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ECONOMIA POLITICA II Riassunti Libro Scoprire la macroeconomia 1, Olivier Blanchard, Il Mulino

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ECONOMIA POLITICA II

Riassunti Libro

Scoprire la macroeconomia 1,

Olivier Blanchard,

Il Mulino

CAPITOLO 1 – UN VIAGGIO INTORNO AL MONDO

PRESENTAZIONE: La responsabilità delle scelte di politica economica spetta ai ministri delle

Finanze e governatori delle banche centrali. I principali fenomeni verificatisi nell’ultimo periodo

sono la crisi economica degli Stati Uniti che ha coinvolto gli altri paesi e il prezzo altissimo del

petrolio. Tali fenomeni illustrano come i paesi siano dipendenti tra loro.

LE ORIGINI DELLA CRISI FINANZIARIA DEL 2007-2008, DI CHI E’ LA COLPA?

I consumi degli americani pagati dai cinesi?: Alla base della crisi finanziaria che ha colpito gli USA vi

è il grave squilibrio dell’economia mondiale. Gli USA spendono molto di più di quanto producono

mentre la Cina fa il contrario, tuttavia in un’economia chiusa tutti questi flussi si compensano e il

paese è in pareggio col resto del mondo. Questo si ottiene perché alcuni paesi spendono più di

quanto producono indebitandosi nei confronti dei paesi che risparmiano. I paesi che si indebitano

sono quelli che riescono a convincere gli altri paesi che pagheranno i debiti. Il trasferimento di

risparmio tra paesi consente di non sprecare il risparmio stesso in progetti poco redditizi. I cinesi

grazie alle loro esportazioni accumulavano risparmi e li investivano in America e in Europa perché

non avevano opportunità di investimento nel loro paese. La svalutazione della moneta facilitando

le esportazioni aiuta a ridurre l’accumulo di debiti esteri e quindi a limitare la crescita economica e

a livellare gli squilibri. Tuttavia la separazione tra risparmio e investimento tra paesi non

costituisce da sola la causa della crisi.

La liberalizzazione finanziaria?: Dal 2007 al settembre 2008 le perdite subite dalle banche

americane ammontano a 500miliardi di dollari e equivalgono ad una caduta del 3% dei prezzi delle

azioni quotate in borsa, tuttavia questa perdita notevole non può provocare una crisi tanto grave.

Fino agli anni ’70 le

banche di investimento detenevano il monopolio dei titoli e le banche commerciali non potevano

muoversi

oltre i confini statali. Entrambe avevano scarsa concorrenza che rendeva i servizi delle banche

molto costosi. Le banche erano anche di dimensione molto piccole e quindi erano fragili ed esposti

a shock negativi del luogo in cui operavano. Negli anni ’80 e ’90 il mercato finanziario fu aperto e

le banche commerciali e di investimento poterono unirsi e oltrepassare i confini statali grazie alla

crescente rapidità e alla riduzione dei costi di comunicazione. La liberalizzazione ebbe effetti

positivi in quanto il mercato si concentrò eliminando le banche piccole che vennero assorbite dai

colossi meno esposti ai rischi e più stabili grazie anche alla tecnologia. Si ebbe un’accelerazione

della crescita a causa della frequenza e dell’entità delle fluttuazioni che si attenuarono e della

liberalizzazione dei mercati finanziari. Gli investitori audaci comprarono aziende a debito e le

smontarono per poi rivenderle lasciando che il mercato le rimontasse in modo più efficiente. Le

banche di investimento finanziarono aziende operanti attraverso internet.

Piramidi invertite?: Ciò che determinò la crisi del 2008 è una regolamentazione assente o sbagliata

soprattutto in materia finanziaria (capitale sociale bancario). Da quando persero il monopolio del

commercio dei titoli, queste si misero a commerciare in proprio. Tali investimenti sono tanto più

redditizi quanto è minore il capitale che deve essere impiegato per farlo (più elevata leva

finanziaria), ciò comporta di usare debiti e non capitale sociale in quanto gli azionisti pretendono

rendite elevate. Finche le cose vanno bene si hanno rendimenti straordinari ma quando vi è una

perdita sull’investimento la banca che non ha abbastanza capitale per assorbire tale perdita entra

in crisi. I rischi per le banche di investimento sono ancora più gravi perché non possono prendere a

prestito liquidità dalla banca centrale. Tale esempio si diffuse sul mercato e anche altre istituzioni

come le assicurazioni cominciarono ad esporsi a grandi rischi

con poco capitale tuttavia il mercato smise di crescere e le istituzioni si dimostrarono molto

fragile. Quando il mercato immobiliare crollò, il valore dei mutui in cui avevano investito è sceso e

hanno cominciato a perdere senza avere capitali sufficienti a farvi fronte. La responsabilità è di chi

ha concesso di correre rischi così elevati con un capitale tanto scarso ossia la mancanza di

regolamentazione.

I mutui sub-prime: La metà delle obbligazioni americane consiste in mutui immobiliari di cui circa

la metà di essi detenuti dalle istituzioni indebitate. I mutui sub-prime sono circa il 10% e sono stati

concessi a famiglie

che avevano una probabilità elevata di non riuscire a pagare le rate, tali mutui sono stati venduti

dalle banche ad altri investitori. La parte che è finita nei bilanci delle banche è risultata una perdita

in quanto acquistati indebitandosi. Le banche sono fallite perché avevano un capitale insufficiente

a coprirli.

LE PROSPETTIVE ECONOMICHE DEGLI STATI UNITI:

Le variabili macroeconomiche sono la produzione (livello complessivo e tasso di crescita), la

disoccupazione (proporzione tra lavoratori che non sono occupati e stanno cercando lavoro) e il

tasso di inflazione (tasso al quale il prezzo medio dei beni nell’economia cresce nel tempo).

L’ultimo decennio è stato uno dei migliori periodi economici ma la crescita non è stata elevata in

ogni singolo anno in quanto l’economia americana ha vissuto una breve recessione (riduzione

produttiva) e negli ultimi anni ha rallentato. Ciò è accaduto perché le famiglie americane sono

state colpite da quattro shock economici avvenuti a breve distanza l’uno dall’altro e si tratta

dell’aumento del prezzo del petrolio, della diminuzione del prezzo delle case, della caduta della

borsa (meno valore investimenti in azioni) e della restituzione del credito che ha reso difficile e

costoso indebitarsi. In pratica la ricchezza delle famiglie è diminuita: in condizioni normali i

consumi di una famiglia ammontano al prodotto del tasso di interesse reale moltiplicato per il

valore della ricchezza quindi l’effetto è una riduzione dei consumi in condizioni di crisi. L’aumento

del prezzo del petrolio si traduce in un maggior trasferimento di denaro ad altri paesi e quindi a

una riduzione dei consumi. Se i paesi produttori di petrolio hanno una propensione al consumo più

bassa, il totale dei consumi mondiale scende e si entra in recessione. La politica economica

americana ha reagito con una riduzione delle imposte e dei tassi di interesse senza successo in

quanto i consumi delle famiglie sono scesi. L’aumento del prezzo del petrolio ha anche aumentato

l’inflazione. Le importazioni statunitensi hanno superato le esportazioni verso il resto del mondo

(disavanzo commerciale). Quindi la spesa eccede il reddito e la differenza va presa a prestito dal

resto del mondo. Finché i creditori sono disposti a concedere prestiti si può continuare tuttavia

non è saggio farlo in quanto significa dover restituire più denaro e non averne disponibile in

futuro. Dal momento che si arresta la volontà di concedere prestiti, il paese indebitato deve

colmare in blocco il disavanzo finanziario trovandosi in crisi. I disavanzi pubblici portano ad un

accumulo di debito pubblico e si richiedono maggiori imposte in future. È necessario quindi una

riduzione del debito pubblico e un aumento del tasso di risparmio privato in modo da assicurarsi

una vecchiaia.

I PAESI DELL’EURO:

Nel 1957 sei paesi europei decisero di formare un mercato comune in Europa dove beni e persone

potessero muoversi liberamente, da allora altri 21 paesi hanno aderito. Tale gruppo composto

oggi da 27 pesi si chiama Unione Europea e ha un notevole potere economico in quanto la loro

produzione complessiva supera quella degli USA. Tuttavia la performance economica dei più

importanti paesi dell’UE non è stata soddisfacente nell’ultimo decennio come quella degli USA in

quanto si ha avuta una bassa crescita di produzione accompagnata da una disoccupazione elevata.

L’inflazione però è meno alta rispetto a quella USA. I problemi economici europei sono dunque la

crescita del reddito procapite, l’elevata disoccupazione e l’introduzione della moneta unica euro.

Perché il reddito procapite in Europa è diminuito relativamente agli Stati Uniti?: Il reddito

procapite indica il tasso di partecipazione alla forza lavoro, quante ore lavora ciascun lavoratore e

la produttività oraria. Il reddito procapite può scendere perché poche persone lavorano; perché

chi lavora, lavora poche ore e perché chi lavora quando lavora produce poco. Dunque in base al

motivo del basso reddito procapite bisogna potenziare una di queste tre cause.

Come ridurre la disoccupazione europea?: Negli anni ’70 si parlava di miracolo europeo della

disoccupazione in quanto vi era un tasso molto basso ma alla fine del decennio il tasso inizio a

salire superando quello degli stati uniti. i politici sostengono che la politica monetaria seguita dalla

BCE ha mantenuto tassi di interessi troppo alti provocando calo della domanda e disoccupazione, il

rimedio sarebbe ridurre i tassi di interesse. Gli economisti credono che le istituzioni del mercato

del lavoro siano il problema in quanto una politica economica restrittiva non può mantenere una

disoccupazione così elevata per troppo tempo come sta accadendo quindi vi è un intoppo altrove.

Altri economisti pensano che il problema principale sia l’elevata protezione che i paesi europei

accordano ai lavoratori tutelandoli e rendendo costoso per le imprese il licenziamento provocando

un disincentivo ad assumere, inoltre vi è un livello troppo alto di sussidi riducendo l’incentivo a

cercare lavoro, il rimedio consiste nel rimuovere le

rigidità del mercato del lavoro. Tuttavia la disoccupazione è elevata nei quattro maggiori paesi

dell’Europa

rivolgendo il problema al modo in cui viene effettuata la protezione ai lavoratori.

Cosa ha fatto l’euro all’Europa? : Nel 1999 l’UE ha iniziato il processo di conversione delle

monete nell’euro. Non tutti hanno aderito ma possono farlo in futuro. La transizione è avvenuta in

fasi successive, fissando prima il valore da attribuire alla moneta nazionale, per un periodo poi i

prezzi erano quotati in entrambe le valute ma l’euro non era ancora circolante fino al 1 gennaio

2002. I sostenitori dell’euro sottolineano l’importanza simbolica di unione dopo un passato di

guerre i vantaggi economici che consistono in nessuna variazione dei tassi di cambio, nessuna

necessità di cambiare moneta per viaggiare e la creazione di una potenza economica. Altri

ritengono che il valore simbolico dell’euro può portare a costi economici: moneta comune significa

politica monetaria comune e quindi stesso tasso di interesse per tutti i paesi della Eurozone, ciò

significa non poter intervenire su fasi di recessione o espansione.

CINA: La Cina è uno dei maggiori economici mondiali con una popolazione enorme ma il suo

output è basso e il suo Pil anche rispetto ad altri paesi. È tuttavia un paese povero dove il tasso di

cambio permette un potere d’acquisto maggiore in Cina piuttosto che in latri paesi. Per quanto

riguarda il tenore di vita bisogna tenere conto delle misure in parità di poteri d’acquisto che è

molto inferiore rispetto a quello di altri paesi ricchi ma è molto maggiore rispetto ai dati suggeriti

dal Pil procapite. La Cina è cresciuta molto rapidamente in due decenni. Tale crescita deriva da una

rapidissima accumulazione di capitale e dal rapido progresso tecnologico incoraggiando le imprese

a investire e a unirsi con imprese estere imparando nuove tecniche. Vi è una pianificazione

centralizzata dell’economia di mercato e una transazione più lenta che ha stabilizzato la situazione

e una stabilità politica consolidata nel tempo che ha favorito la transazione economica tramite

stretto controllo e miglior protezione dei diritti di proprietà incentivando gli investimenti. Gli

squilibri dell’economia cinese legati alla crescita si avvertano fra le province collocate

lungo la costa e quelle interne, fra i lavoratori con diversa qualifica, fra settori e inoltre la

protezione sociale assicurata dal partito comunista è scomparsa e il saldo delle partite correnti

continua ad essere squilibrato (troppo risparmio rispetto agli investimenti). La crescita punta sulle

esportazioni dei beni manifatturieri e

ha sviluppato l’industria a discapito dei servizi come la sanità e l’assenza di assistenza pubblica. la

Cina non

ha debito pubblico avendo la possibilità di far crescere la spesa pubblica per finanziare tali servizi

ma tuttavia, non è ancora successo un potenziamento di tali servizi. La spesa interna cinese

potrebbe rappresentare un nuovo motore economico mondiale a fronte della recessione.

GUARDANDO AVANTI: L’India è un paese povero e grande che cresce molto velocemente. Il

Giappone aveva una crescita economica che nell’ultimo decennio è scemata tramite crolli di borsa

e stagnazione. L’America Latina ha ridotto l’inflazione ma vi è squilibrio tra i paesi stessi del

continente, vi è stato il crollo del tasso di cambio e una grave crisi bancaria che ha causato un calo

della produzione. L’Europa centrale e orientale è passata dalla pianificazione centralizzata al

sistema di mercato ma non vi è stato aumento della produzione. L’Africa era in stagnazione ma ora

cresce.

CAPITOLO 2 – UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL LIBRO

LA PRODUZIONE AGGREGATA: La parola “aggregato” per gli economisti significa totale. Solo dopo

la fine della seconda guerra mondiale i paesi iniziarono a tenere un sistema di contabilità nazionali.

Vi è un sistema contabile unificato elaborato dall’Eurostat per i paesi dell’UE. In Italia l’Istat

(statistiche) ricostruisce le serie storiche disaggregate dei conti economici nazionali. La contabilità

nazionale definisce i concetti utilizzati e indica come costruire le misure corrispondenti.

Pil, produzione e reddito: La misura della produzione aggregata nella contabilità nazionale è

chiamata prodotto interno lordo o Pil. Il Pil è il valore dei beni e dei servizi finali prodotti

nell’economia in un dato periodo. Il Pil può essere considerato anche come la somma del valore

aggiunto nell’economia in un dato periodo di tempo. Il valore aggiunto da un’impresa nel processo

produttivo è definito come il valore della sua produzione meno il valore dei beni intermedi

utilizzati nella produzione stessa. Il valore dei beni e dei servizi finali può essere considerato anche

come la somma del valore aggiunto da tutte le imprese lungo la catena produttiva di quei beni

finali. Finora il Pil è stato analizzato riguardo al lato della produzione, ma se

lo si analizza dal lato del reddito esso va diviso fra reddito da lavoro e reddito da capitale (o

profitto che rimane all’interno dell’impresa). Il Pil in questo caso è la somma dei redditi

dell’economia in un dato periodo di tempo. Quindi dal lato della produzione il Pil è uguale al valore

dei beni e servizi finali prodotti nell’economia in un dato periodo di tempo ed è la somma del

valore aggiunto nell’economia in un dato periodo di tempo, dal lato del reddito il Pil è la somma

dei redditi percepiti nell’economia in un dato periodo di tempo. Produzione aggregata e reddito

aggregato sono sempre uguali.

La composizione del Pil in Italia: Il Pil è definito ai prezzi di mercato in quanto è il risultato finale

dell’attività produttiva delle unità produttive residenti che è misurato ai prezzi base di vendita. I

consumi sono valutati ai prezzi d’acquisto comprensivi del carico fiscale. Per calcolare il Pil occorre

aggiungere alla produzione il flusso di imposte indirette sui prodotti. Il Pil indica il valore della

produzione al netto dei consumi

intermedi. Il Pil può essere calcolato come somma della produzione di beni finali (produzione,

imposte e consumi intermedi), come somma del valore aggiunto nell’economia (agricoltura,

industria, servizi e imposte indirette), o come somma dei redditi percepiti nell’economia (reddito

da lavoro, da capitale e imposte indirette).

Pil nominale e Pil reale: Da un anno per l’altro gran parte dell’aumento del Pil riflette variazioni di

prezzi e

non di quantità quindi è necessario distinguere tra Pil nominale e reale. Il Pil nominale (o a valori o

a prezzi correnti) è la somma delle quantità dei beni finali valutati al loro prezzo corrente e può

crescere perché la produzione cresce nel tempo o perché il prezzo cresce nel tempo. Se si vuole

misurare la produzione bisogna eliminare l’effetto dei prezzi quindi viene costituito il Pil reale (o a

prezzi costanti o intermini di beni o aggiustato per l’inflazione o ai prezzi del 2000) come somma

delle quantità di beni finali valutati a prezzi costanti invece che correnti. Per costruire il Pil reale

bisogna moltiplicare in numero di beni prodotti in ogni anno per lo stesso prezzo di un anno base.

Se si costruisce il Pil reale sulla base di prezzo di un altro anno, esso risulterebbe diverso ma il suo

tasso di variazione sarebbe lo stesso. Il Pil reale deve essere definito come media ponderata della

produzione di tutti i beni finali. La misura del Pil reale tiene conto della variazione dei prezzi

relativi nel tempo ed è chiamata Pil reale a valori concatenati a prezzi del 2000 (anno in cui le due

costruzioni di Pil risultano uguali).

Pil o tasso di crescita?: Il livello del Pil reale misura la dimensione economica di un paese, il Pil

reale procapite è il Pil reale diviso per la popolazione di un paese e misura il tenore di vita di quel

paese. Per valutare l’andamento economico negli anni si considera il tasso di crescita del Pil reale, i

periodi positivi sono chiamati espansioni, quelli negativi recessioni (economia registra almeno due

trimestri consecutivi di crescita negativa). La crescita del Pil nell’anno t è costruita come (Yt-Yt-

1)/Yt-1. Dove Yt indica il Pil reale nell’anno t.

LE ALTRE PRINCIPALI VARIABILI MACROECONOMICHE:

L’economia per essere in buona salute deve avere alta crescita, bassa disoccupazione e bassa

inflazione.

Il tasso di disoccupazione: L’occupazione è data dal numero di persone che hanno un lavoro. La

disoccupazione è costituita dal numero di persone che non hanno un lavoro ma lo stanno

cercando. La forza lavoro (L) è la somma delle persone occupate (N) e di quelle disoccupate (U). il

tasso di disoccupazione è il rapporto tra il numero dei disoccupati (U) e la forza lavoro (L). Il calcolo

del tasso di disoccupazione si basa su indagini sulle famiglie, ogni persona viene classificata come

occupata se nella settimana che precede quella in cui viene condotto il sondaggio ha svolto

almeno un’ora di lavoro retribuito. Tali informazioni vengono raccolte dall’Istat intervistando ogni

trimestre un campione di famiglie. Solo chi è in cerca di un lavoro è considerato disoccupato, chi

invece non lavora e non lo cerca è

considerato fuori dalla forza lavoro. Quando la disoccupazione è alta alcune persone disoccupate

smettono di cercare e quindi prendono il nome di lavoratori scoraggiati. Nella pratica quando

l’economia rallenta si osserva un aumento della disoccupazione e un aumento del numero di

persone che escono dalla forza lavoro, analogamente un aumento del tasso di disoccupazione di

solito è associato a una riduzione del

tasso di partecipazione (rapporto della forza lavoro sul totale della popolazione in età lavorativa),

quindi è una variabile poco affidabile. Gli economisti si preoccupano della disoccupazione per i

suoi effetti diretti sul benessere delle persone disoccupate (disoccupazione associata a disagi

finanziari e psicologici) e perché essa segnala che l’economia potrebbe non utilizzare in modo

efficiente le sue risorse. Anche un tasso di disoccupazione molto basso può essere un problema in

quanto potrebbe a sovrautilizzare le sue risorse umane e incorrere in carenze di forza lavoro.

Il tasso di inflazione: L’inflazione è un aumento sostenuto dal livello generale dei prezzi o

semplicemente

del livello dei prezzi. Il tasso di inflazione è il tasso a cui il livello dei prezzi aumenta nel tempo. La

deflazione è una riduzione sostenuta dal livello dei prezzi e corrisponde a un tasso di inflazione

negativo. Per calcolare

il livello dei prezzi si considerano gli indici dei prezzi ossia il deflatore del Pil e l’indice dei prezzi al

consumo.

- Il deflatore del Pil è definito come rapporto tra il Pil nominale e il Pil reale nell’anno t e indica il

prezzo medio dei beni inclusi nel Pil ossia dei beni finali prodotti nell’economia. Se il Pil nominale

aumenta più velocemente del Pil reale la differenza è dovuta all’aumento dei prezzi. Il deflatore

del Pil è un numero indice ed è uguale a 1 nel 2000. Il tasso di variazione del deflatore da un anno

all’altro indica il tasso al quale cresce il livello dei prezzi nel tempo ossia il tasso di inflazione. Il Pil

nominale (€Yt) è uguale al Pil reale (P) moltiplicato per il deflatore (Yt), in altri termini il tasso di

crescita del Pil nominale è uguale al tasso di inflazione più il tasso di crescita del Pil reale.

- L’indice dei prezzi al consumo interessa i consumatori perché indica i prezzi dei beni che essi

consumano. I beni prodotti nell’economia non coincidono necessariamente con i beni acquistati

dai consumatori in quanto alcuni dei beni nel Pil non sono venduti ai consumatori ma ad altri

soggetti e alcuni dei beni acquistati dai consumatori non sono prodotti all’interno dell’economia

ma

importati. Per misurare il prezzo medio al consumo o costo della vita si usa l’IPC. L’indice dei prezzi

al consumo esprime il costo in euro di un dato paniere di beni e servizi nel corso del tempo. Il

paniere tenta di rappresentare il consumo di un tipico soggetto urbano. L’Istat svolge indagini sui

prezzi e costruisce l’indice dei prezzi al consumo che è un numero indice pari a 100 nel 2000. In

Europa viene utilizzato anche l’indice armonizzato dei prezzi al consumo che dà misure

comparabili dell’inflazione nell’area dell’euro.

I due tassi di inflazione differiscono dell’1% quindi si muovono quasi insieme e il tasso non

differisce a seconda che si usi uno o l’altro indice quindi si indicano entrambi come livello dei

prezzi Pt. Se l’inflazione significasse solo un incremento proporzionale di tutti i prezzi e salari

(inflazione pura), essa non influenzerebbe i prezzi relativi. Il salario reale è misurato in termini di

beni e non di moneta. Tuttavia l’inflazione pura non esiste: durante le fasi inflattive non tutti i

salari e i prezzi aumentano proporzionalmente. L’inflazione influenza la distribuzione del reddito e

quindi si perde potere d’acquisto. Le variazioni dei prezzi relativi generano anche maggiore

incertezza rendendo difficili le future decisioni e il sistema fiscale deve tenere conto dell’inflazione

per gli scaglioni. Una deflazione elevata crea molti degli stessi problemi creati da un’elevata

inflazione in quanto aumenta l’incertezza e riduce la capacità della politica monetaria di

influenzare il livello di produzione. Il tasso ottimale dell’inflazione è quello compreso tra lo 0 e il

3%.

BREVE, MEDIO E LUNGO PERIODO:

La produzione aggregata di un’economia e precisamente il livello della produzione dipende dalla

domanda dei beni. Ciò che conta per la produzione aggregata è però il lato dell’offerta ossia

quanto l’economia può effettivamente produrre. Ciò dipende a sua volta dalla tecnologia

disponibile in quell’economia, da quanto capitale è utilizzato e dalle capacità dei lavoratori

impiegati. Tali fattori sono fondamentali nel livello di produzione. Il livello tecnologico di un paese

dipende dalla sua abilità di innovare e di introdurre nuove tecnologie. La quantità del suo capitale

dipende da quanto le persone risparmiano. La capacità dei lavoratori dipende dalla qualità del

sistema educativo. Le vere determinanti della produzione sono il sistema educativo, il tasso di

risparmio e la qualità di governo (regolamentazione e rispetto delle leggi). Ognuna di tali

determinanti vale su un orizzonte temporale diverso. Nel breve periodo (pochi anni) le variazioni

annuali della domanda possono derivare da cambiamenti nella fiducia dei consumatori o da altre

fonti e possono portare a recessione o espansione. Nel medio periodo (decennio) l’economia

tende al livello di produzione determinato da fattori relativi all’offerta ossia il capitale, la

tecnologia e la dimensione della forza lavoro. Nel lungo periodo (un secolo) le determinanti del

livello di produzione sono il sistema di istruzione, il tasso di risparmio e il ruolo del governo.

UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL LIBRO:

Il libro è diviso in due volumi. Il primo volume è diviso in due parti oltre l’introduzione vi sono i

fondamenti e gli assaggi. I fondamenti si dividono in tre parti ossia il breve, il medio e il lungo

periodo. Il breve periodo si concentra sul ruolo della domanda ignorando i vincoli dal lato

dell’offerta; descrive il mercato dei beni e quello finanziario e si uniscono. Ne risulta il modello IS-

LM sviluppato alla fine degli anni ’30 e fornisce un modo semplice per pensare alle determinanti

della produzione e un primo studio di come la politica fiscale e monetaria possono influenzare la

produzione. Il medio periodo prende in considerazione il lato dell’offerta concentrandosi sul

mercato del lavoro, dei beni

e finanziario concretizzandosi nel modello AS-AD ossia nel modello di domanda e offerta

aggregata. Il lungo periodo mostra come tale modello può essere utilizzato per pensare alla

relazione tra produzione i inflazione, al ruolo della politica monetaria e fiscale; vengono introdotti i

fatti relativi alle differenze nella crescita della produzione tra paesi nel corso del tempo e come

l’accumulazione di capitale e il progresso tecnologico determinano la crescita. Tale parte illustra

l’economia chiusa ignorando il resto del mondo, tuttavia la vera economia è aperta perché

caratterizzata da scambi. Nella parte riguardante l’economia aperta si illustra cosa accade quando

si interagisce e come tenere conto nello studio dei mercati dei beni e delle attività finanziarie.

Viene considerato poi il modello IS-LM in economia aperta. I fondamenti

insegnano un modo per pensare alla determinazione della produzione, della disoccupazione e

dell’inflazione ignorando il ruolo delle aspettative. La parte degli assaggi introduce le aspettative

come ruolo cruciale per le decisione economiche illustrando la politica fiscale e monetaria. La

politica economica (fiscale e monetaria) interessa l’ultima parte del libro che valuta appunto il

ruolo di tale disciplina.

CAPITOLO 3 – IL MERCATO DEI BENI

PRESENTAZIONE:

Per studiare l’andamento dell’attività economica nel breve periodo bisogna concentrarsi sulle

interazioni tra produzione, reddito e domanda. Le variazioni della domanda provocano variazioni

della produzione. Le variazioni della produzione comportano variazioni di reddito. Le variazioni del

reddito portano a variazioni della domanda.

LA COMPOSIZIONE DEL PIL:

Per capire cosa determina la domanda di beni bisogna scomporre il Pil dal punto di vista dei vari

beni prodotti e dal punto di vista degli acquirenti. La prima componente del Pil è il consumo (C)

ossia dei beni e servizi acquistati dai consumatori. La seconda componente è l’investimento (I) ove

l’investimento fisso si distingue dalle scorte. L’investimento è la somma dell’investimento non

residenziale da parte delle imprese e dell’investimento residenziale da parte degli individui.

Entrambi i soggetti acquistano in relazione ai servizi che questi beni daranno in futuro. La terza

componente del Pil è la spesa pubblica (G) in beni e servizi acquistati dallo stato (inclusi gli stipendi

dei dipendenti pubblici ed

esclusi i trasferimenti né gli interessi sul debito pubblico). La somma di tali componenti

rappresenta la

spesa in beni e servizi da parte dei residenti. Per ottenere la spesa totale in beni nazionali bisogna

includere le importazioni (IM) e le esportazioni (S). La differenza tra esportazioni e importazioni

rappresenta le importazioni nette o saldo commerciale. Se le esportazioni sono inferiori alle

importazioni si presenta un disavanzo commerciale, viceversa un avanzo commerciale. La

differenza tra produzione e vendite in un

dato anno prende il nome di investimento in scorte, se la produzione è maggiore delle vendite

l’investimento in scorte è positivo (più scorte in magazzino) viceversa è negativo.

LA DOMANDA DI BENI:

La domanda totale di beni si indica con Z ed è espressione della scomposizione del Pil ossia

Z=C+I+G+(X-IM) che rappresenta un’identità. Per determinare Z assumiamo che tutte le imprese

producano lo stesso bene che può essere usato indifferentemente dai consumatori, dalle imprese

e dal governo quindi vi è un solo mercato. assumiamo inoltre che le imprese siano disposte a

fornire qualsiasi quantità del bene a un dato prezzo P. assumiamo anche che l’economia sia chiusa

ossia non commercia con il resto del mondo annullando esportazioni e importazioni. Si ha dunque

che la domanda di beni è data da Z=C+I+G.

Consumo (C): La determinante principale del consumo è il reddito disponibile Yd (reddito al netto

delle imposte), se esso aumenta le persone comprano di più, viceversa comprano di meno. Quindi

si ha che il consumo è una funzione del reddito disponibile (funzione del consumo). La relazione

tra consumo e reddito è data da C=c0+c1Yd in quanto la funzione del consumo è una relazione

lineare caratterizzata dai parametri

c1 (propensione al consumo , esprime l’effetto sul consumo di un euro aggiuntivo di reddito

disponibile, un

aumento del reddito fa aumentare il consumo quindi il parametro è positivo, inoltre è minore di 1

in

quanto i consumatori vogliono consumare solo una parte del loro reddito e non l’intero per

risparmiare in

futuro) e c0 (consumo desiderato in corrispondenza di un reddito disponibile nullo ossia se Yd=0

allora C=c0; tale parametro è sempre positivo in quanto si attinge dai risparmi o prendendo a

prestito). La relazione tra consumo e reddito è lineare ed è rappresentata da una retta con

intercetta verticale pari a c0 e pendenza uguale a c1. Il reddito disponibile è dato da Yd=Y-T dove Y

è il reddito e T le imposte al netto dei trasferimenti. Il consumo C è una funzione del reddito e

delle imposte in quanto un reddito più alto fa aumentare il consumo meno che proporzionalmente

e imposte più elevate fanno diminuire il consumo meno che proporzionalmente, tale funzione si

esprime con C=c0+c1(Y-T).

Investimento (I): Le variabili endogene dipendono dal modello economico e ne derivano

internamente (consumo), le variabili esogene vengono prese come date e non sono spiegate

all’interno del modello (investimento).

Spesa pubblica (G): La spesa pubblica descrive la politica fiscale del governo. Si considerino G e T

come esogene in quanto il governo non presenta regolarità di comportamento come i

consumatori e le imprese e tali variabili devono essere di scelta del governo sulla base delle

conseguenze che si possono riportare in futuro.

LA DETERMINAZIONE DELLA PRODUZIONE DI EQUILIBRIO:

Se le imprese tengono scorte, la produzione non deve essere necessariamente uguale alla

domanda in quanto esse possono rispondere a un aumento della domanda attingendo dalle scorte

oppure possono rispondere a una diminuzione della domanda continuando a produrre

accumulando scorte. Assumendo che le imprese non abbiano scorte di magazzino, l’investimento

in scorte è nullo e l’equilibrio del mercato dei beni richiede che la produzione sia uguale alla

domanda ossia Y=Z (equazione di equilibrio). I modelli economici sono composti dalle equazioni di

comportamento (descrivono comportamenti degli operatori economici), dalle identità e dalle

equazioni di equilibrio. Sostituendo a Z la sua espressione si ottiene Y=c0+c1(Y-T)+I+G e tale

equazione esprime che in equilibrio, la produzione Y è uguale alla domanda e che la domanda

dipende dal reddito Y che è uguale alla produzione. Y esprime sia la produzione che il reddito ed

entrambi esprimono il Pil da due punti di vista diversi. Risolvere il modello economico significa

capire il significato dei risultati e si può risolvere graficamente, algebricamente e a parole.

L’algebra assicura la coerenza logica del modello, i grafici l’intuizione e le parole spiegano i

risultati.

L ’algebra: Se si risolve l’equazione di equilibrio Y=c0+c1(Y-T)+I+G spostando a sinistra il termine

c1Y si ottiene (1-c1)Y=c0+I+G+c1T e se tale equazione si divide per (1-c1) si ottiene Y=[1/(1-

c1)](c0+I+G+c1T) che esprime il livello di produzione tale per cui la produzione è uguale alla

domanda (produzione di equilibrio). Analizzandone le componenti si ha che il termine

(c0+I+G+c1T) rappresenta la componente della domanda che non dipende dal livello di produzione

ossia la spesa autonoma. La spesa autonoma è in generale positiva ma nel caso il governo avesse

imposte superiori alla spesa, questa sarebbe negativa. Considerando il fattore 1/(1-c1) e

considerando che la propensione al consumo c1 è compreso tra 0 e 1 allora tutto il fattore è un

numero maggiore di uno che moltiplica l’effetto della spesa autonoma (moltiplicatore), quanto più

c1 si avvicina a 1 tanto più maggiore sarà il moltiplicatore. Per effetto del moltiplicatore, qualsiasi

aumento della spesa autonoma influenzerà la produzione in misura superiore all’effetto diretto

sulla spesa autonoma. Un incremento di c0 fa aumentare la produzione e ciò porta a un aumento

del reddito dello stesso ammontare che a sua volta aumenta il consumo che si ripercuote sulla

domanda.

Un grafico: Graficamente bisogna rappresentare la produzione (assi ordinate) in funzione del

reddito (asse ascisse) tramite una retta a 45° con pendenza uguale a 1 in quanto le due grandezze

coincidono sempre. Dopodiché bisogna disegnare la domanda come funzione del reddito nello

stesso grafico secondo l’equazione Z=(c0+I+G-c1T)+c1Y dove la spesa autonoma è tra parentesi. La

domanda dipende dalla spesa autonoma e dal reddito ed è rappresentata dalla linea ZZ. Si ha che il

valore della domanda quando il reddito è nullo è pari alla spesa autonoma e l’inclinazione è uguale

alla propensione al consumo c1. In equilibrio la produzione è uguale alla domanda e cioè nel punto

in cui la retta è elastica, alla sinistra di tale

punto la domanda eccede la produzione e viceversa alla destra. Se c0 aumenta, aumentano anche

i consumi e quindi la domanda e la retta ZZ si sposta parallelamente in alto traslando anche il

punto di equilibrio. L’incremento della produzione può essere misurato su entrambi gli assi ed è

maggiore dell’aumento iniziale del reddito esplicando l’effetto del moltiplicatore. L’incremento

iniziale del consumo fa aumentare la domanda, al livello iniziale di reddito la domanda è più alta e

per soddisfare tale livello le imprese aumentano la produzione della stessa misura implicando che

il reddito aumenta. Sia produzione che

reddito sono più alti della stessa misura ma l’aumento del reddito induce un ulteriore aumento

della domanda e quindi della produzione finché non si raggiunge il punto di equilibrio sulla retta

parallela dove produzione e domanda sono uguali. Il primo aumento della domanda porta a un

aumento equivalente della produzione che porta a un aumento equivalente del reddito. Il secondo

aumento della domanda è uguale al primo aumento di reddito moltiplicato per la propensione al

consumo c1, tale secondo aumento della domanda porta a un aumento di pari ammontare della

produzione e a un pari aumento del reddito. Il terzo aumento della domanda è uguale a c1 (ossia il

secondo aumento del reddito) moltiplicato per c1 (propensione marginale al consumo) e così via.

L’aumento totale della produzione dopo n passaggi è uguale 2 n all’ammontare dell’aumento

moltiplicato per la somma 1+c1+c1 +…+c1

(serie geometrica). Quando c1 è

inferiore a 1, all’aumentare di n la somma continua ad aumentare ma si avvicina al limite cosicché

l’aumento finale della produzione è pari a 1/(1-c1) ossia il moltiplicatore. L’aumento iniziale della

domanda scatena aumenti successivi della produzione ciascuno dei quali fa aumentare il reddito,

che a sua volta fa aumentare la domanda e cosi via; il moltiplicatore è la somma di tutti questi

aumenti successivi della produzione. Il meccanismo risulta simmetrico anche per le riduzioni della

domanda che fanno diminuire la produzione.

A parole: La produzione dipende dalla domanda, che a sua volta dipende dal reddito che è uguale

alla produzione. Un incremento della domanda fa aumentare la produzione e il reddito. L’aumento

del reddito fa a sua volta aumentare la domanda e quindi la produzione. Il risultato finale è un

aumento della produzione superiore all’incremento iniziale della domanda, di un fattore pari al

moltiplicatore. La dimensione del moltiplicatore è collegata direttamente al valore della

propensione al consumo. Per stimare le equazioni di comportamento gli economisti usano

l’econometria (statistica economica).

Quanto dura l’aggiust amento? : Assumendo che la produzione sia uguale alla domanda significa

che essa reagisce istantaneamente a variazioni della domanda. Nella funzione del consumo

abbiamo assunto che il consumo rispondesse istantaneamente a variazioni del reddito disponibile.

L’aumento della domanda provoca un aumento immediato della domanda. Tuttavia nella realtà

l’aggiustamento istantaneo non è plausibile, la dinamica dell’aggiustamento è molto complicata. In

seguito a un aumento della spesa per i consumi, la produzione non raggiunge subito il nuovo

equilibrio ma aumenta progressivamente. La durata dell’aggiustamento dipende dal modo e dalla

frequenza con cui le imprese rivedono i loro piani di produzione.

INVESTIMENTO = RISPARMIO, UN MODO ALTERNATIVO DI PENSARE ALL’EQUILIBRIO SUL

MERCATO DEI BENI:

L’equilibrio può essere rappresentato in termini di risparmio e investimento sulla base

dell’approccio di Keynes nel suo modello della Teoria Generale. Il risparmio è la somma di

risparmio privato e pubblico. Il risparmio privato (S) dei consumatori è uguale al loro reddito

disponibile al netto dei consumi ossia S=Yd-C. Usando la definizione di reddito disponibile si può

scrivere il risparmio come reddito al netto di imposte e di consumi ossia S=Y-T-C. Il risparmio

pubblico è uguale alle imposte al netto dei trasferimenti meno la spesa pubblica ossia T-G. Se le

imposte eccedono la spesa, il governo ha un avanzo di bilancio (risparmio positivo) viceversa ha un

disavanzo di bilancio (risparmio negativo). Stando all’equazione di equilibrio nel mercato

dei beni, la produzione deve essere uguale alla domanda che è a sua volta la somma di consumo,

investimento e spesa pubblica quindi Y=C+I+G, se si sottraggono le imposte da entrambi i membri

si ottiene Y-T-C=I+G-T ossia S=I+G-T dal lato del risparmio e I=S+(T-G) dal lato dell’investimento. Il

risparmio è la somma di risparmio privato e pubblico. Affinché ci sia equilibrio l’investimento deve

essere uguale al risparmio. Tale modo di definire l’equilibrio spiega perché la condizione di

equilibrio nel mercato dei beni è chiamata curva IS che sta per investimento e risparmio ed esplica

il principio secondo cui le imprese devono investire quanto i consumatori e il governo vogliono

risparmiare. Ci sono dunque due modi per esprimere la condizioni di equilibrio sul mercato dei

beni ossia l’eguaglianza tra produzione e domanda o quella tra investimento e risparmio. Una

volta deciso quanto consumare, il risparmio è determinato per differenza e viceversa quindi si ha

che il risparmio sia dato da S=Y-T-C=Y-T-c0-c1(Y-T) ossia S=-c0+(1-c1)(Y-T). La propensione al

risparmio è data da (1-c1) ed esplica quanto viene risparmiato di un incremento unitario di

reddito, è un parametro compreso tra 0 e 1 e quindi significa che il risparmio privato aumenta

all’aumentare del reddito disponibile ma meno che proporzionalmente. In equilibrio

l’investimento deve essere uguale al risparmio (somma tra pubblico e privato) se si sostituisce il

risparmio privato si ottiene I=- c0+(1-c1)(Y-T)+(T-G) e risolvendo si ottiene Y=[1/(1-c1)](c0+I+G-

c1T).

IL GOVERNO E’ DAVVERO ONNIPOTENTE? UN AVVERTIMENTO:

Il governo può influenzare la produzione scegliendo il livello di spesa G e il gettito fiscale T .

Se il governo vuole aumentare la produzione tutto ciò che deve fare è aumentare G di (1-c1) euro.

Tale effetto sulla spesa farà aumentare la produzione della stessa cifra per il livello del

moltiplicatore. Ci sono molti aspetti della realtà che non sono incorporati nel modello e che

complicano il compito del governo. Cambiare la spesa pubblica o le imposte potrebbe richiedere

molto tempo per approvare nuove leggi. L’investimento tende a reagire come le importazioni

provocando effetti dinamici non valutabili dal governo con certezza. Le aspettative contano e

riguardano la risposta dei consumatori alle variazioni fiscali in base al tempo. Mantenere il livello

di produzione desiderato può produrre effetti collaterali come l’inflazione ed essere insostenibile

nel lungo periodo. Ridurre le imposte o aumentare la spesa pubblica può generare disavanzi di

bilancio e debito pubblico.

CAPITOLO 4 – I MERCATI FINANZIARI

LA DOMANDA DI MONETA:

La moneta può essere usata per transazioni ma non paga interessi. La moneta può essere

circolante (metallica e banconote) o sottoforma di depositi bancari a fronte dei quali è possibile

emettere assegni. I titoli pagano un interesse positivo i ma non possono essere usati per le

transazioni, tuttavia alcuni tipi di titoli sono associati a un proprio tasso di interesse. Tenere tutta

la ricchezza sottoforma di moneta è comodo ma significa anche non percepire alcun interesse sulla

ricchezza accumulata, tuttavia tenere tutto in titoli rende interessi ma è scomodo per gestire la

vita quotidiana. La scelta migliore è tenere sia moneta che in titoli e la ,proporzione dipende dal

livello delle transazioni e dal tasso di interesse sui titoli (quanto maggiore è il tasso di interesse più

si sopportano i costi della compravendita di titoli e tanto maggiore sarà la parte di ricchezza in

titoli). Alcune persone, pur non possedendo titoli li posseggono indirettamente attraverso i fondi

comuni monetari, questi ricevono fondi da individui e da imprese e li usano per acquistare titoli,

tipicamente titoli di stato che fruttano un tasso di interesse inferiore a quello percepito sui titoli (la

differenza serve per coprire i costi e ottenere un margine di profitto). La domanda di moneta MD è

la somma di tutte le domande di moneta individuali e dipende dal livello totale delle transazioni

nell’economia e dal tasso di interesse. Il livello totale delle transazioni è più o

meno proporzionale al reddito nominale (in moneta). Quindi la relazione è MD=€YL(i). tale

equazione indica

che la domanda di moneta è uguale al reddito nominale €Y moltiplicano per una funzione del tasso

di

interesse i indicata con L(i). Il tasso di interesse ha un effetto negativo sulla domanda di moneta in

quanto se aumenta riduce la domanda poiché gli individui investono in titoli. La domanda di

moneta aumenta proporzionalmente al reddito nominale e dipende negativamente dal tasso di

interesse. Tale relazione tra domanda di moneta e tasso di interesse, per un dato livello di reddito

nominale è rappresentata dalla curva inclinata negativamente (minore è i maggiore è la quantità

di moneta M). A ogni livello del tasso di

interesse un aumento del reddito nominale sposta la domanda di moneta verso destra perché

aumenta. Per un dato livello di reddito nominale la domanda di moneta è una funzione

decrescente al tasso di interesse.

LA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI INTERESSEI (I):

Assumiamo che non esistono depositi ma solo moneta circolante.

Domanda di moneta, offerta di moneta e tasso di interesse di equilibrio: Si suppone che la banca

centrale decide di offrire un ammontare di moneta uguale M ossia MS=M. L’equilibrio nei mercati

finanziari richiede che l’offerta di moneta sia uguale alla domanda di moneta quindi MS=MD.

Utilizzando tali parametri si ha che M=€YL(i) e tale equazione esplica che il tasso di interesse deve

essere tale da indurre gli individui a tenere una quantità di moneta pari all’offerta di moneta M e

questa relazione è chiamata curva LM (dove L sta per liquidità). Graficamente la domanda di

moneta disegnata per un dato livello di reddito nominale è

inclinata negativamente in quanto un tasso di interesse più elevato induce una minore domanda di

moneta. L’offerta di moneta è rappresentata dalla retta verticale in quanto l’offerta di moneta è

uguale a ; e non dipende dal tasso di interesse. L’equilibrio si ha nel punto di intersezione di

domanda e offerta. Se aumenta il reddito nominale, aumentano anche il livello delle transazioni e

la domanda di moneta per ogni livello di tasso di interesse spostando la curva di domanda verso

destra e quindi anche il tasso di interesse. In

sostanza un aumento del reddito nominale provoca un aumento del tasso di interesse in quanto al

tasso iniziale la domanda eccede l’offerta e per indurre gli individui a tenere meno moneta è

necessario aumentare il tasso di interesse. Un aum ento dell’o fferta di moneta sposta verso

destra la curva di offerta e quindi anche il punto di equilibrio facendo diminuire il tasso di

interesse. In sostanza un aumento dell’offerta di moneta provoca una riduzione del tasso di

interesse per far aumentare la domanda di liquidità.

Politica monetaria e operazioni di mercato aperto: La banca centrale varia l’offerta di moneta

nell’economia attraverso l’acquisto e la vendita di titoli sul mercato dei titoli. Se desidera

aumentare la quantità di moneta la banca centrale compra titoli e li paga con moneta creando in

tal modo nuova moneta. Se invece vuole diminuire la quantità di moneta vende titoli e rimuove

dalla circolazione la moneta che riceva in pagamento (operazioni di mercato aperto). Nel bilancio

della banca centrale le attività sono costituite dai titoli che

tiene in portafoglio e le passività dallo stock di moneta nell’economia le operazioni di mercato

aperto comportano variazioni in bilancio. L’intervento espansivo di mercato aperto si ha quando la

banca entrale aumenta l’offerta di moneta, viceversa si ha un intervento restrittivo di mercato

aperto.

Assumiamo che il mercato dei titoli determina il tasso di interesse di equilibrio sui titoli stessi in

relazione al

prezzo dei titoli. I titoli emessi dallo stato sono titoli del Tesoro e il loro prezzo viene espresso da

€PT(itolo). Si ha che il tasso di interesse su un titolo annuale è dato da i=(€100-€PT)/€PT. Quanto

più è elevato il prezzo del titolo, tanto minore sarà il tasso di interesse pagato dal titolo stesso. Se

si conosce il tasso di interesse il prezzo si ricava con €PT=€100/(1+i). Se il tasso di interesse è

positivo il prezzo del titolo è inferiore al valore di rimborso. Quanto maggiore è il tasso di interesse

tanto minore sarà il prezzo del titolo oggi. Quando il mercato dei titoli sale significa che il prezzo

dei titoli aumentano e i tassi scendono.

Nella pratica il tasso di interesse è determinato dall’uguaglianza tra offerta e domanda di moneta,

variando l’offerta di monete la banca può influenzare il tasso di interesse; la banca centrale

cambia l’offerta di moneta con operazioni di mercato aperto (acquisti o vendite di titoli contro

moneta); tali operazioni se espansive fanno aumentare il prezzo dei titoli e riducono il tasso di

interesse, le operazioni di mercato restrittive fanno diminuire il prezzo dei titoli e aumentano il

tasso di interesse.

La banca centrale può scegliere il tasso di interesse e aggiustare l’o fferta di mo neta in modo tale

da raggiungere quel tasso di interesse e graficamente si attua spostando il livello di interesse i e

aggiustando l’offerta di moneta ad un altro livello per raggiungere l’equilibrio.

Il tasso di interesse fin qui descritto è a breve termine in quanto è determinato tra equilibrio tra

offerta e

domanda di moneta ed è totalmente controllato dalla banca centrale facendo variare la moneta.

LA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI INTERESSE:

Il ruolo delle banche: L’economia ha molti tipi di intermediari finanziari (istituzioni che ricevono

fondi e accordano prestiti e acquistano titoli come le banche). In bilancio le loro attività sono le

azioni e le obbligazioni oltre i prestiti, le loro passività sono i fondi che ricevono. Ciò che

caratterizza le banche è che le loro passività sono moneta in quanto gli individui possono pagare le

transazioni emettendo assegni fino al massimo ammontare dei depositi bancari. Le banche

ricevono fondi che li depositano, in qualunque momento i soggetti possono emettere assegni o

prelevare fino all’ammontare del loro saldo di c/c. Le passività delle banche sono parti al valore dei

depositi in c/c. Le banche tengono da parte dei fondi ricevuti sottoforma di riserve di moneta

contante o su conto presso la banca centrale dalle quali possono prelevare in caso di bisogno. Le

banche tengono riserve perché alcuni correntisti prelevano nei loro conti e versano

nei loro conti quindi è necessario avere contante a disposizione, inoltre i correntisti emettono

assegni a favore di correntisti di altre banche. Vi sono anche riserve obbligatorie proporzionali ai

depositi in conto corrente o in relazione a parte del suo bilancio. I prestiti costituiscono attività

tuttavia si assume che le banche abbiano solo riserve e titoli per semplicità. Quindi le attività sono

costituite dai titoli e le passività dalla moneta emessa dalla banca centrale anche sottoforma di

riserve.

Offerta e domanda di moneta emessa dalla banca centrale: La domanda di moneta emessa dalla

banca centrale è uguale alla domanda di circolante da parte degli individui più la domanda di

riserve da parte delle banche. L’offerta di moneta emessa dalla banca centrale è sotto il controllo

diretto della banca centrale. Il tasso di interesse di equilibrio è tale per cui domanda e offerta di

moneta emessa dalla banca centrale sono uguali. La domanda di moneta da parte degli individui è

una domanda sia di circolante che di depositi in c/c. La domanda dei depositi genera una domanda

di riserve da parte delle banche quindi la

domanda di moneta emessa dalla banca centrale è uguale alla domanda di riserve da parte delle

banche più la domanda di circolante da parte degli individui. Il tasso di interesse deve essere tale

per cui domanda e offerta di moneta emessa dalla banca centrale si eguaglino.

- La domanda di moneta implica due decisioni ossia quanta tenerne e quanta tenerne sottoforma

di circolante o depositi. Gli individui terranno tanta più moneta quanto maggiore sarà il livello

delle transazione e quanto minore il tasso di interesse su titoli. Il circolante è più conveniente per

le piccole transazione, gli assegni per le grandi transazione, il c/c è più sicuro che il contante.

Assumendo che gli individui tengano una proporzione fissa della loro moneta circolante (c) e una

proporzione fissa (1-c) i depositi. La domanda di circolante CID da parte del pubblico è data da

CID=cMD e la domanda di depositi DD è data da DD=(1-c)MD. La domanda di depositi genera una

domanda di riserve da parte delle banche.

- La domanda di riserve è direttamente proporzionale all’ammontare dei depositi, sia per

precauzioni sia per ragioni legali. Il coefficiente di riserva σ indica l’ammontare di riserve R che le

banche tengono per ogni euro di depositi D, e implica la relazione R=σD. La domanda di riserve da

parte delle banche è data da RD=σ(1-c)MD.

- La domanda di moneta emessa dalla banca centrale HD è uguale alla somma della domanda di

circolante CID e della domanda di riserve RD se ad esse si sostituiscono le loro espressioni si

ottiene HD=[c+σ(1-c)]€YL(i).

- La determinazione del tasso di interesse si attua ponendo H come offerta di moneta emessa e

controllata dalla banca centrale e variabile attraverso operazioni di mercato aperto, in condizione

di equilibrio con la domanda di moneta emessa dalla banca centrale ossia H=HD oppure si esprime

come H=[c+σ(1-c)]€YL(i). In sostanza l’offerta di moneta emessa dalla banca centrale è uguale alla

domanda di moneta emessa dalla banca centrale che a sua volta è uguale al termine tra parentesi

moltiplicato per la domanda di moneta. Se gli individui tengono solo circolante c=1,le banche non

hanno ruoli nell’offerta di moneta, se tengono solo depositi c=0 e la domanda di moneta emessa

dalla banca centrale è un decimo dell’intera domanda di moneta. Finché gli individui tengono

depositi il termine tra parentesi è minore di 1 quindi la domanda di moneta emessa è inferiore alla

domanda aggregata di moneta. Graficamente la domanda di moneta emessa dalla banca centrale

è disegnata per un dato livello di reddito nominale, un maggior tasso di interesse comporta una

minor domanda perché la domanda di circolante e depositi scende facendo scendere la domanda

di riserve. L’offerta di moneta è fissa ed è rappresentata da una linea verticale. L’equilibrio è nel

punto di intersezione. Un aumento dell’offerta sposta verso destra la curva di offerta verticale

riducendo il tasso di interesse, un aumento della moneta emessa fa diminuire il tasso di interesse

e viceversa lo fa aumentare.

DUE MODI ALTERNATIVI DI PENSARE ALL’EQUILIBRIO:

Il mercato interbancario delle riserve e il tasso di interesse overnight: Pensando in termini di

domanda e offerta di riserve si ha che l’offerta di riserve è uguale all’offerta di moneta emessa

dalla banca centrale H, meno la domanda di circolante da parte del pubblico CID e che la domanda

di riserve da parte delle banche è RD. La condizione di equilibrio implica che la domanda e l’offerta

sono uguali quindi H-CID=RD. Guardare all’equazione in termini di domanda e offerta di riserve

equivale a guardare all’equazione intermini di domanda e offerta di moneta emessa dalla banca

centrale. Il mercato in cui si incontrano domanda e offerta di riserve non è libero in quanto le

banche centrali intervengono per influenzare il tasso di interesse in quanto collegato al tasso di

interesse sulle riserve. La banca centrale influenza il mercato interbancario e il tasso di interesse

attraverso operazioni di mercato aperto e una politica monetaria espansiva. Le banche possono

acquistare riserve anche da altre banche commerciali, quando una banca prende a prestito riserve

dalla banca centrale deve dare in garanzia titoli mentre se si fa prestito con altre banche

commerciali non è necessaria la garanzia.

Offerta di moneta, domanda di moneta e moltiplicatore della moneta: Si può pensare all’equilibrio

in

termini di uguaglianza tra domanda aggregata e offerta aggregata di moneta. L’offerta di moneta

emessa dalla banca centrale deve essere uguale alla domanda di moneta della banca centrale,

dividendo entrambi i lati per [c+σ(1-c)] si ottiene 1/[c+σ(1-c)]H=€YL(i). L’offerta aggregata di

moneta è uguale alla moneta

emessa dalla banca centrale moltiplicata per il termine costante 1/[c+σ(1-c)] che è detto

moltiplicatore della moneta ed è minore di 1 mentre il suo inverso è maggiore di 1. Quindi l’offerta

aggregata di moneta è uguale alla moneta emessa dalla banca centrale moltiplicata per il

moltiplicatore della moneta. L’offerta aggregata di moneta dipende dalla quantità di moneta

emessa dalla banca centrale indica che quest’ultima si denomina base monetaria (analisi in base

della quantità di moneta emessa dalla banca centrale). La presenza del moltiplicatore

nell’equazione implica che una variazione della moneta emessa dalla banca centrale ha un effetto

più ambio sull’offerta di moneta e sul tasso di interesse.

Significato del moltiplicatore monetario: Si può pensare all’aumento finale dell’offerta di moneta

come al risultato finale di una serie di acquisti di titoli dei quali il primo è eseguito dalla banca

centrale e gli altri dalla diverse banche coinvolte. Ogni operazione provoca un incremento

dell’offerta di moneta. Alla fine, l’aumento dell’offerta è pari a dieci volte l’incremento iniziale

della base monetaria.

CAPITOLO 5 – I MERCATI DEI BENI E I MERCATI FINANZIARI, IL MODELLO IS-LM

PRESENTAZIONE: Nel 1936 Keynes pubblicò la Teoria Generale per analizzare la determinazione

congiunta della produzione e del tasso di interesse nel breve periodo. Tale opera è difficilmente

comprensibile e animò dibattiti circa il vero intento dell’autore. Nel 1937 Hicks sintetizzò la

descrizione congiunta del mercato dei beni e dei mercati finanziari. La sua analisi fu poi estesa da

Hansen. Questi economisti chiamarono la loro formalizzazione modello IS-LM.

IL MERCATO DEI BENI E LA CURVA IS:

L’equilibrio sul mercato dei beni si ha attraverso la condizione di uguaglianza tra produzione Y e

domanda Z (relazione IS). La domanda è la somma di consumo C, investimento I e spesa pubblica

G, esso dipende dalla funzione di reddito Y al netto delle imposte T. Si considerano l’investimento,

la spesa pubblica e le imposte come dati e si ha quindi l’equazione della domanda dei beni Z=C(Y-

T)+I+G quindi la condizione di equilibrio è data da Y=C(Y-T)+I+G.

Investimento, vendite e tasso di interesse: L’investimento dipende dal livello delle vendite

(produzione) e dal tasso di interesse (più è alto il tasso di interesse meno è conveniente la

prospettiva di indebitarsi per fare il nuovo investimento. L’investimento dipende dunque dalla

produzione Y e dal tasso di interesse i considerando che l’investimento in scorte sia nullo, a un

aumento della produzione si ha un aumento delle vendite, un aumento del tasso di interesse

provoca una riduzione degli investimenti. La funzione di investimento è data da I=I(Y,i)

Come si determina la produzione: la condizione di equilibrio del mercato dei beni integrata

dell’equazione dell’investimento si ottiene Y=C(Y-T)+I(Y,i)+G e si chiama relazione IS estesa. Essa

esplica che la produzione deve essere uguale alla domanda dei beni. Per un dato valore del tasso

di interesse i, la domanda è

funzione crescente della produzione in quanto un aumento della produzione fa aumentare il

reddito e quindi il reddito disponibile, quest’ultimo fa aumentare il consumo; inoltre un aumento

della produzione fa aumentare l’investimento. Quindi si ha che un aumento della produzione fa

aumentare la domanda dei

beni che è graficamente rappresentata dalla curva ZZ. La curva ZZ è una curva a meno che le

equazioni di

consumo e investimento siano lineari e allora si ha una retta, inoltre si assume che un aumento

della produzione conduca a un incremento meno che proporzionale della domanda (<45°).

Quando la produzione aumenta, la somma degli incrementi del consumo e dell’investimento

potrebbe eccedere l’aumento iniziale della produzione tuttavia non si verifica nella realtà.

L’equilibrio si ha nel punto di intersezione tra domanda e produzione e il livello di equilibrio della

produzione è Y.

La curva IS: Se il tasso di interesse cambia, cambia anche la curva di domanda ZZ e l’equilibrio. Se il

tasso di interesse aumenta, per ogni livello della produzione si riduce l’investimento e la domanda

quindi la curva di domanda ZZ si sposta in basso spostando anche il punto di equilibrio. Quindi un

aumento del tasso di interesse riduce l’investimento e la riduzione dell’investimento fa diminuire

la produzione, che a sua voltar riduce il consumo e l’investimento attraverso l’effetto del

moltiplicatore. In sostanza un maggior tasso di interesse è associato a un livello inferiore di

produzione e tale relazione è rappresentata dalla curva negativamente inclinata chiamata curva IS

(livello di equilibrio della produzione in funzione del tasso di interesse).

Spostamenti della curva IS: Anche le variazioni di imposte T e spesa pubblica G faranno spostare la

curva IS nel piano. Se si considera un aumento delle imposte e un dato tasso di interesse si ha che

il reddito disponibile diminuisce e anche il consumo quindi anche la domanda e attraverso il

moltiplicatore anche la produzione di equilibrio. La curva IS si sposta verso sinistra. Lo stesso

effetto si produce quando vi è una riduzione della spesa pubblica o del grado di fiducia dei

consumatori. Al contrario dato il tasso di interesse, ogni fattore che fa aumentare il livello di

equilibrio della produzione (riduzione imposte, aumento spesa pubblica, aumento fiducia) fa

spostare la curva IS verso destra.

I MERCATI FINANZIARI E LA CURVA LM:

Si analizzano ora i mercati finanziari. Il tasso di interesse è determinato dall’eguaglianza tra

domanda e offerta di moneta M=€YL(i) dove M è la moneta e si assume sia controllata

direttamente dalla banca centrale. Il lato destro dell’equazione indica la domanda di moneta in

funzione del reddito nominale €Y e dal tasso di interesse. Un aumento del reddito aumenta la

domanda di moneta e un aumento del tasso di interesse diminuisce la domanda di moneta.

L’equilibrio richiede che l’offerta di moneta sia uguale alla domanda.

Moneta reale, reddito reale e tasso di interesse: La relazione tra moneta reale (in termini di beni

acquistabili), reddito reale (in termini di beni acquistabili) e tasso di interesse si può scrivere come

l’equazione LM che è data da (M/P)=YL(i) tenendo conto che il reddito nominale è diviso per il

livello dei prezzi P e entrambi i membri sono divisi per P. si ha dunque una condizione di equilibrio

come eguaglianza tra offerta reale di moneta e domanda reale di moneta che dipende dal reddito

e dal tasso di interesse. Entrambi i membri indicano valori reali ossia offerta reale e domanda reale

di moneta.

La curva LM: Graficamente si misura il tasso di interesse sull’asse delle ordinate e la moneta reale

sull’asse delle ascisse. L’offerta reale di moneta è data dalla retta verticale M/P indicata con MS.

Per un dato livello di reddito Y, la domanda reale di moneta è una funzione decrescente del tasso

di interesse. L’equilibrio si ha nel punto di intersezione tra domanda e offerta di moneta. Se si

incrementa il reddito, si ha un aumento della domanda di moneta per ogni tasso di interesse e

quindi la domanda si sposta verso l’alto insieme all’equilibrio. Quando il reddito aumenta, cresce

anche la domanda di moneta e l’offerta è data, il tasso di interesse deve aumentare fino a quando

i due effetti opposti sulla domanda di moneta (aumento reddito e tasso di interesse) si

compensano. A tal punto la domanda di moneta è uguale all’offerta. L’equilibrio nei mercati

finanziari comporta che quanto è maggiore il livello della produzione, tanto maggiore sarà la

domanda di moneta e quindi tanto più alto sarà il tasso di interesse di equilibrio. La relazione tra

tasso di interesse e produzione è rappresentata dalla curva positivamente inclinata chiamata curva

LM.

Spostamenti della curva LM: Variazioni di M/P provengono da variazioni dello stock nominale di

moneta M o da variazioni del livello dei prezzi P che spostano la curva LM. Per una data offerta

reale di moneta, un aumento del livello di reddito fa aumentare la domanda di moneta e il tasso di

interesse, tale relazione è rappresentata dalla curva crescente LM. Un aumento dello stock di

moneta sposta la curva verso il basso, viceversa verso l’alto.

IL MODELLO IS-LM, EQUILIBRIO:

La curva IS deriva dalla condizione che l’offerta di beni sia uguale alla domanda di beni e ci dice

come il tasso di interesse influenza la produzione. La curva LM deriva dalla condizione che l’offerta

di moneta sia uguale alla domanda di moneta e ci dice come la produzione

influenza il tasso di interesse. Se si mettono insieme le due curve in ogni momento la domanda e

l’offerta di beni devono essere uguali e idem per domanda e offerta di moneta, insieme

determinano la produzione e il tasso indi interesse. Ogni punto della curva IS (inclinata

negativamente) corrisponde all’equilibrio sul mercato dei beni, ogni punto della curva LM

(inclinata positivamente) corrisponde all’equilibrio suli mercati finanziari. Solo nel punto di

intersezione le due condizioni di equilibrio sono soddisfatte (mercato beni e finanziario). Le

relazioni delle curve contengono informazioni circa il consumo, l’investimento, la domanda

di moneta e le condizioni di equilibrio.

Politica fiscale, produzione e tasso di interesse: Se si suppone che il governo decide di ridurre il

disavanzo di bilancio attraverso un aumento delle imposte mantenendo invariata la spesa pubblica

si ha una politica di contrazione fiscale, al contrario una politica di espansione fiscale. Il primo

problema da considerare è come l’incremento delle imposte influenza l’equilibrio sul mercato dei

beni, ossia come si muove la curva IS: dato che gli individui hanno meno reddito disponibile,

l’aumento delle imposte fa diminuire il consumo e attraverso il moltiplicatore fa diminuire anche

la produzione. In generale per ogni livello del tasso di

interesse, imposte più elevate provocano una riduzione della produzione e la curva IS si sposta

verso sinistra. La curva LM invece non si sposta poiché le imposte non compaiono nell’equazione

della curva stessa. La curva si sposta in relazione a una variazione di una variabile esogena solo se

tale variabile appare direttamente nell’equazione della curva. Il secondo passo si traduce nella

determinazione dell’equilibrio, dopo l’incremento delle imposte il nuovo equilibrio si trova in

corrispondenza dell’intersezione della nuova IS con la LM invariata: quando la IS si sposta,

l’economia si muove lungo la LM in quanto produzione e tasso di equilibrio diminuiscono.

L’incremento delle imposte provoca dunque una riduzione del reddito disponibile, che a sua volta

induce gli individui a consumare di meno. Il risultato è una diminuzione della produzione e del

reddito che riduce la domanda e quindi anche il tasso di interesse che non riesce a compensare del

tutto l’aumento delle imposte. Da un lato una produzione inferiore significa meno vendite

e investimenti più bassi, dall’altro lato un tasso di interesse inferiore stimola l’investimento (se

l’investimento dipende solo dal tasso di interesse esso aumenta, se dipende solo dalle vendite

diminuisce, tuttavia dipende da entrambe le variabili e vi è un effetto ambiguo). Una riduzione del

disavanzo di bilancio non conduce a un aumento degli investimenti e nel breve periodo conduce

ad una riduzione.

Politica monetaria, produzione e tasso di interesse: Un aum ento dell’o fferta di mo net a è

chiamato

espansione monetaria viceversa contrazione monetaria. Si suppone che la banca centrale aumenti

lo stock di moneta M attraverso un’operazione di mercato aperto, essa provoca un incremento

dello stesso ammontare di moneta reale M/P in quanto i prezzi sono costanti. Graficamente nella

curva IS l’offerta di moneta non influenza direttamente né la domanda né l’offerta di beni e quindi

non si sposta. Tuttavia rientra nell’equazione della curva LM che si sposta verso il basso perché

scende il tasso di interesse. L’economia si muove lungo la curva IS e l’equilibrio si sposta. Quindi si

ha che l’aumento dell’offerta di moneta porta a un tasso di interesse inferiore che stimola gli

investimenti e attraverso il moltiplicatore fa aumentare la domanda e la produzione. Con un

reddito più alto e imposte invariate, il reddito disponibile è più alto e il consumo aumenta; con

vendite maggiori e un tasso di interesse minore l’investimento aumenta, quindi un’espansione

monetaria stimola gli investimenti più di un’espansione fiscale.

Un mix di politica economica: La combinazione tra politica monetaria e fiscale prende il nome di

mix di politica economica. Essa talvolta prevede che politica fiscale e monetaria vada in direzione

uguale e talvolta in direzione opposta. Si prevede la combinazione di una stretta fiscale per ridurre

il disavanzo e di un’espansione monetaria per accertarsi che la domanda e la produzione restino

elevate.

IL MODELLO IS-LM IN FORMULE:

La curva IS: Tale curva si presenta graficamente come l’insieme delle combinazione di produzione

e tasso di interesse per le quali il mercato dei beni è in equilibrio (domanda aggregata =

produzione aggregata). La formula della curva IS è Y=C(Y-T)+I(Y,i)+G. La forma funzionale per il

consumo è data da C=c0+c1(Y-T) dove c0>0 e 0<c1<1. La forma funzionale per l’investimento è

data da I=I+d1Y-d2i dove d1,d2>0. Per l’investimento I è una componente esogena mentre d1 e d2

misurano la sensibilità dell’investimento al reddito e al tasso di interesse. L’investimento dipende

positivamente dal livello della produzione (+vendite +produzione

+investimento) e negativamente dal tasso di interesse (+interesse –debiti –investimenti).

Sostituendo nella formula della curva IS le funzioni di consumo e investimento si ottiene

Y=[c0+c1(Y-T)]+ [I+d1Y-d2]+G e se si risolve si ricava il livello di equilibrio della produzione come

funzione del tasso di interesse Y=[1/(1-c1-d1)]A- [(1-c1-d1)/d2]i. Per rappresentare la curva nel

piano si ha i=(1/d2)A-[(1-c1-d1)/d2]Y.

La posizione della curva IS: La posizione della curva IS è determinata dall’intercetta (1/d2)A ovvero

dal livello

della componente autonoma della domanda aggregata (variazioni nella spesa autonoma spostano

la curva).

La variazione è misurata con ∆Y=[1/(1-c1-d1)]∆A e il termine 1/(1-c1-d1) è il moltiplicatore della

domanda aggregata nel caso in cui anche l’investimento e non solo il consumo dipende dal

reddito. Un aumento della spesa autonoma sposta la curva IS orizzontalmente verso destra

viceversa verso sinistra. A seguito della variazione si ha solo uno spostamento della curva IS e non

uno spostamento lungo la curva.

L ’inclinazione della cur va IS

La curva IS è inclinata negativamente poiché un più alto livello del tasso di

interesse riduce l’investimento quindi la domanda e il livello di equilibrio. l’inclinazione della curva

dipende dalla misura in cui la produzione di equilibrio varia al variare del tasso di interesse e la

variazione è misurata da ∆Y=-[d2/(1-c1-d1)]∆i. Quanto più grande è d2 (sensibilità della domanda

di investimento alt asso di interesse) tanto è maggiore ∆Y. Graficamente più è elevato d2, più è

elevato il moltiplicatore e la curva IS sarà piatta e maggiore sarà la risposta della produzione alle

variazioni del tasso di interesse viceversa sarà

più inclinata. Dal punto di vista economico quanto maggiore è la sensibilità dell’investimento al

tasso di interesse d2 tanto più grande sarà l’effetto diretto del tasso di interesse sulla domanda

aggregata. Questo effetto diretto è poi amplificato dal moltiplicatore. L’effetto totale di una

variazione del tasso di interesse sulla produzione dipende dunque dalla sensibilità

dell’investimento al tasso di interesse e dal moltiplicatore della domanda.

La curva LM: Tale curva rappresenta l’insieme delle combinazioni di produzione e tasso di

interesse per le quali il mercato monetario è in equilibrio (domanda moneta = offerta moneta). La

forma funzionale è M/P=L(Y,i) e si considera ora la relazione lineare tra moneta, produzione e

tasso di interesse e si ottiene M/P=f1Y-f2i dove f1,f2>0 e indicano la risposta della domanda di

saldi monetari reali a variazioni nel reddito e nel tasso di interesse. Il livello di equilibrio di Y in

funzione di i è Y=(1/f1)(M/P)+(f2/f1)i. L’intercetta è (1/f1)(M/P) e l’inclinazione è f2/f1.

La posizione della curva LM: La posizione della curva LM dipende dall’intercetta ossia dell’offerta

reale di

moneta. Se si varia l’offerta di moneta in ipotesi di prezzi costanti varia anche l’offerta reale di

moneta quindi per un dato tasso di interesse la variazione di M/P farà variare la produzione di

∆Y=(1/f1)(∆M/P). Quindi se aumenta l’offerta nominale di moneta, la curva si sposta

orizzontalmente verso destra perché per un dato tasso di interesse il livello del reddito deve

aumentare per far crescere la domanda di moneta sufficientemente ad assorbire l’eccesso di

offerta viceversa si sposta verso sinistra. Quanto è più bassa la sensibilità della domanda di

moneta al reddito f1 tanto più ambia deve essere la variazione del reddito per ogni variazione di M

per riequilibrare il mercato finanziario.

L ’inclinazione della cur va LM : La curva LM è tanto più piatta quando a seguito di una piccola

variazione del

tasso di interesse la produzione deve crescere tanto per riportare in equilibrio il mercato

monetario

∆Y=(f2/f1)∆i da cui risulta che l’effetto totale di una variazione del tasso di interesse sulla

produzione dipende dal rapporto f2/f1. Se tale rapporto è alto la curva si appiattisce e viceversa si

inclina.

L ’equilibr io IS -LM: L’equilibrio simultaneo dei mercati si ottiene nel punto di intersezione delle

curve IS e

LM. Per calcolare i valori di Y e di i va risolta congiuntamente IS e LM ossia Y=[c0+c1(Y-T)]+[I+d1Y-

d2i]+G e da M/P=f1Y-f2i. Entrambe le equazioni mostrano che sia Y che i sono funzioni delle

variabili esogene e sono funzioni lineari delle variabili esogene inoltre i coefficienti dell’offerta di

moneta e della spesa autonoma sono funzioni complicate di tutti i parametri delle equazioni IS e

LM e consentono di ricavare i moltiplicatori della politica fiscale e monetaria.

Il moltiplicatore della politica fiscale: L’effetto sul reddito di una variazione della spesa autonoma

quando

l’offerta reale di moneta è data è ∆Y={1/[(1-c1-d1)+d2(f1/f2)]}∆A. L’effetto sul tasso di interesse di

una variazione della spesa autonoma quando l’offerta reale di moneta è data è ∆i={1/[(1-c1-

d1)(f2/f1)+d2]}∆A e si hanno effetti positivi ad un aumento della spesa autonoma perché la curva

IS si sposta in alto a destre

lungo la curva LM provocando aumento del tasso di interesse e della produzione. Il moltiplicatore

della politica fiscale è dato da ∆Y/∆A=1/[(1-c1-d1)+d2(f1/f2)] e misura di quanto una variazione

della spesa autonoma fa variare la produzione di equilibrio; quanto più è elevato il moltiplicatore

della domanda aggregata tanto è più grande la variazione della produzione; la risposta di Y ad A è

forte se d2 e f1 sono piccoli ed f2 è grande. Per riportare all’equilibrio il mercato monetario si deve

calcolare la variazione del tasso di interesse dato da ∆i/∆A=1/[(1-c1-d1)(f2/f1)+d2].

Il moltiplicatore della politica monetaria: Si considera cosa accade a Y e i quando varia l’offerta

reale di

moneta e si può calcolare come varia ∆i a seguito di una variazione di ∆M/P per un dato livello di A

e si calcola con ∆i/(∆M/P)=-1/{f2+[(d2f1)/(1-c1-d1)]}. Il moltiplicatore della politica monetaria ossia

la risposta della produzione ad una variazione dell’offerta di moneta è dato da ∆Y/(∆M/P)=1/[(1-

c1-d1)(f2/d2)+f1].

IL MODELLO IS-LM DESCRIVE DAVVERO QUELLO CHE SUCCEDE NELL’ECONOMIA?:

Tale modello non è realistico in quanto per gli aggiustamenti della produzione c’è bisogno di

tempo e per questo va introdotta la dinamica. Ai consumatori servirà del tempo per aggiustare il

loro consumo in seguito a una variazione del reddito disponibile, alle imprese servirà del tempo

per aggiustare la spesa per investimento in seguito a una variazione delle vendite, alle imprese

servirà del tempo per aggiustare la spesa per investimento in seguito

a una variazione del tasso di interesse, alle imprese servirà del tempo per aggiustare la produzione

in

seguito a una variazione delle vendite. Ci vuole dunque tempo prima che la produzione si aggiusti

in seguito a variazioni della politica fiscale e monetaria. Il modello IS-LM può funzionare nel breve

periodo in merito

agli aggiustamenti ma diventa meno affidabile quando guardiamo al medio periodo in quanto

vano

considerate le aspettative e le implicazione dell’apertura dei mercati.

CAPITOLO 13 – I MERCATI DEI BENI E I MERCATI FINANZIARI IN ECONOMIA APERTA

PRESENTAZIONE: Il concetto di economia aperta ha tre dimensioni ossia l’apertura dei mercati dei

beni (opportunità per i consumatori e le imprese di scegliere tra beni nazionali e beni esteri e può

essere vincolata da dazi sui beni importati e quote ossia restrizioni sulle quantità di beni che

possono essere importati), apertura dei mercati finanziari (opportunità per gli investitori finanziari

di scegliere tra attività finanziarie nazionali ed estere, vi sono sempre meno controlli ai movimenti

di capitali) e apertura dei mercati dei fattori (opportunità per le imprese di scegliere dove

localizzare un’attività produttività e per i lavoratori di scegliere dove lavorare, le imprese

multinazionali gestiscono impianti in molti paesi e spostano le loro attività in giro per il mondo per

sfruttare i possibili vantaggi di costo).

I MERCATI DEI BENI IN ECONOMIA APERTA: Il tasso di cambio reale esprime il ruolo del prezzo

relativo ai beni nazionali in termini di beni esteri.

Esportazioni e importazioni: L’economia statunitense è diventata sempre più aperta con il passare

del tempo. Le importazioni e le esportazioni pur seguendo approssimativamente lo stesso trend

hanno manifestato una tendenza divergente per periodi di tempo lunghi generando avanzi e

disavanzi commerciali. Il saldo commerciale è uguale alla differenza tra esportazioni e importazioni

(avanzo quando esportazioni maggiori delle importazioni e viceversa disavanzo). Il volume di

scambi è il rapporto tra la media di esportazioni e importazioni e il livello del Pil e non è un buon

indice del grado di apertura di un’economia. Infatti le imprese esposte alla concorrenza estera

senza aumentare le importazioni tengono bassi i prezzi per reggere la concorrenza mantenendo la

quota di mercato. Un indice di apertura migliore è la proporzione di prodotto aggregato composta

dai beni commerciabili (beni che competono con i beni esteri sia sul mercato interno sia sui

mercati esteri). È possibile che un paese registri esportazioni superiori al Pil e presenti quindi un

rapporto esportazioni/Pil maggiore di 1 e ciò dipende dalle dimensioni geografiche del paese e

dalla distanza con i mercati.

La scelta tra beni nazionali e beni esteri: Quando i mercati dei beni sono aperti, i consumatori

devono scegliere se comprare beni nazionali o esteri e tale decisione ha un effetto diretto sulla

produzione nazionale in quanto se decidono di acquistare beni nazionali la domanda per tali beni

aumenta insieme alla produzione e viceversa se si decide di acquistare beni esteri. La variabile per

condurre tale scelta è il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri ossia il tasso di cambio

reale.

Tassi di cambio nominali: I tassi di cambio nominali tra valute possono essere quotati in due modi

ossia

come il prezzo della valuta nazionale in termini di valuta estera o come il prezzo della valuta estera

in termini di valuta nazionale. Entrambe le definizioni sono corrette ma bisogna essere coerenti e

verrà applicato il tasso di cambio nominale come prezzo della moneta nazionale in termini di

moneta estera e si denoterà con E3. I tassi di cambio tra monete cambiano in ogni momento e tali

variazioni sono chiamate apprezzamenti nominali (aumento del prezzo della moneta nazionale in

termini di moneta estera e quindi aumento del tasso di cambio) o deprezzamenti nominali

(riduzione del prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera e quindi diminuzione del

tasso di cambio). Per indicare movimenti dei tassi di cambio si usano le espressioni rivalutazione e

svalutazione quando un paese opera in regime di cambi fissi (due o più paesi mantengono un tasso

di cambio costante tra le loro valute).

Dai tassi di cambio nominali ai tassi di cambio reali: Per costruire il tasso di cambio tra due paesi si

suppone

che entrambi producano solo un bene e diversi. Bisogna esprimere entrambi i beni nella stessa

valuta e calcolarne il prezzo relativo. Bisogna convertire uno dei due beni nella valuta scelta e

calcolare il rapporto tra il prezzo del bene del paese della valuta e il prezzo del bene del paese che

ha convertito la valuta. Quindi si deve costruire un tasso di cambio reale che rifletta il prezzo

relativo di tutti i beni prodotti in un paese in termini di tutti i beni prodotti negli stati uniti. Va

utilizzato un indice dei prezzi di tutti i beni prodotti in un paese e di tutti i beni prodotti nell’altro

paese. Quindi c’è bisogno del deflatore del Pil che indica appunto l’indice dei prezzi dei beni e

servizi finali prodotti in un’economia. Il tasso di cambio reale è

costruito moltiplicando il prezzo nazionale P per il tasso di cambio nominale E e dividendo poi per

il livello dei prezzi esteri P* ossia ε=EP/P*. Il tasso di cambio reale è un numero indice in quanto il

suo in quanto il suo livello è arbitrario e non informativo, i deflatori del Pil usati per costruire il

tasso di cambio reale sono anch’essi dei numeri indici. Tuttavia anche se il tasso di cambio reale

non è informativo, il tasso di variazione del tasso di cambio reale lo è. Anche i tassi di cambio

reale come quelli nominali si muovono nel tempo e tali variazioni sono chiamate apprezzamenti

reali (aumento del tasso di cambio reale ossia aumento del prezzo nazionale in termini di beni

esteri) o deprezzamenti reali (riduzione del tasso di cambio reale ossia riduzione del prezzo

nazionale in termini di beni esteri). Le fluttuazioni del tasso di cambio nominale si manifestano

anche nel tasso di cambio reale poiché i sono correlate.

Dai tassi di cambio bilaterali ai tassi di cambio multilaterali: Se si vuole misurare il prezzo medio

dei beni

nazionali rispetto a quello di tutti i partner commerciali bisogna usare come pesi le quote dei flussi

commerciali nazionali con gli altri paesi. Usando le quote delle esportazioni si costruisce il tasso di

cambio reale all’esportazione e usando le quote delle importazioni si costruisce il tasso di cambio

reale all’importazione. Si usa la media delle quote di esportazioni e importazioni e si ottiene il

tasso di cambio reale multilaterale che è un numero indice (100 nel 2000).

I MERCATI FINANZIARI IN ECONOMIA APERTA:

L’apertura dei mercati finanziari consente agli investitori di tenere attività finanziarie sia nazionali

sia estere e quindi di diversificare il loro portafoglio e di speculare sulle fluttuazione dei tassi di

interesse e di cambio. L’acquisto o la vendita di attività finanziarie estere comporta l’acquisto o la

vendita di moneta estera o valuta. La dimensione delle transazioni sul mercato delle valute è un

indicatore dell’importanza delle transazioni finanziarie internazionali. La maggior parte delle

transazioni in valuta non è associata al commercio internazionale ma alla compravendita di attività

finanziarie. L’apertura dei mercati finanziari permette al paese di registrare avanzi o disavanzi

commerciali. Un paese in disavanzo commerciale compra all’estero più di quanto non venda al

resto del mondo, deve prendere a prestito la differenza tra il valore delle sue importazioni e il

valore delle sue esportazioni, tuttavia riesce a farlo rendendo conveniente per gli investitori esteri

aumentare la loro quantità di attività finanziarie nazionali, il che equivale a prestare denaro al

paese.

La bilancia dei pagamenti: Le transazioni di un paese con il resto del mondo sono riassunte in una

serie di conti chiamati bilancia dei pagamenti. Le transazioni di conto corrente sono quelle che

registrano tutti i pagamenti da e verso il mondo tra cui esportazioni e importazioni. I residenti

ricevono un reddito da investimento delle attività finanziarie estere che possiedono e i cittadini

residenti all’estero ricevono un reddito da investimento dalle attività finanziarie nazionali incluse

nel loro portafoglio. I paesi danno e ricevono aiuti dall’estero e il valore netto di tali aiuti è

registrato sotto la voce trasferimenti netti ricevuti. La somma dei pagamenti netti da e verso il

resto del mondo è chiamato saldo di conto corrente e se è positivo il paese è in avanzo di conto

corrente, viceversa è in disavanzo di conto corrente. La somma dei pagamenti da e verso il mondo

dà il valore dei pagamenti netti. I flussi netti di capitale sono dati dall’aumento netto

dell’indebitamento della nazione con l’estero (saldo del conto capitale, se positivo avanzo del

conto capitale, se negativo disavanzo). Il conto finanziario riguarda le misure delle transazioni del

conto corrente e del conto capitale che hanno origine da fonti diverse. La differenza tra i due conti

è chiamata discrepanza statistica. La somma dei disavanzi di conto corrente di tutti i paesi del

mondo dovrebbe essere nulla ma se sommiamo i disavanzi di conto corrente di tutti i paesi del

mondo sembra che il mondo registri un disavanzo dovuto a errori di misurazione.

La scelta tra attività finanziarie nazionali ed estere: L’apertura dei mercati finanziari consente agli

investitori di scegliere tra attività finanziarie nazionali ed estere. Va effettuata la scelta tra moneta

nazionale ed estera e la scelta tra attività finanziarie fruttifere nazionali e estere. Le persone che

vivono in Europa hanno più convenienza a tenere moneta in euro mentre chi vuole tenere attività

estere è necessario tenere moneta estera per il tasso di interesse. Per valutare la redditività dei

tassi nazionali non basta guardare ai tassi di interesse dei due paesi ma bisogna formulare

un’aspettativa sull’andamento del tasso di cambio tra quest’anno e il prossimo. Relativamente alla

scelta fra titoli a breve o lungo termine o tra obbligazioni e azioni, è necessario che vi sia lo stesso

tasso di rendimento atteso per tenere entrambi i titoli ossia deve valere la condizione di

arbitraggio data da 1+it=(1+it*)(Et/Eet+1). Tale equazione è chiamato parità scoperta dei tassi di

interesse. L’ipotesi che gli investitori finanziari tengano solo i titoli con tasso di

interesse atteso più elevato è troppo restrittiva in quanto ignora i costi di transazione e l’esistenza

del

rischio.

Tassi di interesse e tassi di cambio: Vi è una relazione fra il tasso di interesse nominale nazionale, il

tasso di interesse nominale estero e il tasso di apprezzamento atteso. Un aumento di E

corrisponde ad un apprezzamento. L’arbitraggio fa sì che il tasso di interesse interno sia uguale al

tasso di interesse estero meno il tasso di apprezzamento atteso della moneta interna. Il tasso di

apprezzamento atteso della moneta nazionale è anche il tasso di deprezzamento atteso della

moneta estera. Quindi il tasso di interesse nazionale deve essere uguale al tasso di interesse

estero meno il tasso di deprezzamento atteso della moneta estera. A meno che i mercati valutari

non si aspettino forti deprezzamenti o apprezzamenti, i tassi

di interessi interno ed esterno si muoveranno insieme. Per mantenere i tassi costanti i paesi

raggiungono

accordi vincolanti alle fluttuazioni.

CONCLUSIONI:

Considerare i mercati dei beni in economia aperta introduce la scelta tra beni nazionali ed esteri e

dipende dal tasso di cambio reale. L’apertura dei mercati finanziari consente di scegliere tra

attività finanziarie nazionali ed estere e dipende dal tasso di rendimento relativo (tasso di

interesse interno e estero) e dal tasso atteso di deprezzamento della valuta interna.

CAPITOLO 14 – IL MERCATO DEI BENI IN ECONOMIA APERTA

LA CURVA IS IN ECONOMIA APERTA: Parte della domanda nazionale dei beni è rivolta a beni esteri

e parte della domanda di beni nazionali proviene dall’estero quindi bisogna distinguere.

La domanda di beni nazionali: In un’economia aperta la domanda di beni nazionali è data da

Z=C+I+G- (IM/ε)+X ed è composta dalla domanda nazionale di beni in economia chiusa e da degli

aggiustamenti ossia bisogna sottrarre le importazioni (parte domanda nazionale rivolta all’estero e

bisogna esprimere il valore delle importazioni in termini di beni nazionali) e bisogna aggiungere le

esportazioni (domanda di beni nazionali da parte dell’estero).

Le determinanti di C, I e G: In ipotesi di economia aperta non dobbiamo apportare grandi

modifiche alla descrizione di consumo, investimento e spesa pubblica. La spesa dei consumatori

dipende dal reddito e

dalla ricchezza. Il tasso di cambio reale influenza la composizione della spesa per consumi tra beni

nazionale e estero ma non c’è alcuna ragione perché esso debba influenzare il livello, idem per

l’investimento. Quindi la domanda nazionale è data da C+I+G=C(Y-T)+I(Y,r)+G dove r rappresenta

l’interesse reale e G è un dato esogeno.

Le determinanti dell importazioni: Le importazioni sono la parte di domanda nazionale rivolta ai

beni esteri e la quantità di importazioni dipende dal livello aggregato della domanda nazionale

(tanto è maggiore la domanda interna tanto più elevata sarà la domanda di tutti i beni) e dal tasso

di cambio reale (prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri, maggiore è il tasso maggiori

sono le importazioni).

Le determinanti delle esportazioni: Le esportazioni sono la parte di domanda estera rivolta ai beni

nazionali perciò dipendono dal reddito estero. Un maggior reddito estero fa aumentare le

esportazioni. Esse dipendono anche dal tasso di cambio reale, maggiore è il tasso minori sono le

importazioni.

Uniamo tutte le determinanti della domanda di beni nazionali: Bisogna unire le varie componenti

della

domanda di beni nazionali in funzione della produzione tenendo costanti tutte le altre variabili che

influenzano la domanda. Graficamente la retta DD rappresenta la domanda nazionale C+I+G come

funzione della produzione e la sua inclinazione è positiva ma minore di 1. Per ottenere la domanda

di beni nazionali bisogna sottrarre le importazioni e la distanza tra DD e AA è uguale al valore delle

importazioni. La retta AA è più piatta della retta DD perché all’aumentare del reddito, la domanda

interna di beni nazionali aumenta meno della domanda interna totale. La retta AA è positivamente

inclinata in quanto un incremento del reddito fa aumentare la domanda interna di beni nazionali.

Aggiungendo le esportazioni si arriva alla retta ZZ che sta sopra la AA e la distanza fra le due

rappresenta le esportazioni, la distanza è costante e le due rette sono parallele quindi anche la ZZ

sarà più piatta della DD. La relazione tra esportazioni nette e produzione è rappresentata dalla

retta NX e sono funzione decrescente della produzione in quanto all’aumentare della produzione

le importazioni aumentano e le esportazioni rimangono invariate facendo diminuire le

esportazioni nette. Se le esportazioni sono più elevate del livello di produzione in cui vi è

equilibrio tra importazioni e esportazioni si ha un disavanzo commerciale viceversa un avanzo. In

funzione della produzione esportazioni nette è sinonimo di bilancia commerciale, quando vi è un

valore positivo delle esportazioni nette vi è un avanzo commerciale viceversa un disavanzo.

PRODUZIONE DI EQUILIBRIO E BILANCIA DEI PAGAMENTI: Il mercato dei beni è in equilibrio

quando la produzione interna è uguale alla domanda di beni nazionali Y=Z e usando le relazioni per

le componenti di Z si ottiene Y=C(Y-T)+I(Y,r)+G-IM(Y,ε)/ε+X(Y*,ε) dove Y* rappresenta la

produzione estera. Tale condizione di equilibrio determina la produzione in funzione di tutte le

variabili esogene. Graficamente la retta ZZ disegna la domanda in funzione della produzione ed è

inclinata positivamente con pendenza minore di 1. La produzione di equilibrio è il punto dove la

domanda è uguale alla produzione (intersezione). Disegnando le esportazioni nette come funzione

decrescente della produzione non vi è alcuna ragione per cui il livello di equilibrio della produzione

Y sia lo stesso livello che pareggia la bilancia commerciale ma vi è un disavanzo.

AUMENTI DELLA DOMANDA INTERNA O ESTERA:

Un aumento della domanda interna: Se il governo decide di aumentare la spesa pubblica vi

saranno effetti sulla produzione e sulla bilancia commerciale. Ad ogni livello della produzione, la

domanda aumenta di ∆G per cui la retta che rappresenta la domanda si sposta verso l’alto in

misura pari alla variazione della spesa spostando anche l’equilibrio. L’incremento della produzione

è maggiore dell’aumento della spesa pubblica per effetto del moltiplicatore. Vi è un effetto sul

saldo commerciale poiché la spesa pubblica non rientra direttamente nelle equazioni di

importazioni e esportazioni esse non si spostano generando un disavanzo commerciale a seguito

dell’incremento. L’effetto della spesa pubblica sulla produzione è inferiore rispetto a quello

registrato in economia chiusa in quanto in economia aperta il moltiplicatore ha un valore minore.

Un aumento della domanda interna incide sulla produzione in misura inferiore rispetto al caso di

economia chiusa e inoltre ha un effetto negativo sulla bilancia commerciale. Quanto più è aperta

l’economia tanto minore sarà l’effetto sulla produzione e tanto maggiore l’effetto negativo sulla

bilancia commerciale.

Un aumento della domanda estera: Se si considera un aumento della produzione estera Y* tramite

un aumento della produzione estera ∆Y* si avrà un incremento di un certo ammontare (∆X) delle

esportazioni nazionali. L’aumento delle esportazioni induce un incremento della domanda di beni

nazionali pari a ∆X per cui la retta che rappresenta la domanda di beni nazionali si sposta verso

l’alto in misura pari a ∆X. All’aumentare delle esportazioni la retta che rappresenta le esportazioni

nette si sposta anch’essa verso l’alto in pari misura. Un maggior livello di produzione estera genera

maggiori esportazioni di beni nazionali che a loro volta fanno aumentare la produzione interna e la

domanda nazionale di beni attraverso il moltiplicatore. La bilancia commerciale migliora in quanto

la retta DD (domanda nazionale) non si sposta, quindi le importazioni aumentano ma non

compensano l’incremento delle esportazioni.

Un riesame della politica fiscale: Un aumento della domanda nazionale provoca un incremento

della produzione ma un peggioramento del saldo commerciale. Un aumento della domanda estera

provoca un incremento della produzione nazionale e un miglioramento del salto commerciale. Tali

risultati implicano che gli shock di domanda in un paese hanno effetti anche in tutti gli altri paesi in

base ai legami commerciali e avranno andamenti economici simili. Tali interazioni complicano il

compito delle autorità di politica economica nel caso della politica fiscale. I governi non vogliono

incorrere in disavanzi commerciali perché si accumula debito nei confronti del resto del mondo e

devono pagare interessi sempre più alti e quindi si predilige un aumento della domanda estera

piuttosto che nazionale. In caso di recessione la soluzione si avrebbe se tutti i paesi coordinassero

le loro politiche macroeconomiche in modo da aumentare la

domanda interna simultaneamente, potrebbero aumentare la produzione senza generare

maggiori disavanzi commerciali tra loro in quanto l’aumento della domanda genererebbe aumenti

di importazioni e esportazioni per ogni paese ottenendo una compensazione. Il coordinamento

potrebbe richiedere ad alcuni paesi di intervenire più di altri e non è detto che essi siano disposti a

farlo, hanno un forte incentivo a promettere di aderire al coordinamento per poi rinnegare la loro

promessa non raggiungendo gli effetti di uscita dalla recessione.

DEPREZZAMENTO, BILANCIA COMMERCIALE E PRODUZIONE:

Si suppone che il governo intraprenda misure di politica economica che portino a un

deprezzamento della valuta nazionale ossia a una riduzione del tasso di cambio nominale. Il tasso

di cambio reale ε=EP/P*. poiché si analizza il breve periodo si ipotizza

che i prezzi siano costanti quindi un deprezzamento nominale si riflette in un deprezzamento reale

di pari ammontare.

Deprezzamento e bilancia commerciale, la condizione di Marshall-Lerner: La definizione di

esportazioni nette è NX=X-(IM/ε), sostituendo X e IM con le loro espressioni si ottiene NX=X(y*,ε)-

[IM(Y,ε)/ε]. Siccome il tasso di cambio reale entra nell’espressione delle esportazioni nette tre

volte, il deprezzamento reale influenza la bilancia commerciale attraverso tre canali in quanto le

esportazioni X aumentano (il deprezzamento reale rende i beni nazionali meno costosi all’estero

provocando un aumento della domanda estera di beni nazionali e quindi un incremento delle

esportazioni), le importazioni IM diminuiscono (deprezzamento reale che rendi i beni esteri più

costosi provoca un aumento della domanda interna e una riduzione delle importazioni), il prezzo

re lativo dei beni est eri in term ini di beni nazio nali 1/ ε aum enta (aumenta il valore delle

importazioni e quindi la stessa quantità di importazioni ora costa di più in termini di beni

nazionali). Affinché la bilancia commerciale migliori a seguito di un deprezzamento, le esportazioni

devono aumentare in misura sufficiente e le importazioni devono diminuire abbastanza da

compensare l’aumento del prezzo dei beni importati. La condizione in base alla quale un

deprezzamento reale genera un aumento delle esportazioni nette è nota come condizione di

Marshall-Lerner.

Gli effetti di un deprezzamento: La variazione delle esportazioni nette fa variare la produzione

nazionale influenzando ulteriormente le esportazioni nette. Un deprezzamento comporta ad ogni

livello di reddito un aumento delle esportazioni nette quindi tutte le curve ZZ, NX si spostano verso

l’alto insieme all’equilibrio. La bilancia commerciale migliora perché l’aumento delle importazioni

indotto da un incremento della produzione è inferiore al miglioramento della bilancia commerciale

indotto direttamente dal deprezzamento, quindi il deprezzamento provoca una variazione della

domanda estera ed interna a favore dei beni nazionali che genera un aumento della produzione

interna e un miglioramento della bilancia commerciale. Un deprezzamento agisce rendendo i beni

esteri relativamente più costosi riducendo il

tenore di vita suscitando tensioni sociali.

La combinazione di politiche fiscali e di cambio: Nel caso in cui il paese sia in disavanzo

commerciale bisogna attuare una giusta combinazione di deprezzamento e stretta fiscale. Bisogna

generare un deprezzamento sufficiente a eliminare il disavanzo commerciale al livello iniziale di

produzione. Per evitare l’effetto espansivo il governo deve ridurre la spesa pubblica attuando una

stretta fiscale che lascia invariato il livello di produzione e migliora la bilancia commerciale.

Bisogna usare la politica fiscale insieme a quella del tasso di cambio. La combinazione suddetta

non garantisce che il deprezzamento riesca a generare un incremento sufficiente di prodotto a

eliminare il disavanzo commerciale e quindi bisogna accompagnare il deprezzamento con un

aumento o diminuzione di spesa pubblica.

UNO SGUARDO ALLA DINAMICA, LA CURVA J:

Un deprezzamento genera un aumento delle esportazioni e una riduzione delle importazioni ma

tali effetti richiedono tempo in quanto nei primi mesi dopo il deprezzamento l’effetto si riflette più

sui prezzi che sulle quantità e queste si aggiusteranno lentamente. È dunque impossibile che un

deprezzamento causi un peggioramento iniziale della bilancia commerciale. Con il passare del

tempo le esportazioni aumentano e le importazioni diminuiscono fino a diventare più forte

dell’effetto negativo sui prezzi migliorando la bilancia commerciale riducendo il disavanzo

commerciale. Il processo di aggiustamento è definito come graficamente come curva J perché la

curva assomiglia appunto

a una J che prima scende e poi sale. Le variazioni del tasso di cambio reale si riflettono in

movimenti paralleli delle esportazioni nette e l’apprezzamento è stato associato a un ampio

miglioramento della bilancia commerciale e il successivo deprezzamento è stato accompagnato da

un miglioramento della bilancia commerciale. Tuttavia si osservano ritardi nella risposta della

bilancia commerciale a variazioni del tasso di cambio reale e tali ritardi hanno conseguenze sugli

effetti di un deprezzamento non solo sulla bilancia commerciale ma anche sulla produzione. Se un

deprezzamento riduce inizialmente le esportazioni nette esso esercita anche un effetto recessivo

sulla produzione quindi per migliorare la bilancia commerciale e per espandere la produzione

nazionale si deve tenere conto che inizialmente gli effetti andranno in direzione opposta.

RISPARMIO, INVESTIMENTO E DISAVANZO COMMERCIALE:

In condizione di equilibrio la bilancia commerciale NX deve essere uguale al risparmio (privato S e

pubblico T-G) meno l’investimento I quindi NX=S+(T-G)-I. Un avanzo commerciale corrisponde a un

eccesso di risparmio sull’investimento mentre un

disavanzo corrisponde a un eccesso di investimento sul risparmio. Un avanzo commerciale

comporta un prestito netto al resto del mondo mentre un disavanzo comporta un debito netto nei

confronti del mondo. Un aum ento dell’inv estim ento deve riflettersi in un aumento del

risparmio privato, del risparmio pubblico o in un peggioramento del saldo commerciale. Un

aumento del disavanzo di bilancio si riflette in un aumento del risparmio privato, in una riduzione

dell’investimento o in un peggioramento del saldo commerciale. Un paese con alto tasso di

risparmio pubblico e privato deve avere un elevato tasso di investimento o un significativo avanzo

commerciale. Il deprezzamento incide sul risparmio e sull’investimento attraverso la domanda di

beni nazionali e attraverso un aumento della produzione in quanto una produzione più elevata fa

aumentare il risparmio rispetto all’investimento oppure riduce il disavanzo commerciale.