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delle Libertà L’Europa incerta sul suo futuro L’Europa assente ed i santuari del terrorismo È giustissimo chiedere l’istituzione di una polizia europea in grado di combattere il terrorismo, così come è sacrosanto battersi per una sollecita realizzazione di una legisla- zione penale comune a tutti i Paesi dell’Unione europea. Utilizzare l’on- data di paura e di sgomento suscitata dagli attentati di Bruxelles per met- tere nuovi mattoni sulla costruzione dello stato europeo è un atto di buona e doverosa politica. Ma in- sieme alla consapevolezza che per battere l’aggressione terroristica non si può tornare all’Europa delle na- zioni chiuse e divise dai singoli inte- ressi nazionali ma si deve accelerare il processo di formazione dell’Eu- ropa unita, è indispensabile arrivare ad una seconda e forse più impor- tante consapevolezza. L’aggressione del fondamentalismo islamista non si potrà mai battere se l’Europa non saprà dotarsi di una politica estera unitaria. Fino a quando gli Stati Uniti hanno svolto le funzioni di gen- darme dell’Occidente ogni Paese eu- ropeo ha perseguito i propri interessi nazionali accettando di buon grado che a quelli più ampi e planetari pen- sasse l’alleato maggiore. P O L I T I C A B A N D I N E L L I A P A G I N A 2 Matteo Renzi: le tante perplessità che seguono il Premier P R I M O P I A N O H A R R I S A P A G I N A 3 Attentati a Bruxelles: una giornata di follia vista da vicino E S T E R I K E R N A P A G I N A 5 Caos jihadismo: ecco perché il Belgio è diventato l’epicentro P O L I T I C A A P A G I N A 2 Lidu: le considerazioni sulla sentenza Karadži E S T E R I P I P E S A P A G I N A 4 Diga di Mosul: l’imminente apocalisse che incombe sull’Iraq L’Italia è l’Isis di se stessa L a gamma delle reazioni italiane all’ultima strage dei delinquenti dell’Isis può essere utilmente e signi- ficativamente, ed emblematicamente, ricompresa tra le lacrime in diretta della signora Federica Mogherini e la vergogna provata per esse dalla si- gnora Giorgia Meloni. Nientemeno che la pseudo ministra degli esteri della Ue e la leader di un minipar- tito pseudo patriottico. Una mor- bida e una dura, sempre all’italiana. Quando vede scorrere tenere la- crime sul volto di un politico, come quando vede lo stesso volto di poli- tico torcersi di rabbia, il saggio si do- manda se la commozione sia sincera quanto l’indignazione. E dubita. Du- bita assai. L’estremismo dei buoni sentimenti non è meno dannoso del coraggio che non costa niente. Ecco, le due signore, le loro rea- zioni di fronte ad un fatto eclatante per il sangue innocente versato e per il significato recondito palesato, sem- L a guerra dell’Isis qui da noi è, in- nanzitutto, uno spettacolo. E che spettacolo! È un conflitto per dir così da infotainment, da corrida te- levisiva. E tutti ci vanno, tutti cor- rono al talk non tanto o non soltanto per farsi vedere, cioè per esistere, quanto soprattutto perché qualsiasi trasmissione di tal genere non offre proposte vere, risposte concrete, ma solo imprecazioni, risse e tante pa- role, parole, parole... E dopo il talk-show? Dopo, anzi fuori dal talk, appena usciti dalle porte dello studio, c’è tutto un altro mondo, un universo diverso, tutta un’altra storia, benché le cose siano rimaste come prima, durante e pur- troppo dopo lo sfogatoio televisivo. Il mondo, quello vero, sa comunque che le risposte alla tragedia del ter- rorismo islamico non possono venire dalla tivù, che pure ne è l’illustratrice insostituibile ed infaticabile dopo ogni massacro. Le risposte le può Tutti quanti al talk-show, e dopo? brano indicare che un Isis psicologico avanzi insinuandosi, se non nei cuori e nelle menti, almeno negli atteggia- menti di alcuni dirigenti politici, i quali pretendono di accreditarsi vuoi muovendo a pietà quella parte di ita- liani intrisi di commiserazione auto- assolutoria, vuoi eccitando l’orgoglio di quell’altra parte di italiani sfog- gianti un amor patrio di maniera e di bandiera soltanto. Le due signore, dalle quali una nazione seria si aspet- terebbe serietà soprattutto nei fran- genti drammatici, credono davvero che l’Europa e l’Italia possano, nella guerra al terrorismo, trarre qualche giovamento... dare soltanto la politica. Che inte- resse può avere, ad esempio, la fila- strocca che ci appioppano da mane a sera le televisioni, con il rappresen- tante del governo, quello dell’oppo- sizione, in genere trattasi di Matteo Salvini, quello dell’inviato davanti al- l’aeroporto insanguinato di Bruxel- les e, mi raccomando, quello degli islamici moderati, prevalentemente un imam che ripete le stesse identi- che giaculatorie dei suoi omonimi sparsi per l’Italia. E poi vai con l’Eu- ropa che si sfascia; no, anzi, l’Europa va difesa, ma basta con i migranti, alziamo muri e chiudiamo le fron- tiere, per carità, senza Schengen, Euro ed Europa vanno a scatafascio, e allora facciamo la guerra, ma no, potenziamo l’intelligence coordinan- dola con tutte la nazioni europee e, comunque, non cambieremo il no- stro modo di vivere, la nostra libertà, i nostri concerti rock, le partite di calcio. E tutti quanti ad annuire pap- pagallescamente, come se alla mi- naccia di questo terrorismo non si dovesse sacrificare almeno un po’ della nostra privacy, della nostra way of life. Possibile non capire che nulla sarà più come prima? E perché non dirlo? E vabbè. A dire il vero, il meno routiniere è stato il sottosegretario Marco Min- niti quando l’altra sera ha, final- mente, paragonato la realtà e la potenza dell’Isis di Bruxelles, ma non solo, alla ‘ndrangheta con la sua con- solidata presenza criminale in certe città del sud; un’assimilazione da estendere all’afflato nazista che dà impulso allo stragismo di Daesh...

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delle Libertà

L’Europa incerta sul suo futuro

L’Europa assenteed i santuari

del terrorismo

Ègiustissimo chiedere l’istituzionedi una polizia europea in grado

di combattere il terrorismo, cosìcome è sacrosanto battersi per unasollecita realizzazione di una legisla-zione penale comune a tutti i Paesidell’Unione europea. Utilizzare l’on-data di paura e di sgomento suscitatadagli attentati di Bruxelles per met-tere nuovi mattoni sulla costruzionedello stato europeo è un atto dibuona e doverosa politica. Ma in-sieme alla consapevolezza che perbattere l’aggressione terroristica nonsi può tornare all’Europa delle na-zioni chiuse e divise dai singoli inte-ressi nazionali ma si deve accelerareil processo di formazione dell’Eu-ropa unita, è indispensabile arrivaread una seconda e forse più impor-tante consapevolezza. L’aggressionedel fondamentalismo islamista nonsi potrà mai battere se l’Europa nonsaprà dotarsi di una politica esteraunitaria.

Fino a quando gli Stati Unitihanno svolto le funzioni di gen-darme dell’Occidente ogni Paese eu-ropeo ha perseguito i propri interessinazionali accettando di buon gradoche a quelli più ampi e planetari pen-sasse l’alleato maggiore.

POLITICA

BANDINELLI A PAGINA 2

Matteo Renzi:le tante perplessità

che seguono il Premier

PRIMO PIANO

HARRIS A PAGINA 3

Attentati a Bruxelles:una giornata di follia

vista da vicino

ESTERI

KERN A PAGINA 5

Caos jihadismo:ecco perché il Belgio

è diventato l’epicentro

POLITICA

A PAGINA 2

Lidu: le considerazioni

sulla sentenza Karadži

ESTERI

PIPES A PAGINA 4

Diga di Mosul:l’imminente apocalisseche incombe sull’Iraq

L’Italia è l’Isis di se stessa

La gamma delle reazioni italianeall’ultima strage dei delinquenti

dell’Isis può essere utilmente e signi-ficativamente, ed emblematicamente,ricompresa tra le lacrime in direttadella signora Federica Mogherini e lavergogna provata per esse dalla si-gnora Giorgia Meloni. Nientemenoche la pseudo ministra degli esteridella Ue e la leader di un minipar-tito pseudo patriottico. Una mor-bida e una dura, sempre all’italiana.Quando vede scorrere tenere la-crime sul volto di un politico, comequando vede lo stesso volto di poli-tico torcersi di rabbia, il saggio si do-manda se la commozione sia sinceraquanto l’indignazione. E dubita. Du-bita assai. L’estremismo dei buonisentimenti non è meno dannoso delcoraggio che non costa niente.

Ecco, le due signore, le loro rea-zioni di fronte ad un fatto eclatanteper il sangue innocente versato e peril significato recondito palesato, sem-

La guerra dell’Isis qui da noi è, in-nanzitutto, uno spettacolo. E che

spettacolo! È un conflitto per dircosì da infotainment, da corrida te-levisiva. E tutti ci vanno, tutti cor-rono al talk non tanto o non soltantoper farsi vedere, cioè per esistere,quanto soprattutto perché qualsiasitrasmissione di tal genere non offreproposte vere, risposte concrete, masolo imprecazioni, risse e tante pa-role, parole, parole...

E dopo il talk-show? Dopo, anzifuori dal talk, appena usciti dalleporte dello studio, c’è tutto un altromondo, un universo diverso, tuttaun’altra storia, benché le cose sianorimaste come prima, durante e pur-troppo dopo lo sfogatoio televisivo.Il mondo, quello vero, sa comunqueche le risposte alla tragedia del ter-rorismo islamico non possono veniredalla tivù, che pure ne è l’illustratriceinsostituibile ed infaticabile dopoogni massacro. Le risposte le può

Tutti quanti al talk-show, e dopo?

brano indicare che un Isis psicologicoavanzi insinuandosi, se non nei cuorie nelle menti, almeno negli atteggia-menti di alcuni dirigenti politici, iquali pretendono di accreditarsi vuoimuovendo a pietà quella parte di ita-liani intrisi di commiserazione auto-assolutoria, vuoi eccitando l’orgogliodi quell’altra parte di italiani sfog-gianti un amor patrio di maniera e dibandiera soltanto. Le due signore,dalle quali una nazione seria si aspet-terebbe serietà soprattutto nei fran-genti drammatici, credono davveroche l’Europa e l’Italia possano, nellaguerra al terrorismo, trarre qualchegiovamento...

dare soltanto la politica. Che inte-resse può avere, ad esempio, la fila-strocca che ci appioppano da manea sera le televisioni, con il rappresen-tante del governo, quello dell’oppo-sizione, in genere trattasi di MatteoSalvini, quello dell’inviato davanti al-l’aeroporto insanguinato di Bruxel-les e, mi raccomando, quello degliislamici moderati, prevalentementeun imam che ripete le stesse identi-che giaculatorie dei suoi omonimisparsi per l’Italia. E poi vai con l’Eu-ropa che si sfascia; no, anzi, l’Europava difesa, ma basta con i migranti,alziamo muri e chiudiamo le fron-tiere, per carità, senza Schengen,

Euro ed Europa vanno a scatafascio,e allora facciamo la guerra, ma no,potenziamo l’intelligence coordinan-dola con tutte la nazioni europee e,comunque, non cambieremo il no-stro modo di vivere, la nostra libertà,i nostri concerti rock, le partite dicalcio. E tutti quanti ad annuire pap-pagallescamente, come se alla mi-naccia di questo terrorismo non sidovesse sacrificare almeno un po’della nostra privacy, della nostra wayof life. Possibile non capire che nullasarà più come prima? E perché nondirlo? E vabbè.

A dire il vero, il meno routiniere èstato il sottosegretario Marco Min-niti quando l’altra sera ha, final-mente, paragonato la realtà e lapotenza dell’Isis di Bruxelles, ma nonsolo, alla ‘ndrangheta con la sua con-solidata presenza criminale in certecittà del sud; un’assimilazione daestendere all’afflato nazista che dàimpulso allo stragismo di Daesh...

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Sul Si sa, Matteo Renzi, l’attuale Premier, èpersonalità controversa. Forse lui, da

buon toscano, è rissaiolo di natura, la con-troversia la provoca e lo provoca. I suoi av-versari, soprattutto quelli interni, leminoranze del suo partito che lui bellamenteignora, un po’ lo invidiano un po’ lo temono,non accettano comunque di non contarenulla nei disegni del loro segretario, fanno ditutto (e di più) per disarcionarlo. Penso chequesti rigurgiti di rivolta interna costringanoRenzi a forzare un po’, ad esagerare i suoiatteggiamenti, già istintivamente - appunto -rissaioli. Alla fine, potrebbe esserne fatal-mente logorato, lui stesso non sa quale siaoggi il consenso popolare che lo circonda epuò sostenerlo nella corsaelettorale che dovrebbedefinitivamente legitti-marlo, visto che la suascalata al potere è stata,indubbiamente, anomala,persino un pizzico malan-drina. Magari, per questoavrà bisogno di una co-orte di sodali, di fedelipronti a farsi in quattroper lui, isolandolo e pro-teggendolo, ma ancherendendolo abbastanza antipatico: non se nefaccia scandalo, ci sta tutto, nell’identikit diun personaggio di tal fatta. Non si può tut-tavia non riconoscere che la sua interpreta-zione del ruolo che, un po’ casualmente,ricopre, è una interpretazione positiva. Il suocomportamento da “premier” è ineccepibile,gli si attaglia con eleganza sartoriale.

Magari ci si potrebbe ricordare, e non sa-rebbe male, che il titolo di “premier” non glispetta in nessun modo, come non spettò alsuo inventore, Berlusconi. E’ un titolo usur-

pato da una tradizione politica, quella in-glese, che non ha nulla a che fare con quellaitaliana. L’immagine del “premier” evoca unsistema elettorale lontano anni luce dal no-stro: un sistema che ha a suo fondamento lanorma per la quale “winner takes all”, il vin-citore si prende tutto. E’ il prodotto, la con-seguenza del sistema uninominale secco.Poche ore dopo le elezioni, una rapida contafornisce immediatamente il nome del vinci-tore e questi, appunto, si prende tutte le cartein tavola. Il mazzo è suo. In Italia il vincitorenon è mai certo, dovrà sottoporsi al con-trollo partititico, magari anche alla com-butta dei clan interni, le “correnti” del suopartito. In Italia il potere è sempre sotto con-dizione, sempre circondato da pesi e con-trappesi che ne minano le fondamenta.

Quando Berlusconi ar-rivò al governo dissechiaramente che occor-reva dare a lui, in quantogoverno, più poteri, piùlibertà da legacci partiticie anche parlamentari, diun parlamento espres-sione di una pluralità dipartiti, attentissimi al ri-spetto “cencelliano” diquesto “pluralismo” con-siderato fondamento - in-

vece che mina vagante - della democrazia.Il pluralismo, la frammentazione dei par-

titi, il sistema proporzionale, esprimono e di-fendono accanitamente il mito della“rappresentanza”. Non c’è teorico o polito-logo che abbia il coraggio di ricordare, econdannare, quanto esso sia fasullo e peri-coloso. Il frazionismo che insidia l’attualecentrodestra, come anche il partito stesso diRenzi, può nascondere le sue miserie, riva-lità ed anche appetiti, rivestendole sotto ilmantello del rispetto della “rappresentanza”,

la rappresentanza “identitaria”. Illustri teo-rici della politica, tanto laici quanto catto-lici, si ergono a difensori di un sistemafondato sulla salvaguardia dei ”valori” della“rappresentanza”. Per costoro anche Renzi èpreda del virus più pericoloso, secondo loro,per la democrazia: il virus del “decisioni-smo”, il male oscuro che insidia il “premier”più o meno all’italiana: cioè, oggi, Renzi.Che poi questo inseguimento pertinace dellarappresentanza garantita dalla pluralità deisoggetti possa indebolire o comunque im-brigliare la governabilità, a loro non importanulla.

Il premier decisionista – raccontano con-vintamente - ha un solo obiettivo: quello discardinare i valori e la forza dei cosidetti“corpi Intermedi”, costituiti dalle più varieforme di associazionismo, diverse anni lucel’una dall’altra, ma tutte protese nella difesadi quelli che vengono ritenuti diritti “natu-rali”, sui quali il diritto, la “legge uguale pertutti”, non fa presa. Si potrebbe fare unlungo elenco dei mali di cui questa conce-zione del pluralismo è responsabile, ma conmolta disinvoltura (e senza farsi carico delleconseguenze) gli stessi illustri teorici li defi-niscono appendici scontate della “partito-crazia”.

Ovviamente, nessuno nega a nessuno ildiritto di aggregarsi, di associarsi, nei modi egli obiettivi che più gli convengano, e di ope-rare al meglio per raggiungerli. Ma nessunodovrà ugualmente dimenticare che in defini-tiva, ogni gesto è responsabilità di colui chelo compie. La responsabilità soggettiva, noncorporativa, è grande conquista della mo-dernità. La quale magari, nel difenderla, fatroppo appello ai diritti dell’individuo, di-menticando che colui che si muove sul ter-reno dell’agire in politica è, secondo – credo– Hannah Harendt, ben più che un indivi-duo: è un “soggetto”.

...non dico la soluzione, dalle lacrime e daldisprezzo verso chi le versa?

Purtroppo piangere e vergognarsene, perquanto agli antipodi, sono tutt’uno nella stra-grande maggioranza degli italiani, la cui mas-sima aspirazione, in troppi momenti crucialidella storia, è stata recitare due o più parti incommedia. Mogherini e Meloni, con gli altripolitici le cui posizioni degradano la purezzaadamantina delle due signore, dimostranoche l’Isis ha già ottenuto uno degli obiettiviperseguiti, e cioè spaccare i rappresentantidelle democrazie, primo passo per spaccarepoi le democrazie stesse. Che bisogno c’era dipiangere? Che bisogno c’era di condannarle,le lacrime? Il fanatismo della commozione edella collera, il contrario di quella compo-stezza che l’Italia ignora specialmente nelletragedie, non è forse tra i tratti caratteristicidell’esaltazione criminale degli islamisti del-l’Isis, e non solo?

Un cuore caldo ed una mente fredda, eccociò che occorre contro questi criminali, eduna capacità di sopportazione non dissimileda quella sottintesa da Churchill quando, difronte al pericolo incommensurabilmente su-periore del nazismo, scosse i britannici con lecelebri parole: “Non ho niente da offrire senon sangue, fatica, lacrime, sudore”. L’Isis,inoltre, per colpa grave dei media che pasco-lano sui drammi collettivi come pecore suiprati di primavera, sta acquistando un’im-portanza di gran lunga spropositata: esatta-mente ciò che desidera per moltiplicare lapaura e i proseliti.

In qualche modo, la Mogherini lacrimantee la Meloni a petto in fuori assecondano,senza volerlo, il lugubre califfo. Forse glistrappano un sorrisetto di compiacimento.

...e ai killer in giro per l’Europa, in preva-lenza quasi assoluta nati in Europa, cresciutiin città e Paesi europei, e ho detto tutto.

Politica

segue dalla prima

...Ma da quando l’amministrazione Obama haabbandonato la strategia del gendarme mondialee ha adottato quella della tutela dei soli interessiamericani, si è creato un vuoto che aspetta an-cora di essere colmato e che ha prodotto tutti glisconvolgimenti che dal Medio Oriente e dal-l’Africa si stanno diffondendo in Europa.

Una parte di questo vuoto è stato colmato dal-l’interventismo della Russia di Putin, una partedalla Cina ed una parte dai Paesi arabi ricchi dipetrodollari e divisi dalla lotta per l’egemonia traIran ed Arabia Saudita. Manca la parte che do-vrebbe essere coperta dall’Europa. Ed è questatotale assenza di una politica comune di una re-altà con un peso economico enorme sulla scenamondiale che si devono gli sconvolgimenti degliultimi anni. Dalla crisi ucraina, alimentata dal ri-tardo culturale dell’amministrazione americanae dagli interessi locali dei Paesi dell’Europa con-tinentale, agli sconvolgimenti in Medio Orienteed in Africa suscitati dallo scontro tra gli sciitiguidati dall’Iran e dai sunniti ispirati e sostenutidai Paesi del Golfo e dall’Arabia Saudita e dagliinteressi particolari e contrastanti tra loro dei sin-goli Paesi europei.

È in questa luce che l’Europa deve compierel’autocritica e procedere a quella autoflagella-zione che è diventata l’abitudine costante delleproprie caste dirigenti ed intellettuali. Ciò che ilmondo europeo si deve rimproverare non è ilproprio passato, ma la totale assenza di una pre-senza politica attuale. Quell’assenza che con-sente a ciascuna nazione europea di cercareaffannosamente di intessere rapporti economici,finanziari e commerciali con i Paesi dei petro-dollari ma che impedisce all’Europa di imporrea questi stessi Paesi la condizione di rinunciare asostenere ed alimentare le infinite forme del ter-rorismo islamista, sciita o sunnita che sia.

Una volta si diceva che il terrorismo si com-batte eliminando i suoi “santuari. Quella re-gola vale anche adesso. Tanto più che i“santuari” non sono nascosti ma tutti alla lucedel sole del Medio Oriente.

L’Europa assente ed i santuari del terrorismo

tospecie di soldati in borghese che vanno aduccidere se stessi pur di massacrare decine edecine di innocenti (infedeli) che, magari, vi-vono in quartieri contigui ai loro divenuti neltempo, roccaforti impenetrabili, inespugna-bili, con la Sharia, la sudditanza della donna,le preghiere del venerdì contro l’Occidentecorrotto. Quando ci dichiarano guerra a basedi attentati e stragi, ci si deve difendere, nonesistono neutralità attive o passive.

Ha ragione il Cavaliere quando suggerisceche all’Isis va tolta l’acqua (petrolio) di cui sinutre nei territori occupati col terrore, dopo-diché il nutrimento mancherà anche ai killera spasso per il mondo. E ha ancora più ra-gione il Premier Benjamin Netanyahu quandoannuncia da Gerusalemme che non dob-biamo più offrire all’Isis delinquenziale il san-gue innocente di Bruxelles, Parigi, California,Cisgiordania, Spagna, Tunisia. Non passe-ranno. Non praevalebunt, è il messaggiochiaro e forte. E senza lacrime.

Perché, tra dubbi e perplessità, sto per Renzi

Ciò premesso e fermo restando che le po-tenzialità della tivù e degli stessi talk-show,pur nella loro onnivadente ossessività sem-plificatrice sono sempre necessarie alla com-prensione di quanto accade, va aggiunto undato di fondo per così dire filosofico, un as-sunto, un preambolo che ha a che fare conl’atteggiamento degli europei rispetto allaguerra, cioè alla morte e, per converso, allavita, alla sopravvivenza. È lo stesso atteggia-mento che mostriamo nei confronti delle im-mani emigrazioni, percepite come invasionibarbariche, dal mare o dai Balcani, con po-tenziali infiltrati terroristi.

È la paura. Che cresce e si espande in cer-chi concentrici soprattutto perché l’Europaha dimenticato e rimosso i lontani secoli delterrore suscitato dalle invasioni, che erano esono nient’altro che migrazioni che premonoaltri migrantes fino al traguardo del benes-sere agognato. Finiti nel profondo bagagliodella rimozione, questi fenomeni invero epo-cali, ci hanno trovati impreparati, al puntoche un Continente di oltre mezzo miliardo diabitanti, fra i più benestanti nel mondo, nonè in grado di assorbire tre o cinque milioni diprofughi (veri) trasformandoli in suoi citta-dini che condividono gli stessi princìpi scrittinella Carta dei diritti dell’uomo.

Ma il punto dolente, la centralità più pre-occupante, sta nella mancanza di una leader-ship morale e politica di questo VecchioContinente, di una guida che indichi la stradamaestra in situazioni eccezionali ancorchédurature come quelle scatenate dall’Isis. Ilbalbettio che si sente, i vertici che si susse-guono, le promesse che si inanellano stragedopo strage, manifestano l’analoga paura deiloro popoli ma dimostrano la loro disperantepochezza nell’incapacità ad assumere una de-cisione chiara, non ad una guerra da fare (neldiffuso politically correct si teme persino lapronuncia della parola) ma rispetto ad unaguerra che è stata dichiarata contro di noi, datempo.

Una guerra diversa, pulviscolare, inaffer-rabile e incomprensibile là dove eravamo abi-tuati a vedere i soldati che andavano acombattere, se del caso anche ad uccidere ilnemico, ed ora osserviamo stupefatti una sot-

L’Italia è l’Isis di se stessa

Tutti quanti al talk-show, e dopo?

Lidu: le considerazioni sulla sentenza Karadži

Ieri pomeriggio la Corte penale internazionale ha pro-nunciato la sentenza di primo grado, condannando

Radovan Karadži, il presidente della Repubblica serbadi Bosnia, a quarant’anni di carcere per i crimini com-messi ai danni di musulmani e croati bosniaci durantela guerra che insanguinò l’ex Jugoslavia fra il 1992 edil 1995. Nella requisitoria finale, nel settembre del2014, il procuratore Alan Tieger ha chiesto la pena del-l’ergastolo, evidenziando come il piano genocidariodella leadership serbo-bosniaca non era limitato a Sre-brenica del 1995 ma esisteva fin dal 1992, cioè dal-l’inizio del conflitto, anche in altre zone del Paese.

La Corte ha giudicato Karadži responsabile nonsolo dell’eccidio di Srebrenica, in cui morirono 8milamusulmani, ma anche dell’omicidio e della persecu-zione di civili ritenendolo l’artefice delle atrocità com-messe durante il lungo assedio di Sarajevo, quando nelcorso di 44 mesi morirono circa 10mila persone. Aquesti reati si aggiunge quello di “presa di ostaggi” re-lativo al sequestro di 284 caschi blu dell’Onu usaticome scudi umani a fronte dei bombardamenti dellaNato.

Il Tribunale penale internazionale dell’Aja ha rite-nuto invece insufficienti le prove portate dall’accusaper estendere l’accusa di genocidio agli eccidi avvenutiin sette villaggi della Bosnia Erzegovina (Bratunac, Pri-jedor, Foa, Klju, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik).Per questi episodi la condanna nei suoi confronti si è“limitata” ai reati di crimini contro l’umanità, omici-dio e persecuzione.

La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus)ritiene estremamente importante che, nel momento incui l’Europa è sotto l’attacco di terroristi islamici, la ci-viltà europea risponda pronunciando una sentenza neiconfronti di un sedicente cristiano per delitti commessinei confronti degli islamici, poiché nella nostra civiltàeuropea la tutela dei diritti umani prescinde da qua-lunque considerazione di religione, razza, nazionalità,ideologia politica, genere e quant’altro. Soprattutto,non è affatto influenzata dal fondamentalismo altrui.

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La sera di lunedì 21 marzo sono ar-rivato a Bruxelles da Londra,

dove già giravano voci di possibili,molteplici attacchi terroristici. La ca-pitale dell’Europa era tranquilla men-tre ci avviavamo verso il nostroalbergo, a due passi dal cuore delleistituzioni chiave dell’Unione euro-pea. Il giorno seguente, insieme aicolleghi dell’Ajc di Bruxelles, ave-vamo in programma incontri con trecommissari della Ue - due dei quali sioccupano di terrorismo ed estremi-smo - e con il ministro degli Internibelga, responsabile per la sicurezza el’ordine pubblico.

Gli incontri non hanno mai avutoluogo. La mattina di martedì 22marzo sono andato al parco lì vicinoper fare un po’ di sport. Subito dopole 8, l’aria si è riempita dell’eco dellesirene della polizia e degli altri mezzidi soccorso, e del rumore dei camiondell’esercito che correvano tutti inuna direzione. Era chiaro che non sitrattava di un incendio o di qualchecosa di poco conto. La situazione di-ventava sempre più frenetica.Quando sono tornato in albergo eho acceso la televisione, c’erano no-tizie di un attacco all’ae-roporto di Bruxelles, eincertezze sulla naturadell’attacco e sul numerodelle vittime. Poco tempodopo, arrivava la notiziadi un secondo attacco,questa volta alla stazionedella metropolitana diMaelbeek, a pochi passidal nostro hotel e nelcuore della struttura digoverno dell’Unione euro-pea. A questo punto i vei-coli di emergenza hannocominciato a muoversi indirezioni diverse, e con unnumero crescente di am-bulanze al seguito, mentredavanti al nostro albergoarrivavano guardie ar-mate e due mezzi del-l’esercito. Intanto, sisusseguivano le notizie dichiusure parziali e totalidella città. Nessuno sa-peva se sarebbero arrivatialtri attacchi, cosa che ov-

viamente non si poteva escludere.Le tristi notizie sono emerse con il

passare delle ore: nei due attacchisono state uccise trentaquattro per-sone e ferite a centinaia, mentre pareche almeno un assassino sia a piedelibero. L’Isis ha rivendicato gli atten-tati. Molti pensano che siano colle-gati alla recente cattura del latitanteSalah Abdeslam, una delle mentidella carneficina di Parigi del no-vembre scorso. Poco dopo Parigi, iriflettori sono stati puntati sul Bel-gio, per capire se anche quel Paesefosse ormai particolarmente “ma-turo” per un simile attacco. Dopo-tutto, sono passati meno di due annida quando quattro persone sonostate uccise in un attacco al MuseoEbraico del Belgio. E lo scorso ago-sto, il treno ad alta velocità Bruxel-les-Parigi è stato il bersaglio di unaltro attacco jihadista, sventato al-l’ultimo momento dai riflessi e dalcoraggio di tre passeggeri statuni-tensi, tra gli altri. E nel mese di no-vembre Bruxelles fu blindata

proprio perché sembrava che gli at-tacchi di Parigi fossero stati ideatinella città belga. E in effetti, Da-chraoui era ricercato perché sospet-tato degli attentati di Parigi.

Oltretutto, alcuni analisti guar-dano alla numerosa comunità musul-mana del Belgio ed alla creazione di“società parallele” in quartieri comeMolenbeek. Una miscela di ideologiaradicale e di modelli di integrazionefalliti creano le condizioni per il so-stegno e l’adesione all’Islamismo. Ein effetti, come ci ha raccontato il mi-nistro degli Interni belga nel corso diprecedenti incontri, il Paese ha unodei più alti, se non il più alto, numeropro capite di “combattenti stranieri”in Iraq e in Siria di qualsiasi altra na-zione europea. E chi torna in Belgiopuò rivelarsi di grande pericolo. Datoil numero di persone necessarie peruna sorveglianza ventiquattro ore suventiquattro, diventa praticamenteimpossibile controllare costante-mente tutti quelli che ritornano in pa-tria. E, cosa non meno importante,

girano voci che il Belgio abbia incon-trato serie difficoltà nel mettere inatto una sofisticata strategia antiter-rorismo all’altezza della minaccia, eche siano mancate capacità di intelli-gence adeguate. Le profonde divisionidel Paese lungo linee linguistiche; ivari livelli sovrapposti di governancefederale, regionale e locale; e alcuneleggi arcaiche (come ad esempio il di-vieto alla polizia di entrare nelle casedopo le 21) hanno fatto sì che un la-voro già di per sé difficile sia diven-tato molto più impegnativo.

Inoltre, e questo vale non solo peril Belgio, una certa mentalità com-piacente che fa credere che “non po-trebbe accadere qui” ha complicatoulteriormente le cose, persino dopo lalunga serie di attacchi terroristici chehanno colpito dalla Gran Bretagnaalla Bulgaria, dalla Danimarca allaFrancia, dal Belgio alla Spagna. L’Eu-ropa ha realizzato così tanto nel do-poguerra. È passata dall’essere unContinente intriso di sangue, ad unanuova Era di pace e di prosperità,fatta di società libere, dove la “softpower” ha trionfato all’interno deiconfini in espansione. La nozioneKantiana della “pace perpetua” sem-brava essere quasi a portata di

mano. Ma l’Europa si trova ora adaffrontare una nuova realtà che,probabilmente, è destinata a durare.Naturalmente, deve continuare adaspirare ai suoi nobili obiettivi, macontemporaneamente deve affrontaresenza indugio le minacce incombenti.

Negare la vastità del problema -un approccio da tempo favoritopresso alcuni Paesi - non è più unastrategia. E non è una strategia nean-che portare avanti un dialogo ideali-sta quando si ha di fronte l’ideologiadi chi ama la morte. E razionalizzareil comportamento omicida - sulla fal-sariga del “sono poveri e lasciati a sestessi, che altra scelta possono maiavere?” - non è una strategia. E nonlo è neanche illudersi che si trattisolo di persone che hanno le loro “le-gittime” motivazioni. E non è unastrategia disprezzare i modelli di ac-culturazione falliti. Per vent’anni, inuno spirito di costante amicizia, l’Ajcha attraversato tutta l’Europa occi-dentale per portare avanti la discus-sione sulle “tre I” - Immigrazione,Integrazione e Identità - quali prioritànecessarie nelle società sempre piùmulticulturali. Allo stesso tempo, ab-biamo più volte evidenziato le mi-nacce all’impegno dell’Europa verso

la tutela della dignitàumana, tra cui l’aumentodell’antisemitismo e il pe-ricolo che esso pone nonsolo agli ebrei, ma al tes-suto stesso della democra-zia. Potrei scrivere un librosu questi innumerevoli in-contri, ma basti dire che inmolti non volevano af-frontare questa realtà cheandava evolvendo, prefe-rendo infilare la testa nellasabbia. Inutile aggiungereche non sia servito aniente. È vero, è tardi, manon è troppo tardi. L’Eu-ropa deve affrontare e su-perare questo pericolo, egli amici dell’Europa de-vono essere pronti ad aiu-tarli. Sono i nostri valori eil nostro modo di vita adessere in bilico.

(*) Direttore esecutivo dell’American Jewish

Committee

Primo Piano

Io ero a Bruxelles

Ricordate il famoso Charles Pa-squa (a proposito: Auguri!)? Sì,

lui. Il pluri-blasonato ministro del-l’Interno francese dei governi Chirace Balladur che coniò lo slogan “Ter-rorizzare i terroristi”. Non inventava,certo, nulla di nuovo. Il mondo avevaavuto già modo, prima di lui, di ac-quisire (senza adottarlo, purtroppo.Tranne che nel caso di Santa MadreRussia, Zar Putin regnante) il modusoperandi del Mossad sempre più per-fezionato dopo la strage alle Olim-piadi di Monaco del 1972.l’Occidente pavidissimo non ha maiemulato la scelta strategica politico-militare degli israeliani (applicazionepratica in cui si amplia e si consolidanelle istituzioni dello Stato il bennoto detto biblico “Occhio per oc-chio”), che rappresenta una sorta dirisoluzione finale contro il terrori-smo. Ovvero: perseguire e annientarein ogni tempo e in ogni luogo i re-sponsabili di stragi o assassinii (reli-giosi e politici) contro cittadiniisraeliani. Principio enormementerafforzato dalla assoluta determina-zione che con i terroristi sequestratoridi ostaggi non si tratta. Ogni citta-dino israeliano, uomo o donna, è al-levato (e armato!) per tutta la suavita come un militare, che deve guar-darsi le spalle dai nemici di tutto ilmondo ed è pronto a morire e sacri-ficarsi per difendere il suo buon di-ritto a vivere in pace.

Vi chiederete, ad es., come mai,Israele riesca a evitare stragi comequelle di Parigi e Bruxelles nel suo

territorio. La risposta è semplice edrammatica: inasprire, in ogni modo,il carattere di separatezza tra “loro” egli “altri” vicini di casa palestinesi. Il“Muro” che separa la parte araba equella israeliana di Gerusalemme neè una conferma dolorosa e necessi-tata. Certo, poi le difese restano co-munque insufficienti di fronte atattiche come “L’Intifada dei coltelli”,in cui un qualsiasi, insospettabile cit-tadino arabo-israeliano si fa all’im-provviso agente silente uccidendo acaso i passanti nelle vie di Gerusa-lemme (o di altri centri di tutto l’Oc-

cidente dove le due comunità sianopresenti) in cui le vittime si trovino apassare. Tanto per non nascondercinulla, l’Europa rispetto a questo fe-nomeno devastante ha preferito (mache bella novità!) girare il suosguardo preoccupato altrove. Na-scondendo a se stessa le mille Molen-beek che ospita nel suo seno di ghettiurbani, come tante aspidi pronte acolpire. Perché, continuiamo a pen-sare sia meglio non immischiarsi neiloro affari, sperando che portino al-trove rabbia ed esplosivo.

Del resto, i coltelli presuppongono

il corpo-a-corpo e per fare lo stessonumero di vittime di Parigi e Bruxel-les ci vogliono almeno altrettantimartiri, calcolando che qualunquecittadino israeliano ha il diritto diportare armi per difendersi. Poi, misembra davvero un inutile esercizio diretorica complottarda, il tentativo di“illuminare” le opinioni pubblicheeuropee sul fatto che “qualcuno”(leggi i ricchissimi satrapi delle pe-troeconomie del Golfo e/o centraliocculte statunitensi) stiano da tempodistruggendo la forza, l’integrità e lacoesione dell’Europa con un’immi-grazione di milioni di profughi eco-nomici che consumano il nostrowelfare, nonché con le stragi dei ra-dicali jihadisti. Ma davvero è colpa dicostoro? La Storia va analizzata

tutta, per capire bene. Quando noneravamo Ue mi ricordo che - comeoggi - il terrorismo dell’Olp colpivaovunque, malgrado avessimo la pienasovranità nazionale. Quindi, secondome l’analisi non è quella di indivi-duare la Luna Nera ma il “perché”siamo uniti solo per la coda moneta-ria e non per la “testa” politico-mili-tare-finanziaria.

Altro aspetto: l’Islam “cattivo” èun po’ una favoletta per bambini. Senon fossimo accecati da inutile buo-nismo e da dosi narcotizzzanti di“politically-correct” non sarebbe maistato possibile che stranieri in casanostra non rispettassero le “Nostre”regole, o che nulla sapessimo dei di-scorsi infuocati dei loro Imam che,quasi sempre, non parlano la linguadel Paese ospite! Poi, è proprio vero:non c’è niente di peggio di un con-vertito, come dimostrano i martiri ji-hadisti con cittadinanza europea! E,guarda caso, la maggior parte di loroè costituita da ex marginali e delin-quenti, puntualmente redenti! Ba-sterà, per capire, leggere il bel librodi Andrea Orsini: “Isis - I terroristipiù fortunati del mondo”. Pur-troppo, imitare Israele è impossibile:gli ebrei sono gente molto, moltoseria, sopravvissuti a mille persecu-zioni. Noi siamo papisti ecumenicida una vita. Non si concilia l’incon-ciliabile. Loro controllano a meravi-glia l’aeroporto Ben Gurion. Noi, perapplicare i loro metodi, dovremmoazzerare la nostra intelligence e ri-farla ex novo con dieci volte gli ef-fettivi attuali! A spese delcontribuente! Bye-bye Europe!

Terrorizzare i terroristi?

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Esteri

No, non è l’Isis, non sono le mili-zie sciite a scatenarsi. È la diga

di Mosul, la più grande dell’Iraq,che con il suo possibile crollo po-trebbe provocare milioni di morti.Gli esperti sono preoccupati delfatto che la catastrofe possa consu-marsi in primavera, quando le nevisi scioglieranno causando un au-mento incontrollabile della pressionedell’acqua.

Costruita frettolosamente intempo di guerra all’epoca di SaddamHussein da un consorzio italo-tede-sco, la diga di Mosul si trova lì dov’èperché uno dei compari di Saddamera originario del posto e aveva usatole sue conoscenze, nonostante gli in-gegneri sapessero fin dall’inizio che lasua porosa base di gesso non avrebbepotuto sostenere il peso di una strut-tura così enorme. Quella che fu poichiamata diga di Saddam venne inau-gurata nel 1984 e nel giro di due anniha avuto costante bisogno, giorno enotte, di grouting ossia iniezioni dicemento ad alta pressione – ne sonostate infiltrate più di 90mila tonnel-late nel corso dei decenni – per evi-tarne il crollo. Le iniezioni di cementoservono a consolidare le fondazioni,ma non risolvono il problema.

Col passare degli anni, per for-tuna, non c’è stato alcun disastrosotto il controllo americano. Poi, du-rante i fatidici dieci giorni del 7-17agosto 2014, lo Stato islamico (Isis)

ha preso il pieno controllo della diga.Il gruppo non ha sabotato né ha fattosaltare in aria la struttura, ma per seisettimane il grouting è stato sospesoe non sono state effettuate ripara-zioni. Pertanto, nel corso degli ultimi19 mesi, la diga è diventata semprepiù instabile fino al punto che gliesperti temono che un aumento delleacque per il disgelo delle nevi causeràil crollo della struttura. Il fatto che ledue “saracinesche” di scarico sianorotte e non possano essere aperte perridurre la forte pressione rende la si-tuazione ancora più preoccupante.

Le conseguenze di un crollo sonoterrificanti: un muro d’acqua di circa14-21 metri raggiungerebbe nel girodi quattro ore Mosul, una città diquasi un milione di abitanti. Poi,

l’onda di piena proseguirebbe lungola valle del fiume fino a travolgerealtre città inclusa la capitale Ba-ghdad, prima di inondare catastrofi-camente tutto. Questo causerebbeuna perdita significativa di viteumane cui farebbero seguito aridità,malattie, mancanza di acqua potabileed elettricità, caos e criminalità, assi-curando calamità e morti di portatabiblica.

Per anni, le ordinarie iniezioni dicemento e le sconsiderate rassicura-zioni hanno mascherato la precarietàdella diga di Mosul. Ma gli accre-sciuti allarmi lanciati dal governoamericano dall’inizio del 2016, che sibasano principalmente sulle stime delgenio militare statunitense, sembranoaver finito per aver aperto gli occhi

agli iracheni sui rischi che corrono.L’ambasciata americana a Baghdadha anche diffuso un’insolita “schedainformativa sulla gestione dell’emer-genza della diga di Mosul” conte-nente i consigli (purtroppo solo ininglese) sulle misure di evacuazione,le esigenze educative e le operazionidi soccorso.

Al contrario, il governo irachenonon fa che rassicurare in modo diso-nesto che non c’è alcun problema. Se-condo Mohsen al-Shimari, ministrodelle Risorse idriche dell’Iraq e re-sponsabile della diga, “il pericolo nonè imminente, è lontano. Il pericolo èsolo una possibilità su mille” (di persé, un rischio non accettabile). Op-pure egli insiste a dire che la diga diMosul “non è più” in pericolo delle

altre dighe. Altre volte, Shimari af-ferma che “non c’è alcun problemanella diga che può portare al crollo”.Si noti l’incoerenza, segno di falsità.

In linea con questa irresponsabilenoncuranza, nonché criminosa, le au-torità irachene non hanno fatto pres-soché nulla per prepararsi a unpossibile crollo. Sì, è vero, esse so-stengono che esiste un piano di emer-genza, ma nessuno lo ha mai visto, emen che meno si è conoscenza deisuoi dettagli; pertanto, che utilità puòavere in tempo di crisi? Sì, è stato fir-mato un accordo da 300 milioni didollari con la Trevi, la compagnia ita-liana che ha vinto l’appalto per i la-vori di riparazione e manutenzionedella diga, ma questo è un palliativonon una soluzione a lungo termine.

A peggiorare le cose, Mosul, lacittà che è più vulnerabile all’inonda-zione causata dal cedimento delladiga, è sotto il controllo dell’apoca-littico Stato islamico, il cui disprezzoper la vita umana e l’estrema ostilitàverso il mondo esterno vanificano lapianificazione della gestione dellacrisi e gli aiuti internazionali. Ma inquesto c’è un risvolto positivo: il re-gime mostruoso dell’Isis ha causatoun calo della popolazione urbana cheè passata da 2 milioni e mezzo di dueanni fa a circa un milione di abitanti,e questo riduce il numero delle po-tenziali vittime in loco.

Ipotizzando che la diga resista aldisgelo di quest’anno, esiste un’unicasoluzione a lungo termine: comple-tare la diga di Badush a valle dellastruttura pericolante che mitighe-rebbe le conseguenze di un crollo.Questa seconda diga, i cui lavori dicostruzione sono iniziati nel 1986 epoi interrotti nel 1990, costerebbe 10miliardi di dollari, che il governo ira-cheno non può permettersi di sbor-sare. Ma questa dovrebbe essere lamassima priorità del Paese.

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada

L’imminente apocalisse dell’Iraq

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Gli attacchi terroristici all’aero-porto e nella metropolitana di

Bruxelles hanno messo ancora unavolta in evidenza l’ignobile funzionesvolta dal Belgio quale rifugio europeoper jihadisti. Diversi fattori distinti mainterconnessi aiutano a spiegare per-ché Bruxelles, la capitale politica del-l’Europa, è diventata la capitalejihadista dell’Europa.

Una vasta popolazione musulmanaSi prevede che nel 2016 i musul-

mani in Belgio saranno 700mila, circail 6,2 per cento della popolazionecomplessiva, secondo i dati estrapolatida un recente studio del “Pew Rese-arch Center”. In termini di percen-tuali, il Belgio è tra i Paesi con ilmaggior numero di musulmani del-l’Europa Occidentale. A Bruxelles –dove attualmente vive circa la metàdei musulmani del Paese – la popola-zione islamica ha raggiunto quota300mila, ossia circa il 25 per cento.Questo fa di Bruxelles una delle piùgrandi città islamiche dell’Europa.Sono circa 100mila i musulmani chevivono nel distretto di Molenbeek,alla periferia di Bruxelles, che è diven-tato il centro del jihadismo belga.

Società paralleleIn Belgio, il problema dell’Islam ra-

dicale ha avuto origine negli anni Ses-santa, quando le autorità belgheincoraggiarono l’immigrazione dimassa dalla Turchia e dal Maroccocome fonte di manodopera a bassocosto. In seguito, arrivarono migrantidall’Egitto e dalla Libia. Le fabbrichehanno chiuso, ma i migranti sono ri-masti e hanno messo radici. Oggi, lamaggior parte dei musulmani presentiin Belgio sono figli di immigrati diterza o quarta generazione. Se molti diquesti musulmani sono integrati nellasocietà belga, molti altri però non losono. Un numero crescente di musul-mani presenti in Belgio vive in ghettiisolati dove la povertà, la disoccupa-zione e la criminalità dilagano. A Mo-lenbeek, il tasso di disoccupazione siaggira attorno al 40 per cento. Gliimam radicali sono alla spasmodicaricerca di giovani disoccupati per con-durre il jihad contro l’Occidente.

SalafismoCome in altri Paesi europei, sono

numerosi i musulmani che nel Paesestanno abbracciando il salafismo –una forma radicale di Islam – che in-voca un jihad violento contro tutti imiscredenti in nome di Allah. Il salafi-smo prende il nome dal termine arabosalaf, che significa predecessori o an-tenati – ossia i contemporanei di Mao-metto. I salafiti affondano le lororadici nell’Arabia Saudita, luogo dinascita di Maometto. Essi glorificanouna visione idealizzata di ciò che se-condo loro è il vero e originario Islam,praticato dalle prime generazioni dimusulmani, tra cui Maometto e i suoicompagni e seguaci, nel VII e VIII se-colo. Lo scopo del salafismo è quellodi ricreare una forma pura di Islam inepoca moderna. Quest’obiettivo pre-senta seri problemi per gli Stati mo-derni, laici e pluralisti. Un recenterapporto dell’intelligence tedesca hadefinito il salafismo come “un’ideolo-gia politica, i cui seguaci vedono nel-l’Islam non solo una religione, maanche un quadro giuridico che regolatutti gli ambiti della vita: dal ruolodello Stato nell’organizzare le rela-zioni tra le persone alla vita privatadei singoli. Il rapporto poi aggiungeche “il salafismo respinge i princìpi de-mocratici della separazione tra Stato ereligione, la sovranità popolare, l’au-todeterminazione in ambito religiosoe sessuale, l’uguaglianza di genere e ildiritto fondamentale all’integrità fi-sica”. Anche se i salafiti costituisconosolo una piccola parte della fiorentecomunità di musulmani che vive inEuropa, le autorità sono sempre più

preoccupate che la maggior parte dicoloro che sono attratti dall’ideologiasalafita sono giovani musulmani im-pressionabili, che potrebbero esseredisposti a ricorrere alla violenza innome dell’Islam.

Sharia4BelgiumPrima della comparsa dello Stato

islamico, il più noto gruppo salafitadel Belgio era “Sharia4Belgium”, cheha svolto un ruolo importante nel pro-cesso di radicalizzazione dei musul-mani del Paese. Sharia4Belgium èstato messo al bando nel febbraio2015, quando il suo leader, Fouad Bel-kacem, è stato condannato a 12 annidi carcere. Una parte dell’archivio del-l’ex sito web del gruppo è disponibilenell’Archivio Internet. In esso Sha-ria4Belgium invitava tutti i belgi aconvertirsi all’Islam, a sottomettersialla legge della Sharia oppure affron-tare le conseguenze. Il testo afferma:“Sono oramai trascorsi 86 anni dallacaduta del Califfato islamico. In que-sto Paese (Belgio, ndr) prevalgono latirannia e la corruzione; si passa dauno scandalo all’altro: crisi economi-che, pedofilia, criminalità, crescenteislamofobia, ecc.. Così come in pas-sato noi (musulmani, ndr) abbiamosalvato l’Europa dai secoli bui, ora in-tendiamo fare lo stesso. Ora abbiamola soluzione giusta per tutte le crisi equesta consiste nell’osservare la leggedivina, ossia la Sharia. Noi chiediamodi attuare la Sharia in Belgio. La Sha-ria è il sistema perfetto per il genereumano. In 1300 anni di Stato islamicoabbiamo conosciuto solo ordine, be-nessere e tutela di tutti i diritti umani.Sappiamo che Spagna, Francia e Sviz-zera hanno conosciuto i migliori pe-riodi della loro storia sotto la Sharia.In questi 1300 anni sono state violen-tate 120 donne, mentre oggi in Eu-ropa ne vengono stuprate 120 algiorno. In 1300 anni sono stati com-messi appena 60 furti. Di conse-guenza, invitiamo la famiglia reale, ilparlamento, tutta l’aristocrazia e ognicittadino belga a sottomettersi allaluce dell’Islam. Salvate voi stessi e i vo-stri figli dalla dolorosa punizione nel-l’Aldilà e garantitevi la vita eterna inParadiso”. Nell’immagine di sfondodel sito web di Sharia4Belgium si vedeuna bandiera nera del jihad che sven-tola sul parlamento belga. Fino a pocotempo fa, la pagina di YouTube delgruppo era usata per incitare i musul-mani al jihad. Il gruppo aveva postatodei video con titoli come “Il jihad èobbligatorio”, “Incoraggiare il jihad”,“Duello e guerriglia” e “Le virtù delmartirio”. In questo modo, Sharia4Belgium ha aperto la strada allo Statoislamico in Belgio.

Jihadisti belgiPur essendo uno dei Paesi più pic-

coli dell’Europa Occidentale, il Belgioè diventato la principale fonte europeadi jihadisti che combattono in Siria eIraq. Secondo i dati forniti il 22 feb-braio 2016 dal ministro degli InterniJan Jambon, 451 cittadini belgi sonostati identificati come jihadisti. Di que-sti, 269 si trovano nei campi di batta-glia in Siria o Iraq; 6 sarebbero diretti

nella zona di guerra; 117 sono tornatiin Belgio e 59 hanno tentato di la-sciare il Paese, ma sono stati fermatialla frontiera. Secondo Jambon, 197di questi jihadisti sono originari dellaregione di Bruxelles-Capitale; 112sono in Siria e 59 sono tornati in Bel-gio. Altri 195 sono originari delleFiandre, di essi 133 sono in Siria e 36sono tornati. Il Belgio è il principalefornitore di jihadisti dello Stato isla-mico: circa 40 jihadisti per milione diabitanti, rispetto alla Danimarca (27),Francia (18), Austria (17), Finlandia(13), Norvegia (12), Regno Unito(9,5), Germania (7,5) e Spagna (2).

Incompetenza dello Stato?Nel corso degli ultimi 24 mesi, al-

meno cinque attacchi jihadisti sonostati collegati al Belgio. Nel maggio2014, i jihadisti hanno attaccato ilMuseo ebraico di Bruxelles. Nell’ago-sto 2014, un jihadista con legami aMolenbeek ha attaccato un treno Am-sterdam-Parigi. Nel gennaio 2015, lapolizia belga ha compiuto un raidanti-jihadisti a Verviers, in Belgio. Nelnovembre 2015, è emerso che duedegli otto jihadisti che hanno colpitoParigi erano residenti a Bruxelles. Il 18marzo, la polizia ha arrestato SalahAbdeslam, nato in Belgio da una fa-miglia francese di origine marocchina,per il ruolo avuto negli attacchi di Pa-rigi. Era ricercato da mesi. Il 22marzo, i jihadisti hanno ancora unavolta colpito Bruxelles. Dopo gli at-tacchi di Parigi del novembre 2015, ilprimo ministro belga Charles Michelha dichiarato: “C’è quasi sempre unlegame con Molenbeek. Questo è unproblema enorme. A parte la preven-zione, dovremmo concentrarci di piùsulla repressione”.

Il ministro degli Interni Jambon haaggiunto: “Al momento, non abbiamoil controllo della situazione a Molen-beek. Dobbiamo intensificare gli sforzicome prossimo obiettivo. Vedo che ilsindaco (di Molenbeek, ndr) FrançoiseSchepmans ha chiesto anche il nostroaiuto e che il capo della polizia locale èdisposto a cooperare. Dobbiamo unirele forze e ‘ripulire’ ogni centimetro diterreno, il che è davvero necessario”.

L’ultimo attacco a Bruxelles, tutta-via, dimostra che le autorità belghenon riescono ancora a controllare ilproblema jihadista. Un funzionariodell’antiterrorismo belga ha detto chea causa delle piccole dimensioni delgoverno belga e del gran numero di

indagini in corso, di fatto ogni detec-tive della polizia e ogni funzionariodell’intelligence militare del Paese èconcentrato su indagini internazionalicontro il terrorismo jihadista. E ha ag-giunto: “Siamo sotto organico e nonpossiamo occuparci di qualsiasi altracosa, e a dire il vero non disponiamodell’infrastruttura necessaria per inda-gare o sorvegliare le persone sospet-tate di legami terroristici e per seguirele centinaia di casi aperti. È una situa-zione letteralmente impossibile e one-stamente è molto grave”.

Un funzionario dell’intelligenceamericana avrebbe asserito che lavo-rare con i funzionari della sicurezza èstato come lavorare con dei bambini:“È una ventina d’anni che i jihadisti sisono infiltrati nel territorio del-l’Unione europea. E ora stanno ini-ziando a lavorare su questo problema.Quando dobbiamo contattare questepersone (i funzionari europei) o man-diamo i nostri uomini a parlare conloro, abbiamo la sensazione di parlarecon gente che, per dirla senza mezzi ter-mine, è infantile. Non sono attivi, nonsanno cosa sta accadendo. Non sonomotivati. Gli fa paura ammettere che illoro Paese è stato preso d’assalto”.

Nel novembre 2015, il New YorkTimes ha pubblicato un’analisi graf-fiante dell’incompetenza belga. Èemerso che un mese prima degli at-tacchi, il sindaco di Molenbeek, Fran-çoise Schepmans, aveva ricevuto unalista con i nomi e gli indirizzi di 80 ji-hadisti residenti nel suo distretto.Nella lista c’erano i due fratelli cheavrebbero preso parte agli attacchi diParigi del 13 novembre.

Secondo il Times, la Schepmans hadetto: “Cosa avrei dovuto fare? Non ècompito mio controllare i presunti ter-roristi. È compito della polizia fede-rale”. E il Times continua: “La poliziafederale, da parte sua, riferisce sul pro-prio operato al ministro degli InterniJan Jambon, un nazionalista fiam-mingo che nutre dubbi in merito alfatto che il Belgio – diviso tra abitantidi lingua francese, olandese e tedesca –debba essere un unico Stato”.

Uno Stato artificialeStretto tra Francia, Germania, Lus-

semburgo e Paesi Bassi, il Belgio fucreato a tavolino nel 1830 per essereuno Stato cuscinetto tra Francia e Ger-mania, rivali geopolitici. Il ruolo delBelgio come Stato cuscinetto è termi-nato dopo la fine della Seconda guerramondiale e con il successivo processodi integrazione europea. Col passaredel tempo, Bruxelles è diventata difatto la capitale dell’Unione. Negli ul-timi trent’anni, il Belgio ha dovuto farfronte a una crisi esistenziale a causadel crescente antagonismo tra i citta-dini di lingua olandese e francese. Unosservatore ha scritto: “Il Paese operasulla base dell’apartheid linguistico,che infetta tutto: le biblioteche, le am-ministrazioni locali e regionali, il si-stema scolastico, i partiti politici, latelevisione nazionale, i quotidiani eanche le squadre di calcio. Non esistealcuna narrazione nazionale in Belgio,esistono piuttosto due opposte storieraccontate in olandese o francese. Il ri-sultato è un dialogo tra sordi”.

Questa disfunzione si estende al-

l’antiterrorismo belga. Il New YorkTimes ha osservato: “Con tre popola-zioni mal coese, il Belgio ha una nu-merosa pletora di istituzioni e partitipolitici divisi secondo logiche lingui-stiche, ideologiche o semplicementeopportunistiche, che vengono accusatidi apparente incapacità di affrontarela minaccia terroristica. Non è statodifficile trovare i due fratelli di Mo-lenbeek prima che contribuissero a uc-cidere 130 persone negli attacchi diParigi. Vivevano a cento metri dal mu-nicipio, dall’altra parte della piazzadel mercato, in un appartamento af-fittato, ben visibile dall’ufficio del sin-daco, situato al secondo piano delmunicipio. Un terzo fratello ha anchelavorato per l’amministrazione comu-nale di Madame Schepmans. Però, èstato molto più difficile negoziare unaqualunque collaborazione nei meandriche collegano – e dividono – una mol-titudine di servizi responsabili della si-curezza di Bruxelles, una capitale chedispone di sei corpi di polizia locale euna polizia federale. Bruxelles ha treparlamenti, 19 circoscrizioni ed è sededi due servizi di intelligence – uno mi-litare e l’altro civile – così come diun’unità di valutazione della minacciaterroristica il cui capo, esausto e de-moralizzato dalle lotte intestine, si è di-messo a luglio ma è ancora alla suascrivania. In questa confusione,c’erano i due fratelli Abdeslam, Ibra-him che si è fatto esplodere indossandoun giubbotto esplosivo a Parigi e Salahche è stato l’obiettivo di una gigantescacaccia all’uomo che ha portato la po-lizia a compiere irruzioni in diverseabitazioni del Paese”.

I problemi linguistici incidonoanche sull’integrazione. Come spiegaun’analisi del Washington Post, “pertrovare lavoro a Bruxelles occorre par-lare francese, fiammingo oppure olan-dese, e a volte anche inglese, mentre lamaggior parte dei migranti parlano perlo più arabo e qualcuno francese. Que-sto blocca l’integrazione”.

Senza frontiereL’accordo di Schengen che per-

mette di viaggiare senza passaportoattraverso la maggior parte dei Paesidell’Ue ha consentito ai jihadisti di fin-gere di essere migranti per entrare inEuropa attraverso la Grecia e dirigersiverso l’Europa settentrionale di fattoinosservati.

In un’intervista a Breitbart Lon-don, il parlamentare olandese GeertWilders, attualmente sotto processonei Paesi Bassi per la libertà di parola,ha dichiarato: “I combattenti di ri-torno dalla Siria sono una minacciaenorme. Sono pericolosi predatori checircolano liberamente nelle nostrestrade. È assolutamente incredibile chei nostri governi gli consentano di tor-nare. Ed è incredibile che una voltatornati non vengano imprigionati. NeiPaesi Bassi, ci sono decine e decine dijihadisti. Il nostro governo permettealla maggior parte di loro di cammi-nare liberamente per le strade e si ri-fiuta di rinchiuderli in prigione.Chiedo che siano immediatamenteimprigionati. Ogni governo in Occi-dente che rifiuta di farlo si rende mo-ralmente complice se uno di questimostri commette un’atrocità. Il go-verno deve anche chiudere le frontiere.Lo spazio Schengen dell’Unione euro-pea, che è una zona di libera circola-zione senza controlli, è una catastrofe.Il belga-marocchino Salah Abdeslam,la mente del bagno di sangue delloscorso novembre a Parigi, ha viaggiatoliberamente dal Belgio ai Paesi Bassipiù volte nel 2015. Questo è intollera-bile. Aprire le frontiere è un enormerischio per la sicurezza. I nostri citta-dini sono in pericolo di vita se non ri-pristiniamo i controlli sui nostri stessiconfini nazionali”.

(*) Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York

Esteri

Perché il Belgio è l’epicentro del jihadismo europeo

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Economia

L’Avvenire ha ospitato recente-mente un’interessante e illumi-

nante lezione di economia diAntonio Fazio, ex Governatore dellaBanca d’Italia, sull’evolversi dellastoria europea dalla fine della Primaguerra mondiale passando dalle po-litiche deflazionistiche volute dallaGermania.

Una narrazione che ha come fon-damentali anche i princìpi economicidi Keynes; Fazio evidenzia comedalla partecipazione alla monetaunica dell’Italia la nostra economia ècresciuta meno degli altri Paesi, cosìcome la nostra lentezza nel fare in-vestimenti e, seppur l’esportazionesia aumentata, investimenti e Pro-dotto interno lordo rallentano.Come si conferma la lentezza italicasu produttività, competitività e inno-vazione, la Germania aumenta la suacompetitività e ha un surplus dellabilancia dei pagamenti simile aquello della Cina; questo surplus lo

dovrebbe reinvestire nel-l’economia reale o met-terlo a disposizione deglialtri Paesi in ritardo, enon facendolo crea de-flazione. Fazio sottolineache la Banca centrale eu-ropea invece di com-prare titoli pubblicidovrebbe finanziare pro-getti scelti dalla Bancaeuropea per gli investi-menti avendo così unimmediato sollievo dellasituazione economica.

Fazio fa un ulteriorerichiamo a Keynes, se-condo il quale in un’eco-nomia dove c’èdisoccupazione il rispar-mio lo formano gli inve-stimenti, promuovendoaumento del reddito siforma il nuovo rispar-mio e, come sottolineavasempre Keynes, non ne-cessariamente la spesa va

sostenuta solo se i denari sono incassa. Quindi, secondo Fazio e ancheguardando i risultati, una riflessionesulla cura del male andrebbe fatta, ilmalato continua a non migliorare,quindi risulta sbagliata la cura eascoltare chi di “medicina econo-mica” ne sa sarebbe molto prezioso econ l’adeguata cultura si dovrebberorileggere i vecchi saggi che rappre-sentato una memoria storica e unacapacità di analisi nelle quali i per-corsi economici si ripresentano.

Sia il nostro primo ministro Mat-teo Renzi che il ministro dell’Econo-mia, Pier Carlo Padoan, dovrebberoandare a leggersi l’Avvenire e riflet-tere su alcuni princìpi facendonebuon uso nei loro frequenti maspesso infruttuosi viaggi europei.Come diceva il maestro Manzi inuna vecchia ma illuminante trasmis-sione per “imparare non è maitroppo tardi…”.

Da Antonio Fazio una lezione di economia per Renzi e Co.

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