Dossier confronti maggio

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I Augusto Battaglia Q uando la Fiat, Fabbrica italiana auto- mobili Torino, trasloca la sua storica sede dalle rive del Po fino alla lontana Olanda. Quando un magnate indone- siano fino ad allora sconosciuto, tale Erick Thohir, acquista l’Inter dalla ricca famiglia Moratti. Quando la pizza al negozio sotto ca- sa te la cuoce un nordafricano, mentre l’en- nesimo barcone carico di migranti naufraga a Lampedusa, è forse giunto il momento di prendere coscienza fino in fondo dei grandi cambiamenti determinati nell’economia e nella vita quotidiana da quel fenomeno epo- cale che passa sotto il nome di globalizzazio- ne. E, soprattutto, di quali ulteriori e straor- dinarie trasformazioni ed innovazioni sarà foriero, quali effetti sull’intera comunità po- trà determinare un sistema economico e fi- nanziario che si muove liberamente a tutto campo, non più ingessato in confini naziona- li, che mal sopporta le regole di stati ed isti- tuzioni sovranazionali, che sempre più pren- de le distanze dai territori, dalle forze socia- li e dai governi. Mentre ristretti nuclei di po- tere della finanza e delle multinazionali pos- sono condizionare pesantemente con le loro decisioni i destini di interi popoli. Riflessione più che urgente in un paese co- me l’Italia che, al di là di qualche timido se- gnale di risveglio, vede la sua economia tra- scinarsi in una crisi ormai giunta al sesto an- no con conseguenze negative che investono pesantemente le comunità, le famiglie e, so- prattutto, le giovani generazioni. Molte no- stre aziende perdono terreno e competitività sui mercati internazionali. In tante trasferi- scono le produzioni all’estero. E la disoccu- pazione tocca a gennaio un nuovo record balzando al 12,9 per cento, in rialzo di 0,2 su dicembre e di 1,1 su base annua. E se si guar- da ai giovani, nella fascia di età tra 15 e 24 anni la disoccupazione è al 42,4% ed in 690mila cercano un lavoro. Una dimensione del problema drammaticamente confermata dai dati sugli occupati che nel 2013 diminui- scono di 478mila unità, 2,1 punti in meno ri- spetto al 2012. Si tratta della maggiore emor- ragia di posti di lavoro dall’inizio della crisi, con i senza lavoro che superano quota 3 mi- lioni, quasi la metà nel Mezzogiorno. E non siamo i soli in difficoltà in Europa, c’è la Gre- cia e la Spagna, soprattutto, a soffrire più di tutti con la disoccupazione al 25,8 per cento. Come reagire, da dove ripartire per la ripre- sa? Certo, occorre andare oltre le politiche di austerity rilanciando investimenti e consumi. Ma è anche il momento di promuovere un’e- conomia nuova, un’economia sociale di mer- cato, partecipata, che nasca dai territori, ne valorizzi le risorse umane, naturali, culturali ed ambientali, gestisca i beni comuni. Che af- fronti con concretezza i problemi delle fami- glie e delle comunità e promuova coesione so- ciale. Che sappia offrire nuove opportunità ai giovani ed a quelle che si definiscono fasce de- boli del mercato del lavoro, persone con disa- Per un’economia sociale partecipata L’ICEBERG IDEE, DIBATTITI, APPROFONDIMENTI La crisi economica ha prodotto effet- ti drammatici sulla nostra società, ormai globalizzata a tutti i livelli, ed in particolare sulla vita quotidiana dei cittadini. Il nostro paese non cre- sce e la perdita del lavoro traccia un futuro pieno di incertezze. L’aumen- to delle situazioni di povertà e di emarginazione minano la tenuta, sempre più fragile, della coesione so- ciale. L’economia quindi e, in particolare, il ruolo che potrebbe giocare l’economia sociale per il raggiungimento degli obiettivi di crescita sostenibile e di piena occupazione fissati dalla Stra- tegia di Lisbona, è il tema su cui in- tendiamo soffermare la nostra atten- zione. In particolare vorremmo riflettere su quanto l’idea di società basata su un tipo di economia sociale sostenibile possa aiutare il paese a crescere, as- sociando allo sviluppo diritti sociali e una nuova etica della convivenza, che a partire dall’attivazione delle ri- sorse del territorio, dall’individuazio- ne dei bisogni sociali e dalla promo- zione delle fasce deboli nel mercato del lavoro rimetta al centro la produ- zione di valore sociale come Bene co- mune. L’inserto è stato curato da Rocco Luigi Mangiavillano

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Augusto Battaglia

Q uando la Fiat, Fabbrica italiana auto-mobili Torino, trasloca la sua storicasede dalle rive del Po fino alla lontanaOlanda. Quando un magnate indone-

siano fino ad allora sconosciuto, tale ErickThohir, acquista l’Inter dalla ricca famigliaMoratti. Quando la pizza al negozio sotto ca-sa te la cuoce un nordafricano, mentre l’en-nesimo barcone carico di migranti naufragaa Lampedusa, è forse giunto il momento diprendere coscienza fino in fondo dei grandicambiamenti determinati nell’economia enella vita quotidiana da quel fenomeno epo-cale che passa sotto il nome di globalizzazio-ne. E, soprattutto, di quali ulteriori e straor-dinarie trasformazioni ed innovazioni saràforiero, quali effetti sull’intera comunità po-trà determinare un sistema economico e fi-nanziario che si muove liberamente a tuttocampo, non più ingessato in confini naziona-li, che mal sopporta le regole di stati ed isti-tuzioni sovranazionali, che sempre più pren-de le distanze dai territori, dalle forze socia-li e dai governi. Mentre ristretti nuclei di po-tere della finanza e delle multinazionali pos-sono condizionare pesantemente con le lorodecisioni i destini di interi popoli.

Riflessione più che urgente in un paese co-me l’Italia che, al di là di qualche timido se-gnale di risveglio, vede la sua economia tra-scinarsi in una crisi ormai giunta al sesto an-no con conseguenze negative che investonopesantemente le comunità, le famiglie e, so-

prattutto, le giovani generazioni. Molte no-stre aziende perdono terreno e competitivitàsui mercati internazionali. In tante trasferi-scono le produzioni all’estero. E la disoccu-pazione tocca a gennaio un nuovo recordbalzando al 12,9 per cento, in rialzo di 0,2 sudicembre e di 1,1 su base annua. E se si guar-da ai giovani, nella fascia di età tra 15 e 24anni la disoccupazione è al 42,4% ed in690mila cercano un lavoro. Una dimensionedel problema drammaticamente confermatadai dati sugli occupati che nel 2013 diminui-scono di 478mila unità, 2,1 punti in meno ri-spetto al 2012. Si tratta della maggiore emor-ragia di posti di lavoro dall’inizio della crisi,con i senza lavoro che superano quota 3 mi-lioni, quasi la metà nel Mezzogiorno. E nonsiamo i soli in difficoltà in Europa, c’è la Gre-cia e la Spagna, soprattutto, a soffrire più ditutti con la disoccupazione al 25,8 per cento.

Come reagire, da dove ripartire per la ripre-sa? Certo, occorre andare oltre le politiche diausterity rilanciando investimenti e consumi.Ma è anche il momento di promuovere un’e-conomia nuova, un’economia sociale di mer-cato, partecipata, che nasca dai territori, nevalorizzi le risorse umane, naturali, culturalied ambientali, gestisca i beni comuni. Che af-fronti con concretezza i problemi delle fami-glie e delle comunità e promuova coesione so-ciale. Che sappia offrire nuove opportunità aigiovani ed a quelle che si definiscono fasce de-boli del mercato del lavoro, persone con disa-

Per un’economia socialepartecipata

L’ICEBERGIDEE, DIBATTITI, APPROFONDIMENTI

La crisi economica ha prodotto effet-ti drammatici sulla nostra società,ormai globalizzata a tutti i livelli, edin particolare sulla vita quotidianadei cittadini. Il nostro paese non cre-sce e la perdita del lavoro traccia unfuturo pieno di incertezze. L’aumen-to delle situazioni di povertà e diemarginazione minano la tenuta,sempre più fragile, della coesione so-ciale.L’economia quindi e, in particolare, il

ruolo che potrebbe giocare l’economiasociale per il raggiungimento degliobiettivi di crescita sostenibile e dipiena occupazione fissati dalla Stra-tegia di Lisbona, è il tema su cui in-tendiamo soffermare la nostra atten-zione.In particolare vorremmo riflettere suquanto l’idea di società basata su untipo di economia sociale sostenibilepossa aiutare il paese a crescere, as-sociando allo sviluppo diritti sociali e

una nuova etica della convivenza,che a partire dall’attivazione delle ri-sorse del territorio, dall’individuazio-ne dei bisogni sociali e dalla promo-zione delle fasce deboli nel mercatodel lavoro rimetta al centro la produ-zione di valore sociale come Bene co-mune.

L’inserto è stato curato da Rocco Luigi Mangiavillano

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bilità o disagio, in particolare, destinate altri-menti all’esclusione sociale ed a gravare inevi-tabilmente sul welfare e sulla spesa pubblica.Un’economia che crei innovazione e che con-tribuisca per le sue peculiari caratteristiche acondizionare ed a riequilibrare in qualche mo-do il sistema economico e finanziario globa-lizzato, riavvicinandolo ai territori ed alla gen-te, riconciliandolo con le regole e gli strumen-ti della democrazia. È una questione che si po-ne soprattutto l’Europa, che vede ormai a ri-schio quel modello di lavoro e di welfare chedal dopoguerra ad oggi ha saputo garantiresviluppo, civiltà, diritti e benessere all’interovecchio continente, e non solo.

«L’Europa di domani si fonda sulla cresci-ta economica sostenibile, solidale ed inclusi-va», si leggeva nella Comunicazione dellaCommissione Ue dell’ottobre 2011, che rac-coglieva l’appello «Dalle parole ai fatti» per ilsostegno all’impresa sociale, sottoscritto da240 accademici ed economisti di ben 29 pae-si. Principi, enunciati con chiarezza già nelTrattato dell’Unione, che vanno ormai pren-dendo corpo in concreti atti politici ed am-ministrativi che mettono in campo risorse esollecitano, soprattutto, gli stati membri adadottare misure concrete. Ultime le Diretti-ve appalti e concessioni approvate lo scorso15 gennaio dal Parlamento europeo, indiriz-zi che dovranno essere recepiti dalla legisla-zione nazionale, ma che già oggi sollecitanomisure ed azioni concrete. L’adozione diclausole sociali negli affidamenti, nelle garee nelle concessioni pubbliche per premiare eselezionare le offerte che meglio sappiano in-tegrare qualità di prodotto e sensibilità socia-le ed ambientale. La sussidiarietà ed il rico-noscimento della specificità del non profit edei benefici che possono derivare per la col-lettività dal privilegiare questo tipo di impre-se, solidali e partecipate, nell’erogazione diservizi e prestazioni sociali. Più spazio agliappalti riservati con affidamenti anche oltresoglia per quelle imprese, come le coopera-tive sociali di tipo B, che danno lavoro a sog-getti svantaggiati, disabili, ex detenuti, giova-ni rom ed altre categorie già indicate dal Re-golamento CE 800/2008.

I segnali dall’Europa sono chiari e sembrache finalmente comincino ad essere raccolticon convinzione anche dal governo italiano.Nell’ambito del cosiddetto Jobs Act, infatti,le tanto annunciate misure per il rilancio del-l’occupazione, sarà messa in bilancio dal

prossimo giugno la bella somma di 500 mi-lioni di euro per lo sviluppo di imprese socia-li. Un indubbio segnale di apprezzamentoper quella rete di quasi 400mila imprese edorganizzazioni, per quei tanti cooperatori edimprenditori sociali che in questi anni han-no saputo reggere alla crisi, mantenere i livel-li occupazionali ed in molti casi creare nuo-vi posti di lavoro. Un’opportunità da nonsprecare per il variegato e dinamico mondodell’economia sociale, che ha l’occasione didimostrare di essere una grande ed indispen-sabile risorsa per l’intera economia e per ilPaese. Che può finalmente porsi l’obiettivo dipuntare ai vertici del settore in Europa, al li-vello di paesi come Francia, Olanda e Ger-mania, soprattutto, dove l’economia socialerappresenta un pezzo importante del siste-ma economico, conta oltre il 10 per cento deltotale delle imprese e può vantare marchi delcalibro di Bosch.

Un’occasione da non perdere nemmenoper governo e Parlamento, dove non manca-no interessanti proposte di legge. Proposteche spaziano dall’ampliamento dei settori incui opera l’impresa sociale, a partire da com-mercio equo e solidale, alloggio sociale e mi-crocredito, alle agevolazioni contributive efiscali per i nuovi assunti, in particolare per igiovani. Agevolazioni e sostegno nei proces-si di riconversione parziale o totale in impre-sa sociale di aziende in crisi e destinazione diimmobili pubblici a progetti per lo sviluppodi nuove imprese sociali. Programmi di svi-luppo territoriale e, perché no, un accordoquadro Stato-Regioni che detti, in particola-re agli enti locali, linee di indirizzo in mate-ria di clausole sociali, dando seguito e svilup-po alle Linee guida già emanate dall’Autoritàdi vigilanza sui contratti pubblici. È il mo-mento di promuovere un concreto pacchet-to di misure che dia corpo ad un Piano na-zionale. Un Piano che potrebbe prendere lemosse da una Conferenza promossa dal go-verno, che ponga tutto il mondo dell’econo-mia sociale nelle condizioni di mettere incampo idee, proposte, progetti che la renda-no protagonista di una nuova fase di svilup-po e di crescita economica sempre più soli-dale, sostenibile ed inclusiva. Uno sviluppoche rilanci il nostro Paese, che offra nuoveopportunità ai giovani, ma che sappia ancheguardare al destino di popoli lontani che at-tendono benessere e diritti da un’economiasociale globalizzata.

Nell’ambito delcosiddetto Jobs Act, sarà messa in bilanciodal prossimo giugno la bella somma di 500milioni di euro per lo sviluppo di imprese sociali. Un indubbio segnale diapprezzamento perquella rete di quasi400mila imprese edorganizzazioni, per queitanti cooperatori edimprenditori sociali chein questi anni hannosaputo reggere allacrisi, mantenere i livellioccupazionali ed inmolti casi creare nuoviposti di lavoro.

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L’economia del nostro Paese, ad oggi, pre-senta gli stessi nodi problematici già evi-

denziati nei recenti rapporti del Cnel relativia sviluppo e mercato del lavoro in Italia, e idati Istat danno conferma della drammaticitàdei numeri sulla disoccupazione. Il governosostiene che la maggiore flessibilità, l’abbas-samento del cuneo fiscale, soprattutto perl’Irpef dei lavoratori dipendenti, la restituzio-ne del debito della Pubblica amministrazionealle imprese, il Jobs Act, daranno maggioreequilibrio all’attuale «ferita» tra domanda eofferta, soprattutto nella promozione delle fa-sce deboli nel mercato del lavoro. I segnali diapprezzamento, dati anche dall’Europa, ci sti-molano infine all’urgenza di avviare una fasedi riforme tese a un cambio di marcia. La no-mina a ministro del Lavoro di un esponentedella cooperazione (Giuliano Poletti) vieneaccolto come un segnale che va in questa di-rezione. Su questi temi abbiamo intervistatoEdoardo Patriarca, componente della com-missione Affari sociali alla Camera.

Le riforme proposte dal governo per fronteg-giare il record negativo illustrato dalle stati-stiche, secondo lei, rappresentano una rispo-sta concreta alla crisi del mercato del lavoro?Il trend illustrato dai dati Istat, dai rapportisul lavoro del Cnel, da Unioncamere, pur-troppo segue un ribasso che ancora non siferma. Questo ci dice come il sistema-paese,l’Italia, sia un sistema in grande difficoltà,non da oggi ma, credo, da più di un decen-nio. L’analisi della situazione, a quando eroancora consigliere del Cnel, era legata ad al-cuni fattori che sono i nodi problematici an-cora attuali. Un elemento importante di cri-ticità riguarda la perdita di competitività, chenon è riferibile esclusivamente al problemadel costo del lavoro. L’Italia ha perso, in que-sti ultimi 15 anni, passo dopo passo, capacitàcompetitiva, sulla quale hanno avuto influen-za anche i costi dell’energia, i costi della giu-stizia, i costi del processo che ha portato aidebiti della Pubblica amministrazione, lamancanza di investimenti strategici, la diffi-coltà del sistema imprenditoriale ad innova-re nelle nuove tecnologie. In Germania, per

esempio, i salari sono più elevati dei nostri eallo stesso tempo i tedeschi rimangono com-petitivi. Contenere la «supremazia» dei mer-cati e delle banche e superare allo stesso tem-po un modello di governance europea basatasolo su politiche di austerity, è la strada perripartire con gli investimenti e ridare centra-lità al lavoro e quindi al sociale.

Non pensa quindi che sia urgente un Piano disistema, con la partecipazione diretta di tut-ti gli attori, per ridisegnare nuove regole e ri-mettere al centro il lavoro?Oltre al costo del lavoro bisogna guardare atutti gli aspetti del sistema-paese, compresele infrastrutture e la scuola. Un elemento im-portante riguarda proprio l’istruzione e il ri-lancio della formazione professionale, nell’ot-tica di ripristinare quello scarto esistente traofferta formativa e richiesta oggettiva delmercato del lavoro. Questa vicenda può ri-solversi concentrando maggiori investimen-ti nella formazione, eliminandone gli sprechi.Bisogna favorire maggiormente l’ingresso al-le esperienze di lavoro in fase formativa. Inostri ragazzi incontrano il lavoro molto piùtardi rispetto ai giovani tedeschi. Ad esem-pio in Italia il servizio civile, purtroppo mol-to trascurato in questi anni, ha rappresenta-to un’occasione importante per i giovani,perché oltre ad educare alla pace, e formarealla legalità e alla cittadinanza, è stato il vei-colo di incontro tra le nuove generazioni eil lavoro sociale e culturale delle associazio-ni e della cooperazione. L’altro punto criti-co è dato dalla «negazione» del lavoro fem-minile. Nel nostro Paese si registra una bas-sa frequenza e soprattutto – questo è il datopiù preoccupante – una bassa permanenzadelle donne nel mercato del lavoro. Di fattomoltissime donne, in mancanza di strumen-ti di tutela della maternità, al secondo figlio,tante addirittura al primo, abbandonano il la-voro definitivamente. Questo potenziale,purtroppo da noi inespresso, secondo glianalisti, nelle altre esperienze in Europa rap-presenta il 6% circa del Pil, perché se le don-ne entrano nel lavoro, crescono anche i ser-vizi intorno ai nuovi bisogni della famiglia equindi nuova occupabilità. Altra criticità de-riva dalla difficoltà delle piccole imprese, pre-valenti nel nostro Paese, a garantire processidi innovazione tecnologica di grande profon-dità, escludendo così a priori la possibilità diassumere giovani laureati. Il sistema ingar-

«Contenere la“supremazia” deimercati e delle banche esuperare allo stessotempo un modello digovernance europeabasata solo su politichedi austerità, è la stradaper ripartire con gliinvestimenti e ridarecentralità al lavoro equindi al sociale».Patriarca è componentedella commissioneAffari sociali dellaCamera ed è statoportavoce del Forum delTerzo settore.

Rimettere il sociale al centro

Edoardo Patriarca

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bugliato così com’è credo sia un vero freno alnostro sviluppo. Non si tratta solo di sempli-ficare, c’è soprattutto la necessità di avviareun processo condiviso con tutte le parti, pertoccare proprio quei fattori strategici e suquesti concentrare le nostre energie, alloral’Italia potrà farcela.

Il nuovo disegno di legge per l’Impresa socialepuò rappresentare quella rivoluzione tantoattesa per il nostro Paese, già inventore in Eu-ropa della cooperazione sociale (legge381/91)?. Che ruolo l’economia sociale potreb-be giocare nelle politiche di sviluppo affinchéalla produzione di valore economico venga co-niugato il rilancio di un sistema di welfaresussidiario inclusivo e universale?La cosa migliore per le famiglie e per i giova-ni non è tanto o soltanto assicurare un siste-ma di protezione, di ammortizzatore socialeuniversale, cosa che comunque va fatta, quan-to dare la possibilità alle persone di lavoraregarantendo a tutti l’accesso al reddito attra-verso il lavoro. Sicuramente l’economia socia-le e il Terzo settore, elementi chiave del no-stro sistema, debbono anche loro fare mag-giormente rete per avere più capacità di inno-vazione, non solo di tipo tecnologico, ma so-prattutto sociale. Il Paese, da loro, si attendeun grande stimolo per un rinnovamento del-le politiche di welfare, delle politiche cultura-li, riguardo la protezione ambientale, la ge-stione del patrimonio archeologico paesaggi-stico e lo sviluppo delle bio-agricolture, inconcreto operare in tutta l’area che io defini-sco quella dei Beni comuni. È il Terzo settore,nella sua forma soprattutto imprenditoriale,il soggetto strategico, che accanto alle pubbli-che amministrazioni e, io dico, insieme ancheal privato, deve raccogliere questa sfida. Par-lo delle cooperative e delle imprese sociali,soggetti che sono privati ma, come sappiamotutti, hanno responsabilità e vocazione pub-blica. Allora tutto il welfare, inteso nell’acce-zione più ampia, operando nell’area dei Benicomuni, finora trascurati dallo Stato, oltre adoffrire occupazione, poiché settori ad alta in-tensità lavorativa, può aggiungere valore ri-lanciandoli come strumenti chiave dello svi-luppo. Il patrimonio culturale artistico, am-bientale è il vero potenziale su cui costruireun modello di sviluppo sia economico che so-ciale, nel territorio con il territorio.

intervista a cura di RRooccccoo LLuuiiggii MMaannggiiaavviillllaannoo

Da troppo tempo si discute dell’anacronismoe dell’insostenibilità dei parametri del Pat-

to di stabilità e ora del fiscal compact, chestanno distruggendo il welfare ed i diritti so-ciali. Potremmo fare l’antologia di tutte le di-chiarazioni di ex presidenti del Consiglio, diex ministri dell’Economia e delle Finanze, diex presidenti della Commissione europea edel Parlamento europeo che definiscono sen-za senso, arbitrari, stupidi e insostenibili que-sti parametri. Anche l’attuale presidente delConsiglio ha definito anacronistici questi pa-rametri, eppure si continua come sempre inuna politica suicida che alimenta la disoccu-pazione e la depressione economica della pro-duzione. È questa una politica economica chepensa non ci sia bisogno del welfare perché cipensa la filantropia, che pensa non ci sia biso-gno di politica industriale perché intanto cipensa il mercato. E che pensa che non ci siabisogno di una politica del lavoro perché ba-sta la liberalizzazione del mercato del lavoro.È questa una politica economica che pensache la causa della crisi sia quella del debitopubblico, ma non si accorge che sono i mer-cati finanziari che nel 2007 hanno originatoquesta crisi. In questi anni, invece di fare il«contropelo» ai mercati finanziari, gli abbia-mo «lisciato il pelo», facendogli tanti regali,esentandoli dalle regole, salvandoli con i sol-di pubblici. E anche la futura Unione inter-bancaria rischia di essere un «pannicello cal-do», se non interviene sulla separazione trabanche commerciali e banche d’affari.

Le ricette sono sempre le solite, semprequelle: riduzione del welfare e liberalizzazio-ni a tutto spiano, ma nell’interesse del mer-cato, non della società, a favore di nuovi mo-nopoli privati e non della concorrenza. E, perparafrasare Joyce, questo è un liberismo cheha per motto «libera volpe in libero pollaio».Ma invece oggi abbiamo bisogno di più wel-fare, di più politica economica, di maggioriregole, di maggiore intervento pubblico. Èuna balla quella che noi abbiamo una spesapubblica più alta di altri paesi europei. Inve-ce è inferiore alla media europea per l’inno-vazione e la ricerca, per l’istruzione, per il la-voro, per la famiglia, per gli investimenti

«È questa una politicaeconomica che pensanon ci sia bisogno del welfare perché ci pensa la filantropia,che pensa non ci siabisogno di politicaindustriale perché tanto ci pensa il mercato. E che pensache non ci sia bisogno di una politica dellavoro perché basta la liberalizzazione del mercato del lavoro».Già portavoce della campagna«Sbilanciamoci!»,Marcon è deputato di Sinistra ecologia e libertà.

No all’austerità, sì a lavoro e welfareGiulio Marcon

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pubblici, per il welfare. Il problema è il debi-to, si dice, ma le politiche di austerità han-no fatto aumentare il debito in sei anni di 30punti in Europa e di 15 punti in Italia negliultimi tre anni. E queste stesse politiche han-no fatto salire a 27 milioni di persone il nu-mero di disoccupati e hanno causato il crol-lo del Pil quasi dappertutto e in Italia del 9per cento rispetto al 2007.

L’austerità non è altro che la «continuazio-ne del neoliberismo con altri mezzi». E quel-li che il Nobel per l’economia Paul Krugmandefinisce gli «austerici», ovvero gli istericidell’austerità, hanno continuato a violare leregole del buonsenso portandoci in questotunnel senza uscita con il welfare in frantu-mi. È più facile ridurre le spese durante unafase di crescita che in un periodo di crisi,quando bisogna fare investimenti per rilan-ciare la domanda e intervenire sui consumi.In questi anni ci si è affidati al mercato e allasua efficienza. Sì, la stessa efficienza dimo-strata dai mercati finanziari nel 2007 e nel2008. Di questa efficienza facciamo volentie-ri a meno. In questi anni è aumentata la spe-sa pubblica, ma non la spesa sociale. È au-mentata perché si sono usati soldi pubbliciper salvare le banche private e perché la spe-sa per il debito è cresciuta per la crisi econo-mica e la diminuzione delle entrate. Si è pen-sato di risolvere il problema semplicementeriducendo le spese (quelle dei diritti e delwelfare), mentre dovevamo aumentare le en-trate puntando sul rilancio dell’economia edegli investimenti. Ci siamo affidati comple-tamente al mercato, sbagliando. Possiamo di-scutere di quale economia di mercato abbia-mo bisogno, ma non abbiamo certo bisognodi una società di mercato e, per dirla conKarl Polanyi, è il mercato a dover essere in-corporato nella società, e non viceversa. Ec-co perché va rifiutata l’impostazione, la filo-sofia, nonché i dispositivi concreti del fiscalcompact e del Patto di stabilità.

Bisogna prevedere uno scostamento del 3per cento per gli investimenti per l’istruzio-ne, l’innovazione, la sanità e il welfare; unoscostamento che, nel medio periodo, nonproduce più debito, ma maggiore crescita e,quindi, entrate. L’Italia, in sede europea, de-ve essere promotrice di una politica moneta-ria più determinata della Bce, rispetto sia aldollaro che al rilancio della spesa per gli in-vestimenti. Serve, allora, un piano organicoe finalizzato all’emissione di Eurobond per

un «Green new deal» e per il lavoro. È il la-voro che deve tornare al centro, altrimentinon avremo nemmeno più la possibilità di ri-durre il debito. Dobbiamo capovolgere lepriorità in Europa: il lavoro e non le banche,gli investimenti pubblici e non la riduzionedella spesa sociale, l’intervento pubblico enon il mercato.

Per il prossimo semestre europeo di Presi-denza italiana che comincia il primo luglio, ilgoverno si deve fare promotore di due inizia-tive. La prima: una proposta di revisione radi-cale dei trattati e dei regolamenti che regola-no il Patto di stabilità e di crescita. La secon-da, una proposta, da definire nei prossimi me-si in previsione della mid-term review del bi-lancio europeo, che vada in due direzioni: au-mento sensibile del bilancio europeo, anchecon strumenti di fiscalità comunitaria, e ac-crescimento della parte del bilancio europeodestinato alle politiche di coesione sociale e diwelfare, di sviluppo e di crescita. L’Europa habisogno subito di quattro medicine: la finedell’austerità, maggiore democrazia, maggio-ri regole ai mercati finanziari ed un New Dealsociale, democratico, ecologico, capace dicreare lavoro e dare fiato alle imprese.

Le politiche di austerità e il fondamentali-smo di mercato hanno distrutto il welfare,hanno alimentato e continuano ad alimenta-re i populismi e le destre. Dopo le emergen-ze economica e del lavoro dobbiamo evitareun’emergenza democratica in Europa. Eccoperché dobbiamo cambiare strada e prende-re la strada della bistrattata – troppo bistrat-tata – Strategia Europa 2020 a favore dellarealizzazione di quegli obiettivi sociali e de-mocratici oggi dimenticati: rilanciare il wel-fare e la coesione sociale è la premessa per ri-lanciare il sogno europeo, combattere la cri-si e dare più diritti a tutti.

Il lavoro deve tornare alcentro, altrimenti nonavremo nemmeno più lapossibilità di ridurre ildebito. Dobbiamocapovolgere le prioritàin Europa: il lavoro enon le banche, gliinvestimenti pubblici enon la riduzione dellaspesa sociale,l’intervento pubblico enon il mercato.

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foto: Progetto RiciclandiaConsorzio A. Bastiani

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U na riflessione non episodica sulle pro-spettive dell’economia sociale è possibile

a due condizioni. La prima è che si prendaatto che essa già rappresenta – con le suequasi 400mila organizzazioni e più di 200miliardi di giro d’affari e oltre due milioni dioccupati – un pezzo importante dell’econo-mia italiana e, grazie alla cooperazione socia-le, dell’offerta di servizi sociali ed educativi.La seconda condizione è che si tenga semprepresente l’ampio spettro di attività in cui leassociazioni, cooperative e fondazioni sonoimpegnate, e quindi la molteplicità di ruoliche esse svolgono e ancor di più quelli chepotranno svolgere nei prossimi anni, e non cisi fissi solo su una particolare forma o su sin-gole, pur interessanti esperienze. Solo cosìsarà possibile capire quali ruoli possono svol-gere le varie organizzazioni dell’economia so-ciale all’interno della complessa transizioneche sta interessando l’economia e la societàitaliana e che vede coinvolti sia il sistemaproduttivo, in particolare industriale, chequello del welfare. Una transizione che stadeterminando, da un lato, il definitivo abban-dono di gran parte delle tradizionali produ-zioni industriali a basso valore aggiunto euna contrazione strutturale del settore im-mobiliare, con la perdita definitiva di un nu-mero elevato di posti di lavoro e, dall’altro,una progressiva riduzione dell’offerta pubbli-ca di servizi di welfare e, anche in questo ca-so, della relativa occupazione. In un contestoquindi dove la via di uscita dalla crisi passanecessariamente, e per tutti i settori, per pro-cessi di innovazione materiale, immateriale,produttiva, organizzativa e sociale e percambiamenti profondi dei modelli di lavoro,di produzione e di consumo. Alcuni di que-sti processi sono già visibili: nel rilancio delsettore agricolo, considerato fino a primadella crisi del tutto marginale, nell’andamen-to anticiclico dei prodotti del made in Italy epiù in generale delle produzioni industrialiinnovative, nella tenuta, con non pochi se-gnali di effervescenza, del settore dei servizialla persona e alla comunità. Ma stannocambiando anche i comportamenti dei con-sumatori: l’attività di consumo è diventata

più riflessiva, sono in aumento le forme dicooperazione sia nelle attività di consumoche di co-produzione di beni e servizi edemerge una crescente disponibilità delle per-sone a farsi carico della produzione di benicomuni.

È in queste tendenze evolutive che le diver-se forme dell’economia sociale trovano nuo-vi spazi e non solo possono, ma devono riu-scire a dare il proprio contributo affinché nonsi perdano importanti occasioni di crescita,di benessere e di innovazione. Tre sono leprincipali direzioni in cui l’economia socialepuò dare il proprio specifico contributo.

La prima direzione è quella dell’impegno afar emergere nuovi modi di soddisfare vec-chi e nuovi bisogni che oggi non trovano ri-sposte organizzate perché non è chiaro qua-le sia la domanda, quanta di essa sia pagantee che tipo di prodotti siano veramente in gra-do di soddisfarla, ed è quindi necessario in-nanzitutto individuare nuove forme di colla-borazione tra consumatori e tra questi e i po-tenziali produttori che, in molti casi, posso-no essere gli stessi utenti. È questa l’area diintervento privilegiata dell’associazionismoe del volontariato di cui, nella trasformazio-ne in corso, va rivalutata la capacità di esse-re promotore di innovazione. Per passarepoi, in caso di successo, ad assumere conno-tazioni di tipo imprenditoriale, per garantirecontinuità e professionalità nell’erogazionedei nuovi servizi, anche avvalendosi dellanormativa sull’impresa sociale, che consentedi fare impresa mantenendo la finalità socia-le e la forma dell’associazione.

La seconda direzione è quella del rafforza-mento delle tradizionali forme cooperative,soprattutto quelle tra produttori. Come stan-no dimostrando le cooperative agricole, at-traverso queste forme organizzative è possi-bile rendere compatibile la piccola dimensio-ne, con i suoi vantaggi in termini di flessibi-lità e di attenzione alla qualità, con le poten-zialità offerte dalle economie di scala sia tec-nologiche che organizzative. La sfida per ilfuturo è quella di riuscire a replicare questomodello di cooperazione tra gli imprendito-ri del settore manifatturiero.

La terza direzione è quella della produzio-ne di beni comuni e di interesse collettivoche ad oggi sono forniti, con la sola eccezio-ne di una parte dei servizi di welfare dovegioca un ruolo importante la cooperazionesociale, da imprese pubbliche locali spesso

«Stanno cambiandoanche i comportamentidei consumatori:l’attività di consumo èdiventata più riflessiva,sono in aumento leforme di cooperazionesia nelle attività diconsumo che di co-produzione di beni eservizi ed emerge unacrescente disponibilitàdelle persone a farsicarico della produzionedi beni comuni».L’autore è professore di Politica economicapresso la Facoltà di Economiadell’università di Trento.

L’economia sociale in prospettiva

Carlo Borzaga

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Economia e impresa socialeDenita Cepiku Filippo Giordano

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inefficienti, oppure, come molti servizi cul-turali o di gestione del patrimonio storico-artistico, non sono prodotti affatto. A questisi aggiunge la domanda, privata più che pub-blica, di ulteriori servizi di welfare, alla per-sona e alla famiglia. Questo è l’ambito in cuinon solo la cooperazione sociale è destinataa rafforzarsi, ma in cui potranno sviluppar-si sia le cooperative tra utenti e di comunità,sia le imprese sociali costituite in forma disocietà di capitali. Cioè forme imprendito-riali attraverso cui non più gli enti locali, magli stessi utenti gestiscono i servizi di inte-resse di tutti. Socializzando la produzioneinvece che privatizzandola e risolvendo co-sì anche il problema della tutela dei consu-matori e della natura comune dei beni chetanto ha assillato i promotori del referen-dum sull’acqua.

Sono prospettive molto chiare dal punto divista teorico, ma perché si realizzino e per-ché le organizzazioni dell’economia socialepossano esprimere tutte le loro potenzialitàc’è bisogno di adeguare sia il quadro norma-tivo che, soprattutto, quel diffuso atteggia-mento di sospetto e di supponenza versoqueste forme di impresa che ancora caratte-rizza la gran parte degli intellettuali e dei me-dia italiani. E occorre che gli stessi attori del-l’economia sociale si convincano dell’impor-tanza del loro ruolo e siano capaci di adatta-re la loro azione e i loro modelli organizzati-vi alle nuove esigenze indotte dalla trasfor-mazione in corso.

Alla ricerca della sostenibilitàI processi di globalizzazione, la digitalizza-zione e finanziarizzazione dell’economiastanno generando un sistema economico incui spesso la creazione di valore e di ricchez-za non si traduce in creazione di posti di la-voro e in benessere diffuso. Di conseguenzain tutti i paesi sviluppati, Italia compresa, siassiste a una progressiva concentrazione del-la ricchezza associata a crescenti situazionidi disagio e povertà che alimentano tensionie fenomeni di esclusione sociale. Ad aggra-vare il quadro si aggiungono le problemati-che ambientali provocate dall’impatto dei no-stri modelli di produzione e consumo. I datici dicono che, con gli attuali livelli di produ-zione e consumo, nel 2050 avremo bisognodi risorse naturali pari all’equivalente di 2,3pianeti per garantire il mantenimento dellapopolazione mondiale che supererà i 9 mi-liardi. È necessario dunque rendere il nostromodello di sviluppo più sostenibile sia dalpunto di vista sociale che ambientale.

In questo contesto, le istituzioni pubblichenazionali ed internazionali non sembrano ingrado di dare risposte all’altezza della com-plessità dei problemi. Le risorse pubblichesono sempre più ridotte e gli interventi, pre-valentemente di natura assistenziale, non so-no in grado di generare impatto sociale nellungo periodo. Inoltre, se c’è consapevolezzadel fatto che non sia possibile rinunciare al-l’impresa privata per creare valore e ricchez-za, è indubbio che il modello di impresa tra-dizionale non è in grado di soddisfare i biso-gni delle persone con equità.

Queste considerazioni sono alla base deldibattito che dalla fine degli anni Novanta siè sviluppato nell’accademia intorno al feno-meno dell’impresa sociale e che negli ultimianni ha registrato un acceso interesse da par-te di policy makers, operatori del Terzo set-tore, imprese e intermediari finanziari.

L’impresa sociale: come creare valore sociale in modo sostenibileNei primi anni il dibattito si è focalizzato su-gli aspetti definitori dell’impresa sociale co-me formula organizzativa. Un primo approc-

Come spiegato dai dueesperti, è moltoimportante riuscire aconiugare il criteriodella sostenibilità –sociale e ambientale –con la produzione divalore sociale.Cepiku è ricercatrice edocente presso laFacoltà di Economiadell’Università di TorVergata (Roma),Giordano è docenteassegnista di ricerca al Dipartimento di Management e Tecnologia pressol’Università Bocconi di Milano.

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foto: cooperativa Capodarco

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cio di stampo americano inquadrava il temacome risposta da parte delle organizzazionidel Terzo settore alle sfide poste da risorsesempre più scarse, maggiori costi e aumen-tata pressione competitiva.

In Europa invece il dibattito si è incentratosull’individuazione degli aspetti peculiari diqueste tipologie di aziende. In particolare, nel2001 il gruppo di ricerca internazionale Emes(The Emergence of Social Enterprise) ha de-finito l’impresa sociale come un’organizzazio-ne caratterizzata da quattro criteri di naturaeconomica (attività continua di produzione ovendita di servizi, autonomia, rischio econo-mico, presenza di un numero minimo di la-voratori retribuiti) e cinque di natura sociale(esplicitazione dei benefici che si intendonorealizzare per la comunità/gruppo specifico,slancio imprenditoriale collettivo, logica de-cisionale basata sulla membership, sistema digovernance allargato, limiti alla quota di utilidistribuibili ai soci).

L’attuale legge italiana sull’impresa socialesi inserisce in questo filone culturale che ten-ta di dare una definizione esclusiva del feno-meno che nella realtà si configura molto piùampio e variegato.

Negli studi più recenti il focus si è sposta-to maggiormente sull’attività di queste orga-nizzazioni capaci di perseguire obiettivi dinatura sociale in modo economicamente so-stenibile, ponendo l’attenzione sui loro busi-ness model in grado di combinare creazione

di valore sociale e creazione di valore econo-mico. In questo contesto, è stato elaborato ilconcetto di «social entrepreneurship».

Imprenditorialità sociale: l’innovazione per il cambiamento socialeLa social entrepreneurship presenta due ele-menti costitutivi: la focalizzazione sulla mis-sione sociale (dimensione sociale) e l’approc-cio innovativo nel suo perseguimento (di-mensione imprenditoriale). La dimensionesociale può essere riferita al settore di inter-vento dell’organizzazione (per esempio ser-vizi sociali), all’utilizzo di particolari moda-lità di gestione (per esempio l’uso di perso-nale svantaggiato nella gestione) o all’impat-to sociale ultimo dell’attività (per esempio ilreinserimento di homeless). La dimensioneimprenditoriale, invece, si evince dall’orien-tamento al mercato e dal carattere innovati-vo utilizzato nella risposta ai bisogni sociali,elementi a garanzia della sostenibilità econo-mica nel tempo di queste aziende.

In questo contesto la forma giuridica del-l’organizzazione diventa irrilevante. Anzi, unapproccio di carattere prescrittivo tende a li-mitare fortemente il portato innovativo del-le imprese sociali. Il forte e peculiare legameche si instaura all’interno di queste innovati-ve organizzazioni tra obiettivi di tipo socialee obiettivi di tipo economico, lascia spazio anuovi scenari dal punto di vista delle formu-le imprenditoriali, delle prassi gestionali, de-gli assetti istituzionali e di governance diffi-cilmente predeterminabili per legge.

Per questo parlare e discutere di imprendi-torialità sociale, invece che di impresa socia-le, apre scenari e spazi di riflessione interes-santi. È importante uscire dalla logica delledefinizioni per entrare nel merito dell’appli-cazione di formule imprenditoriali capaci diimpattare positivamente sulla riduzione deifenomeni di esclusione sociale, sulla promo-zione di comportamenti e stili di vita più cor-retti, sulla riduzione di esternalità negative ditipo ambientale.

Compito del legislatore è favorire le condi-zioni per una maggiore flessibilità del conte-sto affinché le iniziative imprenditoriali inambito sociale siano maggiormente facilita-te e sostenute. Spetta poi agli operatori, ri-fuggendo da pregiudizi di tipo ideologico,comprendere appieno il concetto di impren-ditorialità e fornire risposte sempre più so-stenibili ai bisogni sociali.

Compito del legislatoreè favorire le condizioniper una maggioreflessibilità del contestoaffinché le iniziativeimprenditoriali inambito sociale sianomaggiormentefacilitate e sostenute.

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foto: Archivio Coop. 29 Giugno

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La cooperativa sociale Capodarco è unarealtà che affonda le sue radici in un passa-

to fatto di lotta ed impegno in difesa dei dirit-ti delle persone con disabilità, e che guardacon impegno e fiducia ad un futuro in cui lasocietà, anche grazie ai suoi sforzi, sia final-mente per tutti. Una storia di persone, di so-gni, visioni, sacrifici, sconfitte e vittorie che inqualche modo ne fanno il precursore e l’em-blema dell’impresa sociale che fa integrazionelavorativa in Italia. La Capodarco nasce comecooperativa nel 1975 e nel giro di una decinad’anni questa esperienza d’inclusione socialee lavoro, che nel frattempo da laboratorio si ètrasformata in fabbrica, già garantisce occu-pazione lavorativa di persone con disabilità. Ilsalto di qualità avviene tra la fine degli anniOttanta ed i primi anni Novanta, quando, perdiversificare le proprie attività ed affermare ilmodello d’impresa sociale che ha consolidato,Capodarco dà vita al Consorzio sociale Co.In.allo scopo di contribuire alla nascita e allo svi-luppo di nuove cooperative sociali d’inseri-mento lavorativo. Poco dopo la Capodarco,attraverso un’azione di ricerca e riqualificazio-ne del proprio personale, entra nel settore deiservizi alle Pubbliche amministrazioni riu-scendo ad ottenere in affidamento le attivitàdi sportello, di segreteria amministrativa di al-cune Asl ed Aziende ospedaliere del Lazio.

Alla fine degli anni Novanta diviene porta-trice di un progetto per la realizzazione delCentro unico di prenotazione telefonica sani-taria per la città di Roma che ottiene i finan-ziamenti del Giubileo. Successivamente ne ac-quisisce l’appalto e ne progetta a favore del-l’Amministrazione regionale l’estensione delservizio a tutto il Lazio. Si tratta del più gran-de centro di prenotazione sinora mai realizza-to, nel quale confluiscono oltre 20mila agen-de delle prestazioni ambulatoriali di visite spe-cialistiche e diagnostica strumentale forniteda 20 Asl e Ospedali pubblici, che gestisce piùdi 6 milioni di contatti telefonici all’anno. At-traverso questo sistema denominato Recup,composto di sportelli Cup, contact center, se-greterie lavorano nella Capodarco oggi oltreduemila operatori tra tecnici, informatici, cen-tralinisti e amministrativi. Ben 800 di questi

sono persone affette da disabilità grave. LaCapodarco rappresenta la più grande impre-sa sociale d’Italia, in grado di competere sulmercato nazionale ed europeo in settori diterziario avanzato con competenze e tecnolo-gie che coniugano efficienza, capacità e rispo-ste a bisogni sociali. La Capodarco è inoltreproiettata, in collaborazione con il Co.In., al-la creazione di una piattaforma web di servizisocio-sanitari dalla quale potrà essere gestitoin modo dinamico l’accesso all’offerta di ser-vizi per la telemedicina e la teleassistenza, laprenotazione online di prestazioni socio-sa-nitarie anche di tipo domiciliare. È inoltre im-pegnata nel campo della comunicazione so-ciale con la testata online www.sociale.it, do-ve vengono trattati temi legati all’innovazionesociale, al welfare e benessere dei cittadini, alTerzo settore: campi nei quali la quarantenna-le esperienza della Capodarco nella gestionedei servizi al cittadino ha molto da racconta-re, ma anche da ascoltare. È per questo moti-vo che il portale è aperto alla pubblicazione dicontributi di professionalità afferenti ai servi-zi socio-sanitari e delle tecnologie innovative.

Per maggiori informazioni: www.capodar-co.coop; www.sociale.it; www.coinsociale.it.

Ranaldi è direttoreresponsabile dellatestata www.sociale.it,dove vengono trattatitemi legatiall’innovazione sociale,al welfare e al Terzosettore: campi nei qualil’esperienza dellaCapodarco nellagestione dei servizi alcittadino ha molto daraccontare, ma anche daascoltare.

La Cooperativa sociale integrata Capodarco

Irene Ranaldi

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foto: cooperativa Capodarco

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F ondata nel 1999, Banca Etica nasce dal-l’esperienza maturata nel corso degli an-

ni ’80 dalle Mag, quelle piccolissime coope-rative finanziarie che avevano scelto di fi-nanziare soggetti diversi rispetto a quelli ri-tenuti «bancabili» dal sistema finanziariotradizionale. È la banca del Terzo settore,nata e cresciuta tra coloro che hanno fattodel benessere collettivo una missione di vi-ta e che, in collaborazione con le associazio-ni della società civile, con efficienza e sen-za sussidi, concorre alla creazione di una di-mensione sociale più equa e attenta agli ul-timi stimolando sinergie, anche economi-che, per la soddisfazione dei bisogni, in ar-monia con i principi di un modello di svi-luppo sostenibile.

Ha un capitale sociale di quasi 47 milionidi euro (dati aggiornati al 31/12/2013), con-ferito da quasi 37mila soci, una raccolta di ri-sparmio pari a 890 milioni di euro e finanzia-menti accordati per 773 milioni di euro a so-stegno di circa 7.000 progetti nei quattroprincipali ambiti di intervento: cooperazio-ne sociale, cooperazione internazionale, am-biente, cultura e società civile.

Come «banca verde» ha lanciato il Proget-to energia, che riassume l’approccio al temaenergetico di Banca Etica nella riduzione deiconsumi, la tutela dell’ambiente e il valoresociale. In questo settore la banca ha fattouna scelta precisa perfacilitare la creazionedi comunità energeti-che autosufficienti esostenibili.

Tutto questo è pos-sibile grazie al soste-gno attivo, non soloeconomico, dei sociche partecipano allavita della banca intutte le sue articola-zioni e ne rappresen-tano la forza sociale,per dare così mag-gior voce alle istanzeprovenienti dal terri-torio, per sviluppare

un’azione più efficace a livello locale e perpoter meglio costruire relazioni e sinergienei contesti. Un luogo in cui si cerca di ar-rivare ad una sintesi dei bisogni e delle op-portunità del territorio sotto differentiaspetti. Ai risparmiatori viene spiegato co-me un uso consapevole delle proprie risor-se finanziarie possa diventare uno strumen-to per cambiare e migliorare il mondo, pro-muovendo uno sviluppo umano ed econo-mico sostenibile dal punto di vista sociale eambientale.

Banca Etica è una «banca dalle pareti divetro»: la sua peculiarità consiste nella tra-sparenza (tutti i finanziamenti sono pubbli-cati nel sito www.bancaetica.it), nella parte-cipazione, nelle modalità di utilizzo del de-naro. Delle banche tradizionali Banca Eticapropone i principali servizi e prodotti desti-nati al singolo, alle famiglie e alle organizza-zioni. Sul fronte dei finanziamenti, BancaEtica concede prevalentemente credito allerealtà che operano all’interno del Terzo set-tore e dell’economia solidale, in particolarenell’ambito dei servizi sociosanitari ed edu-cativi, dell’inserimento lavorativo dei sogget-ti deboli, della cooperazione allo sviluppo,del volontariato internazionale, della tutelaambientale e della salvaguardia dei beni cul-turali. A partire dal 2003 vengono finanzia-te anche società attive nell’ambito dell’agri-coltura biologica e della produzione di ener-gia da fonti rinnovabili (purché orientate daprecisi criteri etici), e persone fisiche (pur-ché socie della banca) alle quali è stata desti-nata una serie di prodotti che vanno dal mu-tuo per l’acquisto della prima casa a prestiti

personali mirati so-prattutto a particola-ri esigenze: dalla co-pertura di spese sani-tarie alle adozioni,dalla ristrutturazionedi edifici per l’abbat-timento delle barrie-re architettoniche al-l’installazione di im-pianti per l’utilizzo dienergie rinnovabili.

Per maggiori infor-mazioni: Ufficio co-municazione di BancaEtica, www.bancaeti-ca.it, [email protected].

Banca popolare Etica èl’istituto di credito chefinanzia l’economiasolidale e sostenibile. Èla prima banca italianainteramente dedicataalla finanza etica: mettein cima alle priorità lacreazione di valoresociale nel rispetto dellasostenibilità economicae ambientale.

La banca dalle pareti di vetro

BancaEtica

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foto: CFP disabili Ass. Capodarco

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La «29 Giugno» è una cooperativa socialedi tipo b fondata a Roma nel 1985 ed ha

come scopo sociale l’inserimento lavorativodelle persone appartenenti alle categoriesvantaggiate (detenuti, ex detenuti, disabilifisici e psichici, tossicodipendenti ed ex) epiù in generale delle persone appartenentialle fasce deboli della società (senza fissa di-mora, vittime della tratta, immigrati).

Le specializzazioni acquisite nel tempo ela continua ricerca di innovazioni ha per-messo alla cooperativa di offrire servizi adelevata professionalità nei settori della ma-nutenzione delle aree verdi, dell’igiene ur-bana e gestione dei rifiuti, delle pulizie e deiservizi assistenziali con la gestione di centridi accoglienza e case famiglia. È iscritta al-l’Albo regionale cooperative sociali, all’Albonazionale imprese che effettuano la gestio-ne dei rifiuti e ha l’autorizzazione della Re-gione Lazio per impianto vivai.

La storia della cooperativa comincia all’in-terno del carcere di Rebibbia di Roma. Piùesattamente il 29 giugno del 1984, quandoall’interno del carcere si tenne un convegnosu «Misure alternative alla detenzione eruolo della comunità esterna» nel corso delquale, tra le altre, venne avanzata la propo-sta dai detenuti organizzatori dell’evento dicostituire una cooperativa di lavoro con so-ci detenuti, alla quale gli enti locali avrebbe-ro potuto affidare commesse di lavoro peralti fini sociali, in modo da poter consenti-re l’uscita al lavoro esterno o in semilibertàdi quei detenuti che, essendo a lungo sepa-rati dalla società, non avevano opportunitàper reperire un’offerta di lavoro. Ovviamen-te le difficoltà da superare furono diverse,ma il 18 giugno del 1985 venne finalmentecostituita la cooperativa «Rebibbia 29 Giu-gno». La prima commessa affidata alla coo-perativa arrivò nel 1986 e aveva ad oggettoil taglio dell’erba sulla strada Tiberina, alleporte di Roma; nel marzo del 1986 per laprima volta in Italia otto detenuti, soci lavo-ratori di una cooperativa, uscivano al lavo-ro esterno per andare a lavorare a circa 50km. dal carcere.

Da allora la cooperativa di strada ne ha

fatta tanta, anche grazie all’approvazionedella legge 381 che disciplina le cooperati-ve sociali. Le collaborazioni che si sonosuccedute nel tempo hanno contribuito no-tevolmente alla crescita professionale diquesta impresa sociale e ha permesso direndere la 29 Giugno un importante riferi-mento economico e sociale per la città diRoma e per la sua provincia. Un detenutoche si reintegra nel tessuto economico e so-ciale rappresenta una diminuzione dei co-sti per lo Stato e per la collettività. Un disa-bile fisico inserito al lavoro rappresenta unariduzione dei costi per la collettività in ter-mini di sussidi.

In quasi trent’anni oltre 300 persone tradetenuti ammessi alle misure alternative al-la detenzione ed ex detenuti hanno lavora-to con la cooperativa e i casi di recidiva nonarrivano a dieci; questo forse è il successopiù grande avuto ed è sicuramente stato ungrande contributo per rendere più sicura lanostra società.

Oggi la cooperativa 29 Giugno è diventa-ta «gruppo 29 Giugno» e si articola in quat-tro cooperative (tre di tipo B e una di tipoA) e un consorzio: conta 1100 dipendentiche operano nel settore sociale, dei serviziamministrativi presso strutture pubbliche,nel settore delle pulizie e dell’igiene urbana,della manutenzione del verde pubblico incollaborazione con numerose realtà coope-rative e associative di Roma e provincia. Losviluppo che ha caratterizzato questi ultimidieci anni ha permesso di raggiungere im-portanti risultati operativi e di fatturato e,al contempo, quello di aumentare le oppor-tunità lavorative per tutte quelle personeche, con svantaggi fisici, sociali e psichici,hanno avuto la possibilità di trovare un’oc-cupazione. La percentuale di lavoratori ap-partenenti alle fasce deboli e alle categoriedi soggetti svantaggiati è arrivata al 40%.Questi dati sono la testimonianza che è pos-sibile creare ricchezza e lavoro in modo so-stenibile a livello sociale, che è possibileperseguire l’integrazione sociale attraversoil lavoro senza, per questo, dover rinuncia-re a qualità e crescita.

L’obiettivo futuro è quello di continuare,senza perdere di vista le origini, ad investi-re maggiormente in formazione ed innova-zione per continuare nella nostra crescita edare opportunità di lavoro a chi difficilmen-te potrebbe averne.

Il 29 giugno di trent’anni fa, alcunidetenuti del carcereromano di Rebibbiaproposero di costituireuna cooperativa dilavoro con soci detenuti,alla quale gli enti localiavrebbero potutoaffidare commesse dilavoro per alti finisociali, in modo dapoter consentire l’uscitaal lavoro esterno o in semilibertà.

L’integrazione socialeattraverso il lavoro

CarloGuaranì

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www.cooperativa29giugno.it

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I l Consorzio di Cooperazione sociale Al-berto Bastiani è stato capace, negli anni, di

adattarsi ai tempi e alle nuove esigenze co-niugando solidarietà, visione politica e capa-cità di offrire servizi e prodotti di qualità, ri-spettosi dell’ambiente e dei diritti del lavoro.Ha sviluppato capacità innovative per ri-spondere a sfide chiave, per attenuare gliscompensi dell’attuale sistema economico eproporre alternative valide alle fragilità e cri-ticità emerse dall’egemonia del pensiero neo-liberista e dalla visione mercantilista e con-sumistica che trasforma ogni bene e ognipassione in prodotto da vendere e comprare.Nel corso della sua storia ha rinsaldato le tra-dizionali attività di servizio alla persona e disupporto ai più deboli, iniziando con i disa-bili, per proseguire con le famiglie povere, iminori non accompagnati, le popolazionirom e immigrate, le persone cadute nel vor-tice delle dipendenze, i borderline; parallela-mente, attraverso le cooperative che lo com-pongono e con le attività gestite direttamen-te, ha intrapreso nuovi percorsi realizzandoesperienze di welfare locale e comunitario, diagricoltura sociale, di riciclo di materiali eprodotti di scarto, di green economy, e diesperienze di altraeconomia. Nella sua visio-ne e nel suo agire quotidiano mette al centroil lavoro umano, dignitoso e protetto, comeelemento di integrazione, emancipazione e

riscatto di ogni uomo e ogni donna; privile-gia la forma della cooperativa sociale comeimpresa con cui intraprendere il percorso or-ganizzativo e relazionale per entrare nelmondo della produzione e della commercia-lizzazione, nel rispetto dei valori fondanti egià collaudati, e facilitare così il protagoni-smo delle persone e la diffusione di pratichedemocratiche.

Anche la scelta delle zone geografiche incui agire rientra nella metodologia di inter-vento per raggiungere la popolazione conmaggiori fragilità: le periferie urbane e le areerurali; entrambe bisognose di ricuciture cul-turali e di riscatto attraverso il lavoro e formerelazionali capaci di recuperare solidarietà ecooperazione. Le cooperative socie – Comu-nità Capodarco di Roma, Agricoltura Capo-darco, Ermes, Lapemaia, Edera.net, Cine Mo-vie – hanno diversificato il loro settore di in-tervento pur mantenendo obiettivi e valoricomuni. Le progettualità vanno dal riciclo diabiti usati al recupero di altri beni dismessiattraverso il progetto Porta Usb - Usato soli-dale e bello; dalla produzione agricola biolo-gica con l’inserimento al lavoro di disabili ealtre persone in difficoltà alla ristorazione diqualità nella ormai collaudata fattoria diGrottaferrata, fino al recupero ambientale, at-traverso l’agricoltura sociale, di terreni urba-ni in quartieri degradati come accade con la«Tenuta della Mistica» a Tor Tre Teste a Ro-ma. Le cooperative socie si occupano inoltredella gestione di attività educative e culturaliin scuole nell’hinterland romano e nei campidi accoglienza di sinti e rom; dell’integrazio-ne linguistica per i migranti; della creazionedi bioristori; della produzione di pasta all’uo-vo artigianale – «La Capezzaia» – fatta gra-zie al lavoro di ragazze e ragazzi disabili; del-la diffusione dei Gruppi di acquisto solidali edella promozione di reti cittadine per il ri-scatto di aree abbandonate; della riqualifica-zione e dello sviluppo di attività produttive,della creazione di reti di economia solidale edi ecologia sociale. Insomma, con i più fragi-li e nelle zone più difficili, non per resisterema per creare nuove forme di convivenza, ri-spettose dell’uomo, della donna, dell’ambien-te, per dare riscatto con i diritti e con il lavo-ro; senza accontentarsi di sopravvivere, maper dare qualità nei luoghi in cui si trascorro-no le giornate, nel cibo che si mangia, neltempo che si trascorre in socialità, nelle rela-zioni della polis in cui viviamo.

Il Consorzio AlbertoBastiani nasce nel 2001dall’esperienza dellaComunità di Capodarcoche, già parecchi anniprima, e tra le prime in Italia, aveva avviatol’esperienza dicooperative sociali ed integrate. Alberto Bastiani, allacui memoria è intitolatoil Consorzio, è stato unodei primi soci dellaComunità a lavorare perdare riscatto ai disabiliattraverso l’inserimentosocio-lavorativo.Per informazioni:www.consorzioalbertobastiani.it.

Il lavoro aiuta l’emancipazione

GianniTarquini

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foto: Progetto Tenuta MisticaConsorzio A. Bastiani