Effezero Magazine #3 - 2015

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Notiziario di informazione dell'Associazione Fotografica EFFEZERO di Cagliari, riservato esclusivamente agli associati.

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EFFEZEROMAGAZINEn. 3/2015

Notiziario trimestrale di informazioneriservato esclusivamente ai soci

dell’associazione fotograficaEffezero di Cagliari

C.F. 92169400923SEDE OPERATIVA: Via Nervi angolo Via Natta – Zona Industriale est Casic

Elmas – 09122 CagliariSEDE LEGALE: Via Ariosto n. 23, 09129 – Cagliari

PRESIDENTE: Giovanni MacioccoSEGRETARIO: Maurizio CotzaTESORIERE: Alessandro Cani

Grafica, impaginazione e coordinamento: Bruno Olivieri

in redazione: Barbara Meloni, Valeria Lai, Alessandro Cani

Per informazioni puoi scrivere [email protected]

© - copyright su immaghini e contenuti è dei rispettivi aventi diritto. È vietata la riproduzione anche parziale.

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SOMMARIO

Foto di copertina: Gianni Cireddu in Bouldering - © Franco PiredduFoto 4a di copertina: Belvedere Gonnesa - © Antonio Falduto

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L’EDITORIALEby Bruno Olivieri

www.brunoolivieri.comwww.flickr.com/photos/brunoolivieri/

Bene, ci siamo cari Amici.

Se state leggendo queste poche righe dagli screen dei vo-stri dispositivi multimediali, è segno che questo travagliato terzo numero di EffeZero Magazine ha visto finalmente la luce.

La lavorazione di questo numero è stata più complicata ri-spetto a quella dei due numeri precedenti. Il Magazine vive grazie alla disinteressata disponibilità dei soci che colla-borano alla sua realizzazione e le difficoltà non sono mai poche. Nonostante la buona volontà di ognuno a rispettare quel minimo di periodicità che ci eravamo imposti, in gene-re sono sempre le avversità del quotidiano e gli impegni sia personali di ciascuno che dell’Associazione stessa a deter-minare i tempi delle uscite e di questo ci scusiamo.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare che tre anni di attesa for-se avrebbero indotto chiunque ad abbandonare un progetto come questo e che un lasso di tempo così ampio avrebbe potuto di fatto vanificare l’efficacia di uno strumento creato per documentare l’attività dell’Associazione, attività che, credetemi, nel frattempo non si è mai fermata ed è stata più viva che mai, articolata tra incontri, corsi, shooting e molte occasioni di happening. Ciò nonostante la tempora-nea indisponibilità della nostra sede sociale, inagibile per necessari lavori di adattamento protrattisi più del previsto, che ha caratterizzato la vita associativa nell’ultimo anno appena trascorso.

Ma noi di EffeZero siamo gente cocciuta e non ci diamo mai per vinti. Abbiamo saputo aspettare e la nostra pazien-za sta per essere premiata: il problema della sede sociale sembrerebbe ormai prossimo alla soluzione e abbiamo su-perato anche lo scoglio della realizzazione di questo nume-

ro del Magazine. Il fatto che tutto ciò accada in concomi-tanza con l’arrivo di un nuovo anno ci fa ben sperare per un futuro prospero di novità positive.

Brindiamo quindi all’Associazione EffeZero, alla sua gente e anche al suo redivivo Magazine ed estendiamo l’augurio a chiunque in questo momento ci stia leggendo e che, come noi, ha saputo aspettare.

Bruno Olivieri(Socio master dell’associazione fotografica Effezero e co-ordinatore dell’Effezero Magazine)

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FIG.1: Schema delle varie fasi di produzione di un file Raw. La luce passa attraverso il sistema ottico, viene catturata dal sensore i cui impulsi elettrici di output sono convertiti in valori numerici, a seconda della profondità in bit.

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Adobe Camera Rawby Alessandro Caniwww.alecani.infohttp://alecani.wordpress.com

ACR è un’applicazione plug-in della Adobe Creative Suite, in particolare di Photoshop e After Effects. La sua funzione principale è leggere i files Raw prodotti dalle fotocamere digitali.

Questo programma ha subìto col tempo un’evoluzione, di-ventando un vero e proprio editor di immagini, al punto da permettere di editare altri formati immagine. Il motore gra-fico ha avuto un successo tale da costituire la base per lo sviluppo di Lightroom, il software all-in-one di Adobe per la fotografia digitale.

File Raw e DNG

Raw sta per grezzo: è un file non compresso né elabora-to, derivante dal convertitore di segnale analogico digita-le ADC che traduce la luce catturata da ogni singolo pixel del sensore in valori numerici (fig. 1). Ogni singolo pixel fornirà tante informazioni quanti saranno i bit previsti per ciascuno di essi. In genere le reflex digitali lavorano con 12 o 14 bit. Ciò significa che ogni pixel sarà rappresentato con una scala di grigi (i colori saranno ottenuti dal processore attraverso un sistema di iterpolazione dei pixel del sensore) da 1 a 12 (o 14), e questo sarà il range dinamico al di fuori

del quale avremo le cosidette bruciature (nero assoluto o bianco assoluto). Per intenderci, in un file jpeg ad alta ri-soluzione bastano e avanzano 8 bit per ogni singolo pixel.

Questo è anche il motivo principale per cui conviene scat-tare in Raw: la maggiore quantità di informazioni ci fornirà poi, in fase di postproduzione, un più ampio spazio di svi- luppo e conseguentemente maggiori possibilità espressive nell’interpretazione dell’immagine originale. Vi basti sape-re che quando la fotocamera registra direttamente un file jpeg o tiff perde circa l’88% delle informazioni percepibili dal sensore.

I Raw delle fotocamere delle varie marche non sono tut-ti uguali, ogni fabbrica ha il suo formato proprietario: Nef per Nikon, CR2 per Canon e così via. Anche all’interno dello stesso brand possono esserci sensori diversi (CCD o CMOS), inoltre i convertitori ADC possono lavorare con differenti algoritmi. Per questo ACR, per poter aprire un file Raw, deve contenere i driver (le istruzioni per la corretta lettura) della fotocamera che l’ha prodotto.

Solitamente ogni fotocamera capace di produrre un file Raw viene fornita di software per la sua visualizzazione e, even-tualmente (ma non sempre) il suo editing. In teoria, essen-do i Raw dei formati proprietari, i visualizzatori più fedeli dovrebbero essere questi. In pratica nella maggior parte dei casi ACR, facendo parte del sistema Adobe che è lo stan-dard nel campo della grafica e del fotoritocco professionale, assolve più che discretamente al compito di visualizzatore di questi formati.

In realtà Adobe ha previsto e sviluppato un formato inter-medio, il file DNG, prodotto dal DNG Converter che per-mette di convertire ogni file Raw in un file leggibile univer-salmente senza perdita di informazioni. Questo può essere utile, ad esempio, quando si vuole vedere un file Raw uti-lizzando un browser di sistema (ad esempio delle versioni meno recenti di Windows). Un’altra caratteristica del file DNG è che questo contiene in sé i metadati sia dello scatto che dello sviluppo, al contrario di quanto succede aprendo un Raw su ACR senza passare dal DNG Converter.

Il file Raw proprietario è immodificabile, nel senso che se applicassimo qualche modifica attraverso un editor di im-magini, otterremo una nuova immagine che potrà essere salvata unicamente in un formato grafico diverso da quello proprietario (NEF per Nikon, CR2 per Canon e via dicen-do). Potremo quindi ottenere un .jpeg, un .tiff o un .pnd, a seconda delle possibilità offerteci dal software di elabora-zione utilizzato.

Come funziona ACR

ACR crea per ogni file Raw aperto un file XMP collaterale: un file di testo contenente le istruzioni per leggere quell’im-magine secondo i parametri da noi decisi in fase di editing. Ogni volta che riapriremo quel file Raw, ACR (ma anche il visualizzatore Adobe Bridge e, se le versioni sono compa-tibili, anche Lightroom) visualizzerà quel file secondo quei parametri.

ACR, nell’atto di aprire un file Raw, utilizza un settaggio standard che prevede valori medi per i classici parametri dell’immagine: luminosità, contrasto, nitidezza, saturazio-ne. Naturalmente questo settaggio può essere modificato, così come particolari settaggi possono essere salvati e ri-chiamati in un secondo momento.

Questi parametri possono essere variati tutti quanti, tran-ne due: la misura dell’esposizione oltre la gamma dinami-ca consentita e il valore ISO impostati con la fotocamera. Anche il bilanciamento del bianco, che comunque viene registrato al momento dello scatto nei metadata del Raw, non è legato alla cattura del sensore ma a un’interpretazione successiva; di conseguenza può essere bilanciato su ACR senza influire sul Raw e senza perdita di dati.

ACR può aprire i files Raw che non superino i 512 Mpx o i 65000 pixel di lunghezza nel lato più lungo. Sono misure estreme che difficilmente la maggior parte degli utenti si troverà a gestire, sia per la grandezza spropositata del file che per l’hardware necessario a supportare tale mole di cal-coli.

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FIG.3: La maschera di output per il workflow su Photoshop.

FIG.2: L’interfaccia principale di ACR: in alto a sinistra gli strumenti a destra la colonna dei vari menù e i relativi cursori di modifica. In basso i comandi di zoom e le opzioni di output.

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Le funzioni di ACR

L’interfaccia di ACR ha avuto un tale successo che nelle ultime versioni è stata implementata la sua azione verso al-tri formati immagine, come i jpeg e i tiff, e costituisce il cuore dell’editing di Lightroom, sia per quanto riguarda i parametri di regolazione (poche differenze al riguardo) che per il metodo di lavoro tramite files XMP. D’altro canto, nell’ultima versione di ACR, è stata trasposta da Lightroom la possibilità di “salvare” delle istantanee, ossia i risultati intermedi del processo di sviluppo, in modo da poter essere richiamati per eventuali raffronti.

A questo proposito è utile ricordare che ACR, al contrario di Lightroom, rimane un plug-in. Quindi va inserito all’interno di un flusso di lavoro che prevede anche l’acqui- sizione e l’archiviazione dei files. Adobe Bridge rimane l’ambiente di lavoro ideale per la gestione dei files dei programmi della Creative Suite.

ACR permette anche lo sviluppo in batch (più immagini nello stesso tempo); in questo caso l’interfaccia si adatte-rà aggiungendo una colonna di navigazione delle immagini selezionate.

Con ACR si possono eseguire le seguenti azioni:

- Cropping e rotazione;- Correzione base di contrasto, luminosità, esposizione;- Gestione del contrasto dei mezzitoni;- Regolazione del contrasto con curva parametrica;- Ccorrezione selettiva dei toni;- Conversione in scala di grigio e relativa calibrazione

selettiva dei toni - viraggio selettivo dei toni;- Applicazione filtro grana e vignettatura;- Compensazione di aberrazione cromatica e vignettatu-

ra;- Timbro clone e cerotto;- Mascheratura locale;- Correzione occhi rossi;- Regolazione di nitidezza e disturbo - bilanciamento del

bianco;- Camera calibration;- Gestione dei punti di clipping;- Recupero dei dettagli da ombre e luci - applicazione di

filtri digradanti;

L’ordine con il quale questi parametri vengono modificati non è rilevante.

Ciò che ACR (ma anche Lightroom) non può fare, è il foto-ritocco multilivello, la trasformazione geometrica e l’appli-cazione di filtri complessi. Abbiamo dei semplici comandi di filtro digradante, una maschera di livello molto elemen-tare per le applicazioni locali delle variazioni, un timbro clone anch’esso molto elementare.

Possibilita’ di output

Ricordiamo che, una volta conclusa la fase di sviluppo, ACR ci offre tre scelte:

- Semplice scrittura del file XML (accompagnerà il file Raw originale a meno che non lo separiamo o elimi-niamo noi);

- Salvataggio sottoforma di file (dng, jpeg, tiff);

- Apertura dell’immagine in Photoshop.

In questo caso ACR ci offre una maschera di output che ci permetterà di dimensionare l’immagine secondo vari parametri: dimensione in pixel, spazio colore, risoluzione, profondità (da 8 a 32 bit). Si può scegliere se aprire l’imma-gine come sfondo o come oggetto avanzato per sfruttare le tecniche multilivello.

E Photoshop?

A dir la verità, essendo ACR un plug-in, la sua apertura prevede in automatico l’apertura di Photoshop. Non si può visualizzare il Raw come livello di sfondo o avanzato, bi-sogna necessariamente passare dalla maschera di output di ACR. Anche quando passiamo da Adobe Bridge, cliccando due volte sul file Raw, o selezionando un file .jpg o .tif e premendo ctrl+R (o cmd+R per gli utenti Mac), si aprirà ACR (mentre cliccando due volte su un file non Raw questo verrà aperto su PS).

Per quanto riguarda la funzione di editor di immagini in ge-nere, tutti i risultati ottenuti tramite i comandi, gli strumenti e i cursori presenti in ACR e in Lightroom possono essere ottenuti su PS, spesso utilizzando differenti tecniche per lo stesso effetto. Per contro, l’utilizzo di tali tecniche non è altrettanto intuitivo e richiede una conoscenza approfondita di un editor assai complesso.

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FIG. 4: Schema di flusso di acr: il file Raw viene acquisito tramite Bridge, passa per camera Raw e, una volta sviluppato, si puo’ scegliere se conservare le modifiche nel file XMP, salvare un nuovo file direttamente da ACR o aprire l’immagine su Photoshop.

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Le alternativeEsistono altri editor Raw, altrettanto validi: Capture One, Fotostation, Bibble, Aperture. A grandi linee si equivalgo-no, l’unico vantaggio reale che ACR conserva è la piena compatibilità con gli altri programmi della suite Adobe, nel passaggio tra i vari software in un processo creativo che non si limiti all’editing fotografico.

(Le notizie raccolte in questo articolo potete trovarle nel manuale per utenti online di Adobe Photoshop CS5 e nell’esaustivo libro (in lingua inglese) Adobe Photoshop CS5 for Photographers, di Martin Evening, edito da Focal Press nel 2010. Questo articolo è stato scritto nel maggio 2011).

A.C.

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Canon EOS 1DsMkII + Sigma 180mm macro

Nel caso aveste dei dubbi, nella foto Giovanni è quello con la maglietta bianca, la farfalla è quella più piccola

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Un’esperienza fotografica interessante e stimolante, per chi è appassionato di macro e di natura, è quella di effettuare degli scatti alle farfalle.

Normalmente è possibile trovarle all’aperto, e per gli cono-scitori attenti del mondo animale, è sicuramente possibile indivuarle con più facilità, riconoscerne la specie e le ca-

ratteristiche. Per un appassionato di fotografia, anche non esperto di natura, rappresentano comunque un soggetto dal quale è possibile, con pazienza, attenzione e, comunque, di un pizzico di fortuna, trarre delle belle immagini.

Le farfalle, di per se, hanno un volo molto irregolare, forte-mente influenzato dalle correnti d’aria, per cui è da esclu-dere poter pensare di fotografarle in movimento. Bisogna pertanto approfittare dei momenti in cui si posano, e possi-bilmente di quelli nei quali le ali sono aperte.

Le difficoltà nel mettere a fuoco un soggetto così vicino, con una profondità di campo ridotta, vengono ulteriormente accentuate, all’aperto, dal fatto che anche un leggero vento può far muovere il fiore o la pianta sulla quale si posano. L’ideale è quindi avere a disposizione molte farfalle, in un posto chiuso, ma abbastanza ampio da potersi muovere age-volmente, con una luce diffusa che eviti ombre nette e dure, e senza movimenti d’aria. Il posto ideale è sicuramente “La casa delle farfalle”, che si trova a San Gavino in provincia di Cagliari, nella quale un manipolo di fotografi di Effeze-ro (il sottoscritto, Giovanni Maciocco ed Alessandro Cani) ha effettuato una prima spedizione fotografica per avere un’idea dell’approccio da avere e delle possibilità di scatto.

Entrando nella serra si percepisce immediatamente che la temperatura e l’alta umidità non renderanno le cose facili (meglio portarsi una maglietta per potersi cambiare all’usci-ta, vi assicuro che in diversi momenti vi sembrerà di stare in una sauna). Una musica rilassante fa da sottofondo e ci accompagna durante gli scatti. Pochi metri oltre l’ingresso

una farfalla si è posata su una mia spalla, e poco più in là anche sul braccio di Giovanni.

E’ stato davvero emozionante vedere volteggiare due splen-dide e grandi farfalle azzurre (le più difficili da beccare…..non si fermavano quasi mai). Che meraviglia vedere quelle che sembrano delle foglie secche, od osservare quelle più

semplici da fotografare, che mangiavano da una pesca nello stadio iniziale di decomposizione. La zona delle crisalidi, delicatamente appese o posate su degli anelli, è uno dei suggestivi angoli da visitare. Serve un obbiettivo macro? E’ sicuramente estremamente utile, ed è l’ideale, in particolare se volete fotografare i dettagli, ma anche un tele, possibil-mente stabilizzato, e con una ridotta distanza di messa a fuoco, può essere sufficiente per ottenere delle buone foto. Maggiore sarà la lunghezza focale, maggiore sarà la distan-za a cui si potrà scattare, e , naturalmente, maggiori saranno le difficoltà.

La Casa delleFarfalleby Giuseppe Melishttps://giuseppemelis.wordpress.com/

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Canon EOS 1DsMkII + Sigma 180mm macro 800 ISO, 1/100sec, f/6.3

Attrezzatura usata:

Giuseppe: Canon EOS 1Ds MarkII + Sigma 180mm ma-cro Canon EOS 40D + Canon EF 70-200mm f/2.8 L IS II.

Giovanni: Canon EOS 7D + Canon EF 100mm f/2.8 ma-cro L IS.

Alessandro: Nikon D700 e Nikon D300 con 24-70mm f/2.8 e 70-200mm f/2.8.

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E’ difficile? Abbastanza, ma non bisogna scoraggiarsi se non si ottengono sempre buoni risultati; diverse farfalle non si posano quasi mai, o lo fanno solo per pochi secondi, ma ci sono anche dei soggetti semplici, come le farfalle che mangiano, ed alcune che stanno immobili per diversi minu-ti. Per fortuna ci sono anche delle raganelle dai colori vivaci e sgargianti, ferme tra le foglie delle piante, tra i fiori, o tra le canne.

La stanchezza si è fatta sentire presto, sia per il peso di macchine ed obbiettivi, che per il caldo umido, ma siccome siamo andati lì per divertirci, abbiamo resistito per un paio d’ore, pur di portare a casa delle belle immagini. Si può usare anche il cavalletto, ma è abbastanza fastidioso (io ho usato per un pò il Manfrotto 190, perchè con il 180mm è veramente difficile stare fermi e tenere la messa a fuoco, poi ho rinunciato ad avere un punto di appoggio, per potermi muovere più facilmente); la prossima volta proverò con un monopiede.

Dopo le prime foto, ho visto che i tempi di scatto, pur con

un diaframma di 5.6 o 6.3 (che sono già troppo aperti per ave-re una profondità di campo minima per avere buone pro-babilità di ottenere una messa a fuoco corretta) erano troppo lunghi per focali che usavo, ed ho portato gli ISO a inzial-mente a 640, e poi a 800 (me-glio eliminare un pò di rumore in post produzione che buttar via una foto mossa).

Nonostante questo non è stato facile evitare il mosso, anche se ho la mano abbastanza fer-ma, perchè i tempi di scatto erano tra 1/60 di secondo ed 1/200 (che è il tempo di scatto minimo teorico di sicurezza di con il 180mm macro Sig-ma). La situazione era un pò

più semplice con il 70-200 stabilizzato montato sulla EOS 40D, dato che tale obbiettivo è dotato del più avanzato e re-cente stabilizzatore in casa Canon; purtroppo però con tale obbiettivo, che ha una distanza minima di messa a fuoco di 1,20 metri (e non è quindi un vero macro) non potevo raggiungere il rapporto d’ingrandimento del Sigma. Nelle macro a mano libera, bisogna essere coscienti che al rientro bisognerà buttar via parecchie foto. La regola più impor-tante è quella di utilizzare un solo punto di messa a fuoco, rigorosamente puntato sugli occhi del soggetto.

E’ necessario fare più scatti, rimettendo a fuoco ogni volta e scattando appena si sente il bip di conferma dell’autofocus, perchè al momento, anche se voi non ve ne accorgete, state sicuramente oscillando in avanti o indietro (più probabil-mente in avanti), e con una profondità di campo di 4-5 mil-limetri, potete facilmente immaginare che la messa a fuoco finisca dagli occhi della farfalla, sui quali siete concentrai, sulle zampe o sulle ali.

Con una macchina compatta, per certi versi, le cose si fanno

più facili. La profondità di campo diventa estremamente più elevata, facilitando veramente tanto la messa a fuoco, ma rendendo direttamente percebili dall’osservatore, tanti altri elementi (foglie, dettagli inutili, …..).

Con tali fotocamere, oltre al rumore digitale che diventa evidente oltre i 200 ISO, si perde infatti una cosa estre-mamente importante, che è la qualità dello sfuocato, nor-malmente chiamato il “bokeh”. Il bokeh contribuisce così

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Canon EOS 1DsMkII + Sigma 180mm macro

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notevolmente allo stacco del soggetto dallo sfondo, da trasformare radicalmente una fotografia. Gli occhi dell’osservatore non si perdono su elementi di disturbo, e le dolci sfumature di colore dello sfondo contribuiscono a formare, unitamente ad un soggetto che deve invece assolutamen-te essere nitido e definito, una bella ma-crofotografia.

G. M.

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Cagliari, Acquedotto Romano - Esplorazione di un pozzo

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Cagliari, la nostra piccola città affacciata sul mediterraneo, nei millenni è stata porta dell’isola e come tale ha subito invasione e mutazioni importanti, sopra come sotto.

Sotto dove? Sotto le nostre strade oramai asfaltate. Dai Punici ai Romani, dai Pisani ai Catalani sino ad arrivare alla pioggia di bombe del ’43 il sottosuolo si modifica, si crea e si ricicla.

I punici, spaziano da una delle più maestose necropoli del mediterraneo alle semplici ma funzionali cisterne per la raccolta dell’acqua piovana.

Lo sfarzoso Impero Romano che per assecondare la sete d’acqua di un centro abitato popolatissimo, esteso da Santa Gilla all’attuale via Dante, mette in piedi un’opera titanica che porta nelle case e negli impianti termali l’acqua della sorgente di Caput Acquas a Villamassargia; oltre 40 km di condotte, che attraversano Cagliari a circa 10 metri di pro-fondità. Una città tanto vasta e ricca richiedeva abbondan-za di materie prime, prolificano quindi le cave di “pietra cantone” e “pietra forte” nel ventre dei colli della Karales.

La cronica mancanza d’acqua del nostro territorio e l’ab-bandono dell’acquedotto romano già da parecchi secoli, fa sì che nel medioevo cagliaritano, governato dai Pisani, si realizzino numerosi pozzi per attingere alla comune falda cagliaritana. Il più prezioso arrivato ai giorni nostri, quel-lo di San Pancrazio, vanta il titolo di pozzo artificiale più profondo d’Italia coi suoi 88 metri (dei quali, circa 10 d’ac-qua). Nascosto sotto il manto stradale di piazza Indipen-denza offre uno spettacolo assolutamente unico.

La città cambia ancora, con l’avvicendarsi dei dominatori e degli armamenti, i Catalani devono difendersi non più da

archi e frecce ma dai cannoni, le mura della città si abbas-sano e si irrobustiscono per resistere alle armi “da fuoco”. Nascono quindi gallerie che corrono sotto i palazzi del po-tere, della politica e della chiesa per spostare truppe e arma-menti da una parte all’altra delle mura.

Ma di tutto questo non si butta via nulla e quando nel 1943 sopra la città arriva la pioggia di bombe degli alleati per fortuna i luoghi dove rifugiarsi non mancano, non basteran-no, ma molti si salveranno la dentro, molti genitori e nonni dei giorni nostri ancora ricordano le corse, accompagnati dalle sirene d’avvertimento, dentro quelle “caverne”… la Galleria Rifugio Don Bosco, la Cava di Su Stiddiu, la Cava

della Frana, le cave dei Giardini Pubblici, e tante altre ed i ricoveri ospedalieri realizzati sotto roccia, il San Gior-gio (presso la ex clinica Aresu), il Carlo Felice (presso la croce rossa in v.le Merello) ed altri presidi mai entrati in funzione.

Le cave, in modo particolare, nei secoli hanno goduto di nuova vita, passando da “asettici” ambienti di risulta per l’estrazione di blocchi da costruzione, ad enormi riserve idriche sino a luoghi di “vita” sotto le bombe o di conserva-zione della “morte” quando utilizzati come ossari.

Ma in tutto questo io e la fotografia cosa centriamo?

CagliariSotterraneaby Marco Mattanahttp://www.marcomattana.com/

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Cagliari, aAquedotto romano - 10 metri sotto il c.so Vittorio Emanuele

Brocca del VI-VII sec rinvenuta a Cagliari nella cisterna di via Vittorio Veneto © Marco Mattana

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Rapito dalla speleologia da oltre un decennio, ma soprat-tutto da quei luoghi dove si respira forte la presenza umana che ne ha accompagnato la mutazione nei secoli, cerco di portare all’esterno l’emozione che si prova ogni volta at-traversandoli. E’ così che la mia D700 torna regolarmente a casa imbrattata di terra e con lei anche il 14-24, il più godurioso grandangolo mai prodotto ed il fidato e piccolo fisheye da 16mm.. l’unico in grado di piegare la roccia!

La luce fredda emessa dagli impianti a led dei caschi spe-leo lascia spazio a faretti alogeni auto-costruiti stagni e dal costo irrisorio, che sulla candida pietra cantone bruciano sempre troppo, ma sul pelo d’acqua di una cava allagata, lasciano a bocca aperta i fotografi più navigati.

E poi ci sono i momenti di follia, quando fai la scoperta o il ritrovamento, quell’eccitazione da speleologo-esploratore, quei giorni che ti senti “volevo fare l’archeologo”, che non capisci più nulla e in preda alla frenesia sali su un canotto bucato che fa le bolle sotto di te e si sgonfia più in fretta del previsto, sei in mezzo al “laghetto” nel sottosuolo di Piazza d’Armi, con una mano devi remare e con l’altra tieni 4000 euro di attrezzatura, ma quella foto non puoi perderla, non oggi. E così quando torni a casa è tutto al posto, giusto in quello scatto, il fuoco ok, esposta alla grande, con la mano ferma... Tutto perfetto ma, forse è arrivato il momento di prendere uno scafandro e così finisci per spendere altri due stipendi per portare a casa uno “scatolo di plastica” e due

flash nuovi per non rischiare l’infarto la prossima volta, a bordo di quel canotto bucato.

Questa è l’evoluzione della specie, quella specie di fotogra-fo-speleo-sub in cui mi sto tramutando.

M.M.

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Cagliari, Cava della Frana - importante lo stillicidio fino a pochi anni fa © Marco Mattana

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Cagliari, Cava della Frana - livelli di scavo e di crolli © Marco Mattana

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Cagliari, Cavità S’Avanzada - Sorregge il cemento armato della cittadella dei musei © MARCO MATTANA

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Cagliari, Cisterna nel quartiere di Stampace di origini e utilizzi ancora sconosciuti © MARCO MATTANA

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Cagliari, cisterna rinvenuta in via Vittorio Veneto in seguito ad un crollo del manto stradale © Marco Mattana

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Cagliari, galleria rifugio Don Bosco - la corsa al riparo al suono delle sirene © Marco Mattana Cagliari, Ospedale Carlo Felice - corridoio principale © Marco Mattana

Cagliari, Ospedale Carlo Felice - il silenzio © Marco Mattana Cagliari, Ospedale Carlo Felice - una delle sale di degenza © Marco Mattana

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Cagliari, ospedale San Giorgio - ex clinica Aresu © Marco Mattana Cagliari, ossario nella fossa di Santu Lemu - ex clinica Aresu © Marco Mattana

Cagliari, pozzo San Pancrazio - il più profondo d’Italia con 88 metri © Marco Mattana Cagliari, Su Stiddiu - celata sotto piazza d’Armi © Marco Mattana

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Cagliari, Su Stiddiu - esplorazione della parte riemersa © Marco Mattana

Cagliari, Su Stiddiu - le pavimentazioni risalenti agli ultimi utilizzi © Marco Mattana

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Cagliari, Su Stiddiu - sotto l’acqua ancora tracce della presenza umana con una cucina in a carbone © Marco Mattana

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L’Ardia di Sedilo © Giorgio Marturana

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L’avvento del digitale ha dato nuova linfa alla fotografia, oramai alla portata di tutti. Ma com’era prevedibile, la sua popolarità ha coinciso con una sovra-produzione di imma-gini che, col passare del tempo, rischiano di impoverire un’arte che per decenni ha emozionato milioni di persone.

Sarò sincero, anche io son figlio del digitale e per un certo periodo ho sofferto di scattite compulsiva. Non sapete cosa sia? Avete presente il momento in cui prendete in mano la vostra fotocamera e, senza star troppo a pensare, iniziate a fotografare tutto quello che capita? Bene, questo è il primo passo verso la sovra-produzione di cui vi parlavo. Quante di queste immagini avranno un reale significato? Quante ne utilizzerete? Quante saranno utili ai posteri? Pescando nel mucchio, sicuramente un paio interessanti ci saranno, ma se invece trovassimo un modo per limitare questa produzione esagerata e realizzare direttamente immagini “buone”? Po-trebbe essere il primo passo verso uno scatto consapevole e di qualità. Un po’ come all’era dell’analogico, quando ogni foto aveva un costo e prima di premere a fondo il pulsante, ci si pensava due volte.

Tempo fa, ho deciso di disintossicarmi e cercare un modo per incrementare le mie capacità di fotografo, ma soprattut-to diminuire il numero di immagini che riempiono i miei hard disk. Ho pensato che sarebbe stato utile far coincidere, ad ogni uscita fotografica, un esercizio volto a migliorare il mio modo di scattare. Detto in parole povere: mi son dato dei limiti! E ne ho beneficiato non poco.

Non importa quale sia il paletto che vi ponete. Potete sce-gliere un numero massimo di immagini, l’utilizzo di una sola ottica, la scelta di un filone logico che leghi uno scatto al successivo… Potete anche decidere di ripetere l’eserci-

zio più volte e mettere insieme alcuni dei paletti che vi siete posti alle uscite precedenti. Date libero sfogo alla vostra fantasia, ma fate di tutto per rispettare ciò che vi eravate prefissati. La prima volta avrete poche foto buone, col pas-sare del tempo aumenteranno ed arriverete al punto in cui ogni immagine sarà potenzialmen-te buona, ma voi sarete talmente esigenti che vorrete migliorare sempre di più.

Cercate di produrre “buone” foto, perché le belle son ormai alla por-tata di tutti. Ovviamente il tutto dev’essere accompagnato dallo studio! Leggete un buon libro, an-date al cinema o a teatro, entrate in una galleria d’arte o un museo, fatevi una chiacchierata coi vostri nonni… Ci son infiniti modi per accrescere il vostro bagaglio cul-turale e tradurlo in maniera foto-grafica, dovete solo trovare quello giusto per voi.

Di seguito qualche scatto realizza-to durante le mie sperimentazioni. Non è stato semplice rispettare i limiti, perché la voglia di scattare era tanta, ma ogni paletto mi ha obbligato a trovare delle alternative e ad aspettare la fotografia “buona”.

G.M.

Esercizi di stile:No limits?by Giorgio Marturana

http://www.giorgiomarturana.it/

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Ardia di Sedilo © Giorgio Marturana

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Ottana, Fuochi di Sant’Antonio © Giorgio Marturana

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Ottana, Fuochi di Sant’Antonio © Giorgio Marturana

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Giorgio Marturana è nato a Cagliari, ha 25 anni.

Fotografo professionista, si avvicina alla fotogra-fia durante gli studi di ingegneria incoraggiato anche dai primi riconoscimenti nei vari contest ai quali ha partecipato.

È fotografo certificato Google Maps Business View. Nel 2012 diventa socio Effezero e l’anno successivo gli viene riconosciuta la qualifica di socio senior.

Street photography in occasione a visita di Papa Francesco a Cagliari

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Francesco Cito dedica a EffeZero. © EFFEZERO

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Associazione Fotografica EFFEZERO

[email protected]

sede operativa:Cagliari, via Nervi - z.i. Elmas

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EFFEZEROOrganigramma e elenco soci (aggior. 19 marzo 2014)

Fondatori:

Giovanni Maciocco - presidente

Maurizio Cotza - segretario

Alessandro Cani - tesoriere

Stefano Mattana - consigliere

Stefano Sassu - consigliere

Cristiano Cani

Giuseppe Melis

Emanuele Aymerich

Soci senior:

Andrea Pinna

Bruno Olivieri

Andrea Tuveri

Antonio Crisponi

Marco Mattana

Giorgio Marturana

Antonio Falduto

Selene Farci

Soci ordinari:

Alessandro Cinus

Marcello Trois

Valentina Saba

Pierpaolo Arru

Maria Cristina Floris

Silvia Podda

Giulia Melis

Giovanni Cireddu

Elena Giordano

Stefania Ziantoni

Barbara Meloni

Valeria Lai

Cristiano Musa

Anna Maria Pirarba

Luca Carrogu

Cecilia Manconi

Antonio Cubeddu

Andrea Ledda

Venere Soddu

Alessandro Palmiero

Marco Corda

Massimiliano Spanu

Valentina Corona

Vinicio Cannas

Daniela Afonso

Michela Vacca

Davide Ledda

Cristina Ortu

Sergio Demontis

Luisa Piu

Paolo Coiana

Mauro Atzei

Sibiola Poddesu

Andrea Zuncheddu

Carlo Marmocchi

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M A G A Z I N E

Arrivederci al prossimo numero... © A

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