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EDUCARE O ISTRUIRE? – R. Massa EDUCAZIONE E VITA i problemi relativi all'educazione toccano direttamente ogni persona. Oggi ci si trova di fronte a progetti operativi ed elaborazioni teoriche che hanno completamente smarrito il significato reale di quei problemi. Nelle istituzioni scolastiche c'è una didattica fortemente intellettualistica in cui si ignora l'esigenza educativa più concreta del bambino e dell'adolescente. Il mondo della cultura sfrutta l'interesse per i problemi educativi ma si rifiuta di riportarli a ciò che hanno in comune, e li dissolve entro questioni di altro tipo. Al di fuori della scuola non esiste altro spazio per la formazione dell'individuo e dei gruppi sociali. È l'idea stessa di educazione ad essere sostanzialmente rifiutata. Ci sono stati dei grandi mutamenti culturali e sociali strettamente connesse alle questioni educative sopra riportate, ma esse non hanno trovato un loro ambito peculiare. Occorre perciò denunciare l'insufficienza dei discorsi delle pratiche attuali intorno all'educazione. Si deve anche smascherare l'incapacità dei cultori di discipline esterne alla pedagogia nel dare un contributo positivo per la scoperta di questa dimensione. Bisogna analizzare concettualmente le confusioni ed i fraintendimenti che stanno alla base di una rimozione e di una incapacità siffatte, cercare di comprendere le ragioni ed i motivi di essa. Vi è l'esigenza di considerare i problemi materiali dell'educazione nel loro insieme ed in quanto tali. Vuol dire potere riparlare di educazione proprio in quanto venga denunciata al tempo stesso la fine della pedagogia nella cultura contemporanea e la situazione di latenza che ciò comporta. La determinazione del modo di essere dell'uomo attraverso la sua esperienza, e le pratiche volte a produrre una determinazione siffatta, costituiscono qualcosa su cui si preferisce tacere e non operare, occupandosi solamente di istruzione o di formazione. La pedagogia, in quanto elaborazione teorica degli eventi e degli interventi educativi, è completamente squalificata. C'è un pregiudizio e un accanimento contro le idee di educazione e di pedagogia in quanto una volta svelatane le implicazioni 1

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EDUCARE O ISTRUIRE? – R. Massa

EDUCAZIONE E VITA

i problemi relativi all'educazione toccano direttamente ogni persona. Oggi ci si trova di fronte a progetti operativi ed elaborazioni teoriche che hanno completamente smarrito il significato reale di quei problemi. Nelle istituzioni scolastiche c'è una didattica fortemente intellettualistica in cui si ignora l'esigenza educativa più concreta del bambino e dell'adolescente.Il mondo della cultura sfrutta l'interesse per i problemi educativi ma si rifiuta di riportarli a ciò che hanno in comune, e li dissolve entro questioni di altro tipo.Al di fuori della scuola non esiste altro spazio per la formazione dell'individuo e dei gruppi sociali. È l'idea stessa di educazione ad essere sostanzialmente rifiutata.Ci sono stati dei grandi mutamenti culturali e sociali strettamente connesse alle questioni educative sopra riportate, ma esse non hanno trovato un loro ambito peculiare. Occorre perciò denunciare l'insufficienza dei discorsi delle pratiche attuali intorno all'educazione. Si deve anche smascherare l'incapacità dei cultori di discipline esterne alla pedagogia nel dare un contributo positivo per la scoperta di questa dimensione. Bisogna analizzare concettualmente le confusioni ed i fraintendimenti che stanno alla base di una rimozione e di una incapacità siffatte, cercare di comprendere le ragioni ed i motivi di essa. Vi è l'esigenza di considerare i problemi materiali dell'educazione nel loro insieme ed in quanto tali. Vuol dire potere riparlare di educazione proprio in quanto venga denunciata al tempo stesso la fine della pedagogia nella cultura contemporanea e la situazione di latenza che ciò comporta.

La determinazione del modo di essere dell'uomo attraverso la sua esperienza, e le pratiche volte a produrre una determinazione siffatta, costituiscono qualcosa su cui si preferisce tacere e non operare, occupandosi solamente di istruzione o di formazione. La pedagogia, in quanto elaborazione teorica degli eventi e degli interventi educativi, è completamente squalificata.C'è un pregiudizio e un accanimento contro le idee di educazione e di pedagogia in quanto una volta svelatane le implicazioni erotiche e di potere, rappresentano qualcosa di troppo sgradevole e imbarazzante per essere tematizzate come tali.Solo la cultura religiosa continua ad occuparsi in blocco e senza reticenze di educazione e di pedagogia. Ma in modo così smaccatamente moraleggiante, e di livello culturale sovente così inferiore rispetto agli altri settori di essa, da giustificare ulteriormente sia il pregiudizio antipedagogico, sia il sospetto che vi è qualcosa di cui bisogna nascondersi l'essenza; da mascherare in tale maniera agli occhi della cultura laica, ed anche a se medesima, la propria efficacia educativa.La forza dei condizionamenti educativi, l'inconsistenza culturale del discorso pedagogico motivano il rifiuto dell'educazione: l'educazione è diventata il regno dell'ovvio, la pedagogia è stata ridotta a qualcosa di meramente residuale.I problemi educativi si configurano anzitutto come un ambito di chiacchiere da parte del senso comune, di intrusioni strumentali ed estetizzanti dei vari sapere istituiti, di scorribande furbesche dei più diversi interessi organizzati.L'educazione come struttura profonda da cui si è agiti non viene allora più neanche pensata nella sua specificità, né tanto meno può essere designata alcuna ipotesi operativa di qualche validità. È dunque nella cultura contemporanea qualcosa di non detto e di latente, che non può più essere concepito e progettato, profferito e tramato. Qualcosa che nella stessa effettualità inconscia e inintenzionale non si riesce a legittimare.Va anche denunciata l'inadeguatezza della filosofia e delle scienze umane rispetto alla comprensione e alla conoscenza degli eventi educativi. Anziché cercare di essere all'altezza di

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sostituirsi alla pedagogia, la filosofia e le scienze umane non riescono nemmeno a elaborare un loro proprio sapere intorno alla specificità dell'accadere e educativo. Appunto perché una simile specificità sarebbe invece oggetto della pedagogia.La cultura tradizionale è stata capace di pensare l'educazione solamente nei termini di educazione "buona". Ma la cultura contemporanea è incapace del tutto di pensare l'educazione se non come formazione specializzata rispondente ad esigenze di utilità sociale o come repressione, e cioè in quest'ultimo caso come una educazione cattiva.La nozione di pedagogia all'interno di questa rinnovata anche pedagogia libertaria, diventa una metafora puramente nominale di significato spregiativo, anche da parte di alcuni pedagogisti, a preteso vantaggio di una didattica angusta e fallace, o di una sociologia della cultura piuttosto pretenziosa.Si assiste all'emergenza di una accentuata incapacità di trattamento educativo da parte della scuola. ha provocato l'insufficienza della didattica scolastica proprio in ordine ai suoi confini più peculiari di natura istituzionale. La famiglia è rimasta da sola a fronteggiare i problemi di natura educazionale. Tutto ciò è avvenuto perché la pedagogia è stata ed è tuttora incapace di auto-comprendersi e di realizzarsi se non come ricerca multidisciplinare e come sintesi applicativa. Un campo privo di qualsiasi specificità e più isterica, il cui elemento organizzatore continua ad essere una ostinata inflessione auspica attiva e dolciastra.Educazione e pedagogia hanno dato luogo ad un insieme pratico-discorsivo che paga il prezzo di aver dovuto troppo direttamente contaminare teoria pedagogica e prassi educativa, e di conseguenza del non aver saputo alimentarle reciprocamente.Proprio nel momento in cui la fine della pedagogia e l'oblio dell'educazione appaiono giunti al loro apice, è forse possibile scoprire per la prima volta il significato interpretativo che si annida nella pedagogia come analisi fenomenologica e strutturale di una regione profonda dell'esperienza umana da essa stessa occultata, e che mette radicalmente in crisi i modelli di conoscenza e di azione delle scienze umane e del senso comune. È in questa messa in crisi che consiste infatti, intrecciato col carattere sgradevole ed impuro dell'educazione e con la sua vicinanza al potere, il motivo fondamentale del misconoscimento operato dalle scienze umane, dagli insegnanti e dagli educatori nei riguardi della pedagogia. Tutto questo rinvia per prima cosa al rilievo ed all'emergenza esistenziali dell'educazione, alla sua specificità ed al suo rapporto con la vita, e cioè alla sua materialità. Di fronte a questa materialità bisogna continuare a chiedersi se l'educazione sia possibile o impossibile, inutile o superflua, buona o cattiva! Risulti o meno impossibile di mestiere di educatore. Essa è comunque nel contempo un dato di realtà e un compito necessario.

Educazione è un dispositivo. Essa consiste cioè in un insieme strutturato di componenti dimensionali che svolge una propria azione rispetto a molteplici livelli di riferimento. L'educazione è un dispositivo complesso la cui efficacia risulta presente nell'ambito di ciascuno di tali livelli e delle loro dimensioni fondamentali, nell'ambito della interdipendenza di essi, e nell'ambito della propria struttura specifica e peculiare. È in questo senso che l'educazione si qualifica inoltre come una dimensione fondamentale della realtà.Educazione come: dispositivo esistenziale: dimensioni corrispondenti all'accadere educativo. È l'educazione in

quanto dispositivo di Intersoggettività e di trascendimento che fa assumere all'esistenza il carattere di progetto e di intenzionalità. L'educazione colloca se stessa e l'esistenza umana in un alternarsi di noia e di entusiasmi, di squallore e di vitalità, di risentimento e di rivalsa, di quotidianità e di esperienze eccezionali, di scelta e di disperazione di essere se stessi; facendo dipendere da se stessa la qualità della vita come concretamente vissuta da un individuo determinato nella sua soggettività, nella sua alienazione e nella sua riappropriazione.

Dispositivo funzionale: rende possibile l'incontro tra dimensioni che solitamente vengono studiate come a sé stanti o come direttamente agenti l'una sull'altra. L'educazione che assegna all'esistenza la sua concreta datità. È per il tramite dell'educazione come dispositivo

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comprensivo di ognuna di esse, in quanto dispositivo di interazione funzionale tra di esse, che avviene il passaggio tra natura e cultura, e lo svolgimento della storia. La dinamica del dispositivo educativo in quanto dispositivo funzionale è dunque la dinamica che rende concretamente agenti l'incrocio e la compenetrazione di fattori diversi nei termini di una dinamica psico-sociale, e cioè di una dinamica educativa. In ciò consiste la funzione primaria dell'educazione: realizzare il funzionamento di una dinamica di aspettativa e di accettazione, di immagine di se e di percezione degli altri, di identità e di adeguatezza, di acquisizione di ruoli e di modelli. Insomma di connessione tra segno e significato.

Dispositivo transazionale: istituisce relazioni tali fra i termini in gioco da rendere impossibile il considerarli separatamente al di fuori di esse, e che realizzano attraverso di esse l'accadere educativo. La sua configurazione è processuale e sistemica. L'emergenza di una strutturazione sincronica e diacronica non riduce a singoli momenti od ad aspetti isolati dell'accadere educativo, ma tale da ottenere il proprio riconoscimento di dispositivo educativo non derivante da dispositivi di altro tipo, e che rende anzi possibile ogni altra relazione transazionale.

Dispositivo inconscio: (scoperto dalla psicanalisi) nell'esperienza del educare, dell'essere educati e dell'educarsi sono sempre agenti una dimensione generativa (in quanto derivante da pulsioni lipidiche) e una distruttiva (in quanto derivante da pulsioni aggressive), conflittuale (e quindi ansiogena), riparatoria (quindi terapeutica), oltre che in particolare seduttiva, fantasmatica e transferale. Quell'educazione svela il suo volto di possessione e di perversione, di rinvio a fantasmi e a metafore di abuso pedagogico dei meccanismi di difesa e delle ansie adolescenziali. Tutto ciò può essere rotto solamente da una mediazione esterna. Il compito educativo esibisce, nel porsi a livello inconscio, la propria irriducibilità riguardo a fenomeni di altro tipo. L’educazione si riafferma come un'esperienza ineliminabile di piacere e di sofferenza, di passione e di desiderio.

Dispositivo ideologico: cioè di falsa coscienza oltre che di produzione spirituale. Qui troviamo la dimensione valoriale o etica dell'educazione, quella di fondazione religiosa, quella di legittimazione estetica, quella di giustificazione politica. Dispositivo ideologico vuol dire, anziché illudersi di poterne vanificare lo spessore fattuale e l'efficacia effettuale, enfatizzando e sottovalutando nel medesimo tempo le dimissioni varie su cui si viene a fondare di volta in volta la sua intenzionalità in senso lato, discendere dalla sua dimensione materiale relativa ad interessi socialmente ed economicamente determinati. La sua essenza è di potere volto alla trasmissione di modelli interpretativi e comportamentali.

Dispositivo progettuale: dimensione finalizzata (all'acquisizione di abitudini, nozioni, competenze, capacità, comportamenti o atteggiamenti), situazionale, procedurale, organizzativa, realizzativa, valutazionale. È un dispositivo di modificazione e di controllo rispetto alla interazione funzionale di fattori diversi, con una definizione rigorosa di obiettivi e di contenuti, in rapporto a condizioni e strumenti determinati, attraverso un impegno di programmazione e l'apprestamento di un curriculo.

Dispositivo metodologico: non riducibile a singole finalità e a singole procedure; teso a realizzare di esse non una mera giustapposizione di tipo sommatoria, ma una strutturazione dialettica e funzionale. Con metodologia educativa si intende l'intreccio di procedure, tecniche, strumenti, mezzi secondo una trama unitaria. La centralità di tutto ciò sono i piani di successione e di contestualità.

Dispositivo pragmatico: rimanda alla dimensione esperienziale. Esibisce un livello più specifico di fattualità a cui deve quindi mirare la progettazione di qualunque dispositivo metodologico. C'è imbarazzo per un ruolo come quello di educatore che richiede di realizzarsi professionalmente attraverso un diretto coinvolgimento esperienziale. Il rapporto educativo si differenzia infatti da altri tipi di rapporto in quanto ricade all'interno di una esperienza agita, per produrre la quale la pedagogia si qualifica come teoria dell'azione. Ma non per questo ne deriva un appiattimento dell'educazione nella struttura di qualunque azione in generale, di qualche altra azione in particolare, o di qualunque tipo di esperienza, siano o non siano caratterizzate da una

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qualche intenzione educativa. Emerge qui un'altra dimensione costitutiva dell'educazione come pragma, e cioè la sua dimensione finzionale. L'esperienza educativa è sì una esperienza reale, ma a cui si accompagna un carattere di finzione e di artificiosità rispetto allo scorrimento diffuso della vita reale medesima.

In educazione sono centrali le forme del gioco, dell'avventura, del lavoro e del gruppo: quindi la rappresentazione, lo svolgimento di una prassi oggettiva all'interno di una situazione di comunità. L'adolescenza costituisce un oggetto pedagogico particolarmente rivelatore; e perché l'intreccio e la effettualità di esperienze, finzioni, relazioni, prescrizioni e motivazioni, manifestazioni espressive, iniziazioni e transizione, sono resi possibili solo per il tramite di un dispositivo educativo di natura pragmatica, al tempo stesso in cui ne determinano una natura siffatta.

Tutto questo non sembra ancora però sufficiente a specificare anche in senso proprio l'educazione come un dato fattuale, solo facendolo si potrà differenziare pienamente l'educazione da tutte le altre esperienze vitali. Quindi possiamo affermare che l'educazione è anche: dispositivo strutturale: la dimensione spaziale, quella temporale, quella corporale, e quella

simbolica di qualunque esperienza umana risultano appunto strutturate materialmente come dispositivo specifico. Come ciò che determina l'educazione nel suo accadere specifico. L'educazione è socialmente determinata, questa determinazione non è diretta ma avviene per il tramite della struttura procedurale, metodologica ed esperienziale. È dal tipo di strutturazione dello spazio, del tempo, della corporeità e della simbolizzazione, dell'esposizione ad essere che dipende l'efficacia dell'educazione.

(Ognuno di questi dispositivi è in realtà uno stesso dispositivo che può essere considerato da diversi livelli di riferimento, e che in quanto dispositivo può essere spiegato soltanto perché esso rinvia sempre ad uno stesso reticolo ed ad uno stesso ordine, dotato di regole proprie e di un proprio regime, di propri livelli di determinazione e di autoregolazione, i cui elementi strutturali sono appunto quelli dello spazio, del tempo, del corpo e del simbolo. È questa la struttura impersonale, elementare, inconsapevole che occorre studiare come oggetto pedagogico, e a cui riferire la costruzione di un setting educativo).

Formazione indica il fatto educativo come effettuale e intenzionale. Possiamo intenderla in due maniere diverse :

1. un processo unitario in cui si attua qualcosa che sin dall'inizio si trovava "in potenza". 2. accentua il significato di esito perseguito da una progettualità intenzionale in senso stretto e

volta ad obiettivi specifici di produttività. tesa verso obiettivi e contenuti che siano invece singoli e differenziati, il cui raggiungimento e la cui acquisizione possano essere oggettivamente verificati (prettamente aziendale).

Se fosse possibile parlare oggi di una nuova pedagogia essa sarebbe quella specie di tecnologia dell'operare formativo cui si rifanno le pratiche della formazione in campo aziendale ed extra scolastico. Ma essa discende per lo più da fattori a loro esterni relativi al contesto di appartenenza. Perché tale efficacia possa realizzarsi come più sostanziale, cioè interna ad un setting formativo, è necessaria un'adeguata teoria operativa.

Formare, formarsi ed essere formati stanno a indicare qualcosa in cui l'educazione viene considerata come un insieme di effetti ed un insieme di attività finalizzate. La contrapposizione tra educare o istruire tipica del momento presente, risulta incapaci di dare conto della materialità di cui sono portatrici le varie attività formative istituzionalizzate, dentro o fuori la scuola che si vengano a dare. descritta attraverso i costrutti elaborati dalle scienze umane.FORMAZIONE:

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formazione dell'uomo= processo di apprendimento relativo al sistema della personalità (per la psicologia) processo di socializzazione relativo al sistema delle società (per la sociologia), processo di inculturazione relativo al sistema della cultura (per l'antropologia).

Formare significa riuscire a fare interiorizzare qualcosa. Formarsi significa che qualcosa sta diventando parte di sé pratiche di formazione: attività rivestite di una specifica effettualità formativa, che si estendono

in diversi luoghi, momenti, istituzioni e contesti. La formazione è stata vista come assistenza e allevamento, addomesticamento e cura, governo e

istituzione, direzione e orientamento, animazione e insegnamento. La sua intenzionalità mira a scopi differenti, molteplici, alcuni dichiarati alcuni latenti:

repressione e adattamento, normalizzazione e guarigione, ammaestramento o indottrinamento, addestramento o allenamento, apprendistato o preparazione, riqualificazione e sviluppo.

ridurre il tutto ad una opzione tra istruire e educare risulta illusorio poiché è comunque nell'ambito di tutti quegli inseguimenti che viene a svolgersi l'educazione come accadere materiale, sociale ed esistenziale e che risulta sia possibile, sia necessario condurre attività specifiche di istruzione. È però possibile un'analisi che permetta di scomporre i concetti in profondità, distinguendoli criticamente gli uni dagli altri.

La specificità delle attività di formazione si manifesta soprattutto nelle sue procedure. Ci sono delle metodiche dell'operare formativo:

1. La connessione tra le pratiche educative e le grandi istituzioni assistenziali, psichiatriche, sanitarie, minorili, militari, carcerarie, si evidenzia nella persistenza di procedure che possono venire qualificate con la denominazione di metodiche volontaristiche: la disciplina, l'ordine, l'autorità, l'abitudine, l'uniforme, la tradizione, la meditazione, l'esempio, la sorveglianza, il controllo, il premio, la punizione, il senso di appartenenza, la prova, il monitoraggio.

2. La scuola utilizza metodiche intellettualistiche che per poter essere accettate subito dall'allievo utilizzano procedure di costrizione o di emulazione, e si articolano poi nella presentazione della materia, nella spiegazione, in una fase di esemplificazione e di chiarificazione, assegnazione di compiti, richiesta di una prestazione, interrogazione, correzione, misurazione e valutazione dei risultati, sanzione di essi, e quindi poi in una fase di ripetizione, di revisione e di individualizzazione.

Si dice: istruire, poi educare, o formare. E per far ciò è necessario sempre comunicare. Ma con quale intento e in che modo? Dichiarazione, persuasione, suggestione, richiesta, sollecitazione, comando, assicurazione, incoraggiamento, promessa di minaccia, suggerimento, raccomandazione, obbligazione, approvazione o disapprovazione, contraddizione, provocazione, umiliazione. Questi sono gli intenti che mira a realizzare la comunicazione educativa. Ma nella sostanza formare vuol dire essere coinvolti concretamente entro un simile universo comunicativo.

Gli oggetti di tali attività sono: virtù e carattere, gusto e buone maniere, intelligenza e conoscenza, principi e discernimento, sentimenti e condotta, corpo e anima. Tali oggetti possono essere riformulati più modernamente da una pedagogia capace di istituirsi come scientifica ma non possono essere censurate dal discorso pedagogico odierno come qualcosa che non gli compete, in quanto discorso autoriducententesi ad una tecnica di istruzione cognitiva. Anche perché è l'istruzione stessa a incontrare tali oggetti e ad essere da loro richiesta.

Le attività sono: culto e lezione, studio e lavoro, attività espressive e gioco, ricreazione e uscite, visite e cerimonie.

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Le funzioni sono: riproduzione biologica, prevenzione, controllo sociale, sottomissione, consenso, partecipazione, integrazione, differenziazione, selezione, sfruttamento e emancipazione, l'innovazione o cambiamento.

Le giustificazioni sono: successo, utilità, felicità, salvezza, liberazione, perfezione, docilità, autonomia, sapere, spirito critico.

Le motivazioni consce o inconsce sono: interesse economico o ruolo istituzionale, filantropia sociale o militanza politica, credenza religiosa o compensazione emotiva, investimento affettivo, coinvolgimento esistenziale o piacere estetico.

EDUCAZIONE E ISTRUZIONE

Maragliano e Vertecchi: primato dell'istruzione e della didattica, critica dell'educazione e della pedagogia.Frabboni e Laporta: sostiene il primato dell'istruzione.In entrambi i casi si nota la contrapposizione tra istruire e educare: ovviamente a vantaggio del istruire.

Il primo gruppo di qualificazione sta per lo più all'origine del pregiudizio di quegli autori in particolare contro l'educazione. L'istruzione è passibile di conoscenza scientifica, l'educazione è soltanto il dominio di una proiezione ideologica. Infatti l'istruzione può essere spiegata sotto forma di leggi cioè in forma nomotetica, mentre educazione rinvia alla comprensione ideografica di singole situazioni particolari.I processi formativi vanno considerati come un campo di ricerca; l'educazione a differenza dell'istruzione, risulta essere il campo privilegiato di una teorizzazione astratta e inconcludente.

Istruzione Educazioneè necessariaavanza secondo una linea illuministicaconcezione positivistica ed empiristica anche per i processi formativiistanze di tipo razionaleintellettualismo e oggettività

si abbandona alla confusione del casoretaggio romanticodottrine idealistiche e spiritualistiche

istanze irrazionalivolontarismo e soggettività

fallacia filosofica: acriticità con cui si riporta ad implicazioni idealistiche, spiritualistiche ed e razionalistiche qualunque filosofia non faccia proprio un quadro categoriale rigidamente positivistico.

Le qualificazioni di ordine dottrinale riguardano soprattutto la svalutazione delle teorie che si soffermano sul campo affettivo e su quello degli atteggiamenti, rispetto alle dottrine che si incentrano esclusivamente su quello cognitivo e su quello dei comportamenti. Così non si dovrà parlare di relazione ma sempre e soltanto di comunicazione. Inoltre parlare di istruzione anziché di educazione consente una definitiva messa da parte di ogni teoria critica della società, poiché ad occuparsi degli altri aspetti sarà sufficiente un qualche tipo di psicologia sociale o di micro sociologia.Fallacia dottrinale: rimuovere ogni paradigma teorico non riconducibile entro i confini precisi e rassicuranti del comportamentismo o del cognitivismo.

Istruzione Educazioneattiene alla laicità è intrisa di religiosità

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è pluralisticarisponde alle esigenze di modernitàpareggio dell'efficientismotende all'innovazioneappresta progettiesalta l'individualità e la competitività

è integralisticavagheggia una qualche utopia restauratricepecca di moralismotende alla staticitàsi limita a soddisfare i bisognienfatizza nostalgie comunitarie e di cooperazione

fallacia ideologica di carattere surrettizio: l'idea di educazione che implica per sua propria necessità una qualificazione religiosa, integralistica, statica, utopica e moralista.

A livello psico-pedagogico le ragioni del istruire acquistano maggiore concretezza.

Istruzione Educazionepotere assoluto di condizionamento positivo

assicura alla didattica piena autonomia e indipendenzafa riferimento a obiettivi, contenuti, tecniche e verifiche ben definiti

presuppone facoltà innate di cui assicurare lo svolgimentodeterminismo naturalistico o sociale

parla genericamente di finalità e di attività, utilizza nozioni troppo rigide (es. nozione di metodo educativo) o troppo seriose (es. motivazione)

non più di metodologia educativa ma di curriculo, non più di globalità ma di sequenzialità, non più di ramificazione dei percorsi didattici ma di linearità, non più di interdisciplinarietà ma di nuovo di discipline ben distinte ci si dovrà una volta per tutte occupare se si vuole che la scuola adempia ai suoi compiti specifici; i quali sono relativi ad un effettivo apprendimento.L'istruzione permette di archiviare definitivamente l'attivismo (= imparare qualcosa di importante attraverso l'esperienza attiva) e ripropone il mentalismo attento ai meccanismi intrinseci del pensiero.Occorre dimenticare Rousseau ed il purocentrismo, riaffermando un adultismo che si faccia garante del diritto di ogni bambino di sviluppare l'uomo che è in lui.Non più pertanto un pedagogismo incentrato sull'identità e le caratteristiche psicologiche del soggetto che deve apprendere, ma un didattismo che enfatizza i contenuti dell'insegnamento e le sue strategie, il solo cioè in grado di realizzare una didattica forte come la didattica tradizionale.Fallacia psico-pedagogica di inadeguatezza: illusione pedagogica che tende a sopravvalutare l'efficacia di una didattica docimologica; a sottovalutare il contributo che potrebbero dare altre strategie metodologiche.Missionarismo o professionalità, artisticità o tecnicità, sentimento o ragione, creatività o programmazione, spontaneità o routine, genericità o concretezza, solitudine o organizzazione. Il primo termine è proprio di chi vuol essere un educatore ed è sempre negativo, il secondo termine è proprio di chi si limita ad istruire, è sempre positivo.Fallacia di superficialità in ordine alla professione di insegnante: squalifica non solo dimensioni fondamentali di essa ma anche qualunque altro tipo di professionalità educativa, dentro fuori la scuola che sia.

Istruzione Educazioneè per una effettiva uguaglianzaè democratica e progressistaconcepisce la scuola come istituzioneafferisce al pubblico aspira a prassi di riformismo

è per la diversitàintrisa di conservatorismoscuola concepita come servizioafferisce al privatoaspira a prassi rivoluzionarie

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fallacia politica: debolezza delle proprie pretese qualificazioni, anche se considerate soltanto in ordine ad un progressismo riformistico.Fallacia di confusività: per quanto concerne le pretese qualificazione di ordine culturale: l'educazione è la celebrazione della natura, dei valori, della tradizione, dell'umanesimo, del formalismo rispetto ai fini, della totalità, della generalità, delle credenze, dei codici non verbali, dell'informale rispetto ai contenuti, dell'ambiente di appartenenza, della società diffusa, della vita immediata, dei cosiddetti sentieri caldi; l'istruzione si fa carico della cultura come di un insieme di strumenti di un compito di progresso, di una preparazione alle tecnologie più avanzate, di realismo rispetto ai fini, di molteplicità degli apporti formativi, di specificità della scuola, di criticità, di linguaggio verbale, del formale rispetto ai contenuti, della formazione come qualcosa di distinto da sociale, quindi dell'educazione come distinta dalla vita, delle necessità di sviluppo di una società industriale avanzata, ed in particolare dei cosiddetti sentieri freddi. È tutto da dimostrare che l'educazione non può essere un fatto di cultura, che debba necessariamente risultare una parata di valori, che la costitutiva specificità dei processi di formazione rispetto alla vita immediata ed alla società diffusa esiga di separarsi nettamente da esse. C'è qui una confusione tra cultura e formazione, tra valore e educazione, che ancora una volta risulta fallace e surrettizia.

Il primato dell'educazione però finisce con il legittimare il ritorno ai vecchi metodi nozionistici, il non tenere in conto i problemi dei singoli ragazzi, il rimuovere le loro difficoltà scolastiche conforme al vitale di selezione, di ridurre la didattica a un tecnicismo stereotipato ed inconsistente.

A fronte dell'impegno di numerosi pedagogisti ed insegnanti nel voler svecchiare e riqualificare la scuola ci sono una pubblicistica ed un apparato didattico di secondo rango, che nel nome del primato dell'istruzione fanno proprio un certo oltranzismo antipedagogico di bassa lega. C'è anche il rischio di una certa arroganza alla quale sono come incoraggiati i vari esperti disciplinari di turno a non occuparsi di aspetti psico-sociali troppo complessi, ma che si preferisce limitare appunto alla sola istruzione.C'è una sconcertante disponibilità a far colludere una qualunque competenza pedagogica con qualche applicazione didattica, insomma a pedagogizzare ogni cosa. C'è il rischio di risolvere la problematica educativa in uno scolasticismo angusto ed esclusivo.C'è una certa equivocità e insufficienza nella antinomia in quanto tale tra l'educare e istruire. Fallacia tecnicistico, positivistico, intellettualistico: non si vuole sottovalutare il momento tecnico in educazione, né quello culturale, né quello del suo controllo oggettivo. Ma il loro restringimento ai soli obiettivi cognitivi, la loro accezione epistemologica troppo restrittiva può essere un rischio. C'è la necessità di una rottura dialettica sia del paradigma istituzionale e positivistico, sia di quello educazionale e spiritualistico, in quanto sono entrambe due collocazioni artritiche che si alimentano a vicenda. In questa rottura dialettica i significati positivi presenti nei termini opposti non devono andare persi ne devono venire sintetizzati, ma essere superati e sostituiti all'interno di un paradigma materialistico. Solo nell'ambito di esso sarà davvero possibile legittimare l'istruzione come modalità di oggettivazione comportamentale, sullo scenario dell'educazione come contesto e come struttura profonda di essa; che definendone quindi criticamente i vari ordini di qualificazione, ed i rispettivi modelli epistemologici relativamente ai meccanismi della formazione.L'educare e istruire possono essere pensati criticamente soltanto entro la materialità di una strutturazione d'ordine. Altrimenti la loro relazione può essere vista semplicemente come un rapporto di contrapposizione, in particolare riguardo agli obiettivi formativi: educare e non istruire, oppure istruire e non educare. O riguardo ai contenuti formativi: educare e istruire. o in rapporto ai metodi formativi: educare per istruire, o istruire per educare. O come verifiche formative: istruire e educando, oppure educare istruendo. Solo una strutturazione d'ordine che chiama invece in causa il quadro epistemologico di riferimento consente di superare le declinazioni a vantaggio dell'uno o dell'altro termine che sono implicite nelle configurazioni precedenti. Essa comporta che l’istruire si

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collochi nell'educare, e che con l'istruire si realizzino procedure di effetti che rimandano l'educazione medesima.

Il primato dell'istruzione allora costituisce nient'altro che un certo modo di intendere l'educazione entro un quadro epistemologico che non sa rendere conto di essa. Il paradigma materialistico concepisce educazione come condizionalità storica, sociale e culturale del modo di essere dell'individuo in tutte le sue componenti strutturali, attraverso un intento politico dichiarato di determinazione pedagogica metodologicamente organizzata.

Che rapporto c'era tra istruzione e formazione? La formazione ha avuto grande diffusione in campo aziendale, ciò finisce con il mettere a sua volta in crisi il primato dell'istruzione. La relazione tra istruzione formazione può essere compresa ed espressa soltanto all'interno dell'educazione come struttura fondante. L'istruzione e la sua incapacità di autodefinirsi concettualmente maniera fondata a rendere facilmente possibile un disinganno risolutorio nei confronti della sua attuale egemonia.

Traversari afferma che l'educare rinvia al portare via da una struttura che è la natura. L'istruire si immette in una struttura con cui si può strutturare l'individuo, che alla cultura come insieme di tecniche socialmente oggettivante. Ma ciò a sua volta rinvia l'educazione come al portare ad una struttura interiore, che è la struttura di personalità. Il movimento nel suo insieme rinvia l'educazione come struttura latente i cui elementi rendono possibile la materialità di esso, e cioè il corpo, lo spazio, il tempo, il linguaggio e la loro specifica configurazione pedagogica.

Si può definire su questa base l'istruzione come una regione strutturale della struttura, relativa all'immissione e alla acquisizione di nazioni, abilità, condotte, e soprattutto di schemi comportamentali e di modelli epistemici.La nozione di istruzione è un concetto specifico ma non dirimente rispetto ciò che gli si vorrebbe fare dirimere, come la finalizzazione ad aspetti cognitivi piuttosto che affettivi, la sua appartenenza ad un campo di scientificità anziché ad una qualche ideologia, le sue implicazioni progressiste anziché conservatrici, la sua efficacia formativa a fronte delle velleità valoriali. Tale dirimenza chiama in causa un altro tipo di movimento, quello dell'educare e dell’educere.Su questa base definiamo educazione come una struttura complessa, che rinvia però ad una struttura più elementare che agisce ad un tempo nel determinare le condizioni di materialità della strutturazione istituzionale. L'educazione come struttura complessa concerne la strutturazione stabile e regolativa di modi di essere, di pensare, di agire, di fare, di valutare e di sentire nel loro insieme, e quindi anche di motivazioni, interessi e atteggiamenti, non definibili soltanto attraverso oggettivazione comportamentistiche, ma non per questo non passibili di una determinazione rigorosa da un punto di vista teorico e osservativo, qualitativo e quantitativo, clinico e sperimentale, anche rispetto ad obiettivi, contenuti, metodi e verifiche di essa. L'educazione si occupa dunque della configurazione organicistica e della dinamica genetica di disposizioni, caratteristiche, forme di comportamento e di operatività, ma anche di contenuti culturali di ruoli sociali. L'educazione può assumersi la responsabilità di preoccuparsi costantemente della qualità della vita e dell'esperienza dei soggetti su cui agisce, tentando di migliorarla e di elevarla materialmente. Può assumersi cioè le sue responsabilità politiche e culturali. Detto ciò va sottolineato che se dunque l’e-ducere è anche uno strutturare, esso può fare questo soltanto attraverso un in-struere. Questo rende possibile una solidarietà strutturale che è appunto la struttura complessa del movimento educativo, e quel elementare del dispositivo di esso. va sempre ricordato che il movimento verso una struttura educante, attraverso una struttura istruente, richiede il portare via da un'altra struttura agente, quella della natura.Educare significa quindi, per prima cosa, de-strutturare, e la struttura dell'educazione si rivela così come la struttura di una destrutturazione. È solo così che risulta poi possibile in-struire, ed è per questo che l'istruzione rinvia poi sempre ad una ristrutturazione educativa.

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La formazione è il luogo intermedio tra istruzione e strutturazione educativa: indica il movimento che tende alla struttura educante e che si avvale dell'istruzione per concretarla in una determinata struttura fondante.Tutto ciò va sempre inteso come materialità, e cioè come accadere concreto, storicamente socialmente condizionato, entro una certa fisicità corporale, spaziale e temporale, nell'ambito di una loro peculiare simbolizzazione linguistica dettata dall'inconscio ed al loro specifico regime esperienziale.

È fuorviante definire l'educare come affettivo e l'istruire come cognitivo oppure considerare l'affettivo come qualcosa di negativo e di secondario. Poiché si tratta invece di acquisire l'affettivo stesso come struttura profonda del cognitivo, ma non perciò da abbandonare in seguito in quanto qualcosa di soltanto primitivo. Del resto vi è anche una primitività del cognitivo rispetto all'affettivo, ed una evoluzione non solo cognitiva di quest'ultimo. Né una acquisizione siffatta significa poi privilegiare necessariamente, negli obiettivi e nei metodi, la dimensione affettiva medesima.

Occorre ripetere l'elogio dell'istruzione. Ciò che istruisce concretamente un certo contesto educativo è spesso e principalmente l'oggettività dell'istruire e del comportamento stesso dell'istruttore. C'è un rinvio tra l’educere e l’instruere. Tocca poi però sempre il primo a segnare il secondo suo valore formativo.

EDUCAZIONE E SCUOLA

In quali luoghi e con quali diverse accentuazioni si dipana la trama dell'istruire e dell'educare nella cultura contemporanea? Il rapporto tra educazione e scuola rinvia a quello tra educazione e famiglia da un lato, tra formazione scolastica e formazione extra scolastica dall'altro. La famiglia sfugge alle determinazioni sociali dell'educazione, va considerata in sede pedagogica, nella sua stessa intimità, come espressione, come produzione di espressioni sociali. La famiglia può essere cioè considerata anche nei termini di un dispositivo pedagogico. La famiglia è un dispositivo pedagogico originario, su cui la pedagogia cattolica è invece tradizionalmente attestata. Si è dimenticata l'alienazione del desiderio e la rassicurazione emotiva che solo la famiglia può produrre come condizione fondamentale del proprio processo di formazione. La famiglia è un dispositivo pedagogico in quanto è un campo di relazione oggettuale da cui dipende la dialettica emancipatoria della separazione e il ricongiungimento, libertà esplorativa e sostegno affettivo, abbandono e cura. Ciò spiega come l'effetto delle determinazioni familiari rispetto alla struttura di personalità sia talmente cogente e precoce da essere facilmente scambiata per un insieme di determinazioni congenite o ereditario. È importante focalizzare l'attenzione su una compensazione e integrazioni educative esterne alla socializzazione familiare. Ma ciò ripropone drammaticamente la consapevolezza intorno ai limiti dell'educazione sociale ed intenzionale, essendo inoltre le determinazioni educative intrafamiliari principalmente relative a dinamiche inconsce.Il movimento che va dalla famiglia all'educazione può essere capovolto completamente, così da mettere in luce come la verità della famiglia in quanto dispositivo educativo riposi in quella della materialità pedagogica in quanto depositaria della struttura di esso. La famiglia è allora null'altro che una metafora pedagogica. L'educazione deve ricorrere anzitutto ad un codice pedagogico primario che non risieda nel vissuto familiare, benché attraversandolo e istituendolo. Cioè al codice della propria materialità strutturale. Oggi il primato dell'istruzione sta lasciando la famiglia in una totale solitudine pedagogica rispetto alla elaborazione della propria impotenza della propria efficacia formativa. Scuola e servizi sociali non hanno saputo minimamente entrare in rapporto costruttivo con le famiglie. Essi hanno accentuato la conflittualità intrinseca tra la famiglia e l’educazione esterna. Senza però riuscire a

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risolvere una simile conflittualità positivamente. Così l'educazione esterna, e la scuola in particolare, continua rappresentare una specie di superficie anodina su cui ogni attore di essa viene di volta in volta a proiettare il proprio immaginario familiare.

Lo spirito riformistico in ambito scolastico degli ultimi anni risponde a condizioni di realtà dell'evoluzione politica, sociale, economica e culturale successivo al periodo del contestatario. Avendo però fatto proprio un programma anti-educazionale ci si impedisce di trasformare l'azione scolastica in qualcosa di diverso da un compito frustrante, sia per chi vi deve insegnare sia per chi vi deve imparare qualcosa. Il fallimento istituzionale è sotto gli occhi di tutti, in forma del carattere di difficoltà ingovernabile che va assumendo sempre di più il lavoro scolastico, sia sul piano dei problemi di comportamento sia su quello dell'insufficienza di rendimento. Il sintomo inquietante sono gli abbandoni scolastici in età adolescenziale. Nonostante l'evidenza di questi problemi la scuola continua a restare un luogo di pratiche sempre uguali le une alle altre; di puro rispecchiamento delle discriminazioni sociali e dei loro effetti formativi. Che si scontra contro abitudine, norme, modelli, situazioni socioeconomiche, condizioni ambientali esterne alla scuola che né il paradigma educazionale ne il paradigma istituzionale sono riusciti a contrastare. Ciò non toglie anche l'importanza della scuola non solo come ambiente per l'apprendimento ma anche come luogo di socializzazione.La domanda se la scuola debba istruire o educare è corretta e legittima soltanto qualora venga intesa in ordine alla priorità di obiettivi formativi determinati, non ha la possibilità di scindere e identificare i processi dell’e-ducere e dell’in-struere. Il paradigma istituzionale sostiene che lo sviluppo economico e l'evoluzione tecnologica del momento esigono sempre una più accentuata specializzazione didattica. Ma ciò non dovrebbe implicare necessariamente il misconoscimento della struttura educazionale di qualunque intervento formativo e la rimozione di esigenze formative più articolate che solo la scuola può e deve favorire. La scuola nega l'espressione del singolo, la dimensione estetica, le gestualità tecniche e materiale, l'esercizio catartico della corporeità, la comunicazione sociale, il benessere emozionale. Non si dice che la scuola debba occuparsi primariamente di tutto questo, afferente se mai a quell'organizzazione di interventi educativi extrascolastici che il paradigma istituzionale vede di nuovo con sospetto, ma non lo deve assolutamente negare. Non è possibile perseguire finalità istituzionali se non facendo attenzione anche a tutto questo. A questa migrazione va sommato anche il sovraccarico ridicolo e impraticabile di funzioni educative assegnate alla scuola, pressoché esaustive di ogni preoccupazione sociale, ma declinata. In termini moralistici e illuministi che piuttosto che di specifica ristrutturazione educativa.In tutto ciò il paradigma istituzionale non ha saputo restituire alla scuola nessuna serietà. Ha solo fatto sì che la prospettiva educazionale sia ridotta a mero aspetto disciplinare di governo della classe. Con conseguente indebolimento delle stesse strategie istituzionali. Solo un nuovo paradigma pedagogico di derivazione materialistica potrà superare tutte queste contraddizioni e questi fraintendimenti. Sulla base di esso tutta la cultura esterna deve poter entrare nella scuola, ma all'interno di una rielaborazione educativamente finalizzata, che certo privilegi anzitutto la alfabetizzazione di strumenti cognitivi adeguati, praticandola però nell'ambito di un più ampio lavoro educativo.

Il 68 è stato caratterizzato dal disfacimento dell'attivismo e da una pedagogia istituzionale ad esso ispirata, tesa a contrastare il carattere repressivo delle istituzioni formative. Il post-68 è stato la neutralizzazione definitiva in nome di una pedagogia curriculare che ha avuto il pregio di riporre la centralità dei contenuti di apprendimento. La didattica odierna compie un grandissimo errore: l'uso del gruppo in educazione così fondamentale eppure così latitante o malamente utilizzato.Permane alla fine una verità indiscutibile di questo paradigma istituzionale e cioè la battaglia contro il moralismo valoriale e contro la renitenza alla misurazione e alla verifica educativa. Ma si è dimenticato che la valutazione si situa sempre entro un certo meccanismo relazionale

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motivazionale, producendolo concretamente e ricavando da esso il suo significato, e dunque entro una certa immagine educativa della scuola. Che sono confusi gli obiettivi ed i contenuti con le procedure, azzerando il contesto, la metodica e la strutturazione, aspettando che l'onnipotenza di una qualche programmazione curriculare sortisse di per sé gli esiti desiderati. Si è esaltata la scientificità di una didattica come ricerca militante e senza fine, ma si è penalizzata la sperimentazione di nuove strutture organizzative e metodologiche. Si è chiusa la porta ad una politica di collaborazione e di partecipazione all'impresa scolastica nei servizi sociali esterni. Si sono moltiplicati i nuovi ruoli professionali dentro la scuola, oscillando tra la miseria culturale e professionale di inaccettabili umanissimi psico-pedagogici, e la pretenziosità tecnicistica di sedicenti super-esperti in programmazione didattica, senza voler affrontare il problema relativo a una nuova psico-pedagogia, e non soltanto una vecchia didattica, come cura professionale di ogni insegnante. Ma le ragioni di un successo vanno pure tenute presenti. Perché il successo c'è stato, ed è stato grandissimo e schietto. Le ragioni sono relative da un lato al giustificato bisogno di liberarsi da un'identità di docente o di pedagogista tanto improduttiva quanto squalificata, di comunicare di ascoltare cose concrete e praticabili per gli insegnanti. E dall'altro alla incapacità pregiudiziale di ri tematizzare il campo educazionale al di fuori di schemi vecchi e consunti.

Se la scuola che ha da essere un'istituzione specializzata nell'apprendimento cognitivo, a maggior ragione si tratta di non censurare il pedagogico al di fuori di essa. Invece una competenza pedagogica è oggi tacitata non solo in quanto cultura, ma anche come progettualità organizzata e articolata. è in gioco la materialità della vita sociale e individuale. Con tutte le implicazioni etiche, emotive e culturali che essa comporta. Tutto ciò riguarda la scuola pubblica le sue didassi.Quello che ci chiediamo è: accanto la scuola ci sono delle modalità professionalizzate di intervento educativo? Sarebbe fuorviante pensare alla scuola come luogo di istruzione, e ad un'organizzazione educativa di tempi extrascolastici come ambito di educazione. Si è visto che educazione e istruzione costituiscono una strutturazione reciproca non separabile, e obiettivi formativi rispettivamente differenziati. È però legittimo affidare esplicitamente a forma organizzata di intervento pubblico obiettivi di strutturazione educativa che il consenso sociale ritiene culturalmente utili per il processo di formazione delle nuove generazioni, e di cui la scuola non può farsi carico, attraverso le metodologie più funzionali a questo scopo. Scuola ed extra scuola devono rinunciare pertanto ad ogni prospettiva di totalizzazione dell’una o dell'altra. Educare vuol dire mirare a una configurazione della personalità, dentro o fuori la scuola, non come totalizzazione istituzionale progettuale. Dunque differenziazione istituzionale e specificazione di obiettivi distinti tra scuole d'extra scuola, ma anche integrazione simmetrica tra di esse. Storicamente comunque è la scuola ad essersi affermata nella società moderna come principale istituzione formativa. Ciò implica che l’extrascolastico ha obiettivi di benessere fisico ed emozionale, di apprendistato sociale e di dilatazione espressiva, ma tutto ciò deve inizialmente passare attraverso i canali del sistema scolastico.

Ora ci interroghiamo circa l'intenzionalità sociale in campo educativo nella cultura contemporanea. Tutto ciò chiama in causa il rapporto tra scuola e d'extra scuola, tra educazione e società civile, tra pubblico e privato. Sullo sfondo di una scissione surrettizia tra educazione e l'istruzione. Relazione e contenuti possono agire formativamente solo se ricompresi entro una struttura non riducibile ad essi. È possibile riattivare un circuito di occasioni educative, per far questo occorre non limitarsi soltanto all'enfasi sui luoghi e sulle strutture del territorio, sulla naturale funzione socializzante del gruppo dei pari sulle dinamiche di auto-iniziazione, e innescare invece una regia di attraversamento e di valorizzazione pedagogica di tutto ciò. Rivendicando la normalità dell'impresa educativa anche al di fuori degli istituti scolastici. Liberandosi dello slogan onnicomprensivo dell'educazione permanente e della società educante, di fatto così collusori con il retaggio antipedagogico e con il didattismo istituzionale.

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Frabboni teorizza il sistema formativo integrato come progetto coerente e praticabile di innovazione congiunta della scuole dei canali di formazione ad esso esterni. Solo in questa prospettiva l'esperienza spesso deludente, ma così pedagogicamente pregnante dei centri giovanili e di tempo libero, delle colonie di vacanze dei soggiorni estivi, può essere rivalutata a fronte delle sufficienza che esibiscono gli interventi di servizio sociale e le pratiche psicologiche in contesti territoriali.Il sistema formativo integrato può avviare progressivamente a una risoluzione. Purché essa si estenda davvero all’extrascolastico, e abbandoni davvero ogni illusione totalizzante, affrontando di volta in volta i suoi singoli snodi trasversali. Purché realizzi davvero un reinvestimento educazionale, e recuperi davvero la dimensione iniziatica di ogni autentico accader educativo. Bisogna soprattutto reimpostare una problematica relativa al campo dell’educere, rispettosa e calante di una libera temporalità esistenziale non assorbibile in esso. Ed inoltre una problematica relativa agli spazi, ai linguaggi ed alle dinamiche corporali che determinano strutturalmente la materialità dei processi di formazione, cioè una problematica di setting educativo e di dispositivo pedagogico.

Occorre tenere fermi alcuni principi: scuola e d'extra scuola richiedono oggi un reinvestimento razionale di risorse economiche; tra educazione e istituzione, scuola e d'extra scuola, cognitivo affettivo, non vi deve essere

separatezza o corrispondenza ma strutturazione di insieme, articolazione metodologica e specificazione degli obiettivi formativi;

tutto ciò rinvia ad una opzione e ad un confronto politico; la scuola deve avere principalmente

o finalità limitate strumentali (alfabetizzazione culturale, padronanza meta cognitiva)o contenuti limitati e curricolarizzati, o metodologie attive, o verifiche formative e non sanzioni selettive, o capacità di elaborazione relazionale e socio-emotiva, o flessibilità nella suddivisione delle classi, degli spazi e dei tempi, o tempo medio equilibrato uguale per tutti per lasciare spazio ad un rapporto

strutturale con la extra scuola, o rapporto costante con il mondo del lavoro, o laboratori utilizzati anche per attività extra scolastiche e di tempo libero, o curricoli specifici e obbligatori per tutti.;

l’extra scuola non deve non può di certo avere una strutturazione istituzionale simile a quella scolastica ma deve comunque avere

o una strutturazione metodologica di tipo continuo e sistematico e quindi deve anzitutto superare definitivamente la propria miseria culturale pedagogica, caratterizzarsi come un complesso di offerte formative a basso costo gestite pubblicamente,

o collegarsi con la scuola su di un piano di parità, o prestare attenzione effettiva ai bisogni immediati dei bambini, degli adolescenti dei

giovani, o utilizzare professionisti ad hoc adeguatamente retribuiti e preparati, o utilizzare tutte le strutture, impianti risorse disponibili assicurando a tutti la

possibilità di realizzare le attività desiderate; o favorire ogni tendenza di autonomie di frammentazione; o garantire a tutti la possibilità di relazioni e di socializzazione rassicuranti;

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o promuovere attività di alto profilo operativo nei settori del gioco, della corporeità, del contatto con la natura, dell'esplorazione ambientale, del lavoro sociale, tecnico immateriale, dei dibattiti culturali;

o dare risposte concrete praticabili; o dalle responsabilità e prescrizioni; o fare controlli coinvolgere singolarmente tutti partecipanti; o assicurare un clima di libertà; o far fare cose nuove ma alla portata di tutti; o organizzare documentare; o mantenere il contatto con la vita reale, la società, l'ambiente, la scuola, il lavoro, la

famiglia dei ragazzi; o centrale intervento sulle esigenze dei singoli ragazzi; o ritualizzare aspetti determinanti dell'esperienza; o utilizzare soprattutto l'avventura come dispositivo pedagogico fondamentale.

EDUCAZIONE E AVVENTURA

l'avventura può essere considerata come un oggetto pedagogico, nonostante la sua lontananza apparente dell'esperienza educativa, a partire dal gioco come dimensione tipica dell'infanzia e della vita umana in generale. C'è un’analogia tra esperienza ludica e struttura profonda del dispositivo educativo in quanto sono entrambe caratterizzate da una dialettica di finzione e di autenticità, di fantasia e di realtà. Entrambe sono una zona intermedia tra la vita soggettiva e oggettiva pratica, essendo reso possibile l'educazione da un meccanismo di tipo ludico, e svolgendo comunque il gioco una funzione educativa.

Nella cultura contemporanea la deprivazione ludica è indotta dalla fruizione televisiva. Due ricerche empiriche su aspetti pedagogici della socializzazione infantile, una relativo alla fruizione televisiva (Bertolini-massa) e l'altra alla comunicazione verbale non verbale (Bertolini-Callari Galli), hanno messo in luce come dietro al puerocentrismo del tempo presente si celi l'oblio delle esigenze di crescita dei singoli bambini. L'educazione deve mirare anche alla felicità individuale e alla sua presidenzialità, le quali sono state completamente messe da parte davanti pedagogia del momento. La forsennata pedagogizzazione del vissuto infantile richiede, per potersi oggi realizzare, un apposito setting educativo. Ora, alla deprivazione di gioco nell'infanzia corrisponde poi quella dell'esperienza di avventura nell'adolescenza.

Cosa c'è di meno pedagogico dell'avventura? L'educazione, con il suo moralismo ed il suo intellettualismo, le sue restrizioni ed il suo squallore, la sua quotidianità e la sua prossimità, sembra essere di primo acchito agli antipodi del carattere di eccitazione esistenziale, di straordinarietà e di esotismo, di istintualità e di virilità che qualificano l'avventura come esperienza umana da tutti ricercate quasi mai praticata. Scaparro inventa la funzione pedagogica dell'avventura del viaggio, in quanto dimensione tradizionale di liminalità e di vitalità antropologica, di compresenza degli opposti e di dinamica emancipatoria. Dunque l'avventura come dispositivo pedagogico.

Non si tratta soltanto della banalità per cui tutto può essere detto un'avventura, ma di un fenomeno di massa, legato al mercato culturale, in cui viene acriticamente subito il fascino del primitivo proprio di una certa antropologia.

L'avventura ha una inconsapevole efficacia demitizzante. Permane la mitizzazione dei giovani e la disaffezione per l'adolescenza, cui l'avventura è invece primariamente destinata. Ma si rivela del

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tutto l'esibizione della propria immagine come nudità e come abbigliamento cui tendeva sin dall'inizio anche l'avventura contestataria, enfatizzando il corpo come oggetto pubblico e privato nel medesimo tempo. L'avventura consente ugualmente di esercitare davvero le varie accezioni corporali emerse nella cultura contemporanea. E quella demitizzante, più che valenza liberatoria, evidenzia specialmente un suo peculiare rilievo pedagogico: è l'esercizio che conta, non più la natura, e chiunque se vuole, senza troppa spesa, può sviluppare propri muscoli, attraversa deserti o navigare i mari del sud.

Ma sarebbe riduttivo intendere l’avventura soltanto come fisicità e materialità. L'avventura è un dispositivo pedagogico, cioè relativo alla determinazione del proprio modo di essere, anche perché obbedisce ad alcune esigenze dello spirito. La demistificazione non esime dall'interrogarsi sui significati profondi che sono latenti dietro di essa.

L'avventura risponde soprattutto ad un'economia psichica di compensazione. Un bisogno di compensazione rispetto alla separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Ad un impegno per la realizzazione ambientale, demografica e lavorativa della vita sociale si dovrà sempre più accompagnare, specie per le giovani generazioni in età adolescenziale, la possibilità di avventura come dato ad un tempo di realtà e di artificio, di finzione e di esperienza concretamente gita. Cioè come dispositivo pedagogico elementare.

È solo sulla base di questo contesto strutturale che può avere un senso riproporre oggi l'idea di iniziazione. L'avventura come iniziazione adolescenziale richiede di radicarsi entro un dispositivo pedagogico più comprensivo, consistente nell'avventura stessa in quanto esperienza formativa. Avventura come espediente motivazionale per l'apprendimento. L'avventura va proposta nel contempo ai ragazzi come sollecitazione motivazionale e come procedura metodologica, come obiettivo formativo è come contenuto esperienziale, come campo relazionale e come verifica delle proprie capacità. Insomma ancora una volta come dispositivo pedagogico.

Se l'avventura è comunque bisogno adolescenziale, in ciò strettamente collegata con il gioco infantile, se quindi è un fatto anzitutto pedagogico, nel senso di essere un dato strutturale del processo di formazione dell'individuo, si capisce che la mancanza di essa nell'età evolutiva produca poi l'ideologia dell'avventura come valore della vita adulta. L'enfasi che l'adulto pone sul avventura del ragazzo non è altro che la proiezione della propria mancata avventura. L'adulto animato dal desiderio di formare, e cioè di essere desiderato, tende a strumentalizzare il lavoro educativo e la relazione pedagogica per realizzare lui stesso, imponendola al ragazzo, una sua personale avventura rimasta ancora nell'immaginario.È proprio perché l'avventura possa essere praticata per tutta la vita come esperienza ricorrente che essa stessa deve essere consentita in concreto da tutti ragazzi. Occorre demitizzare esplicitamente una volta per tutte l'avventura. Come condizione per poter neutralizzare l'implicita demitizzazione di essa che risulta in atto nelle pratiche sociali del momento.

Il 68 aveva traumatizzato un significato più forte di avventura, con carattere educativo e pedagogico. Il 68 è un fenomeno giovanile volto a recuperare un’adolescenza irrealizzata, e a non sacrificare in quella di un adulto una specifica identità giovanile.Il carattere di quotidianità e di identità debole proprio dei giovani di adesso, costretti ad adattarsi ad una società sempre più complessa e differenziata, deve essere affrontato come motivo di cambiamento. Contro la soppressione dell'adolescenza tipica della cultura contemporanea occorre riassegnare all'educazione il suo compito di mediazione e di elaborazione adolescenziale. Ciò chiama in causa l'immagine ed il trattamento oggi diffusi degli adolescenti, e cioè i modelli di comprensione ed i dispositivi pedagogici in ordine ad essi. È in questo senso che il tema dell'avventura può essere ripensato con serenità e concretezza.

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Lo stereotipo del ragazzino in gamba ed intraprendente, attivo e curioso, esuberante e volitivo, oggi non regge più. Ripensare pedagogicamente l'avventura significa allora liberarsi di questi fantocci, e restituirle al contrario la sua umanità e la sua mediocrità, la sua provvisorietà e la sua casualità. E cioè la contingenza e la fenomenologia di un'esperienza possibile a tutti anche al di fuori di qualunque viaggio organizzato, ma non per questo estendibile alla vita intera. Con i suoi pericoli con i suoi rischi reali.

Ripensare pedagogicamente l'avventura significa allora comprendere le perversioni e la patologia di essa, proprio perché il lavoro educativo le incontra costantemente. Capire che viaggio e d'avventura svolgono un ruolo riparatorio nella vita di alcune persone, da renderle capaci di sopportare il loro lavoro, loro famiglia o la loro solitudine soltanto aspettando la prossima vacanza estiva, è già un passo avanti.

È l'avventura vissuta come esperienza pedagogica nell'adolescenza che permette di non credere troppo i libri in cui viene descritta con intenti educativi, specie quando hanno per protagonista la storia di un ragazzo, e di selezionarne i significati più autentici.

Eppure la storia pedagogica presenta pochi momenti in cui l'avventura risulta in qualche modo schematizzata. Il più famoso romanzo pedagogico non è un romanzo d'avventura. L’Emilio è un programma educativo teso intenzionalmente alla non-avventura. Quell'avventura si riduce ad espediente, per esempio quando serve per far incontrare Sofia ed Emilio, ma è anche illuminante quando consiste nel far perdere Emilio nel bosco affinché impari ad orientarsi.

Lo scoutismo rappresenta la più coerente, efficace e consapevole utilizzazione storica sinora disponibile dell'avventura come dispositivo pedagogico. E ciò all'interno di una trama metodologica strutturale che assicura un uso critico ed avveduto dell'avventura in ordine sia all'infanzia che all’adolescenza e all'età giovanile. Lo spirito dello scoutismo è uno spirito di avventura.Bertolini teorizza la pedagogia dell'avventura ispirata allo scoutismo, e fondata sull'importanza delle esperienze eccezionali e del linguaggio delle cose concrete per una dilatazione del campo esistenziale.

Oggi l'educazione extra scolastica va assumendo una piega sempre più integralistica. L'istruzione scolastica sta subendo una contrazione totalmente intellettualistica. I servizi sociali si limitano soltanto ad un appoggio psicologico o assistenziale. Le politiche culturali hanno assunto una destinazione prevalentemente estetizzante. Ripensare l'avventura come dispositivo pedagogico può forse servire a uscire dall’inadeguatezza o dall'insufficienza di una situazione siffatta. A restituire all'adolescenza la sua positività e la sua caratteristica più distintiva.

EDUCAZIONE E PEDAGOGIA

La pedagogia è un aggregato discorsivo così legato alla prassi da non sapersene distanziare scientificamente, e quindi da non riuscire a produrre un sapere tecnicamente efficace. Il formare e l'educare come dimensione esistenziale significante si sono rattrappiti in una professionalità che si preoccupa esclusivamente di porre mano ad itinerari asettici e senza capo di informazione istituzionale.Il successo del paradigma istituzionale presso la maggioranza degli insegnanti sta ad indicare che un ruolo caratterizzato dal prendersi cura dei problemi di soggetti che vanno crescendo, in modo da orientare la loro crescita verso una qualche direzione, è diventato un atteggiamento insostenibile nella cultura contemporanea. Quel successo risponde comunque ad esigenze reali di produttività

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scolastica, ma svolge una funzione di copertura rispetto problemi altrettanto reali per quanto si denunci come impraticabile ogni tentativo di affrontarli. Nasce così la proposta di Bertolini del ruolo di operatore pedagogico all'altezza dei bisogni presenti. Un ruolo che andrebbe inoltre integrato con quello di un pedagogista professionale a tutti i livelli ed in tutte le sedi attuali di progettazione formativa. Il paradosso dell'educatore viene messo da parte. Persiste soltanto, da parte di molti, lo sfruttamento un po' di bieco dell'interesse puberale per i problemi educativi e per il lavoro formativo, al tempo stesso in cui si maschera la verità così elementare che la passione educativa non è mai innocente e disinteressata.

Per ricostruire occorre attestare le componenti di ordine epistemologico, organizzativo e relazionale che ineriscono alla competenza dell'operatore pedagogico, dell'insegnante e dei riformatori in genere. E con esse la funzione interpretativa e terapeutica del lavoro educativo. Tutto ciò è possibile solo potenziando la ricerca e la formazione universitaria in campo pedagogico. Per non riciclare i magisteri per la formazione dei maestri, tradendo la funzione da essi svolta per la crescita della ricerca educativa, per non lasciare che alla cultura pedagogica si è riconosciuto in genere nell'università italiana null'altro che una funzione appendicolare di preparazione degli insegnanti, e per realizzare davvero quest'ultima, occorre superare gli attuali corsi di laurea in pedagogia. Ma occorre allo stesso modo istituire sia dipartimenti sia corsi di laurea in scienze dell'educazione a forte valenza pedagogica, con una riconosciuta autonomia e peculiarità scientifica del loro ambito di ricerca di formazione culturale, e con specifiche destinazioni di alto profilo professionale nel campo dell’organizzazione dei processi formativi. Solo così essi potranno dare un solido contributo per quelle integrazione di competenze pedagogiche didattiche che sarà necessario operare seriamente nei confronti della formazione disciplinare degli insegnanti e degli altri operatori educativi all'interno dei vari corsi di laurea. Quest'esigenza di una pedagogia come cultura è l'unica a poter assicurare una qualificazione professionale di grado elevato, e ad eludere ogni persistenza del discorso pedagogico entro un'area di genericità ideologica e moraleggiante. Sono necessari anche corsi di specializzazione per formatori, dottorati di ricerca relativi alle varie specializzazioni interne della ricerca pedagogica, ed una associazione scientifica dei pedagogisti. Ma tutto questo non avverrà, e non soltanto per l'arretratezza e l'inadeguatezza del mondo universitario in proposito. La vera ragione è un'altra, il fatto cioè che la pedagogia ha già subito ed avvalorato da tempo la propria morte nella cultura contemporanea.

L'accanimento antipedagogico nella cultura contemporanea, anche quello interno alla comunità di pedagogisti, significherà bene qualcosa, visto la diffusione, anche al di là dei fin troppi motivi facili di inconsistenza disciplinare che caratterizza ancora alla ricerca educativa.

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