Marò a casa, l’arbitrato tardivo - opinione.it · Che domenica bestiale. Che do-menica di...

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delle Libertà Marò a casa, l’arbitrato tardivo Un Primo Maggio da “Rischiatutto” È stato un primo maggio scorag- giante quello che gli italiani hanno potuto seguire domenica scorsa dagli schermi televisivi. Il di- scorso pieno di retorica istituzionale del Presidente della Repubblica, il comizio stile anni Cinquanta dei lea- der delle confederazioni sindacali a Genova, il concertone di piazza San Giovanni a Roma fatto per gente che cerca solo occasioni per ballo e sballo, il controconcerto degli anta- gonisti di Taranto che inneggiano alla musica di lotta e non si rendono conto di fare solo della lotta per la musica. E, infine, l’onnipresenza me- diatica del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in preda a bulimia elettoralistica che lo spinge ad una fuga sempre più marcata ed inquie- tante dalla realtà del Paese. Di tutti questi elementi il più com- prensibile ed accettabile è stato il di- scorso di Mattarella. Che sarà stato pure carico della solita retorica isti- tuzionale ma che, essendo dovuto, difficilmente avrebbe potuto essere diverso. Dovuti sono stati anche gli inter- venti dei leader sindacali a Genova. Ma dovuti solo ad uno stereotipo antico che impone a chiunque inter- venga ad un comizio sindacale di ur- lare frasi stentoree, come faceva Di Vittorio negli anni Cinquanta, nel ri- cordo di quando aveva iniziato le sue battaglie negli anni Venti parlando agli operai ed ai contadini senza il supporto dei microfoni e degli alto- parlanti. P O L I T I C A M E L L I N I A P A G I N A 2 Questo pestaggio benedetto dal Papa? E S T E R I T O A M E H A P A G I N A 5 I palestinesi non riconosceranno Israele come Stato ebraico E C O N O M I A L E T T I E R I - R A I M O N D I A P A G I N A 4 Deutsche Bank: banca a rischio sistema P R I M O P I A N O B U F F A A P A G I N A 3 Marco Pannella, 86 anni di libertà E S T E R I P I P E S A P A G I N A 5 La bella vita fragile negli Emirati Arabi Uniti Garantismo: traffico di talk e delle influenze C he domenica bestiale. Che do- menica di talk-show. Prima, nel pomeriggio, con Matteo Renzi “face to face” con Massimo Giletti (Rai 1), poi gli svegli Labate e Parenzo, alla sera, con altri “esperti”. Siccome i talk sono in crisi - vorrei vedere le rughe di chiunque, venti anni e più dopo - diventa un must il talk ad hoc. E così il “Fuori Onda “(La 7) di David Parenzo e Tommaso Labate ha messo in onda una serie di botta e risposta, vivacizzati (come minimo) dallo scafato duo sia in funzione (poca) del tema principale che in di- rezione (molta) del Premier. E poiché alla trasmissione parlavano perso- naggi di primo piano, esperti dei M atteo Renzi è un falsificatore che mente sapendo di mentire. Infatti presentò la riforma costitu- zionale enunciando, sostanzialmente, tre motivi: accelerare il processo le- gislativo, a suo dire lento e inade- guato ai tempi; semplificare l’assetto del sistema rappresentativo; rispar- miare sui costi delle istituzioni rap- presentative (è scritto perfino nel titolo). Il primo motivo è semplicemente falso perché la funzione legislativa in Italia è la più efficiente al mondo per quantità di leggi e norme prodotte Riforma costituzionale: bugie e truffe mass media, come Freccero e Fini, ma anche della politica, come l’ono- revole Concia e il filosofo Bonaga, non c’era per dir così trippa per gatti. Nel senso che il tema della crisi tal- kofonica veniva sottomesso al tema super del Presidente del Consiglio, non fosse altro perché costui di dal complesso Parlamento-Governo, sebbene la meno apprezzabile per la loro qualità... media, cioè di tivù, se ne intende. Il punto nevralgico, se vogliamo, era un altro e riguardava un’altra messa in onda, quella di Vespa con il figlio di Totò (non quello che fa sem- pre ridere), il quale non poteva che dipingere il genitore come buono, af- fettuoso, devoto alla famiglia, ecc.. Sulla idoneità per la Rai della pun- tata vespiana s’è alzato il giudizio critico di qualche Autorità ed è in un certo senso naturale che ciò avvenga. Altrimenti, che ci sta a fare un’Auto- rità? Freccero, invece, che dei media è uno dei migliori esperti e ne è stato un effettivo innovatore, ha difeso Bruno Vespa “definendosi figlio di Cesare Beccaria...

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delle Libertà

Marò a casa, l’arbitrato tardivo

Un Primo Maggio da “Rischiatutto”

Èstato un primo maggio scorag-giante quello che gli italiani

hanno potuto seguire domenicascorsa dagli schermi televisivi. Il di-scorso pieno di retorica istituzionaledel Presidente della Repubblica, ilcomizio stile anni Cinquanta dei lea-der delle confederazioni sindacali aGenova, il concertone di piazza SanGiovanni a Roma fatto per gente checerca solo occasioni per ballo esballo, il controconcerto degli anta-gonisti di Taranto che inneggianoalla musica di lotta e non si rendonoconto di fare solo della lotta per lamusica. E, infine, l’onnipresenza me-diatica del Presidente del Consiglio,Matteo Renzi, in preda a bulimiaelettoralistica che lo spinge ad unafuga sempre più marcata ed inquie-tante dalla realtà del Paese.

Di tutti questi elementi il più com-prensibile ed accettabile è stato il di-scorso di Mattarella. Che sarà statopure carico della solita retorica isti-tuzionale ma che, essendo dovuto,difficilmente avrebbe potuto esserediverso.

Dovuti sono stati anche gli inter-venti dei leader sindacali a Genova.Ma dovuti solo ad uno stereotipoantico che impone a chiunque inter-venga ad un comizio sindacale di ur-lare frasi stentoree, come faceva DiVittorio negli anni Cinquanta, nel ri-cordo di quando aveva iniziato le suebattaglie negli anni Venti parlandoagli operai ed ai contadini senza ilsupporto dei microfoni e degli alto-parlanti.

POLITICA

MELLINI A PAGINA 2

Questo pestaggiobenedetto dal Papa?

ESTERI

TOAMEH A PAGINA 5

I palestinesi non riconosceranno Israele

come Stato ebraico

ECONOMIA

LETTIERI-RAIMONDI A PAGINA 4

Deutsche Bank: banca a rischio sistema

PRIMO PIANO

BUFFA A PAGINA 3

Marco Pannella, 86 anni di libertà

ESTERI

PIPES A PAGINA 5

La bella vita fragile negli Emirati Arabi Uniti

Garantismo: traffico di talk e delle influenze

Che domenica bestiale. Che do-menica di talk-show. Prima, nel

pomeriggio, con Matteo Renzi “faceto face” con Massimo Giletti (Rai 1),poi gli svegli Labate e Parenzo, allasera, con altri “esperti”. Siccome italk sono in crisi - vorrei vedere lerughe di chiunque, venti anni e piùdopo - diventa un must il talk adhoc. E così il “Fuori Onda “(La 7) diDavid Parenzo e Tommaso Labateha messo in onda una serie di botta erisposta, vivacizzati (come minimo)dallo scafato duo sia in funzione(poca) del tema principale che in di-rezione (molta) del Premier. E poichéalla trasmissione parlavano perso-naggi di primo piano, esperti dei

Matteo Renzi è un falsificatoreche mente sapendo di mentire.

Infatti presentò la riforma costitu-zionale enunciando, sostanzialmente,tre motivi: accelerare il processo le-gislativo, a suo dire lento e inade-guato ai tempi; semplificare l’assettodel sistema rappresentativo; rispar-miare sui costi delle istituzioni rap-presentative (è scritto perfino neltitolo).

Il primo motivo è semplicementefalso perché la funzione legislativa inItalia è la più efficiente al mondo perquantità di leggi e norme prodotte

Riforma costituzionale:bugie e truffe

mass media, come Freccero e Fini,ma anche della politica, come l’ono-revole Concia e il filosofo Bonaga,non c’era per dir così trippa per gatti.Nel senso che il tema della crisi tal-kofonica veniva sottomesso al temasuper del Presidente del Consiglio,non fosse altro perché costui di

dal complesso Parlamento-Governo,sebbene la meno apprezzabile per laloro qualità...

media, cioè di tivù, se ne intende. Il punto nevralgico, se vogliamo,

era un altro e riguardava un’altramessa in onda, quella di Vespa con ilfiglio di Totò (non quello che fa sem-pre ridere), il quale non poteva chedipingere il genitore come buono, af-fettuoso, devoto alla famiglia, ecc..Sulla idoneità per la Rai della pun-tata vespiana s’è alzato il giudiziocritico di qualche Autorità ed è in uncerto senso naturale che ciò avvenga.Altrimenti, che ci sta a fare un’Auto-rità? Freccero, invece, che dei mediaè uno dei migliori esperti e ne è statoun effettivo innovatore, ha difesoBruno Vespa “definendosi figlio diCesare Beccaria...

Raimondo Caputo, imputato di uncrimine orrendo (pedofilia ed omici-

dio di una bambina) è stato fatto oggettodi un “pestaggio” da parte degli altri de-tenuti, secondo un’antica “regola” del-l’ambiente della malavita carceraria perla quale i “rei” di crimini sessuali (nonsolo di pedofilia) sono messi al bando,terrorizzati e “puniti” da altri criminali,che in tal modo riaffermano il loro resi-duo “perbenismo”.

Proprio il giorno dopo, in occasionedella manifestazione a Piazza San Pietrodi un’associazione per la difesa dei mi-nori dalla pedofilia, Papa Bergoglio è in-tervenuto e ha pronunziato un fortediscorso contro gli abusi sui minori econtro l’omertà, manifestatasi in modosconcertante nel caso di quegli orribilifatti culminati con la morte della piccolaFortuna Loffredo, gettata dalla finestra

dal vicino di casa. Ottima cosa, perché laChiesa ha per molto tempo “coperto”con qualcosa di peggio dell’omertà epi-sodi anche notori di omosessualità e dipedofilia di chierici ed anche di laici.

Lo stesso Bergoglio, da arcivescovo di

Buenos Aires, fu coinvolto in alcuni spia-cevoli episodi di queste “coperture”. Benedunque la condanna contro l’omertà,contro quella concezione secondo cui, inquesti casi, l’importante è evitare lo scan-dalo. Ma Papa Francesco ha aggiuntocon grande ed anche maggior forza: que-sti crimini debbono essere puniti. Severa-mente. Il riferimento al gravissimo fattodi cronaca napoletana era evidente. NéBergoglio è persona da farsi sfuggire certecoincidenze e certe occasioni. Coinci-denze ed occasioni rappresentate, nelcaso, dal crimine, dall’assassinio che hafatto seguito allo stupro, ma anche daltentato linciaggio carcerario dell’inda-gato, cui stampa e televisione hanno dato,non senza ragione, un rilievo non troppo

inferiore a quello dato ai bestiali fatti a luiaddebitati. Fatti che, dice il Papa, deb-bono essere puniti severamente.

Bergoglio sa bene come utilizzare lacronaca, anche quella “nera”. Sa bene chein Italia i reati contro la libertà sessualedei minori sono puniti con pene non in-feriori a quelle di ogni altro Paese euro-peo. Che l’omicidio, con le aggravanticontestate nel caso, è punito con la penamassima: l’ergastolo. Ha dunque par-lato per fare l’elogio del Codice penaleitaliano e delle relative “novelle” oggi vi-genti? No di certo. Ed allora quell’im-pressione che io ho avuto e che moltialtri, dando per scontata l’allusione aquel terribile fatto di cronaca, hanno av-vertito comprende anche la punizione

“severa” inflitta dal “tribunale-boia” car-cerario?

Un episodio, lo ripeto, anch’essoassai grave. Pensar male del Papa è pec-cato gravissimo, anche per un non cre-dente. Vorrei sbagliare. Una volta nellecarceri i “mostri”, tali giudicati dallamorale carceraria, erano tenuti separatiin un apposito braccio. L’affollamentoattuale renderà ciò meno agevole. Ma aPoggioreale non dovrebbe essere im-possibile né imprevista la necessità di ri-corrervi. Il ministro Orlando non haqualcosa da riferire in Parlamento ed al-l’opinione pubblica in proposito o temedi “urtare”, in qualche modo il “silen-zio-assenso”, l’appello alla punizione“severa” di Papa Francesco?

concedere e negare la fiducia spetta alla solaCamera dei deputati. Inoltre, tali senatoripotranno disporre inchieste parlamentari(consiglieri regionali e sindaci, che non rap-presentano più la nazione, con i poteri dellamagistratura!) e saranno protetti dalle immu-nità parlamentari, come se fossero rappresen-tanti del popolo.

Il terzo motivo è una mistificazione bella ebuona perché il presunto risparmio sulla spesapubblica, consistente nella mancanza d’inden-nità parlamentare ai neosenatori, si ridurrà aquantità trascurabile, dal momento che co-storo percepiranno un quasi equivalente rim-borso spese, contributi di funzionamento deigruppi e stipendi per i portaborse, mentre Pa-lazzo Madama, con i suoi uffici e servizi, sep-pur un po’ ridotti, continuerà a funzionare. Seil risparmio fosse stato davvero lo scopo, Renziavrebbe potuto e dovuto conseguirlo conl’abolizione tout court del Senato, come giu-stamente fatto con la soppressione del Cnel. Laverità è che Renzi ha dovuto conservare “il se-naticchio” per compensare la potente lobbydelle Regioni, dominata dal suo partito.

Ma Renzi, oltre a svisare la realtà, è perfet-tamente consapevole della truffa che sta ten-tando di perpetrare. Infatti non ha voluto lariforma perché essa sarebbe nell’interesse degliitaliani, ma l’ha voluta per se stesso e per ilsuo personale interesse, che egli fa coinciderecon le necessità della nazione. Tanto è vero chenon solo, come Governo, l’ha sostenuta in Par-lamento (cosa che né il presidente De Gasperiné alcun ministro fecero alla Costituente!), mavi ha anche inopinatamente legato nientemenola sua sorte politica. Inoltre, combinando lalegge elettorale con il sostanziale monocame-ralismo, nominerà di fatto la Camera dei de-putati che dovrà dargli la fiducia, realizzandoun cripto presidenzialismo, un presidenziali-smo all’italiana, in frode alla Costituzione, cosìdistorcendo e depotenziando anche il ruolo delcapo dello Stato. Ha inventato un unicum neisistemi democratici: una minoranza di elettoriche elegge con un ballottaggio la maggioranzaparlamentare, mentre l’opposizione, cioè l’es-senza del sistema liberale di governo rappre-sentativo, sarà di fatto debole e divisa, viepiùperché resteranno escluse dal Parlamentoanche le liste sotto il 3 per cento. In barba allaprevisione del nuovo articolo 64, secondo cui“I regolamenti delle Camere garantiscono i di-ritti delle minoranze parlamentari e il regola-mento della Camera dei deputati disciplina lostatuto delle opposizioni”, è umoristico parlaredi “minoranze” nel “senaticchio” e di “opposi-zioni” in una Camera dei deputati ridotta a

Politica

segue dalla prima

...Il tuffo nel passato compiuto dai leader diCgil, Cisl e Uil a Genova ha rappresentato ladimostrazione più significativa dell’incapacitàdei sindacati di recuperare il ritardo che si se-para dalle esigenze del tempo presente. Un ri-tardo che ha trovato puntuale conferma nelconcertone di Roma che ha festeggiato la suaventiseiesima edizione dimostrando di essereancora fermo al 1990 e nel controconcerto diTaranto, realizzato per protestare contro il “ri-catto lavoro o salute” e non per rivendicare sial’uno che l’altra.

Su tutta quest’orgia di passatismo si è poi ri-versata come una colata lavica inarrestabile lalogorrea mediatica di Renzi, tesa a dimostraread una società che arranca di vivere nel mi-gliore dei mondi possibili. Il tutto per chiederebanalmente voti per le elezioni amministrativee per il prossimo referendum autunnale. Il pas-satismo sindacale intrecciato alla bulimia me-diatica di Renzi getta ombre inquietanti sulfuturo. Con questa gente non si esce dalla crisi.Si gioca a “Rischiatutto” senza premi e solocon penalità sempre più pesanti!

...anzi, la scadente qualità delle leggi, ricono-sciuta in primo luogo dagli stessi legislatori, èdiretta conseguenza della velocità con cui ven-gono approvate. Nella legislatura in corso sonostati approvati 429 “atti legislativi”: in media12 al mese! E Renzi osa parlare di lentezza.

Il secondo motivo è semplicemente incoe-rente, contraddittorio, ipocrita, dunque falsoanch’esso perché l’aver conservato un “sena-ticchio” di 95 consiglieri regionali, eletti o no-minati non si sa ancora come, con poterid’interdizione e con attribuzioni conflittualicon la Camera non semplificherà affatto il si-stema rappresentativo ma vi introdurrà ilgerme del contrasto tra Stato e Regioni, nonsolo sulle rimanenti leggi bicamerali ma anchee soprattutto sulla gestione e distribuzionedelle risorse pubbliche, con l’aggravante che,nelle leggi bicamerali, l’eventuale “resistenza”del Senato diventa insuperabile, perché il Go-verno non può più porvi la “questione di fidu-cia”. Infatti, con la riforma costituzionale,

altrui, cioè dello spettacolo. Confondendo l’au-dience conquistata dalla tivù con la propria, fin-ché entrambe sono finite nel cono d’ombra dellacrisi. Col che non si vuole affatto apporre il car-tello “Traffico vietato ai talk”. Ci mancherebbealtro. Anzi, ce ne vorrebbero molti rispetto, peresempio, a quel nuovissimo “traffico di influenze”che si va imponendo nelle classifiche e nei dibat-titi dei e sui reati up to date e, per dirla con un im-placabilmente rigoroso Massimo Bordin (sul“Foglio”) danno vita a raffinate discussioni giu-ridiche.

Peccato, diciamo noi, che simili dibattiti sianotenuti alla larga da qualsiasi talk dove basterebbela breve storia di quel reato narrataci da Bordin,a cominciare dalla sua strutturazione nella Fran-cia del 1889 per colpire “il commercio di legiond’onore”, per animare il corpicino esangue delformat. Del resto, vedendo Renzi nel corpo acorpo con Giletti nella domenica bestiale e freddadel 1 maggio, qualcosa di come si possa sfruttareanche questo datato format lo si è notato. Ancheal di là della consueta marcia trionfale renzianache, a volte, mostra un dettaglio di riflessione.Come quando ha messo sullo stesso piano l’ipo-tesi di riforma della prescrizione e quella deitempi (epocali) della giustizia. Un piccolo, picco-lissimo passo avanti, si direbbe. Ma la strada èlunga assai, e i molti talk, nati nel solco del giu-stizialismo antipolitico, non ci sentono da questeorecchie. Peggio per loro? No, per noi.

Questo pestaggio benedetto dal Papa?

Dopo anni di tribolazioni e milioni dieuro spesi dallo Stato italiano (e

non è ancora finita), anche Salvatore Gi-rone torna in Italia. Un primo bilancioparziale di questa mostruosa ingiustiziaci impone di ricordare oggi i malfattoriche hanno per due volte consegnato idue militari italiani in ostaggio agli in-

diani. Ostaggi non della dolorosa vi-cenda dei pescatori morti ammazzati,assai probabilmente dalla stessa Guar-dia costiera indiana, ma ostaggi di tan-genti pagate dall’industria di Stato apolitici e militari indiani.

È passata quasi sotto silenzio la sen-tenza della Corte d’Appello di Milanoche, riformando quella di primo gradoche aveva affermato che i dirigenti di

Finmeccanica avevano sì falsificato i bi-lanci per procurarsi il denaro da pagareagli indiani (ministri e generali) cometangenti per una fornitura dei elicotteriAgusta, ma che poi i soldi non li ave-vano pagati, ha raddrizzato la strana de-cisione condannando quei signori ancheper corruzione internazionale. Cosac’entra quella corruzione, quella storiadi elicotteri e di tangenti con i Marò?

C’entra perché, guarda caso, il ministrodella Difesa del Governo Monti che im-pedì che i due militari rimanessero inItalia, cosa di cui era già stato avvertitosia il governo indiano e tutta la diplo-mazia, l’ineffabile ammiraglio Di Paolaaveva già in tasca la nomina a superconsulente della Finmeccanica, solo cheebbe troppa fretta a farsi nominare (nonattese un anno dalla cessazione della ca-

rica di ministro) e si giocò il lucroso in-carico.

E poi la “consegna” agli indiani dinave e marinai aveva tutto il sapore diun grosso favore tra compari di affari,dovendo, probabilmente, gli indiani “co-prire” l’omicidio dei pescatori da partedella loro Guardia costiera. Ci sonogravi indizi di tutto ciò. Ne riparleremo.Per ora bentornato Girone! Auguri!

cassa di risonanza della politica governativa,nella quale il governo potrà, nei tempi chevorrà, far approvare tutto ciò che desidererà,utilizzando i nuovi strumenti costituzionali,quali “il voto a data certa”.

...cioè garantista (e sarebbe bello che a questasublime paternità si rivolgesse sempre, magariinventando un talk “beccariano”, hai vistomai...), e ha riportato la questione nei suoi piùveri termini parlando cioè della ragione stessadella tivù, della sua più vera entità, del suoviaggio inarrestabile nel mondo umano e su-perumano: la televisione va da sola, dicevaFreccero. Una volta accesa, va dove vuole. Ècome l’acqua, una volta aperto il rubinetto ola diga. E questo non tanto o soltanto perché ilcaso di “Porta a Porta” è l’ennesimo della sto-ria televisiva, ma per il semplice motivo che ilmedium procede per conto suo in quanto lalegge regolatrice è implicita in re ipsa.

Ma se le cose stanno così è persino ovvio chei talk-show entrino nell’ombra della criticitànon soltanto perché inflazionati, come ha rile-vato l’attenta Concia - “in Germania ci sonosette talk-show alla settimana, in questa tivù cene sono sette al giorno” - ma soprattutto perchéla crisi della politica coincide con quella dellasua espressione televisiva che primeggiò venti epiù anni fa nel format impostato sul più classicoe feroce dei giustizialismi (do you rememberTangentopoli?) ma che oggi mostra, per l’ap-punto, le rughe. Il format, non il giustizialismo,intendiamoci. Un processo inevitabile di invec-chiamento colpisce qualsiasi modalità espressivain televisione, figuriamoci i talk ingolfati di plu-riprotagonisti urlanti le proprie ragioni fino al li-mite della loro incomprensibilità, che coincidecol tornare sempre al punto di partenza.

Persino il telegiornale, format classico mon-diale, subisce la legge dell’invecchiamento. Mapoi basta, per esempio, un ottimo Cecchi Paonea far dimenticare l’antico e pur amato EmilioFede, per dare modernità, respiro e qualità in-confondibili al suo nuovo Tg4. Col che si vuoleaffermare un’altra questione collegata ai talk-show. Questi ultimi sono di certo in crisi, ma losono tanto in quanto la loro modalità narrativaha cercato di subordinare a sé la politica impo-nendo una storytelling ripetitiva di una Polis ri-cettacolo di ogni vizio e di ogni reato, per di piùsottomessa non alle regole proprie ma a quelle

Girone torna a casa: chi lo ha venduto andrà a riceverlo

Un Primo Maggio da “Rischiatutto”

Garantismo: traffico di talk e delle influenze

Riforma costituzionale:bugie e truffe

Primo Piano

Ottantasei anni e non sentirli. Nonpoliticamente e culturalmente, al-

meno. Perché Marco Pannella è sempreil politico più nuovo e genuino che c’è sulmercato italiano. Un uomo le cui ideevengono “scoperte”, anche se non ancoradebitamente valorizzate, a distanza di de-cenni da quando lui le mise sul piatto.Negli anni Settanta, in un Paese daMedio Evo. Come l’Italia dei forcaiolipost-moderni e digitali tuttora è. UnPaese in cui se crolla una grondaia subitouno apre il telegiornale di qualunque retepubblica e private e sente il politico con-formista di turno chiedere “pene più se-vere per chi costruisce grondaie non anorma”.

Con il paradosso che adesso abbiamoanche un Pontefice giustizialista - d’al-tronde dicono quelli colti del “Mulino”che è peronista come tutti gli argentini -che chiede di inasprire le pene per i pe-dofili. Con il rischio di cadere nel ridicolovisti i problemini di prelati di ogni tipoaccusati di quel reato, in taluni casi anchecondannati, e tuttora protetti dal Vati-cano contro le giurisdizioni di svariatiPaesi che ne reclamano l’estradizione. Equesto il giorno stesso della scoperta deimacabri retroscena di un orrendo delittotenutosi in uno dei quartieri più degra-dati di Napoli. Come a cercare visibilitàanche lui, che è il Papa, in una squallida

storia borderline tra Camorra e igno-ranza di cui tutti i talk-show del pome-riggio parlano. E spesso a sproposito.

In un Paese che cura i sintomi del“male” con questa aspirina giustizialistae moralista, Marco Pannella per anni èstata la classica “vox clamantis in de-serto”. Quella che tutti sentono mafanno finta di non sentire. Spesso irriso evilipeso da coloro che dovrebbero ba-ciare la terra su cui cammina, dai comu-nisti ai post-missini passando per quellapattuglia di sfigati che sono sempre statii liberali e i laici in Italia. Oggi Pannella sitrova agli arresti domiciliari a fronteg-

giare l’unico ordine di custodia cautelarecontro il quale non esiste possibilità diappellarsi: quello che ti manda il Padre-terno quando la salute non è più quella diuna volta. Per ora le cure più che amore-voli dei due principali attori politici del“Radical nonviolent and transnationalparty”, la sua creatura prediletta e piùcontroversa, cioè Matteo Angioli e LauraHart, sono servite a dirigere il trafficodegli amici e delle personalità che si re-cano al suo capezzale, meglio alla pri-gione in cui il leone è ingabbiato, talvoltaper farsi un selfie e trarne un po’ di visi-bilità politica. Di cui loro hanno estremoe urgente bisogno, visto che agli occhidegli italiani neanche esistono (un esem-pio per tutti: Gianfranco Fini), mentrePannella molto di meno.

Il grande Marco, cui non si può cheaugurare cento di questi giorni, magari dinuovo libero di girare, meglio di aggi-rarsi, nelle stanze di via di Torre Argen-tina 76, non ha di sicuro bisogno diquesti tributi. Che dovrebbero sostituireidealmente il laticlavio di un seggio da se-natore a vita cui nessun Presidente dellaRepubblica, nemmeno l’amato Napoli-tano, ha osato fargli omaggio. Neanchein prossimità temporale della fine dello

stesso Senato. Un Paese che ha visto no-minare senatori a vita personaggi comeMario Monti, Giulio Andreotti o altriche non è neppure il caso di citare, ha do-vuto subire la punizione di non vedere inParlamento Pannella da un certo anno inpoi. Gli italiani che lo amano ma non lovotano che parlano di lui e si fanno il sel-fie ma poi non si iscrivono al Partito Ra-dicale, italico o transnazionale che sia,sono gli stessi del noto “armiamoci e par-tite”. A questo conformismo italiota, chetutto metabolizza e ricicla, neancheMarco Pannella è riuscito a sottarsi insessanta anni e più di vita politica. Le sueidee sono entrate nel dizionario più im-portante della vita politica italiana, dal-l’antiproibizionismo alla lotta per lalegalità e i diritti umani. Ma i metodi nonviolenti molto meno. Quelli della politicaitaliana, i mezzi che prefigurano i fini, ri-mangono infingardi e violenti: l’antiproi-bizionismo viene cavalcato dai centrisociali che chiedono sostanziale libertà dieversione e di delinquenza diffusa, la le-galità e la trasparenza dai forcaioli a cin-que o più stelle che la usano come clavaper mettere in offside gli altri concorrentipolitici. In mezzo tante categorie di ignavia destra, al centro e a sinistra. Dal Gia-

chetti che non mette in lista una ex con-sigliera comunale che viene querelata perdiffamazione dai signori delle spiagge diOstia o che porta le liste a farle benediredalla Ayattolahessa Rosy Bindi, alla Me-loni che quando sente parlare di radicaliantiproibizionisti in lista con lo stessoGiachetti dice “allora gli spacciatori sa-pranno chi votare”, il tutto con rarosprezzo dell’onestà intellettuale, di cui al-meno i missini avevano una certa dote.

In mezzo un governo che, come tantialtri, insegue i magistrati sulla lotta con-tro le garanzie costituzionali trasfor-mando ogni fenomeno sociale inemergenza. E accogliendo le famose ri-chieste di “inasprimento pena” per qua-lunque evento dello scibile umano. Unarincorsa inutile, perché nel campo delpan-penalismo, il “pene” (oltre che lepene) ce lo hanno sicuramente più lungoe più duro loro. Auguri quindi MarcoPannella, ti serviranno ancora almenoaltri cento anni di lotta nella tua eroicasolitudine politica ed esistenziale persconfiggere il cancro dell’ipocrisia e delperbenismo un tanto al chilo che carat-terizza la politica e la vita sociale di que-sta espressione geografica che si chiamaItalia.

Marco Pannella, 86 anni di libertà

Abbiamo vissuto un Primo Maggiosotto una pioggia di piccoli piani

quinquennali. Alcuni invocati come tra-dizione dalla trimurti sindacale targataCgil, Cisl e Uil; altri promessi e annun-ciati dal grande illusionista al timone diun Paese sempre più stordito dalla suapropaganda. Alle solite richieste deiprimi, in stile botte piena e moglieubriaca, per un immediato default del-l’Italia con poderose dosi di spesa cor-rente per tutti, ha risposto un MatteoRenzi in grande spolvero, convocandouna riunione straordinaria del Cipe (Co-mitato interministeriale per la program-mazione economica) proprio nel giornoin cui si celebra l’apoteosi del lavoroquale diritto e non, come pensano alcuniimpresentabili liberali compreso il sotto-scritto, preziosa opportunità e conquistaper ogni singolo individuo.

Sta di fatto che con la sua mossa adeffetto il Presidente del Consiglio ha cer-cato di rubare la scena a chi fa da sempre

del Primo Maggio una vetrina per la pro-pria bottega politica o sindacale. Nellospecifico, il Premier ha voluto raschiare ilfondo di un barile ridotto oramai ad uncolabrodo, annunciando un altro muc-chietto di miliardi da gettare nell’im-mensa fornace della spesa pubblica.

“Domenica 1 maggio – aveva scrittoRenzi nella sua eNews del 27 aprile –onoriamo la Festa del Lavoro non solocon le cerimonie ufficiali ma con un Cipestraordinario che stanzierà 2,5 miliardidi euro sulla ricerca e un miliardo di eurosulla cultura”. E proprio come le profezieche si auto-avverano, il leader indiscussodei rottamatori ha mantenuto la pro-messa. Con una attenzione particolare alMezzogiorno - grande serbatoio di con-sensi per chi usa i quattrini degli altri conmolta disinvoltura - il Premier ha eti-chettato il primo stanziamento con un al-

tisonante Piano nazionale della ricerca ilquale, proprio in ossequio agli omologhiprogetti in vigore nelle repubbliche deisoviet, durerà cinque anni. Quanto poi almiliardo previsto per la cultura, già in-tervenendo alcuni giorni addietro in queldi Napoli alla seconda edizione dei co-siddetti Stati generali del Turismo, altra

passerella propagandistica creata dai ren-ziani in stile Leopolda, il Presidente delConsiglio aveva promesso un poderosointervento per restaurare e mettere in si-curezza un lungo elenco di musei, edificistorici e siti archeologici. Come riportaL’Unità, giornale molto allineato (so-prattutto dopo aver ricevuto nel 2015 uncolossale finanziamento di 107 milioni dieuro dal Governo), quelli che seguono sa-rebbero solo alcuni dei “principali pro-getti annunciati il Primo Maggio: iGrandi Uffizi a Firenze, l’ampliamento diPompei che aumenterà l’area visitabiledegli scavi, a Roma l’Arena del Colosseo,a Milano la Grande Brera, l’ampliamentodel Museo delle Migrazioni a Genova, aNapoli il Reale Albergo dei Poveri, l’am-pliamento dell’area della Reggia di Ca-serta, il recupero della Reggia diCarditello”.

Ora, ci sta anche bene che si spendanoi quattrini del contribuente in impreseche mirino quanto meno a frenare il ca-tastrofico degrado dei nostri beni cultu-rali, cercando nel contempo dirivitalizzare la polverosa ricerca pub-blica. Tuttavia, come la nostra piccola ri-serva indiana di incalliti liberali sostieneda molto tempo, senza una sostanziale ri-qualificazione e riduzione di una spesapubblica abnorme ed inefficiente, la co-perta per qualunque intervento statale,per quanto meritorio possa sembrare, ri-sulterà sempre maledettamente corta. Daquesto punto di vista i 3,5 miliardi uffi-cialmente stanziati dall’Esecutivo dei mi-racoli per la ricerca e la culturasomigliano, come per tante altre similiimprese renziane, ai famigerati aerei diMussolini. A buon intenditor poche pa-role.

Il Primo Maggio dei miracoli renziani

Che nel centrodestra ci sia qualcuno(nemmeno pochi) pronto ad attac-

care Matteo Renzi, perché senza alcunpudore difende Denis Verdini in ogni oc-casione pubblica, oggi viene più male chemai. Il Premier fa la sua, ben sapendo chesenza il sostegno di Ala il suo Governonon avrebbe chance di sopravvivenza edunque non si fa scrupolo né di coerenzapolitica né tantomeno di tattica eletto-rale. Quello che viene particolarmentemale oggi, dopo la confluenza di ForzaItalia nella lista Marchini, è l’affondosulla spregiudicatezza di un Premier che,pur di andare avanti, accetta di buonalena qualsiasi sostegno. Verrebbe da direda che pulpito viene la predica, dato chesu Roma Forza Italia per sostenere AlfioMarchini non si è fatta scrupolo di en-trare in una lista il cui appoggio va dal-l’ex Partito Democratico a Fini eAlemanno, passando per il Nuovo cen-tro destra fiero sostenitore di Renzi e delGoverno. Insomma, dopo questa scelta,

prima di attaccare Renzi su questioni dicoerenza e opportunismo, Forza Italiadovrebbe andarci molto ma molto pianoe non si dica che Roma è un fatto locale.

La Capitale è tutto fuorché un fattoterritoriale e tutti sanno che vincere operdere su Roma ha un peso sulla poli-tica nazionale e sulla composizione deglischieramenti elettorali.

Ecco perché forse prima di scaricareGuido Bertolaso a favore di Alfio Mar-chini sarebbe stato meglio non solo pen-sarci un po’ di più, ma soprattuttoconsiderare con chi si andava a fare squa-dra. Detto questo e considerato che inItalia purtroppo la musica non cambia, ilproblema di far nascere un polo alterna-tivo a Renzi è più aperto che mai. Va dasé, infatti, che la base non potrebbe maiessere quella della lista Marchini, perchéun’area moderna, nuova, liberaldemo-cratica, laica e civica, non può fondarsi

su reduci e sopravvissuti della politica. Seanche infatti si volesse partire da un’im-postazione lib-lab, da tutt’altri gruppi diriferimento si dovrebbe iniziare, soprat-tutto considerando che in Italia davverotroppi personaggi sono triti e ritriti. Nonè solo una questione di età, perché matu-rità e gioventù per noi è giusto che viag-gino insieme, ma di realismo politico emodo di vedere le cose in prospettiva.

Dunque non ci uniremo a chi nel cen-trodestra attacca Silvio Berlusconi perchétroppo vecchio per essere ancora utile epresente, il Cavaliere lo critichiamo perben altre ragioni che quelle anagrafiche.Berlusconi, infatti, se volesse potrebbedavvero dare un grande contributo allanascita di una rivoluzione culturale libe-rale e democratica, non fosse altro perchéè stato il primo a tentarla. Tentativo ap-passionante che, purtroppo, è fallito pro-prio a causa di certe compagnie alle quali

il Cavaliere ha sempre dato colpevol-mente retta, traendone in cambio forsevantaggi, ma sicuramente più fregature.Oggi però la situazione è cambiata e lagente è veramente stanca di certi balli inmaschera da una parte come dall’altra enei cittadini la voglia di qualcosa dinuovo e coerente è forte e ineludibile. Delresto gli stessi grillini continuano a cre-scere non solo per la protesta verso gliscandali e le vergogne della politica, maanche perché almeno fino ad ora hannosaputo mantenere una coerenza che inItalia è in via di estinzione.

Ecco perché un movimento antagoni-sta a Renzi, al cattocomunismo, all’ipo-crisia socio-clericale, non può che partireda basi e da nomi diversi e veramente li-beri. Certo che così servirà più tempo,perché la rinuncia al sostegno di alcunifossili della politica qualche voto e qual-che supporto lo toglie, ma quando sipensa al futuro non bisogna mai averefretta. L’Italia da quando è nata la Re-pubblica è stata vittima del binomio De-mocrazia cristiana e Partito comunista

italiano, un’accoppiata che senza farlatroppo lunga ha tagliato le ali all’opzioneliberaldemocratica di stampo einaudiano.Questa mancanza e questo impedimentohanno consentito lo sviluppo del catto-comunismo, del socialismo reale all’ita-liana, dello statalismo clerico-buonista,del sindacalismo politico prendi-tutto, in-somma, hanno fatto crescere l’alberostorto che conosciamo e purtroppo pa-ghiamo salatamente. Ecco perché ci serveun’opportunità nuova e liberale che nonsia né un ballo in maschera, né un inciu-cio, né una larga e ipocrita intesa.

Solo così l’Italia potrà cambiare, solomettendo in campo qualcosa che non c’èmai stato, solo creando un polo di cen-trodestra in stile anglosassone, liberale ecivicamente democratico potrà esserci al-ternativa e prospettiva. Altrimenti conti-nueremo ad assistere a un’infinità di balliin maschera, ma l’unico a esserne felicesarà Giuseppe Verdi, che pure per ironiadella sorte non fu solo uno straordinariocompositore ma anche un vero e grandepolitico liberale.

Il ballo in maschera

Piaccia o meno ma è stato (anche)Gianfranco Fini ad evidenziare il

progetto di Matteo Salvini per Roma.Un progetto che, sin dalle sue origini,nascondeva in sé solo la volontà dioscurare definitivamente il peso poli-tico di Silvio Berlusconi.

Prendiamo “Il Messaggero” di sa-bato scorso a pagina 9: “A Salvini – so-

stiene Fini – non è mai interessato vin-cere a Roma. Basti pensare che le pri-marie della Lega le vinse AlfioMarchini e Salvini disse: non se neparla proprio. Il leader leghista ha uti-lizzato l’ambizione della Meloni permettere il baricentro della coalizione

sulle posizioni del Carroccio. E perspingere Berlusconi in una posizionesubordinata”.

A pensarci bene, Berlusconi, Melonie Salvini (quest’ultimo ben consape-vole che il suo “Noi per Salvini”, nellaCapitale, conta poco più che un’inezia)

avevano fatto un accordo sul nome diGuido Bertolaso quale candidato a sin-daco. Subito dopo i dubbi e la Lega cheallestisce gazebo per chiedere il parere“della gente”: la quale, inaspettata-mente, fa sapere a Salvini che il candi-dato più gradito è Marchini e cheGiorgia Meloni risulta essere al quintoposto tra le preferenze dei partecipantialla consultazione. E lui, Salvini, fa sa-pere che “manco ci pensa”: novello

pentastellato che se ne frega del volerepopolare da lui stesso convocato a de-cidere.

Per ritornare a Fini ed alla sua in-tervista al Messaggero, Giorgia Meloni(secondo l’ex presidente della Camera)si è candidata “per rafforzare il suopartito. Il che è legittimo. Ma è cadutanella trappola di Salvini”.

E quest’ultimo ci ha costretto, a suavolta, a dare ragione a Fini.

Ha ragione Fini

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Economia

Negli incontri del presidente Ba-rack Obama con la cancelliera

Angela Merkel e con gli altri capidi governo europei i temi in di-scussione sono stati indubbiamentediversi, come il terrorismo, le san-zioni contro la Russia ed il futurodell’Unione europea. Forse del piùpreoccupante, almeno nel breveperiodo, pare che non si sia par-lato: la crisi finanziaria e il ruolodella Deutsche Bank, il marchio te-desco che dovrebbe essere sino-nimo di affidabilità. La banca,infatti, sarebbe coinvolta in circa6mila casi legali, tra i quali alcunidavvero dirompenti.Sembra che, nelle stesse ore in

cui Obama elogiava la Merkel, sisia scatenato un duro scontro al-l’interno della Db su che dire alleagenzie internazionali di controllorelativamente alle sue responsabi-lità nella manipolazione del tassoLibor (London Interbank OfferedRate) e dei prezzi dei metalli pre-ziosi. Si ricordi che il Libor è iltasso di riferimento per centinaia ditrilioni di transazioni finanziarie alivello mondiale, dai derivati allepiù semplici operazioni bancarie. In passato la banca è stata al

centro di grandi scandali e ancheora si vorrebbe chiudere questi casipagando semplicemente una multain cambio del blocco delle inda-gini. Il Serious Fraud Office (Sfo)di Londra ha recentemente emessomandati di cattura nei confronti di5 cittadini europei, di cui ben 4della Deutsche Bank, accusati dicospirazione e frode nella manipo-lazione dell’Euribor (la versione

dell’Euro interbank offered rate).Anche la Corte Suprema inglese hapreso posizione contro la Db e altrebanche europee per aver cercato dievadere il pagamento delle tasse suibonus erogati agli alti manager sot-toforma di azioni di imprese off-shore create ad hoc. L’anno scorsola maggiore banca tedesca ha pa-gato ben 2,5 miliardi di dollari dimulta per chiudere il caso dei tassimanipolati. Ha inoltre versato 258milioni di multa alle autorità ame-ricane per aver violato le sanzioniUsa nei confronti di Paesi come laSiria e l’Iran.

È da notare che dall’inizio del-l’anno a oggi le azioni Db hannoperso il 25 per cento, toccando ri-bassi anche del 40 per cento. Perdimostrare solidità, la banca, nelmezzo della tormenta di qualchesettimana fa, annunciò l’intenzionedi comprare circa 5 miliardi dieuro delle sue stesse obbligazioni.Ma il problema più esplosivo perla Deutsche Bank, in quanto bancasistemica e quindi pericolosa perl’intera finanza globale, è ancorauna volta la dimensione della suabolla di derivati finanziari otc che,in valore cosiddetto nozionale, è

pari a circa 55 trilioni di euro. Sitratta di circa 20 volte il Pil tede-sco e di quasi 6 volte quello del-l’intera Eurozona. In questosettore è di fatto la banca più espo-sta al mondo. I timori di potenzialiperdite fanno tremare i polsi atutti, al management, agli investi-tori, ai clienti e finanche ai governie alle banche centrali. Tanto chequalcuno incomincia a paragonarela Db alla Lehman Brothers, il cuicollasso nel 2008 diede il via allapiù devastante crisi finanziaria glo-bale tuttora irrisolta. Indubbiamente la Db ha criti-

cità molto importanti. Il suo debitoin circolazione si avvicinerebbeormai ai 150 miliardi. Si parla dialmeno 32 miliardi di euro in titolialtamente tossici e ad altissimaleva finanziaria. Sarebbero titolidifficilmente solvibili. Avrebbe unamontagna di obbligazioni conver-tibili largamente già svalutate,quelle che in caso di crisi potreb-bero essere trasformate in azioni eutilizzate per i necessari pagamentirichiesti dal nuovo sistema delbail-in.Infatti il problema della leva fi-

nanziaria, come per altre banche“too big to fail”, per la Db è moltorilevante. Esso indica quanto capi-tale ha la banca per ogni euro diasset posseduto. Oggi per un eurodi capitale ha circa 20 euro diasset, cioè titoli di vario tipo,escludendo di derivati otc tenutifuori bilancio. Com’è noto, mag-giore è la leva e maggiore è il ri-schio in caso di riduzione delvalore degli asset e di conseguenzail rischio di perdita del valore dellabanca stessa. Se si considera la gra-vità della situazione della Db èdavvero strano che Berlino possacontinuare ad ergersi come unicogarante della stabilità europea edella giustezza delle sue politicheeconomiche.L’Unione europea e l’Italia, se

davvero hanno a cuore il loro fu-turo e la crescita, non possonocontinuare ad ignorare una situa-zione così grave che potrebbe ri-verberare effetti devastantisull’economia europea e sul si-stema bancario e finanziario.

(*) Già sottosegretario all’Economia(**) Economista

Deutsche Bank: banca a rischio sistema

In una regione che è teatro di unaguerra civile (Siria, Yemen, Libia) e

dove si registrano un irrigidimentodelle dittature (Turchia, Egitto), unaproliferazione nucleare (Iran) e un po-tenziale disastro idrico (Iraq), in qualePaese del Medio Oriente, a parteIsraele, si può vivere bene? Può sor-prendere, ma negli Emirati ArabiUniti, uno Stato che si affaccia sulGolfo Persico.

Nonostante i numerosi problemi diquesto Paese – la prossimità all’Iran eall’Iraq, la pressoché mancanza diacqua dolce, il crollo dei prezzi del pe-trolio, la presenza di 8 stranieri su 9abitanti, la minaccia latente degli isla-misti violenti – i suoi 10 milioni di abi-tanti godono di una buona qualitàdella vita.

Due fatti essenziali ne creano lecondizioni. Innanzitutto, gli Eauhanno la peculiarità quasi unica di es-sere (insieme alla Svizzera), un Paesegovernato da un unico Consiglio com-posto da sette governanti appartenentia sette emirati. Inoltre, questi gover-nanti fanno parte di famiglie estese einfluenti. La combinazione di questidue elementi impedisce la possibilitàche il Paese sia dominato da un indi-viduo dalle tendenze narcisiste. Allostesso tempo, ogni sovrano (in parti-colare, l’emiro di Dubai) gode diampia libertà di manovra all’internodel territorio su cui esercita la sua so-vranità, il che conferisce a ogni emi-rato un carattere distinto.

In secondo luogo, un patto tra go-vernanti e governati implica che iprimi godano di ampia autorità incambio di garantire stabilità e prospe-

rità. Come nelle altre monarchie delGolfo Persico (con la piccola ecce-zione del Kuwait), una combinazionetra passato tribale e presente ricco dipetrolio crea una società in cui il sensodel compromesso, così abituale in po-litica, esiste a malapena e lascia postoa un paternalismo onnicomprensivoche unisce il potere di un governo chenon ha bisogno di imporre tasse al-l’atteggiamento protettivo di un capotribale. Anziché la democrazia, i go-vernanti organizzano serate politicheaperte a tutti.

Il paternalismo comporta sempliciregole, come non sfidare i governanti;non tentare mai di ridurre il loro po-tere; mantenere il decoro pubblico edessere discreti. Il risultato è una societàfocalizzata sulla famiglia e sulle rela-zioni sociali, fare shopping, divertirsi,viaggiare e su altri innocenti piaceri

destinati ai bambini, alle famiglie ealle coppie. L’erotismo, il nervosismo eil radicalismo sono sgraditi. Le notizieche giungono dall’Eau sono insulse eriguardano gli incontri dell’emiro, lefluttuazioni dei prezzi petroliferi,l’apertura dei negozi, la chiusura deiponti, l’orario di preghiera e i risultatisportivi. Il maestoso Hotel Atlantis, aDubai, ricorda Las Vegas, solo che ilgioco d’azzardo, l’alcol e la prostitu-zione sono in varia misura illegali. IlGlobal Village, sempre a Dubai, sem-bra un surrogato di Disneyland.

Nel privato, i residenti (cittadini estranieri) in genere non subiscono in-gerenze. I dibattiti politici, le ideologiepolitiche, l’alcol, le droghe, il sessosono ignorati se si usa prudenza e apatto che non minaccino mai l’ordinepubblico. Le telecamere sul soffittosono onnipresenti ma le videocassette

vengono visionate solo se c’è unacausa specifica. Anche se il sistema nelcomplesso funziona bene, sembra op-primente agli stranieri abituati altrambusto di un libero mercato poli-tico, alla massima espressione di sé eal diritto di contestare i costumi. Siconsiglia a chiunque desideri oltrepas-sare i limiti stabiliti dagli Emirati diandare a vivere altrove, poiché le san-zioni severe sono finalizzate a scorag-giare ogni trasgressione.

Due esempi. Dopo essersi cono-sciuti a un brunch innaffiato da cham-pagne, due cittadini britannici si sonoincautamente recati in spiaggia per ba-ciarsi (secondo la loro versione) o peravere rapporti sessuali (secondo laversione del governo). Si sono ben pre-sto ritrovati sposati, multati, condan-nati a scontare 3 mesi di reclusione epoi espulsi dal Paese, oltre ad avere su-bito un trauma psicologico. Un altroesempio. Una donna australiana, irri-tata a causa di un’auto che occupavadue posti in un parcheggio per disa-bili, aveva scattato una foto al veicoloe l’aveva postata su Facebook, avendoavuto cura di oscurare il numero ditarga. Questo però non ha impeditoal proprietario della vettura di de-nunciare la donna perché si era sen-tito offeso. L’australiana è stataimmediatamente arrestata, perquisita,condannata e imprigionata, e poiespulsa.

La cosa peggiore è che la famigliaregnante può comportarsi male e ri-manere impunita. Issa bin Zayed AlNahyan, un fratello dell’emiro di AbuDhabi, si è filmato mentre torturavasadicamente un commerciante af-ghano che lo aveva accusato di averlotruffato su una consegna di grano di

5mila dollari. Ma a differenza delladonna australiana, Issa non ha subitole conseguenze del suo agire perché ilministro degli Interni, un altro fra-tello, si è prodigato per farlo assol-vere.

Per fortuna, a causa dei vincoli so-ciali, questa sorta di depravazione èabbastanza rara negli Emirati ArabiUniti. A differenza della maggior partedei Paesi mediorientali, gli Emiratihanno trovato una formula per il suc-cesso. Il governo collegiale ha i suoi li-miti, ma rispetto ai dittatori dei Paesivicini non è poi così male. Anche sel’ipocrisia è deplorevole, è sempre me-glio dell’oppressione religiosa che vigenella vicina Arabia Saudita.

Pertanto, concludo cautamente chequali che siano i difetti degli EmiratiArabi Uniti – e sono numerosi – insi-stere per un governo più democraticoe una società più libera rischia di met-tere a repentaglio questa oasi di tran-quillità e di esporre gli Emirati alleviolenze che imperversano nel restodella regione. Meglio lasciare il Paesecosì com’è e incoraggiarlo a diventarepiù influente.

Esteri

La bella vita fragile negli Emirati Arabi Uniti

Israele come Stato ebraico continua aessere detestato dalla comunità pa-

lestinese. Questo è un atteggiamentoverticistico e costante espresso dal pre-sidente dell’Autorità palestinese (Ap)Mahmoud Abbas. Il rifiuto palestinesedi riconoscere Israele come Statoebraico è motivato dalla tesi che unamossa del genere significherebbe ri-nunciare al “diritto al ritorno” inIsraele per milioni di “profughi”. Que-sto rifiuto è anche dettato dalla conti-nua negazione di qualsiasi legamestorico tra gli ebrei e questo territorio.In queste ultime settimane, il presi-dente dell’Ap ha reiterato la sua fermaopposizione al riconoscimento diIsraele come Stato ebraico.

Questo rifiuto rappresenta uno deiprincipali ostacoli alla pace tra Israelee i palestinesi. Le lamentele per la co-struzione degli insediamenti ebraicinon sono altro che una cortina fumo-gena usata dall’Autorità palestinese.In questi ultimi giorni si parla moltodelle intenzioni dell’Ap di chiedere alConsiglio di Sicurezza delle NazioniUnite di approvare una risoluzioneche condanni Israele per la costru-zione degli insediamenti. Non è an-cora chiaro se l’Autorità palestinesemetterà in atto la sua minaccia. Unacosa però è certa, ovvero che questaossessione per gli insediamenti può di-stogliere l’attenzione dalle questionifondamentali, come il riconoscimentopalestinese di uno Stato ebraico. Moltipalestinesi continuano a considerareIsraele come un unico grande insedia-mento che deve essere rimosso dalMedio Oriente. Perché i palestinesi ri-fiutano di accettare Israele come Statoebraico?

Abbas ha omesso costantemente dimotivare le ragioni del suo rifiuto. Nel

gennaio 2014, il presidente dell’Ap hadichiarato: “I palestinesi non ricono-sceranno il carattere ebraico delloStato d’Israele e non l’accetteranno.Gli israeliani affermano che se noi nonlo faremo non ci sarà alcuna solu-zione. E noi diciamo che non ricono-sceremo né accetteremo il carattereebraico dello Stato d’Israele e ab-biamo tanti motivi per farlo”.

In un’altra occasione, Abbas ha di-chiarato: “Nessuno può obbligarci ariconoscere Israele come Statoebraico. Se vuole (Israele) può andarealle Nazioni Unite a chiedere di cam-biare nome con un altro che preferi-sce, anche se vuole essere chiamatoStato sionista ebraico”. Ancora unavolta, Abbas non ha spiegato la fermaopposizione palestinese. Il capo nego-ziatore palestinese Saeb Erekat hafatto luce sulla questione. “Abbiamogià riconosciuto l’esistenza di Israelesui confini del 1948 dei Territori oc-cupati”, egli ha spiegato. E ha ag-giunto che aveva ribadito chiaramentea Tzipi Livni, all’epoca ministro degliEsteri, durante un incontro a Monaco,che i palestinesi “non cambieranno laloro storia, religione e cultura ricono-scendo Israele come Stato ebraico”.

Mentre i leader pale-stinesi sono piuttosto ri-luttanti a spiegare imotivi del loro negazio-nismo, altri palestinesisono molto più generosia riguardo. Una di que-sti è la politologa Sa-niyeh Al-Husseini, chedi recente ha pubblicatoun articolo titolato“Perché i palestinesi ri-fiutano di riconoscere ilcarattere ebraico delloStato d’Israele”. L’arti-colo è stato ripreso inte-

gralmente dall’agenzia di stampaufficiale dell’Ap Wafa, un segnale pre-ciso del fatto che la leadership del-l’Autorità palestinese condivide le sueopinioni. Nel suo pezzo, Al-Husseinisottolinea che gli Stati Uniti hanno of-ferto il loro sostegno alla condizioneposta dagli israeliani, che lei ha defi-nito una “richiesta paralizzante”. L’ar-ticolo ammonisce che “accettarel’ebraicità di Israele comporterebbeper tutti i palestinesi rinunciare a tuttii diritti sulle terre palestinesi, com-prese quelle che furono occupate nel1967”. Secondo l’autrice, sono due imotivi per i quali i palestinesi si op-pongono a questa richiesta. Il primoha a che fare con il “diritto al ritorno”dei profughi palestinesi nei loro anti-chi villaggi e abitazioni dentro Israele.Il secondo motivo è legato allo statusdei cittadini arabi d’Israele. Facendoriferimento alla prima motivazione,Al-Husseini scrive: “Se i palestinesi ac-cettassero la narrazione israeliana ri-nuncerebbero a tutti i diritti sulla terradi Palestina e giustificherebbero leguerre che Israele ha condotto controi palestinesi. Riconoscere il carattereebraico dello Stato d’Israele signifi-cherebbe accettare la narrazione israe-

liana sul diritto degli ebrei alla terra diPalestina ed esonererebbe Israele daogni responsabilità per le conseguenzemorali e giuridiche di tutti i criminicommessi contro i palestinesi”.

Quindi, secondo la politologa, i pa-lestinesi rifiutano di riconoscere unoStato ebraico perché questo legittime-rebbe “i diritti degli ebrei sulla terra diPalestina” e comprometterebbe la ri-vendicazione palestinese del “diritto alritorno” in Israele per milioni di pro-fughi palestinesi. Cerchiamo ora dispiegarne il perché. L’Ap vuole unoStato palestinese a fianco dello Stato diIsraele, rivendicando al contempo il di-ritto di inondare Israele con milioni diprofughi. Ovviamente questa è unacosa che nessun governo israeliano po-trebbe mai accettare. Ma ancora piùimportante è il rifiuto dei palestinesi diriconoscere a Israele la benché minimalegittimità territoriale. Tale rifiuto è unvecchio pilastro della narrazione uffi-ciale palestinese. Anche quelli chi di-cono di aver accettato la soluzione deidue Stati non sono disposti a ricono-scere che gli ebrei hanno un legame ouna storia con questa terra.

La seconda ragione, che riguarda icittadini arabi d’Israele, si spiega nellostesso modo. Secondo Saniyeh Al-Husseini, l’obiettivo ultimo di Israeletradisce un’intenzione nascosta: sba-razzarsi di tutti i suoi cittadini arabi.Vi è davvero un’intenzione nascostama non è quella di Israele. Innanzi-tutto, ripubblicando l’articolo dellaAl-Husseini, l’Autorità palestinese hadimostrato di esseri autoproclamataunica rappresentante dei cittadiniarabi d’Israele. Essendo Israele unademocrazia – diversamente dai regimidittatoriali palestinesi – i cittadiniarabi d’Israele hanno i loro leader erappresentanti in seno alla Knesset.L’ultima cosa di cui gli arabi israeliani

hanno bisogno è che l’Ap, Hamas oqualsiasi altra fazione palestinese s’in-tromettano nei loro affari interni.

Ma il tradimento non si ferma qui.I cittadini arabi d’Israele eleggono iloro rappresentanti, compresi alcunimembri della Knesset, che si preoccu-pano così tanto dei palestinesi che vi-vono in Cisgiordania e Gaza dadimenticarsi degli interessi dei loroelettori. Basti pensare al deputatoZouheir Bahloul, che passa il suotempo a ridefinire la parola “terrori-sta”. Bahloul, membro del Partito la-burista, sembra aver godutodell’indignazione pubblica suscitata direcente quando ha dichiarato che unpalestinese che lo scorso mese avevacercato di accoltellare alcuni soldatidelle IDF a Hebron non era un terro-rista. È come se Bahloul e gli altri par-lamentari arabi della Knesset avesserorisolto tutti i problemi della comunitàaraba d’Israele e non avessero nien-t’altro da fare che assicurarsi che nes-suno dica che un accoltellatorepalestinese è un terrorista. Natural-mente, una questione del genere non èin cima alla lista delle preoccupazionidei cittadini arabi d’Israele.

Il tradimento è ampio e profondo.I leader arabi israeliani tradiscono iloro elettori privilegiando quelli checonsiderano essere gli interessi degliarabi palestinesi, mentre i leader arabipalestinesi tradiscono il loro elettoratonegando qualsiasi legame tra gli ebreie la terra d’Israele. Queste posizioninon fanno decollare la pace in MedioOriente. Quando la Comunità inter-nazionale viene interpellata per risol-vere i problemi degli insediamenti ealtri ancora, essa farebbe bene a pren-dere in considerazione anche questipiccoli, ma importanti punti.

(*) Gatestone Institute

I palestinesi non riconosceranno Israele come Stato ebraico

e prevaricatore. Charlie talmenteingenuo da tagliare le ali a migliaiadi polli di allevamento per sabotarei turpi commerci delle multinazio-nali. Il bello, ovviamente, verràsolo alla fine, quando capiremostupiti, grazie a un sottile gioco diabbandoni, di tradimenti e di rive-lazioni, che Male e Bene amanotravestirsi nei loro opposti. In-somma, uno spettacolo geniale, sianella sua conduzione che nella rap-presentazione. Vivamente consi-gliato, ma solo a partire dallamaggiore età!

Cultura

“Thanks for vaselina”. Un titolopazzo per uno spettacolo

folle. Si ride da morire, ma si finiscecol piangere. Fino all’otto maggio vain scena al Piccolo Eliseo un quin-tetto da Tso, tra cui: due allucinati eallucinanti coltivatori casalinghi disvariati chili di marijuana, Fil e Char-lie. Il primo perennemente imbufa-lito, mentre il secondo - buonista pereccellenza, in quanto animalista e na-

turista convinto - appare come underivato dei Figli dei Fiori di mezzosecolo prima; Lucia, la madre di Fil,autentico folletto di scena, energeticae folgorante come una solfatara, lu-dopatica e nevrotica all’eccesso; ilpadre di Fil, “Annalisa”, trans bises-suale dal passato torbido e oscuro,che torna all’improvviso dal Messicodopo 15 anni di assenza; una tortarivestita di tulle, che corrisponde alnome di Wanda, cacciata di casa dalpadre perché eccessivamente “accu-

dente” nei confronti delfratellino down. Ecco:nitroglicerina pura,come appare ed è effet-tivamente.

L’inizio, infatti, èesplosivo, presentandosicon una terribile scenatadi Fil a Charlie per averassecondato la sua com-pagna nell’imbottire diovuli di erba l’intestinodel povero cane di lei(un carlino con la pro-tesi all’anca!) che, cosìcombinato, con il suovestitino da Hello Kitty,non sarebbe mai sfug-gito né ai metal detector,né alla curiosità degliispettori di dogana! Lascenografia e gli arredisono un ausilio perfettoper le scene boccacce-sche e surreali che, neltempo, si alternano nel-l’unico grande ambientedella casa di Fil, in cui

domina un divano a destra, una pic-cola finestra con infissi di alluminiobianco ospedale sulla sinistra, men-tre lo sfondo è occupato da unaporta d’entrata dinanzi al divano eda una sorta di coppia di sarcofaghineri di plastica, posti in verticale, sulmodello delle custodie per vestiti, al-l’interno dei quali si celano altret-tante serre clandestine per lacoltivazione domestica di marijuana.Il marchingegno dell’ingresso deivari personaggi rappresenta un mec-canismo perfettamente oliato e al-trettanto fragoroso.

La dolce Wanda -che all’inizio per ven-dicarsi dell’oltraggioverbale di Fil gridatodalla finestra, fa irru-zione vestita da princi-pessa psicopatica earmata di cric, pistolaad aria compressa,spray urticante e di undissuasore elettrico -finirà per sostituire ilcarlino (sparito as-sieme alla sua padron-cina) come corrieredella droga, aiutatanell’impresa dal suocapiente posteriore eda una premurosaLucia (una strepitosaBeatrice Schiros, do-tata di una comicità ir-resistibile), che ricorre,per la bisogna, a robu-ste dosi di vaselina, dacui il titolo della pièce.

Straordinario per quoziente di fol-lia è l’inserimento - nella storia deidue ruspanti e imbranati coltivatoriillegali - di “Annalisa”, padre transdi Fil che, grazie al peyote e a unacombriccola di farabutti organiz-zati in setta religiosa, lascia che lesituazioni comiche precedenti eva-porino in un clima sulfureo, demo-niaco, occultato dietro il paraventodi una fede ossessiva in Cristo enella redenzione da lui promessa.

Poi, ancora il gioco pirotecnicodell’intreccio sentimentale traWanda e i due ragazzi. Fil, violento

Umanità, eccessi e marijuana: “Thanks for vaselina”

Limitare il Risorgimento al pe-riodo successivo al Congresso

di Vienna significa ignorarne pre-supposti, genesi, formazione. Achiarire un importante aspettodelle radici del Risorgimento,ossia il ruolo del sentimento ita-liano nel ventennio napoleonico,giunge un testo di AlessandroMella, “Viva l’Imperatore! Vival’Italia!”, che esce presso Bastogi-Libri (240 pagine, 15 euro), conprefazione di Aldo A. Mola, lo sto-rico dell’Otto e Novecento, e in-troduzione di Francesco PaoloTronca, commissario di Roma Ca-

pitale.L’opera traccia un originale re-

soconto dell’organizzazione poli-tica e soprattutto militaredell’Italia napoleonica, sofferman-dosi sui fatti che seguirono ilcrollo di quel sistema eretto nel-l’intera Italia, giungendo allaPrima guerra d’Indipendenza.L’autore, appassionato di storia edi politica, traccia numerosi pro-fili di patrioti e combattenti ita-liani che, dopo aver servito lacausa italiana con Napoleonenella giovinezza, continuarono afarlo nelle circostanze che lagrande storia pose loro davantisuccessivamente. Vi compare lo

stesso Carlo Alberto di Savoia, lecui origini e la cui gioventù sonoilluminanti per capirne le succes-sive scelte e azioni.

Il libro esalta il coraggio di sol-dati e funzionari italiani in ognitempo, collegando generazionidifferenti che vissero in anni in-quieti e i cui sacrifici condusseroinfine all’Unità. Non viene nasco-sto che Napoleone non sognavacerto di costruire uno Stato so-vrano nella Penisola, ma sempli-cemente voleva assoggettareun’Italia francesizzata a forza.

Il libro di Alessandro Mellasarà presentato al Museo Napo-leonico di Roma (Piazza di Ponte

Umberto) giovedì 5 mag-gio, in coincidenza conl’anniversario della mortedi Napoleone. Dalle ore18 parleranno lo stessoautore (Le ragioni di unaricerca), il professor AldoA. Mola (L’eredità franco-napoleonica e il settarismopolitico), il professor AldoG. Ricci (Il mito di Napo-leone e il Risorgimento) eil colonnello AntoninoZarcone (Gli italiani e lariscoperta dell’arte dellaguerra). Seguirà un con-certo per voce e piano-forte.

Viva l’Imperatore! Viva l’Italia!