Ringrazio sentitamente il Prof. Marco Cammelli e il Prof ... · L’evoluzione della pianificazione...

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Ringrazio sentitamente il Prof. Marco Cammelli e il Prof. Giuseppe Piperata per la fiducia dimostratami nell’avermi assegnato un tema così interessante, ambizioso ed al tempo stesso innovativo.

Un ringraziamento speciale lo rivolgo al Dott. Tommaso Bonetti che, instancabilmente e con tanta competenza, mi ha dispensato suggerimenti essenziali ed ha tracciato le linee guida del mio lavoro.

Desidero inoltre ringraziare il Dott. Giuseppe Vinci e il Dott. Gianfranco Piperata per l’entusiasmo, la disponibilità e l’incoraggiamento che mi hanno manifestato, nonché il Dott. Giovanni Battista Pasini per avermi sostenuta con preziosi consigli.

Infine ringrazio i collaboratori della Biblioteca dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna per l’ immancabile professionalità e cortesia.

INDICE Capitolo primo L’evoluzione della pianificazione territoriale tra normativa italiana ed europea 1. La disciplina normativa di fonte statale p. 1 1.1. La legge urbanistica fondamentale (L. n. 1150/1942) p. 1 1.2. L’attuazione dell’ordinamento regionale p. 3 1.3. Il governo del territorio: oltre i confini dell’urbanistica p. 7 2. Il ruolo dell’Unione Europea nel governo del territorio p. 10 Capitolo secondo La legislazione in materia di governo del territorio in Toscana, Veneto, Lombardia, Puglia, Emilia-Romagna e Umbria 1. Il piano di indirizzo territoriale della regione Toscana p. 13 2. Il piano territoriale regionale di coordinamento della regione Veneto p. 23 3. Il piano territoriale regionale della regione Lombardia p. 32 4. Il documento regionale di assetto generale della regione Puglia p. 41 5. Il piano territoriale regionale della regione Emilia-Romagna p. 45 6. Il piano urbanistico strategico territoriale della regione Umbria p. 54

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Capitolo terzo Le regioni e i loro modelli di pianificazione territoriale a confronto: analisi critica 1. La pianificazione territoriale regionale nel diritto del governo del territorio: tre modelli a confronto p. 62 2. La funzione della pianificazione territoriale regionale p. 66 3. Dal generale al particolare: il caso dell’Emilia-Romagna p. 71 Conclusione p. 80 Bibliografia p. 83 Sitografia p. 87

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CAPITOLO PRIMO

L’EVOLUZIONE DELLA PIANIFICAZIONE TERRRITORIALE TRA NORMATIVA ITALIANA

ED EUROPEA SOMMARIO: 1. La disciplina normativa di fonte statale. – 1.1. La legge urbanistica fondamentale (L. n. 1150/1942). – 1.2. L’ attuazione dell’ordinamento regionale. – 1.3. Il governo del territorio: oltre i confini dell’urbanistica. – 2. Il ruolo dell’Unione Europea nel governo del territorio.

1. La disciplina normativa di fonte statale 1.1. La legge urbanistica fondamentale (L. n. 1150/1942) Il primo intervento legislativo fondamentale per l’assetto del territorio, più propriamente destinato alla regolamentazione dell’urbanistica, risale alla legge 17 agosto 1942, n. 11501. In essa il sistema di pianificazione si articola su tre livelli posti in rapporto di sovraordinazione e precedenza temporale: quello di livello superiore prevale e precede temporalmente quello di livello inferiore (cd. sistema “a cascata”). Il piano più elevato di ambito sovracomunale è costituito dai piani territoriali di coordinamento, quello intermedio di livello comunale si fonda sui piani regolatori

1 La L. 15 giugno 1865, n. 2359, che rientrava nel disegno della unificazione legislativa e amministrativa del Regno d’Italia, non può essere elevata alla dignità di legislazione organica della materia, in quanto non contiene alcuna normazione compiuta del territorio avendo regolato l’espropriazione per pubblica utilità. S. BELLOMIA, Evoluzione e tendenze della normativa statale e regionale in materia di pianificazione urbanistica, in Rivista giuridica dell’edilizia, fasc. n. 4, Milano, Giuffrè, 2003, p. 125.

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generali e sui programmi di fabbricazione; infine a livello subcomunale si collocano i piani attuativi2.

La pianificazione d’area vasta è affidata al piano territoriale di coordinamento le cui competenze vengono accentrate al Ministero dei Lavori Pubblici, che ha la facoltà di predisporre tali piani, laddove particolari esigenze lo richiedano: preservare determinate zone di interesse ambientale, localizzare importanti infrastrutture. In particolare l’art. 5 della L. n. 1150/1942 prevede le zone da riservare a speciali destinazioni (c.d. zonizzazione funzionale), quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di leggi (vincoli idrogeologici, paesistici, monumentali, etc.), le località da scegliere come nuovi nuclei edilizi o impianti di particolare natura o importanza (aeroporti, grandi complessi ospedalieri, sportivi, etc.), la rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti e in programma. Il piano territoriale di coordinamento si compone di direttive indirizzate alle amministrazioni titolari di potere pianificatorio.

Il piano regolatore generale costituisce il passaggio fondamentale nella “sequenza di comandi urbanistici” in cui sono recepite le direttive definite a livello di area vasta e sono formulate previsioni generali su scala comunale, da tradurre a loro volta in prescrizioni più dettagliate con i piani attuativi.

I piani di livello comunale e subcomunale sono di competenza del comune, ma soggetti all’approvazione dell’autorità statale. Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale, sia nella parte urbana che extraurbana, con contenuto circoscritto alle localizzazioni e alle zonizzazioni. Esso è concepito come piano obbligatorio per i comuni più importanti, inclusi in elenchi formulati dal Ministero dei Lavori Pubblici, mentre per i comuni non indicati è previsto il programma di fabbricazione, strumento urbanistico più semplice rispetto al PRG inserito nei regolamenti edilizi comunali3. 2 F. CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Roma, Dike giuridica editrice, 2008, p. 490. 3 F. SALVIA, Manuale di diritto urbanistico, Padova, Cedam, 2008, pp. 58 e 67.

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1.2. L’ attuazione dell’ordinamento regionale La Costituzione del 1948 ha istituito le regioni a statuto ordinario4, alle quali ha attribuito, in virtù dell’art. 117, co. 1, Cost. la potestà legislativa concorrente in materia di urbanistica, intesa nella concezione dell’epoca come interventi di tipo edilizio, «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni». Tale previsione avrebbe dovuto apportare una revisione alla legge urbanistica del 1942, al fine di renderla legge-quadro e di attribuire ogni altro profilo alla competenza legislativa regionale, ma ciò non è avvenuto, in quanto solo nel 1970 le regioni ordinarie sono state istituite5.

Il legislatore del 1953 (L. 10 febbraio 1953, n. 62, art. 9, co. 1 recante le norme per la costituzione ed il funzionamento degli organi regionali) ha stabilito che ove le regioni avessero visto la luce, esse non avrebbero comunque potuto legiferare, se prima lo Stato non avesse adottato le specifiche leggi-cornice contenenti i principi di ogni singola materia. Pertanto, nell’eventuale inadempimento statale, l’attività legislativa regionale sarebbe stata preclusa.

In seguito la L. 23 dicembre 1970, n. 1084 ha modificato la normativa del 1953 precisando che, anche in assenza di legge-cornice, le regioni ordinarie avrebbero potuto legiferare, attenendosi

4 Le regioni a statuto speciale previste dall’art. 116 Cost. sono state istituite con le leggi cost. nn. 3, 4, 5 del 26 febbraio 1948, ad eccezione del Friuli-Venezia Giulia il cui Statuto è stato adottato con L. cost. 31 gennaio 1963, n. 1 a conclusione della travagliata vicenda del territorio triestino, che a suo tempo era diviso nelle zone A e B sottoposte ad un regime militare, durato fino al Memorandum d’intesa di Londra stipulato nel 1954 dal Governo italiano, inglese, statunitense ed jugoslavo, e modificato dal Trattato di Osimo del 1975. v. T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 4 - 5. 5 In seguito all’approvazione della legge elettorale del 1968 (L. 17 febbraio 1968, n. 108), nel giugno del 1970 si sono tenute le prime elezioni dei Consigli regionali delle regioni a statuto ordinario. Successivamente è poi entrata in vigore la legge finanziaria (L. 16 maggio 1970, n. 281) per l’attuazione dell’ordinamento regionale. v. T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Op. cit., p. 7.

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ai principi desumibili dalla legislazione statale del settore o della materia6.

I primi decreti di trasferimento delle funzioni dallo Stato alle regioni ordinarie del 19727 hanno ampliato la sfera dei contenuti delle materie indicate nell’art. 117, co. 1, Cost., ma al tempo stesso ne hanno ristretto l’ambito attraverso la riserva allo Stato di tutte le fattispecie eccedenti i limiti territorialmente definiti dalla regione.

In seguito, la L. 22 luglio 1975, n. 382 ha previsto il trasferimento di funzioni amministrative alle regioni, attraverso leggi delegate, al fine di rendere organici i settori di competenza regionale e di definire il ruolo delle regioni stesse nell’ambito dell’ordinamento complessivo, assicurando «una disciplina e una gestione sistematica e programmata delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle regioni per il territorio e per il corpo sociale (art. 1, co. 3, n. 1)».

Il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in attuazione della L. n. 382/1975, identifica le materie e le relative funzioni per settori organici, considera l’esigenza del completamento del trasferimento e la sua finalizzazione ai compiti costituzionalmente spettanti alle regioni per il corpo sociale ed il territorio: questi sono criteri direttivi che propongono un’immagine della regione come soggetto deputato alla cura globale degli interessi che fanno capo al territorio e alla collettività regionale, tendendo al superamento del principio delle competenze chiuse, desunte da un’interpretazione restrittiva dell’art. 117 Cost.8

In particolare l’art. 80 del d.P.R. n. 616/1977 afferma che «le funzioni amministrative relative alla materia urbanistica concernono la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi, e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché la protezione dell’ambiente».

6 S. BELLOMIA, Op. cit., pp. 126 - 127. 7 Tra le funzioni amministrative trasferite alle regioni vi era la materia dell’urbanistica. 8 R. LA BARBERA, Regioni ed enti locali nel processo di riforma della pubblica amministrazione, Torino, Giappichelli, 1999, pp. 40 a 42.

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La L. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. Legge Galasso) ha introdotto il piano urbanistico territoriale, il quale ha permesso alle regioni di inserire in un unico documento le prescrizioni urbanistiche e paesaggistiche (art. 1 bis, co. 1): «[…] le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali […]»9. È nata così la tipologia dei piani regionali “tematici”, le cui prescrizioni hanno carattere urbanistico, ma non generale, sebbene finalizzate alla tutela prioritaria di un determinato e specifico interesse pubblico10. Tuttavia, nonostante la previsione della norma, la Corte Costituzionale (sent. 27 giugno 1986, n. 151) ha affermato che la tutela del paesaggio «non esclude né assorbe la configurazione dell’urbanistica», pertanto la pianificazione paesistica e quella urbanistica hanno mantenuto obiettivi in linea di principio diversi11.

L’obiettivo della L. 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. Legge Bassanini) è stato quello di riformare la Pubblica Amministrazione e di effettuare una semplificazione amministrativa mediante il conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle regioni e agli enti locali. La legge individua le materie e le funzioni che devono rimanere in capo allo Stato e quei compiti di rilievo nazionale, delimitati con riferimento a specifiche materie (protezione civile, difesa del suolo, tutela dell’ambiente e della salute, etc., come definiti dall’art. 1, co. 4, lett. c), che devono essere individuati previa intesa tra Governo e Conferenza Stato-Regioni. Mentre i restanti compiti e funzioni devono essere conferiti alle regioni e agli enti locali.

Il D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 individua nella Conferenza unificata la sede nella quale vengono rappresentati gli interessi delle regioni, province, comuni e comunità montane che non possono 9 F. SALVIA, Op. cit., p. 43 e testo normativo in www.ambientediritto.it. 10 P. STELLA RICHTER, I principi del diritto urbanistico, Milano, Giuffrè, 2006, p. 23. 11 G. SCIULLO, Dizionario di diritto pubblico, vol. VI (voce “urbanistica”), diretto da S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 2006, p. 6116.

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trovare una soddisfazione adeguata attraverso l’esercizio delle competenze attribuite ad un singolo ente12. La Conferenza unificata determina effetti giuridici rilevanti, sia sul piano organizzativo che su quello della attività nella elaborazione dei piani urbanistici, inoltre ad essa viene attribuita una funzione di integrazione tra organismi che operavano su piani separati (la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-città e autonomie locali).

Il successivo D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 ha specificato le molteplici funzioni attribuite alla Conferenza unificata, tra le quali, ai fini dei piani urbanistici, compare l’art. 3, co. 5, secondo il quale «le regioni, nell'ambito della propria autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata fra regioni ed enti locali nell'ambito delle rispettive competenze». Sempre per quanto concerne la pianificazione d’area vasta, l’art. 57 del D.Lgs. n. 112/1998 afferma che «la regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento provinciale di cui all'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n. 14213, assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali […]». Il Legislatore nazionale ha così riconosciuto l’importanza del ruolo e della funzione che la provincia assume quale ente di governo di area vasta, avvalorato anche dalla rilevanza dei compiti che la stessa già esercita nell’ambito delle politiche ambientali. Anche il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), all’art. 20, co. 4, tra i compiti di programmazione della provincia prevede che «la legge regionale dett[i] le procedure di approvazione, nonché

12 R. LA BARBERA, Op. cit., pp. 6 - 7. 13 L’art. 15, co. 2, L. n. 142/1990 afferma che «la provincia predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, determina indirizzi generali di assetto del territorio […]».

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norme che assicurino il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento»14. 1.3. Il governo del territorio: oltre i confini dell’urbanistica Il punto di arrivo in cui vanno inquadrati i nuovi piani urbanistici è la L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, la quale ha modificato il Titolo V della Costituzione. Il nuovo testo dell’art. 117 Cost. capovolge il rapporto tra Stato e regioni, in quanto la competenza legislativa regionale è attribuita a queste ultime, così come la potestà regolamentare, in ogni materia non rientrante tra quelle di legislazione esclusiva statale. L’attuale art. 117, co. 3, Cost. non menziona più l’urbanistica, ma annovera tra le materie di competenza legislativa concorrente il «governo del territorio15».

La Corte Costituzionale (sent. 1 ottobre 2003, n. 303) ha affermato che nella materia «governo del territorio» è inclusa quella

14 www.parlamento.it. 15 Relativamente alla nozione di “governo del territorio” vedi la seguente bibliografia: N. ASSINI, T. TARDELLI, Riforma costituzionale e “governo del territorio”, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, fasc. n. 11, Firenze, Noccioli editore, 2003, p. 1253 ss.; G. CAIA, Governo del territorio e attività economiche, in Dir. amm., 2003, p. 707 ss.; L. CASINI, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2006; V. CERULLI IRELLI, Il “governo del territorio” nel nuovo assetto istituzionale, in S. CIVITARESE MATTEUCCI, E. FERRARI e P. URBANI (a cura di), Il governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2003, p. 499 ss.; G.L. CONTI, La dimensione costituzionale del governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2007; B. GIULIANI, La nozione costituzionale di governo del territorio: un’analisi comparata, in Rivista giuridica dell’edilizia, fasc. n. 6, Milano, Giuffrè, 2005, p. 285 ss.; G. PASTORI, Governo del territorio e nuovo assetto delle competenze statali e regionali, in B. POZZO, M. RENNA (a cura di), L’ambiente nel uovo titolo V della Costituzione, Milano, Giuffrè, 2004, p. 299 ss.; P.L. PORTALURI, Riflessioni sul “governo del territorio” dopo la riforma del Titolo V, in Rivista giuridica dell’edilizia, fasc. n. 6, Milano, Giuffrè, 2002, p. 357; M.A. QUAGLIA, Il governo del territorio. Contributo per la definizione della materia, Torino, Giappichelli, 2006; P. SILVESTRINI, La riforma costituzionale e il governo del territorio, in Rivista trimestrale degli appalti, fasc. n. 1, Rimini, Maggioli, 2005, p. 79 ss.; P. STELLA RICHTER, La nozione di “governo del territorio” dopo la riforma dell’art. 117 Cost., in Giustizia civile, fasc. n. 4, Milano, Giuffrè, 2003, p. 107 ss.; P. URBANI (a cura di), Il governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2003, p. 193 ss.

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dell’urbanistica (a sua volta comprensiva della disciplina dei titoli abilitativi ad edificare), ma al contempo non ha condiviso l’idea di una loro sostanziale coincidenza (Corte Cost. sent. 19 dicembre 2003, n. 362). «Il governo del territorio comprende, in linea di principio, tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività» (Corte Cost. sent. 7 ottobre 2003, n. 307), ossia «l’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio» (Corte Cost. sent. 28 giugno 2004, n. 196). Tale definizione non presenta la portata onnicomprensiva che la formulazione suggerirebbe, poiché materie incidenti sul governo del territorio, quali la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali sono assegnate alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2, lett. s, Cost.). Il governo del territorio, nonostante le precisazioni, rispetto ai profili tradizionalmente appartenuti all’urbanistica e all’edilizia, presenta una «ben più ampia disciplina» (Corte Cost. n. 196/2004); quale disciplina invece costituisca lo specifico dell’urbanistica nel nuovo Titolo V, la Corte Costituzionale non lo ha ancora indicato16.

La pianificazione urbanistica, rientrante quindi tra le attività di governo del territorio, resta sottoposta alla disciplina legislativa regionale concorrente, ma con il solo limite dei principi fondamentali della materia (art. 117 Cost., co. 3), che la Costituzione continua a riservare allo Stato.

A precisare ove si debbano concretamente reperire tali principi fondamentali è intervenuto l’art. 1, co. 3, L. 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. Legge La Loggia), che nel riecheggiare letteralmente quanto disposto dal tuttora vigente art. 9, co. 1, L. n. 62/1953, prevede espressamente che «nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti».

16 G. SCIULLO, Op. cit., pp. 6116 - 6117.

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Il 2 marzo 2007 è stata presentata la proposta di legge n. 2319 contenente i “principi fondamentali per il governo del territorio” costituita da 27 articoli17. Il provvedimento individua dapprima l’ambito oggettivo del governo del territorio che comprende l’urbanistica, l’edilizia e, relativamente alla programmazione e alla pianificazione del territorio, la difesa del suolo, l’espropriazione, l’edilizia sociale. Successivamente vengono enunciati diversi articoli contenenti i principi che informano la pianificazione urbanistica e territoriale: sostenibilità, tutela, sicurezza, sussidiarietà, adeguatezza, trasparenza, democrazia, equità e legalità del territorio. I comuni sono confermati soggetti primari del governo del territorio, ad eccezione delle competenze attribuite in via espressa alle regioni e alle province, mentre allo Stato sono riservate la programmazione e la pianificazione delle reti infrastrutturali di interesse nazionale, la definizione della normativa tecnica, nonché l’individuazione dei livelli minimi degli standard urbanistici. Relativamente ai rapporti fra gli strumenti di pianificazione territoriale18 ed urbanistica, questi sono ora improntati al principio di coerenza, concetto più ampio che sostituisce quello tradizionale

17 La proposta di legge è stata assegnata alla VIII Commissione il 12 giugno 2007, www.parlamento.it. 18 Relativamente alla “pianificazione territoriale” vedi la seguente bibliografia: G. ABBAMONTE, Programmazione economica e pianificazione territoriale, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1998, agg., II, p. 796 ss.; S. AMOROSINO, Il governo dei sistemi territoriali. Il nuovo diritto urbanistico, Padova, Cedam, 2008; S. AMOROSINO, La pianificazione del territorio tra poteri regionali e scelte locali: modelli (normativi) e realtà (amministrative) di una “concorrenza” di disfunzioni, in E. FERRARI, N. SAITTA, A. TIGANO (a cura di), Livelli e contenuti della pianificazione territoriale, Milano, Giuffrè, 2001, p. 409 ss.; M. D’ORSOGNA, Pianificazione e programmazione, in S. CASSESE (diretto da) Dizionario di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, IV, p. 4298 ss.; E. FERRARI, N. SAITTA, A. TIGANO (a cura di), Livelli e contenuti della pianificazione territoriale, Milano, Giuffrè, 2001; A. LOLLI, Pianificazione urbanistica, interessi economici e pianificazione commerciale, in M. CAMMELLI (a cura di), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 569 ss.; V. MAZZARELLI, Passato e presente delle pianificazioni, in Dir. amm., 2007, p. 665 ss.; V. MAZZARELLI, L’urbanistica e la pianificazione territoriale, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2003, II ed., Diritto amministrativo speciale, p. 3335 ss.; G. SCIULLO, Gli strumenti del governo del territorio: la pianificazione, in iuav.it/dirittogovernoterritorio; M. TUCCI, Programmazione amministrativa e pianificazione del territorio, Torino, Giappichelli, 2003.

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di conformità e implica il rispetto degli obiettivi e degli indirizzi fissati dal piano sovraordinato19.

Attualmente non è ancora stata varata una disciplina armonica e coerente dei principi fondamentali dell’urbanistica, né del governo del territorio. Tale lacuna normativa appare acuita dalla circostanza che il legislatore statale non ha nemmeno fatto ricorso allo strumento del decreto legislativo con funzione ricognitiva dei principi fondamentali riferibili alle singole materie, così come viene espressamente previsto dall’art. 1, co. 4, L. n. 131/200320. Finché non vi sarà una legge-quadro dello Stato in tema di governo del territorio che modifichi i principi fondamentali della materia21, tutte le leggi regionali in tema di pianificazione territoriale dovranno continuare a rispettare i principi fondamentali ricavabili dal complesso di disposizioni legislative statali al momento vigenti. 2. Il ruolo dell’Unione Europea nel governo del territorio Attualmente non esiste un’organica disciplina inerente alla pianificazione del territorio proveniente dall’Unione Europea che sia direttamente applicabile e vincolante nei confronti degli Stati membri. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, in particolare con l’Atto unico europeo del 1986, le istituzioni comunitarie hanno dato vita ad un’intensa attività di riflessione sulle dinamiche di 19 F. BARCHIELLI, Parlamento. Disegno di legge C/2319, Rivista di diritto urbanistico, articolo del 28/07/2007, www.urbanisticaitaliana.it. 20 Tale norma recita: «il Governo è delegato ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministri interessati, uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione, attenendosi ai principi della esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità e indicando, in ciascun decreto, gli ambiti normativi che non vi sono compresi». 21 M. SOLLINI, La pianificazione urbanistica regionale allo specchio: profili comparativi sintetici e linee evolutive, Rivista giuridica di urbanistica, fasc. n. 4, Rimini, Maggioli, 2008, pp. 515 - 516.

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assetto e di governo del territorio presenti nei singoli Stati membri, al fine di fornire una serie di indicazioni programmatiche per la formazione e la realizzazione di una politica territoriale comunitaria. Inizia infatti ad imporsi l’idea che all’obiettivo dell’integrazione commerciale e monetaria debba affiancarsi quella dell’integrazione territoriale.

Il risultato di questa attività è stato l’approvazione, nel corso del Consiglio informale dei ministri responsabili per il territorio, dello “Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE)” del 199922. Si tratta di un documento di natura intergovernativa a carattere indicativo e non vincolante. Senza prevedere nuove competenze comunitarie in materia di assetto territoriale, lo SSSE costituisce un quadro di orientamento politico finalizzato a migliorare la cooperazione tra le politiche comunitarie settoriali che hanno un impatto significativo sul territorio. La sua elaborazione si basa sulla constatazione che l'azione degli Stati membri si integra meglio se si fonda su obiettivi di sviluppo territoriale definiti in comune. Conformemente al principio di sussidiarietà, la sua applicazione avviene al livello di intervento più appropriato e a discrezione dei diversi protagonisti nell'ambito dello sviluppo territoriale23.

Pertanto i principali attori di questo processo continuano ad essere i singoli Stati membri e, per quanto di competenza, le autorità regionali e locali.

Tuttavia tale considerazione non deve condurre alla conclusione che l’Unione Europea non possa svolgere un ruolo attivo nella regolamentazione territoriale: l’art. 175 TCE, anche se persegue fini di tutela ambientale, afferma che il Consiglio, deliberando all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale, e del Comitato delle regioni, possa adottare «misure aventi incidenza sull’assetto

22 M. BOZZAOTRE, Unione europea e governo del territorio. Spunti per una ricerca, in Rivista giuridica di urbanistica, fasc. n. 2/3, Rimini, Maggioli, 2004, pp. 418 - 419. 23 www.europa.eu.

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territoriale, sulla destinazione dei suoli» e sulla «gestione delle risorse idriche»24.

Il Trattato di Lisbona25, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, prevede una modifica dell’ art. 175 TCE, solo per quanto concerne la procedura decisionale che deve essere seguita dalle istituzioni, al fine di adottare gli atti in materia ambientale: l’Unione Europea non ha pertanto previsto una disciplina vincolante specifica in materia di pianificazione territoriale26.

24 M. BOZZAOTRE, Op. cit. pp. 418 - 419. 25 Il Trattato di Lisbona modifica e non abroga i trattati preesistenti: il Trattato sull’Unione Europea mantiene la sua denominazione (TUE), mentre il Trattato che istituisce la Comunità Europea diviene “Trattato sul funzionamento dell’Unione” (TFUE). L’Unione sostituisce e succede alla Comunità, pertanto viene a cadere la struttura a pilastri. Le altre novità riguardano: la ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri, la ridefinizione del quadro istituzionale, il ruolo dei Parlamenti nazionali, l’integrazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel Trattato, l’estensione della procedura di codecisione a nuovi settori, in A. BARBERA, C. FUSARO, Corso di diritto pubblico, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 77. 26 M. ALBERTON, M. MONTINI, Le novità introdotte dal Trattato di Lisbona per la tutela dell’ambiente, in Rivista giuridica dell’ambiente, fasc. n. 2, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 505 - 506.

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CAPITOLO SECONDO

LA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI GOVERNO DEL TERRITORIO IN TOSCANA, VENETO,

LOMBARDIA, PUGLIA, EMILIA-ROMAGNA E UMBRIA

SOMMARIO: 1. Il piano di indirizzo territoriale della regione Toscana. – 2. Il piano territoriale regionale di coordinamento della regione Veneto. – 3. Il piano territoriale regionale della regione Lombardia. – 4. Il documento regionale di assetto generale della regione Puglia. – 5. Il piano territoriale regionale della regione Emilia-Romagna. – 6. Il piano urbanistico strategico territoriale della regione Umbria.

1. Il piano di indirizzo territoriale della regione Toscana La L.R. della Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 reca le “Norme per il governo del territorio”.

Il Consiglio regionale con propria deliberazione del 24 luglio 2007, n. 72 ha approvato, ai sensi dell’art. 7, co. 7, L.R. n. 1/2005, il piano di indirizzo territoriale (PIT), il quale è composto da tre elaborati: il Documento di piano, la Disciplina di piano ed il Quadro conoscitivo27. Il Documento di piano contiene i principi sostantivi e le regole della pianificazione, ossia le risorse territoriali interpretate come “statuti” ed “agende”, le quali precedono e condizionano le scelte della pianificazione territoriale e settoriale. Tale Documento definisce il Piano di indirizzo territoriale come un patto tra istituzioni: la scommessa di una nuova alleanza tra la regione e le 27 BURT 17 ottobre 2007, n. 42.

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amministrazioni locali per dare all’insieme del territorio toscano valori e opportunità nel quale trovare le risorse, la coerenza e la duttilità necessarie al suo governo, plurale ma integrato. Pertanto il governo del territorio è una sfera essenziale dell’azione politica regionale e locale28.

La Disciplina di piano, in riferimento al primo documento, contiene le norme che traducono gli obiettivi in indirizzi operativi.

Il Quadro conoscitivo è l’apparato delle ricerche messe a punto per svelare i meccanismi di funzionamento dello spazio regionale29. Costituiscono parte del PIT anche una serie di allegati documentali relativi al paesaggio, in quanto esso ha valenza di piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici (art. 48, co. 1, lett. d).

Nell’art. 2 L.R. n. 1/2005 il governo del territorio è definito come «l’insieme delle attività relative all’uso del territorio, con riferimento sia agli aspetti conoscitivi che a quelli normativi e gestionali, riguardanti la tutela, la valorizzazione e le trasformazioni delle risorse territoriali e ambientali». Inoltre la L.R. n. 1/2005 promuove, nell’ambito della regione, «lo sviluppo sostenibile delle attività pubbliche e private che incidono sul territorio medesimo». Pertanto lo svolgimento di tali attività e l’utilizzazione delle risorse territoriali ed ambientali deve avvenire garantendo la salvaguardia e il mantenimento dei beni comuni, l’uguaglianza di diritti all’uso e al godimento dei beni comuni, «nel rispetto delle esigenze legate alla migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future» (art. 1, co. 1). I comuni, le province e la regione, nell’esercizio delle funzioni attribuite dalla presente legge, perseguono le seguenti finalità: a) «la conservazione, la valorizzazione, e la gestione delle risorse territoriali ed ambientali»;

28 Documento di piano, pp. 23 - 24, www.rete.toscana.it. 29 P. PROPERZI (a cura di), Rapporto dal territorio 2007, Istituto Nazionale di Urbanistica, p. 61, www.rapportodalterritorioinu.it.

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b) «lo sviluppo di un sistema di città equilibrato e policentrico, promuovendo altresì la massima integrazione tra i diversi territori della regione»; c) «lo sviluppo delle potenzialità della montagna, della fascia costiera e delle aree agricole nel rispetto delle esigenze di tutela ambientale ad essa peculiari»; d) «l’efficacia dei sistemi dei servizi pubblici e lo sviluppo delle prestazioni da essi derivanti»; e) «la maggiore sicurezza possibile delle persone e dei beni rispetto ai fattori di rischio connessi all’utilizzazione del territorio»; f) «una qualità insediativa ed edilizia sostenibile che garantisca: la riduzione dei consumi energetici, la salvaguardia dell’ambiente naturale, la sanità ed il benessere dei fruitori, l’eliminazione delle barriere architettoniche, l’organizzazione degli spazi che salvaguardino il diritto all’autodeterminazione delle scelte».

L’art. 2 conclude affermando che il conseguimento di tali finalità viene perseguito mediante gli strumenti della pianificazione territoriale (art. 9) e gli altri atti di governo del territorio (art. 10), i quali sono approvati dai comuni, dalle province e dalla regione. Gli strumenti della pianificazione territoriale sono costituiti dal piano regionale di indirizzo territoriale (art. 48), dal piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP, art. 51) e dal piano strutturale comunale (PSC, art. 53). Gli atti del governo del territorio che vengono approvati nel rispetto degli strumenti previsti dall’art. 9 sono il regolamento urbanistico comunale, i piani complessi di intervento, i piani attuativi, i piani e i programmi di settore; infine gli accordi di programma e gli altri atti della programmazione negoziata comunque nominati (art. 10).

L’art. 7 precisa che le funzioni amministrative relative al governo del territorio sono attribuite ai comuni, alle province e alla regione ed esercitate sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118 Cost., co. 1). Il piano di indirizzo territoriale è approvato dalla regione, così come gli atti di governo del territorio di propria competenza. Essa inoltre detta le disposizioni di indirizzo «finalizzate a garantire

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complessivamente le realizzazione delle strategie di governo atte a promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio regionale» (co. 2). Alle province appartiene la competenza di approvare il piano territoriale di coordinamento e gli atti di governo del territorio di propria competenza. Ad esse spetta la determinazione dei «livelli prestazionali minimi delle risorse essenziali di interesse sovracomunale, promuovendo lo sviluppo sostenibile del territorio di propria competenza, anche attraverso l’esercizio integrato delle funzioni ad esse attribuite in materia di gestione territoriale ed ambientale». Infine le province provvedono al coordinamento delle politiche territoriali della regione con gli strumenti della pianificazione comunale (co. 3). I comuni approvano il piano strutturale comunale, nonché gli atti di propria competenza esercitando le «funzioni primarie ed essenziali del governo del territorio, provvedendo alla disciplina puntuale e alla definizione delle regole che presiedono all’utilizzazione e trasformazione del territorio» (co. 4). Alla formazione degli strumenti della pianificazione territoriale e degli atti di governo del territorio partecipano, oltre ai soggetti istituzionali, gli enti parco e gli altri soggetti pubblici e privati, i cittadini singoli ed associati (co. 5).

Da tali norme risulta che la Toscana ha dato concreta attuazione alla riforma costituzionale del 2001 attraverso il superamento del sistema organizzativo “piramidale” che ha sempre caratterizzato i rapporti tra gli enti territoriali nelle attività di governo del territorio. La regione, province e comuni non si relazionano secondo un modello di tipo gerarchico, ma operano secondo un sistema orizzontale “a filiera”, ispirato ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, tra soggetti sostanzialmente equiordinati. Dal superamento del suddetto modello consegue il superamento della gerarchia tra i rispettivi piani30.

30 A. CAMILLO, F. MINUCCI (a cura di), Le nuove leggi urbanistiche regionali - esperienze a confronto, Novara, Città Studi edizioni, 2008, p. 88.

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In virtù dell’art. 8, la regione partecipa alla definizione ed all’attuazione dei piani e dei programmi di competenza statale, in particolare alla stipulazione degli accordi e delle intese interistituzionali. Inoltre garantisce la coerenza degli atti statali con gli strumenti della pianificazione territoriale e con gli altri atti di governo del territorio adottati ed approvati dai soggetti competenti. La regione infine assicura la partecipazione degli enti locali ed il loro coinvolgimento nel processo di formazione delle decisioni di propria competenza, richiedendone in ogni caso il relativo parere e conformandosi ad esso nei casi di esclusiva rilevanza locale.

Gli strumenti relativi alla pianificazione territoriale di cui all’art. 9 contengono lo statuto del territorio (art. 5, co. 2), che assume e ricomprende le invarianti strutturali (art. 4)31 «quali elementi cardine dell’identità dei luoghi, consentendo l’individuazione ad ogni livello di pianificazione dei percorsi di democrazia partecipata delle regole di insediamento e di trasformazione nel territorio interessato la cui tutela garantisce lo sviluppo sostenibile, ai sensi degli articoli 1 e 2». Gli strumenti della pianificazione territoriale stabiliscono gli obiettivi, gli indirizzi ed azioni progettuali strategiche, ai diversi livelli di competenza e specificazione, tenendo conto dello statuto del territorio. A tal fine, ogni strumento definisce anche i criteri per verificare la compatibilità di ogni altro atto di governo del territorio, eventualmente previsto per l’attuazione dello strumento medesimo, con il nucleo di regole, vincoli e prescrizioni derivanti dallo statuto del territorio (art. 5, co. 3). Ciò che la legge regionale definisce come lo “statuto del territorio” toscano viene definito ed adottato dal PIT come un’“agenda”, ossia come l’insieme delle scelte di indirizzo e di disciplina dei fattori territoriali e funzionali che compongono la struttura del territorio. La scelta degli elementi che costituiscono lo statuto del territorio non consiste in un’operazione meramente tecnica, ma è fortemente condizionata dalla visione del futuro che determina la scelta delle 31 Art. 4, co. 1: «le risorse, i beni, e le regole relative all’uso, individuati dallo statuto di cui all’art. 5, nonché i livelli di qualità e le relative prestazioni minime, costituiscono invarianti strutturali del territorio da sottoporre a tutela al fine di garantire lo sviluppo sostenibile».

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strategie. Per questo motivo il PIT utilizza l’espressione “agenda statutaria”, anziché la terminologia più statica e consueta di “statuto”, in quanto supera il concetto di localizzazione territoriale e cerca invece di definire le condizioni, gli strumenti e le procedure per facilitare lo sviluppo e la qualità32.

L’art. 48 della L.R. n. 1/2005 nel co. 1 ribadisce che lo statuto del territorio individua e definisce «le invarianti strutturali, i sistemi territoriali e funzionali che definiscono la struttura del territorio, i principi per l’utilizzazione delle risorse essenziali, nonché le prescrizioni inerenti ai relativi livelli minimi prestazionali e di qualità». Inoltre le aree dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 32, co. 2 sono comprese nello statuto del PIT. Il PIT (art. 48, co. 3) delinea la strategia dello sviluppo territoriale mediante l’indicazione e la definizione degli «obiettivi del governo del territorio e delle azioni conseguenti, del ruolo dei sistemi metropolitani e dei sistemi delle città, dei sistemi locali e dei distretti produttivi, delle aree caratterizzate da intensa mobilità, nonché degli ambiti territoriali di rilievo sovraprovinciale», ed infine «delle azioni integrate per la tutela e la valorizzazione delle risorse essenziali». In virtù di tali finalità, il PIT stabilisce le «prescrizioni relative all’individuazione dei tipi di intervento e dei relativi ambiti territoriali che, per i loro effetti intercomunali, sono oggetto di concertazione fra i vari livelli istituzionali anche in relazione alle forme di perequazione tra i comuni, le prescrizioni per il coordinamento delle politiche di settore della regione in funzione dello sviluppo territoriale e quelle relative all’individuazione degli ambiti territoriali per la localizzazione di interventi sul territorio di competenza regionale» (co. 4). Gli strumenti della pianificazione territoriale dei comuni e delle province, nonché gli atti di governo del territorio degli altri soggetti pubblici, si conformano al piano di indirizzo territoriale (co. 6).

32 Documento di piano, pp. 25 - 26.

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Particolari misure cautelari possono essere approvate dal Presidente della regione con «l’effetto di sospendere l’efficacia totale o parziale delle parti degli atti con esse contrastanti», nei casi previsti dalla L.R. 29 dicembre 2003, n. 67, artt. 24 e 25 (“Ordinamento del sistema regionale della protezione civile e disciplina della relativa attività”)33 e nei casi in cui la legge attribuisca alla regione poteri straordinari connessi a situazioni di necessità e di urgenza. Tali misure cautelari cessano di avere efficacia appena abbiano raggiunto gli obiettivi per i quali la legge li prevede e comunque non oltre un anno dalla loro adozione (art. 49).

La Giunta regionale può esercitare i poteri sostitutivi in caso di mancato adeguamento del piano territoriale di coordinamento o del piano strutturale e degli atti di governo del territorio (art. 52) con il PIT nei termini da questo stabiliti in presenza di alcune ipotesi: «urgenza nell’esercizio delle competenze regionali di cui al D.Lgs. n. 190/200234, individuazione degli ambiti di cui all’art. 48, co. 4, lett. c35, in tutti gli altri casi previsti dalla legge (art. 50)».

Il Titolo III della L.R. n. 1/2005 disciplina gli accordi di pianificazione, i quali, in virtù dell’art. 21, possono essere promossi dal comune, dalla provincia o dalla regione, in base all’interesse prevalente, qualora sia opportuna la definizione o la variazione contestuale degli strumenti della pianificazione territoriale (ai sensi dell’art. 9), che vengono definiti consensualmente dalle citate amministrazioni con le forme e modalità procedurali previste dall’art. 22.

Il soggetto promotore dell’accordo convoca una Conferenza di servizi tra le strutture tecniche delle amministrazioni competenti, al fine di esaminare il progetto predisposto e per verificare la

33 L’art. 24 disciplina gli interventi regionali per il superamento dell’emergenza, mentre l’art. 25 prevede i criteri e le procedure per l’attuazione degli interventi regionali per il superamento dell’emergenza. 34 D.Lgs. 20 agosto 2002, n. 190 attuativo della L. 21 dicembre 2001, n. 443 per la “Realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale”. 35 Art. 48, co. 4, lett. c: «il PIT stabilisce le prescrizioni relative all’individuazione degli ambiti territoriali per la localizzazione di interventi sul territorio di competenza regionale».

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possibilità di concludere l’accordo medesimo; in seguito trasmette agli enti convocati il relativo progetto, almeno sessanta giorni prima della data di convocazione (art. 22, co. 1). I legali rappresentanti degli enti che partecipano alla Conferenza stipulano un’intesa preliminare, nel caso in cui nell’ambito della Conferenza venga accertata la necessità di modificare gli strumenti della pianificazione territoriale o un atto di governo del territorio emanato da un ente diverso da quello promotore. Gli atti relativi all’intesa preliminare sono trasmessi agli organi competenti delle rispettive amministrazioni, ai fini della ratifica dell’intesa (co. 2). In seguito alla stipulazione dell’intesa, l’amministrazione competente adotta lo strumento della pianificazione considerando le condizioni e le prescrizioni concordate con l’intesa. In tal modo il piano è adottato e, insieme all’intesa siglata, viene depositato presso la sede dell’amministrazione promotrice per sessanta giorni dalla data di pubblicazione del relativo avviso sul Bollettino ufficiale della regione Toscana (BURT, co. 3). Entro tale termine perentorio, tutti possono prendere visione dell’atto e dell’intesa depositati, potendo anche presentare osservazioni. L’amministrazione competente può raddoppiare il termine di sessanta giorni, in relazione alla complessità del provvedimento adottato (co. 4). In seguito l’amministrazione che ha promosso l’accordo di pianificazione effettua una nuova convocazione delle altre amministrazioni partecipanti all’intesa per concludere definitivamente l’accordo di pianificazione, il quale conferma l’intesa preliminare, tenendo conto delle osservazioni eventualmente pervenute. L’accordo siglato dai legali rappresentanti delle amministrazioni che hanno partecipato all’intesa viene ratificato dagli organi competenti delle medesime amministrazioni, a pena di decadenza, entro sessanta giorni (art. 23, co. 1). Dopo la conclusione dell’accordo, in conformità con le modifiche concordate, l’amministrazione approva lo strumento della pianificazione territoriale in cui si dà atto delle osservazioni pervenute e motivando le determinazioni conseguenti.

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L’amministrazione promotrice, in seguito alla presentazione di osservazioni, se ritiene di dover apportare ulteriori modifiche, provvede a convocare nuovamente le amministrazioni con apposito avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione. Le determinazioni assunte hanno efficacia dalla data di pubblicazione. I cittadini hanno diritto di accedere agli atti, anche per via telematica, presso l’amministrazione promotrice (co. 2 e 3). Risulta pertanto chiaro che durante la formazione dei piani la regione, la provincia e il comune dialogano reciprocamente avendo tuttavia competenze distinte: la regione definisce le regole e le strategie generali, la provincia fissa i limiti della sostenibilità e i contenuti programmatici dello sviluppo sostenibile, coordina le politiche di indirizzo territoriale della regione con gli strumenti della pianificazione comunale. Il comune stabilisce, coerentemente con gli altri enti sopra indicati, le sue strategie ed azioni di tutela e di valorizzazione, definendo anche gli indirizzi e le prescrizioni per il regolamento urbanistico e per i piani di settore. La formazione dei piani, che avviene attraverso l’applicazione del principio della collaborazione tra gli enti per il governo del territorio, i quali si scambiano le informazioni e compiono le opportune verifiche prima dell’adozione dei piani, fa sì che in seguito all’adozione, il piano non debba sottostare a pareri di altri soggetti. Il procedimento è il medesimo per qualsiasi strumento o atto di governo del territorio36. Il comune, la provincia, o la regione possono adire la Conferenza interistituzionale37, qualora ritengano che uno strumento della pianificazione territoriale o un atto di governo del territorio approvato da altra amministrazione sia incompatibile o in contrasto con un proprio strumento della pianificazione territoriale

36 A. CAMILLO, F. MINUCCI (a cura di), Op. cit., pp. 65 - 66. 37 La Conferenza interistituzionale è disciplinata dall’art. 24 L.R. n. 1/2005. Essa ha sede presso la Giunta regionale, viene nominata dal Presidente della Giunta regionale con decreto ed è composta da: tre membri designati dalla Giunta regionale, tre membri in rappresentanza delle Province e tre membri in rappresentanza dei Comuni designati dal Consiglio delle autonomie locali. Il Presidente è eletto al proprio interno dai membri che lo compongono. La Regione assicura il funzionamento della conferenza, attraverso lo stanziamento di risorse umane e finanziarie.

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già vigente. Questo deve avvenire entro il termine perentorio di sessanta giorni dall’avviso sul BURT dell’avvenuta approvazione dello strumento ovvero atto in contrasto o incompatibile, al fine di chiedere la relativa pronuncia (art. 25, co. 1). L’ente che ha presentato l’istanza, pubblica la richiesta di pronuncia sul BURT e ne dà comunicazione al soggetto istituzionale che ha approvato lo strumento o l’atto oggetto di contestazione (co. 5). Dalla data di pubblicazione è sospesa l’efficacia delle parti oggetto di contestazione (co. 6).

Anche i cittadini organizzati in forme associative possono presentare istanze al comune, alla provincia o alla regione, dirette a rilevare il contrasto o l’incompatibilità con strumenti della pianificazione già vigenti dell’ente a cui è rivolta l’istanza. Essa può essere presentata entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’avviso sul BURT dell’avvenuta approvazione degli strumenti o atti indicati nel co. 1. L’ amministrazione competente anche in tal caso può adire la Conferenza interistituzionale (co. 3). Le istanze presentate dai cittadini relative al PIT pervengono al Garante della comunicazione38 istituito dalla regione (co. 4).

La Conferenza interistituzionale dopo essere stata adita, esprime il parere di competenza entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla richiesta di pronuncia ai sensi dell’art. 25, ed entro lo stesso termine lo comunica al soggetto richiedente (art. 26, co. 1). Qualora la Conferenza non esprima il parere o rilevi l’inesistenza di un contrasto tra gli strumenti o gli atti, l’amministrazione che ha approvato lo strumento della pianificazione territoriale o l’atto di governo del territorio oggetto della contestazione, procede a darne avviso sul BURT. Attraverso la pubblicazione, lo strumento o l’atto riacquistano efficacia (co. 2). Se invece la Conferenza interistituzionale rileva il contrasto, l’amministrazione che ha approvato lo strumento della 38 Il Garante della comunicazione è disciplinato dagli artt. 19 e 20 L.R. n. 1/2005 ed «assicura la conoscenza effettiva e tempestiva [da parte dei cittadini interessati] delle scelte e dei supporti conoscitivi relativi alle fasi procedurali di formazione e adozione degli strumenti della pianificazione territoriale e degli atti di governo del territorio».

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pianificazione territoriale o l’atto di governo del territorio provvede all’adeguamento, conformandosi con la pronuncia della Conferenza, dandone avviso sul BURT (co. 3). Gli strumenti o atti riacquistano efficacia decorsi quarantacinque giorni dalla pubblicazione (co. 5).

Può accadere che l’ente competente non intenda adeguarsi alla pronuncia della Conferenza, in tal caso dovrà dare espressa ed adeguata motivazione. L’ente dovrà inoltre comunicare alla regione e all’amministrazione che ha adito la Conferenza gli atti di conferma, nonché darne avviso sul BURT (co. 4). Nei casi sopra citati (co. 3 e 4) gli atti o strumenti della pianificazione territoriale riacquistano efficacia decorsi quarantacinque giorni dalla pubblicazione. 2. Il piano territoriale regionale di coordinamento della regione Veneto Il procedimento di formazione del piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) è disciplinato nella regione Veneto con la L.R. 23 aprile 200439, n. 11 “Norme per il governo del territorio”. Attraverso la deliberazione della Giunta regionale del 17 febbraio 2009, n. 37240 è stato adottato il PTRC, il quale deve ancora essere approvato dal Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 25 L.R. n. 11/2004. Il PTRC è composto dai seguenti allegati: a) Relazione illustrativa con i “Fondamenti del Buon Governo”; b) Elaborati grafici41;

39 Il testo normativo è pubblicato nel sito internet della regione Veneto: www.regione.veneto.it. 40 Pubblicazione avvenuta sul BUR Veneto del 13 marzo 2009, n. 13. 41 Gli elaborati grafici sono costituiti da: tav. PTRC 1992: ricognizione; tav. 01a: uso del suolo - terra; tav. 01b: uso del suolo - acqua; tav. 02: biodiversità; tav. 03: energia e ambiente; tav. 04: mobilità; tav. 05a: sviluppo economico produttivo; tav. 05b: sviluppo economico turistico; tav. 06: crescita sociale e culturale; tav. 07: montagna del Veneto; tav. 08: città, motore di

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c) Rapporto Ambientale; d) Quadro conoscitivo (su supporto digitale); e) Ambiti di Paesaggio Atlante ricognitivo; f) Norme Tecniche.

L’art. 1, relativamente all’oggetto della L.R. n. 11/2004, oltre a dettare le norme per il governo del territorio Veneto, definisce le «competenze di ciascun ente territoriale, le regole per l’uso dei suoli secondo criteri di prevenzione e riduzione o di eliminazione dei rischi, di efficienza ambientale, di competitività e di riqualificazione territoriale, al fine di migliorare la qualità della vita».

L’art. 2 (co. 1) stabilisce i criteri, gli indirizzi, i metodi e i contenuti degli strumenti di pianificazione, allo scopo di realizzare uno «sviluppo sostenibile e durevole» e di salvaguardare la «qualità della vita, la tutela delle identità storico-culturali e della qualità degli insediamenti urbani ed extraurbani, attraverso la riqualificazione ed il recupero edilizio ed ambientale degli aggregati esistenti, il paesaggio rurale, montano e delle aree di importanza naturalistica»: tutto questo avviene attraverso «l’utilizzo di nuove risorse territoriali solo quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente».

I mezzi per perseguire tali finalità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza ed efficienza, sono caratterizzati dalla semplificazione dei procedimenti di pianificazione, attraverso la riduzione di tempi e con garanzia di trasparenza e di pianificazione, dal coinvolgimento dei cittadini, delle rappresentanze economico-sociali e delle associazioni di protezione ambientale, nonché della formazione degli strumenti di pianificazione e delle scelte che incidono sull’uso delle riforme ambientali (art. 2, co. 2). Risulta pertanto che il metodo applicato per conseguire i suddetti obiettivi è definito da tre concetti chiave: semplificazione, concertazione ed informazione.

futuro; tav. 09: sistema del territorio rurale e della rete ecologica; tav. 10: PTRC - sistema degli obiettivi di progetto.

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L’art. 3, in relazione ai vari livelli di pianificazione, stabilisce che «il governo del territorio si attua attraverso la pianificazione, urbanistica e territoriale del comune, della provincia e della regione. I diversi livelli di pianificazione sono tra loro coordinati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e coerenza; in particolare, ciascun piano indica il complesso delle direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore e determina le prescrizioni e i vincoli automaticamente prevalenti (co. 1)».

Da tale disposizione emerge che il rapporto tra i diversi livelli di pianificazione non è rappresentabile soltanto secondo il tradizionale sistema gerarchico a cascata42, ma si basa principalmente sui principi di sussidiarietà e di cooperazione interistituzionale. Ogni piano detta i criteri ed i limiti entro i quali il piano di livello inferiore può modificare il piano di livello sovraordinato, senza la necessità di procedere ad una variante dello stesso (art. 3, co. 3).

La pianificazione si articola in (co. 4): a) piano di assetto del territorio comunale (PAT) e piano degli interventi comunali (PI), che costituiscono il piano regolatore comunale, il piano di assetto del territorio intercomunale (PATI) ed i piani urbanistici attuativi (PUA); b) piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP); c) piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC). Al fine dell’adozione del PTRC, PTCP, PAT ed il PATI, l’ente territoriale competente deve elaborare un documento preliminare, il quale deve contenere «gli obiettivi generali che si intendono perseguire con il piano e le scelte strategiche di assetto del territorio, anche in relazione alle previsioni degli strumenti di pianificazione di livello sovraordinato; le indicazioni per lo sviluppo sostenibile e durevole del territorio (co. 5)». Il Capo III del Titolo II è interamente dedicato alla “Pianificazione regionale per il governo del territorio”.

42 La L.R. n. 11/2004 tratta dapprima la pianificazione comunale (artt. 12 a 21), poi quella provinciale (artt. 22 e 23) e, solo da ultimo, della regionale (artt. 24 a 27).

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Relativamente ai contenuti del PTRC, l’art. 24 afferma che esso indica gli obiettivi, le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione. Viene poi specificato nel co. 1 che il piano si occupa di: a) acquisire «dati ed informazioni necessari alla costituzione del quadro conoscitivo territoriale regionale43»; b) indicare «le zone e i beni da destinare a particolare tutela delle risorse naturali, della salvaguardia e dell’eventuale ripristino degli ambienti fisici, storici e monumentali, nonché recep[ire] i siti interessati da habitat naturali e da specie floristiche e faunistiche di interesse comunitario e le relative tutele»; c) indicare «i criteri per la conservazione dei beni culturali, architettonici e archeologici, nonché per la tutela delle identità storico-culturali dei luoghi, disciplinando le forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio in funzione del livello di integrità e rilevanza dei valori paesistici»; d) indicare «il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale»; e) definire «lo schema delle reti infrastrutturali e il sistema delle attrezzature e servizi di rilevanza nazionale e regionale»; f) individuare «le opere e le iniziative o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio, da definire mediante la redazione di progetti strategici di cui all'articolo 26»; g) formulare «i criteri per la individuazione delle aree per insediamenti industriali e artigianali, delle grandi strutture di vendita e degli insediamenti turistico-ricettivi»; h) individuare «gli eventuali ambiti per la pianificazione coordinata tra comuni che interessano il territorio di più province».

43 Il quadro conoscitivo territoriale regionale costituisce l’insieme di dati, informazioni e rappresentazioni cartografiche, atte a descrivere il contesto socio-economico, territoriale ed ambientale, a partire dal quale si realizzano le analisi e gli studi che conducono alla definizione del sistema di obiettivi e che supportano le scelte strategiche operate dal piano stesso, www.regione.veneto.it.

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Anche i piani di settore ed i piani di sviluppo delle grandi reti di servizi sono oggetto di coordinamento con il PTRC; tali piani lo integrano e lo modificano qualora ciò sia previsto da specifiche leggi. Al fine di restituire un unico quadro pianificatorio e conoscitivo coerente, sono previsti eventuali modifiche ed aggiornamenti cartografici al PTRC (co. 2).

Il PTRC rappresenta inoltre il documento di riferimento per la tematica paesaggistica, stante quanto disposto dall’art. 6, L.R. 10 agosto 2006, n. 1844, che gli attribuisce valenza di “piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici”. L’art. 25 concerne il procedimento di formazione del PTRC. Tale norma prevede che la Giunta regionale elabori un documento preliminare con i contenuti di cui all’art. 3, co. 5 e che lo trasmetta alle province, comuni, comunità montane e agli enti di gestione di aree naturali protette interessate. Per un esame del documento preliminare, la Giunta regionale assume il metodo della concertazione e della partecipazione, così come previsto dall’art. 5, co. 1: «i comuni, le province, e la regione nella formazione degli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, conformano la propria attività al metodo del confronto e della concertazione con gli altri enti pubblici territoriali e con le altre amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti». L’art. 5, co. 2, conclude affermando che «l’amministrazione procedente assicura, altresì, il confronto con le associazioni economiche e sociali portatrici di rilevanti interessi sul territorio e di interessi diffusi, nonché con i gestori di servizi pubblici e di uso pubblico invitandoli a concorrere alla definizione degli obiettivi e delle scelte strategiche individuate dagli strumenti di pianificazione». Dunque, attraverso la concertazione, le cui modalità non sono definite dalla legge, agli enti che devono formare la loro

44 Testo normativo pubblicato nel sito del Consiglio regionale del Veneto: www.consiglioveneto.it.

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pianificazione è data la possibilità di effettuare un confronto con i soggetti che possono operare su piani diversi, ma nell’ambito dello stesso territorio45.

A seguito della conclusione della fase di concertazione di cui al co. 2, art. 5, la Giunta regionale adotta il piano. Entro trenta giorni dall’adozione, il piano viene depositato presso la segreteria della Giunta regionale e presso le province. Nel BUR e sui quotidiani a diffusione regionale è data notizia dell’avvenuto deposito. Vengono inoltre indicate le sedi in cui chiunque può prendere visione degli elaborati (co. 4). Gli enti locali, le comunità montane, le autonomie funzionali, le organizzazioni e le associazioni economiche e sociali, nonché chiunque ne abbia interesse, possono presentare alla Giunta regionale osservazioni e proposte entro centoventi giorni dalla pubblicazione dell’avvenuto deposito (co. 5). Entro i successivi centoventi giorni, la Giunta regionale trasmette al Consiglio regionale, ai fini della approvazione, il piano adottato con le osservazioni pervenute, corredate del relativo parere e le eventuali proposte di modifica (co. 6). Infine il piano è adottato con provvedimento del Consiglio regionale (co. 7) ed acquista efficacia quindici giorni dopo la pubblicazione nel BUR del provvedimento di approvazione (co. 8). Le varianti al piano sono adottate ed approvate con le procedure contemplate dall’art. 25. Quelle che non incidono sulle caratteristiche essenziali e sul disegno generale del piano vengono sempre approvate dalla Giunta regionale, subordinatamente all’acquisizione del parere della competente commissione consiliare. I termini sopra indicati (co. 4, 5, 6) sono ridotti della metà. Le varianti al piano acquistano efficacia in virtù del co. 8. Al fine di assicurare la flessibilità del sistema di pianificazione territoriale ed urbanistica «i piani di assetto del territorio comunali e intercomunali possono contenere proposte di modificazione al piano territoriale regionale di coordinamento, purché tali proposte

45 M. BREGANZE, La nuova pianificazione urbanistico-territoriale in Veneto e gli accordi con i privati, Rivista giuridica di urbanistica, fasc. n. 1/2, Rimini, Maggioli, 2005, p. 213.

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abbiano carattere meramente operativo e non alterino i contenuti sostanziali della pianificazione territoriale» (co. 10). Nel caso in cui questo avvenga, la modifica è approvata dalla Giunta regionale subordinatamente all’acquisizione del parere della competente commissione consiliare, ed acquista efficacia ai sensi del co. 8. Analoga ipotesi non è considerata dalla legge in ordine alla possibilità che sia il piano provinciale a proporre modifiche a quello regionale.

Nella “Relazione illustrativa del PTRC” viene affermato che le norme del piano territoriale regionale di coordinamento sono concepite in modo da indirizzare i contenuti dei piani provinciali e comunali. Il PTRC si pone come quadro di riferimento generale e non intende rappresentare un ulteriore livello di normazione gerarchica e vincolante, quanto piuttosto costituire uno strumento articolato per direttive, sulle quali impostare in modo coordinato la pianificazione territoriale in raccordo con la pluralità delle azioni locali46. Nell’ambito delle “Norme Tecniche”47, l’art. 4 prescrive che gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica di livello comunale e provinciale devono adeguarsi al PTRC entro dodici mesi dall’acquisto della sua efficacia. Il decorso di tale termine comporta l’applicazione dei poteri sostitutivi di cui all’art. 30, L.R. n. 11/2004. Tale articolo prevede che qualora il comune non effettui gli atti o gli adempimenti cui è espressamente obbligato, il Presidente della provincia eserciti i poteri sostitutivi, promuovendo d’ufficio la convocazione dell’organo comunale competente per la deliberazione dell’atto, o assegnando un termine per il compimento dell’atto o dell’adempimento. Il Presidente della provincia, decorso inutilmente il nuovo termine, nomina un commissario ad acta (co. 6). Tale disciplina vale anche nei confronti della Provincia: il potere sostitutivo viene esercitato dal Presidente della Giunta regionale (co. 7). Egli, nei casi di particolare gravità e previa notifica di un nuovo termine al comune e alla provincia, nomina un commissario

46 Relazione illustrativa del PTRC, p. 110, www.regione.veneto.it. 47 Le Norme Tecniche costituiscono uno degli allegati del PTRC.

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ad acta per il compimento dell’atto o dell’adempimento previsto a seguito dell’inerzia della provincia, nell’esercizio dei propri poteri sostitutivi nei confronti del comune (co. 8). L’art. 26, relativamente ai piani strategici, afferma che «il PTRC può prevedere che le opere, gli interventi o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio siano definiti mediante appositi progetti strategici». Al fine di attuare tali progetti strategici, l’amministrazione che ha la competenza primaria o prevalente sull’opera, sugli interventi, o sui programmi di intervento promuove la conclusione di un accordo di programma «che assicuri il coordinamento delle azioni e determini i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento». In virtù dell’art. 27, l’emanazione di provvedimenti del Presidente o della Giunta regionale relativi a strumenti di pianificazione è preceduta da un parere, c.d. “valutazione tecnica regionale”, il quale viene espresso da un Segretario regionale48 o in sua assenza dal dirigente regionale competente in materia urbanistica. Il Segretario regionale si esprime sentite le amministrazioni comunali e provinciali proponenti il piano, e previo parere di un comitato da lui convocato e presieduto. Il comitato è formato da rappresentanti delle strutture regionali competenti nelle materie di urbanistica e beni ambientali, mobilità e infrastrutture, geologia, difesa del suolo, consulenza giuridica e legale, politiche agroambientali. Il Segretario regionale, in relazione alle materie e problematiche trattate, può anche rivolgersi ai rappresentanti di altre strutture regionali e di altri enti pubblici; egli inoltre deve motivare espressamente, qualora si discosti dalle determinazioni espresse in sede di comitato. Il Capo II del Titolo I è dedicato alle “forme di concertazione e di partecipazione nella pianificazione”.

48 Il Segretario regionale viene nominato ai sensi dell’art. 11 L.R. 10 gennaio 1997, n. 1 (“Ordinamento delle funzioni e delle strutture della Regione”).

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L’art. 5, già sopra citato, indica i soggetti coinvolti. L’art. 6 è relativo agli accordi tra soggetti pubblici e privati: «i comuni, le province, la regione, nei limiti delle competenze della presente legge, possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico». Tali accordi sono finalizzati alla determinazione di alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica, «nel rispetto della legislazione e della pianificazione sovraordinata, senza pregiudizio dei diritti dei terzi». L’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede, ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione; l’accordo è recepito con il provvedimento di adozione del suddetto strumento ed è condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato. L’art. 7 prescrive che può essere promossa la conclusione di accordi di programma, ai sensi dell’art. 34, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, «per la definizione e la realizzazione di programmi di intervento o di opere pubbliche o di interesse pubblico, che richiedono l’azione integrata e coordinata di comuni, province, regione, amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici o privati». I rapporti con questi ultimi sono disciplinati da un atto unilaterale d’obbligo o da una convenzione da allegare all’accordo di programma (co. 1). Se dunque l’accordo è sottoscritto dai soli rappresentanti dei soggetti pubblici, alla sua predisposizione partecipano anche i privati: il co. 3 dispone infatti che la proposta di accordo può essere depositata solo dopo che sia stata «verificata la possibilità di un consenso unanime dei soggetti interessati in sede di Conferenza di servizi», cui i privati sono quindi chiamati a partecipare.

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3. Il piano territoriale regionale della regione Lombardia La L.R. della Lombardia 11 marzo 2005, n. 1249 reca le “Norme per il governo del territorio”.

Il Consiglio regionale, con la deliberazione del 30 luglio 2009, n. 874 ha adottato il Piano territoriale regionale (PTR), ai sensi dell’art. 21 L.R. n. 12/2005. La Giunta regionale sta attualmente procedendo all'esame delle osservazioni per la formulazione delle proposte di controdeduzione al Consiglio regionale, cui compete la decisione sulle stesse e l'approvazione del piano. Il PTR è costituito dai seguenti elaborati: a) Presentazione: illustra la natura, la struttura e gli effetti del Piano; b) Documento di Piano50: contiene gli obiettivi e le strategie di sviluppo per la Lombardia; c) Strumenti Operativi: individua strumenti, criteri, e linee guida per perseguire gli obiettivi proposti; d) Sezioni Tematiche: contiene l’Atlante di Lombardia e approfondimenti su temi specifici; e) Valutazione Ambientale: prevede il rapporto ambientale e altri elaborati prodotti nel percorso di valutazione ambientale del piano51.

L’art. 1 della L.R. n. 12/2005, in attuazione di quanto previsto dall’art. 117, co. 3, Cost., detta le norme per il governo del territorio della Lombardia, definendo «forme e modalità di esercizio delle competenze spettanti alla regione e agli enti locali, nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento statale e comunitario, nonché delle peculiarità storiche, culturali, naturalistiche e paesaggistiche» che connotano il territorio lombardo (co. 1). Il co. 2 specifica che la presente legge «si ispira ai criteri di sussidiarietà, 49 Il testo normativo è pubblicato nel sito internet della regione Lombardia: www.territorio.regione.lombardia.it. 50 Il Documento di Piano contiene in allegato quattro tavole: tav. 1 – polarità e poli di sviluppo regionale; tav. 2 – zone di preservazione e salvaguardia ambientale; tav. 3 – infrastrutture prioritarie per la Lombardia; tav. 4 – i sistemi territoriali del PTR. 51 www.territorio.regione.lombardia.it.

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adeguatezza, differenziazione, sostenibilità, partecipazione, collaborazione, flessibilità, compensazione ed efficienza». Nel rispetto dei principi enunciati nel co. 1 e nei criteri del co. 2, la regione provvede: a) «alla definizione di indirizzi di pianificazione atti a garantire processi di sviluppo sostenibili»; b) «alla verifica di compatibilità dei piani territoriali di coordinamento provinciali e dei piani di governo del territorio con la pianificazione territoriale regionale»; c) «alla diffusione della cultura della sostenibilità ambientale con il sostegno agli enti locali e a quelli preposti alla ricerca e alla formazione per l’introduzione di contabilità delle riforme»; d) «all’attività di pianificazione territoriale regionale». Infine la regione, in collaborazione con le province e gli altri enti locali, attraverso gli strumenti di pianificazione previsti da tale legge, promuove il recupero e la riqualificazione delle aree degradate o dimesse che possono compromettere la sostenibilità e la compatibilità urbanistica, la tutela dell’ambiente e gli aspetti socio-economici. L’art. 2 afferma la correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale: il governo del territorio si attua mediante una pluralità di piani, tra loro coordinati e differenziati, i quali, nel loro insieme, costituiscono la pianificazione del territorio stesso. Inoltre i piani si caratterizzano sia in ragione del diverso ambito territoriale cui si riferiscono, sia in virtù del contenuto e della funzione svolta dagli stessi. I piani si uniformano al criterio della sostenibilità intesa come «la garanzia di uguale possibilità di crescita del benessere dei cittadini e di salvaguardia dei diritti delle future generazioni». Il co. 4 stabilisce che il PTR e i piani territoriali di coordinamento provinciali hanno «efficacia di orientamento, indirizzo e coordinamento, fatte salve le previsioni che, ai sensi della presente legge, abbiano efficacia prevalente e vincolante». Il governo del territorio si caratterizza per «la pubblicità e la trasparenza delle attività che conducono alla formazione degli

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strumenti», «la partecipazione diffusa dei cittadini e delle loro associazioni», nonché «la possibile integrazione dei contenuti della pianificazione da parte dei privati».

La regione Lombardia ha scelto di disciplinare le funzioni pianificatorie con un moto ascendente, dal basso verso l’alto. In tal modo, in ossequio al principio della sussidiarietà verticale, sono disciplinate dapprima le funzioni del comune, poi quelle della provincia, e, da ultimo, quelle della regione. I rapporti tra i vari livelli di pianificazione sono caratterizzati dall’intento di valorizzare il ruolo del comune, facendone l’unica effettiva autorità di programma degli usi del territorio: è questo il principio che il legislatore regionale ha realmente inteso affermare52. Infatti il Capo II della L.R. n. 12/2005 è dedicato alla pianificazione comunale (artt. 6 a 14) che prevede il piano di governo del territorio, i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale. Il successivo Capo è riservato al piano territoriale di coordinamento provinciale (artt. 15 a 18), mentre il piano territoriale regionale è disciplinato dal Capo IV (artt. 19 a 22). L’art. 19 afferma l’oggetto e i contenuti del piano territoriale regionale. Il PTR costituisce «atto fondamentale di indirizzo, agli effetti territoriali della programmazione di settore, nonché di orientamento della programmazione e pianificazione territoriale dei comuni e delle province». La regione con il PTR indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale e definisce i criteri per la redazione degli atti di programmazione territoriale di province e comuni. Il PTR ha natura ed effetti di piano territoriale paesaggistico (co. 1).

a) In particolare il PTR indica (co. 2): 1) «gli obiettivi principali di sviluppo socio-economici del territorio regionale, come espressi dal programma regionale di sviluppo e dal complesso della programmazione regionale di settore»; 52 E. BOSCOLO, Le regole dell’urbanistica in Lombardia, Milano, Giuffrè, 2006, p. 21.

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2) «il quadro delle iniziative inerenti alla realizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche di interesse regionale e nazionale con particolare attenzione al loro inserimento nel paesaggio e nel territorio rurale e forestale»; 3) «i criteri operativi per la salvaguardia dell’ambiente, in relazione alle previsioni dei piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali, della disciplina delle aree regionali protette e degli atti di regolamentazione e programmazione regionale e nazionale in materia di salvaguardia delle risorse idriche, geologiche, idrogeologiche, agro-forestali, ecologiche, della riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico, dello smaltimento dei rifiuti»; 4) «il quadro delle conoscenze delle caratteristiche fisiche del territorio». b) Il PTR definisce, in base agli elementi di cui alla lettera a): 1) «le linee orientative dell’assetto del territorio regionale, anche con riferimento all’individuazione dei principali poli di sviluppo regionale e delle zone di preservazione e salvaguardia ambientale»; 2) «gli indirizzi generali per il riassetto del territorio ai fini della prevenzione dei rischi geologici, idrogeologici e sismici»; 3) «gli indirizzi per la programmazione territoriale di comuni e province, al fine di garantirne, nel rispetto e nella valorizzazione delle autonomie locali, la complessiva coerenza al quadro programmatico regionale; a tal fine, e in particolare, definisce gli elementi costituenti limiti essenziali di salvaguardia della sostenibilità ambientale dello sviluppo socio-economico del territorio regionale»; 4) «gli obiettivi prioritari di interesse regionale di cui all’art. 20, co. 4». c) Infine il PTR individua strumenti idonei per garantire il perseguimento degli obiettivi regionali e in particolare: 1) «forme di compensazione economico-finanziaria a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di limitazione delle possibilità di sviluppo, nonché modalità di compensazione ambientale ed energetica, per interventi che determinano impatti rilevanti sul

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territorio, anche in comuni non direttamente interessati dagli interventi stessi; a tal fine la regione si avvale di fondi propri o indica le modalità per suddividere solidalmente tra gli enti locali, in rapporto alle differenti potenzialità di sviluppo e ai vincoli di sostenibilità derivanti a ciascuno dai contenuti della programmazione regionale, i vantaggi e gli oneri conseguenti»; 2) «modalità di aggiornamento ed adeguamento efficaci e flessibili dei suoi contenuti, in considerazione dell’evoluzione del programma regionale di sviluppo, della programmazione socio-economica e settoriale regionale, nazionale e comunitaria, nonché in relazione agli atti di programmazione approvati e alle iniziative attivate»; 3) «modalità di espletamento contestuale e coordinato delle procedure previste per l’attuazione degli obiettivi degli indirizzi contenuti nel piano». L’art. 20 specifica gli effetti del piano territoriale regionale. Il co. 1 stabilisce che il PTR costituisce quadro di riferimento per la valutazione di compatibilità degli atti di governo del territorio di comuni, province, comunità montane, enti gestori di parchi regionali, nonché ogni altro ente dotato di competenze in materia. Inoltre contiene prescrizioni di carattere orientativo per la programmazione regionale di settore e ne definisce gli indirizzi tenendo conto dei limiti derivanti dagli atti di programmazione dell’ordinamento statale e di quello comunitario. Le valutazioni di compatibilità rispetto al PTR, sia per gli atti della regione, sia per quelli degli enti locali o di altri enti, concernono l’accertamento dell’idoneità dell’atto ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati nel piano, salvaguardandone i limiti di sostenibilità previsti (co. 2). Il piano, nella continuità degli obiettivi principali, è suscettibile di modifiche, integrazioni, adeguamenti, anche conseguenti ad osservazioni, proposte ed istanze provenienti dagli enti locali e dagli altri enti interessati, attraverso le modalità previste dall’art. 21 (co. 3). L’art. 20, co. 6 prevede anche l’approvazione di un piano territoriale regionale d’area, qualora aree di significativa ampiezza

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territoriale siano interessate da opere, interventi o destinazioni funzionali aventi rilevanza regionale o sovraregionale. Tale piano approfondisce, a scala di maggior dettaglio, gli obiettivi socio-economici ed infrastrutturali da perseguirsi, detta i criteri necessari al reperimento e alla ripartizione delle risorse finanziarie e dispone indicazioni puntuali e coordinate riguardanti il governo del territorio, anche con riferimento alle previsioni insediative, alle forme di compensazione e ripristino ambientale, ed alla disciplina degli interventi sul territorio stesso. Disposizioni e contenuti del piano territoriale regionale d’area hanno efficacia diretta e cogente nei confronti dei comuni e delle province compresi nel relativo ambito. Il piano territoriale regionale d’area è approvato con le procedure previste dall’art. 21, co. 6. Con apposita deliberazione, la Giunta regionale può deferire in tutto o in parte l’elaborazione del piano alla provincia o alle province territorialmente interessate, o comunque può avvalersi della collaborazione di tali enti. In tal caso, il piano territoriale regionale d’area, per le aree ivi comprese, ha natura ed effetti di PTCP, sostituendosi quindi a quest’ultimo e da esso venendo recepito, previo parere favorevole del Consiglio provinciale interessato. Tale particolare efficacia del piano è specificata con deliberazione della Giunta regionale (co. 7). Fino all’approvazione del PTR previsto dall’art. 19, con apposita deliberazione, la Giunta regionale può approvare i piani territoriali regionali d’area, secondo le procedure dell’art. 21, co. 6. L’art. 21 è dedicato all’approvazione del PTR e dei piani territoriali regionali d’area. La Giunta regionale, almeno sessanta giorni prima dell’assunzione della determinazione di procedere all’elaborazione del PTR o sua variante, pubblica l’avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione e su almeno due quotidiani a diffusione regionale. Separato avviso viene poi trasmesso alle province e alla Conferenza regionale delle autonomie. Entro sessanta giorni decorrenti dalla pubblicazione dell’avviso sul BUR, tutti i soggetti che sono interessati possono

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formulare proposte utili alla predisposizione del PTR o di una sua variante, secondo le modalità stabilite nell’avviso stesso. La Giunta regionale esamina le proposte ricevute e valuta gli elementi utili che intende tenere conto nella elaborazione del PTR o sue varianti, individuando anche le modalità con le quali consultare tutti i soggetti interessati al piano, in quanto portatori di interessi diffusi, nonché le altre forme di partecipazione di soggetti pubblici e privati. In seguito la Giunta regionale predispone il piano e lo sottopone al Consiglio regionale per la sua adozione. Il PTR o una sua variante, una volta adottato, è soggetto alla pubblicazione-pubblicizzazione con le stesse forme e modalità previste dal co. 1. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione dell’avviso sul BUR, tutti i soggetti interessati, singolarmente o riuniti in associazioni, consorzi, organismi rappresentativi qualificati, possono presentare osservazioni relative al PTR o sua variante. Successivamente la Giunta regionale esamina le osservazioni pervenute e formula proposte di controdeduzione al Consiglio regionale (co. 3). Questo, entro novanta giorni dal ricevimento delle proposte, ai sensi del co. 3, decide in merito alle stesse ed approva il PTR o una sua variante (co. 4). Infine il piano acquista efficacia con la pubblicazione dell’avviso di approvazione sul Bollettino Ufficiale della Regione (co. 5).

Il PTR può altresì prevedere che intere aree del territorio regionale siano sottratte alle ordinarie procedure di pianificazione e sottoposte ad un “piano territoriale regionale d’area” (PTRA, co. 6). Si tratta di un progetto di sviluppo territoriale che dà attuazione ed integra gli obiettivi del PTR, condivisi con gli enti locali, per il governo di aree di significativa ampiezza territoriale interessate da opere, interventi o destinazioni funzionali aventi rilevanza regionale o sovraregionale. Il PTRA precisa gli obiettivi, le strategie e definisce il quadro di riferimento territoriale per un’azione coordinata ed efficace di tutte le programmazioni territoriali dei soggetti interessati53. 53 Presentazione del PTR, p. 36, www.territorio.regione.lombardia.it.

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Le previsioni straordinarie contenute in tale piano sembrano indicare una volontà di svincolare l’affermazione di interessi, non territoriali, ma realizzativi di marca regionale, dalla mediazione con altre amministrazioni. Si tratta di modelli di governo del territorio che in qualche misura restano fuori dal sistema pianificatorio, costituiscono quindi un’eccezione54.

L’istruttoria del piano avviene sentiti i comuni, le province e gli enti gestori delle aree regionali protette interessate, riuniti in apposita Conferenza; il piano territoriale regionale d’area, attuativo del PTR, è approvato dalla regione.

A tal fine la Giunta regionale pubblica avviso di avvio del procedimento sul Bollettino Ufficiale della Regione e su almeno due quotidiani a diffusione regionale, individuando altresì forme integrative di pubblicizzazione, in relazione alle caratteristiche specifiche del territorio interessato e delle opere ed interventi di interesse regionale da programmarsi. Il piano, una volta adottato, viene depositato per un periodo di trenta giorni presso la segreteria della Giunta regionale per la presentazione di osservazioni nei successivi trenta giorni. In seguito la Giunta regionale esamina le osservazioni, si pronuncia nel merito e trasmette al Consiglio regionale il provvedimento per la definitiva approvazione. Infine il piano acquista efficacia con la pubblicazione dell’avviso della sua approvazione sul Bollettino Ufficiale della Regione. In virtù dell’art. 22 il PTR viene aggiornato ogni anno mediante il documento di programmazione economico-finanziaria regionale. Tale aggiornamento può comportare l’introduzione di modifiche ed integrazioni, a seguito di studi e progetti, di sviluppo di procedure, del coordinamento con altri atti della programmazione regionale, nonché di quelle di altre regioni, dello Stato, dell’Unione Europea. La Giunta regionale, per le finalità previste da tale articolo, nonché dagli artt. 19 e 20, è autorizzata a conferire incarichi professionali,

54 E. BOSCOLO, Op. cit., pp. 31 - 32.

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anche allo scopo di effettuare ricerche, acquisire e realizzare dotazioni strumentali e pubblicazioni. Nella “Presentazione del PTR” viene affermato che esso si configura come un “patto” condiviso tra regione ed enti territoriali, al fine di contemperare le diverse esigenze locali e verificare la compatibilità con gli obiettivi di sviluppo territoriale più generale. L’impostazione della L.R. n. 12/2005 ha quindi attribuito alla responsabilità degli amministratori pubblici e di tutti gli operatori territoriali direttamente coinvolti attraverso processi partecipati, la determinazione dei contenuti degli atti di pianificazione, dando così attuazione al principio di sussidiarietà. Dunque appartiene al governo locale la scelta degli obiettivi qualitativi e quantitativi di sviluppo territoriale, la definizione dei livelli di prestazione dei servizi pubblici, nonché l’individuazione delle misure di tutela e valorizzazione ambientale e paesaggistica. Per contro, nell’art. 19, co. 2, lett. a, viene dato rilievo all’esigenza che il territorio della Lombardia sia oggetto di una disciplina organica quale riferimento per lo sviluppo socio-economico e la salvaguardia ambientale. Questo comporta la determinazione di un sistema regionale di indirizzi ed obiettivi che definiscano con precisione il quadro della compatibilità delle decisioni locali con le scelte di assetto territoriale a vasta scala. Dunque il PTR, anziché essere uno strumento di pianificazione gerarchicamente sovraordinato, costituisce cornice di riferimento e di raccordo per la pianificazione con la quale si pone in costante rapporto dialettico. Il PTR è l’elemento fondamentale per un assetto armonico della disciplina territoriale della Lombardia ed in particolare per una equilibrata impostazione dei piani di governo del territorio e comunali, nonché dei piani territoriali di coordinamento provinciale. Infatti gli strumenti di pianificazione devono concorrere a dare compiuta attuazione alle previsioni di sviluppo regionale definendo a grande scala la disciplina di governo del territorio55.

55 Presentazione del PTR, pp. 32 - 33, www.territorio.regione.lombardia.it.

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Il PTR risulta nel complesso un documento orientativo che bisogna considerare con interesse, poiché molti dei profili problematici possono essere colti solo osservando il territorio in scala allargata56. 4. Il documento regionale di assetto generale della regione Puglia Il sistema della pianificazione territoriale in Puglia è disciplinato dalla L.R. 27 luglio 2001, n. 2057, la quale reca le “Norme generali di governo e uso del territorio”. L’art. 1 afferma che la regione Puglia regola e controlla gli assetti, le trasformazioni e gli usi del territorio, in attuazione dei principi generali dell’ordinamento italiano e comunitario, nel rispetto delle leggi dello Stato. Inoltre la regione persegue gli obiettivi della tutela dei valori ambientali, storici e culturali espressi dal territorio, nonché della sua riqualificazione, finalizzati allo sviluppo sostenibile della comunità regionale. La L.R. n. 20/2001 assicura il rispetto di taluni principi, quali la «sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione», l’«efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione di procedimenti» ed infine la «trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione». La pianificazione del territorio pugliese (art. 3) si articola su tre livelli: regionale, provinciale e comunale. I soggetti della pianificazione sono quindi la regione, le province e i comuni (art. 3, co. 2); vi partecipano anche gli enti pubblici ai quali le leggi statali o regionali assegnano la cura di un interesse pubblico connesso al governo e uso del territorio (co. 3).

56 E. BOSCOLO, Op. cit., p. 32. 57 Testo normativo pubblicato nel sito internet della regione Puglia: www.regione.puglia.it.

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Il Titolo III è dedicato al “processo di pianificazione territoriale regionale” che si fonda sul documento regionale di assetto generale (DRAG, artt. 4 e 5). Il Titolo IV disciplina la “pianificazione territoriale provinciale” costituita dal piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP, artt. 6 e 7), ed infine il Titolo V è riservato alla “pianificazione urbanistica comunale” regolata dal piano urbanistico generale (PUG, artt. 8 a 18). Il DRAG è un insieme di atti amministrativi e di pianificazione che la regione deve assumere, al fine di definire un assetto ottimale e condiviso di tale contesto, da prefigurare e disciplinare attraverso gli strumenti della pianificazione territoriale regionale, nonché attraverso indirizzi nei confronti della pianificazione provinciale e comunale che con tali strumenti devono risultare compatibili58.

In virtù dell’art. 4 il documento regionale di assetto regionale è approvato dalla Giunta regionale in coerenza con i programmi, gli obiettivi e le suscettività socio-economiche del territorio. Esso definisce le linee generali dell’assetto del territorio, gli obiettivi da perseguire mediante i livelli di pianificazione provinciale e comunale. In particolare il DRAG determina «a) il quadro degli ambiti territoriali rilevanti al fine della tutela e conservazione dei valori ambientali e dell’identità sociale e culturale della regione», «b) gli indirizzi, i criteri e gli orientamenti per la formazione, il dimensionamento e il contenuto degli strumenti di pianificazione provinciale e comunale, nonché i criteri per la formazione e la localizzazione dei piani urbanistici esecutivi» ed infine «c) lo schema dei servizi infrastrutturali di interesse regionale» (art. 4, co. 3).

L’art. 5 è dedicato al procedimento di formazione e di variazione del DRAG. Innanzitutto il Presidente della Giunta regionale convoca la Conferenza programmatica regionale, alla quale partecipano i 58 www.regione.puglia.it.

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rappresentanti dell’ANCI, dell’UPI, dell’UNCEM, le associazioni, le forze sociali, economiche e professionali, al fine di garantire il più ampio coinvolgimento di tutta la comunità regionale nella definizione dei programmi, obiettivi e suscettività socio-economiche del territorio. Il Presidente della Giunta regionale, allo scopo di elaborare lo schema di documento, indice con proprio decreto una Conferenza di servizi, alla quale partecipano rappresentanti delle amministrazioni statali, per acquisire previamente le manifestazioni di interesse. In seguito, tenendo conto delle risultanze della Conferenza e sentita la competente Commissione consiliare, adotta lo schema di documento (co. 3). Questo è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia; dell’avvenuta pubblicazione è dato avviso sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonché su un quotidiano diffuso in ciascuna provincia (co. 4). I comuni e le province possono far pervenire alla regione le loro proposte integrative sullo schema di documento, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione dello stesso sul BUR. Entro tale termine, anche i soggetti pubblici indicati dall’art. 3, co. 3 possono, nell’ambito delle rispettive competenze, far pervenire indicazioni sullo schema di documento; lo stesso vale per le organizzazioni ambientaliste, socio-culturali, sindacali ed economico-professionali attive nel territorio regionale, le quali possono proporre osservazioni entro il suddetto termine. Il DRAG è poi pubblicato con le modalità contenute nel co. 4 ed acquista efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel BUR Puglia. L’aggiornamento periodico e le variazioni del documento sono adottate con il procedimento previsto dai precedenti commi; i termini sono ridotti della metà. Il co. 10 bis precisa che il DRAG è «approvato per parti corrispondenti a materie organiche tra quelle indicate alle lettere a), b) e c) dell’art. 4, co. 3». Pertanto, per superare le difficoltà di elaborazione ed approvazione di un siffatto strumento ad alta complessità, il legislatore regionale ne opera lo smembramento in tre parti approvabili separatamente, al

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fine di rendere disponibili almeno gli indirizzi per la formazione dei PTCP e dei PUG59. Infatti la Giunta regionale ha dapprima approvato definitivamente il DRAG-indirizzi, criteri e orientamenti per la formazione dei piani urbanistici generali (PUG) con deliberazione n. 1328/2007 e, solo recentemente, con deliberazione n. 26/2009 ha approvato il DRAG-indirizzi, criteri e orientamenti per la formazione dei piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP). Risulta quindi che attualmente, in assenza di efficaci indirizzi di assetto territoriale a scala regionale, tutto il sistema del territorio permane incentrato su scala comunale e provinciale. La coerenza del sistema di pianificazione fonda su di una verifica di compatibilità che ha luogo nel procedimento di formazione dei piani: il PTCP è sottoposto alla verifica di compatibilità rispetto al DRAG. (art. 7, co. 6: il Consiglio provinciale adotta il piano territoriale di coordinamento provinciale e lo trasmette alla Giunta regionale per il controllo di compatibilità con il DRAG, ove approvato, e con ogni altro strumento regionale di pianificazione territoriale esistente); mentre quello comunale alla doppia verifica di compatibilità rispetto al DRAG e al PTCP60 (art. 11, co. 7: il PUG, adottato dal Consiglio comunale, viene inviato alla Giunta regionale e alla Giunta provinciale ai fini del controllo di compatibilità rispettivamente con il DRAG e con il PTCP, ove approvati. Qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente). 59 G. DE GIORGI CEZZI, S. MINIANNI, P.L. PORTALURI (a cura di), Le nuove forme della pianificazione urbanistica in Puglia - Atti del Convegno di Lecce del 9 marzo 2007, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008, p. 26. 60 G. DE GIORGI CEZZI, S. MINIANNI, P.L. PORTALURI (a cura di), Op. cit., p. 10.

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5. Il piano territoriale regionale della regione Emilia-Romagna Nella regione Emilia-Romagna la L.R. 24 marzo 2000, n. 2061 reca la “Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio”.

La Giunta regionale, con delibera del 9 novembre 2009, n. 1744 ha adottato la proposta di piano territoriale regionale (PTR), il quale è stato approvato dall’Assemblea legislativa, ai sensi dell’art. 25, co. 3, L.R. n. 20/2000, con delibera del 3 febbraio 2010, n. 27662.

Il piano territoriale regionale è formato dai seguenti elaborati: a) il Quadro Conoscitivo del PTR; b) il piano, suddiviso in tre documenti: 1- “Una Regione attraente – L’Emilia-Romagna nel mondo che cambia”; 2- “La Regione-sistema: il capitale territoriale e le reti”; 3- “Programmazione strategica, reti istituzionali e partecipazione”; c) la Valutazione di Sostenibilità Ambientale e Territoriale (ValSAT).

L’art. 1 della L.R. n. 20/2000 afferma quali sono le finalità che la regione Emilia-Romagna intende perseguire attraverso la L.R. n. 20/2000, in attuazione dei principi della Costituzione, dello Statuto regionale63 e in conformità alle leggi della Repubblica e ai principi della L.R. 21 aprile 1999, n. 3 (“Riforma del sistema regionale e locale”). Innanzitutto la regione si propone di realizzare un efficace ed efficiente sistema di programmazione e di pianificazione territoriale che operi per il risparmio delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche, al fine del benessere economico, sociale e civile della

61 La modifica di tale legge è avvenuta con L.R. 6 luglio 2009, n. 6 “Governo e riqualificazione solidale del territorio” e con L.R. 30 novembre 2009, n. 23 “Norme in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio”, la quale ha inserito il Titolo III bis relativo alla tutela e valorizzazione del paesaggio. Il piano territoriale paesaggistico territoriale (PTPR) costituisce parte tematica del PTR (art. 40 quater). 62 Delibere pubblicate nel sito della regione Emilia-Romagna: www.regione.emilia-romagna.it. 63 L.R. 31 marzo 2005, n. 13.

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popolazione regionale, senza pregiudizio per la qualità della vita delle future generazioni, nonché promuovere un uso appropriato delle risorse ambientali, naturali, territoriali e culturali. Altri scopi consistono nel riorganizzare le competenze esercitate ai diversi livelli istituzionali e promuovere modalità di raccordo funzionale tra gli strumenti di pianificazione, in attuazione del principio di sussidiarietà; favorire la cooperazione tra regione, province e comuni e valorizzare la concertazione con le forze economiche e sociali nella definizione delle scelte di programmazione e pianificazione; semplificare i procedimenti amministrativi, garantendone la trasparenza e il contraddittorio. Secondo l’art. 2 la pianificazione territoriale e urbanistica costituisce funzione fondamentale di governo della regione, delle province, dei comuni e si informa ai seguenti obiettivi generali (co. 2): a) «promuovere un ordinato sviluppo del territorio, dei tessuti urbani e del sistema produttivo»; b) «assicurare che i processi di trasformazione siano compatibili con la sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e con l’identità culturale del territorio»; c) «migliorare la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti urbani»; c bis) «salvaguardare le zone ad alto valore ambientale, biologico, paesaggistico e storico»; d) «ridurre la pressione degli insediamenti sui sistemi naturali e ambientali anche attraverso opportuni interventi di riduzione e mitigazione degli impatti»; e) «promuovere il miglioramento della qualità ambientale, architettonica e sociale del territorio urbano, attraverso interventi di riqualificazione del tessuto esistente»; f) «prevedere il consumo di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione»;

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f bis) «promuovere l’efficienza energetica e l’utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili, allo scopo di contribuire alla protezione dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile». Il comma 3 specifica che per “strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica” debbano intendersi l’insieme degli atti di pianificazione, disciplinati dalla legislazione regionale, che siano volti a tutelare il territorio ovvero a regolarne l’uso ed i processi di trasformazione. In virtù dell’art. 3 la pianificazione territoriale e urbanistica garantisce la coerenza tra le caratteristiche e lo stato del territorio, le destinazioni e gli interventi di trasformazione previsti, verificando nel tempo l’adeguatezza e l’efficacia delle scelte operate. Per raggiungere tale fine, la pianificazione si sviluppa attraverso diverse azioni: innanzitutto con l’individuazione degli obiettivi generali di sviluppo economico e sociale, di tutela e riequilibrio del territorio che si intendono perseguire, nonché la formazione di un quadro conoscitivo, la determinazione delle azioni idonee alla realizzazione degli obiettivi individuati, la regolamentazione degli interventi e la programmazione della loro attuazione, e da ultimo il monitoraggio ed il bilancio degli effetti sul territorio conseguenti all’attuazione dei piani. Inoltre gli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica esplicitano le motivazioni poste a fondamento delle scelte strategiche operate. L’art. 4, relativo al quadro conoscitivo, afferma che esso è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica; provvede all’organica rappresentazione e valutazione dello stato del territorio, dei processi evolutivi che lo caratterizzano e costituisce riferimento necessario per la definizione degli obiettivi e dei contenuti del piano. In coerenza con i compiti di ciascun livello di pianificazione, il quadro conoscitivo dei piani generali ha riguardo alle dinamiche dei processi di sviluppo economico e sociale, agli aspetti fisici e morfologici, ai valori paesaggistici, culturali e naturalistici, ai sistemi ambientale, insediativo e infrastrutturale, all’utilizzazione

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dei suoli ed allo stato della pianificazione, ed infine alle prescrizioni e ai vincoli territoriali derivanti dalla normativa, dagli strumenti di pianificazione vigenti, da quelli in salvaguardia e dai provvedimenti amministrativi. La regione, le province e i comuni predispongono il quadro conoscitivo dei propri strumenti di pianificazione secondo criteri di massima semplificazione, considerando i contenuti e il livello di dettaglio richiesto dallo specifico campo di interesse del piano, nonché recependo il quadro conoscitivo dei livelli sovraordinati, al fine di evitare duplicazioni nell’attività conoscitiva e valutativa e di elaborazione dello stesso. In particolare «il quadro conoscitivo del piano territoriale regionale è riferimento necessario per la costruzione degli scenari di sviluppo sostenibile del territorio», «il quadro conoscitivo del piano territoriale di coordinamento provinciale è riferimento necessario per i sistemi indicati dall’art. 26, co. 164», ed infine «il quadro conoscitivo del piano strutturale comunale è riferimento necessario per la pianificazione operativa e attuativa, nonché per ogni altro atto o provvedimento di governo del territorio». La pianificazione territoriale e urbanistica dell’Emilia-Romagna si articola su tre livelli: regionale, provinciale e comunale (art. 9, co. 1). Il livello regionale è disciplinato dal piano territoriale regionale (PTR) a cui è dedicato il Capo I del Titolo II (artt. 23 e 25). Il Capo II, Titolo II prevede la pianificazione territoriale provinciale costituita dal piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP, artt. 26 a 27 bis). A livello comunale vi è il piano strutturale comunale (PSC) regolamentato dal Capo III, Titolo II (artt. 28 a 35). 64 L’art. 26, co. 1 L.R. n. 20/2000 prevede che «il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) considera la totalità del territorio provinciale ed è lo strumento di pianificazione che articola le linee di azione della programmazione regionale […]. Il PTCP ai sensi dell’art. 9, co. 2 lett. c), definisce l’assetto del territorio limitatamente agli interessi sovracomunali, che attengono: a) al paesaggio; b) all’ambiente; c) alle infrastrutture per la mobilità; d) ai poli funzionali e agli insediamenti commerciali e produttivi di rilievo sovracomunale; e) al sistema insediativo e ai servizi territoriali, di interesse provinciale e sovracomunale; f) ad ogni altra materia per la quale la legge riconosca espressamente alla provincia funzioni di pianificazione del territorio».

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L’art. 9, co. 2 prevede che nell’osservanza dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, ai comuni siano conferite tutte le funzioni di governo del territorio non esplicitamente attribuite agli altri livelli di pianificazione sovraordinati. Mentre alla regione e alle province sono attribuite solo le funzioni di pianificazione riconosciute loro dalla pianificazione nazionale e regionale inerenti la cura di interessi di livello sovracomunale o che non possono essere efficacemente svolte a livello comunale. L’obiettivo è quello di evitare che il livello superiore faccia ciò che può essere efficacemente svolto dal livello inferiore65. Un dato di rilevante importanza consiste nell’individuazione di due strumenti per l’esercizio della funzione di pianificazione territoriale ed urbanistica: i “piani generali” e, nei casi espressamente previsti dalla legge, i “piani settoriali” (art. 10). Per piani generali (co. 2, lett. a) si intendono gli strumenti con i quali ciascun ente pubblico territoriale detta, per l’intero ambito di propria competenza, la disciplina di tutela e uso del territorio. Mentre i piani settoriali (co. 2, lett. b) sono gli strumenti con i quali, nei casi espressamente previsti dalla legge, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici preposti alla tutela di specifici interessi dettano la disciplina di tutela e uso del territorio relativamente ai profili che ineriscono alle proprie funzioni. Questi piani settoriali sono in sostanza piani di dettaglio e di specificazione, ma non di attuazione, dei piani generali del medesimo livello di pianificazione. Essi si inseriscono nel sistema della pianificazione, in modo da dover rispettare le previsioni dei piani sovraordinati66. L’art. 11 distingue le previsioni contenute negli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica in tre categorie: gli “indirizzi”, le “direttive” e le “prescrizioni”. Per indirizzi (co. 1, lett. a) si intendono le disposizioni volte a fissare obiettivi per la predisposizione dei piani sottordinati e dei piani settoriali del 65 A. CAMILLO, F. MINUCCI (a cura di), Op. cit., p. 82. 66 F. PERLINI, La nuova legge urbanistica dell’Emilia-Romagna (L.R. 24 marzo 2000, n. 20 e successive modificazioni ed integrazioni): profili critico-ricostruttivi, Rivista giuridica di urbanistica, fasc. n. 1/2, Rimini, Maggioli, 2005, pp. 259 – 260.

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medesimo livello di pianificazione, riconoscendo ambiti di discrezionalità nella specificazione e nell’integrazione delle proprie previsioni, nonché nell’applicazione dei propri contenuti alle specifiche realtà locali. Le direttive (co. 1, lett. b) indicano le disposizioni che devono essere osservate nella elaborazione dei contenuti dei piani sottordinati e dei piani settoriali del medesimo livello di pianificazione. Infine le prescrizioni (co. 1, lett. c) sono le disposizioni dei piani, direttamente incidenti sul regime giuridico dei beni disciplinati, regolando gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite. Si tratta di tre fattispecie già note, ma la novità risiede nella loro codificazione e nella precisazione della loro efficacia nell’ambito del sistema pianificatorio disciplinato dalla L.R. in esame67. L’art. 23, co. 1 descrive il piano territoriale regionale come «lo strumento di programmazione con il quale la regione definisce gli obiettivi per assicurare lo sviluppo e la coesione sociale, accrescere la competitività del sistema territoriale regionale, garantire la riproducibilità, la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali». Il PTR è predisposto «in coerenza con le strategie europee e nazionali di sviluppo del territorio (co. 2)» e definisce gli indirizzi e le direttive alla pianificazione di settore, ai PTCP e agli strumenti della programmazione negoziata, al fine di assicurare la realizzazione degli obiettivi espressi dai commi 1 e 2.

Il procedimento di approvazione del PTR è disciplinato dall’art. 2568, il quale trova applicazione sia per l’elaborazione ed approvazione del PTR stesso, sia per le sue varianti (co. 1). La Giunta regionale elabora un documento preliminare che individua gli obiettivi strategici di sviluppo del sistema economico e sociale che si intendono perseguire e lo comunica all’Assemblea legislativa. Questa, attraverso l’approvazione di un ordine del giorno, si esprime sull’atto della Giunta regionale.

67 F. PERLINI, Op. cit., p. 260. 68 Articolo interamente sostituito dall’art. 26 L.R. 6 luglio 2009, n. 6.

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In seguito l’atto viene trasmesso alle province, ai comuni, alle comunità montane, nonché alle associazioni economiche e sociali per eventuali valutazioni e proposte da esprimere nel termine di sessanta giorni. Il documento preliminare è, per conoscenza, trasmesso alle regioni contermini e alle amministrazioni statali (co. 2). La Giunta regionale, considerate le valutazioni e le proposte raccolte ai sensi del comma 2, elabora la proposta del PTR, previo parere della Conferenza Regione-Autonomie locali, e la comunica all’Assemblea legislativa. La proposta di piano è poi depositata per sessanta giorni dalla pubblicazione sul BUR dell’avviso dell’avvenuta adozione, presso la sede della Giunta regionale e degli enti territoriali indicati al comma 2 (co. 3). Entro la scadenza del termine di deposito previsto dal comma 3 gli enti, gli organismi pubblici, le associazioni economiche e sociali e quelle costituite per la tutela di interessi diffusi possono formulare osservazioni e proposte (co. 4). L’Assemblea legislativa decide sulle osservazioni ed approva il piano entro i successivi novanta giorni (co. 5). Copia integrale del piano approvato è depositata per la libera consultazione presso la regione, le province e nel sito telematico della regione stessa. L’avviso dell’avvenuta approvazione è pubblicato sul BUR. La notizia dell’approvazione è data altresì con avviso su almeno un quotidiano a diffusione regionale (co. 6). Infine il piano entra in vigore dalla data di pubblicazione sul BUR dell’avviso di approvazione ai sensi del comma 6.

Il piano territoriale regionale è un atto di indirizzo, un quadro di riferimento per le politiche della regione, delle autonomie locali e delle altre istituzioni, per i progetti della comunità dell’Emilia-Romagna. Il PTR non introduce vincoli, ma indirizzi, obiettivi e strategie. L’obiettivo primario è quello di assicurare più produzione, più ricchezza, più innovazione, valorizzando competizione e competenze con uno sviluppo più attento e sostenibile69. 69 www.giunta.regione.emilia-romagna.

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Il Capo III, Titolo I è dedicato alle forme di cooperazione e concertazione nella pianificazione. L’art. 13 stabilisce il metodo della concertazione istituzionale, secondo il quale la regione, le province e i comuni, nella formazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, conformano la propria attività al metodo della concertazione con gli altri enti pubblici territoriali e con le altre amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti. Il co. 2 afferma che sono strumenti della concertazione istituzionale la Conferenza e gli accordi di pianificazione (art. 14) e gli accordi territoriali (art. 15). La finalità della Conferenza di pianificazione (art. 14) è quella di costruire un quadro conoscitivo del territorio e dei conseguenti limiti e condizioni per il suo sviluppo sostenibile, nonché di esprimere valutazioni preliminari relativi «agli obiettivi strategici che si intendono perseguire con il piano e le scelte generali di assetto del territorio, in relazione alle previsioni degli strumenti di pianificazione di livello sovraordinato» e «agli effetti significativi sull’ambiente e sul territorio che possono derivare dall’attuazione delle medesime scelte di pianificazione». Alla Conferenza partecipano gli enti territoriali e le amministrazioni individuate per ciascun piano; possono inoltre intervenire tutte le amministrazioni competenti al rilascio dei pareri, delle intese e degli atti di assenso. L’amministrazione procedente sottopone alla Conferenza un documento preliminare che descrive: il quadro conoscitivo del territorio, gli obiettivi e le scelte di pianificazione che si intendono perseguire, nonché una prima valutazione delle stesse, individuando i limiti e le condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio. I lavori della Conferenza non possono superare il termine perentorio di novanta giorni, decorso il quale l’amministrazione procedente elabora comunque il verbale conclusivo del lavori svolti fino alla medesima data, valutate le specifiche risultanze della Conferenza e considerando le posizioni prevalenti espresse in quella sede.

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A conclusione della Conferenza di pianificazione, la regione e la provincia, relativamente al PTRC, possono stipulare un accordo di pianificazione (art. 27, co. 3). Tale accordo può essere stipulato anche dalla provincia ed il comune, in caso di PSC. Accanto alle Conferenze e agli accordi di pianificazione, la L.R. prevede, all’art. 15, la possibilità di promuovere accordi territoriali tra i comuni, le province e la regione, al fine di concordare obiettivi e scelte strategiche comuni o per coordinare l’attuazione delle previsioni dei piani urbanistici. In particolare la provincia e la regione partecipano alla stipulazione degli accordi territoriali che definiscono scelte strategiche di rilievo sovracomunale, nonché alla stipulazione di accordi che prevedono l’avvio di procedure di variante agli strumenti di pianificazione territoriale. La regione (art. 16), al fine di assicurare lo sviluppo coordinato ed omogeneo delle attività di pianificazione territoriale ed urbanistica, adotta atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni pianificatorie delle province e dei comuni, atti di coordinamento tecnico, direttive relative all’esercizio delle funzioni delegate (co. 1). In particolare, con gli atti di coordinamento tecnico, la regione (co. 2) detta gli indirizzi e le direttive per l’attuazione della presente legge e per l’integrazione dei suoi contenuti con le disposizioni in materia di pianificazione territoriale e urbanistica previste dalle legislazioni settoriali; inoltre specifica i contenuti essenziali del documento preliminare, del quadro conoscitivo, della relazione illustrativa, delle norme tecniche e delle tavole di progetto del piano territoriale di coordinamento provinciale, del piano strutturale comunale, del piano operativo comunale e del piano urbanistico attuativo; infine stabilisce l’insieme organico delle nozioni, definizioni, modalità di calcolo e di verifica concernenti gli indici, i parametri e le modalità d’uso e di intervento, allo scopo di definire un lessico comune utilizzato nell’intero territorio regionale, che comunque garantisca l’autonomia nelle scelte di pianificazione.

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Gli atti del comma 1 trovano diretta applicazione, salvo diversa previsione, prevalendo sulle previsioni con essi incompatibili degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica vigenti al momento della loro approvazione, fino all’adeguamento dei medesimi strumenti di pianificazione. La legge, all’art. 8, prevede anche la partecipazione dei cittadini alla pianificazione. Sono infatti assicurate la concertazione con le associazioni economiche e sociali in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire, nonché specifiche forme di pubblicità e di consultazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi. 6. Il piano urbanistico strategico territoriale della regione Umbria La L.R. dell’Umbria 26 giugno 2009, n. 13 prevede le “Norme per il governo del territorio e la pianificazione e per il rilancio dell’economia attraverso la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”70.

Attualmente la pianificazione territoriale a livello regionale è affidata al piano urbanistico territoriale (PUT) approvato con L.R. 24 marzo 2000, n. 2771 così come modificata dalla L.R. n. 13/2009. Tra gli obiettivi della regione Umbria vi è quello di modificare il PUT vigente72. La L.R. n. 13/2009 (art. 1) nel rispetto dell’art. 117 Cost., individua i criteri, le modalità, e gli strumenti per l’esercizio delle funzioni di governo del territorio della regione Umbria.

70 L.R. n. 13/2009 pubblicata sul BUR Umbria 29 giugno 2009. 71 L’art. 7, co. 1 L.R. n. 27/2000 prevede quali elementi costitutivi del PUT: a) Relazione illustrativa; b) Cartografia composta da n. 69 elaborati grafici; c) Studio che illustra la compatibilità delle trasformazioni previste con il sistema delle risorse ambientali. 72 www.territorio.regione.umbria.it.

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L’art. 2 fornisce la definizione di governo del territorio, che consiste «nel complesso coordinato, organico e sinergico delle attività conoscitive, regolative, valutative, di vigilanza e controllo, nonché di programmazione, anche della spesa, riguardanti gli interventi di tutela, valorizzazione ed uso del territorio ai fini dello sviluppo sostenibile». Il governo del territorio «rispetta i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, secondo il metodo della copianificazione, nel rispetto del principio di leale collaborazione tra i soggetti istituzionali coinvolti». L’art. 3 afferma le finalità del governo del territorio che consistono nel rendere l’Umbria un laboratorio di sostenibilità finalizzato ad accrescere, attraverso l’innovazione, la qualità e la competitività dei suoi territori, nonché nell’attribuire ai processi di trasformazione territoriale ed urbana caratteri di sostenibilità ecologica, sicurezza ambientale, efficienza insediativa in un contesto di qualità paesaggistica ed urbana. Gli altri scopi menzionati si fondano in primo luogo sul fatto di assicurare la gestione condivisa delle trasformazioni territoriali, in un quadro di composizione e messa in coerenza dei diversi interessi pubblici e di parità di condizioni tra i diversi soggetti privati, ferma restando la preminenza dell’interesse generale; in secondo luogo promuovere, nei processi di trasformazione territoriale e urbana, la collaborazione tra soggetti pubblici e privati secondo modalità che assicurino la considerazione delle esigenze condivise, espresse sin dalle fasi di definizione degli obiettivi e di impostazione delle scelte dai diversi soggetti coinvolti e dalle comunità locali. L’art. 4, co. 1 definisce il concetto di “pianificazione”, che deve essere intesa come la modalità generale di governo del territorio, attraverso cui le politiche pubbliche trovano coerenza, integrazione e sinergia, anche sulla base di quadri conoscitivi e di quadri valutativi condivisi sullo stato e sulle dinamiche del territorio. Inoltre la pianificazione si esprime in una pluralità di atti e di strumenti specifici, di norma oggetto di copianificazione tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti, con i quali vengono definiti

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gli obiettivi territoriali e le modalità per il loro perseguimento (co. 2).

La pianificazione si articola in due dimensioni: “strategica e programmatica” (art. 5, co. 1, lett. a), “regolativa” (art. 5, co. 1, lett. b). La prima dimensione è caratterizzata dalla definizione di obiettivi, scelte e decisioni di medio e lungo termine, in una prospettiva di sviluppo socio-economico e territoriale. La dimensione regolativa definisce indirizzi, regole di uso del suolo e modalità di tutela e trasformazione del territorio nella loro dimensione funzionale e spaziale, volte al perseguimento delle strategie e dei programmi (lett. a). L’art. 6 prevede i soggetti competenti per la pianificazione, nonché i relativi strumenti. Le pianificazioni assicurano, nel loro insieme, la cooperazione tra i soggetti istituzionali attraverso il bilanciamento degli obiettivi pubblici, il rispetto delle istanze e degli interessi privati; esse inoltre perseguono nei vari livelli istituzionali la dimensione strategica e programmatica, nonché quella regolativa. La pianificazione assume la forma e i contenuti di pianificazione territoriale urbanistica, pianificazione paesaggistica e pianificazione di settore per indirizzare l’azione pubblica e privata sul territorio utilizzando diversi strumenti. In primo luogo viene menzionato il piano urbanistico strategico territoriale (PUST), quale strumento di livello e scala regionali, di dimensione strategica e programmatica (disciplinato dal Titolo I, Capo II, Sezione I). Successivamente la L.R. fa riferimento al piano paesaggistico regionale (PPR), strumento di livello e scala regionali, di dimensione strategica, programmatica e regolativa (di cui al Titolo I, Capo II, Sezione II). Poi viene indicato il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), che è lo strumento della pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica di area vasta del territorio regionale, di dimensione strategica, programmatica e regolativa (di cui al Titolo I, Capo IV).

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Per quanto concerne il livello comunale vi è il piano regolatore generale (PRG) articolato in: documento programmatico, di dimensione strategica e programmatica, PRG parte strutturale, di dimensione strategica, programmatica e regolativa, e PRG parte operativa, di dimensione regolativa, ai sensi della L.R. 22 febbraio 2005, n. 11 (“Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale”). In conclusione vi sono i piani di settore previsti da norme vigenti di competenza regionale, provinciale e comunale, di dimensione strategica, programmatica e regolativa. Da tale norma risulta quindi che il governo del territorio a livello comunale non è disciplinato dalla L.R. in oggetto, bensì da una diversa legge che è la L.R. n. 11/2005. La Sezione III (Titolo I, Capo I) è dedicata agli “istituti della pianificazione”.

La regione e gli enti locali, nella formazione degli strumenti di pianificazione alle diverse scale, «conformano la propria attività al metodo della cooperazione e della concertazione con i diversi soggetti preposti alla cura degli interessi pubblici coinvolti». I principali strumenti di concertazione sono gli “accordi”, le “Conferenze istituzionali”, le “Conferenze di copianificazione” e le “Conferenze di servizio” (art. 7, co. 1 e 2). Gli accordi istituzionali recepiscono le volontà dei rispettivi soggetti pubblici in merito alla promozione di specifiche azioni di trasformazione e valorizzazione del territorio. Le Conferenze istituzionali, comprensive anche delle Conferenze di copianificazione, sono dirette alla conoscenza e alla condivisione dei contenuti dei vari strumenti di pianificazione. Le Conferenze istituzionali consentono l’acquisizione di tutte le indagini e le analisi necessarie, nonché dei risultati prestazionali degli strumenti proposti (co. 3 e 4). Il soggetto titolare della specifica procedura di approvazione dello strumento di pianificazione assume le dovute decisioni dopo aver acquisito gli esiti della Conferenza e sulla base delle valutazioni formalmente espresse dal soggetto preposto alla verifica delle necessarie coerenze (co. 5).

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L’art. 8 prevede che nelle diverse fasi dei processi di pianificazione debbano essere assicurate la concertazione con i soggetti economici e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire, e inoltre sono previste adeguate forme di consultazione dei cittadini, singoli e in forme associative per la tutela di interessi diffusi, nonché forme di pubblicità, in ordine alle scelte di pianificazione, ovvero ai contenuti degli strumenti. La Giunta regionale individua le modalità di attuazione della pianificazione e della programmazione regionale prevedendo il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati e sottoscrivendo, ove occorra, appositi accordi ed intese (art. 9, co. 1). La Giunta regionale, nel perseguire i fini previsti dal comma 1, definisce: «le procedure per la presentazione e la selezione degli interventi; l’integrazione delle rispettive risorse finanziarie, anche stabilendo le percentuali di cofinanziamento pubblico e privato; i requisiti per beneficiare dei finanziamenti o delle premialità; le modalità per l’erogazione dei finanziamenti e le eventuali condizioni di premialità». Negli accordi e nelle intese, accompagnati da atti d’obbligo unilaterali relativi agli impegni economici che i soggetti privati devono assumersi, sono anche stabilite le modalità tecniche e temporali per l’attuazione degli interventi». Il piano urbanistico strategico territoriale è previsto dallo Statuto della regione Umbria (art. 18, L.R. 16 aprile 2005, n. 21) quale strumento generale della programmazione territoriale regionale. La regione, attraverso il PUST, «persegue gli obiettivi territoriali regionali secondo una visione strategica integrata, sinergica e coerente con le linee di sviluppo nazionali e delle regioni contermini, nella quale il paesaggio viene assunto come riferimento primario». Inoltre il PUST costituisce il quadro programmatico per la pianificazione di livello provinciale, comunale e per i piani di settore (art. 10, co. 1 e 2). In particolare il piano urbanistico strategico territoriale: a) «fornisce elementi per la territorializzazione delle politiche regionali di sviluppo, nonché dei contenuti propri degli strumenti di programmazione economico-finanziaria»;

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b) «è strumento di riferimento per l’integrazione di temi e competenze settoriali della Giunta regionale, nonché strumento “governance” per la costruzione e la condivisione delle scelte di sviluppo sostenibile del territorio»; c) «promuove ed indirizza le trasformazioni del territorio regionale mediante azioni di sviluppo sostenibile, comprensive della valorizzazione del paesaggio»; d) «esercita l’integrazione e il raccordo tra la dimensione politico-programmatica dello sviluppo e il governo del territorio, nonché esplicita le opportunità, in chiave di sussidiarietà, per lo sviluppo locale dei vari territori»; e) «promuove la concertazione con le regioni contermini, al fine di realizzare le necessarie integrazioni programmatiche per lo sviluppo delle relazioni territoriali interregionali». Il PUST, in virtù dell’art. 11, individua i temi settoriali di riferimento per la costruzione della visione strategica ed integrata del territorio regionale sulla base delle potenzialità paesaggistico-ambientali e territoriali, nonché dei riferimenti programmatici comunitari, nazionali e regionali. La visione così elaborata si esplicita attraverso obiettivi e linee strategiche di sviluppo, costituenti priorità e riferimento per programmi e progetti di territorio. Il PUST, oltre a fornire criteri per la costruzione e la valutazione di progetti integrati di iniziativa dei territori, finalizzati a favorire la partecipazione delle comunità locali, definisce indirizzi e contenuti programmatici in coerenza con il PPR relativamente a progetti strategici territoriali, piani di settore che richiedano specificazioni circa localizzazioni e trasformazioni territoriali ammissibili, altre possibili situazioni di interesse e livello regionale. Gli elaborati che costituiscono il PUST sono (art. 12): a) «un quadro conoscitivo e valutativo dello stato e delle dinamiche del territorio regionale»; b) «una relazione illustrativa che descrive la visione strategica del territorio regionale, indicando gli eventuali approfondimenti analitici e tematici o settoriali»;

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c) «elaborati grafici, allegati alla relazione illustrativa, contenenti la rappresentazione simbolica della visione del territorio regionale e l’individuazione delle linee strategiche e dei progetti territoriali, anche nella loro articolazione spaziale e nei loro contenuti relativi a politiche e azioni territoriali»; d) «un documento contenente le modalità attuative delle strategie di sviluppo territoriale contenute nel PUST». Il procedimento di adozione del piano urbanistico strategico territoriale è definito dall’art. 13, il quale prevede che la Giunta regionale adotti il documento preliminare del PUST curando l’acquisizione di tutte le indagini, delle analisi e dei risultati prestazionali degli strumenti degli enti locali ritenuti pertinenti. Il documento preliminare è inviato dalla Giunta regionale alle province, ai comuni e alle comunità montane, al fine di indire le Conferenze istituzionali di copianificazione, alle quali tali soggetti partecipano insieme alla regione. La Conferenza istituzionale di copianificazione viene convocata dalla Giunta regionale con un preavviso di quindici giorni e si conclude improrogabilmente entro venti giorni dalla prima seduta. Alla conclusione dei lavori è redatto processo verbale. La Giunta regionale, acquisito il processo verbale, preadotta il PUST. Il PUST preadottato è sottoposto dalla Giunta regionale all’esame del tavolo di concertazione economico-sociale73 e al parere del Consiglio delle Autonomie locali (CAL)74. In seguito la Giunta regionale adotta il PUST e ne dà avviso sul BUR Umbria con l’indicazione delle sedi in cui chiunque può prendere visione degli elaborati. Entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione dell’avviso, chiunque può presentare proposte ed osservazioni alla Giunta regionale.

73 Così come previsto dall’art. 5, L.R. 28 febbraio 2000, n. 13 “Disciplina generale della programmazione, del bilancio dell’ordinamento contabile e dei controlli interni della regione dell’Umbria”. 74 Così come previsto dall’art. 3, L.R. 16 dicembre 2008, n. 20 “Disciplina del Consiglio delle Autonomie locali”.

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In seguito, esaminate le proposte e le osservazioni pervenute e formulate le valutazioni sulle stesse, la Giunta regionale trasmette il PUST al Consiglio regionale, unitamente al parere del CAL. Infine il Consiglio regionale decide in merito alle proposte e alle osservazioni, poi approva il PUST. Il PUST approvato è pubblicato nel BUR e nel sito web istituzionale della regione. Il PUST approvato è efficace dal giorno successivo alla sua pubblicazione nel BUR (art. 14). Le pianificazioni di livello provinciale e comunale sono redatte in coerenza con il PUST. Quest’ultimo è aggiornato di norma ogni cinque anni, salvo diverse determinazioni della Giunta regionale e le modifiche seguono il procedimento previsto dall’art. 13.

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CAPITOLO TERZO

LE REGIONI E I LORO MODELLI DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE A

CONFRONTO: ANALISI CRITICA SOMMARIO: 1. La pianificazione territoriale regionale nel diritto del governo del territorio: tre modelli a confronto. – 2. La funzione della pianificazione territoriale regionale. – 3. Dal generale al particolare: il caso dell’Emilia-Romagna. 1. La pianificazione territoriale regionale nel diritto del governo del territorio: tre modelli a confronto Il sistema della pianificazione territoriale e urbanistica, quale emerge dalle leggi regionali di “seconda generazione”75, si presenta diverso da quello prospettato dalla legge urbanistica del 1942.

Infatti la pianificazione sovracomunale, affermatasi ormai su due livelli (regionale e provinciale), si connota per una natura “mista” relativamente a contenuti (prescrittivi, di indirizzo, di direttiva) e ad efficacia, nonché per la “flessibilità” nei rapporti tra piani sovraordinati e piani sottordinati. La pianificazione comunale, anziché essere caratterizzata dal tradizionale piano regolatore generale, presenta un’articolazione in atti o parti tendenzialmente distinti tra lo “strutturale” e “l’operativo”.

75 Le leggi regionali di seconda generazione sono quelle emanate dalla seconda metà degli anni novanta.

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Per entrambe le pianificazioni si riscontra una più articolata disciplina della partecipazione sociale e della concertazione istituzionale. Dal rapporto tra pianificazione e governo del territorio, quale emerge dalle leggi regionali in genere denominate sul “governo del territorio”76, è possibile ricavare tre diversi profili.

Innanzitutto «la pianificazione territoriale si pone come fattore di vincolo o quantomeno di riferimento per le scelte dei processi socio-economici77». Tale profilo è stato in passato ben individuato («l’evoluzione del concetto di pianificazione urbanistica [...] ha dunque portato a ciò che oggetto della pianificazione non viene più considerato l’assetto edilizio del territorio [...]; scopo ultimo del piano regionale è il raggiungimento dell’equilibrio fra popolazione, economia e territorio [...]. Ciò significa che la pianificazione territoriale tende ad essere ormai, in realtà, una pianificazione dell’attività economica, la quale seppure non vincola secondo un programma la quantità e la qualità delle imprese, ne vincola però il momento locale creando così un limite rispetto ad una delle libertà dell’imprenditore, che è quella della scelta della sede della propria attività gestoriale»78) ed è stato considerato nella nozione del governo del territorio accolta dalla Corte Costituzionale (“governo del territorio” inteso come «localizzazione di impianti e attività»79).

È così previsto dalla L.R. n. 11/2004 del Veneto, art. 24, co. 2 che «i piani di settore ed i piani di sviluppo delle grandi reti di servizi sono sempre oggetto di coordinamento con il PTRC». Il riferimento è posto anche nei confronti della L.R. n. 1/2005 della Toscana, la quale all’art. 10, co. 2 afferma che tra gli atti del

76 Il riferimento comprende le leggi regionali analizzate nel “capitolo secondo” di tale elaborato: L.R. Toscana n. 1/2005, L.R. Veneto, n. 11/2004, L.R. Lombardia n. 12/2005, L.R. Puglia n. 20/2001, L.R. Emilia-Romagna n. 20/2000, L.R. Umbria n. 13/2009. 77 G. SCIULLO, Gli strumenti del governo del territorio: la pianificazione, intervento svolto nella giornata di studio “Il diritto nel governo del territorio” organizzata dall’Università IUAV di Venezia – Dipartimento di pianificazione della Facoltà di pianificazione del territorio, Venezia, 19 maggio 2008, p. 5, www.iuav.it. 78 G. SCIULLO, Op. cit., p. 1. Citazione di F. Benvenuti contenuta in Economia Trentina, 1956, p. 51 e ss., ora in Scritti giuridici, vol. II, Vita e Pensiero, Milano, 2006, pp. 1459 -1460. 79 Sentenza n. 307/2003 Corte Cost.

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governo del territorio sono compresi anche i «piani e i programmi di settore» qualora «incidano sull’assetto costituito dagli strumenti della pianificazione territoriale». Inoltre è opportuno considerare che il condizionamento dei piani territoriali non risulta mai assoluto, essendo stabilito che i piani di settore possano integrare o modificare i piani territoriali se «ciò sia previsto da specifiche leggi» (art. 24, co. 2, L.R. Veneto n. 11/2004); oppure, qualora contengano disposizioni non compatibili con quelle dei piani territoriali, costituiscano varianti ai piani territoriali stessi e siano approvati con le relative procedure (art. 18, co. 1, L.R. Toscana n. 1/2005). La L.R. Lombardia n. 12/2005, art. 19, co. 1 dispone che la regione con il PTR «sulla base dei contenuti del programma regionale di sviluppo e della propria programmazione generale e di settore, indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale e definisce altresì, in coerenza con quest’ultimo, i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di province e comuni». Per quanto concerne l’Emilia-Romagna, l’art. 10, co. 4, L.R. n. 20/2000 enuncia che i piani settoriali «sono predisposti ed approvati nel rispetto delle previsioni dei piani sovraordinati e degli obiettivi strategici e delle scelte del piano generale del medesimo livello di pianificazione, sviluppando e specificando gli obiettivi prestazionali di settore ivi stabiliti». In particolare il PTR definisce «indirizzi e direttive alla pianificazione di settore» (art. 23, co. 3). Infine anche la regione Umbria (L.R. n. 13/2009), tra gli strumenti di pianificazione, assume i piani di settore «di dimensione strategica, programmatica e regolativa» previsti da norme vigenti di competenza regionale, provinciale e comunale (art. 6, co. 3, lett. e). Il PUST definisce indirizzi e contenuti programmatici in riferimento ai piani di settore che richiedano specificazioni circa localizzazioni e trasformazioni territoriali ammissibili (art. 11, co. 3, lett. b).

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La legge sul governo e uso del territorio della Puglia (L.R. n. 20/2001), diversamente dalle regioni sopra citate, non prevede, a livello regionale, l’adozione di piani di settore80.

Il secondo profilo «si presenta simmetrico rispetto al precedente. In questo caso sono le scelte di politiche socio-economiche che si traducono, orientandole, in decisioni di assetti territoriali81». Tale profilo è ravvisabile in talune leggi regionali, quali la L.R. n. 11/2004 del Veneto, che all’art. 24, co. 1 afferma che il PTRC si pone «in coerenza con il programma regionale di sviluppo». In secondo luogo, anche la L.R. dell’Emilia-Romagna (L.R. n. 20/2000), dichiara che il PTR è «lo strumento di programmazione con il quale la regione definisce gli obiettivi per assicurare lo sviluppo e la coesione sociale» ed infine il DRAG della regione Puglia (L.R. n. 20/2001) prevede che ai fini della definizione dei «programmi, obiettivi, e suscettività socio-economiche del territorio» sia garantito il più ampio coinvolgimento dell’intera comunità regionale.

Risulta quindi evidente che la pianificazione regionale costituisce il supporto territoriale delle scelte e degli strumenti di programmazione economica e sociale, al fine di aumentare la competitività del territorio.

Il terzo profilo «è dato dai casi in cui la pianificazione territoriale si pone come occasione per operare o per reiterare scelte di carattere socio-economico, venendo così ad assumere una valenza mista82». A tal proposito il PTR della regione Lombardia (L.R. n. 12/2005, art. 19, co. 2, lett. a) è chiamato ad indicare «gli obiettivi principali di sviluppo socio-economico del territorio regionale, come espressi dal programma regionale di sviluppo e dal complesso della programmazione regionale di settore». 80 Il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), in virtù dell’art. 6, co. 2, L.R. Puglia n. 20/2001, «assume l’efficacia di piano di settore nell’ambito delle materie inerenti la protezione della natura, la tutela dell’ambiente, delle acque, della difesa del suolo, delle bellezze naturali [...]». 81 G. SCIULLO, Op. cit., p. 6. 82 G. SCIULLO, Op. cit., p. 7.

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Mentre nella L.R. della Toscana (L.R. n. 1/2005, art. 48, co. 4, lett. b) il PIT stabilisce «le prescrizioni per il coordinamento delle politiche di settore della Regione in funzione dello sviluppo territoriale». Affermazioni analoghe si riscontrano anche relativamente al PUST dell’Umbria (L.R. n. 13/2009, art. 10, co. 3, lett. a), il quale «fornisce elementi per la territorializzazione delle politiche regionali di sviluppo, nonché dei contenuti propri degli strumenti di programmazione economico-finanziaria». Inoltre il PUST costituisce «il quadro programmatico per i piani di settore (art. 10, co. 2)».

Da tali disposizioni si evince che il territorio è parte integrante della programmazione generale, finalizzata allo sviluppo socio-economico dell’intera società regionale, ma anche della programmazione settoriale, la quale individua gli strumenti di attuazione per raggiungere tali obiettivi. 2. La funzione della pianificazione territoriale regionale Lo Stato e la regione, attraverso le loro politiche ed interventi attivi, interferiscono in vario modo con le pianificazioni del territorio, ma non elaborano direttamente una vera e propria pianificazione territoriale. La motivazione di fondo di tale tesi risiede nell’impossibilità di un eccessivo numero di livelli di pianificazione territoriale, soprattutto dopo l’avvenuto rilancio del livello provinciale della pianificazione territoriale83. Tuttavia ci sono anche altre ragioni che rendono irrealistica una pianificazione territoriale statale e regionale. 83 Il riferimento riguarda l’art. 57, D.Lgs. n. 112/1998: «la regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento provinciale di cui all'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n. 142, assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le amministrazioni, anche statali, competenti», www.camera.it.

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Innanzitutto vi è una crisi delle programmazioni di tipo generale (economica e di sviluppo) che dovrebbero consistere nella definizione di obiettivi e di intereventi da realizzarsi nell’arco di tempo di validità dei piani adottati e nella loro proiezione, di carattere generale, sull’assetto del territorio considerato negli atti di programmazione. Inutile richiamare il rapido declino delle ipotesi di programmazione a livello nazionale, nonché la valorizzazione delle regioni come nuovo livello per una programmazione generale effettiva ed efficace. Tutto questo porta a dubitare che si tratti solo di un problema di individuazione della dimensione territoriale più adatta. La difficoltà risiede nel superamento del piano come strumento di governo dello sviluppo economico. Vi è infatti una crisi del metodo della pianificazione del territorio, che partendo dall’unica esperienza consolidata, quella dei piani regolatori generali (PRG) comunali, è consistita nella trasposizione ai livelli sovracomunali (intercomunale, comprensoriale, di comunità montana, provinciale) dei suoi elementi caratteristici: a) la generalità: il piano riguarda l’intero territorio considerato; b) la tecnica delle destinazioni d’uso per parti del territorio. Vi è anche una crisi di effettività della stessa pianificazione comunale, continuamente messa in discussione, al fine di realizzare interessi superiori. In tal caso il riferimento riguarda non solo la sottrazione di intere parti del territorio alla pianificazione generale, ma riguarda anche il crescente numero di strumenti attraverso i quali i livelli superiori fanno prevalere le proprie esigenze di localizzazione di opere ed interventi pubblici. La conferma della provincia come necessario secondo livello di governo per lo svolgimento di funzioni operative di area vasta, attraverso l’adozione del PTCP è, alla luce delle leggi regionali in materia di governo del territorio, ormai innegabile.

Tuttavia ciò non impedisce la sopravvivenza di uno strumento territoriale di livello regionale, che talvolta sembra essere un vero e proprio piano, nel senso di strumento contenente

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destinazioni di uso del territorio e vincoli alla sua trasformazione direttamente da esso disposti.

Tale tipologia di piano è riscontrabile nelle leggi di diverse regioni84. Innanzitutto l’art. 24, co. 1, L.R. Veneto n. 11/2004 afferma che il PTRC indica «gli obiettivi e le linee principali di organizzazione ed assetto del territorio regionale, nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione», come ad esempio le zone e i beni da destinare a particolare tutela delle risorse naturali (co. 1, lett. b), oppure indica il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale (co. 1, lett. d), formula i criteri per le individuazione delle aree per insediamenti industriali e artigianali (co. 1, lett. g), etc. Nella L.R. Toscana n. 1/2005, il PIT individua «i sistemi territoriali e funzionali che definiscono la struttura del territorio, le invarianti strutturali (art. 48, co. 1)» e stabilisce «le prescrizioni relative all’individuazione degli ambiti territoriali per la localizzazione di interventi sul territorio di competenza regionale (art. 48, co. 4, lett. c)». Infine il PTR della Lombardia «indica gli elementi essenziali del proprio assetto territoriale e definisce altresì, in coerenza con quest’ultimo, i criteri e gli indirizzi per la redazione degli atti di programmazione territoriale di province e comuni (art. 19, co. 1, L.R. n. 12/2005)». Il PTR definisce, in particolare, le linee orientative dell’assetto del territorio regionale, i criteri operativi per la salvaguardia dell’ambiente, gli indirizzi per la programmazione territoriale di comuni e province, etc. (art. 19, co. 2, lett. b).

Le leggi regionali del Veneto, Toscana e Lombardia sono accomunate dal fatto che il piano a livello regionale assume anche la valenza di piano paesaggistico85. Tale attribuzione fa sì che nell’ambito del piano regionale vengano assunti e ottemperati gli adempimenti di pianificazione paesaggistica previsti dall’art. 135

84 Il riferimento concerne le leggi regionali relative al governo del territorio individuate nel secondo capitolo dell’elaborato. 85 Il piano regionale ha valenza di piano paesaggistico: in Veneto in virtù dell’art. 6, co. 1, L.R. n. 18/2006, in Toscana ex art. 48, co. 1, lett. d, L.R. n. 1/2005, in Lombardia ex art. 19, co. 1 L.R. n. 12/2005.

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del “Codice dei beni culturali e del paesaggio”(D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 4286).

In altri casi il piano regionale è uno strumento di indirizzo e di inquadramento generale. Questo risulta evidente per il PTR dell’Emilia-Romagna che «è lo strumento di programmazione con il quale la Regione definisce gli obiettivi per assicurare lo sviluppo e la coesione sociale, accrescere la competitività del sistema territoriale regionale, garantire la riproducibilità, la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali (art. 23, co. 1, L.R. n. 20/2000)»; inoltre il PTR è predisposto «in coerenza con le strategie europee e nazionali di sviluppo del territorio (art. 23, co. 2)». Lo stesso vale per il PUST dell’Umbria definito quale «strumento generale della programmazione territoriale regionale», costituendo in particolar modo «il quadro programmatico per la pianificazione di livello provinciale e comunale (art. 10, co. 1 e 2, L.R. n. 13/2009)». Anche il DRAG della Puglia (art. 4, co. 1 e 2, L.R. n. 20/2001) definisce le «linee generali dell’assetto del territorio, nonché gli obiettivi da perseguire mediante i livelli di pianificazione provinciale e comunale» e viene adottato in coerenza con «i programmi, gli obiettivi e le suscettività socio-economiche del territorio».

Facendo riferimento ai due livelli di pianificazione territoriale sovracomunale è possibile affermare che sono troppi: c’è spazio per il solo piano provinciale e per meccanismi regionali di inquadramento coerenti con le residue politiche di programmazione regionale, fino a fare della pianificazione territoriale provinciale e regionale un tutt’uno, un processo unico.

86 L’art 135, D.Lgs. n. 42/2004 (così come sostituito dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63) afferma che «lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesaggistici” [...]», www.ambientediritto.it.

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Il piano provinciale si porrebbe quindi come strumento di lettura e di destinazione d’uso del territorio non di dettaglio, ma di tipo strategico, posto allo snodo tra la pianificazione urbanistica comunale di dettaglio e le grandi scelte di assetto territoriale che spettano alla regione. Si potrebbe quindi ipotizzare un piano regionale che sia la semplice sommatoria delle previsioni dei piani provinciali, oppure un piano regionale che sia in grado di influire sulle scelte più dirette e puntuali dei piani territoriali provinciali87.

Certo è che la regione, anche se non attraverso un piano territoriale vero e proprio, è individuata come il livello di governo più idoneo per il confronto tra esigenze statali ed il disegno di assetto ordinato del territorio che dovrebbe essere espresso dalla pianificazione comunale e provinciale, «in un unico tessuto regionale di lettura e programmazione degli interventi sul territorio». Questo perché lo Stato non è in grado di esprimere un disegno complessivo di assetto del territorio nazionale, ma solo alcune linee fondamentali in rapporto ad interessi nazionali e prevalenti curati dalle diverse amministrazioni.

Considerati i limiti della pianificazione urbanistica comunale, nonché la difficoltà di un’autonoma pianificazione territoriale regionale, la novità concerne quindi la pianificazione territoriale provinciale, per due motivi: a) la qualità della pianificazione territoriale risiede nella sua scala, sufficientemente piccola per consentire una conoscenza ravvicinata del territorio e sufficientemente ampia per esprimere un assetto territoriale organico; b) la qualità della pianificazione territoriale sta nella sua capacità di superare le discipline, nonché le tutele differenziate in una visione organica e conosciuta dalla popolazione.

In conclusione lo Stato e le regioni dovrebbero concordare su una politica nazionale condivisa, volta ad una copertura del 87 F. MERLONI, Lo Stato e la Regione di fronte alla pianificazione urbanistica, in E. FERRARI, N. SAITTA, A. TIGANO (a cura di), Livelli e contenuti della pianificazione territoriale, Atti del quarto convegno nazionale, Messina/Taormina 10-11 novembre 2000, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 93 a 97.

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territorio nazionale con i piani territoriali provinciali. In tal modo si otterrebbero i vantaggi conseguenti ad un’aggiornata e sistematica lettura del territorio nazionale88. 3. Dal generale al particolare: il caso dell’Emilia-Romagna Il primo intervento legislativo effettuato dalla Regione Emilia-Romagna in materia di “Tutela ed uso del territorio” è avvenuto con la L.R. 7 dicembre 1978, n. 47.

In seguito con la L.R. 5 settembre 1988, n. 36 recante le “Disposizioni in materia di programmazione e pianificazione territoriale” è stato approvato il primo piano territoriale regionale, con deliberazione del Consiglio regionale del 28 febbraio del 1990, n. 3065 secondo quanto proposto dalla Giunta regionale con la deliberazione del 31 gennaio 1990, n. 196. Con tale PTR la regione Emilia-Romagna ha segnato una fase di pianificazione, di sistemazione e di riordino territoriale, attraverso la costruzione di un sistema metropolitano policentrico funzionale, articolato in sistemi e sub-sistemi.

Sempre relativamente alla funzione di programmazione è possibile individuare una fase più recente in cui lo sviluppo del territorio è stato affidato allo strumento di pianificazione a livello provinciale (PTCP), alla programmazione regionale per settore, alla raccolta e alla gestione delle istanze di coesione territoriale, grazie alla programmazione negoziata e ad altri specifici strumenti di governance.

A partire dalla metà degli anni ’90 la regione ha adottato Programmi speciali d’area, attraverso i quali è stato affrontato un metodo di programmazione non riconducibile alla tradizionale esperienza della programmazione-quadro, né alla modalità 88 E. FERRARI, N. SAITTA, A. TIGANO (a cura di), Op. cit., pp. 102 a 104.

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dell’attuazione diretta. È stato messo in atto un coordinamento strategico di più livelli istituzionali impegnati in un lavoro basato su obiettivi condivisi e di mezzi e risorse preventivamente concordati.

La L.R. 24 marzo 2000, n. 20 relativa alla “Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio” ha avviato nel 2003 il processo di elaborazione del nuovo strumento di pianificazione e di programmazione territoriale regionale attraverso la predisposizione di un documento “Nuove linee programmatiche per il PTR (Sintesi degli obiettivi e dei contenuti)” disposto dalla Direzione Generale Programmazione Territoriale e Sistemi di Mobilità – Servizio Programmazione Territoriale89.

Successivamente la Giunta regionale, in virtù dell’art. 25 L.R. n. 20/2000, ha approvato il Documento preliminare alla predisposizione del PTR “Schema di sviluppo del territorio regionale” allegato alla delibera del 16 febbraio 2005, n. 360 e integrato dal documento “Valutazione di Sostenibilità Ambientale e territoriale – VALSAT”.

A seguito della comunicazione da parte della Giunta regionale della proposta di indirizzi per l’elaborazione del piano territoriale regionale, l’Assemblea legislativa ha aperto un dibattito che si è concluso con la risoluzione n. 2485 in data 2 maggio 2007. Con essa l’Assemblea legislativa ha impegnato la Giunta regionale ad aprire un’ampia consultazione nella regione Emilia-Romagna, al fine di coinvolgere le articolazioni sociali ed economiche, gli enti locali, l’associazionismo, i cittadini, nonché a presentare alla stessa Assemblea legislativa, terminata la fase della consultazione, la proposta conclusiva del nuovo PTR.

La Conferenza Regione-Autonomie Locali, tenutasi il 16 maggio 2007, ha poi dibattuto il documento contenente la proposta delle linee di indirizzo per l’elaborazione del piano territoriale regionale.

Con deliberazione della Giunta regionale del 29 maggio 2007, n. 771 recante “Avvio del procedimento per l’elaborazione e 89 G. VINCI, Responsabile del Servizio Centro Studi dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, (a cura di), Piano territoriale regionale dell’Emilia-Romagna (PTR): primo documento di analisi, Bologna, 2009, pp. 10 - 11 e 15.

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l’approvazione del piano territoriale regionale (art. 25, L.R. n. 20/2000)” è stato approvato il documento “Indirizzi per la predisposizione del piano territoriale regionale” ed è stata assunta la decisione di avviare il procedimento di elaborazione e di approvazione del PTR, al fine di delineare, nei nuovi scenari competitivi, una visione strategica dello sviluppo del sistema regionale, basata sui principi di sostenibilità ambientale e di coesione economica, sociale e territoriale. Sempre in base alle disposizioni contenute nella delibera n. 771/2007 è stato trasmesso all’Assemblea legislativa, alle province e ai comuni della regione Emilia-Romagna il suddetto documento, nonché il “Documento preliminare” alla predisposizione del PTR, unitamente all’elaborato tecnico denominato “Lo scenario (aprile 2007)”. Sono inoltre stati trasmessi, su supporto informatico, i seguenti elaborati tecnici: “Quadro Conoscitivo”, “Integrazione al Quadro Conoscitivo del piano territoriale regionale dell’Emilia-Romagna (febbraio 2007)”, “Valutazione di Sostenibilità Ambientale e Territoriale (VALSAT)”. Tali documenti sono stati resi disponibili a tutta la società regionale, attraverso la loro pubblicazione sul sito internet della regione Emilia-Romagna. Con l’obiettivo di sollecitare la discussione, la Giunta regionale ha promosso un Forum di apertura ufficiale del procedimento di elaborazione e approvazione del PTR, attraverso il quale il Documento preliminare al PTR è stato presentato alla società regionale. Le province della regione hanno convocato le Conferenze di Pianificazione che si sono contemporaneamente aperte in data 17 luglio 2007, ad esclusione della provincia di Bologna, la quale ha iniziato a svolgere i lavori il 31 luglio 200790.

I Forum territoriali91, organizzati da ciascuna provincia, hanno dato luogo a dibattiti relativi ai contenuti essenziali del

90 La convocazione delle Conferenze di Pianificazione è avvenuta nell’osservanza dell’art. 25 del testo previgente della L.R. n. 20/2000. 91 I Forum hanno avuto il seguente svolgimento: 11 dicembre 2007 - Provincia di Rimini, 19 febbraio 2008 - Provincia di Piacenza, 1 luglio 2008-Provincia di Ferrara, 8 luglio 2008 - Provincia di Modena, 18 luglio 2008 - Provincia di Ravenna, 25 luglio 2008 - Provincia di

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Documento preliminare. Sono inoltre state ascoltate le proposte e le valutazioni delle diverse realtà territoriali. Diversi incontri di confronto sono stati effettuati anche con le organizzazioni economiche e sociali della regione.

La L.R. n. 20/2000 è stata modificata dalla L.R. 6 luglio 2009, n. 6 “Governo e riqualificazione solidale del territorio”. L’art. 26 della L.R. n. 6/2009 ha sostituito l’art. 25 della L.R. n. 20/2000 dettando il nuovo procedimento di approvazione del PTR. Dopo aver considerato le proposte e le valutazioni espresse dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dagli enti partecipanti alle iniziative e agli incontri precedentemente richiamati, e dopo aver acquisito il parere del Consiglio delle Autonomie Locali (CAL) in data 9 novembre 2009, la Giunta regionale ha adottato la proposta di piano territoriale regionale con deliberazione del 9 novembre 2009, n. 1774. In tale delibera viene anche affermato che la proposta di piano è formata da diversi elaborati: a) il Quadro Conoscitivo del PTR; b) la proposta di Piano suddivisa in tre fascicoli: “Una Regione attraente – L’Emilia-Romagna nel mondo che cambia”, “La Regione-sistema: il capitale territoriale e le reti”, “Programmazione strategica, reti istituzionali e partecipazione”; c) la Valutazione di Sostenibilità ambientale e Territoriale (ValSAT). La proposta di piano è stata poi comunicata all’Assemblea legislativa92. Successivamente in data 12 novembre 2009, sul BUR Emilia-Romagna, è stato pubblicato l’avviso di avvenuta adozione della proposta di piano e questa è stata contestualmente depositata presso la sede della Giunta regionale e presso gli enti territoriali indicati dall’art. 25, co. 2, L.R. n. 20/200093, al fine di poter formulare osservazioni94.

Forlì-Cesena, 29 luglio 2008 - Provincia di Reggio-Emilia, 30 settembre 2008 - Provincia di Parma, 3 novembre 2009 - Provincia di Bologna. 92 Delibera della Giunta regionale 9 novembre 2009, n. 1774. 93 Gli enti territoriali previsti dall’art. 25, co. 2, L.R. n. 20/2000 sono i comuni, le province e le comunità montane. 94 In virtù dell’art. 25, co. 4, L.R. n. 20/2000 osservazioni e proposte possono essere formulate dagli enti e organismi pubblici, dalle associazioni economiche e sociali, dalle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi e da chiunque sia interessato.

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Infine l’Assemblea legislativa, dopo essersi espressa sulle osservazioni pervenute, ha approvato il piano territoriale regionale con delibera del 3 febbraio 2010, n. 27695.

Lo Statuto dell’Emilia-Romagna96 (art. 10) pone al centro delle attività prioritarie della regione lo sviluppo territoriale, che deve essere diffuso ed equilibrato, al fine di garantire gli obiettivi di coesione sociale, economica e territoriale, attraverso la massima integrazione delle politiche attive dei vari livelli istituzionali e dei settori. L’art. 24 fissa il principio chiave dell’integrazione tra i livelli di governo, assumendo quale metodo di governance97 la collaborazione istituzionale ed il raccordo tra gli strumenti di programmazione.

La finalità della politica territoriale regionale consiste nel valorizzare il capitale territoriale98, assicurare la sua conservazione, riproduzione e innovazione, accrescendo la qualità della vita dei propri cittadini, promuovere la sua integrazione per proiettare la “Regione-sistema” nello spazio europeo, come soggetto primario per sviluppare relazioni internazionali e offrire scenari di espansione ai sistemi territoriali locali della regione.

La “Regione-sistema” è un progetto volto a fare emergere il territorio e a renderlo “attraente”. Questo significa, sul versante interno, costruzione della qualità insediativa ed ecologica, riproduzione della convivenza sociale e della capacità di generare conoscenza, creare buona occupazione, valorizzare l’intraprendenza e la cultura d’impresa. Mentre il versante esterno consiste nel riconoscimento internazionale di tali qualità per attrarre e trattenere investimenti. Questi due aspetti sono inscindibili e reciprocamente indispensabili.

95 www.regione.emilia-romagna.it. 96 L.R. 31 marzo 2005, n. 13 modificata dalla L.R. 27 luglio 2009, n. 12. 97 La governance multilivello è l’elemento fondante l’azione comunitaria, che consiste nell’azione coordinata e condivisa dell’Unione Europea, degli Stati membri e degli enti locali, basata sul partenariato e volta a definire ed attuare le politiche dell’Unione Europea. Per questo la sua attuazione verte sul rispetto del principio di sussidiarietà, che consente di evitare che le decisioni si concentrino su di un solo livello di potere, perdendo così la dimensione territoriale, e inoltre garantisce che le politiche vengano elaborate ed applicate al livello più appropriato. 98 Il “capitale territoriale” deve essere concepito come dotazione di un certo territorio, ma anche come investimento per costruire il futuro.

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Le forme del capitale che caratterizzano il territorio sono: il capitale cognitivo (si pone l’obiettivo di raggiungere i seguenti risultati: sistema educativo, formativo e della ricerca di alta qualità; alta capacità di innovazione del sistema regionale; attrazione, mantenimento delle conoscenze e delle competenze nei territori), il capitale sociale (che persegue i seguenti esiti: benessere della popolazione e alta qualità della vita; equità sociale e diminuzione della povertà; integrazione multiculturale, alti livelli di partecipazione e condivisione di valori collettivi), il capitale insediativo-infrastrutturale (ha come scopo il raggiungimento dei seguenti risultati: ordinato sviluppo del territorio, salubrità e vivibilità dei sistemi urbani; basso consumo di risorse ed energia; senso di appartenenza dei cittadini e città pubblica), ed infine il capitale ecosistemico-paesaggistico (si pone l’obiettivo di raggiungere i seguenti esiti: integrità del territorio e continuità della rete ecosistemica, sicurezza del territorio e capacità di rigenerazione delle risorse naturali; ricchezza dei paesaggi).

Tutto ciò, in concreto, significa puntare alla definizione e alla creazione di un sistema regionale di eccellenza, in grado di raggiungere il massimo livello di sviluppo grazie a tutte le vocazioni e risorse industriali, economiche e culturali presenti sul territorio. Questo implica una strategia di sviluppo del sistema regionale che orienti la destinazione delle risorse finanziarie prioritariamente al sostegno della progettualità locale, connessa alla realizzazione di reti di scala regionale. Si tratta quindi di sostenere la costruzione di reti di città, territori, servizi e infrastrutture che elevino la qualità e l’efficienza del sistema regionale, al fine di rafforzare la complementarietà delle funzioni urbane e territoriali necessarie ad accrescere la competitività del territorio regionale negli attuali processi economici e sociali.

La costruzione di reti di funzioni di eccellenza, nella duplice prospettiva di proiezione internazionale dei singoli nodi e di creazione di sinergie locali e regionali, si appoggia su un più generale progetto di creazione di un sistema regionale di territori di

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eccellenza. In tale progetto ogni parte del territorio regionale deve essere considerata come un valore territoriale, ma è evidente che eccellenze e potenzialità possono esprimersi al meglio solo entro una logica di rete e di sistema, come componenti di una piattaforma territoriale regionale. La metafora delle reti evoca la necessità di superare la settorializzazione, al fine di costruire politiche integrate che possano contribuire alla valorizzazione del capitale territoriale in tutte le sue forme. Ogni rete di politiche integrate non influisce solo su un singolo settore o su una sola forma di capitale, ma impatta sui plurimi aspetti del potenziale di sviluppo di ciascun territorio99. Il nuovo PTR è il cardine della programmazione strategica, dell’integrazione delle politiche e della governance territoriale. Esso è nato con l’obiettivo di dare una visione futura facendovi convergere gli sforzi di pianificazione e di programmazione a venire. Per questo motivo è prevalente la visione di un PTR non immediatamente normativo, la cui cornice dettata dall’art. 23 L.R. n. 20/2000 così come modificata dalla L.R. n. 6/2009, specifica che esso è lo strumento di programmazione con il quale la regione definisce gli obiettivi atti ad assicurare lo sviluppo e la coesione sociale, accrescere la competitività del sistema territoriale regionale, garantire la riproducibilità, la qualificazione e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali. L’attuazione del piano territoriale si ispira quindi a diversi criteri-obiettivo. Innanzitutto l’integrazione delle politiche che devono tendere ad obiettivi comuni, in particolare alla coesione e alla competitività del sistema regione, la leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali coinvolti nella programmazione e nell’attuazione delle politiche pubbliche, nonché la concertazione con le forze sociali e le loro rappresentanze, la partecipazione dei cittadini.

99 La Regione sistema: il capitale territoriale e le reti, pp. 24 - 25 e 31, www.regione.emilia-romagna.it.

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Partendo da questi criteri ispiratori, la programmazione regionale assume il carattere di una programmazione strategica a valenza territoriale100. Per l’attuazione dei programmi strategici la regione ha optato a favore del ricorso di diverse modalità, che possono essere: dirette (in presenza di provvedimenti legislativi o indirizzi e linee guida della regione), miste (quando prevedono di utilizzare sia forme negoziali che concorsuali), concorsuali, negoziali (quando il confronto è con il Governo attraverso un’intesa o un accordo, oppure quando c’è il coinvolgimento degli enti locali). La programmazione strategica della regione tiene conto della necessità di innovare i meccanismi istituzionali e di governo, interni all’amministrazione regionale ed esterni ad essa, in particolare per quanto concerne la filiera istituzionale con gli enti locali e territoriali.

Un aspetto essenziale inerente all’attuazione del PTR è rappresentato dalla necessità di coordinare e integrare il sistema di pianificazione di settore e la pianificazione generale delle province e dei comuni, che definiscono l’assetto e le regole per lo sviluppo urbano e territoriale. Pertanto, insieme al PTR, assumono un ruolo centrale gli strumenti generali della pianificazione provinciale e comunale: i piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) e i piani urbanistici comunali (PSC-RUE) che, portando a sintesi e sistematizzando l’insieme degli obiettivi, delle regole di assetto e di trasformazione del territorio, sono il riferimento anche per il coordinamento e l’integrazione dei diversi piani settoriali che operano ai diversi livelli amministrativi. Il PTR, i PTCP e i PSC sono concepiti come strumenti complementari riferiti alle competenze specifiche di ciascuno dei soggetti istituzionali e devono potersi integrare per il raggiungimento degli stessi obiettivi.

La semplificazione del sistema di pianificazione insieme al principio di concertazione e di cooperazione devono essere i criteri cardine che regolano il dialogo interistituzionale nei procedimenti 100 Nel quinquennio 2005/2010 si possono identificare trentotto programmi strategici, che si riferiscono alle tre macro categorie di riferimento della politica regionale unitaria: coesione sociale, coesione territoriale, sviluppo economico e sostenibilità.

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di formazione degli strumenti di pianificazione, e quindi nella valutazione congiunta dei diversi interessi pubblici che convergono nelle scelte di assetto del territorio.

Il PTCP è lo strumento di pianificazione che articola le linee di azione della programmazione regionale, quindi rappresenta l’imprescindibile base dalla quale partire per il processo di attuazione degli obiettivi del PTR e delle successive iniziative di semplificazione e di aggiornamento.

Il PTR non intende avviare una revisione generale dei PTCP vigenti, che sono anzi assunti dallo stesso PTR come parte attuativa; ma il PTR ha lo scopo di governare insieme e di reindirizzare l’attività di pianificazione attraverso la gestione dei PTCP. Risulta quindi che il ruolo della regione e delle province consiste nell’assicurare il coordinamento tra PTCP, per una declinazione degli obiettivi del PTR più sistematica, nelle normative, e più integrata, negli assetti territoriali.

I PTCP sono inoltre strumenti che costituiscono un efficace quadro di riferimento per lo sviluppo della pianificazione comunale verso forme associative e di coordinamento coerenti con le città e i sistemi complessi di area vasta.

Infine, la regione, in questo processo di ammodernamento del sistema di pianificazione, oltre a svolgere un ruolo di supporto e di indirizzo per le province e i comuni, partecipa ai procedimenti di rinnovo e di modificazione degli strumenti di pianificazione, nonché alla sottoscrizione di accordi territoriali per lo sviluppo di un efficace sistema del governo multilivello101.

Risulta quindi che la regione Emilia-Romagna, relativamente al sistema dei rapporti interistituzionali tra la regione stessa e gli enti locali di livello sub-regionale, ha posto come prioritario il costante confronto con le istituzioni del proprio territorio, essenziale per una gestione dello sviluppo territoriale, sostenibile, integrata ed efficace.

101 Programmazione strategica, reti istituzionali e partecipazione, pp. 9 - 10 e 19, www.regione.emilia-romagna.it.

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CONCLUSIONE Alla luce degli interventi legislativi effettuati negli ultimi anni, e in particolare con la modifica del Titolo V della Costituzione, il dato fondamentale che emerge è rappresentato dalla transizione dall’urbanistica al governo del territorio, inteso quale attività complessa che fa riferimento al governo dei processi, delle evoluzioni e della convivenza. In particolare esso prevede la predeterminazione di fini lontani, di mete a lunga scadenza. Si può forse affermare che governare il territorio sia il vero mezzo attraverso il quale si realizza la sussidiarietà verticale e si favorisce quella orizzontale. In tal senso quindi, il mutamento di denominazione voluto dalla riforma costituzionale del 2001 non è un’inconsapevole operazione lessicale: le regioni che si occupano di governo del territorio sono cosa diversa dalle regioni che si occupano di urbanistica102.

Ormai l’idea della pianificazione gerarchica prevista dalla legge n. 1150/1942 non rappresenta la realtà odierna. Il metodo in atto nelle diverse regioni trattate contraddice quel modello. Questo è dimostrato dal fatto che è stato superato il sistema di pianificazione incentrato sulla dimensione comunale, così come le nuove strategie di pianificazione adottate a livello regionale hanno superato l’impostazione dirigistica di un piano come strumento di vincolo, per assumere un differente carattere, capace di orientare le componenti sociali verso una visione comune.

Inoltre il governo del territorio non si identifica con la pianificazione, che ne costituisce solo una componente essenziale. I piani, comunque denominati, rappresentano un importante strumento a disposizione degli enti che esercitano i propri poteri sul territorio, ma accanto ad essi vi sono ulteriori modalità di intervento che spaziano dalle politiche territoriali messe in campo dalle 102 M. DUGATO, Problematiche giuridiche del rapporto tra governo del territorio e servizi pubblici locali, Osservatorio del diritto del governo del territorio – Università IUAV di Venezia, p. 1, www.iuav.it.

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amministrazioni locali e regionali, alle politiche generali dello Stato.

Il piano svolge sempre più la funzione di programmazione socio-economica del territorio regionale. Quindi esso si rivela immagine di una politica volta all’innovazione, allo sviluppo, alla competitività, all’efficienza, alla valorizzazione e salvaguardia delle risorse disponibili, nonché al perseguimento di un livello accettabile della qualità della vita.

Il procedimento del piano a livello regionale è ormai caratterizzato dal coinvolgimento attivo delle parti sociali, con la conseguente possibilità di raggiungere una visione condivisa. Quindi, in tale logica, il piano deve essere interpretato come una struttura finalizzata a supportare il processo decisionale. Infatti le garanzie per una corretta pianificazione stanno in particolare nella partecipazione e nella gestione del piano, e non solo nel suo percorso di redazione e di approvazione.

Il piano adottato dalla regione svolge la funzione di quadro di riferimento, di supporto e di indirizzo per la pianificazione degli enti locali. Si tratta di uno strumento di raccordo e di coordinamento per l’organizzazione di politiche integrate di sviluppo territoriale, secondo una prospettiva fondata su orientamenti e priorità di livello, oltre che regionale, nazionale e comunitario. Attualmente non è dato conoscere se i piani territoriali regionali adottati in seguito all’entrata in vigore delle leggi regionali di seconda generazione possano avere un’effettiva applicazione e quindi se la regione sia in grado di attuare le politiche prefissate. Questo perché gli strumenti di pianificazione delle regioni sopra individuate non sono ancora stati approvati dai rispettivi Consigli regionali, oppure sono stati approvati troppo recentemente per poterne verificare l’effettività. Quindi soltanto l’esperienza e il passare del tempo dimostreranno se il piano regionale è realmente necessario per governare il territorio.

Ciò che oggi non si può ignorare, nell’ambito del governo del territorio, è il rilevante ruolo ricoperto dalla provincia attraverso il

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piano territoriale di coordinamento provinciale, al quale le leggi regionali affidano, oltre all’individuazione ed il coordinamento degli interessi provinciali, compiti di specificazione della pianificazione regionale e di coordinamento dell’attività dei comuni.

Qualora il piano territoriale regionale si dimostri superfluo, si potrebbe ipotizzare la sua eliminazione e la regione potrebbe intervenire attraverso piani settoriali, oppure pur non eliminandolo, si potrebbe pensare ad un piano volto solo alla programmazione dello sviluppo regionale.

A mio avviso le regioni non possono prescindere da tale strumento di pianificazione, in quanto esso rappresenta la cornice alla quale i piani settoriali e attuativi devono adeguarsi. Si tratta di un atto di indirizzo aperto e flessibile, che punta a valorizzare il territorio, oltre ad indicare strategie ed obiettivi descrivendo quindi possibili scenari futuri. A fronte di tali incertezze è auspicabile che lo Stato intervenga, nonostante l’intensa produzione legislativa regionale, con l’approvazione di una legge-quadro, che preveda principi generali sul governo del territorio. Il testo di legge dovrebbe essere redatto operando preventivamente una ricognizione delle esperienze maturate in sede regionale, per poi generalizzarle e ricondurle a sistema. Al fine di definire il sistema di pianificazione più idoneo al raggiungimento dei principi e delle scelte di governo del territorio, la legge nazionale non potrà interferire con le opzioni già compiute dalle regioni, ma non è possibile escludere che alcuni indirizzi generali possano rivelarsi utili, per lo meno nel definire la distinzione di ruolo tra i rispettivi soggetti che pianificano.

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