 2: Lo Stato Moderno

2

evidenza nella trasformazione della proprietà fondiaria verso la dimensione signorile,

e nel progressivo sviluppo di nuove attività produttive e commerciali.

La cornice di queste trasformazioni è la società cetuale. Ceto, nella definizione che

prendiamo da Pierangelo Schiera,

«è l’insieme delle persone che godono, per la comune condizione in cui si

trovano, della medesima posizione in ordine ai diritti e ai doveri politici; e che, per il

fatto di goderne insieme, elaborano e praticano forme di gestione della loro posizione

che sono appunto comunitarie o perlomeno rappresentative».

Nella dimensione cetuale l’obbligazione politica assume un carattere collettivo, a

partire dalla casa che costituisce, anche a livello antropologico, la forma primigenia

della sua organizzazione, fino alle forme più complesse della signoria o della

corporazione. La struttura comunitaria della società cetuale fa sì che al suo interno i

rapporti politici si articolino su due piani: il primo, a livello del singolo gruppo, il

secondo, nei rapporti fra gruppi diversi, dando luogo ad una struttura policentrica che

frantuma e dissemina la mediazione politica, limitando il ricorso ad istanze superiori

ed esterne.

Il policentrismo della società cetuale, che assume tutta la sua vividezza se lo

confrontiamo con la progressiva concentrazione dei poteri della statualità moderna,

genera alcuni aspetti significativi che riguardano il rapporto fra la sfera pubblica e la

sfera privata e l’inconsistenza di una differenziazione/contrapposizione fra Stato e

società.

Le condizioni storiche che portarono alla nascita della società cetuale vanno

ricercate nella stabilizzazione di alcune istituzioni, e di certe forme comuni, che si

delineano nell’Europa occidentale tra l’XI ed il XII secolo: il sistema cittadino, le

Page 3: Lo Stato Moderno

3

corporazioni, la cavalleria, le università e le magistrature, che assumono in questo

periodo delle caratteristiche che rimarranno fondamentali per la cultura europea.

La pace esterna, dovuta alla fine delle invasioni, e la relativa stanzialità dei popoli,

crearono le condizioni per lo sviluppo di una organizzazione sociale nelle forme di un

sistema corporativo a base locale e regionale, in cui confluirono tradizioni di

derivazione romana, germanica e slava. La società per ceti dell'alto medioevo

sorgerebbe quindi da un «ethos paneuropeo» che ha una doppia radice nella ricezione

giuridica germanica e nell'ordinamento ecclesiastico.

Dal punto di vista giuridico questa società poggia sul principio di privilegio che sta

alla base della concezione del diritto medievale, cui corrispondono i concetti di

honor, status e libertas. Questi servono a determinare la posizione del singolo nel

sistema giuridico, e rivelano una concezione del diritto positivo come espressione di

un diritto naturale eterno, nonché l’idea della sua inviolabilità e della sua priorità di

fronte alla forza.

Da sottolineare è naturalmente il modello che la Chiesa fornì all’età cetuale, sia dal

punto di vista dell’organizzazione politica e giuridica, sia dal punto di vista culturale.

La cultura religiosa non diede il proprio contributo solo in termini strettamente

confessionali, ma contribuì alla legittimazione di un concetto di ordine gerarchico che

si basava sulla subordinazione dell’ordine mondano a quello divino e naturale, e sulla

limitatezza ed imperfezione di ogni azione umana che solo iscrivendosi all’interno di

questa gerarchia poteva essere considerata giusta e, per ciò stesso, legittima.

Comunemente la storiografia individua, tra il XII ed il XIII secolo, un passaggio

fra la società cetuale ed il cosiddetto Stato per ceti, che acquisterebbe consistenza nel

corso del ‘300.

Page 4: Lo Stato Moderno

4

Non utilizzerò qui la definizione di Stato per ceti perché la società cetuale non

conosce una struttura statale in senso stretto, ed è preferibile descriverla, dal punto di

vista storico-concettuale, partendo dal suo elemento più peculiare di indifferenza fra

la società e lo Stato. Da accogliere è viceversa l’individuazione di una cesura nel

corso del XIV secolo, quando l’organizzazione politica dei ceti comincia ad

interagire con un’organizzazione politica di tipo monarchico, e proprio grazie a

questo dualismo, e all’interno di questo dualismo, è possibile assistere alla genesi

delle strutture statuali moderne.

Il dualismo tra principe e ceti può essere considerato come uno dei caratteri

fondamentali della formazione dello Stato moderno in Europa, la cui prima

configurazione diventerebbe visibile proprio nel momento in cui, accanto

all’elemento antichissimo dell’autorità regia, emerge, come correlativo della

monarchia, l’elemento cetuale. È quando i ceti acquisiscono forza, e diventano

complementari alle monarchie, che diventa possibile una prima configurazione

moderna dello Stato, dal momento che il potere monarchico non avrebbe mai potuto

da solo attrarre a sé tutti i poteri sovrani disgregati dalla feudalizzazione.

Questo fenomeno, tipico dell’Europa occidentale, ha una periodizzazione

complessa che si differenzia a seconda delle regioni interessate, tuttavia, nonostante il

suo accentuato particolarismo, è comunque possibile rintracciare al suo interno delle

continuità e delle caratteristiche comuni. Tutti gli Stati europei che sono passati

attraverso la feudalizzazione e poi all’unificazione monarchica, hanno conosciuto una

fase cetuale ed hanno avuto assemblee politiche di ceti – Etats, Cortes, Landtage –

all’interno delle quali si sono consumati conflitti che hanno dato vita ad

«accomodamenti contrattuali» tra le due istanze, definite come contratti di signoria

(La Magna Charta (1215), la Bolla d’oro (1222), i Privilegi aragonesi del 1283 e

del 1287, la Joueuse Entrée (1356), il Trattato di Tübingen (1514), sono tutti accordi

Page 5: Lo Stato Moderno

5

che nell’Europa medievale sancirono su «base pattizia, il regime degli obblighi e dei

privilegi, delle prestazioni dovute e delle franchigie garantite).

La diffusione, i contenuti, la durata della validità di questi contratti di signoria ci

porta a considerare il dualismo principe/ceti come una forma specifica dello Stato

della prima età moderna. Non solo dunque la manifestazione di contese politiche e di

potere, o semplici compromessi, ma l’espressione di una condotta dualistica dei

poteri.

In questo senso il dualismo fra principe e ceti, fra il XIV ed il XVII secolo, non va

descritto tanto in termini di conflitto, quanto in quelli di un coordinamento attraverso

il quale poté realizzarsi un'attività sufficiente e ordinata dello Stato. Nessuno dei due

elementi, infatti, avrebbe potuto svolgere autonomamente le funzioni statali, e grazie

alla loro azione comune lo Stato fu in grado di acquisire forza e stabilità. Il dualismo

principe-ceti diventa così non solo la forma politica dello Stato nascente, ma la

condizione stessa per la sua genesi, e soltanto fra Cinque e Seicento sarà superato da

altre forme di organizzazione ed esercizio del potere, in un processo che potrà dirsi

concluso solo con la Rivoluzione francese.

Pur riconoscendo la consistenza di questo dualismo, molte sono le posizioni

storiografiche che, viceversa, ne accentuano gli elementi conflittuali contrapponendo,

nella costituzione della statualità moderna, un processo di «concentrazione del

potere» ad uno di «partecipazione al potere». In questo senso, l'elemento dualistico

che genera la dimensione moderna dello Stato, viene recuperato per segnare la

consistenza di forme ancora non-statali. In tal senso si può parlare di Stato «solo

quando la soluzione monistica nell'organizzazione del potere politico si presenta con

un rilievo e una dimensione autonoma rispetto alla società». Una trasformazione che

si realizzerebbe intorno alla figura del re e del suo Consiglio, grazie alla quale il

Page 6: Lo Stato Moderno

6

sovrano non sarà più un superior feudale, vertice della gerarchia dei vassalli, ma

un'entità superiore che gestisce autonomamente il proprio potere.

Queste in breve le posizioni all’interno del dibattito storiografico. La lettura che

vorrei qui avanzare coglie elementi comuni in entrambi i filoni storiografici.

L’espansione territoriale degli Stati, a partire dal XIV secolo, favorì la partecipazione

dei ceti ad un’azione comune con il principe, resa necessaria dal governo di una

dimensione spaziale e funzionale dello Stato sempre crescente ed eccedente rispetto

alla ripartizione delle prerogative, e delle effettive capacità di governo, tradizionali.

Sulla base di questo rapporto, e all’interno del dualismo cetuale, si andrà

progressivamente articolando una tensione fra supremazia ed autonomia, alla quale

concorsero diversi fattori che ricadono all’interno di tre sfere: quella del diritto,

quella della fiscalità e quella della giustizia. La soluzione del dualismo cetuale, alla

fine di questo processo secolare, si configurerà più nei termini di un superamento che

in quelli della supremazia, della vittoria, di uno dei due elementi all’interno del

conflitto.

A cavallo del XIV secolo una serie di trasformazioni diedero vita a nuovi rapporti,

tra individui e gruppi sociali, non più regolabili sulla base esclusiva delle antiche

consuetudini di tipo medievale. L’incremento demografico, una diversa

concentrazione della popolazione nei nuclei urbani, la nascita o il rifiorire delle città,

crearono un’alternativa alla forma tipica dell’insediamento umano medievale della

corte e del monastero, e segnarono la nascita di nuovi bisogni, materiali e spirituali.

Questi movimenti misero in crisi gli apparati delle monarchie feudali, individuandone

i limiti e preparandone la trasformazione.

Uno degli elementi di novità più significativi per le nuove forme di organizzazione

del potere, è la nascita degli studia generalia, le nuove università, istituzioni

prettamente urbane che cominciano a sostituire cenobi e monasteri come centri di

Page 7: Lo Stato Moderno

7

elaborazione del sapere. La nascita delle università nel tardo medioevo, fra il 1150 ed

il 1250, costituisce l’incubazione di tutta una serie di istituzioni e di saperi –

soprattutto giuridici – determinanti nella costituzione delle prime forme della

statualità moderna.

All'interno delle nuove realtà politiche territoriali, una delle resistenze principali

alla costituzione di ordinamenti accentrati, e quindi all'affermazione di un potere

preminente dell’elemento principesco, venne in larga parte dalle caratteristiche della

loro formazione storica. L’accentuato particolarismo interno, sorto dalla

sovrapposizione di diversi ordinamenti giuridici di tipo personale o territoriale,

derivava dal fatto che nel corso dei secoli, feudi, città e territori erano entrati a far

parte del dominio di un principe in modi e a condizioni differenti, conservando la

propria specifica situazione giuridica.

A questo particolarismo interno faceva riscontro una molteplicità delle fonti di

diritto, che derivava dall'insieme degli ordinamenti giuridici di origine diversa: statuti

comunali, consuetudini locali, prime forme della legislazione principesca, diritto

feudale, diritto mercantile, cui bisogna aggiungere il diritto comune e la sua

interpretazione.

L’ordine giuridico medievale, caratterizzato dal suo pluralismo, si fondava su una

nozione di ordo, l’ordo iuris, che aveva funzionato come «tessuto legante» all’interno

del sistema di autonomie – che ne costituivano l’aspetto peculiare – e che

mantenevano al suo interno le proprie diversità. Non dobbiamo dunque immaginare il

pluralismo giuridico come la frantumazione di un ordine unitario, ma, piuttosto, come

un ordine che è l’esito delle sue sfaccettature interne. Solo di fronte ai mutamenti che

cominciano a delinearsi a partire dal Trecento, quest’ordine comincerà a sgretolarsi,

ma si tratterà di un processo lento che, fra le trasformazioni del tempo, sarà l’ultimo a

manifestarsi.

Page 8: Lo Stato Moderno

8

La legislazione dei principi trovò grosse difficoltà ad inserirsi fra il diritto comune

e i diritti particolari, soprattutto quando, lasciando da parte la propria tradizionale

funzione di legittimazione a franchigie, autonomie e privilegi locali e personali,

cercava di imporre norme generali in contrasto con il particolarismo giuridico.

Per tutta l’età cetuale, come sostiene W. Näf, i contratti di signoria funzionarono

come luogo della composizione per fissare «in termini giuridico-statali ciò che vi era

di politicamente valido e controverso», fra il principe da un lato ed i ceti, quali

rappresentanti del paese, dall’altro. La tensione fra principe e ceti si giocherà tutta sui

confini da tracciare fra diritti diversi, e gli argini da porre alla legittimità della

produzione di nuovi diritti. I ceti, infatti, non solo cercarono di difendere gli ambiti

dei propri diritti, ma aspirarono anche a partecipare alla formazione del nuovo diritto,

attraverso una posizione di divieto e di controllo nei confronti del principe, tutte le

volte che questi tentava di violare la sfera delle loro prerogative.

Le funzioni di difesa e di controllo si esercitarono soprattutto attraverso la

concessione delle imposte e delle prestazioni e sulle questioni dinastiche. Nella

successione al trono il prevalere del principio ereditario, di fronte a quello elettivo, ha

costituito il luogo del rafforzamento della monarchia rispetto alle istanze dei ceti. Le

regole di successione, se da una parte costituirono a lungo un elemento di

conflittualità, dall’altra facilitarono il processo di stabilizzazione dell'istituzione

monarchica e la sua legittimazione ed identificazione con il regno. I contratti di

signoria contenevano spesso prescrizioni che impedivano o regolavano divisioni per

successioni dinastiche, cessioni o alienazioni di territorio e di popolazione, che

cominciarono a segnare, seppur in modo embrionale, una politica con dimensioni

statuali più che cetuali.

Page 9: Lo Stato Moderno

9

Come ho già accennato, non concordo pienamente con una interpretazione che

vede il passaggio da una dimensione cetuale ad una statuale come esito di un

allargamento e di una tensione fra le rispettive sfere di giurisdizione. Da un lato mi

sembra infatti che l’azione politica dei ceti mirasse a conservare posizioni acquisite

ed ambiti di autonomia che si percepivano minacciati, dall’altro, perché il dualismo

principe/ceti ha prodotto una dimensione nuova dello spazio politico stesso, facendo

emergere nuovi oggetti per il governo dei quali era indispensabile la partecipazione

finanziaria e legislativa dei corpi sociali organizzati.

I corpi rappresentativi – assemblee, diete imperiali, curie feudali – esistevano

anche in epoche più antiche, ciò che mutò fu il tentativo di costituire organi

giurisdizionali e amministrativi autonomi. Il primo a mostrare una cesura è l’ambito

dell’autodifesa. La faida costituiva un elemento di fondo dell’età medievale e

contemplava il ricorso alla forza delle armi sia all’interno che all’esterno. La

persistenza della faida, come commistione fra forza e diritto, nel corso del XIV

secolo entrerà in un rapporto di concorrenza con i tentativi di delineare una

giurisdizione che avesse un’effettività coercitiva e un funzionamento continuo, e che

cominciò ad organizzarsi a partire dalla creazione di una polizia interna.

Naturalmente questi obiettivi saranno raggiunti nella loro completezza molti secoli

dopo, tuttavia il XIV secolo mostra il declino della forza individuale a favore di un

potere con istanze giurisdizionali che si svilupperanno grazie ad un ambito territoriale

definito e stabile, e ad un’organizzazione giudiziaria e amministrativa diffusa, a

partire da una configurazione territoriale/istituzionale dello Stato. Il signore cercherà

di affermare, di fronte alla forza individuale, un potere giurisdizionale e darà vita ad

un’organizzazione amministrativa e giudiziaria centrale, da lui direttamente

dipendente, con diramazioni periferiche e locali, ma che ancora per tutta l’età cetuale

rimarrà limitata ai vincoli di dipendenza diretta e lascerà «libero spazio a poteri locali

di diritto autonomi, nobiliari, ecclesiastici o corporativi».

Page 10: Lo Stato Moderno

10

Nonostante tutti questi limiti la costituzione dell’amministrazione centrale e locale

del principe segnerà un mutamento di funzione. Se infatti nelle forme antiche di

rappresentanza giudiziaria e militare «aveva prevalso l’azione comunitaria», adesso

la prestazione del consilium ed auxilium, cioè delle prestazioni militari e fiscali, viene

contrattata in una misura che tiene conto della necessità del principe, e sarà proprio la

misura di questa necessità a scardinare progressivamente l’autonomia cetuale.

Con l’avvio di un’organizzazione amministrativa e giudiziaria locale lo Stato

territoriale dette inizio ad «una restrizione, uno svuotamento, una paralisi dei poteri

locali» ai quali esso si contrappose con la concorrenza di poteri locali propri. Bisogna

notare però che il processo di accentramento delle funzioni fiscali, amministrative e

burocratiche, fino alla fine del Settecento, non si realizzò tanto attraverso la

sostituzione delle istituzioni precedenti quanto piuttosto attraverso una lenta

sovrapposizione delle nuove istituzioni, direttamente dipendenti dal potere

monarchico, sui poteri locali preesistenti, nel tentativo di giungere ad una loro

progressiva esautorazione.

A questo proposito va sicuramente ricordato anche il ruolo che le nuove esigenze

militari e diplomatiche ebbero nel processo di centralizzazione delle monarchie e

l’importanza, sottolineata da tutti gli storici, della creazione degli eserciti permanenti,

sganciati dai vincoli feudali, e della creazione di una struttura amministrativa e

finanziaria capace di assicurarne il mantenimento.

Il processo che matura nei secoli compresi fra Tre e Cinquecento può essere

descritto come l’esito di un doppio movimento. Il primo, verso l’esterno, per

l’emancipazione dalle strutture feudali sovranazionali dell’Impero e del Papato, il

secondo, verso l’interno, per il ridimensionamento progressivo delle strutture cetuali.

Un movimento che darà vita ad una duplice giustificazione del potere sovrano come

Page 11: Lo Stato Moderno

11

garanzia del mantenimento dell'ordine all’interno dello Stato e della sua sicurezza

contro ogni attacco dall’esterno dello Stato.

Dal punto di vista giuridico questo passaggio, avviato all’inizio del Cinquecento

dalla polemica sugli interpreti medievali, segnerà la fine del pluralismo giuridico

medievale e condurrà al monismo giuridico dello Stato moderno.

Molti dei difetti e dei limiti della giurisprudenza derivavano, secondo gli umanisti,

dai difetti della compilazione di Giustiniano, che, priva di una rigorosa unità logica,

si prestava bene al lavoro di interpretazione e di sistematizzazione dei Glossatori e

dei Commentatori. L'antitribonianismo costituì uno dei filoni della polemica contro

l'età di mezzo, ma al di là delle critiche tecniche alla giurisprudenza classica, alla

base di questi discorsi stava l'esigenza fondamentale di restituire il diritto romano alla

sua dimensione storica per poter avviare la formazione dei diritti nazionali.

La critica filologica degli scritti giuridici antichi e la ricostruzione storica di alcuni

istituti del diritto romano, costituirono l'espressione di una nuova metodologia che si

distaccava da quella medievale ed operava secondo un approccio filologico alla

giurisprudenza del passato, manifestando la necessità di abbandonare le concezioni

dell’infallibilità degli antichi come modelli da accettare incondizionatamente. Cadeva

così la premessa stessa della giurisprudenza medievale, l'autorità su cui poggiavano le

interpretazioni, e la filologia diventava lo strumento principale dell'attacco contro il

metodo scolastico. Le premesse della filosofia giuridica scolastica cadevano così nel

momento stesso in cui gli istituti del diritto romano venivano riportati alla loro

dimensione storica.

La critica al metodo tradizionale divenne uno strumento proprio dei giuristi e

acquistò i caratteri di una vera e propria metodologia con tecniche specificamente

storico-giuridiche. Con l'attacco portato agli ordinamenti giuridici medievali, e la

Page 12: Lo Stato Moderno

12

rottura dell'ideale universalistico del diritto, i Culti avviarono il lungo processo di

costituzione dei diritti nazionali. Questo processo si mosse essenzialmente su due

direttrici: una che rompeva la staticità del diritto romano medievale, recuperandone

solo gli istituti ancora vitali, e l’altra che operò l'ordinamento e l'unificazione degli

istituti consuetudinari e particolari formatisi nei secoli. L’esito di questo

rinnovamento sarà il passaggio al particolarismo statale moderno.

L’altro processo di trasformazione cruciale per la genesi delle strutture statuali

moderne, e delle sue peculiari forme di soggettività politico-giuridica, riguardò il

lento e progressivo distacco tra dimensione pubblica e privata, uno iato del tutto

estraneo alla dimensione cetuale.

Il termine società segna, fra XVI e XVII secolo, uno scarto concettuale importante,

indicando una rete di relazioni culturali ed economiche «esterne o prioritarie nei

confronti della politica» e collocabili su un altro piano diverso, quando non

contrapposto, a quello dello Stato.

Il concetto moderno di società rompe la tradizione di pensiero precedente, basata

sull’idea della naturalità del rapporto sociale, inaugurando una dimensione del

politico fondata sui diritti individuali. A partire dal pensiero di Hobbes si porranno le

condizioni teoriche per la contrapposizione tra pubblico e privato sulla base della

quale si giungerà alla distinzione fra società civile e Stato.

La rottura, naturalmente, non si consumò soltanto sul piano teorico della

concettualizzazione del termine, ma segnò un passaggio storico fra la fine della

società cetuale e la nascita dello Stato moderno.

Nella società cetuale pubblico e privato non costituivano delle categorie politiche,

ma, come dice P. Schiera, non nel senso che non si potessero distinguere gli atti che

Page 13: Lo Stato Moderno

13

inerivano alla vita privata da quelli che inerivano ad una dimensione collettiva, bensì

nel senso che i due tipi di atti non potevano essere inscritti a due poli separati e

contrapposti, «la distinzione fra loro non era in alcun modo causa o conseguenza di

una separazione costituzionale fra l’esercizio del potere […] e la semplice

soddisfazione di bisogni individuali»3.

Se la concentrazione della forza legittima costituisce l’emblema della statualità

moderna, nella società cetuale la forza legittima è diffusa, «è dislocata […] in modo

più o meno intenso, in numerosi punti, ciascuno dei quali […] ha diretta efficacia

politica». La società cetuale, in questo senso, è una società pluralistica, dove

pluralismo indica la molteplicità delle fonti del potere e la molteplicità dei luoghi del

suo esercizio. Ordini, status e ceti esercitano legittimamente potere, in modo più o

meno coordinato o concorrente, e questo si articola a livelli e su dimensioni diverse e

specifiche, dalla casa alle assemblee rappresentative. Lo spazio politico che corre fra

la dimensione della casa e quella delle assemblee rappresentative, costituisce il luogo

in cui si iscrivono le relazioni di potere e i momenti di mediazione e composizione

all’interno dei singoli gruppi e fra gruppi diversi.

Ma se manca lo Stato in quanto titolare dell’esercizio del potere, la società non è

più definibile come l’ambito degli interessi privati, e la società per ceti, come

suggerisce Brunner, se la descrivessimo con un linguaggio moderno, dovrebbe

definirsi come societas civilis sive status.

Per la storia costituzionale precedente l’età moderna pubblico e privato non

costituiscono dunque delle categorie politiche: non c’è lo Stato, come momento

sintetico e unificante di titolarità e di esercizio del potere, ma manca anche la società,

3 P. Schiera, Società per ceti, cit., p. 900. Il termine «costituzionale» sarà impiegato qui in riferimento alla

distinzione che fa Brunner fra «“costituzione” (Verfassung) intesa in senso generale e “costituzione” (Konstitution) come costituzione dello Stato di diritto liberal-borghese», O. Brunner, Il concetto moderno di costituzione e la storia costituzionale del medioevo, in Per una nuova storia costituzionale e sociale, cit., (pp. 1-20), p. 7; cfr. anche G. Duso, Il potere, cit., p. 83.

Page 14: Lo Stato Moderno

14

come sede degli interessi privati e dei rapporti ad essi inerenti, e la società per ceti è

allo stesso modo Stato e società.

Il concetto moderno di società è comprensibile soltanto in relazione al concetto

moderno di Stato, e soltanto in virtù di questa relazione i due concetti consentono una

differenziazione reciproca. Secondo Brunner la società in senso moderno «appartiene,

per sua stessa essenza, allo Stato moderno: essa è possibile solo laddove lo Stato

detiene il monopolio dell’esercizio legittimo della forza»; non una «societas civilis

sine imperio» ma al contrario una «societas civilis cum imperio» in cui Stato, popolo

e società coincidono. Nell’antica società per ceti ciò che si differenzia dalla societas

civilis e dalla sua dottrina, la politica, non è lo Stato bensì la casa, la societas

domestica e la sua dottrina, l’economica.

Affronteremo più avanti la vicenda dell’economica nell’età moderna, ma è

importante qui ribadire che l’ambito della casa, per tutta l’età cetuale, non può essere

inteso in senso privato. Se infatti il signore di casa, in quanto capofamiglia, svolgeva

una funzione che adesso definiremmo privata, questa comprendeva al suo interno

poteri di tipo giurisdizionale, amministrativo e di rappresentanza su tutte le persone

da lui dipendenti.

Nella società cetuale la societas civilis è immediatamente società politica, dal

momento che alla sua articolazione interna corrispondono funzioni di autogoverno

che rispondono a diritti e libertà specifici. Perché si consumi uno scollamento fra la

società e lo Stato dovrà emergere una nuova soggettività politica individuale in grado

«di far decadere quelle reti di socialità naturale che [la] legavano a un ordine di

rapporti precostituito e limitante per la sua mobilità. Perché i ceti, le corporazioni e le

organizzazioni di mestiere perdessero la propria priorità nel definire che cosa fosse la

società civile […] fu necessario che emergessero schemi di socializzazione

radicalmente differenti».

Page 15: Lo Stato Moderno

15

Una delle soglie concettuali fra la società cetuale e la statualità moderna può essere

individuata nei mutamenti che riguardarono il modo di intendere la libertà, che

solitamente viene sintetizzata nella formula dalle libertà alla libertà. Questo

processo, dal plurale al singolare, è descritto efficacemente da Emile Lousse, che ha

indagato il senso assunto dalla libertà nei quadri giuridici, sociali e politici

dell’ancien régime, chiedendosi se quest’ultimo non avesse conosciuto «” la” libertà

(nel senso filosofico), ma solo “delle” libertà».

Iura et libertates originariamente riguardavano il complesso dei diritti posseduti

dai diversi poteri. Ma libertà, come dice Brunner, è anche un concetto spaziale e

territoriale, e in questo senso stava ad indicare l’autonomia e l’immunità che

«pertiene ad un potere signorile, individuale o comunitario e nella quale non può

incidere […] un potere signorile superiore». In questo senso libere o autonome sono

la signoria terriera e giudiziaria, la città, il villaggio e la casa.

La libertà nell’ancien régime è di ordine civile e politico e riguarda persone e beni,

e in questo non presenta alcuna diversità di rilievo rispetto all’accezione moderna del

concetto. È sulla titolarità della libertà, sul soggetto cui questa fa capo, che emerge

invece una differenza sostanziale. Per tutto l’ancien régime l’uomo libero ha il diritto

di essere giudicato solo dai suoi pari e secondo il suo diritto, ed ha il diritto di essere

consultato dai suoi superiori naturali per ogni decisione che lo coinvolga dal punto di

vista legislativo, fiscale, sociale e militare. Tuttavia la condizione di libero riguardava

una fascia ristretta della società: di fronte ai liberi stavano i servi (e gli schiavi), che

viceversa non godevano di alcuna libertà, né reale, né civile, né politica, né potevano

sottrarsi in alcun modo al proprio status senza il consenso del proprio dominus.

A proposito del rapporto fra libertà ed eguaglianza nel modello aristotelico, G.

Duso sostiene che il governo politico «è distinto da quello padronale e dunque dal

tipo di dominio che si ha sugli schiavi per i lavori necessari nell’ambito dell’oikos. La

Page 16: Lo Stato Moderno

16

differenza del governo nei due casi è legata alla differenza di natura che c’è tra gli

uomini liberi e schiavi. È dunque la natura dell’uomo libero che richiede un diverso

tipo di governo, di diversa qualità, quella politica appunto. Tuttavia il fatto che la

politiké arché si eserciti su uomini della stessa stirpe, liberi e uguali, non comporta

che ci sia uguaglianza tra tutti i liberi. I liberi sono infatti tutti ugualmente liberi, ma

non tutti assolutamente uguali», G. Duso, La logica del potere, cit., p. 58.

L’incapacità giuridica pertanto non era propria solo di coloro che si trovano in una

condizione di servaggio e l’ancien régime ci presenta una vasta gamma di status che

riguardano persone che, anche se di origine libera, «col pretesto del bene comune

sono collocate sotto il potere (mundium) di altre persone: le figlie di ogni età, sposate

o meno, i figli di nascita illegittima o non emancipati dal potere paterno, i

maggiorenni interdetti per un qualsiasi motivo, tra i quali i lebbrosi, gli aubains

(stranieri) […], gli infedeli – non battezzati o eretici – […] i grandi condannati

politici o di diritto comune, i prigionieri di guerra, i morti civili».

Tutti i soggetti che ricadono all’interno di questo lungo elenco, dal punto di vista

giuridico, sono incapaci di disporre di se stessi, della propria persona e dei propri

beni; e l’aspetto forse più significativo dell’analisi di Lousse è di aver colto il nesso

fra capacità e libertà. Per tutto l’antico regime – egli scrive – la servitù «rientra nella

gamma delle incapacità». È la capacità, in vista del bene comune, che rende il

soggetto libero e attivo politicamente, e capacità e incapacità sono allo stesso tempo

concetti giuridici e naturali: «Una incapacità giuridica, fondata su delle incapacità

naturali, di cui la società crede di avere ragioni per diffidare».

Il non-libero-servo è come un «prigioniero», anche se non è necessariamente un

colpevole, è un «interdetto», la cui debolezza va protetta contro l’abuso altrui, e, allo

stesso tempo, è colui dal quale la società deve proteggere se stessa, per garantire il

bene sociale. Egli perciò deve essere posto sotto tutela ed essere privato della

Page 17: Lo Stato Moderno

17

possibilità di agire autonomamente decidendo sulla propria persona dal punto di vista

civile e biologico: non può contrarre matrimonio, e quindi non può procreare

legittimamente, senza il consenso del proprio signore; è obbligato a certe prestazioni

lavorative, mentre altre gli sono precluse; gli è negata la possibilità di disporre dei

suoi beni.

La libertà è capacità, scrive Lousse, non «l’indipendenza o l’assenza di legami, ma

una capacità di impegnarsi e di non vedersi imporre da altri dei legami ai quali non si

sia acconsentito da sé»; ed è garantita, in misura minore o maggiore, in rapporto al

grado di fiducia che il soggetto è capace di stabilire con la società, e che questa a sua

volta gli riconosce in base alle sue capacità, naturali e giuridiche.

Possiamo inserire adesso un ulteriore elemento utile per la comprensione della

società della prima età moderna e, soprattutto, della soggettività politica che in essa

agisce. Nella società cetuale lo status del soggetto non è unico, nel senso che il

soggetto può partecipare contemporaneamente a status diversi. A differenza del

soggetto moderno, al quale viene riconosciuta un'unica soggettività che fa capo ai

suoi diritti, il soggetto di antico regime ha una soggettività plurima. «Il caput

giuridico – scrive ancora Lousse – è composto di molteplici branche o status distinti:

status familiae, status civitatis, status ordinis, status professionis, status religionis», e

la libertà deriva dalla capacità che l’individuo ha di agire in questi diversi spazi in

vista del bene comune.

Esso può essere libero, superiore e privilegiato, se è capace di partecipare alla

realizzazione del bene comune, o viceversa servo, inferiore, non-libero se non è

ritenuto capace di reggersi da solo e di contribuire alla realizzazione del bene

comune. «La libertà è il risultato di una somma di capacità; essa “è” questa somma.

La società di antico regime non è composta di persone eguali, bensì di queste due

categorie, che la libertà-capacità separa seguendo una linea orizzontale. I liberi sono

Page 18: Lo Stato Moderno

18

capaci di disporre di sé stessi e dei propri beni sotto la protezione della legge; i non-

liberi-incapaci vengono posti dalla stessa legge sotto l'autorità di un padre, padrone o

signore, che porta fin nell’ordine pubblico la doppia responsabilità dei loro errori e

della propria direzione».

Il soggetto agisce dunque in uno spazio sociale molteplice, e il suo accesso alla

libertà e all’azione politica è vincolato alle sue capacità naturali e, quindi, giuridiche.

Nel momento in cui la soggettività politica è riconosciuta sulla base di

un’eguaglianza e di una libertà fondate giuridicamente e limitate solo dalla legge, ed

è dunque accessibile a tutti indifferentemente, perché funziona in capo ad un soggetto

neutro ed astratto, che non è più valutato sulla base delle proprie capacità naturali,

come sarà possibile cooperare al fine del bene comune e garantire la sicurezza

all’interno dello spazio politico unico4 che comprende anche i soggetti ritenuti

incapaci per natura e pericolosi per sé e per la società che li accoglie? Come sarà

possibile neutralizzare, all’interno di questo spazio, la pericolosità e la conflittualità

del singolo?

Per provare a rispondere a questi interrogativi dobbiamo fare un altro passo avanti

e cercare di concludere la descrizione della soggettività politica pre-moderna.

Nell’antico regime capacità e libertà sono strettamente connesse e la società, che

stiamo descrivendo come spazio immediatamente politico, vede agire al suo interno

(in senso biologico, economico e politico) attori numericamente inferiori di quelli che

si muovono nello spazio sociale e politico moderno. Da un lato ci sono i capaci-

liberi-superiori, dall’altro gli incapaci-non liberi-inferiori, e la categoria dei liberi è

4 L’unicità dello spazio politico in cui agisce la soggettività politica moderna può essere descritta come il risultato di

due movimenti convergenti: da un lato, lo spazio politico è diventato unico perché raccoglie in sé tutti i soggetti, dal momento che è decaduta la distinzione fra soggetti capaci-agenti e soggetti incapaci-non-agenti; dall’altro lato è unico perché la produzione dello spazio politico moderno ha azzerato la molteplicità e la possibilità di coesistenza di spazi politici differenti.

Page 19: Lo Stato Moderno

19

ristretta ai padri di famiglia naturali e spirituali di condizione non servile, che

dominano l’ordine feudale, dominicale, comunale e corporativo.

La società cetuale è caratterizzata da un potere diffuso di cui sono titolari solo i

liberi e capaci, che lo esercitano all’interno del proprio ordine, ceto, status, e in virtù

del quale si muovono all’interno di queste gerarchie5.

L’ultimo elemento utile per concludere la nostra analisi è quello relativo alla

rappresentanza. I soggetti titolari di capacità, libertà e potere sono anche gli unici che

possono esercitare rappresentanza, sono «rappresentanti nati» come li definisce

Lousse. Gli incapaci-non liberi-inferiori sono rappresentati dal proprio superiore, e

l’esercizio della rappresentanza è esclusivo delle «persone capaci, nell’esercizio

normale della loro potestà e nel godimento della libertà».

Il signore della casa rappresenta, senza mandato, la famiglia, intesa sia come

nucleo familiare sia come lignaggio, in virtù dei «diritti che gli derivano dal suo

matrimonio o dalla sua filiazione». Per gli affari ordinari egli può farsi rappresentare,

in virtù di un mandato imperativo, da un membro della famiglia o da una persona

sottoposta alla sua potestà. Ad un livello superiore – potremmo dire pubblico – il

signore rappresenta, senza mandato, «la comunità di persone e di beni su cui esercita

un potere legittimo», e, ancora su un altro livello, i signori possono conferire un

mandato imperativo ad un proprio pari per rappresentarli in un affare specifico. La

rappresentanza nel sistema cetuale, a differenza di quella che funziona nella

dimensione moderna dello Stato, è dunque un sistema molteplice e composito, che

può essere agita da soggetti diversi in ambiti diversi e secondo modalità eterogenee.

5 «Nella nobiltà, un capo di famiglia emancipato – solitamente il capo della casa – esercita il potere familiare,

signorile, principesco, regio, imperiale. Nella borghesia, non è soltanto il potere familiare, civile e di competenza professionale che gli appartiene, egli è anche capace di elevarsi ad uffici e dignità superiori nella sua città e nella sua professione. I religiosi sono capaci di divenire ufficiali e superiori della loro comunità; i chierici di diventare sacerdoti, curati, vescovi: di ascendere, in altri termini, tutti i gradi successivi dell’ordine e della giurisdizione fino ai più eminenti», E. Lousse, È vero che c’erano solo «delle» libertà?, cit., p. 130.

Page 20: Lo Stato Moderno

20

L’azione rappresentativa può fare riferimento al territorio, al regno o alla nazione,

nel senso di nazione nobile, come rappresentanza di «capaci di partecipare

all’assemblea territoriale, esattamente come una famiglia lo è attraverso il capo di

casa e un minorenne dal tutore», dunque soggetti capaci che rappresentano, senza

mandato, soggetti incapaci. Ma può essere anche rappresentanza di elementi

indipendenti dal punto di visto giuridico, che però sono rappresentati nelle assemblee

da altri soggetti indipendenti, seppur non come conseguenza di una incapacità o di

una mancanza di autonomia dal punto di vista giuridico.

Queste forme eterogenee di rappresentanza costituiscono un’ulteriore conferma

della natura del dualismo cetuale, che non va pensato tanto in termini di lotta o

partecipazione, bensì in quelli di un coordinamento che si articola proprio attraverso i

meccanismi rappresentativi. La rappresentanza cetuale è il luogo del coordinamento,

della composizione, della ricerca di un equilibrio, sempre instabile, cioè sempre in

fieri, tra l’istituzione statale principesca e la rappresentanza territoriale corporativa,

«che ha essenzialmente in vista la tutela dei propri spazi di libertà politica e di potere

locale, ossia, in ultima analisi, la difesa di privilegi sociali». Ed è proprio all’interno

di questa funzione di composizione della rappresentanza cetuale che i ceti

contribuiscono al consolidamento e all’integrazione territoriale contribuendo in tal

modo, dal punto di vista funzionale, alla formazione dello Stato moderno.

La rappresentanza di antico regime è sì lo spazio di azione politica del corpo della

nazione, ma questo stesso corpo è concepito in modo assolutamente differente da

quello che fonda il concetto moderno di sovranità. La rappresentanza può essere

esercitata solo da alcuni soggetti e si presenta in molteplici forme, perché diversi

sono gli ambiti rappresentabili, i tipi di mandato che contempla, e per il fatto che può

essere azionata con o senza mandato.

Page 21: Lo Stato Moderno

21

Nelle assemblee territoriali i rappresentanti «titolari di diritti uguali e oggettivi

(ossia i possessori di beni giuridicamente ammessi alla rappresentanza)» si trovano,

individualmente e collettivamente, di fronte al principe territoriale. Questo

posizionamento frontale, tipico della cetualità territoriale, diventerà sempre più

precario e conflittuale di fronte al rafforzamento dei poteri centrali e alle teorie

contrattualistiche e giusnaturalistiche dello Stato, che transiteranno la rappresentanza

da un universo discorsivo in cui questa faceva capo a soggettività differenti e

molteplici, alla rappresentatività universale dello Stato moderno, basata sul

dispositivo logico dell’uguaglianza.

Nella società cetuale la rete di relazioni fra i liberi si esprimeva attraverso i vincoli

di fedeltà che rappresentavano un vincolo giuridico. La fedeltà infatti si poteva

prestare e pretendere solo per ciò che era esigibile giuridicamente e moralmente e ad

essa si accompagnava una obbligazione corrispondente, la cui violazione, anche da

parte del superiore, avrebbe eliminato il vincolo e condotto legittimamente

all’opposizione contro il potere divenuto in tal modo illegittimo.

Il diritto su cui poggia la società cetuale è dunque un diritto duale, basato su una

reciprocità contrattuale fra principe e ceti. È un ordinamento posto al di sopra degli

uomini, la cui unità, come sostiene Brunner, garantisce ad entrambi i poli sfere

giuridiche proprie, autonome e soprattutto inviolabili, che spiegano la consistenza del

diritto al consilium e auxilium che le lega. Sarà infatti proprio a partire dallo

svuotamento del senso e delle funzioni del consiglio e dell’aiuto che si incrinerà il

sistema sociale e politico cetuale.

Allorché, nel processo di costituzione della statualità moderna, la signoria perderà

le sue funzioni essenziali, sulle cui basi articolava il proprio rapporto con il principe,

da un lato, e con i servi e familiari, dall’altro, i suoi diritti tradizionali verranno

percepiti «come privi di senso e opprimenti», non corrispondendovi alcuna

Page 22: Lo Stato Moderno

22

controprestazione diretta, sì da ridurre il signore ad un ruolo privilegiato senza potere

reale.

La libertà rivendicata dai moderni sarà allora una libertà singolare, individuale,

negativa, privata, che ha sancito un distacco dalle libertates plurali, «libertà-

partecipazione» degli antichi, ed ha collocato la capacità di azione politica dei

soggetti nel meccanismo esclusivo della rappresentanza politica moderna.

Il concetto di libertà ha subito dunque un mutamento sostanziale. Ai diversi diritti

e libertà si è sostituita la libertà singolare della società dei cittadini dello Stato, posti

sotto un diritto unitario e liberi in quanto sottoposti alle leggi.

Come scrive Brunner: «Un’idea di libertà quindi inscindibile da quella di

eguaglianza, nel senso di eguaglianza di diritto estesa a tutta la nazione, che

contemporaneamente si distingue da quella di eguaglianza concepita solo all’interno

del gruppo cetuale e di differenza che marcava le autonomie cetuali, determinate dai

rispettivi diritti e libertà», cui adesso si sostituiscono i «diritti degli uomini e dei

cittadini» con cui si definisce, specifica e sancisce, la sfera giuridica del singolo nei

confronti dello Stato.

Da un punto di vista storico la struttura sociale dell’antico regime sopravvivrà nelle

sue forme esteriori, pur avendo consumato al proprio interno una nuova dimensione

della soggettività politica, della libertà, della differenza e dell’eguaglianza, ed avendo

avviato il processo di separazione e scollamento fra la società e lo Stato attraverso

una nuova dislocazione delle funzioni biologiche, economiche, politiche ed

amministrative. Ceti, corporazioni, assemblee rappresentative di antico regime, come

scrive S. Chignola, si manterranno fino al 1789 come un «guscio vuoto» perché al

loro status non corrisponde più alcuna funzione, e il privilegio si è ridotto ad «un

residuo di soggettività» che si identifica in «un sistema di differenze svuotato ormai

Page 23: Lo Stato Moderno

23

di ogni ethos». Il diritto di amministrare non è più una prerogativa ed è diventato una

«funzione esercitata in nome della volontà di tutti».

Il processo di accentramento progressivo di poteri prima diffusi, comincia a

funzionare all’interno del dualismo fra l'autonomia dei ceti e la pretesa assoluta del

potere sovrano – come abbiamo visto per alcuni in termini di conflitto, per altri in

termini di collaborazione – avviando il processo di costituzione dello Stato moderno.

Questo conflitto intreccia le sue vicende con alcuni processi di trasformazione

sociale attraverso i quali nuovi meccanismi di divisione del lavoro e di esercizio del

potere subentrano ai vecchi ruoli e alle funzioni culturali, giurisdizionali ed

economiche, tradizionalmente svolte all'interno dei singoli ceti: «Il potere centrale

dello Stato cresce ed incrementa le proprie prerogative, tra antico regime e

rivoluzione, coordinandosi a questo processo di disarticolazione, frammentazione ed

isolamento interno alla costituzione per ceti, [assorbendo] progressivamente quanto la

società ha ceduto».

All’interno di questo processo, che riconosce progressivamente nuove funzioni allo

Stato, i termini del conflitto insito nel dualismo cetuale mutano, e l’esito della

tensione originaria fra principe e ceti non è la supremazia di un elemento sull'altro, né

l’allargamento di una sfera di giurisdizione a discapito di quella del proprio

antagonista, che possono al più rappresentare solo dei passaggi all’interno di un

processo epocale, ma il superamento del conflitto stesso.

L'accentramento della gestione dei poteri in alcune istituzioni, sempre più

organizzate all'interno e sempre meglio collegate verso l'esterno, genererà una

dimensione dello Stato che non può essere identificata né con i gruppi sociali che lo

amministrano né, tanto meno, con il monarca che lo governa. Il monarca è diventato

un amministratore della cosa pubblica, e la sovranità non può più essere considerata

Page 24: Lo Stato Moderno

24

come una sua prerogativa, come rivendicato da Bodin, perché è diventata la

prerogativa esclusiva dello Stato stesso.

L'allargamento progressivo delle facoltà normative dello Stato, imposte in ambiti

prima autonomi dal potere centrale, che avevano una propria autoregolamentazione

interna, coinvolgerà tutte le forze sociali esistenti: la chiesa, la feudalità, le autonomie

cittadine ed infine la monarchia stessa: «Eretto sulle rovine della pluralità di ceti,

corporazioni e poteri secondari in cui si articolava la costituzione di antico regime, il

nuovo potere dello Stato si appropria della sfera pubblica, dispiegando un’azione i cui

terminali raggiungono ogni più piccola cosa».

L’idea di centralizzazione e quella di sovranità del popolo – dice Tocqueville nel

Discorso del 21 aprile 1842 – sono nate lo stesso giorno. Ma nel momento esatto in

cui ad ogni cittadino si riconosce il diritto di partecipare al governo «esprimendo la

sua volontà, va anche crescendo a dismisura il numero delle legittime attribuzioni

dello Stato». Alla fine di questo processo la Rivoluzione si troverà a registrare un

risultato in buona parte già ottenuto.

L’uguaglianza ha prodotto la Rivoluzione, e la teoria rivoluzionaria proietterà nel

futuro qualcosa che la pratica amministrativa e costituzionale dell’antico regime e

dell’assolutismo avevano già avviato. Gli ordini e le corporazioni hanno ceduto il

proprio autogoverno al governo monarchico, l’uguaglianza ha soppiantato il

pluralismo, e il diritto si è sostituito ai diritti. «Esautorando le istituzioni corporative e

cetuali ed accentrando per via amministrativa il governo della società», la monarchia

ha portato a termine il progetto di uguaglianza inaugurato con i dispositivi concettuali

hobbesiani.

Da Hobbes in poi sarà il potere politico a rendere possibile la società e

l’uguaglianza degli individui farà astrazione delle differenze tra gli uomini, che – già

a partire da Pufendorf – cominceranno ad essere percepite, come dice G. Duso, come

Page 25: Lo Stato Moderno

25

qualcosa di «irregolare, irrazionale e causa di un ingiusto governo dell’uomo

sull’uomo». Sarà necessario allora «negare le differenze che gli uomini hanno in

relazione al loro diverso status, alla loro appartenenza ad associazioni diverse, per

eliminare il governo dell’uomo sull’uomo e dar luogo ad un potere giusto e razionale;

e ciò è possibile grazie al concetto degli individui uguali, che toglie alla base della

costruzione le differenze che […] si connotano di politicità».

Si è consumata in tal modo una cesura, da un lato la civitas, composta da persone

private, e dall’altro la dimensione pubblica, propria ed esclusiva dell’esercizio del

potere politico. Un dualismo questo fra pubblico e privato che caratterizza la

modernità politica e a partire dal quale vedremo secondo quale logica le funzioni

prima prese e assolte all’interno della continuità fra pubblico e privato – biologica,

economica e politica – abbiano trovato una nuova collocazione e una nuova

razionalità.

Parte seconda

La teologia politica come dimensione moderna del potere6

La TP è una delle dimensioni della politica modernamente intesa, nel senso che è

una delle logiche e dei dispositivi che forgiano il modo moderno di intendere e di fare

la politica. Dunque passiamo adesso da una storia del termine ad un'analisi

concettuale cioè a dire che le dottrine ed il pensiero dei singoli autori non viene inteso

come un tassello della costruzione sistematica a sé stante, la storia del pensiero

politico, bensì per il senso strutturale che i concetti assumono, per il modo in cui

funzionano all'interno di determinati contesti in cui si muovono: la filosofia politica.

6 Tratto da G. Duso, La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica, Milano,

Polimetrica 2007.

Page 26: Lo Stato Moderno

26

La storia della scienza politica moderna segna una profonda frattura nel corso del

XVII secolo, una frattura che riguarda il modo di concepire l'agire degli uomini.

Al centro della politica sta il problema dell'ordine, che non è più un ordine delle

cose che si tratta di comprendere ma un ordine delle cose che si tratta di costruire

eliminando il conflitto e realizzando una pace durevole.

Dunque alla base della frattura del '600 sta la questione dell'ordine, del conflitto e

della pace e di come gli uomini devono agire per garantire la loro realizzazione.

Primo elemento necessario a garantire la costruzione dell'ordine, che ripeto non è

più un ordine naturale ma va costruito dall'uomo artificialmente, è la costituzione di

una forza del corpo politico nel suo complesso superiore a quella di tutti gli individui

che costituiscono il corpo politico stesso, una forza tale da garantire la pace perché

tutti le sono sottomessi. Ed è sulla forma particolare e inedita di questa sottomissione

che, come vedremo, si costruisce la forma specificamente moderna del potere e

funziona il principio teologico politico per eccellenza che è quello della

rappresentanza politica moderna. Ma procediamo per gradi.

Questa idea moderna del potere teso alla costruzione di un ordine artificiale delle

cose e impegnato a fare interagire gli uomini a questo fine, comporta la necessità di

una propria giustificazione razionale, quella che si definisce legittimazione, una

legittimazione che non può più essere trovata in un'istanza superiore e trascendente,

ma che deve trovare nell'oggetto stesso del potere, l'ordine, la sua legittimità, una

questione che sarà al centro della riflessione politica a partire dal '600: perché si

governa, come si governa, perché si accetta di essere governati.

Dunque la dimensione moderna del potere nasce attraverso la genesi di questi

concetti di ordine, legittimazione, diritti, uguaglianza, libertà…attenzione però questo

Page 27: Lo Stato Moderno

27

non significa che prima della cesura della modernità questi termini, queste parole non

esistevano, basti pensare alla storia della parola democrazia che è giunta dall'antica

Grecia fino a noi, significa che questi termini pur continuando ad essere impiegati in

periodi diversi, indicano concetti e significati differenti e a volte addirittura opposti a

seconda del contesto storico e politico in cui li cogliamo.

Ma vediamo in cosa consiste questa rottura epocale che inaugura la modernità, che

inaugura il modo specificamente moderno di intendere la politica e l'agire degli

uomini.

Attenzione in questo senso la categoria di modernità non va intesa semplicemente

nella sua dimensione storica che colloca la cosiddetta Età Moderna tra il XV e il

XVIII secolo, o dalla scoperta dell'America alla Rivoluzione Francese. La nozione di

modernità va intesa come un concetto allo stesso tempo diacronico e sincronico, che

taglia cioè la dimensione lineare del tempo, inaugurando anzi una nuova dimensione

del tempo e dello spazio e delle relazioni che intercorrono tra loro, per cui possiamo

trovare diverse cronologie della modernità a seconda del contesto geografico in cui ci

muoviamo. La modernità cioè non va intesa come un tempo storico ma come un

modo di intendere la politica, le relazioni e il modo di agire degli uomini, le relazioni

di potere e in questo senso se per molti paesi occidentali la modernità, la soglia della

modernità, la frattura o la Sattelzeit della modernità può essere collocata nei secoli di

mezzo tra XV e XVII, in altri contesti, come quello coloniali ad esempio, questa

frattura va collocata in un altro contesto storico e cronologico.

Dicevamo dunque in cosa consiste questa rottura epocale che inaugura la

modernità come dimensione specifica del potere e delle relazioni tra gli uomini. La

scienza o filosofia politica moderna è un sistema di regole generali teso ad eliminare

l'irregolarità dei rapporti tra gli uomini e che mediante l'universalità e il rigore del suo

Page 28: Lo Stato Moderno

28

ragionamento costituisce una base sicura per la realizzazione dell'ordine e

l'eliminazione del conflitto.

È un modo tutto formale e giuridico di intendere il problema politico, ed è proprio

in questa formalità e giuridificazione che consiste il dispositivo teologico politico

moderno, ed è per questo motivo che questa nuova scienza non assumerà il nome

antico di Politica ma quello di Scienza del diritto naturale.

Ma in che senso il problema politico va affrontato in modo formale e giuridico? In

che senso gli elementi per la costruzione dell'ordine sono formali? Nel senso che gli

strumenti per la costruzione dell'ordine non dipendono dalla bontà o dalla giustizia

dei loro contenuti, la giustizia di ogni singola decisione, utile allo stabilimento

dell'ordine, non dipende dal contenuto in sé della decisione, ma dal modo e dalla

forma attraverso la quale la decisione è stata presa.

Dunque i contenuti di ogni singola decisione trovano giustificazione nella forma e

nel modo in cui sono stati assunti e questa forma, che ha le prerogative della certezza

e della stabilità, consiste nel fatto che la decisione politica è espressione della volontà

degli individui, la volontà che è alla base del processo di costruzione dell'autorità e

della legittimazione moderna del potere.

Dunque la formalità consiste nel fatto che il problema non è più se il governo è

buono o è giusto bensì se il potere è formalmente legittimo, dunque il governo è

buono e giusto in quanto legittimo.

Il governo degli uomini che nell'età classica era stato considerato naturale e

necessario per ogni forma di comunità (domestica o civile, dalla casa alla polis), per

cui era naturale che alcuni comandassero e altri obbedissero, e la relazione governanti

governati si basava sulla differenza che connotava i membri della comunità, su una

Page 29: Lo Stato Moderno

29

concezione oggettiva di bene comune che non dipendeva dalla volontà di chicchessia,

ma consisteva nell'ordine delle cose, l'ordine del cosmos, e che questo ordine cosmico

e oggettivo garantiva, proprio in virtù delle differenze tra gli uomini, una

modulazione gerarchica e stratificata del potere, che si articolata in sfere di

autonomia interrelate e garantite da una perenne articolazione tra governo e diritto di

resistenza.

Questo modo di intendere il potere, basato sulla differenza tra gli uomini, e sulla

relazione tra sfere autonome e ordinate gerarchicamente di potere e resistenza con la

modernità viene considerato come una forma insopportabile di dominio dei

governanti sui governati.

Mi spiego meglio. L'idea antica di Imperium si basava sui rapporti sociali reali,

sull'esistenza di un cosmos come elemento di ordine, sulla diseguaglianza e sulla

differenza degli uomini, sulla necessità della virtù come fonte del buon governo. Tutti

questi elementi vengono ribaltati dalla Scienza politica moderna e da elementi di

ordine che erano diventano cause fondamentali di disordine e di conflitto.

La nuova scienza politica afferma l'uguaglianza degli uomini e un nuovo concetto

di libertà, che consiste nel dipendere solo dalla loro volontà, nell'essere svincolati da

obblighi che dipendono dai propri poteri naturali, cioè dalla propria collocazione

all'interno di quella gerarchia di autonomie interrelate.

Il potere moderno nasce sulla base di un rapporto formale di comando e

obbedienza, che può essere instaurato solo sul fondamento logico di quei diritti di

uguaglianza e libertà che sono allo stesso momento il suo fondamento e il suo fine.

Il potere moderno è legittimo perché si basa sulla volontà di tutti gli individui,

dunque

Page 30: Lo Stato Moderno

30

1. scompare il mondo oggettivo naturale e l'ordine è artificiale, è cioè il frutto e

il prodotto dell'agire politico degli uomini;

2. si assolutizza il momento della volontà come fonte dell'agire politico degli

uomini;

3. nasce il problema della legittimità dell'agire politico degli uomini.

Questo triplo movimento dà vita alla Sovranità moderna ed è nella concezione

dell'agire politico degli uomini che vedremo funzionare i dispositivi teologici politici

della sovranità moderna.

Il potere è unico, appartiene a tutto il corpo politico ed è legittimato

dall'espressione della volontà di tutti che, come vedremo fra breve, nelle teorie

giusnaturalistiche, avviene nella forma del contratto sociale.

Ma se il potere appartiene alla totalità del corpo politico e dal momento che tutti

siamo uguali il l'esercizio del potere non può essere affidato a qualcuno sulla base

delle sue qualità o capacità, come avveniva nell'età classica in base alla virtù

(metafora del gubernator rei publicae). Dunque se tutti siamo uguali e nessuno si

distingue naturalmente dagli altri per virtù, chi dovrà governare e chi dovrà essere

governato?

Se il governare, l'esercizio del potere non può essere affidato sulla base della virtù,

perché tutti gli uomini sono uguali e ugualmente liberi, l'esercizio del potere può

avvenire solo sulla base di un'autorizzazione a farsi rappresentanti del corpo politico,

del soggetto collettivo. Ed è in questo atto di autorizzazione e rappresentanza che

Carl Schmitt ha ravvisato i fondamenti teologici politici del potere moderno.

Tuttavia il corpo politico, il soggetto collettivo che deve autorizzare i

rappresentanti a governare non è un soggetto naturale, com'era la società classica,

Page 31: Lo Stato Moderno

31

quella medievale o quella cetuale, ma è formato sulla base della volontà di tutti, cioè

è il prodotto della volontà generale. Il problema è, lo accenno qui e ci torneremo tra

poco, che un soggetto collettivo può agire solo nella forma dell'agire rappresentativo,

altrimenti se agisse direttamente non sarebbe più un soggetto collettivo ma un corpo

politico dato dall'insieme, differenziato, dei suoi membri.

Questa particolare dimensione dell'agire politico, l'agire rappresentativo comporta

una serie di conseguenze:

1. la separazione tra chi detiene il potere e chi lo esercita, nel senso

che chi detiene il potere (il corpo politico) non lo esercita e chi lo esercita (i

rappresentanti) non lo detiene;

2. la separazione tra una sfera di azione pubblica (quella politica) e

una sfera di azione privata;

3. una doppia dicotomia dell'agire che comporta una scissione che

non è solo politica ma anche antropologica.

La scienza politica moderna dunque risolve nel modo appena descritto il problema

dell'ordine, inaugurando la dimensione moderna del potere e della politica ma

facendo ciò apre tutta una serie di nuove questioni. Intanto la questione del potere

costituente: quale soggetto può costituire il potere? Quello del controllo del potere,

che per il fatto stesso di essere frutto della volontà generale del corpo politico assume

le caratteristiche di assolutezza, chiudendo ogni possibilità di resistenza legittima;

Quello della divisone dei poteri, quello del rapporto tra società politica e società

civile

Come accennato pocanzi il potere, unico, che appartiene a tutto il corpo politico, è

legittimato dall'espressione della volontà di tutti che nelle teorie giusnaturalistiche,

avviene nella forma del contratto sociale.

Page 32: Lo Stato Moderno

32

Possiamo descrivere il Giusnaturalismo a partire da alcune sue caratteristiche

peculiari che descriverò qui schematicamente:

1. Esistono norme di diritto naturale e dunque razionali, anteriori ad

ogni norma giuridica positiva, che dovrebbero costituire il modello per ogni

legge positiva;

2. laicizzazione dell'idea di stato e fondamento umano del potere

politico;

3. Riconoscimento di alcuni principi universali fuori dai quali non c'è

legge ma arbitrio;

4. Stato di Natura, costruito per via razionale, mostra il sostrato

comune di tutte le società e la condizione naturale dell'uomo.

Tranne che per Hobbes e Rousseau lo stato di natura è una forma di vita

associata nella quale vigono alcuni diritti originari: vita, libertà, proprietà cui

mancano però le garanzie di tutela. Da qui la necessità di uscire dallo stato di natura e

istituire un potere capace di garantire la convivenza civile e rendere disponibili i

diritti naturali.

A metà del secolo XVII possiamo quindi segnare una cesura epocale, una

Sattelzeit, da una forma di razionalità naturale, fondata sulla trascendenza, ad una

razionalità scientifica. In questo passaggio si consuma un altro mutamento epocale

che è quello che matura nella concezione e dunque nel modo di pensare ed agire il

CONFLITTO. Se prima il conflitto, la guerra, la faida erano forme naturali della

relazione umana adesso il conflitto è visto come la patologia dell'associazione umana

il cui scopo prioritario sarà appunto la neutralizzazione dei conflitti per dar vita ad

una società pacificata, che attenzione non è una società della pace o pacifista, ma una

società in cui la concentrazione della forza nelle mani di uno solo, lo stato, toglie

legittimità a qualunque uso della forza che non provenga dallo stato stesso. Dunque la

pace non è la fine della guerra ma la vittoria di un solo attore, lo stato appunto.

Page 33: Lo Stato Moderno

33

Il conflitto si trova al centro del dispositivo centrale della modernità politica, il

contratto sociale, che è appunto lo strumento per uscire dallo stato di natura,

conflittuale o potenzialmente conflittuale e dare vita allo stato. Nel contratto sociale

infatti gli individui esprimono la propria volontà razionale per dare vita ad una

società che risolva il conflitto grazie alla creazione di un corpo politico dotato di una

forza che è maggiore di quella posseduta da ciascuno dei suoi membri.

Attenzione però, se nella tradizione politica precedente il contratto sottolineava la

soggettività politica delle parti contraenti, era cioè un accordo tra parti che tali

rimanevano prima e dopo il contratto, e dunque potevano stipulare il contratto,

romperlo, tradirlo e resistere legittimamente alle sue violazioni …. Con il

giusnaturalismo e il contrattualismo moderno il contratto sociale dà vita ad un

soggetto che non preesiste il contratto stesso, il popolo, la società, che nasce appunto

in virtù del contratto. Il potere è di tutto il corpo politico e ha nell'eguaglianza il

proprio fondamento e il proprio fine. Dunque è un potere irresistibile, al quale non si

può resistere perché essendo fondato sulla base della volontà razionale di tutti i

contraenti resistergli significherebbe andare contro se stessi.

Dunque il potere moderno nasce sulla base della VOLONTA' razionale di tutti e si

esplica nella forma della RAPPRESENTANZA.

In latino persona indica il travestimento di un uomo camuffato sulla scena, e dal

palcoscenico il significato di questo termine si è allargato ad indicare chiunque parli o

agisca in rappresentanza di altri. Così persona è un attore ed impersonare significa

fare la parte di, rappresentare, dare corpo alla persona di un altro o agire in suo nome.

Nel linguaggio politico la rappresentanza indica la dipendenza di colui che esercita

un potere nei confronti di coloro da cui ha ricevuto il mandato per il suo agire

Page 34: Lo Stato Moderno

34

politico, dunque l'agire politico del rappresentante non trova la propria legittimazione

nel rappresentante ma in coloro i quali sono rappresentati.

In questo senso rappresentare significa dunque "stare al posto di", "agire in vece

altrui", dipendere da condizioni che altri hanno posto e non muoversi in modo

autonomo.

Questo concetto di rappresentanza era tipico dell'età cetuale, e si caratterizzava

nella figura del MANDATO IMPERATIVO. Nella dimensione moderna del potere il

concetto di rappresentanza assume invece una nuova accezione che si esplica nelle

forme del MANDATO LIBERO.

Cosa è cambiato? Se nel mandato imperativo bisognava far emergere la volontà

degli elettori, con mandato libero ciò che emerge, che prende forma, è la volontà

della nazione: il popolo è sovrano ma la volontà del popolo è quella che emerge nel

parlamento, organo a sua volta sovrano. È dunque il parlamento ad esprimere la

volontà popolare che non è né formata né determinata in precedente ma che prende

forma nell'atto della rappresentazione.

È necessario chiarire il significato e la funzione che la R. assume nel modo

moderno di intendere la politica soprattutto per fugare le confusioni che spesso la

interpretano come il rispecchiamento fedele di qualcosa che le è preesistente, in

questo caso la volontà popolare. In questo senso si tende a ritenere che in parlamento

si rappresentino le volontà degli elettori, o di gruppi di elettori, in relazione ai loro

diversi interessi o appartenenze territoriali. Ma questa visione non corrisponde con la

logica del concetto di rappresentanza, né con la pratica politica della rappresentanza,

una logica e una pratica politica che risale al XVIII secolo.

Page 35: Lo Stato Moderno

35

Questo momento di nascita, che possiamo segnare con la Rivoluzione francese, è

caratterizzato dall’intento di operare una rottura nei confronti del modo precedente di

intendere la politica, nella quale si parlava di rappresentanza in relazione agli ordini:

aristocrazia, clero, borghesia, IV stato ecc, ordini e parti che formavano la società e ai

quali spettavano particolari privilegi, libertates, esigenze e bisogni, di fronte a colui

che tiene le redini del governo, il monarca.

Con le trasformazioni del modo di pensare che abbiamo fino ad ora descritto la

società politica, razionalmente intesa, e non più naturalmente formata, perché il

potere sia legittimo deve essere da tutti voluto, non è più pensabile che vengano

rappresentate volontà particolari, diverse e particolari, perché, come abbiamo visto,

gli individui sono tutti uguali e liberi e lo stato deve rendere accessibili, cioè effettivi

i diritti naturali. Siamo passati cioè dall'ambito del privilegio particolare a quello dei

diritti universali.

Il compito di coloro che sono rappresentanti, non più di uno stato o di un ceto

particolare, ma dell’unità dello Stato, nel quale i cittadini non sono da un punto di

vista politico differenziati, non sarà più quello di rispecchiare volontà parziali dei

gruppi, ma invece quello di mettere in forma, cioè di dare un contenuto determinato,

alla volontà generale, cioè a quella della totalità del corpo politico.

Viene così a cadere la figura del mandato imperativo che aveva caratterizzato la

rappresentanza nel mondo europeo e questo viene trasfigurato nella forma del

mandato libero, in cui si perde quella relazione con volontà determinate e preesistenti

alla rappresentazione che caratterizzava l’uso precedente del termine di

“rappresentanza”.

Da quando la volontà politica è quella dell’intera nazione, del popolo intero, l’atto

che istituisce i rappresentanti, non consiste più in una trasmissione di volontà politica,

ma piuttosto nella costituzione del potere politico legittimo, attraverso la fiducia

Page 36: Lo Stato Moderno

36

espressa nei confronti di quegli attori politici che daranno vita all’azione e alla

volontà del corpo politico.

La rappresentanza è al centro della costruzione del corpo politico hobbesiano: il

processo di autorizzazione è un processo di costituzione dell’autorità attraverso il

quale ognuno si riconosce, dal patto in poi, come autore delle azioni dell’attore, della

persona pubblica di colui che rappresenta la parte di tale persona, il sovrano.

Il sovrano è la maschera, l’attore, l’unico attore sulla scena politica, e le sue azioni

hanno come autori gli individui che lo hanno autorizzato e che con ciò stesso

diventano sudditi. L’essere rappresentante è un elemento costitutivo del sovrano: non

si dà corpo politico se non mediante l’azione rappresentativa e questa dà forma alla

personalità dello Stato ed all’unità politica.

Solo ora e non prima della nascita dei rappresentanti si può parlare di una

determinata volontà politica. La funzione che istituisce i rappresentanti è espletata

attraverso le elezioni, che assumono un ruolo strategico. In senso proprio allora le

elezioni consistono non in una trasmissione di volontà politica, ma in una forma di

autorizzazione, di costituzione cioè dell’autorità e di legittimazione di coloro che

metteranno in atto questa autorità: gli attori politici.

Questo concetto di rappresentanza politica si incarica di dare attuazione al

fondamento della legittimazione del potere, il quale non può consistere nella

comando di qualcuno nei confronti degli altri, ma di un diritto di coazione che solo

l’intero corpo collettivo detiene nei confronti di tutti i suoi membri: “il popolo è

libero se ubbidisce alle leggi che si è dato”.

Tale espressione, dall’apparenza convincente, in realtà è complicata dal fatto che

nel termine “popolo” c'è una dualità di significati:

Page 37: Lo Stato Moderno

37

1) Popolo è il soggetto collettivo che esprime la volontà sovrana attraverso quel

comando che è la legge, cioè popolo è chi fa la legge;

2) Popolo è l’insieme dei singoli cittadini che dovranno ubbidire alla legge.

Il nocciolo centrale della legittimazione del potere moderno consiste proprio

nell’identità di chi comanda e chi ubbidisce. In realtà non di identità si tratta, ma di

identificazione, e il concetto che si incarica di tale operazione è appunto quello di

rappresentanza attraverso la procedura delle elezioni.

La genesi del concetto e della sua logica si trova – paradossalmente, per il senso

comune che collega l’agire rappresentativo alla democrazia e ravvisa invece in

Hobbes l’affermazione del potere assoluto del sovrano – proprio nel pensiero

hobbesiano e nel suo tentativo di dare luogo ad una scienza politica basata su una

razionalità formale che debba valere per tutti e che si liberi da quel governo

dell’uomo sull’uomo.

Il concetto moderno di rappresentanza non solo nasce ma risulta centrale per la

scienza politica moderna, all'interno della quale svolge un ruolo strategico, ancora più

rilevante di quello di sovranità.

La costituzione della forma politica che esclude la naturalità del comando e delle

differenze tra gli uomini si basa sulla volontà razionale di tutti gli individui. Ma il

coinvolgimento della totalità degli individui come fondamento del potere può

avvenire solo a patto dell’espropriazione del loro agire politico.

Tutti sono autori delle azioni dell’attore, il rappresentante, che sia esso il sovrano o

un’assemblea, quindi tutti hanno rinunciato ad agire nel senso pubblico del termine.

D’altro canto questo meccanismo di disincarnazione colpisce lo stesso

rappresentante, che non può essere inteso come soggetto di azione, ma è solo una

persona, una maschera prestata alle azioni di cui tutti si son fatti autori. Nel momento

Page 38: Lo Stato Moderno

38

stesso della sua genesi la soggettività politica è scissa, è solo il frutto di una

mediazione: persona è colui che rappresenta sulla scena e la natura della persona è di

essere rappresentativa, cioè di essere connotata dalla scissione e dalla doppiezza.

Se la rappresentanza cetuale, in virtù della soggettività politica che la sosteneva e

dei meccanismi del mandato imperativo che la caratterizzavano, poneva uno di fronte

all’altro soggetti politici che, pur nelle forme della loro interdipendenza,

mantenevano una propria autonomia politica ed antropologica, la rappresentanza

politica moderna, con Hobbes, disincarna entrambi i poli di quel dualismo e di quel

conflitto, per risolverlo non attraverso la supremazia di un elemento sull’altro, come

nella lettura tradizionale dell’assolutismo, ma fondendoli in un’unificazione del

soggetto della sovranità.

Il potere politico, nella dimensione della sovranità moderna, si fonda sulla

concentrazione e sul monopolio della forza che agisce con diritto e non come pura

coercizione, la cui legittimità riposa sul principio di un’unica volontà che si

differenzia dalle volontà dei singoli.

Perciò possiamo dire, e questo è fondamentale per la teologia politica moderna,

che la rappresentanza costituisce il segreto della sovranità. Perché mostra insieme

come sia possibile per il corpo collettivo agire in modo unitario, esprimere una

volontà e un comando che sia unico, e, prima ancora, come sia possibile che un corpo

politico si venga a costituire. Senza rappresentanza non c’è sovranità e senza

sovranità non c’è società politica. Quando si dimentica questa matrice logica della

sovranità moderna si rischia di cadere in una trappola, perché si cerca di liberarsi del

concetto di sovranità e delle sue contraddizioni attraverso una concezione che intenda

il potere come fondato dal basso.

Page 39: Lo Stato Moderno

39

Non si può trascurare un’ultima annotazione, affinché la teoria sia comprensibile.

Quanto detto ha una sua logica rigorosa, ma solo a partire dal presupposto da cui si è

partiti. Si tratta del ruolo fondante attribuito al concetto di individuo in relazione alla

società. Il concetto di individuo, che in questo modo si pone come strategico per il

pensiero della politica, non risulta dalla realtà quale emerge nell’esperienza, ma è il

prodotto di una astrazione “scientifica”, in quanto devono essere messe da parte le

determinazioni e i legami, i rapporti in cui i singoli uomini concretamente vivono e

sono reali.

Tutto lo sviluppo della costruzione si basa su questo presupposto. Perciò, se il

concetto di rappresentanza costituisce il segreto della sovranità e dunque del modo di

pensare la politica che si è determinato nella modernità, viene ad assumere un rilievo

decisivo la nota affermazione di Hobbes secondo la quale c’è un unico modo di

pensare come una moltitudine di individui, che uno (uomo o assemblea) sia il

rappresentante. Il concetto moderno di rappresentanza è tutto ancorato alla

immaginazione politica che si basa su questi due poli: il soggetto individuale e il

soggetto collettivo (nelle costituzioni: Stato e cittadini).

Ma questo processo che legittima il potere dà luogo ad una situazione aporetica che

coinvolge il soggetto moderno, cioè l'individuo. I singoli che sono posti alla base

della costruzione teorica sono bensì soggetti della politica in quanto autori, ma

proprio per questo si trovano in realtà privati dell’azione, che solo gli attori politici

compiono. Questi ultimi per altro compiono azioni che non sono loro, ma sono

imputabili agli autori. In questa dialettica appare impossibile dare un significato forte

e strategico alla categoria della responsabilità.

Ciò permette di parlare di una forma di spoliticizzazione che va di pari passo con la

posizione del cittadino al centro della scena politica. Nelle elezioni il cittadino non è

legato alla realtà concreta che lo caratterizza: al suo sapere, ai suoi bisogni, alle sue

Page 40: Lo Stato Moderno

40

competenze, alle sue relazioni, ma esprime, quando è possibile, una preferenza per

una persona, che gli è più o meno proposta o imposta. Nella scelta egli è del tutto

esposto alla fiducia, si trova nell’ambito dell’opinione e dunque in balia di chi riesce

a influenzare e determinare la sua opinione.

All’interno della democrazia rappresentativa tuttavia tale aspetto non prende il

senso del “rispecchiamento” ma piuttosto incide in quella dialettica nella quale i

rappresentanti sono eletti e per rimanere tali devono essere riconfermati, e si crea

l’opposizione tra maggioranza e minoranza. L’azione rappresentativa è sempre sotto

il giudizio degli elettori, che possono riconfermare o cambiare i loro rappresentanti.

Si manifesta così, nella forma che viene comunemente indicata come “consenso”,

quel lato rilevante per la rappresentanza nella forma politica democratica, che

consiste nel riconoscimento

Una tale modalità di pensare la presenza politica dei cittadini richiede di porre a

tema quella complicazione della concettualità classica dello Stato che si determina

mediante l’introduzione della figura del partito politico. Sono infatti i partiti a

costituire quelle organizzazioni che servono a convogliare in scelte determinate la

volontà degli elettori. Una riflessione su questo punto porterebbe alla conclusione che

i partiti politici non portano al superamento dell’aporia, ma si inseriscono in essa con

effetti spesso perversi, e, oltre a ciò, evidenziano una sfasatura tra la realtà e la

funzione legittimante costituita dalla carta costituzionale, che prevede il

rappresentante come libero da vincoli di mandato

Nella rappresentanza moderna, quale è da Schmitt concepita, solo chi esercita il

potere ha una funzione rappresentativa e dunque politica. Pensare la dimensione

politica dei cittadini appare un compito necessario, tanto più quanto più nella

rappresentanza emerge una dimensione propria della prassi dell’uomo e dello stesso

Page 41: Lo Stato Moderno

41

pensiero. Ma per affrontare questo punto bisogna prima passare attraverso la

riflessione sulla teologia politica.

Carl Schmitt: teologia politica e rappresentanza

Il pensiero di Carl Schmitt è al centro di un dibattito veramente variegato, ma

sicuramente S. si colloca ad uno dei livelli più alti di comprensione della

concettualità politica moderna, dunque quello che c'è forse di veramente notevole nel

pensiero s. non è tanto la sua proposta interpretativa quanto la sua capacità di

comprensione della genesi e della crisi del pensiero politico moderno, lo jus publicum

europaeum.

Comprendere i concetti politici moderni significa interrogarli, comprenderne la

genesi, le implicazioni e le aporie, essere al di là del loro semplice detto, e della loro

funzione legittimante. S. non mantiene i concetti come presupposti, ma li interroga e

li indaga nel loro concreto funzionamento. E' un modo filosofico di pensare, se con

questo termine non intendiamo una speculazione astratta , o una concezione del

mondo, o una proposta di soluzione dei mali del mondo, ma per pensiero filosofico

intendiamo un pensiero radicale del politico, un pensiero critico.

La TP in S è ciò che ci permette di intendere cosa sia la costellazione dei concetti

politici moderni e come questi siano centrati sul binomio sovranità-rappresentazione.

Se il tentativo moderno è di intendere il politico mediante il diritto e in questo

quadro il diritto coincide con lo statuale, l'atteggiamento schmittiano è quello

dell'interrogazione della forma-stato, per andare ad un concetto di politico che spieghi

l'origine di quella forma, e che per ciò con quella forma non si identifichi. Questo non

significa dislocarsi in un altro ambito diverso da quello statale, ma trovare nella

stessa forma stato la sua propria origine.

Page 42: Lo Stato Moderno

42

Per comprendere in quale modo nasce questa forma politica abbiamo ripercorso i

dati essenziali del giusnaturalismo moderno e della scienza politica moderna che

nasce con Hobbes e dei concetti politici che essa genera al centro dei quali sta il

concetto di sovranità o di potere.

Riprendiamo qui la definizione di Herrschaft di Max Weber che definiva il potere

come rapporto formale di comando obbedienza e il concetto di disciplina come

disposizione a obbedire al comando di chi esercita il potere.

Weber definisce questo rapporto formale perché l'obbedienza non dipende dai

contenuti del comando ma dipende dal fatto che il vero fondamento di legittimità del

rapporto di obbligazione politica si basa sul fatto che chi obbedisce lo fa in quanto

intende il comando di chi è autorizzato ad esprimerlo come se fosse prodotto della

propria volontà, intende cioè la volontà di chi detiene il potere politico come la

propria volontà, dunque una volontà rappresentativa.

Colui che detiene il potere lo esercita legittimamente in quanto è ritenuto come

colui che non esprime la sua propria volontà e una propria azione, ma piuttosto la

volontà e l'azione di tutto il corpo politico. Questa è la struttura dell'agire

rappresentativo nel quale tutti sono autori delle azioni che l'attore, il rappresentante

compie.

Come abbiamo visto, al centro della forma stato ci sono sovranità e

rappresentanza, il grande contributo di Schmitt sta nell'aver compreso questa logica

che sta alla base della costruzione teorica moderna e la centralità che in questa

assume l'unità politica, un corpo politico unico, una persona civile, la cui vita è altra

da quella degli singoli che sono ormai divenuti individui privati.

Page 43: Lo Stato Moderno

43

Dunque il contributo di S. sta proprio nell'aver colto questo rapporto tra sovranità e

rappresentazione e unità politica

L'agire rappresentativo è performativo cioè produce forma, non dipende da una

forma ma produce una forma e la TP è ravvisata proprio all'interno del concetto

fondamentale di rappresentazione che costituisce il cuore della forma politica

moderna.

Dunque centralità della Rappresentazione e movimento formante della forma

politica, scrive Schmitt: " non c'è nessuno stato senza rappresentanza, poiché non c'è

nessuno stato senza forma di stato e alla forma spetta essenzialmente la

rappresentazione dell'unità politica."

La R. costituisce la struttura del politico così come questo si dà nello stato

moderno: rappresentare significa rendere visibile e temporaneamente presenta un

essere invisibile mediante un essere che è pubblicamente presente … l'invisibile

(l'autore rappresentato) è presupposto come assente ed è al tempo stesso reso presente

(dall'attore rappresentante).

Ma cosa significa rendere presente l'assente, se una cosa è resa presente ciò che è

reso presente non è più assente.

Ed è qui che la struttura della rappresentanza moderna contiene l'elemento

teologico proprio del politico e, nello stesso tempo, rivela la struttura teoretica che

manifesta un'aporia fondamentale nella prassi umana.

La teologia politica non è la fondazione teologica del politico, né può essere ridotta

ad un processo di secolarizzazione dai concetti teologici a quelli politici.

Page 44: Lo Stato Moderno

44

Per TP si deve intendere la presenza nel politico, per il suo stesso costituirsi, di una

trascendenza, o meglio di un movimento di trascendimento della realtà empirica che è

necessario e nello stesso tempo irrisolto. Il politico non si può nemmeno costituire se

restiamo sul piano del presente empirico e infatti l'agire rappresentativo comporta il

rapporto con ciò che non è empiricamente presente.

Se ripensiamo infatti che la rappresentanza moderna non è rappresentanza di parti

o di volontà costituite, ma dell'unità del popolo e della sua volontà, capiamo in che

senso questa non è presente. La volontà del popolo non è immediatamente presente

ma lo diventa solo nell'atto della rappresentazione rimanendo tuttavia per sua natura

assente, la sua presenza cioè è nella forma dell'assenza e ciò che è presente è

l'immagine che ha preso forma mediante la rappresentanza.

In ciò consiste la struttura teologica della rappresentazione e dunque il concetto di

secolarizzazione assume un concetto assai più rilevante di quello che di solito si

ravvisa nel saggio TP. Secolarizzazione non è un passaggio dal teologico al politico,

dal trascendente al mondano, ma indica il tentativo, proprio del politico, della prassi

dell'uomo, di rendere visibile e dunque di fare entrare nel saeculum, ciò che è

trascendente, che è ideale.

La secolarizzazione non va dunque intesa come passaggio dal trascendente al

mondano ma sta ad indicare il fatto che il piano mondano della politica non può

risolversi in se stesso, ma implica concetti di origine teologica proprio in quanto non

può, nonostante tutte le sue pretese, risolversi sul piano dell'immanenza e della

mondanità, ma implica l'idea in un costante movimento di trascendimento della realtà

empirica: senza questo movimento la politica non si riesce a costituire, nemmeno

nella sua forma più laica e terrena.

Page 45: Lo Stato Moderno

45