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1 ERMES RONCHI, Dieci cammelli inginocchiati. Variazioni sulla preghiera, Paoline, Milano 8 2004. Pregare è saldare il silenzio delle stelle con il frastuono dei giorni. Svincolarsi dalle catene del rumore e scoprire le nostre musiche sotterranee. Pregare è aprire un passaggio, come si apre una chiusa o una diga; aprire, nella trama dei giorni, delle finestre su Dio, fino a rendere la nostra vita porosa alla vita di Dio, fino a creare una osmosi, uno scambio, un travaso di vita. Benedetto ognuno che disseta l’arsura del cuore. Per capire bene la preghiera, dobbiamo tornare a questo «in principio». In principio non c’è la preghiera, in principio c’è la vita. E bisogna essere molto vivi per pregare bene. Anche se è rivolta al cielo, la preghiera fa storia sulla terra. Di volta in volta ognuno di noi è assetato e poi sorgente; datore d’acqua e poi di nuovo mendi - cante. Estasi significa uscire da sé, partire in pellegrinaggio verso un Altro, verso molti altri. L’universo è il primo tempio di Dio (Origene). Pregare è diventare sorgente, far circolare l’amore nel corpo di Cristo, l’acqua nel corpo del mondo. Ogni essere che respira entra nella preghiera. Pregare è sapere di avere il nido nelle mani di Dio. La preghiera del girasole davanti al sole. E gira la tua vita col ritmo del sole. E il grande arco del cielo, il grande arco del sole, diventa un piccolo tenace movimento sul campo, una piccolissima sto- ria della terra. Il grande arco del cielo diventa storia di pochi centimetri, del girasole che segue con la sua danza immobile. Il girasole del silenzio, nostro simbolo, che beve il blu del cielo, l’oro del sole, che si lascia ama- re; girasole dell’amore passivo, che lo trasforma pian piano in un piccolo sole. Girasole dello spec- chio, cerchio di sete gialla, desiderio di sole. E poi girasole della notte, di piccola morte quotidiana, quando allo scomparire del sole diventa specchio d’ombra, e il peso della terra è più forte del peso della luce. La preghiera del capo abbassato, della fronte a terra, dell’ultimo posto, del Pubblicano, della sconfitta. E poi la piccola risurrezione quotidiana, alla voce del profeta: «Alza il capo e guarda...», «Leva

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Page 1: ERMES RONCHI Dieci cammelli inginocchiati. Variazioni ... · PDF file3 La Bibbia è un libro che sanguina. Per questo è pieno di preghiere. Pregare è ritrovare la fiamma delle cose.

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ERMES RONCHI, Dieci cammelli inginocchiati. Variazioni sulla preghiera, Paoline, Milano 82004.

Pregare è saldare il silenzio delle stelle

con il frastuono dei giorni.

Svincolarsi dalle catene del rumore

e scoprire le nostre musiche sotterranee.

Pregare è aprire un passaggio,

come si apre una chiusa o una diga;

aprire, nella trama dei giorni,

delle finestre su Dio,

fino a rendere la nostra vita porosa

alla vita di Dio,

fino a creare una osmosi,

uno scambio, un travaso di vita.

Benedetto ognuno che disseta l’arsura del cuore.

Per capire bene la preghiera, dobbiamo tornare a questo «in principio».

In principio non c’è la preghiera, in principio c’è la vita. E bisogna essere molto vivi per pregare

bene.

Anche se è rivolta al cielo, la preghiera fa storia sulla terra.

Di volta in volta ognuno di noi è assetato e poi sorgente; datore d’acqua e poi di nuovo mendi-

cante.

Estasi significa uscire da sé, partire in pellegrinaggio verso un Altro, verso molti altri.

L’universo è il primo tempio di Dio (Origene).

Pregare è diventare sorgente, far circolare l’amore nel corpo di Cristo, l’acqua nel corpo del

mondo.

Ogni essere che respira entra nella preghiera.

Pregare è sapere di avere il nido nelle mani di Dio.

La preghiera del girasole davanti al sole. E gira la tua vita col ritmo del sole. E il grande arco del

cielo, il grande arco del sole, diventa un piccolo tenace movimento sul campo, una piccolissima sto-

ria della terra.

Il grande arco del cielo diventa storia di pochi centimetri, del girasole che segue con la sua danza

immobile.

Il girasole del silenzio, nostro simbolo, che beve il blu del cielo, l’oro del sole, che si lascia ama-

re; girasole dell’amore passivo, che lo trasforma pian piano in un piccolo sole. Girasole dello spec-

chio, cerchio di sete gialla, desiderio di sole. E poi girasole della notte, di piccola morte quotidiana,

quando allo scomparire del sole diventa specchio d’ombra, e il peso della terra è più forte del peso

della luce. La preghiera del capo abbassato, della fronte a terra, dell’ultimo posto, del Pubblicano,

della sconfitta.

E poi la piccola risurrezione quotidiana, alla voce del profeta: «Alza il capo e guarda...», «Leva

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gli occhi e vedi...» (Is 51,6). E Isaia, e Osea, e il sole quotidiano che canta Zaccaria. Girasole dei

profeti.

E noi rialziamo il capo e andiamo, cercando le nostre strade nel sole: «Per quelli che giacevano

nell’ombra della morte si è levata una grande luce» (Is 9,1).

Girasole del giorno e della notte. Preghiera di terra, preghiera di luce. Questo noi siamo: mai ar-

resi cercatori del sole.

L’esposizione vera non è quella del Santissimo esposto ai nostri sguardi; ma siamo noi che ci

dobbiamo esporre al suo occhio, al suo fuoco.

La preghiera senza parole è la più vera.

Si possono moltiplicare formule e salmi senza che si oda un solo presagio di incontro tra noi e

Dio.

Lì, nel tuo centro, lì dove risiede il sogno, nell’oscurità dell’inconscio, in quella intimità che non

si comunica a nessuno, né all’amico, né allo sposo e neppure a se stessi, alle origini dei sogni, dei

miti, dell’amore, lì vedi un volto che non è il tuo volto.

Dio non è lontano dall’uomo, è la sua massima profondità.

Pregare al ritmo del cuore vuol dire legare la preghiera al sangue, materia viva, calda come il

sole, rossa come il fuoco, liquida come la linfa della creazione, come le acque primordiali, salata

come il mare.

Quando recito un salmo o una poesia, io sono solo voce di un altro; il testo appartiene a un altro

autore, appartiene a un assente.

E poi indica una presenza: perché quando recito bene, io devo aderire interiormente, far parte-

cipare il sentimento; faccio mie, con sincerità, parole di altri.

Allora la recita dei salmi è un atto di tradizione, nel senso vivo della parola: divento io stesso

l’attualità di un messaggio che non ha in me la sua origine.

Io faccio presente oggi un messaggio che nasce da altri, che viene da altrove, con la sua carica di

santità e di creatività, per trasmetterlo a mia volta. Questa è la tradizione vera.

Chi ritroverà il cammino d’Israele, il cammino di Dio, una volta chiusi i flutti? Ed è una me-

ditazione, forse una notte, che però sta diventando luce.

Il passaggio verso Dio non è un salto improvviso nell’assoluto, ma un cammino quieto - «che tu

dorma o vegli, il seme cresce» (Mc 4,27) il passaggio verso Dio è un cammino quieto, diverso per

ciascuno, e lungo il cammino volti da incontrare, compiti da realizzare. Ma noi avanziamo solo se

c’è «del cuore».

I salmi pregano a partire dalla polvere. Non solo polvere e cenere del pentimento, ma anche pol-

vere della strada, della folla, delle sommosse, delle cadute.

La ripetizione genera abitudine. Invece Dio è eterno, e l’eternità è non abituarsi. Se l’eternità è

ripetizione, non ci interessa più.

La ripetizione può perfino nascondere, far sparire la vera eternità di Dio, perché Dio è insieme

eterno e nuovo.

Pregare come diceva Leopardi, è naufragare nell’infinito.

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La Bibbia è un libro che sanguina. Per questo è pieno di preghiere.

Pregare è ritrovare la fiamma delle cose.

La preghiera è il pellegrinaggio attraverso i campi e gli spazi dell’assenza, fino ad arrivare a

casa, fino a giungere a toccare il focolare.

«Ti ringrazio che non sono». Ecco la slogatura dell’anima

Per pregare bisogna conquistare lo sguardo di Dio: «E vide che tutto era buono!» (Gen 1,31).

Dio non si merita: Dio si accoglie.

Ci vuole molto silenzio per ascoltare il silenzio di Dio.

Il primo servizio da rendere a Dio: l’ascolto, inizio di ogni preghiera.

Davanti a Dio non conta la quantità, ma l’intensità.

Nel paese dell’anima il viaggio non si fa verso un dopo, ma verso un oltre, verso altre dimensioni

più profonde.

Il paese di Dio non sono le cellule dell’organismo, ma le fibre della paura, dove si annida quella

che i salmi chiamano «la bestia del canneto» (cfr. Sal 74,13). Dio sta nel riflesso più profondo delle

lacrime.

Dio non può dare meno di se stesso.

Pregare senza disertare.

Il cristiano non si misura con i divieti, ma con il possibile.

La contesa con Dio ce la insegnano i profeti quando assediano il silenzio del cielo, assediando un

Dio che non parla: «Squarcia i cieli e discendi!» (Is 63,19).

È la nostra stanchezza il ritardo della storia. È la nostra infedeltà che ritarda il Regno.

Se io credo che la notte finirà, non è perché il sole è già spuntato, ma perché, come cristiano, io

sono uomo del terzo giorno: «Il terzo giorno risusciterò» (Mt 20,19). E anche nel colmo della notte

del venerdì di passione so fissare gli occhi e il cuore sulla linea mattinale della luce, che sembra

minoritaria, ma è vincente.

Ma il futuro entra in noi molto prima che accada (Rainer Maria Rilke).

La parola è tolta al tempio, sta intessendosi nel grembo di una vecchia donna, e quando vedrà la

luce sarà niente meno che «voce che grida» (Gv 1,23).

L’assenza di preghiera è la nostra piccola apostasia quotidiana della fede, è la nostra eresia

familiare.

Adorare e glorificare sono gli estremi, il minimo e il totale; da un lato il silenzio, la porta chiusa,

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la camera segreta, la sete interiore; dall’altro lato il suono della immensa tastiera del mondo, carne e

spirito, i mormorii dell’arpa e il tuono dei cieli, il tamburo del cuore, i canti del raccolto e i torrenti

dei prigionieri che ritornano, con la gola fiorita di inni (cfr. Sal 126,2).