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Direttore aRTURO DiaCOnaLE Sabato 8 Aprile 2017 Fondato nel 1847 - anno XXii n. 69 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC poste italiane Spa Spedizione in abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI delle Libertà CAPONE A PAGINA 4 Povertà irreversibile per due milioni d’italiani POLITICA-ECONOMIA PRIMO PIANO I media e i Cinque stelle, dalla schiena alla lingua ORSO DI PIETRA a pagina 3 CULTURA Munzi e gli strascichi dell’“Assalto al cielo” RAPONI a pagina 7 Ma, anche se scontata, questa assicura- zione non tranquillizza affatto. Perché prospetta per una delle più grandi e an- tiche città europee un futuro da incubo. Quello in cui per ogni sciocchezza tra- sformata dai media in scelta di primaria importanza si imbandisce un referen- dum on-line sul sito capitolino a cui par- tecipano solo le minoranze paranoiche che usano la Rete per i loro deliri narci- sistici. Non c’è bisogno di ricordare come le famose comunarie con cui i grillini scel- gono i loro candidati nelle amministra- zioni locali siano normalmente partecipate da un numero irrisorio di soggetti tra loro divisi da incredibili e in- finiti conflitti personali. Il rischio che la democrazia diretta in salsa pentastellata diventi una bega tra piccole frange di squilibrati è grande. Ma accanto a que- sto incubo, che già si è verificato in tutte le città dove l’esperimento grillino è stato realizzato, ci sono due incubi an- cora più gravi. Il primo è quello è di tra- sformare la democrazia diretta in uno strumento al servizio delle lobby orga- nizzate. Il tutto in un Paese che non ri- conosce le lobby lecite, ma è sempre più stravolto e condizionato da quelle ille- cite rappresentate dalle organizzazioni criminali, che già pesano come un ma- cigno sulla democrazia indiretta e che non esiterebbero un solo istante ad usu- fruire di quella diretta di marca grillina. Il secondo è quello della deriva auto- ritaria, cioè del rischio che attraverso la Rete si trasformi qualsiasi demagogo da strapazzo in un Chávez o Maduro no- strano deciso a cavalcare a proprio van- taggio un’artificiosa e fasulla volontà popolare. I dirigenti grillini sono con- vinti che proporre la democrazia diretta attraverso la Rete li trasforma in porta- tori di una grande innovazione. In realtà hanno scoperto l’acqua calda, quella in cui da sempre hanno sguazzato tutti i ti- ranni e i dittatori dell’umanità! I pericoli della democrazia diretta on-line G li esponenti grillini della Capitale hanno assicurato che la democra- zia diretta per la città di Roma non verrà realizzata attraverso la piattaforma Rousseau, che rimane uno strumento di consultazione e di comunicazione in- terno del Movimento Cinque Stelle, ma attraverso il sito ufficiale del Campido- glio. L’assicurazione era ovviamente scon- tata. Solo qualche squilibrato poteva pensare che la struttura della famiglia Casaleggio avrebbe mai potuto essere trasformata nello strumento istituzio- nale della democrazia diretta capitolina. di ARTURO DIACONALE Missili in Siria, terroristi a Stoccolma Donald Trump ribalta il disimpegno di Obama colpendo duramente le basi aeree di Assad e i terroristi islamici colpiscono il cuore dell’Europa

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  • Direttore aRTURO DiaCOnaLE Sabato 8 Aprile 2017Fondato nel 1847 - anno XXii n. 69 - Euro 0,50

    DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

    DCB - Roma / Tariffa ROC poste italiane Spa Spedizione in abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI

    delle Libertà

    CAPONE A PAGINA 4

    Povertà irreversibile per due milioni d’italiani

    POLITICA-ECONOMIAPRIMO PIANO

    I media e i Cinque stelle, dalla schiena alla lingua

    ORSO DI PIETRA

    a pagina 3

    CULTURA

    Munzi e gli strascichidell’“Assalto al cielo”

    RAPONI

    a pagina 7

    Ma, anche se scontata, questa assicura-zione non tranquillizza affatto. Perchéprospetta per una delle più grandi e an-tiche città europee un futuro da incubo.Quello in cui per ogni sciocchezza tra-sformata dai media in scelta di primariaimportanza si imbandisce un referen-dum on-line sul sito capitolino a cui par-tecipano solo le minoranze paranoicheche usano la Rete per i loro deliri narci-sistici.

    Non c’è bisogno di ricordare come lefamose comunarie con cui i grillini scel-gono i loro candidati nelle amministra-zioni locali siano normalmentepartecipate da un numero irrisorio disoggetti tra loro divisi da incredibili e in-

    finiti conflitti personali. Il rischio che lademocrazia diretta in salsa pentastellatadiventi una bega tra piccole frange disquilibrati è grande. Ma accanto a que-sto incubo, che già si è verificato in tuttele città dove l’esperimento grillino èstato realizzato, ci sono due incubi an-cora più gravi. Il primo è quello è di tra-sformare la democrazia diretta in unostrumento al servizio delle lobby orga-nizzate. Il tutto in un Paese che non ri-conosce le lobby lecite, ma è sempre piùstravolto e condizionato da quelle ille-cite rappresentate dalle organizzazionicriminali, che già pesano come un ma-cigno sulla democrazia indiretta e chenon esiterebbero un solo istante ad usu-

    fruire di quella diretta di marca grillina. Il secondo è quello della deriva auto-

    ritaria, cioè del rischio che attraverso laRete si trasformi qualsiasi demagogo dastrapazzo in un Chávez o Maduro no-strano deciso a cavalcare a proprio van-taggio un’artificiosa e fasulla volontà

    popolare. I dirigenti grillini sono con-vinti che proporre la democrazia direttaattraverso la Rete li trasforma in porta-tori di una grande innovazione. In realtàhanno scoperto l’acqua calda, quella incui da sempre hanno sguazzato tutti i ti-ranni e i dittatori dell’umanità!

    I pericoli della democrazia diretta on-line

    Gli esponenti grillini della Capitalehanno assicurato che la democra-zia diretta per la città di Roma non verràrealizzata attraverso la piattaformaRousseau, che rimane uno strumento diconsultazione e di comunicazione in-terno del Movimento Cinque Stelle, maattraverso il sito ufficiale del Campido-glio.

    L’assicurazione era ovviamente scon-tata. Solo qualche squilibrato potevapensare che la struttura della famigliaCasaleggio avrebbe mai potuto esseretrasformata nello strumento istituzio-nale della democrazia diretta capitolina.

    di ARTURO DIACONALE

    Missili in Siria, terroristi a StoccolmaDonald Trump ribalta il disimpegno di Obama colpendo duramente lebasi aeree di Assad e i terroristi islamici colpiscono il cuore dell’Europa

  • Iterroristi colpiscono in pieno cen-tro a Stoccolma, ancora una voltaun “lupo solitario” alla guida di uncamion, che ha investito i passantiprima di schiantarsi contro un cen-tro commerciale. Almeno tre personesono rimaste uccise - secondo quantoriferisce la polizia, precisando che cisono anche otto feriti. Ed è caccia al-l’uomo: l’autista dell’autocarro finitosulla folla è in fuga. Il sospetto ricer-cato indossa una giacca verde e unafelpa grigia. Il premier svedese StefanLöfven aveva inizialmente parlatodell’arresto di una persona, ma lapolizia svedese ha dichiarato che nes-suno è stato arrestato per l’attentato.

    L’episodio è avvenuto in una delleprincipali strade commerciali diStoccolma, secondo quanto riferiscela polizia citata dai media locali.Sono stati sparati dei colpi di arma

    da fuoco nel luogo dove il camion èpiombato sulla folla. Secondo i testi-moni, l’autista “indossava un passa-montagna”.

    Il premier svedese, Stefan Löfvenha detto: “È un attacco terroristico”.La polizia ritiene che si tratti di “unattacco deliberato”. Il parlamentosvedese è stato chiuso dopo quantoaccaduto.

    Le autorità hanno invitato gli abi-tanti a evitare di recarsi nel centrodella città. Ci sono stati report dispari in un’altra zona del centro dellacapitale svedese, a Hotorget. I pe-

    doni sono stati investiti a Drottnin-ggatan.

    Il camion è stato rubato pocoprima dell’attacco. Il mezzo appar-tiene alla “Spendrups”, popolaremarca di birra svedese, ed è stato ru-bato durante il giro di consegne neiristoranti della città. I responsabilidell’azienda hanno avuto un con-tatto con l’autista legittimo delmezzo. Secondo quanto riferito daldirettore della comunicazione delbirrificio, Maarten Lyth, l’autista“stava scaricando della mercequando qualcuno è saltato dentro il

    camion ed è scappato”. Lyth, preci-sando di non essere in grado di direquante persone abbiano preso pos-sesso del camion, ha detto che l’auti-sta “è illeso ma sotto choc,attualmente è ascoltato dalla poli-zia”.

    Il camion ha falciato la folla nellacentralissima strada pedonale Drott-ninggatan di Stoccolma ha finito lasua corsa nel centro commercialeAhlens City. “Ho visto centinaia dipersone mettersi a correre per sal-varsi la vita. Mi sono girata ed ho co-minciato a correre anche io”, ha

    detto una testimone al quotidianoAftonbladet. Un altro testimone hariferito: “Stavo camminando verso lastrada principale quando un grandecamion è spuntato dal nulla. Nonsono riuscito a vedere se ci fossequalcuno alla guida o fosse fuoricontrollo, ma ho visto che almenodue persone sono state schiacciate. Emi sono messo a correre più forteche potevo”.

    Nella stessa zona, l’11 dicembre2010, si verificò un duplice attentatocon autobomba: era il primo atten-tato suicida nei Paesi scandinavi.

    di MASSIMO ASCOLtO

    2 L’OPINIONE delle Libertà sabato 8 aprile 2017Politica

    Tir sulla folla nel centro di Stoccolma, terrore e morti in Svezia

    Che in Italia in questi ultimi annila quantità dei reati di rapina,furto, aggressione o, peggio, omici-dio, nelle abitazioni e nei luoghi dilavoro sia aumentato, è una realtà.Una realtà che non può essere smen-tita dagli ipocriti e intellettualmentedisonesti che vanno in televisione acitare dati che al contrario li dannoin diminuzione. Infatti, “i bugiardi”sanno benissimo che ormai, tranneche nei casi più efferati, i cittadinihanno purtroppo smesso anche didenunciare, ben sapendo che la de-nuncia serve a poco.

    Del resto, che il problema e ildramma dei furti e rapine sia diven-tato un’emergenza sociale-nazionaleè testimoniato dal fatto che l’indu-stria della sicurezza negli ultimidieci-quindici anni è in costante cre-scita. Chi porta i capelli bianchi, in-fatti, ricorderà che fino a una ventinadi anni fa le case dotate ad esempiodi grate alle finestre erano larga-mente minoritarie. Oggi, al contra-rio, basta guardare le facciate dei

    palazzi per rendersi conto che è tuttauna grata, per non parlare delle blin-dature e degli allarmi. Dunque, chegli italiani siano corsi massiccia-mente ai ripari con ogni possibile ri-medio cosiddetto “passivo”, è certo,come però è altrettanto certo chenon basti. Ecco perché i tromboniche in tivù esortano la gente a coraz-zarsi in casa sono in malafede, per-ché sanno benissimo che i cittadiniquesto rimedio in larghissima misural’hanno già preso, ma non basta.

    Certo meglio blindati che no, me-glio allarmati che no, meglio inchia-vardati che no, ma il problema non èsolo questo e si sa bene. Premessoche in Italia non esista la vocazionedel pistolero e nemmeno quella delFar West; premesso anche che siamocontrari alla detenzione di armi incasa, una soluzione legislativa fortes’impone. Il problema della legittimadifesa, infatti, non è legato alla pi-stola, come gli ipocriti cercano difare credere per suggestionare i citta-dini e l’opinione pubblica, ma è unasemplice questione di diritto e di cer-tezza della pena.

    In realtà in casa ci si può difen-dere da una aggressione criminalenon solo con una pistola, si può farlocon un bastone, un badile, oppure unarnese qualsiasi, dunque il problemanon è e non può essere lo strumento.Il problema è la legge, una legge cioèche tuteli sempre e indiscutibilmentechi si difende da un’aggressione cri-minale e violenta subita in una pro-prietà privata. Su questo temal’ipocrisia cattocomunista, buonista,radical chic, vorrebbe che in unnuovo testo di legge sulla legittimadifesa fosse un magistrato a stabilirelo stato d’animo dell’aggredito.

    Insomma, un giudice per scagio-nare chi ha subito un’intrusione ag-

    gressiva in casa, reagendo in modoletale, dovrà valutare lo stato psico-fisico dell’aggredito, roba da non cre-dere. Che stato emozionale puòavere un cristiano che di notte si ri-trova uno o più delinquenti senzascrupoli, che entrano per derubarloe purtroppo spesso per malmenarlosenza pietà? Che tipo di lucidità do-vrebbe avere una persona di fronte

    alle botte, di fronte alle violenze diuna rapina, prima di decidere come equanto reagire? Bene, anzi male, èora di finirla di metterci in manosempre e comunque alla discreziona-lità di un giudice. Prima dei giudicici sono le leggi; leggi che nella lorofunzione i magistrati devono inter-pretare e applicare, dunque se unalegge è chiara e inequivocabile non

    può esserci discrezionalità. Nella sto-ria giudiziaria la troppa discreziona-lità dei giudicanti ha fatto parecchidanni e lo sappiamo, ecco perchésulla legittima difesa serve una leggeincontrovertibile, severa e che tuteliin primis le vittime. Dunque la sismetta con la storia delle pistole e siaffronti e risolva in Parlamento pre-sto, molto presto, il problema.

    Il problema non è la pistola, ma la leggedi ELIDE ROSSI e ALFREDO MOSCA

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  • 3L’OPINIONE delle LibertàPrimo Pianosabato 8 aprile 2017

    In un soprassalto di dignità professionale,Lilli Gruber ha definito uno “spottone”l’apparizione di Davide Casaleggio nellasua trasmissione su La7. In realtà, usandoun termine più brutale ma più giornalisti-camente appropriato, si è trattato di unamarchetta. Anzi, di un marchettone. In cuiciò che più ha colpito non è stata la capa-cità comunicativa del figlio di GianrobertoCasaleggio ed erede del ruolo di diarca conBeppe Grillo del Movimento Cinque Stelle,una capacità simile a quella di uno stocca-fisso. E neppure la disinvoltura con cui ildiscendente diretto del teorico della demo-crazia diretta attraverso la rete ha pronun-ciato sciocchezze come quella secondo cuiil costo del reddito di cittadinanza potràessere finanziato attraverso la lotta ai vita-lizi ed alle pensioni d’oro.

    Ciò che più ha colpito e ha inquietatonon è stata l’oggettiva inconsistenza comu-nicativa e politica del giovane cogarantedei grillini, ma la straordinaria piaggeriamessa in mostra dal giornalista GianlucaNuzzi e dal sociologo Domenico De Masimessi a fianco del nuovo potente non per

    verificare la sua preparazione e autorevo-lezza ma per rendere più semplice, piace-vole e sicura la sua prima apparizionemediatica.

    Non deve essere stato troppo difficilescegliere i partners più adatti a favorire laprima volta di Casaleggio junior. Nuzzi eraamico di Gianroberto e ha da tempo esau-rito la sua carica polemica nella critica alVaticano segreto. De Masi si è trasformatonell’ispiratore della politica del lavoro delMovimento Cinque Stelle scrivendo unlibro dal titolo significativo “Lavorare gra-tis, lavorare tutti”, che è la riproposizionein chiave paradossale del principio caroalla sinistra paleomarxista del “lavoraremeno, lavorare tutti”.

    Ma al di là della evidente intenzione deidue partners e della conduttrice di trasfor-mare la trasmissione nel marchettone pro-Davide di cui sopra, ciò che merita diessere sottolineato è il modello di intervi-sta televisiva che l’apparente inarrestabilemarcia verso il potere dei Cinque Stelle haormai imposto nei media nazionali. Quellonon della schiera dritta e neppure dellaschiena curva, ma quello della lingua pen-zoloni. Che vergogna!

    di ORsO DI PIETRA

    I media e i Cinque stelle, dalla schiena alla lingua

    C’è modo e modo di trattare dell’esor-dio televisivo di uno che, pur facendodi tutto per negarlo, tiene le chiavi di unmovimento politico di nome M5S. Un insu-perabilmente malizioso Mattia Feltri l’hadefinito come “un piccolo delizioso boc-cone di futuro: ecco che cosa è stato l’esor-dio in tv di Davide Casaleggio, in attesa chedomani si tenga il raduno di Ivrea in ri-cordo del padre Gianroberto”.

    E allora non se ne abbia a male Casaleg-gio junior (figuriamoci, un politico-pubbli-citario con tali antenati, poi) se, nel nostropiccolo, parliamo di commercio - di sé, persoprammercato - ma era ed è soltanto per uninquadramento coerentemente propagandi-stico della sua figura primariamente - e perla prima volta - televisiva offertaci l’altrasera da Lilli Gruber. Commercio, nel sensoetimologico come s’usa nelle riflessioni poli-tiche e non in senso moralistico, come usanoinvece i suoi aficionados del movimento iquali, in realtà, più che affezionati, sono suoi“dipendenti”, sebbene in speciale modo, an-ch’esso collegato al concetto di “commer-cio”, pardon di “e-commerce”.

    Innanzitutto il contorno della seance suLa7, non per caso ritenuta da non pochi vi-cina al movimento politico-elettorale che,in Italia, sembra andare per la maggiore an-corché non sappia, e non lo sappiano nep-pure chi lo vota, dove voglia davveroandare. Un contorno diciamo a sensounico, cioè senza un minimo di contraddit-torio che, a dirla tutta, non è davvero ilmassimo per un talk-show fra i più impor-tanti sulla piazza. Ma tant’è. Il fatto è cheraramente s’è assistito a un esordio carat-terizzato più dai “non so” che dagli “adessovi spiego”, come s’addice appunto all’erededi una Piattaforma-Rete che è molto, moltodi più di quanto indichi il nome, e nono-stante che tutta l’atmosfera intorno al de-buttante aiutasse all’eloquio parlare,circonfusa com’era di un certo non so chedi ammirato consenso, dal quale sembravacontagiata, qua e là, la stessa conduttrice.

    Ognuno fa quel che vuole in tivù, figu-riamoci una scafatissima professionistacome Lilli, peraltro non aliena a quella po-litica di cui è stata parlamentare. Per certiaspetti ha scritto molto acutamente Mala-guti su “La Stampa”, “presumibilmente Da-vide Casaleggio è una persona incline aforti emozioni, certamente è poco dotatonel comunicarle. Da questo punto di vistaè come suo padre Gianroberto, però conmeno carisma”. Meno carisma, indubbia-mente, ma anche più vuoti, più vaghezza,più lamentele per il tecnicismo di certe do-mande, molta astensione pensosa su pro-poste concrete, maggiore forza nell’attaccoai nemici di turno (Matteo Renzi in primis),così, tanto per non entrare in media res,cioè nel dare soddisfazione alle tante curio-sità che il “suo” movimento suscita in tuttinoi, non fosse altro perché sembra, dicosembra, alle soglie del potere. E per fortunache qualcosa dalla bocca cucita è venutofuori, qualcosa come il cambiamento: dallaCasaleggio Associati alla Piattaforma Rous-seau, che non è affatto un cambiamento,ma la continuazione e con maggiore forza epuntualità rispetto agli aficionados in as-sorta ammirazione (per ora).

    La vaghezza, dicevamo. Ora, così tantoper dirne una, la Piattaforma Rousseau, cheè in sostanza un algoritmo, così come èadattata e adottata nel M5S altro non è cheil luogo dove si raggruppano le leggi in ge-nerale e, in particolare, quelle del gruppo,che vengono quindi selezionate e, se delcaso, portate infine all’attenzione-approva-zione del Parlamento. Mica male, vero? Manon fa solo questo la mitica piattaforma, cimancherebbe. La “Rousseau”, intitolatanon certamente a un cultore del pensiero li-berale ma del suo contrario e mal gliene in-colse, si occupa della conoscenza, dellascelta primaria e infine della selezione degliuomini destinati a fare politica nel movi-mento, a rappresentarlo e, per chi li vota, arappresentarli. È, diciamocelo franca-mente, un luogo del potere reale, una spe-cie di comitato centrale ma anche didirezione nazionale con segreteria esecutiva

    di PAOLO PILLITTERI

    Casaleggio, la lezione del commercio di sé

    Ospite di Lilli Gruber, Davide Casaleg-gio, erede in tutto e per tutto del de-funto padre Gianroberto, è riuscito inmodo assolutamente magistrale a vincereil campionato dei pesci in barile, riu-scendo a glissare le domande più imba-razzanti relative al Movimento CinqueStelle.

    Soprattutto sull’aspetto nodale dellademocrazia interna, egli ha realizzato uncapolavoro dialettico, cantando le lodi

    della truffa pentastellata del cosiddetto“uno vale uno” e, nel contempo, soste-nendo la dura ma ineliminabile necessitàdi avere un garante del calibro di BeppeGrillo. Quest’ultimo, indicato dallo stessoCasaleggio quale vero capo politico delMovimento. Da questo punto di vista ilgiovane presidente della Casaleggio Asso-ciati più che rifarsi alla famosa massimaromana “dura lex, sed lex”, nel tratteg-giare la figura di un capo politico dai ri-svolti autoritari, sembra che abbia volutoispirarsi a un celebre sonetto del Belli, “Li

    Li soprani der monnovecchio a 5 Stelle

    di CLAUDIO ROMITIsoprani der monno vecchio”: C’era unavorta un Re cche ddar palazzo mannòffora a li popoli st’editto: Io sò io, e vvoinun zete un cazzo, sori vassalli bbuggia-roni, e zzitto.

    D’altronde, di fronte a un non-partitoregolato da un non-statuto e in cui nellafigura di un comico qualunquista si cu-mulano i ruoli di garante e di capo poli-tico assoluto cos’altro si può dire? Lasituazione appare piuttosto grave, visto ilconsenso riscosso malgrado tutto dai gril-lini, ma non possiamo definirla in alcun

    modo seria. Se a una parte consistentedegli elettori e dei simpatizzanti penta-stellati piace farsi prendere quotidiana-mente per i fondelli da un partitoaziendale che dietro la facciata della Reteadotta un rigido e spietato modello auto-cratico non possiamo farci nulla. Ma è co-munque certo che da una simile, assurdacommistione di autoritarismo, di subdoloculto della personalità e di strampalatiinput programmatici presi a casaccio dalcrogiòlo della medesima Rete non c’è daaspettarsi nulla di buono per il Paese.

    incorporata, probiviri compresi. Solo chequesto impressionante aggregato di potereviene chiamato algoritmo e all’interno diquella che è ormai una leggenda: la Rete.Che, ovviamente, decide su tutto e su tutti,a meno che non la sostituisca nei casi ecce-zionali il lider maximo, magari cacciando a

    calci (metaforici) nel sedere uno che a Ge-nova ha vinto con successo le primarie, mache aveva (ahimè) un piccolo difetto: nonrispondeva alle norme dell’algoritmo inquel giorno, guarda caso, sussunto daGrillo. E meno male che alla Lilli è scap-pata la felice espressione del “rischio spot-tone” per questo nuovo che avanza.Nuovo?

  • “Fate finta di nulla, non esi-stono”. Sarebbe stato questol’ordine impartito tre mesi fa daivertici del ministero del Lavoro eprevidenza sociale (quelli del wel-fare) ad alcuni che segnalavano l’in-cremento per oltre il 30 per centodegli “invisibili”: ovvero dei citta-dini italiani disoccupati non più allaricerca di un lavoro e finiti tra isenza fissa dimora. L’agire sarebbestato anche perfezionato da intesetra Istat e Welfare, per omettere daidati statistici gli “invisibili”, al finedi dimostrare un effettivo calo delladisoccupazione.

    Ma il caso del veronese di 62 annie del vicentino di 53 rimasti senzalavoro (e senza casa) è saltato aglionori delle cronache in barba a tuttele pulsioni politiche che chiedevanoil silenzio su questi casi, ormai bol-lati dalla dirigenza italiana come ir-risolvibili. I due veneti vivono in unatenda, a San Zeno in Monte (salitaper Colle San Felice), un posto quasiboschivo. Come loro, circa due mi-lioni d’italiani si nascondono dentrotende e baracche lungo i corsi deifiumi, tra la macchia mediterraneacome tra le sterpaglie che circon-dano e attraversano le città. Dal Ve-neto alla Sicilia da Napoli a Genovapassando per Roma, quello degli in-visibili italiani senza fissa dimorarappresenta ormai una schiera in co-stante aumento.

    Storie che hanno come comunedenominatore la perdita del lavoro eil concatenarsi di situazioni avversecreate anche da soggetti pubblici(Agenzia delle entrate, Equitalia, enti

    locali vari). Quindi lo Stato concorrea mandarli per strada. Per il sistemasociale sono inseriti nella “fascia dinon ritorno”, anche detta “popolodegli invisibili”. Se parlate con chitra loro ha ancora voglia di raccon-tare il suo vissuto, vi elencherà le in-numerevoli porte sbattute in facciae, purtroppo, minacce ed offese rice-vute dai dipendenti degli enti pub-blici che avrebbero potutoscongiurare (forse solo in parte) laloro discesa agli inferi. Desta nonpoco sconcerto che il livello d’istru-zione degli invisibili sia medio-alto:sempre più laureati vengono quoti-dianamente arruolati nell’esercito

    degli invisibili. Più indagini socialispiegano come il basso livellod’istruzione favorisca l’adattarsi adogni forma di lavoro e sopravvi-venza, che spesso va dal raccoglitic-cio al furto di generi di primanecessità. Di pari passo si sono rad-doppiate le denunce di violenza apubblico ufficiale da parte di bar-boni e senza tetto: è stato dimostratoche i più violenti sarebbero tra i di-soccupati invisibili, recalcitrantiverso ogni forma di controllo e in-dagine da parte delle forze di poli-zia. E nei salotti buoni della Capitalec’è già il dirigente pubblico che in-voca soluzioni vittoriane: come nella

    Londra di metà Ottocento, dove ipoveri arrestati per vagabondaggiovenivano condotti controvoglia inAustralia. Solo la crisi a metterel’orologio dei diritti indietro di 150anni? Certamente il benessere dif-fuso aveva chetato gli animi anchedei più fervidi assertori del classi-smo, adusi comunque a scongiurarel’ascensore sociale. La riduzione didenaro e speranze ha ravvivato unfuoco mai sedato. Ovviamente i ver-tici dello Stato hanno pensato benedi sacrificare ben due milioni d’invi-sibili sull’altare della “pace sociale”,consci che nell’Era della comunica-zione sia sufficiente non parlarne per

    negarne l’esistenza.Intanto, circa 21 milioni di con-

    tribuenti potrebbero finire in po-vertà: si allude agli indebitati a variotitolo con 8.500 enti creditori chehanno affidato la riscossione adEquitalia. Per l’amministratore de-legto della società pubblica di ri-scossione, Ernesto Maria Ruffini (inaudizione in commissione Finanzealla Camera), il 53 per cento degliitaliani ha accumulato pendenze chenon superano i 1000 euro e il 74 percento dei contribuenti ha debitisotto i 5mila euro. Somme che se-condo alcuni vertici dell’Economiasarebbero bastevoli per tentare unalezione esemplare contro gran partedei cittadini.

    La palla passerebbe ancora unavolta alla politica, e all’obbligo di ot-temperare ad alcune norme Ue: ov-vero pignorare il bene casa agliitaliani anche per debiti irrisori, eper istillare nel cittadino la paura difinire per stracci anche per insolutidi piccola entità. Strategie che cifanno comprendere come la diri-genza di Stato sia pronta a un brac-cio di ferro col popolo, con chi versain difficoltà economiche. A questos’aggiunge che nell’Italietta antisoli-darista serpeggia sempre più il virusdella dabbenaggine, al punto chequalche giustizialista avrebbe bol-lato come “traffico d’influenza”l’aiuto di eventuali personalità a chiè in cerca d’occupazione. Quelladella spoliazione degli italiani sem-brerebbe una via irreversibile, ancheperché alcuni soloni dell’Unione eu-ropea starebbero già sollevandodubbi sulle modalità di rottama-zione delle cartelle Equitalia.

    4 L’opinione delle Libertà Politica - Economia sabato 8 aprile 2017

    Povertà irreversibile per due milioni d’italianidi RuggieRo Capone

  • Ennesima lezione di garantismodella giustizia israeliana al restodel mondo: a diciassette anni daquell’orrendo linciaggio di Ramal-lah, cui presero parte anche agentidella polizia palestinese, contro duepoveri soldati di Tsahal che si eranopersi e che si erano rifugiati propriodentro il posto di polizia locale, èstato scarcerato in Israele uno deipresunti complici degli assassini edegli autori del duplice omicidio cheproseguì indisturbato dentro lestanze del commissariato.

    I due israeliani si chiamavanoVadim Nurzhitz e Yossi Avrahami. Ilpoliziotto palestinese scarceratodopo una controversa decisione dellacorte suprema israeliana si chiamatuttora Hatam Magari. Era quelloche si mostrò alle telecamere con lemani macchiate del sangue dei duesoldati. La corte suprema ha ritenutoche questo macabro gesto in realtàfosse dovuto al terrore di Hatam divenire a sua volta linciato dai propricompatrioti. Che infatti furono liberidi entrare nella stazione di polizia euccidere i due soldati, mutilandoneanche i cadaveri. Uno spettacolo be-stiale, per chi se lo ricorda.

    Quelle immagini trasmesse intutto il mondo dalle tivù di Berlu-sconi crearono anche quell’incredi-bile polemica che seguì a una sortadi lettera di scuse dell’allora corri-spondente Rai nella West Bank Ric-cardo Cristiano all’Anp. Cristianoscrisse a un giornale palestinese sot-

    tolineando il fatto che le immaginierano state trasmesse dalle reti Me-diaset “su loro iniziativa”, contrav-venendo alle regole di ingaggio fino aquel momento esistenti con il servi-zio pubblico radiotelevisivo italiano,

    evidentemente soggetto al placet pale-stinese prima di mandare in onda ri-prese che potessero danneggiare “lacausa”. Ne seguì una buriana incredi-bile e Riccardo Cristiano venne spo-stato a fare il corrispondente in

    Vaticano, ma mai si indagò su chi aviale Mazzini avesse accettato simili re-gole dall’Anp che mortificavano e tut-tora mortificano la libertà di stampa.

    Adesso, a distanza di quasi dicias-sette anni da quel maledetto agosto

    del 2000, Israele ha ritenuto di do-vere scarcerare un complice dei lin-ciatori perché sarebbero venute fuorinuove prove a suo favore. Senzanemmeno avvisare le famiglie dellevittime che hanno saputo tutto acose ormai fatte. Il figlio di Avra-hami, Roi, ha detto ai media di nonessere affatto contento di questa de-cisione e che a distanza di tutti que-sti anni per lui la morte del padreprovoca ancora un dolore indicibile.Tuttavia ha detto pure di accettare ladecisione perché la giustizia, inIsraele, non in Italia, non è vendetta,ma “logica e garanzia di fatti, cose edeventi temporali”.

    Ragioniamo dunque in parallelotra un Paese come Israele, in guerra,fredda o calda, da decenni controtutti i propri bellicosi vicini arabi chevorrebbero semplicemente farloscomparire dalla carta geografica delMedio Oriente, e che perpetrano oincoraggiano al suo interno unaforma di terrorismo, di matrice isla-mica, che qui in Europa solo adessocominciamo a conoscere, e l’Italia,che le lotte giudiziarie e polizieschequando non le ha se le inventa, cal-pestando tutto e tutti in nome dellapresunta ragion di Stato. Nonostanteper noi italiani dovrebbe essere piùfacile essere garantisti che per gliisraeliani, accade esattamente il con-trario. Vorrà dire qualcosa?

    5l’oPinione delle libertàsabato 8 aprile 2017

    Il garantismo della giustizia israelianadi roCCo sChiavone

    Esteri

    Donald Trump l’altra notte hafatto strike. Con i 59 “Toma-hawk” lanciati contro la base aereasiriana di Al-Shayrat, il presidentedegli Stati Uniti ha colpito un bel po’di obiettivi sullo scacchiere interna-zionale. Conta meno quanti danniabbiano causato i missili all’impattocon le infrastrutture prese di mira.Conta molto di più l’effetto provo-cato sugli equilibri dello scacchiereMediterraneo, del Vicino e del MedioOriente. Innanzitutto la tempistica.L’ordine presidenziale è partito neglistessi momenti in cui Trump acco-glieva, nella sua residenza in Florida,il presidente cinese Xi-Jinping.

    È da settimane che i toni dellaCasa Bianca sulle provocazioni mis-

    silistiche del leader della Corea delNord, Kim-Jong-un, si fanno più mi-nacciosi. Trump ha chiesto al go-verno cinese, che funge da lordprotettore del dittatore coreano,d’intervenire. In assenza di risposteconvincenti vi sarebbe stata la rea-zione degli Stati Uniti. I missili del-l’altra notte sono la dimostrazioneche “The Donald” è in grado di farseguire i fatti alle parole.

    Altro messaggio recapitato è alleader turco Recep Tayyip Erdoğanil quale, dopo anni di tensione conBarack Obama, vuole riaprire il dia-logo con Washington. I missili suShayrat sono la risposta alle aspetta-tive turche. Trump aveva anche pro-messo che avrebbe riportato la pienasintonia tra con Gerusalemme. Il go-verno israeliano da tempo denuncia

    il pericolo che il rafforzamento diBashar al-Assad celi un’espansionedell’influenza nella regione degliHezbollah e dei loro mandanti ira-niani. I missili dell’altra notte sonola migliore smentita della politicadegli “occhi chiusi” praticata dal-l’amministrazione Obama. L’offen-siva bellica è stata improvvisa manon troppo. Fonti del Dipartimentodi Stato Usa rivelano che il Cremlinoera stato preventivamente informatodelle intenzioni della Casa Bianca.Ciò ha consentito ai comandi mili-tari russi presenti in Siria di disporre,prima dell’attacco, lo spostamentodegli aerei e dei mezzi di stanza nellabase di Al-Shayrat. Non a caso nulladell’apparato bellico russo è statodanneggiato dai missili.

    Con questa mossa Trump, senzascatenare l’inevitabile reazione diMosca, ha zittito le voci interne alsuo Paese che lo volevano succubedella politica di potenza di VladimirPutin. Era da subito chiaro che l’ideadi rivoluzionare la politica ameri-cana a dispetto di tutti i poteri fortisarebbe stata poco più di un’utopia.L’unica chance per Trump di vincerela guerra intestina avrebbe dovutofar leva sulla rottura del fronte deglioppositori. I missili di Al-Shayratsono il suggello al cambio di strate-gia iniziata con la rimozione del“falco” Stephen Bannon, ideologodella sua campagna elettorale, daconsigliere per la Sicurezza e la suasostituzione con il generale HerbertRaymond "H. R." McMaster, mode-rato, gradito alle gerarchie militari.Ma se i missili l’altra notte hannocolpito i simboli del potere di al-Assad, dove hanno fatto più male èstato in Europa. Uno dei leitmotivdella campagna elettorale trumpianaè stato l’aperto disconoscimento delruolo geopolitico di un’Europaunita. “The Donald” quando ne haavuto l’occasione lo ha dimostrato:prima accogliendo con entusiasmo ilpremier britannico Theresa May chegli portava in dono l’uscita del Paesedall’Unione europea, trattando conglaciale freddezza la signora AngelaMerkel nel corso della visita di Statoa Washington e mettendo in fondo

    all’agenda, solo alla vigilia dell’iniziodel G7 a Taormina, l’incontro con ilpremier italiano, Paolo Gentiloni. Se-gnali che però avevano la consi-stenza di punture di spillo rispetto aciò che è accaduto l’altra notte.

    Il presidente Usa ha deciso l’at-tacco senza consultare i suoi alleatieuropei. È stato patetico osservarel’imbarazzo con il quale i leader del-l’Ue si sono dovuti affrettare a sal-tare sul carro di Trump senza che luiglielo avesse chiesto. La dichiara-zione congiunta, a cose fatte, dellaMerkel e di Hollande di sostegno al-l’attacco missilistico la dice lunga sulpeso che Washington riservi agli eu-ropei. Cosa bisogna aspettarsi d’orain poi? Non un’escalation bellica.Quella dell’altra notte resta un’ini-ziativa “one-off”, una tantum. Perqualche giorno i players globali sidivideranno, gli uni minacciandosfracelli, gli altri appoggiando entu-siasticamente l’iniziativa. Come dacopione. Dopo le cose torneranno alloro posto ma con qualche significa-tiva novità. Trump ha fatto sapere almondo che lui è in palla e intendepartecipare alla partita. Ovunque lasi giochi: tra le sabbie desertiche delMedio Oriente o nelle acque agitatedel Mar del Giappone. E, a dareascolto ai nostri autorevoli commen-tatori di regime, costui sarebbe unpazzo e un incapace?

    I missili di Trump sulla Siriadi Cristofaro sola

  • Èpartito giovedì 6 aprile il “tour” ita-liano di “Assalto al cielo”, con pro-iezioni alla presenza del registaFrancesco Munzi (già autore di “Animenere”, David di Donatello per migliorsceneggiatura, regìa e film) e la possibi-lità di momenti di confronto. Per per-mettere al nostro passato di qualchedecennio fa di mostrarsi e parlarci, ildocumentario è tutto basato su filmatidell’epoca. Rivolgiamo alcune do-mande a Munzi, così da capirne meglioil punto di vista.

    Ci spiega l’operazione?È un film di montaggio puro, ho vo-

    luto affrontare gli anni Settanta attra-verso la scelta tematica del tentativodella rivoluzione, raccontato - allora -da chi l’ha vissuto. Quindi è un lavorod’archivio, senza voce fuori campo, ognisequenza cade sull’altra, non ci sono“leader” conosciuti e copre il periodoche va dal 1967 - un anno prima delloscoppio della rivolta mondiale - al 1977.

    Com’è partito il progetto?Allora avevo pochi anni, quindi

    sono sempre rimasto un pochino tur-bato, ma anche molto interessato aquell’epoca. Volevo un rapporto di-retto, che andasse oltre i racconti, la let-teratura, il cinema di finzione, offrendoallo spettatore del materiale dove poterfare il proprio viaggio. E avere, così,anche una mia impressione, senza me-diazioni.

    La scelta dei filmati rappresenta già

    una prospettiva autoriale. In tal senso,cosa e dove ha voluto cercare?

    Il punto di vista neutro è impossi-bile, ho fatto delle scelte di montaggioattingendo a più archivi, quasi tuttiquelli disponibili: Rai Teche, Archiviodel Movimento Operaio e Democra-tico, Istituto Luce, Cineteca di Bolognae privati. Ho cercato materiale chefosse girato internamente, da personeche erano nel Movimento, evitandoquello più istituzionale e freddo, ten-tando poi di estrapolarne le sequenzepiù lunghe, in modo da poter dareanche la sensazione di stare lì. Eracome un puzzle, e io ho seguito un sen-timento; infatti il film è diviso in tremovimenti diversi: quello dove si rac-conta un primo momento unitario, digrande forza, vitalità e slancio, che poilascia il passo a un secondo, più di ten-sione e scontro, e infine porta a unterzo, di frantumazione e dissoluzione.È fondamentale sapercisi muovere den-tro, perché l’importanza di quel pe-riodo esce fuori e va goduta con tutta lasua forza. È anche una riflessione perl’oggi.

    La ricerca e la fruizione di questomateriale le ha suscitato qualcosa?

    Tanti ragionamenti. Vedere qual-cosa o sentirsela raccontare è comple-tamente diverso. In ogni caso, qualsiasispettatore ha una percezione differente,e comunque la visione di chi filmavanon è troppo mitica, anzi a volte ancheabbastanza critica, per un periodo chetroppe volte è stato liquidato come

    “anni di piombo”, quindi in senso sol-tanto negativo o unidirezionale. Inveceti rendi conto della sua complessità ericchezza, e di quanto oggi si abbia bi-sogno di fare i conti con quello che èsuccesso nel Paese, in quel periodo inparticolare.

    La cinematografia italiana ha sem-pre fatto una gran fatica a parlare diquegli eventi, o li ha distorti. Questo acosa è dovuto?

    Fondamentalmente a una man-canza di lucidità, di distacco, ma nelsenso buono del termine: si è semprefatta una storia a uso proprio, di pro-prie convinzioni e ricordi. Ogni rac-conto è personale, compreso il mio, chevuole essere il più possibile antologico.Si tratta di un periodo strano, perchéabbastanza vicino da non essere ancorastoria, e abbastanza lontano da doveressere raccontato. Credo che, in questo,la lucidità sia qualcosa ancora da gua-dagnare.

    Per altri versi, di quegli anni si è vo-luta una cancellazione storica.

    È il segno dei tempi, dove si galleg-gia su un presente terribile. Bisognafare uno sforzo per riportare fuori quelperiodo - e tornare alla discussione -senza farlo diventare ammiccante comespesso è successo; il ’68 e gli “anni dipiombo” attraggono perché a voltesono storie di violenza, oppure ven-gono raccontati in maniera “vintage”,come fatto di costume: bella musica egonne a fiori. È storia recente, da bam-bino con quelli del mio palazzo gioca-

    vamo a guardie e terroristi,era qualcosa che arrivava atutti, e io vorrei poterla rac-contare a mio figlio. Gli hofatto vedere il documentario:l’Italia gli sembrava fanta-scienza, quasi un teatrinodell’assurdo. In realtà è unPaese che esiste e di cui lui faparte come strascico. Ten-diamo a cancellare il passatoperché sapere da dove ve-niamo, e come ci siamo mo-dificati, non fa comodo atante persone. Per questo èanche difficile immaginare,

    poi, il futuro.Qual è il lascito di quelle tensioni

    ideali e materiali?Fondamentale. Penso che molti dei

    diritti, delle conquiste di cui ancoraoggi godiamo, vengano da lì, però sitende a dimenticare che molti pro-blemi, rivendicazioni, critiche al si-stema sono attualissime. Invece adessosi ha paura a parlarne, come se ormaiquesto stato delle cose fosse assodato.Ma delle istanze fondamentali sono ur-genti, così come è strano che anche ilG8, una delle ultime grandi contesta-zioni recenti, sia sprofondato in unbuco nero della memoria.

    Un uomo solo occupa il palco perl’intero spettacolo, su una sceno-grafia essenziale fatta di un tavolo esedie sparse, su un fondo bianco che inalcuni momenti si fa nero. Quell’uomo,inizialmente in déshabillé, viene destatonel sonno dalle urla e dai calci alla portadel suo ex compagno, in realtà interes-sato solo alla sua fama e al suo denaro.Quell’uomo è Truman Capote, l’autoreconsacrato alla notorietà da “A sanguefreddo”, romanzo verità del 1966,storia del massacro di una famiglia ecapostipite di un nuovo tipo di giorna-lismo letterario. Capote, “quell’uom dimultiforme ingegno”, scrittore, giorna-lista e drammaturgo, è stato, dopo Er-nest Hemingway, forse il più grandeesempio di autore divenuto protagoni-sta, e vittima, dello star system a stelle estrisce.

    Ma lo spettacolo “Truman Capote,questa cosa chiamata amore”, chechiude a Roma una lunga tournée ingiro per l’Italia, in scena al Teatro Va-scello solo fino al 9 aprile, non è un bio-pic, né una rilettura di alcuni grandicapolavori dello scrittore novecentesco.Il Capote di Massimo Sgorbani, dise-gnato per l’eclettico Gianluca Ferrato,diretto da Emanuele Gamba, appare

    più come un racconto dell’America del-l’epoca, ipocrita, torbida, a volte inge-nua, narrata attraverso i ricordidell’autore, che si rivolge a un’invisibileinterlocutrice in modo dissacrante, irri-verente e a tratti eccessivo.

    Capote ci viene presentato come undandy, un gay, un esibizionista, animatodal genio, ma anche da una infaticabilevoglia di stupire, un uomo molto soprale righe che può permettersi di dissa-crare l’America delle star di Hollywoodcosì come l’élite culturale newyorkese,uno che riduce Audrey Hepburn – pro-

    tagonista di Colazione da Tiffany, filmdel 1961 tratto dal suo omonimo ro-manzo del 1958 – a una “misera gat-tara” e propone un lungo e articolato“elogio del pompino”.

    Ma non è un uomo vissuto solo tralustrini, fama e feste in maschera. Tru-man Capote era un omosessuale, ed èproprio dai suoi toni eccessivi, a voltemacchiettistici, dalla sua malcelata rab-bia, che emerge con forza un senso diinadeguatezza, malinconia e profondasolitudine, e un disperato bisogno disentirsi amato e apprezzato, elementi

    che richiamano alla mente il suo con-temporaneo Pier Paolo Pasolini.

    Truman Capote è un uomo in fondofragile, escluso – o meglio accettato neisalotti come un “cagnolino” – che ri-corda un’infanzia difficile, una madreassente e incline all’alcool, morta sui-cida, che lo lasciava spesso e cheanche quando lo portava con sélo chiudeva la sera in camere dialbergo e andava fuori a bere.

    Nella pièce, di un’ora emezzo, Capote racconta alla suainvisibile interlocutrice, MarilynMonroe – sua grande amica,anche lei segnata da un’infanziadifficile e costretta per tutta lavita a recitare un personaggio –i suoi amori, le sue avventure, isuoi successi e le sue sconfitte,ma anche l’America di queglianni, gli anni di Jackie e JohnFitzgerald Kennedy, l’omicidio aDallas di quest’ultimo nel 1963e quello del fratello Bob, cinqueanni dopo, l’inutile guerra inVietnam. Ma anche l’America diPerry Smith, per il quale visse unamore travolgente e fortementediscusso, l’omicida della fami-glia Clutter, nel Kansas del 1959– da cui emerse “A sanguefreddo” – di cui ricorda con do-

    lore le visite in carcere.Momenti pruriginosi della narra-

    zione si alternano a istanti densi, strug-genti, commoventi. Uno spettacolo“scomodo”, che esula dalle forme e dailinguaggi del teatro classico, certamenteda suggerire.

    7l’opinionE delle libertà

    di FEDErico raponi

    di ElEna D’alEssanDri

    sabato 8 aprile 2017

    Al “Vascello” Gianluca Ferrato è Truman Capote

    Cultura

    Munzi e gli strascichi dell’“Assalto al cielo”

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