confronti 1-2 2011

168
Éupolis Lombardia e Carlo Cattaneo: le ragioni di una naturale prossimità Carlo Cattaneo come Tocqueville? La “riscoperta” del pensatore lombardo in Nord America Persona e sussidiarietà nello Statuto di Regione Lombardia: quali basi teoriche La sussidiarietà come fondamentale strumento di libertà civile La rinascita della scuola professionale in Lombardia: che cosa si è fatto e che cosa resta da fare La Nuova Zelanda alla prova della sussidiarietà quali lezioni dall’esperienza lombarda La società multietnica, la sfida del multiculturalismo e la società tollerante AUTONOMIA LOMBARDA: LE IDEE, I FATTI, LE ESPERIENZE Summaries in English Résumés en Français RIVISTA QUADRIMESTRALE 2011 ANNO X / NUMERO 1-2 2011

description

rivista confronti

Transcript of confronti 1-2 2011

Page 1: confronti 1-2 2011

Éupolis Lombardiae Carlo Cattaneo:le ragioni diuna naturale prossimità

Carlo Cattaneocome Tocqueville?La “riscoperta” del pensatore lombardoin Nord America

Persona e sussidiarietànello Statutodi Regione Lombardia:quali basi teoriche

La sussidiarietà come fondamentalestrumento di libertà civile

La rinascita della scuolaprofessionale in Lombardia: che cosa si è fattoe che cosa resta da fare

La Nuova Zelanda alla prova della sussidiarietà quali lezioni dall’esperienza lombarda

La società multietnica, la sfi da del multiculturalismoe la società tollerante

AUTONOMIA LOMBARDA: LE IDEE, I FATTI, LE ESPERIENZE

Summaries in English

Résumés en Français

RIVISTA QUADRIMESTRALE 2011ANNO X / NUMERO 1-2 2011

Fratelli Zavattari

Storie della Regina Teodolinda, 1444-46 Duomo di Monza

In copertina, particolare dell’opera

1-2

20

11

Copertina Finale.indd 1 07/10/11 17:36

Page 2: confronti 1-2 2011

s o m m

15 Editoriale19 I testi in sintesi Italiano English Français

1 I Classici 1 Il tema

33 La libertà in Carlo Cattaneo Stefano B. Galli

165 Cattaneo come Tocqueville? La “riscoperta” di Carlo Cattaneo in Nord America Filippo Sabetti

89 Persona, ruolo pubblico della società civile e bene comune nello Statuto della Lombardia: quali basi teoriche Francesco Botturi

103 Valori, principi e elementi costituzionali fondamentali dello Statuto della Lombardia: la sussidiarietà come garanzia di libertà reale Lorenza Violini

01_Frontespizio+indice.indd 2 11/10/11 10:20

Page 3: confronti 1-2 2011

a r i o

1 Le politiche 1 In Europa nel mondo

1 Studi, ricerche e documenti

115 La rinascita della scuola professionale in Lombardia: che cosa è stato fatto nell’VIII legislatura e che cosa resta da fare Giovanni Cominelli

127 La Nuova Zelanda alla prova della sussidiarietà: quali lezioni dall’esperienza lombarda Philip MacDermott

141 Verso un’Italia multietnica: quale multiculturalismo, quale tolleranza Giuseppe Scidà

Chiuso in redazioneil 6 ottobre 2011

01_Frontespizio+indice.indd 3 11/10/11 10:20

Page 4: confronti 1-2 2011

01_Frontespizio+indice.indd 4 11/10/11 10:20

Page 5: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

Editoriale

5

Mentre continua ad essere ciò che positiva-mente è dal 2002, ovvero la rivista di dibattito e di cultura politica della Presidenza della Regione, da questo numero Confronti è affidata a Éupolis Lom-bardia, l’Istituto superiore per la ricerca, la stati-stica e la formazione: l’ente nel quale abbiamo vo-luto confluissero la cultura, le energie e le risorse già nell’I.Re.R. - Istituto Regionale di Ricerca, nella Struttura regionale statistica e nell’I.Re.F. - Istituto Regionale Lombardo di Formazione per l’ammini-strazione pubblica.Éupolis Lombardia è molto di più della somma delle strutture in esso confluite. Così sarà analogamente Confronti, chiamata ora da un lato a rappresentare e comunicare anche in sede internazionale tutto il me-glio di ciò che si viene elaborando in un libero dibat-tito e poi si viene facendo in Lombardia; e dall’altro a incontrare e dialogare con quanto di più interes-sante e significativo accade ovunque nel mondo in tema di innovazione feconda della dialettica tra sfera della società civile e sfera delle istituzioni politiche. Osservo per inciso che sono sintomatiche al riguar-do le pagine dedicate in questo numero all’interesse suscitato dalle riforme lombarde nel segno della sus-

02_Editoriale.indd 5 11/10/11 10:20

Page 6: confronti 1-2 2011

6 CONFRONTI 1-2/2011 EditorialE

sidiarietà in un paese così geograficamente lontano da noi come la Nuova Zelanda.Non soltanto nel nostro Paese e nel resto d’Europa, ma ormai ovunque nel globo la crisi sia finanzia-ria che di capacità di governo dello Stato moderno è la questione politica numero uno. Se da una parte potenze economiche recondite e irresponsabili scor-razzano come cavalli impazziti nel campo aperto della globalizzazione, dall’altra la politica sembra sempre meno in grado di fare con tempestività e con efficacia ciò che ad essa sola compete, ossia il mantenimento di quelle condizioni di equa stabilità mancando le quali costruire dinamicamente il be-ne comune è molto difficile e talvolta impossibile.Al complesso lavoro di ricerca di una via d’uscita dalla crisi presente, Regione Lombardia offre il con-tributo di un’esperienza di sussidiarietà praticata con successo. Ciò che si è fatto, ciò che si sta facen-do qui è il prototipo di una promettente riforma ge-nerale delle istituzioni politiche, dello Stato che var-rebbe la pena di fare non soltanto nel resto d’Italia, ma anche altrove. Quella della sussidiarietà, di cui il federalismo autentico è l’adeguato riflesso a livel-lo delle istituzioni, è l’unica via per giungere rapi-damente, e senza sacrificare la democrazia, a una rilevante razionalizzazione della pubblica ammini-strazione e dei suoi costi; e dunque delle imposte. I dati relativi al rapporto pressione fiscale/produzio-ne nazionale lorda negli Stati membri, che l’OCSE pubblica annualmente, non cessano mai di confer-mare che Paesi davvero federali, come la Svizzera, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, hanno una pressione fiscale che o è addirittura inferiore oppure si aggira attorno al 30 per cento, mentre tutti i mag-

02_Editoriale.indd 6 11/10/11 10:20

Page 7: confronti 1-2 2011

7EditorialE CONFRONTI 1-2/2011

giori Paesi centralizzati, compresa quindi l’Italia, sono sopra il 40 per cento di pressione fiscale. Che cosa garantisce tale stato di cose? Non chissà quale sistema di controllo bensì un semplice ma efficace principio: chi decide la spesa è anche colui che de-cide le imposte, essendo pienamente responsabile di fronte ai propri elettori sia della prima che delle seconde; pertanto, al di sotto di un “tetto” massimo di prelievo valido per tutti, nei campi di imposizione ad esso riservati ogni livello di governo può ridur-re le imposte fin dove vuole. Questo provoca una positiva concorrenza al ribasso della pressione fi-scale tra i vari enti di governo territoriale, orientata ad assicurare ai cittadini e ai residenti il massimo dei servizi richiesti al minor costo possibile. Se so-no certo che la cattiva amministrazione e l’evasio-ne fiscale mi costeranno più tasse l’anno venturo, o viceversa che la buona amministrazione e la cor-rettezza fiscale me le faranno diminuire, non c’è bi-sogno della Guardia di Finanza perché la Guardia di Finanza dei miei concittadini e del mio sindaco sono io stesso. È una cosa distante anni-luce dalla realtà del nostro Paese? È vero, ma siccome sia in Italia che nel resto dell’Unione Europea la situazio-ne è quella che è, si deve sperare che quegli anni-luce vengano percorsi in un battibaleno. Viceversa tut-te le riforme che si stanno proponendo e facendo a livello nazionale nel nostro Paese vanno nella dire-zione opposta, ossia quella dell’accentramento e del controllo centralizzato: un modello che da sempre sfocia in un aumento della spesa e in una riduzio-ne dell’efficacia dei servizi offerti.

Roberto Formigoni

02_Editoriale.indd 7 11/10/11 10:20

Page 8: confronti 1-2 2011

02_Editoriale.indd 8 11/10/11 10:20

Page 9: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

EditorialeRoberto Formigonipag. 5 Mentre continua ad essere ciò che positivamente è dal 2002, ovvero la rivista di dibattito e di cultura po-litica della Presidenza della Regione, da questo numero Confronti è affi-data a Éupolis Lombardia, l’Istituto superiore per la ricerca, la statistica e la formazione: l’ente nel quale ab-biamo voluto confluissero la cultu-ra, le energie e le risorse che già erano nell’I.Re.R. - Istituto Regionale di Ri-cerca, nella Struttura regionale stati-stica e nell’I.Re.F. - Istituto Regionale Lombardo di Formazione per l’am-ministrazione pubblica. Al complesso lavoro di ricerca di una via d’uscita dalla crisi presente Regio-ne Lombardia offre il contributo di un’esperienza di sussidiarietà prati-cata con successo. Quella della sus-sidiarietà, di cui il federalismo au-tentico è l’adeguato riflesso a livello delle istituzioni, è infatti l’unica via per giungere rapidamente, e senza sa-crificare la democrazia, a quella dra-stica riduzione delle imposte senza la quale la spesa pubblica entra in conflitto con lo sviluppo innescando

quindi un ulteriore aumento del de-bito. Urgono perciò grandi riforme. Troppo spesso nel nostro Paese si di-mostra invece più forte il gigantesco freno costituito dall’intreccio di bu-rocrazie parassitarie pubbliche e pa-ra-pubbliche nonché dagli interessi dei settori ingiustificatamente assi-stiti sia dell’economia che della so- cietà. Un grande movimento di popolo s’impone per poter superare tale freno.

I classiciLa libertà in Carlo CattaneoStefano B. Gallipag. 33 Non a caso la prima uscita pub-blica di Éupolis Lombardia – il neo-nato “Istituto superiore per la ri-cerca, la statistica e la formazione” della Regione – fu nello scorso aprile il convegno “Per la libertà” dedicato alla figura e all’opera di Carlo Catta-neo (1801-1869), il padre del federa-lismo italiano. Verso di lui Regione Lombardia dimostrò una specifica sensibilità sin dai suoi esordi: già nel 1975, al concludersi della prima le-gislatura regionale, organizzò forse il primo incontro scientifico di ampio

Testi in sintesi

9

03_Sintesi_ita.indd 9 11/10/11 10:19

Page 10: confronti 1-2 2011

10 CONFRONTI 1-2/2011 TEsTI In sInTEsI

respiro – dopo anni di oblìo – volto alla rivalutazione della sua figura. E nel 2001 celebrò poi degnamente il bicentenario della sua nascita con la pubblicazione di ben cinque volu-mi di suoi scritti. Per Cattaneo sono fondamentali i processi di “incivili-mento” che, scaturendo da fatti em-pirici essenzialmente “positivi” scan-discono la storia dell’umana società. In questa prospettiva l’idea di liber-tà s’impone come un valore etico e civile, come pietra angolare di una nuova cultura politica, presuppo-sto per la costruzione della repubbli-ca, sinonimo di pluralismo e dun-que di federalismo. Il federalismo è infatti a suo giudizio conditio sine qua non affinché possa affermarsi il principio della libertà. Il nuovo Sta-to italiano imboccò invece la via del modello giacobino-napoleonico, e a nulla valsero i progetti di altra matri-ce, sistematicamente accantonati. A cominciare dal grande disegno ela-borato dal Ministro degli Interni di Cavour, Marco Minghetti, presenta-to alla Camera quattro giorni prima della proclamazione dell’Unità, il 13 marzo 1861, che rispondeva al prin-cipio di un “larghissimo discentra-mento”.. Nei tornanti decisivi della storia italiana, il federalismo s’è tut-tavia sempre riaffacciato nel dibatti-to sui destini del Paese. È questa la

grande lezione che Carlo Cattaneo ci lascia in eredità; una lezione con la quale fare i conti nell’anno delle ce-lebrazioni del 150esimo dell’Unità.

Cattaneo come Tocqueville? La “ri-scoperta” di Carlo Cattaneo in Nord America Filippo Sabettipag. 65 Carlo Cattaneo fu un notevo-le studioso italiano del secolo XIX che merita di venire conosciuto nel mondo di lingua inglese ben di più di quanto lo sia stato finora. Andando al di là delle grandi contrapposizio-ni che nel suo tempo si registravano sia in Italia che altrove (tra libera-lismo e socialismo, tra monarchia e repubblica e così via) Cattaneo cer-cò di porre le basi per un riorienta-mento della civiltà umana verso for-me di convivenza civile caratterizzate innanzitutto da una società aperta e fondata sull’autogoverno. Era con-vinto che né il progresso economico, né le istituzioni democratiche rappre-sentative, né le rivoluzioni violente, né il nazionalismo potevano auto-maticamente portare alla liberazio-ne dell’uomo e alla libertà politica. Il pensatore politico del secolo XIX più vicino a Cattaneo è certamente Tocqueville. Indipendentemente l’u-no dall’altro, essi diedero valutazioni

03_Sintesi_ita.indd 10 11/10/11 10:19

Page 11: confronti 1-2 2011

11TEsTI In sInTEsI CONFRONTI 1-2/2011

analoghe e spesso giunsero a conclu-sioni simili avendo la medesima pas-sione per la libertà e per il principio di autogoverno. La cultura politica che Cattaneo e Tocqueville delinearono nel secolo XIX non ebbe allora modo alcuno di svilupparsi. Potrebbe inve-ce svilupparsi oggi trovando uno dei suoi principali centri di elaborazio-ne nella Scuola di Bloomington, nel Seminario Olstrom. Sin dai suoi ini-zi nei primi anni ’70 furono espliciti ed evidenti i legami tra il Seminario e il pensiero di Tocqueville. Altrettanta attenzione merita di avere in tale sede anche il pensiero di Carlo Cattaneo.

Il temaPersona, ruolo pubblico della società civile e bene comune nello Statuto del-la Lombardia: quali basi teoricheFrancesco Botturipag. 89 Persona e sussidiarietà sono ter-mini reggenti dei “Principi generali” dello Statuto della Regione Lombar-dia. Il problema che inevitabilmente si pone nell’attuale contesto socio-po-litico è però quello della tenuta teori-ca di questi consapevoli intendimenti, dal momento che l’idea di “persona” è incerta e l’idea politica di “sussidiarie-tà” è quasi assente. Il principio di sus-sidiarietà si regge sul riconoscimento

della soggettività politica alla socie-tà civile, che invece nell’età moderna ha incontrato una forte resistenza nel pensiero, oltre che della prassi giuri-dica e socio-politica. A parte alcune anche rilevanti eccezioni (Locke, Toc-queville, Rosmini, Sturzo) la socie-tà civile viene per lo più vista come il luogo del conflitto cui solo una to-talità superiore inglobante, lo Stato, può porre rimedio. È pur vero che og-gi assistiamo a una crisi del politico e con esso dello Stato, ma il fenome-no non è di per sé liberatorio e inno-vativo. Deriva infatti essenzialmen-te dall’avanzare di una pretesa forma nuova di universalità sociale, la quale vorrebbe essere sostitutiva e del poli-tico e del civile: l’universalità astratta della tecnostruttura, della globalizza-zione. Nella misura in cui avanza l’al-tro universale, quello tecnocratico, il civile viene di nuovo ridotto a essere il non-universale. Per sfuggire a que-sta riduzione deve allora porsi come un grande ambito pubblico dotato di una sua peculiare fisionomia; e non soltanto “come una specie di ‘grande contenitore’ di attori sociali non isti-tuzionalizzati, distinto dallo Stato e in certo modo dialetticamente oppo-sto ad esso”. Qual è allora la visione antropologica adeguata a tale cultura del civile? Quella in cui si coniugano relazione e libertà.

03_Sintesi_ita.indd 11 11/10/11 10:19

Page 12: confronti 1-2 2011

12 CONFRONTI 1-2/2011 TEsTI In sInTEsI

Valori, principi ed elementi costituzio-nali fondamentali dello Statuto della Lombardia: la sussidiarietà come ga-ranzia di libertà realeLorenza Violinipag. 103 Il nuovo Statuto lombardo – ap-provato nel maggio 2008 con un’am-plissima maggioranza (favorevoli oltre due terzi dei votanti, e un solo voto contrario) – è un atto di grande valore innovativo. Unico in questo nel suo genere, “riconosce la perso-na umana come fondamento del-la comunità regionale”. Promuove la libertà dei singoli e insieme quel-la delle comunità; sancisce il diritto alla vita in ogni sua fase, l’impegno ad attuare politiche di piena integra-zione degli stranieri residenti e delle persone disabili; tutela le diverse for-mazioni sociali – la famiglia in pri-mis – e il diritto al lavoro. In base al principio di sussidiarietà, che il nuo-vo Statuto afferma in modo esplicito e completo, la Regione favorisce poi “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, delle famiglie, del-le formazioni e delle istituzioni socia-li, delle associazioni e degli enti civili e religiosi”, prevedendo e regolamen-tando la loro “partecipazione nell’a-zione di governo e per l’esercizio delle funzioni legislative e amministrati-ve”. La forma del governo è impernia-

ta sull’elezione diretta del Presidente della Regione, cui è pure riservato il potere di iniziativa delle leggi regio-nali che in precedenza era affidato al-la Giunta. A ciò corrisponde tuttavia un notevole rafforzamento dei poteri di controllo del Consiglio regionale, cui si affiancano un Consiglio delle Autonomie Locali, e altri organi di controllo quali la Commissione ga-rante dello Statuto, il Difensore ci-vico regionale, il Comitato regionale per le comunicazioni ed il Consiglio per le pari opportunità.

Le politicheLa rinascita della scuola professionale in Lombardia: che cosa è stato fatto nell’VIII legislatura e che cosa resta da fare Giovanni Cominellipag. 115 In Italia il campo della forma-zione professionale è storicamente caratterizzato dalla presenza di due diverse reti di scuole, che fanno ri-spettivamente capo alle Regioni e al-lo Stato. Non essendo sin qui politi-camente possibile l’eliminazione di tale doppione, si è puntato allora a un’integrazione dell’offerta formati-va dell’una e dell’altra. Avvalendosi dei nuovi poteri costituzionali delle Regioni in materia di organizzazio-

03_Sintesi_ita.indd 12 11/10/11 10:19

Page 13: confronti 1-2 2011

13TEsTI In sInTEsI CONFRONTI 1-2/2011

ne del sistema scolastico, nel corso della Legislatura regionale 2005/10, è stato pertanto ridisegnato in Lom-bardia un nuovo sistema unitario di istruzione e formazione professio-nale. I percorsi di qualifica trienna-le, dapprima offerti solo dagli istitu-ti di formazione professionale della Regione, e in seguito anche da quel-li di Stato, hanno incontrato un fa-vore crescente. I loro iscritti ai corsi del primo anno, già 15.035 nel 2009, sono divenuti 17.200 nel 2010. A se-guito poi dell’accordo del 16 marzo 2009 tra Regione Lombardia e Mini-stero sono stati definiti e avviati dei corsi quadriennali, offerti tanto da-gli istituti di diritto regionale quanto da quelli di Stato al termine dei quali gli studenti che li hanno frequenta-ti con profitto ricevono un diploma di “tecnico professionale”. A partire dall’anno scolastico 2010/11 tali di-plomati possono anche iscriversi a un ulteriore quinto anno: un corso di preparazione all’esame di Stato che apre pure a loro l’accesso all’univer-sità. L’adozione della sistema cosid-detto della “dote” – in forza del quale il finanziamento diretto ai Centri di formazione è stato sostituto dal buo-no o voucher assegnato direttamente a chi si iscrive ai corsi – non solo dà maggior libertà agli utenti, ma anche stimola la competizione per la quali-

tà da parte dei Centri, pur mantenen-do inalterati i costi di erogazione del servizio.

In Europa, nel mondoLa Nuova Zelanda alla prova della sussidiarietà: quali lezioni dall’espe-rienza lombardaPhilip MacDermottpag. 127 In tema sia di relazioni con l’Au-stralia che di promozione della demo-crazia locale all’interno del Paese, il modello di governo basato sulla sus-sidiarietà che è in atto in Lombardia costituisce un interessante esempio per la Nuova Zelanda. Situate dal 1979 nel quadro di accor-di detti Closer Economic Relations, CER – con cui si mira allo sviluppo di un mercato comune sulla base di una libertà di movimento delle per-sone tra i due Paesi esistente già da molto tempo – le relazioni della Nuo-va Zelanda con l’Australia, 22,6 mi-lioni di abitanti, devono fare i conti con il fatto che i sei Stati australia-ni hanno forti e consolidate preroga-tive. A causa di esse la Federazione (Commonwealth of Australia) non sempre è in grado di porsi in ambi-to CER come interlocutore unico del-la Nuova Zelanda. Quest’ultima fini-sce perciò spesso per entrare in gioco

03_Sintesi_ita.indd 13 11/10/11 10:19

Page 14: confronti 1-2 2011

14 CONFRONTI 1-2/2011 TEsTI In sInTEsI

a suo svantaggio come se fosse un settimo Stato australiano (per di più senza esserlo effettivamente), e non come un soggetto alla pari con l’Au-stralia in quanto tale. Stando così le cose, nel contesto delle relazioni au-stralo-neozelandesi (trans-Tasman relations), l’affermazione del princi-pio di sussidiarietà apre prospettive molto interessanti.In Nuova Zelanda è poi in atto un processo di riforme costituzionali – che hanno luogo nel quadro di una costituzione che (come in Gran Bre-tagna) non è scritta – con cui si mi-ra tra l’altro a una profonda riorga-nizzazione dell’assistenza sanitaria e degli altri servizi alla persona. In ta-le contesto l’esperienza lombarda in queste materie, dalla libertà di scel-ta su dove farsi curare al sistema dei buoni e delle doti, è di grande interes-se per la Nuova Zelanda.

studi, ricerche e documentiVerso un’Italia multietnica: quale mul- ticulturalismo, quale tolleranza?Giuseppe Scidà pag. 141 Dopo aver delineato un essen-ziale profilo della trasformazione che conosce l’attuale società italiana a seguito della presenza di un’elevata

quota di immigrati, vengono presen-tati e discussi alcuni concetti chiave del dibattito contemporaneo, segna-tamente quelli di gruppo etnico, so-cietà multietnica, società multicultu-rale, cittadinanza. Soffermandosi in particolare sul multiculturalismo si osserva come, dopo essere stato adottato in modo formale (Canada) o più o meno infor-male (Olanda, Stati Uniti, Germania e Regno Unito) come politica guida in alcuni Paesi, esso ha mostrato di generare effetti più negativi che po-sitivi. Ha sovente creato frammenta-zione della società, separatezza delle minoranze, relativismo culturale nel-la sfera pubblica. In seguito si tenta di mettere a fuoco le numerose sfide che attendono l’Ita-lia nel tentativo di edificare una so-cietà tollerante. Questa, infatti, pre-suppone un incontro fra soggettività coscienti della loro diversa identità e anche della reciproca distanza cultu-rale, ma proprio per questo tese a una mutua conoscenza e a un paragone fra identità.Una pluralistica società multietnica, benché sia l’ineluttabile portato della storia globale contemporanea, neces-sita di essere discussa nell’ambito di istituzioni, gruppi e singoli non cen-surando le difficoltà emergenti nella convivenza quot idiana di una decisa

03_Sintesi_ita.indd 14 11/10/11 10:19

Page 15: confronti 1-2 2011

15TEsTI In sInTEsI CONFRONTI 1-2/2011

minoranza (in buona misura carat-terizzata dalla cultura islamica) con una maggioranza di tradizioni catto-

liche, la cui bimillenaria presenza ha plasmato in profondità anche la laica società italiana.

03_Sintesi_ita.indd 15 11/10/11 10:19

Page 16: confronti 1-2 2011

03_Sintesi_ita.indd 16 11/10/11 10:19

Page 17: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

EditorialRoberto Formigonipag. 5 Whilst it is continuing to be that which it positively has been since 2002, or rather the journal covering debate and political philosophy of the Lombardy Regional government, this number Confronti has been entrust-ed to Éupolis Lombardia, Institute for Research, Statistics and Training: the body where we have wanted cul-ture, energies and resources to merge together from what was before the separate entities of Istituto Regionale di Ricerca, I.Re.R., the Struttura re-gionale Statistica e Osservatori, and the Istituto Regionale per la Formazi-one, I.Re.F.With its successful experience of sub-sidiarity the Regione Lombardia has contributed to the complex research into ways of getting over the present crisis. That of subsidiarity, which au-thentic federalism is the appropriate consequence of, as far as the institu-tions are concerned, is in fact, with-out sacrificing democracy, the only quick way to drastically reduce taxes without which public spending en-ters into conflict with development

thus triggering off yet another in-crease in debt. Great reforms, there-fore are becoming urgent. All too of-ten in our country the huge restraint imposed by the closely spun web of parasite state or parastate bureaucra-cy not to mention the that of the in-terests of those sectors that are unjus-tifiably assisted both by the economy and by society, is what ends up as the strongest. A great people’s movement is what is needed to put an end to such restraints.

The classicsLa libertà in Carlo Cattaneo Freedom in Carlo CattaneoStefano B. Gallipag. 33 It is not by chance that the first public appearance of Éupolis Lom-bardia – the newly formed “Istitu-to superiore di Ricerca, Statistica e Formazione” of the Region – was last April’s convention “Per la liber-tà” (For Freedom) dedicated to Carlo Cattaneo the man and his work (1801 – 1869), the father of Italian federal-ism. The Lombardy Region showed particular feeling for him right from

Summarized texts

17

04_Sintesi_ing.indd 17 11/10/11 10:19

Page 18: confronti 1-2 2011

18 CONFRONTI 1-2/2011 summarized texts

its start: already in 1975 at the end of the first regional legislature, they or-ganised what may have been the first scientific meeting of a far reaching nature – after years of oblivion, they re-evaluated Cattaneo’s importance. And in 2001 they celebrated the bi-centenary of his birth with the pub-lication of a good five volumes of his writings. For Cattaneo the processes of “civilising” are fundamental, re-sulting from empirically “positive” facts, they tell the history of human society. In this perspective the idea of liberty stands out as an ethical and civil value, like a cornerstone of our new political culture, on which to build the republic, a synonym of plu-ralism and thus of federalism. Feder-alism is in fact in his view conditio sine qua non (without which there is nothing) so that the principle of free-dom can assert itself. The new Italian State however followed the route of the Jacobean-Napoleonic model and any other models were systematically cast aside. Starting from the great de-sign draughted by Cavour’s Minister for Home Affairs, Marco Minghetti, which was presented to the Camera four days before the proclamation of the Unification of Italy, 13th March 1861, and which answered the prin-ciple of a very wide “decentralisa-tion”. At the decisive turns of Italian

history, federalism has always raised its head in the debate over the Na-tion’s destiny. This is the great lesson that Carlo Cattaneo bequeaths us with; a lesson we need to get to grips with during this year celebrating the 150 years of the Unification of Italy.

Cattaneo come Tocqueville? La “riscoper- ta” di Carlo Cattaneo in Nord AmericaCattaneo like Tocqueville? The “redi-scovery” of Carlo Cattaneo in North AmericaFilippo Sabettipag 65 Carlo Cattaneo was a notewor-thy Italian academic of the 19th Cen-tury that ought to be known better than he has been until now in the English-speaking world. Besides the conflicts of the time, both in Italy and elsewhere (between liberalism and socialism, monarchy and republic and so on) Cattaneo tried to lay the foundations to redirect human civi-lisation towards people living togeth-er in an open society based on self government. He was convinced that neither economic progress nor rep-resentative democratic institutions, neither violent revolutions nor na-tionalism could automatically bring about the liberation of mankind and political freedom. The political think-er of the 19th Century closest to Catta-

04_Sintesi_ing.indd 18 11/10/11 10:19

Page 19: confronti 1-2 2011

19summarized texts CONFRONTI 1-2/2011

neo was, without doubt, Toqueville. Independently of each other they made analogous assessments and often arrived at similar conclusions having the same passion for freedom and for the principle of self govern-ment. The political culture that Cat-taneo and Tocqueville outlined in the 19th Century had no way of devel-oping at that time. Instead it could develop today in centres like the Ol-strom Seminary in the Bloomington School. Since it’s first beginnings in the early ’70’s the links were explic-it and evident between the Seminary and Toqueville’s line of thought. Car-lo Cattaneo’s line of thought deserves just the same amount of attention in that centre.

FocusPersona, ruolo pubblico della società ci-vile e bene comune nello Statuto della Lombardia: quali basi teorichePerson, the public role of civil society and common good in the Lombardy Statute: which theoretical basesFrancesco Botturipag. 89 Person and subsidiarity are main terms in the “General Princi-ples” of the Statute of the Region of Lombardy. The problem inevitably posed in the present socio-political

context is however that of the theoreti-cal firmness of these conscious mean-ings, from the moment that the idea of “person” is uncertain and the politi-cal idea of “subsidiarity” is well nigh absent. The principle of “subsidiari-ty” stands on the acknowledgement of political subjectivity in civilised soci-ety, which however in the modern age has met with strong resistance both in thought as well as in the giuridic and socio-political praxes. Apart from a few important exceptions (Locke, Toc-queville, Rosmini, Sturzo) civil soci-ety is viewed as the place of conflict which only an all-englobing superior totality, the State, can remedy. We may, today, be witnessing a crisis of the political dimension and with it one of the State, the phenomenon however is neither liberating nor in-novative. Indeed it essentially derives from the advancing of an alleged new form of social universality, which would like to replace both the polit-ical and the civil: the abstract uni-versality of the technostructure, of globalisation. To the extent to which the other universal one, the techno-cratic one is advancing, civil is again reduced to being the non univer-sal. To escape this reduction, there-fore, it must present itself as some-thing aimed at publicly and endowed with its own peculiar physiognomy,

04_Sintesi_ing.indd 19 11/10/11 10:19

Page 20: confronti 1-2 2011

20 CONFRONTI 1-2/2011 summarized texts

and not only as a “large container” of non-institutionalised social ac-tors, distinct from the State and to a certain extent dialectically opposed to it”. What anthropological vision, therefore, is adequate for such a civil culture? The one where relation and freedom are conjugated.

Valori, principi e elementi costituzionali fondamentali dello Statuto della Lom-bardia: la sussidiarietà come garanzia di libertà realeValues, principles and fundamental constitutional elements of the Lom-bardy Statute: subsidiarity as a guar-antee of real freedomLorenza Violinipag. 103 The new Lombard statute – passed in May 2008 with a huge majority vote (over two thirds in fa-vour, and only one vote against) is a highly innovative bill. Unique in its kind, “recognising man as the foun-dation of the “comunità regionale” (regional community). It promotes the freedom of the individual and together with it that of the commu-nity; it sanctions the right to life in each of its phases, it undertakes to implement policies for the full inte-gration of resident foreigners and the disabled; to protect the different so-

cial formations – first and foremost the family – and the right to work. On the basis of subsidiarity, that the new Statute states fully and explicitly, the Regione favours “the autonomous initiative of its citizens, as individu-als or groups, of families, of forma-tions and of social institutions, of associations and of lay and religious bodies”, anticipating and regulating their “taking part in government and for the exercising of legislative and administrative functions”. The form of government is centred on the di-rect election of the “Presidente della Regione”(President of the Region), who is reserved the right to initiate regional laws, a right previously re-served for the Junta. This shows a distinct strengthening of the con-trol powers of the Consiglio Region-ale (Regional Council), supported by a Consiglio delle Autonomie Loca-li (Council of Regional Autonomy), and other controlling bodies such as the Commissione garante dello Stat-uto (Statute Guarantee Commis-sion), the Difensore civico regionale (Regional Ombudsman), the Comi-tato regionale per le comunicazioni (the Regional Media and Commu-nications Committee) and the Con-siglio per le pari opportunità (Equal Opportunities Council).

04_Sintesi_ing.indd 20 11/10/11 10:19

Page 21: confronti 1-2 2011

21summarized texts CONFRONTI 1-2/2011

The policiesLa rinascita della scuola professionale in Lombardia: che cosa è stato fatto nel-l’VIII legislatura e che cosa resta da fare The rebirth of vocational schools in Lombardy: what has been done in the 8th legislature and what still remains to be doneGiovanni Cominellipag. 115 In Italy, historically speaking, the field of vocational training is covered by two different networks of schools, that respectively are directed by the Region and the State. Since it has not been politically possible up until now to eliminate this duplica-tion, the aim has been to integrate the courses available in both. Using new Regional constitutional powers to or-ganise the school system, during the Regional legislative period 2005/10, a new single system for vocational in-struction and training was drawn up in Lombardy. The three year cours-es that were previously offered only by the regional “Istituti di formazi-one professionali” ( Schools for vo-cational training), and later also by the State run ones, have become in-creasingly popular. Those enrolled in the first year, 15,035 in 2009, have grown to 17,200 in 2010. Following the agreement of 16th March 2009 be-tween the Lombardy Region and the

Ministry, four year courses were de-fined and set up, offered by both those run by the Region as well as the State run schools at the end of which the students that pass the final exams are presented with a “technical pro-fessional” diploma. Since 2010/11 those who have attained the diplo-ma can then enrol for a further fifth year: a preparatory course for the State exam which allows them ac-cess to university. The adoption of this so-called “dote” (dowry) system – on the strength of which the financ-ing directed at the Centri di formazi-one (vocational schools) has been re-placed by a voucher directly assigned to who enrols on the courses- not on-ly gives greater freedom to the end-us-ers , but also stimulates competition for quality between the schools, with-out altering the cost of the service.

In Europe, in the worldLa Nuova Zelanda alla prova della sus-sidiarietà: quali lezioni dall’esperienza lombarda New Zealand tries out subsidiarity: what lessons to be learned from the Lombardy experience Philip MacDermottpag. 127 On the theme of both trans-Tas-

04_Sintesi_ing.indd 21 11/10/11 10:19

Page 22: confronti 1-2 2011

22 CONFRONTI 1-2/2011 summarized texts

man relations as well as the promo-tion of local democracy within the country, the government model based on subsidies underway in Lombardy provides an interesting example for New Zealand Since 1979 within the framework of agreements entitled “Closer Eco-nomic Relations” CER – aiming at the development of a common mar-ket based on freedom of movement of the people of the two countries has already been in force for quite some time- the relationship between New Zealand and Australia, 22.6 mil-lion, people has to face up to the fact that the six Australian States have strong and consolidated preroga-tives. Because of this the Federation (the Commonwealth of Australia) is not always able to enter into play to its own advantage as if it were a seventh Australian State (moreover without actually being one), and not as a subject on a par with Australia. As things are, in the context of trans-Tasman relations, asserting the prin-ciple of subsidies opens up interest-ing prospects.In New Zealand a process of consti-tutional reforms is underway – in a setting where, as in the United King-dom, there is no written constitution – and is aimed at a profound reorgan-isation of the healthcare system and

of welfare benefits. In this context the experience in Lombardy in this matter, from the freedom of choice of where to be treated to the system of vouchers and “doti”(endowments) is of great interest to New Zealand.

Studies, research and papersVerso un’Italia multietnica: quale multi-culturalismo, quale tolleranza? Towards a multiethnic Italy: what multiculturalism, what tolerance?Giuseppe Scidàpag. 141 Having outlined an essential profile of the transformation of to-day’s Italian society due to the pres-ence of a high number of immigrants, a few key concepts of contemporary debate are presented and discussed, markedly those of the ethnic group, multiethnic society, multicultural so-ciety, citizenship.Reflecting briefly on multicultural-ism in particular we can see how, after having been formally adopted (in Canada) and rather informally (in Holland, the US, Germany and the UK) as a political guide in some countries, it has shown itself to gen-erate more negative effects than pos-itive ones. It has frequently had the effect of fragmenting society, separat-

04_Sintesi_ing.indd 22 11/10/11 10:19

Page 23: confronti 1-2 2011

23summarized texts CONFRONTI 1-2/2011

ing minorities and creating cultural relativism in the public sphere.Following this we try to focus on the various challenges awaiting Ita-ly in its attempt to build up a toler-ant society. This in fact presuppos-es a meeting point between subjects that is aware of their different iden-tity as well as the reciprocal cultural distance, and indeed because of this intent on mutual awareness and a comparison of identities.A pluralistic multiethnic society,

despite being the inevitable result of contemporary global history, needs to be discussed within institutions, in groups and between individuals not censuring the emerging difficul-ties of our everyday difficulties of a decisive minority (to a large extent characterised by the Islamic cul-ture) of living together with a ma-jority of people with Catholic tradi-tions whose two thousand year old presence has deeply shaped even the Italian society as a whole.

04_Sintesi_ing.indd 23 11/10/11 10:19

Page 24: confronti 1-2 2011

04_Sintesi_ing.indd 24 11/10/11 10:19

Page 25: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

EditorialRoberto Formigonipag. 5 Tandis que cette revue conti-nue le parcours positif entrepris en 2002, en tant que revue de débat et de culture politique de la Présidence de la Région, nous vous signalons qu’à partir de ce numéro, Confronti est confiée à Eupolis Lombardia, l’Ins-titut Supérieur pour la Recherche, la Statistique et la Formation : l’orga-nisme dans lequel nous avons voulu faire converger la culture, les énergies et les ressources déjà présentes dans l’I.R.e.R. - Institut Régional de Re-cherche, dans la Structure Régionale Statistique et Observatoires et dans l’I.R e.F. - Institut Régional pour la formation.Au travail complexe de recherche d’une voie de sortie de la crise ac-tuelle, Région Lombardie apporte la contribution d’une expérience de subsidiarité pratiquée avec succès. La voie de la subsidiarité, dont le fé-déralisme authentique est le reflet ap-proprié au niveau des institutions, constitue en effet la seule voie pour atteindre rapidement et sans sacrifier la démocratie, cette réduction draco-

nienne des impôts sans laquelle la dé-pense publique entre en conflit avec le développement, déclenchant ainsi une augmentation supplémentaire de la dette. Il est donc urgent d’effectuer de grandes réformes. Trop souvent, en Italie, l’enchevêtrement de bureau-craties parasitaires publiques et para-publiques mais aussi les intérêts des secteurs assistés de façon injustifiée aussi bien par l’économie que par la société, constituent un gigantesque frein qui l’emporte sur tout. Un grand mouvement de peuple s’impose pour pouvoir surmonter ce frein.

Les classiquesLa libertà in Carlo CattaneoLa liberté chez Carlo CattaneoStefano B. Gallipag. 33Ce n’est pas un hasard si le premier événement public d’Éupolis Lombar-dia - le tout nouvel “Institut supérieur de Recherche, Statistique et Forma-tion” de la Région - fut, en avril der-nier, le congrès “Pour la Liberté” dé-dié au père du fédéralisme italien, Carlo Cattaneo (1801-1869) et à son œuvre. Dès le début, Regione Lom-

Textes résumés

25

05_Sintesi_fra.indd 25 11/10/11 10:18

Page 26: confronti 1-2 2011

26 CONFRONTI 1-2/2011 TExTEs résumés

bardia lui témoigna un intérêt par-ticulier ; en 1975, déjà, à la fin de la première législature régionale, elle or-ganisa ce qui fut peut-être la première rencontre scientifique de grande en-vergure – après des années d’oubli – visant à sa revalorisation. Puis en 2001 elle célébra dignement le bicen-tenaire de sa naissance avec la publi-cation de pas moins de cinq volumes écrits par lui. Pour Cattaneo, les pro-cessus de “civilisation” sont fonda-mentaux car comme ils découlent de faits empiriques essentiellement “po-sitifs”, ils scandent l’histoire de la so-ciété humaine. Dans cette perspec-tive l’idée de liberté s’impose comme une valeur éthique et civile, comme la pierre angulaire d’une nouvelle culture politique, une base pour la construction de la république, syno-nyme de pluralisme et donc de fédéra-lisme. Le fédéralisme est en effet, selon lui, une condition sine qua non pour que le principe de liberté puisse s’affir-mer. Le nouvel État italien s’engagea au contraire sur la voie du modèle ja-cobin-napoléonien et les autres pro-jets, systématiquement mis de côté, ne servirent à rien. A commencer par le grand dessein élaboré par le ministre de l’Intérieur de Cavour, Marco Min-ghetti, présenté à la Chambre quatre jours avant la proclamation de l’Uni-té, le 13 mars 1861, qui répondait au

principe d’une “très large décentrali-sation”.. Dans les tournants décisifs de l’histoire italienne, le fédéralisme est toutefois toujours revenu à l’esprit dans le débat sur le sort du Pays. C’est là la grande leçon que Carlo Catta-neo nous laisse en héritage; une leçon que nous ne pouvons pas omettre de prendre en considération en cette an-née de célébration du 150ème anniver-saire de l’Unité.

Cattaneo come Tocqueville? La “riscoper- ta” di Carlo Cattaneo in Nord AmericaCattaneo comme Tocqueville? La “redécouverte” de Carlo Cattaneo en Amérique du Nord Filippo Sabettipag. 65 Carlo Cattaneo fut un important historien italien du XIXème siècle qui mérite d’être connu dans le monde de la langue anglaise bien plus que ce qu’il ne l’est actuellement. En allant au-delà des grandes oppositions que l’on pouvait constater à son époque en Italie ou ailleurs (entre libéralisme et socialisme, entre monarchie et ré-publique et ainsi de suite), Cattaneo essaya d’établir les bases d’une réo-rientation de la civilisation humaine vers des formes de cohabitation civile caractérisées avant tout par une so-ciété ouverte et fondée sur l’autogou-vernement. Il était convaincu que ni

05_Sintesi_fra.indd 26 11/10/11 10:18

Page 27: confronti 1-2 2011

27TExTEs résumés CONFRONTI 1-2/2011

le progrès économique, ni les institu-tions démocratiques représentatives, ni même les révolutions violentes ou le nationalisme ne pouvaient mener automatiquement à la libération de l’homme et à la liberté politique. Le penseur politique du XIXème siècle le plus proche de Cattaneo est sûrement Tocqueville. Indépendamment l’un de l’autre, ils donnèrent des évaluations analogues et ils parvinrent souvent à des conclusions semblables, ayant la même passion pour la liberté et pour le principe d’autogouvernement. La culture politique que Cattaneo et Toc-queville tracèrent au XIXème siècle n’eut à l’époque aucune possibilité de se développer. Elle pourrait, par contre, se développer de nos jours avec l’École de Bloomington comme l’un de ses principaux centres d’éla-boration, dans le Séminaire Olstrom. Dès le commencement, au début des années ’70, les liens qui existaient entre le Séminaire et la pensée de Toc-queville furent évidents et explicites. La pensée de Cattaneo mérite, dans ce contexte, autant d’attention.

DossierPersona, ruolo pubblico della società ci-vile e bene comune nello Statuto della Lombardia: quali basi teorichePersonne, rôle public de la société ci-

vile et bien commun dans le Statut de la Lombardie: les bases théoriquesFrancesco Botturipag. 89 Personne et subsidiarité sont les termes principaux des “Principes généraux” du Statut de la Regione Lombardia. Le problème qui se pose inévitablement dans le contexte so-ciopolitique actuel est cependant ce-lui de la tenue théorique des ces in-tentions conscientes, à partir du moment où l’idée de “personne” est incertaine et où l’idée de “subsidiari-té” est presque absente. Le principe de subsidiarité se base sur la reconnais-sance de la subjectivité politique à la société civile, qui a au contraire ren-contré à l’époque moderne une forte résistance dans les esprits, mais aus-si dans les pratiques juridique et so-ciopolitique. Mis à part certaines ex-ceptions parfois importantes (Locke, Tocqueville, Rosmini, Sturzo) la so-ciété civile est surtout perçue comme le lieu du conflit auquel seul un en-semble supérieur englobant, l’État, peut suppléer. Il est vrai aussi que nous assistons aujourd’hui à une crise de la sphère politique et par la même de l’État, mais le phénomène n’est pas en soi libératoire ni inno-vant. Il dérive en effet essentiellement de l’avancée d’une prétendue nouvelle forme d’universalité sociale, qui vou-

05_Sintesi_fra.indd 27 11/10/11 10:18

Page 28: confronti 1-2 2011

28 CONFRONTI 1-2/2011 TExTEs résumés

drait remplacer à la fois la sphère po-litique et la sphère civile: l’universa-lité abstraite de la technostructure, de la globalisation. Dans la mesure où cette autre entité universelle avance, l’entité technocratique précisément, l’aspect civil est de nouveau réduit à la non-universalité. Pour échapper à cette réduction, il doit alors se po-ser en grand domaine public, pour-vu d’une physionomie particulière et non pas seulement “comme une espèce de ‘grand récipient’ d’acteurs sociaux non institutionnalisés, dis-tinct de l’État et d’une certaine façon dialectiquement opposé à ce dernier”. Quelle est alors la vision anthropolo-gique adéquate à cette culture du ci-vil? Celle où se conjuguent relation et liberté.

Valori, principi ed elementi costituziona-li fondamentali dello Statuto della Lom-bardia: La sussidiarietà come garanzia di libertà realeValeurs, principes et éléments consti-tutionnels fondamentaux du Statut de la Lombardie: la subsidiarité comme garantie de liberté réelleLorenza Violinipag. 103 Le nouveau Statut lombard – approuvé en mai 2008 à une très large majorité (plus de deux tiers des votants se sont prononcés pour et un

seul vote contraire) – est un acte de grande valeur innovante. Unique en cela dans son genre, “il reconnaît la personne humaine comme fonde-ment de la communauté régionale”. Il encourage à la fois la liberté des in-dividus et celle des communautés; il établit le droit à la vie à chacune de ses étapes, le devoir de réaliser des politiques de pleine intégration des étrangers résidents et des personnes handicapées; Il garantit la tutelle des différentes formations sociales – en tout premier lieu la famille– et le droit au travail. Sur la base du principe de subsidiarité que le nouveau Sta-tut affirme de façon explicite et com-plète, la Région encourage ensuite “l’initiative autonome des citoyens et des organismes civils et religieux” en prévoyant et en réglementant leur “participation dans l’action du gou-vernement et pour l’exercice des fonc-tions législatives et administratives”. La forme du gouvernement est axée sur l’élection directe du Président de la Région, auquel on réserve aussi le pouvoir d’initiative des lois régio-nales qui était précédemment confié à la Giunta (organe exécutif de la Ré-gion). A cela correspond cependant un renforcement substantiel des pou-voirs de contrôle du Conseil Régional, qui sera soutenu par un Conseil des Autonomies Locales et d’autres orga-

05_Sintesi_fra.indd 28 11/10/11 10:18

Page 29: confronti 1-2 2011

29TExTEs résumés CONFRONTI 1-2/2011

nismes de contrôle comme La Com-mission Garante du Statut, le Dé-fenseur Civique Régional, le Comité Régional pour les Communications et le Conseil pour l’Égalité des Chances.

Les politiquesLa rinascita della scuola professionale in Lombardia: che cosa è stato fatto nel-l’VIII legislatura e che cosa resta da fare Le renouveau de l’école professionnel-le en Lombardie: ce qui a été fait au cours de la VIIIe législature et ce qu’il reste à faireGiovanni Cominellipag. 115 En Italie le domaine de la for-mation professionnelle est caractéri-sé historiquement par la présence de deux réseaux d’école différents, à la tête desquels se trouvent respective-ment les Régions et l’État. L’élimina-tion de ce double réseau n’ayant pas été possible jusqu’à maintenant poli-tiquement, l’objectif a donc été de réa-liser une intégration de l’offre de for-mation de l’un et de l’autre. En vertu des nouveaux pouvoirs constitution-nels des Régions en matière d’organi-sation du système scolaire, au cours de la Législature régionale 2005/10, un nouveau système unitaire d’ins-truction et de formation profession-nelle a donc été redessiné en Lom-

bardie. Les parcours de qualification triennale, que seuls les instituts de for-mation professionnelle de la Région proposaient au début, suivis ensuite par les instituts d’État, ont remporté de plus en plus de succès. Les inscrits aux cours de première année, déjà 15.035 en 2009, sont passés à 17.200 en 2010. Puis, suite à l’accord du 16 mars 2009 entre Région Lombardie et le Ministère, aussi bien les instituts de droit régional que les instituts d’État ont conçu et mis en place des cours quadriennaux au terme desquels les étudiants ayant suivi ces cours avec succès reçoivent un diplôme de “tech-nicien professionnel”. A partir de l’an-née scolaire 2010/11 ces diplômés peuvent aussi ajouter une cinquième année : un cours de préparation à l’examen d’État leur donnant accès, à eux aussi, à l’université. L’adoption du système que l’on appelle la “dote” (N.d.T. aide régionale pour les études) – en vertu duquel le financement des-tiné aux Centres de Formation a été remplacé par le bon ou voucher as-signé directement à la personne qui s’inscrit aux cours – donne non seule-ment une plus grande liberté aux uti-lisateurs, mais stimule également la compétition pour la qualité au sein des centres, tout en maintenant les coûts de distribution du service inal-térés.

05_Sintesi_fra.indd 29 11/10/11 10:18

Page 30: confronti 1-2 2011

30 CONFRONTI 1-2/2011 TExTEs résumés

En Europe, dans le mondeLa Nuova Zelanda alla prova della sus-sidiarietà: quali lezioni dall’esperienza lombardaLa Nouvelle-Zélande expérimente la subsidiarité: les leçons tirées de l’ex-périence lombardePhilip MacDermottpag. 127 Aussi bien en ce qui concerne les relations avec l’Australie que la promotion de la démocratie locale au sein du pays, le modèle de gouverne-ment basé sur la subsidiarité, qui est en vigueur en Lombardie, constitue un exemple intéressant pour la Nou-velle-Zélande. Établies depuis 1979 dans le cadre des accords dits Closer Economic Relations, CER – dont l’objectif est le développement d’un marché com-mun sur la base d’une liberté de mou-vement des personnes entre les deux pays qui existe déjà depuis longtemps – les relations de la Nouvelle-Zélande avec l’Australie, 22,6 millions d’ha-bitants, doivent tenir compte du fait que les six Etats australiens ont des prérogatives fortes et consolidées. A cause de ces dernières, la Fédération (Commonwealth of Australia) n’est

pas toujours à même de se position-ner dans le cadre des accords CER en tant qu’unique interlocuteur de la Nouvelle-Zélande. Cette dernière finit donc souvent par entrer en jeu à son désavantage comme s’il s’agis-sait d’un septième État australien (sans l’être réellement de surcroît) et non pas comme un sujet en tant que tel, au même titre que l’Austra-lie. Dans cet état actuel des choses, dans le contexte des relations austra-lo-néozélandaises (trans – Tasman relations), l’affirmation du principe de subsidiarité ouvre des perspectives très intéressantes. En outre, un processus de réformes constitutionnelles – ayant lieu dans le cadre d’une constitution qui (comme en Grande Bretagne) n’est pas écrite – est actuellement en cours en Nou-velle-Zélande, dont l’objectif est d’ail-leurs une profonde réorganisation de l’assistance sanitaire et des autres services à la personne. C’est dans ce contexte que l’expérience lombarde en la matière, à partir de la liberté de choix du lieu où se faire soigner jusqu’aux systèmes des buoni et do-ti (aides régionales pour les études), est très intéressante pour la Nouvelle-Zélande.

05_Sintesi_fra.indd 30 11/10/11 10:18

Page 31: confronti 1-2 2011

31TExTEs résumés CONFRONTI 1-2/2011

études, recherches et documentsVerso un’Italia multietnica: quale multi-culturalismo e quale tolleranzaVers une Italie multiethnique: quel multiculturalisme et quelle toléranceGiuseppe Scidà pag. 141 Après avoir tracé un profil essen-tiel de la transformation que connaît la société italienne actuelle, consé-cutivement à la présence d’un quota d’immigrés élevé, nous présentons et analysons certains concepts-clés du débat contemporain, notamment les suivants : le groupe ethnique, la so-ciété multiethnique, la société multi-culturelle et la citoyenneté. Si l’on s’arrête sur le multicultu-ralisme en particulier, on constate qu’après avoir été adopté de façon for-melle (au Canada) ou plus ou moins informelle (en Hollande, aux États-Unis, en Allemagne et au Royaume-Uni), comme politique guide dans certains pays, il a produit plus d’ef-fets négatifs que positifs. Il a souvent entraîné une fragmentation de la so-

ciété, une division des minorités, un relativisme culturel dans la sphère publique. L’auteur essaye ensuite d’identifier les nombreux défis qui attendent l’Italie pour essayer de construire une socié-té tolérante. Celle-ci suppose, en effet, une rencontre entre les subjectivités conscientes de leur identité différente ainsi que de la distance culturelle ré-ciproque et par conséquent la néces-sité d’une connaissance mutuelle et d’un parallèle entre identités. Une société multiethnique pluraliste, bien que ce soit la conséquence iné-luctable de l’histoire globale contem-poraine, nécessite une analyse dans le cadre d’institutions, de groupes et d’individus sans pour autant cen-surer les difficultés émergentes dans la cohabitation quotidienne d’une nette minorité (en grande partie ca-ractérisée par la culture islamique) avec une majorité de traditions ca-tholiques, dont la présence bimillé-naire a également profondément fa-çonné la société italienne dans son ensemble.

05_Sintesi_fra.indd 31 11/10/11 10:18

Page 32: confronti 1-2 2011

Carlo Cattaneo Milano, 15 giugno 1801 – Castagnola-Cassarate, 6 febbraio 1869

05_Sintesi_fra.indd 32 11/10/11 10:18

Page 33: confronti 1-2 2011

I classici

CONFRONTI 1-2/2011

La libertà in Carlo Cattaneo

Stefano B. GalliPresidente di Éupolis Lombardia

Doveroso tributare i giusti onori a Carlo Cattaneo nell’anno del 150° della nascita dello Stato unitario

33

Non a caso la prima uscita pubblica di Éupolis Lombardia – il neonato “Istituto superiore per la ricerca, la statistica e la formazione” di Regione Lombardia – fu nello scorso aprile il convegno “Per la libertà” dedicato alla figura e all’opera di Carlo Cattaneo. L’idea di organizzare il convegno, di cui nel dettaglio di-remo più avanti, era nata sulla scia di una sollecitazio-ne del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso della sua visita a Bergamo, in occasione del 150esimo dell’Unità d’Italia. In effetti, proprio la circo-stanza celebrativa della nascita dello Stato unitario e la concomitante conclusione del disegno di federalizzazio-ne della fiscalità, cominciato nel 2009, conducevano a una rinnovata valutazione della figura e del pensiero di Cattaneo. Era corretto – e, anzi, doveroso – insomma tributare, ancorché tardivamente, i giusti onori a Catta-neo nel momento in cui si svolgevano le celebrazioni del 150esimo, perchè esse cadevano contestualmente al di-battito parlamentare sui decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale (la 42/2009). Si trattava allora di una sorta di “risarcimento”. Un risarcimento – se osservato da un versante eminentemente scientifico e culturale – per taluni aspetti tardivo. Non certo tardivo, tuttavia, per Regione Lombardia che ha sempre dimostrato una note-vole sensibilità nei confronti di questo scrittore politico di origine milanese, padre del federalismo italiano. Sin

06_I_Classici_B2.indd 33 11/10/11 10:17

Page 34: confronti 1-2 2011

34 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Carlo Cattaneo è stato un ricercatore

eclettico e di altissimo livello

in molti e diversi campi del sapere:

dai problemi politici a quelli

istituzionali, dalle questioni economiche a

quelle sociali. A confermarlo l’intera

sua produzione scientifica

dalla conclusione della prima legislatura regionale, nel 1975, Regione Lombardia ha rivolto le proprie attenzio-ni al pensiero e alla figura di Cattaneo, organizzando for-se il primo incontro scientifico di ampio respiro – dopo anni di oblìo – volto alla rivalutazione della sua figura. E nel 2001 ha celebrato degnamente il bicentenario della nascita con la pubblicazione di ben cinque volumi, pro-mossi dall’allora Assessore regionale alle Culture, Identi-tà e Autonomie, Ettore Adalberto Albertoni. Sono questi i due estremi cronologici – 1975 e 2001 – della costante e duratura perlustrazione, da parte delle istituzioni regio-nali lombarde, di un pensiero così poliedrico e ricco di suggestioni interpretative, autorevole e penetrante, quale fu quello di Carlo Cattaneo.La scelta di Éupolis Lombardia s’è rivelata felice anche per un altro aspetto, non certo secondario, che in que-sta sede vale la pena di sottolineare con forza. Nel vasto e variegato “paesaggio” del pensiero italiano del seco-lo decimonono, non v’è forse personaggio più adatto di Carlo Cattaneo a rappresentare e riassumere in sé i set-tori privilegiati d’azione e – più in generale – la stessa fi-sionomia operativa di Éupolis Lombardia, inteso quale “Istituto superiore per la ricerca, la statistica e la forma-zione” di Regione Lombardia. Carlo Cattaneo è stato un ricercatore eclettico e di altissimo livello in molti e diversi campi del sapere: dai problemi politici a quelli istituzio-nali, dalle questioni economiche a quelle sociali. A con-fermarlo l’intera sua produzione scientifica. È stato pu-re uno studioso di matrice positivista, austero e severo, fiducioso nel primato della ragione, nel progresso tecni-co e scientifico, fortemente orientato verso la statistica. Basti ricordare che, a partire dal 1833, collaborò con gli “Annali di statistica” e undici anni dopo pubblicò Le noti-zie naturali e civili su la Lombardia. Cattaneo era davvero un “gran” lombardo: dalle pagine della sua Introduzione alle Notizie del 1844 emerge bene, infatti, la sua idea di Lombardia, per natura e civiltà ben «distinta» dalle altre regioni, come sostiene nell’Avviso al lettore. Infine, Carlo Cattaneo è stato un formatore. A partire dal 1820 diventò

06_I_Classici_B2.indd 34 11/10/11 10:17

Page 35: confronti 1-2 2011

35I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Éupolis Lombardia e Carlo Cattaneo. Ma non solo. Il binomio si rafforza anche cercando di penetrare i meandri della speculazione teorica e della riflessione dottrinaria che caratterizzarono la sua figura di scrittore e di pensatore politico

professore di grammatica e successivamente di umanità nel ginnasio comunale Santa Marta di Milano e insegnò per una quindicina d’anni. E dopo le Cinque Giornate del 1848, esule a Castagnola – in Svizzera, nel Canton Ticino – fu nominato professore di filosofia del liceo cantonale di Lugano (1852).

Éupolis Lombardia e Carlo Cattaneo: una naturale prossimitàRicerca, statistica e formazione: Éupolis Lombardia e Carlo Cattaneo. Ma non solo. Il binomio si rafforza an-che cercando di penetrare i meandri della speculazione teorica e della riflessione dottrinaria che caratterizzarono la sua figura di scrittore e di pensatore politico. Cattaneo, così legato all’idea di «buon governo», nel quadro di una articolazione istituzionale che non sia soverchiante e op-pressiva nei confronti del cittadino, fu molto attento alle tradizioni civiche e al capitale sociale rappresentato dalla città, intesa – in senso allargato – come una comunità ter-ritoriale, espressione di una specifica socialità, vale a di-re di modelli virtuosi di cultura e di comportamento che definiscono la mentalità collettiva. Basta leggere qualche pagina de La città considerata come principio ideale del-le istorie italiane, saggio apparso in quattro puntate sul “Crepuscolo” tra l’ottobre e il dicembre del 1858, penul-timo anno di vita della rivista fondata e diretta da Carlo Tenca. Città – Pòlis – come comunità territoriale allarga-ta che, forte delle proprie tradizioni civiche, esprime un paradigma politico e culturale, economico e sociale. Sì, perchè la comunità territoriale è anche il luogo privilegia-to dello scambio e, soprattutto, dell’organizzazione degli interessi economici e produttivi. E la mission di Éupo-lis Lombardia è proprio quella di supportare concreta-mente, con la propria attività di ricerca, di statistica e di formazione interna, le politiche pubbliche finalizzate al buon governo della Pòlis lombarda, vale a dire della co-munità regionale intesa nel suo complesso. Una comu-nità virtuosa che guarda al federalismo – fiscale quanto istituzionale – con una particolare attenzione.

06_I_Classici_B2.indd 35 11/10/11 10:17

Page 36: confronti 1-2 2011

36 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Regione Lombardia pone la conoscenza

a fondamento dell’azione politica e amministrativa,

confermandosi modello e

“laboratorio” di governo,

sia in un’ottica di federalismo

“anticipato”, sia nello sviluppo e attuazione della

sussidiarietà, tanto verticale, quanto

orizzontale

Il prefisso greco Eu è valoriale e significa «bene». Pòlis è la città intesa quale comunità politica, sociale e territoriale. Qui affonda le proprie radici, il senso della partecipazio-ne della persona umana alla vita associata della comunità; una partecipazione finalizzata alla costruzione del bene comune – vero e proprio «capitale» di virtù civiche – e alla sua valorizzazione. In tal senso è dunque da intendersi an-che l’azione e l’attività di Éupolis Lombardia, che individua nel supporto all’azione di governo delle istituzioni regio-nali l’obiettivo privilegiato di articolate e plurime attività (produzione e lettura integrata dei dati statistici, coordina-mento degli osservatori regionali, studi e ricerche finalizza-te all’innovazione legislativa e alla programmazione, sup-porto tecnico-scientifico, aggiornamento e formazione per la crescita del capitale umano); un ruolo deliberatamente orientato al buon governo della Regione Lombardia, cioè della più vasta comunità lombarda che in essa si riconosce e in essa trova una rappresentanza istituzionale e un’iden-tità politica e culturale, economica e sociale. Dotandosi di un “Istituto superiore per la ricerca, la stati-stica e la formazione”, Regione Lombardia pone la cono-scenza a fondamento dell’azione politica e amministra-tiva, confermandosi modello e “laboratorio” di governo, sia nell’ambito delle specifiche competenze regionali, in un’ottica di federalismo “anticipato”, sia nello sviluppo e attuazione della sussidiarietà, tanto verticale, quanto orizzontale. Frutto della fusione di IReR (Istituto Regio-nale di Ricerca), IReF (Istituto Regionale di Formazio-ne) e della Struttura regionale “Statistica e Osservatori”, Éupolis Lombardia ha iniziato la propria attività il primo gennaio 2011; attività rivolta, oltre alla Giunta e al Consi-glio regionali, anche agli enti locali, alla pubblica ammi-nistrazione e alla società nel suo complesso, dal sistema delle imprese a quello universitario, dal terzo settore agli organismi di rappresentanza.

Un significativo convegno inaugurale Come dicevamo, la prima uscita pubblica di Éupolis Lombardia è avvenuta nello scorso mese d’aprile con il

06_I_Classici_B2.indd 36 11/10/11 10:17

Page 37: confronti 1-2 2011

37I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Carlo Cattaneo viene celebrato come la più lucida intelligenza dell’Ottocento italiano, come un grande saggista dallo stile scarno mai enfatico e roboante, ma pragmatico, essenziale e acuto

convegno intitolato “Per la libertà” e dedicato al pensie-ro di Carlo Cattaneo. Un convegno aperto dal Vicepresi-dente di Regione Lombardia, Andrea Gibelli, e chiuso dal Presidente Roberto Formigoni, al quale hanno parteci-pato, con relazioni – pur concentrate in poche decine di minuti – davvero di alto livello e ricche di spunti inter-pretativi, eminenti studiosi universitari, espressione degli atenei lombardi, secondo un approccio multidisciplinare e interdisciplinare (Fabio Rugge, ordinario di Storia delle istituzioni politiche e preside della Facoltà di Scienze po-litiche dell’Università di Pavia; Antonio Padoa Schioppa, emerito di Storia del diritto medievale e moderno dell’U-niversità di Milano; Ettore Adalberto Albertoni, già or-dinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università dell’Insubria; Alberto Cova, emerito di Storia economica dell’Università Cattolica di Milano; Giovanni Bognetti, emerito di Diritto costituzionale comparato dell’Univer-sità di Milano; Alberto Martinelli, ordinario di Scienza politica dell’Università di Milano; Robertino Ghiringhel-li, ordinario di Storia delle dottrine politiche dell’Univer-sità Cattolica di Milano). Di questo importante convegno d’esordio organizzato da Éupolis Lombardia uscirà, en-tro la fine dell’anno, il volume degli atti.È il federalismo di Carlo Cattaneo, che viene unanime-mente celebrato come la più lucida intelligenza dell’Otto-cento italiano, come il massimo saggista dallo stile scar-no e mai enfatico e roboante, ma – eccellente espressione dello spirito lombardo – pragmatico, essenziale e acuto, indubbiamente attirato dal rigore scientifico inteso quale metodo privilegiato d’indagine, positivista in tutti i campi del sapere e fiducioso nell’idea di progresso; come l’uni-co intellettuale ottoscentesco di respiro davvero europeo. Questa levatura internazionale, sia per quanto attiene al rigore del metodo, alla formazione e alle letture, cioè all’attenzione che riservava alle grandi correnti portatrici della civiltà europea, alle acquisizioni e alle conquiste, ai nuovi traguardi raggiunti dalla ricerca scientifica, sia per le relazioni intellettuali che intrecciò, sia – infine – per la fama che raccolse all’estero, fu un tratto saliente della

06_I_Classici_B2.indd 37 11/10/11 10:17

Page 38: confronti 1-2 2011

38 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

A Milano, lunedì 5 marzo 1860,

s’insedia il primo Consiglio

provinciale, presieduto da

Cesare Giulini della Porta,

patrizio milanese di grande prestigio.

Il primo governatore della Provincia è

Massimo d’Azeglio

Quello stesso giorno, lunedì 5

marzo 1860, sulla “Perseveranza” – alla vigilia delle

elezioni politiche – appare un articolo

senza firma dedicato a Carlo Cattaneo

sua figura. E lo rende così affine all’attenzione di Éupolis Lombardia – “corporate university” di Regione Lombar-dia, che individua nel rigore scientifico il proprio meto-do di lavoro – per le relazioni con gli ambienti scientifi-ci più all’avanguardia in campo internazionale. Éupolis Lombardia e Carlo Cattaneo: un binomio così felice non poteva che portare alla prima iniziativa pubblica dell’“I-stituto superiore per ricerca, la statistica e la formazio-ne” di Regione Lombardia.

Carlo Cattaneo (1801-1869)A Milano, lunedì 5 marzo 1860, s’insedia il primo Consi-glio provinciale, presieduto da Cesare Giulini della Porta, patrizio milanese di grande prestigio – è conte di Vialba e Villapizzone – e senatore del regno. Il presidente del Consiglio provinciale di Milano è Cesare Giulini della Porta; il primo governatore della Provincia – che pree-siste dunque di un anno allo Stato unitario – è Massimo d’Azeglio. Una decina di mesi prima, Giulini ha già co-ordinato i lavori della commissione voluta da Camillo Cavour in previsione dell’annessione della Lombardia al Piemonte: era infatti intendimento del governo subalpino valutare con attenzione quegli istituti giuridici segnala-ti dalla Commissione Giulini e ritenuti di fondamentale importanza, propri della tradizione meneghina e ricono-sciuti dagli austriaci1.Quello stesso giorno, lunedì 5 marzo 1860, sulla “Perseve-ranza” – alla vigilia delle elezioni politiche – appare un ar-ticolo senza firma dedicato a Carlo Cattaneo. L’anonimo estensore del pezzo si chiede chi non lo conosca e poi lo presenta così, con qualche importante sfumatura psico-logica: «Allievo di Romagnosi, allevato nella sua scuola alla dottrina dell’esperienza e delle opportunità civili; cre-sciuto nella predilezione degli studi storici ed economici; pensatore ed artista, scrittore compendioso, elegante nel

(1) Sulla storia della Provincia di Milano, mi sia consentito il rinvio a: S.B. Galli (2010), La Provincia di Milano e i suoi 150 anni, in 150 anni di opere e arte. I tesori della Provincia di Milano, Milano, Provincia di Milano-Arti grafiche Vertemati, Vi-mercate, pp. 11-21.

06_I_Classici_B2.indd 38 11/10/11 10:17

Page 39: confronti 1-2 2011

39I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Avidissimo di libertà, egli sogna – scrive la “Perseveranza” – una confederazione delle cento città italiche, cento anelli di una sua splendida ideale collana che dovrebbero rilucere come stelle nel firmamento d’Italia

vero, ricco di colorito e di accento; di carattere appassio-nato, negli amori e negli odii estremo»2.L’anonimo tenta poi un’articolata sintesi del pensiero po-litico cattaneano. «Avidissimo di libertà, inebriato nella splendida epopea storica dei nostri Comuni, egli sogna – scrive la “Perseveranza” – una confederazione delle cen-to città italiche, cento anelli di una sua splendida ideale collana che dovrebbero rilucere come stelle nel firma-mento d’Italia. È storia nel passato, poesia nell’avvenire; ma storia splendida e triste a un tempo, piena di poten-za e di miseria, di virtù e di vergogna, di lotte fratricide e di invasioni straniere: è poesia d’un’età ancor lontana da venire, quando la pace perpetua e le aspirazioni mora-li terranno esclusivo l’impero, e le nazioni non avranno più d’uopo di quell’unità e compattezza che sole oggi ne assicurano la indipendenza»3. Censurando la «disgregazione» e l’«isolamento di muni-cipale orgoglio», il profilo prosegue sostenendo che Cat-taneo personifica in sé – e «nel più alto grado» – le qualità e pure i difetti del carattere lombardo. Nei fatti «mostra quell’indolenza sdegnosa che ad intervalli si ravviva a febbrile attività; quella tenacità conservativa e culto esa-gerato delle tradizioni; quel senso acuto di positivismo e di realtà che trascende improvviso ad idealità impossi-bili; quell’insofferenza delle transizioni ed avidità di vi-ver libero che ignora od oblia facilmente le condizioni dell’unità e del forte governo. Tutt’affatto lombarda la fierezza della personale indipendenza, e quello smodato entusiasmo che confonde ed esalta del pari le piccole e le grandi cose»4. Cattaneo è davvero il «vecchio lombardo», infatti «la sua personalità è come la sua dottrina; e significa differenza, separazione». Non ha bisogno di «interpreti», ma non è l’espressione di una dottrina federalista «attraente», «simpatica» ed «eloquente», come lo era quella dei Gi-rondini nel corso della grande rivoluzione del 1789. La

(2) Anonimo (1860), “Carlo Cattaneo”, in La Perseveranza, 5 marzo.(3) Ibidem.(4) Ibidem.

06_I_Classici_B2.indd 39 11/10/11 10:17

Page 40: confronti 1-2 2011

40 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

È un bel ritratto di Carlo Cattaneo,

quello che propone la “Perseveranza”

il 5 marzo 1860. Al di là degli

aspetti psicologici il brano offre,

pur con qualche imprecisione, una buona sintesi del

pensiero cattaneano

lotta per l’indipendenza dallo straniero rende impratica-bile l’applicazione di un modello federale che portereb-be alla dissoluzione dei «vincoli della Nazione». La sua dottrina è «unità politica e federalismo amministrativo». Ma «finchè l’ideale suo si arresta alla Svizzera e agli Stati Uniti d’America, l’una aggregato di nazionalità differenti, gli altri semenzaio di Stati futuri che sorsero appena da ieri, noi crediamo che egli intenda parlare di una federa-zione politica, degli Stati-Uniti italiani, ciò che è profon-damente diverso da quello che per noi si intende l’Italia»5.È un bel ritratto di Carlo Cattaneo, quello che propone la “Perseveranza” il 5 marzo 1860. Al di là degli aspetti psicologici – Cattaneo è austero ma anche passionale, fors’anche un po’ sognatore – e dell’enfasi posta sulla sensibilità libertaria, il brano offre, pur con qualche imprecisione, una buona sintesi del pensiero cattaneano. Una sintesi che – correttamente – parte dal magistero del giurista piacentino Gian Domenico Romagnosi. Non è infatti comprensibile sino in fondo l’intera vicenda culturale e intellettuale di Cattaneo, il suo approccio ai problemi, la sua sensibilità per certi temi, senza considerare l’influenza che ebbe l’impostazione romagnosiana – tra incivilimento e filosofia civile – nella sua formazione.Carlo Cattaneo, insieme con Ferrari, de Filippi e Calderi-ni portò a spalla, la mattina del 9 giugno 1835, a Milano, il feretro del comune maestro, Gian Domenico Romagno-si6, poi sepolto a Carate Brianza, dove era solito trascor-rere le vacanze estive presso l’amico Luigi Azimonti. Dei quattro, Cattaneo era l’unico allievo «diretto»; a lui Ro-magnosi dettò il testamento e affidò i manoscritti inedi-ti. Giuseppe Ferrari fu un allievo sostanzialmente «indi-retto» del giurista piacentino e, comunque, tardivo. È lo stesso Carlo Cattaneo a spiegarlo, nell’ottobre del 1851, in

(5) Ibidem.(6) Sulla figura e l’opera di Gian Domenico Romagnosi si vedano: E. A. Albertoni (1990), (a cura di), I tempi e le opere di Gian Domenico Romagnosi, Giuffrè, Milano; R. Ghiringhelli (1988), Idee, società ed istituzioni nel Ducato di Parma e Piacenza du-rante l’età illuministica, Giuffrè, Milano; R. Ghiringhelli, F. Invernici (1982), (a cura di), Per conoscere Romagnosi, Unicopli, Milano.

06_I_Classici_B2.indd 40 11/10/11 10:17

Page 41: confronti 1-2 2011

41I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

La mente di Gian Domenico Romagnosi, questo agile e affettuoso portrait biografico-intellettuale di Romagnosi consente di cogliere il talento dell’autore, ma soprattutto quanto influì il magistero del giurista piacentino sulla formazione del giovane Carlo Cattaneo

un succinto, ma profondo e suggestivo ritratto politico e intellettuale dal titolo Chi era Giuseppe Ferrari, in cui so-stiene che non è corretto definirlo allievo di Romagnosi poiché la scuola milanese del giurista piacentino «era sta-ta chiusa fin dall’estate del 1821, quando Ferrari era poco più che fanciullo»7; mentre lui aveva una ventina d’anni.A Romagnosi, Ferrari dedicò tuttavia il pamphlet intito-lato La mente di Gian Domenico Romagnosi8 apparso nei numeri di luglio e di settembre della «Biblioteca italiana» in quello stesso anno. Si tratta di un pamphlet dal quale affiora in modo chiaro anzitutto la gratitudine intellet-tuale nei confronti di un vero e proprio «maestro». Que-sto agile e affettuoso portrait biografico-intellettuale di Romagnosi – che consente di cogliere il talento dell’auto-re, ma soprattutto quanto influì il magistero del giurista piacentino sulla formazione del giovane Carlo Cattaneo – è impostato su quella che diventerà poi la filosofia del-la storia di Giuseppe Ferrari, basata su un approfondito studio della speculazione teorica e dottrinaria dei singoli scrittori politici, in stretta connessione con la «circostan-za» (usa proprio quest’espressione) storica dell’epoca che essi hanno vissuto e dalla quale hanno costantemente ri-cevuto sollecitazioni, suggestioni, spunti di riflessione. Insomma, studiare un autore, circoscrivendone l’anali-si esclusivamente all’elaborazione teorica e alla specu-lazione dottrinaria, senza valutare in profondità il con-testo storico e politico nell’ambito del quale essa è stata proposta, è fuorviante e limitativo; per capire a fondo un autore, occorre infatti intrecciare e trovare – secon-do Ferrari – le connessioni tra il dato biografico, l’analisi del pensiero e del contesto storico nell’ambito del qua-le è stato elaborato poiché da esso ha ricavato chiare ed evidenti sollecitazioni. Solo in questo modo è possibile mettere bene a fuoco la passione civile e lo slancio idea-le che stanno dietro a ogni elaborazione teorico-politica.Nel caso di Romagnosi, ciò significa individuare le strette

(7) C. Cattaneo (1851), Chi era Giuseppe Ferrari, in C. Cattaneo (1965), Scritti politici, vol. I, Le Monnier, Firenze, p. 360.(8) G. Ferrari (1835), La mente di Gian Domenico Romagnosi, Fanfani, Milano.

06_I_Classici_B2.indd 41 11/10/11 10:17

Page 42: confronti 1-2 2011

42 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Motore del progresso nella

storia è la stessa società umana,

considerata nella sua articolata

complessità, non già come semplice

sommatoria di individui

A partire dal 1820, Carlo Cattaneo fu

davvero attento a raccogliere dall’«ultimo»

Romagnosi l’insegnamento

che i processi di incivilimento sono

fondamentali, scaturiscono da fatti empirici – essenzialmente

«positivi»

connessioni che sussistono tra la sua vicenda biografica con la costruzione di quell’«edifizio gigantesco» – tale lo definisce Ferrari – rappresentato dalla «civile filosofia», ma anche con la dottrina dell’«incivilimento», con il qua-le egli andò oltre lo slancio del movimento riformatore del secolo dei Lumi e il dispotismo legale dell’assoluti-smo illuminato per fondare su dati economici e sociali, etico-civili e culturali l’«edificio nazionale da costruire». Motore del progresso nella storia è la stessa società uma-na (attraverso tutti gli elementi costitutivi – il diritto e la politica, l’economia e la storia – che ne determinano la fisionomia), considerata nella sua articolata complessi-tà, non già come semplice sommatoria di individui. La storia dell’uomo è allora storia delle umane società e del loro processo di incivilimento.L’organizzazione costituzionale e l’articolazione istitu-zionale dello Stato vengono dunque concepite da Roma-gnosi quale esito, quale prodotto del processo di incivi-limento umano, sociale e culturale; un processo aperto, libero e progressivo, non ingessato in forme politiche, co-stituzionali e istituzionali, precostituite e oggettivamen-te limitanti. Sullo sfondo, si trova il primato della «civile filosofia» che è la sintesi della morale, del diritto e del-la politica, è una disciplina organica e sistematica; essa implica l’autonoma emancipazione della stessa morale dall’alveo della religione per essere ricondotta nella ca-tegoria della politica, alla quale conferisce una sostanza valoriale, fondando quei modelli di cultura e di compor-tamento che si configurano come essenza della dimen-sione etica e civile, essenziale per la vita della comunità politica.A partire dal 1820, Carlo Cattaneo fu davvero attento a raccogliere dall’«ultimo» Romagnosi l’insegnamento che i processi di incivilimento sono fondamentali, scaturi-scono da fatti empirici – essenzialmente «positivi» – e scandiscono la storia dell’umana società. Il suo pensiero politico è difficilmente comprensibile senza la dottrina dell’incivilimento, considerata come un costume scien-tifico, come tendenza del tutto naturale – e tutta laica

06_I_Classici_B2.indd 42 11/10/11 10:17

Page 43: confronti 1-2 2011

43I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Alla base della dottrina dell’incivilimento v’è una percezione dell’uomo di ispirazione aristotelica: nella sua essenza, egli è infatti votato alla socialità, alla vita associata in quella comunità in cui si può esplicare la sua esistenza

– dell’uomo nel suo approccio al reale e ai fenomeni di crescita e di sviluppo dell’aggregazione collettiva. Così, il principio dell’incivilimento – inteso come metodo in-terpretativo delle vicende umane – s’impone come il nu-cleo centrale, il principio attorno al quale gravita la «ci-vile filosofia».Alla base della dottrina dell’incivilimento v’è una perce-zione dell’uomo di ispirazione aristotelica: nella sua es-senza, egli è infatti votato alla socialità, alla vita associata in quella comunità in cui si può esplicare la sua esistenza. E legge il divenire come una dinamica essenzialmente di segno positivo verso un più alto livello di civiltà, sotto il profilo economico e sociale, culturale e politico. L’incivi-limento, infatti, è un fatto naturale e progressivo: «altro non è fuorché un continuo avvicinamento verso lo stato della migliore civile convivenza». Poiché tale progressiva approssimazione «operarsi deve nell’ordine economico, morale e politico degli uomini conviventi in stato di sta-bile aggregazione, locché abbraccia il territorio, la popo-lazione ed il governo» ne deriva che «il perfezionamento economico, morale e politico forma l’essenza di questo incivilimento»9. La consapevolezza che i processi di civilizzazione sono collettivi e definiscono la fisionomia evolutiva dei corpi sociali, tendenti sempre verso un futuro migliore del pre-sente, che – a sua volta – è comunque migliore del pas-sato, sta alla base della «civile filosofia». Si tratta di una scienza, concretamente ancorata a quel presente, che si configura come un vasto terreno di convergenza tra pas-sato e futuro; terreno in cui l’oggi s’impone e si dilata in avanti e a ritroso, lungo la linea del tempo storico; un pre-sente – in cui morale e diritto si fondono – che è sempre migliore di ieri, ma peggiore di domani, nel segno della continuità evolutiva. È una scienza – la filosofia civile – strettamente ancorata alla realtà di una sorta di eterno presente da osservare e capire, studiando i processi di in-

(9) G.D. Romagnosi (1852, 2nda ed.), Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento con esempio del suo Risorgimento in Italia, in I. Mereu (2002), Antropologia dell’incivili-mento in G.D. Romagnosi e C. Cattaneo, Banca di Piacenza, Piacenza, p. 52.

06_I_Classici_B2.indd 43 11/10/11 10:17

Page 44: confronti 1-2 2011

44 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

A questi temi – incivilimento

e filosofia civile – Carlo Cattaneo

dedicò il suo primo saggio

sull’“Antologia”, nel 1822

civilimento dei popoli e delle nazioni, dal punto di vista politico e culturale, economico e sociale, nelle specifiche circostanze storiche delle singole tappe evolutive.A questi temi – incivilimento e filosofia civile – Carlo Cattaneo dedicò il suo primo saggio sull’“Antologia”, nel 1822, che rappresenta il suo esordio pubblicistico e, in ogni caso, suona davvero come il tentativo di onorare il suo debito intellettuale con l’«immortal» Romagnosi. Si tratta infatti di un’ampia e meditata recensione dell’As-sunto primo della scienza del diritto naturale del compian-to maestro. Il giurista piacentino ha trasformato l’incivi-limento in «legge perpetua della più rigida esattezza». In termini analitici, il metodo di Romagnosi è chiaro. Egli «intraprende il suo esame dall’uomo individuo colloca-to in seno alla natura, e quindi lo accompagna dalla più informe società di mano in mano fino alla più incivilita, appoggiandosi indeclinabilmente ai fatti, ed innalzando alla dignità di assioma scientifico ciò che parve finora meno arrendevole all’evidenza»10. Così, con questo meto-do di ricerca, lo studioso «segue tutte le fasi della società umana e colla sua pieghevolezza ed universalità tutte ne abbraccia le circostanze»11. In questo modo, Romagnosi riuscì a superare i limiti astratti del giusnaturalismo, co-struito sull’assolutezza valoriale, soprattutto per quanto riguarda il passaggio dallo stato di natura a quello di so-cietà, per approdare a una visione delle tappe evolutive dei corpi sociali e degli aggregati umani molto concreta e strettamente vincolata alla realtà storica. Tale fu, pure, il metodo di Carlo Cattaneo.

Una rapida biografiaNon è un caso che la voce dedicata a Carlo Cattaneo dal Dizionario biografico degli italiani sia firmata dallo stori-co trentino – ma di padre istriano e madre bergamasca – Ernesto Sestan, che fu collaboratore dell’Enciclopedia italiana, segretario dell’Accademia d’Italia e professore

(10) C. Cattaneo (1822), “Recensione all’Assunto primo della scienza del diritto natu-rale di Gian Domenico Romagnosi”, in Antologia, t. VI/20, p. 102.(11) Ibidem.

06_I_Classici_B2.indd 44 11/10/11 10:17

Page 45: confronti 1-2 2011

45I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Carlo Cattaneo nacque a Milano il 15 giugno 1801, terzogenito – di sei fratelli – di una famiglia borghese, originaria della bergamasca

Conclude gli studi nel 1820, quando s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia e comincia a insegnare grammatica latina al Ginnasio di Santa Marta. Nel novembre dello stesso anno viene introdotto alla scuola di Gian Domenico Romagnosi

di storia medievale e moderna, prima a Cagliari, poi al-la normale di Pisa, infine a Firenze. Sestan fu un grande studioso del Medioevo e dell’età comunale, animato da un’indubbia tensione per la libertà politica. Che – nel suo pensiero – assume un risvolto quasi rivoluzionario. Per quanto egli sia molto severo e ingeneroso nei confronti di Cattaneo, della sua levatura internazionale e della sua fama come intellettuale più moderno, lucido e autorevole dell’Ottocento italiano12, Sestan si dimostra – piuttosto – intellettualmente assai affine al pensatore lombardo per la comune sensibilità verso le tradizioni civiche dell’età comunale, che stanno alla base di una forte tensione per la libertà politica.Carlo Cattaneo nacque a Milano il 15 giugno 1801, ter-zogenito – di sei fratelli – di una famiglia borghese, ori-ginaria della bergamasca. Suo padre Melchiorre era un orefice, con la bottega nell’attuale via Orefici e l’abita-zione in via Torino; la madre è Maria Antonia Sangiorgi. Dal 1810 al 1817, il giovane Carlo studia in seminario a Lecco e poi a Monza; si trasferisce quindi al liceo Sant’A-lessandro di Milano. E conclude gli studi nel 1820, quan-do s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia, senza – tuttavia – che gli venga concesso il po-sto gratuito al prestigioso collegio Ghisleri; e comincia a insegnare grammatica latina al Ginnasio di Santa Mar-ta. Nel novembre dello stesso anno viene introdotto alla scuola privata di Gian Domenico Romagnosi, che presto – l’11 maggio 1821 – verrà tratto in arresto. Riprenderà le sue lezioni solo nel 1824, quando il giovane Cattaneo ha già pubblicato il suo primo articolo sull’“Antologia” di Giovan Pietro Vieussieux e si è laureato. L’anno successi-vo (1825) gli muore il padre e conosce Anna Woodcock; lui fa domanda per diventare bibliotecario alla Braiden-se, ma non viene assunto.

(12) E. Sestan (1979), “Cattaneo, Carlo”, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXII, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, pp. 422-439 (ad vocem). Secondo Se-stan, la cultura filosofica di Cattaneo è «sostanzialmente» di «seconda mano» e «rie-cheggia motivi diffusi nella cultura del tempo»; «poche o punte letture dirette di testi filosofici, anche dei più ricordati Bacone, Locke, Vico» (ivi, p. 434).

06_I_Classici_B2.indd 45 11/10/11 10:17

Page 46: confronti 1-2 2011

46 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Nel 1838 progetta e l’anno dopo

vara l’iniziativa editoriale

de «Il Politecnico»

La sera del 17 marzo 1848 riceve

la trafelata visita di Luciano Manara, dei due Dandolo

(Enrico ed Emilio) e di Emilio Morosini,

che lo esortano a partecipare

all’insurrezione di Milano

Nel 1828 comincia la sua collaborazione con gli “Anna-li Universali di Statistica” – ma il primo articolo appari-rà solo l’anno successivo – e collabora con numerosi pe-riodici («L’Eco», «La Moda», «Cosmorama pittorico»). Il 1835 è un anno decisivo: muore il suo maestro, Gian Domenico Romagnosi, e lui sposa la nobildonna inglese Anna Pyne Woodcock. Sugli “Annali” pubblica – l’anno dopo – le sue Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia e, nel 1837, il suo primo saggio d’u-na certa consistenza: le Ricerche economiche sulle interdi-zioni imposte dalla legge civile agli Israeliti (più note, suc-cessivamente, come Interdizioni esraelitiche), tentativo di confutazione dell’antisemitismo che poi divenne una sorta di modello di pamphlet storico-politico a livello eu-ropeo. Nel 1838 progetta e l’anno dopo vara l’iniziativa editoriale de «Il Politecnico», che recita – come sottotito-lo – «repertorio mensile di studi applicati alla prosperi-tà e coltura sociale» e, in due fasi, dal 1839 al 1844 e dal 1859 (subito dopo l’annessione della Lombardia al re-gno di Sardegna) al 1869, ospiterà importanti interventi di Cattaneo. Membro dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti dal 1843, l’anno successivo dà alle stam-pe la sua Introduzione alle Notizie naturali e civili su la Lombardia; scrive e pubblica anche le Considerazioni sul principio della filosofia e comincia a collaborare con la «Rivista europea».La sera del 17 marzo 1848 riceve la trafelata visita di Lu-ciano Manara, dei due Dandolo (Enrico ed Emilio) e di Emilio Morosini, che lo esortano a partecipare all’insur-rezione di Milano. Nella notte si mette a scrivere ed ela-bora il programma politico – repubblicano e federalista – della rivolta, che sarebbe dovuto apparire sul «Cisal-pino», giornale rivolto alla nuova Lombardia repubbli-cana (la Repubblica cisalpina), Stato autonomo, demo-cratico e indipendente. Ma il giornale non vedrà mai la luce. Scoppierà però l’insurrezione: moto insurreziona-le di popolo per l’autonomia e la libertà, quale furono le Cinque giornate di Milano. Il 20 marzo, Cattaneo for-ma un Consiglio di Guerra con Enrico Cernuschi, Giulio

06_I_Classici_B2.indd 46 11/10/11 10:17

Page 47: confronti 1-2 2011

47I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Il Consiglio viene sostituito da un Comitato di Guerra che, il 31 marzo, sarà sciolto: da quel momento Cattaneo sarà fiero oppositore del Governo provvisorio, favorevole all’annessione al Piemonte

Dopo il 17 marzo 1861 tramonta l’ipotesi di una organizzazione amministrativa del Regno fortemente decentrata sulla base di sei macroregioni, intese quali consorzi di province

Terzaghi e Giorgio Clerici, poi affiancato da un Governo provvisorio e da un Comitato di difesa. Il Consiglio viene sostituito da un Comitato di Guerra che, il 31 marzo, sarà sciolto: da quel momento Cattaneo sarà fiero opposito-re del Governo provvisorio, favorevole all’annessione al Piemonte. Esule a Parigi, dedicherà a questo evento L’in-surrection de Milan en 1848 e si trasferirà con la moglie a Castagnola, non lontano da Lugano, dove – quattro an-ni dopo – otterrà la cattedra di Filosofia al Liceo canto-nale di Lugano. In Svizzera, con la tipografia di Capola-go, pubblicherà i tre volumi l’Archivio triennale delle cose d’Italia (1850, 1851, 1855). Dopo la pubblicazione – am-pliata e arricchita rispetto all’edizione francese – dell’In-surrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra e della Città considerata come principio ideale delle istorie italiane sul «Crepuscolo» di Tenca, riceve la cittadinanza onoraria svizzera.Rientrerà a Milano solo nel 1859 per tenere cinque le-zioni all’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti sul problema antropologico dell’uomo, inteso quale zoon politikon, connesso all’incivilimento delle aggregazioni umane e alla filosofia civile. Queste lezioni, essenziali per capire il pensiero di Cattaneo, saranno pubblicate sia ne-gli atti dell’Istituto, sia sul «Politecnico» con il titolo di Psicologia delle menti associate. Nel 1860 viene eletto in parlamento, ma – per coerenza repubblicana, democra-tica e federalista – si rifiuta di farvi parte. È favorevole a un’assemblea costituente degli Stati preunitari e a un ordine politico di ispirazione federale. E prende posizio-ne a favore della ferrovia del Gottardo, che avrebbe con-sentito alla Svizzera di tutelare la propria neutralità ed escluso i Savoia.Dopo il 17 marzo 1861 tramonta l’ipotesi di una organiz-zazione amministrativa del Regno fortemente decentrata – sulla base di sei macroregioni, intese quali consorzi di province, a loro volta concepite come consorzi di comu-ni: aggregazioni consortili dal basso, dunque – così come proposta dal ministro degli Interni di Cavour, il liberale bolognese Marco Minghetti. E viene estesa a tutta la pe-

06_I_Classici_B2.indd 47 11/10/11 10:17

Page 48: confronti 1-2 2011

48 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Cattaneo precisa il suo convincimento in ordine ai valori

della storia delle nazioni, che sono

valori morali in quanto esprimono

specifici modelli culturali

e comportamentali

La nazione più prossima alla

«verità» è quella che «più onora la

scienza, la probità e la giustizia»

nisola la legge Rattazzi dell’ottobre del 1859: Cattaneo prende una ferma posizione (Sulla legge comunale e pro-vinciale). Nel 1867 viene nuovamente eletto, ma non va in parlamento – a Firenze – per evitare di giurare fedeltà alla monarchia. Poco dopo si ammala di cuore: morirà a Castagnola nella notte fra il 5 e il 6 febbraio 1869 ed è oggi sepolto a Milano, nel Famedio del cimitero Monu-mentale.

Le tradizioni civicheÈ in un saggio dedicato alle Dottrine del Romagnosi uscito sulle pagine degli “Annali universali di Statistica” nell’e-state del 1836 che Cattaneo precisa il suo convincimen-to in ordine ai valori della storia delle nazioni, che sono valori morali in quanto esprimono specifici modelli cul-turali e comportamentali. E la nazione più prossima al-la «verità» è quella che «più onora la scienza, la probità e la giustizia»13. Storia e morale s’intrecciano, dunque, e definiscono la fisionomia di una nazione in relazione alla «verità» che dalla concretezza della sua vicenda proma-na. Si tratta dei valori positivi che emergono dall’espe-rienza storica delle nazioni, che sono costruzioni civili nel loro rapporto con la statualità. Cattaneo osserva che «il nome d’idee soprattutto si con-viene a quelle vaste combinazioni morali che congiungo-no milioni d’uomini in poderoso ordine di pensamenti e voleri. Li stati sono combinazioni ideali. Le leggi sono idee. I popoli impongono alla propria volontà i decreti della propria intelligenza»14. Insomma, la «scienza» del-lo Stato è una «vasta ideologia», intesa quale rappresen-tazione storica, da cui si desumono i modelli politici e istituzionali, economici e sociali, ai quali esso s’ispira. È il percorso della modernità, segnato dalla verità e dalla libertà. «Chi fa il proprio volere, chi si determina giusti

(13) C. Cattaneo (1836), “Delle dottrine di Romagnosi”, in Annali universali di Stati-stica, ora in C. Cattaneo (1972), Industria e scienza nuova. Scritti 1823-1839, Einau-di, Torino, p. 90.(14) C. Cattaneo (1852), Prolusione a un corso di filosofia, Tipografia Elvetica, Capo-lago, ora in C. Cattaneo (1972), Storia universale e ideologia delle genti. Scritti 1852-1864, Einaudi, Torino, p. 10.

06_I_Classici_B2.indd 48 11/10/11 10:17

Page 49: confronti 1-2 2011

49I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Il suo costante tentativo di scrittore politico è proprio quello di innestare tutta la vicenda italiana lungo i binari della verità e della libertà

La dimensione politica della città è un elemento fondamentale del pensiero politico cattaneano

i motivi suoi propri e le proprie idee, si dice libero; la li-bertà è la volontà nel suo razionale e pieno esercizio; la libertà è volontà»15, scrive Cattaneo. E il suo costante ten-tativo di scrittore politico è proprio quello di innestare – ricorrendo al primato della scienza e della ragione – tutta la vicenda italiana lungo i binari della verità e della liber-tà, con il deliberato obiettivo di incidere nella mentalità collettiva e orientarla decisamente verso una razionale soluzione della questione nazionale. Era stato Ugo Foscolo – che, in esilio, «parve dispera-re dell’Italia, e del progresso, e della ragione, e della libertà»16 – a sottolineare come la mentalità collettiva non fosse all’altezza della sfida. Foscolo, simbolo tragico e sof-ferente – tutto intriso di romanticismo – di una questio-ne italiana osservata dal di fuori, con il rimpianto pro-prio dell’esule, sradicato ex-solus. Questione italiana che è maturata in rapporto alle tradizioni civiche ereditate dall’età comunale. La dimensione politica della città è un elemento fondamentale del pensiero politico cattaneano. Ogni città ha una sua specifica identità ed è parte – con la cintura e i territori adiacenti – di un aggregato umano su scala allargata. È il luogo privilegiato dello scambio (culturale e politico, economico e sociale). «Le nostre cit-tà – scrive – sono il centro unico di tutte le comunicazio-ni di una larga e popolosa provincia: vi fanno capo tutte le strade, vi fanno capo tutti i mercati del contado, sono come il cuore nel sistema delle vene; sono termine a cui si dirigono i consumi, e da cui si diramano le industrie e i capitali; sono un punto d’intersezione o piuttosto un centro di gravità che non si può far cadere su di un altro punto preso ad arbitrio»17. Le città sono «luoghi», sono il «centro d’azione» di una comunità territoriale, che è l’esito – nel suo ciclo storico

(15) C. Cattaneo (1861), “Del pensiero come principio d’economia pubblica”, in «Il Po-litecnico”, ora in C. Cattaneo (1972), Storia universale e ideologia delle genti, cit., p. 330.(16) C. Cattaneo (1860), “Ugo Foscolo e l’Italia”, in «Il Politecnico», ora in C. Catta-neo (1981), Scritti letterari, vol. I, Le Monnier, Firenze, p. 553.(17) C. Cattaneo (1836), “Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Ve-nezia”, in Annali Universali di Statistica, ora in C. Cattaneo (1972), Industria e scien-za nuova, cit., p. 39.

06_I_Classici_B2.indd 49 11/10/11 10:17

Page 50: confronti 1-2 2011

50 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

L’età comunale ha consentito alle

realtà cittadine di andare oltre il feudalesimo,

rispondendo alla diffusa e

generalizzata sete di libertà politica

È curioso rilevare che una pari

attenzione verso l’esperienza storica

dell’età comunale sta dietro il libro

del politologo americano,

Robert Putnam

di vita – della sedimentazione e della stratificazione di antichi valori che forgiano specifici e peculiari modelli di cultura e di comportamento. Modelli ai quali i singo-li individui sono fortemente attaccati dal punto di vista dell’identità politica. Concretamente è questa l’eredità dell’età comunale nel suo rapporto con la realtà cittadina. L’età comunale ha consentito alle realtà cittadine – alme-no in una parte della Penisola – di andare oltre il feuda-lesimo, rispondendo alla diffusa e generalizzata sete di libertà politica. Il tema non è nuovo, visto che all’inizio del secolo decimonono era apparso il primo volume della Storia delle repubbliche italiane (1807) di Jean-Charles Si-smondi. La monumentale opera – deliberatamente confi-nata nell’ambito di uno studio di economia politica – re-se molto famoso l’autore in Europa; e tuttavia l’avrebbe impegnato per i successivi undici anni prima di giunge-re al sedicesimo e ultimo volume. Gli consentì, però, di diventare professore in Russia. Sismondi diede poi alle stampe, nel 1832, pure una Storia della rinascita della li-bertà in Italia.È curioso rilevare che una pari attenzione verso l’espe-rienza storica dell’età comunale sta dietro il libro del politologo americano di Harvard, Robert Putnam, che – nel 1993 – ha pubblicato, nell’edizione in lingua italiana, gli esiti di un’ampia ricerca svolta, insieme con i propri collaboratori, nell’arco di un ventennio: La tradizione ci-vica nelle regioni italiane18. Lo studioso d’Oltreoceano spiega lo sviluppo duale e le persistenti differenze fra il Nord e il Sud della Penisola – in termini di capacità am-ministrativa e partecipazione democratica – con le virtù civiche ereditate dall’originale e straordinaria esperienza storica dell’età comunale, che ha favorito la costruzione di un vero e proprio capitale sociale laddove essa si è ve-rificata, incidendo in profondità sulla mentalità colletti-va delle comunità territoriali; una vicenda storica che, tuttavia, s’è verificata solamente al Nord, nella valle del

(18) R.D. Putnam (1993), La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Mila-no (ed. orig.: Making democracy work: civic traditions in modern Italy, Princeton Uni-versity Press, Princeton 1993).

06_I_Classici_B2.indd 50 11/10/11 10:17

Page 51: confronti 1-2 2011

51I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

A Cattaneo sfuggiva la realtà meridionale raccolta intorno alla monarchia borbonica

L’età comunale rappresenta, nel quadro del processo di incivilimento della singola città, un momento davvero decisivo e fortemente identitario

Po, e al Centro. Le tradizioni civiche e le virtù repubblica-ne delle comunità territoriali della valle del Po risalgono infatti all’esperienza storica municipale del XII secolo. L’età comunale fu caratterizzata – ha scritto il politologo americano Putnam – da un sistema di governo autono-mo, che rappresentò la «maggiore alternativa» al feuda-lesimo, allora dominante nel resto dell’Europa. Le re-pubbliche comunali – che poggiavano sulla stessa realtà cetuale di matrice corporativa che avrebbe poi studia-to, all’inizio del Seicento, Johannes Althusius – furono più libere ed egualitarie rispetto a «qualsiasi altro regi-me dell’Europa di quegli anni, compreso, naturalmente, lo stesso Sud Italia normanno»19. A Cattaneo sfuggiva la realtà meridionale raccolta intorno alla monarchia bor-bonica, per cui sostiene che la città – intesa quale patria al «singolare» – esprime una specifica identità per effet-to della propria storia, che si configura come sedimenta-zione progressiva di vicende e di esperienze peculiari, di tradizioni («civiche», appunto), di usi e costumi conso-lidati nel tempo; una sedimentazione progressiva che si svolge nel segno dell’incivilimento e a esso dà una fisio-nomia, un volto, un colore, una specifica «temperatura». E l’età comunale – espressione politica e istituzionale, ma anche economica e sociale della realtà municipale – rap-presenta, nel quadro del processo di incivilimento della singola città, un momento davvero decisivo e fortemen-te identitario dal punto di vista della formazione della cultura politica collettiva. Segnò infatti il superamento del feudalesimo. Fu un momento di modernità politica e sociale, fondato sulla libertà civile, di assoluto rilievo e di portata europea; momento decisivo perché gettò alla ribalta della storia, quale elemento centrale e dinamico della struttura sociale della comunità territoriale, la bor-ghesia. Il primato economico e produttivo della borghe-sia determinava l’organizzazione dei corpi sociali e anche la rappresentanza politica nelle istituzioni cittadine, de-putate a governare le comunità territoriali. Scrive infatti

(19) Ivi, pp. 145-146.

06_I_Classici_B2.indd 51 11/10/11 10:17

Page 52: confronti 1-2 2011

52 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Lo spirito borghese rappresentava il «motore» del

processo di civilizzazione.

Era questa la sua filosofia «militante»

La città intesa come luogo di socialità

e la vicenda comunale quale

momento storico specifico dal punto

di vista politico e istituzionale

restano comunque – per Cattaneo – gli

elementi fondanti della cultura

politica

Cattaneo che «dall’Italia partì per quella eroica rivoluzio-ne comunale, da cui ebbe principio il mondo moderno. L’Italia può quindi chiamarsi la cultura della borghesia, e pare a noi che solo considerato sotto questo aspetto la storia italiana possa acquistare un carattere nazionale»20. Carlo Cattaneo era troppo ottimista: lo spirito borghe-se – che pure si configurava come il dato nuovo, dopo le vicende rivoluzionarie e l’età napoleonica, del secolo de-cimonono a livello europeo e lo segnava in profondità – rappresentava il «motore» del processo di civilizzazione. Era questa la sua filosofia «militante». Ma era capillar-mente diffuso e radicato solo nel Centro-Nord, non già nella parte meridionale della Penisola. E assai difficil-mente avrebbe potuto costituire l’essenza di quella men-talità collettiva sulla quale fondare il processo di unifica-zione nazionale. Proprio in termini di mentalità collettiva e di cultura politica, lo spirito borghese – secondo Catta-neo – ha consentito di risolvere l’«eterno» problema poli-tico dei corpi sociali, quello di «creare un’autorità senza distruggere l’eguaglianza»21 e di proclamare il primato della libertà politica e civile. Il vincolo di subordinazio-ne trova dunque nello spirito borghese dell’homo faber la sua soluzione più efficace, garantendo l’istituzione di un’auctoritas legittima, senza tuttavia negare in partenza il principio egualitario inteso à la Tocqueville, come «pari opportunità» nel rivestire le cariche pubbliche, non più prerogativa esclusiva dei ceti privilegiati. La città intesa come luogo di socialità e la vicenda comu-nale quale momento storico specifico dal punto di vista politico e istituzionale restano comunque – per Cattaneo – gli elementi fondanti della cultura politica collettiva perché definiscono l’identità e l’appartenenza, garanti-scono la libertà civile e rappresentano un momento unico e irripetibile, un’esperienza decisiva di modernità, dalla portata autenticamente europea; e si configurano come tappe essenziali del processo di incivilimento, espressio-

(20) C. Cattaneo (1854), “Della formazione e del progetto del Terzo Stato”, in «Cre-puscolo», ora in C. Cattaneo (1972), Storia universale e ideologia delle genti, cit., p. 30.(21) Ivi, p. 31.

06_I_Classici_B2.indd 52 11/10/11 10:17

Page 53: confronti 1-2 2011

53I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

È impossibile definire un’identità nazionale unitaria, se non facendo i conti con il diffuso pluralismo delle tradizioni civiche: sarebbe antistorico

È nella storia e, soprattutto, nel livello di civilizzazione raggiunto lungo la dorsale cronologica, che le nazioni e i popoli ravvisano la propria identità e rafforzano il senso di appartenenza

ne di civiche virtù. Per tale ragione è impossibile definire un’identità nazionale unitaria, se non facendo i conti con il diffuso pluralismo delle tradizioni civiche: sarebbe an-tistorico. Un pluralismo che si estrinseca anche nel dato linguistico, elemento culturale che sostiene l’appartenen-za alla comunità territoriale: «nel dialetto s’improntava indelebile la memoria di quel singolo popolo al quale il municipio aveva appartenuto»22. Senza tuttavia negare – con ciò – il valore dell’idioma nazionale in senso unitario. È infatti innegabile l’esistenza di una lingua italiana, che – in quanto tale – riconduce alle lingue locali, espressione culturale «nativa», cioè originaria e duratura, delle singo-le identità territoriali. «Quanto più si risale – scrive Catta-neo nel 1844 – la corrente del tempo, ogni nazionalità si risolve ne’ suoi nativi elementi; e rimosso tutto ciò che vi è d’uniforme, cioè di straniero e fattizio, i fiochi dialetti si ravvìvano in lingue assolute e indipendenti, quali fùrono nelle native condizioni del genere umano»23. L’aveva del resto già scritto nelle ultime pagine delle In-terdizioni israelitiche (1837): è nella storia e, soprattut-to, nel livello di civilizzazione raggiunto lungo la dorsale cronologica, che le nazioni e i popoli ravvisano la propria identità e rafforzano il senso di appartenenza, trovando una sorta di appagamento interiore. «Le più grandi na-zioni si vanno disingannando dai sanguinosi delirj della conquista e dell’universale dominio della terra e del ma-re. I popoli più ambiziosi e più armigeri si troveranno di-venuti in breve tempo i più poveri, i più ignoranti, i più inoperosi, i più deboli. Le nazioni più modeste e tranquil-le, più contente del proprio, più aliene dalla turbolenza diplomatica e militare, si troveranno le più illuminate, industri, ricche, concordi e poderose»24. È molto bello – questo passaggio – perchè Cattaneo marca una radicale e profonda differenza fra l’innocente sentimento nazio-

(22) C. Cattaneo (1842), “Sul principio istòrico delle lingue europee”, in «Il Politecni-co», ora in C. Cattaneo (1981), Scritti letterari, vol. I, cit., p. 167.(23) C. Cattaneo (2001), Notizie naturali e civili su la Lombardia, Mondadori, Mila-no, pp. 58-59.(24) C. Cattaneo (2002), Interdizioni israelitiche, Mondadori, Milano, p. 163.

06_I_Classici_B2.indd 53 11/10/11 10:17

Page 54: confronti 1-2 2011

54 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Gl’Italiani han voluto fare un’Italia

nuova, e loro rimanere gl’Italiani

vecchi di prima, (…)pensano a riformare

l’Italia, e nessuno s’accorge che per

riuscirci bisogna, prima, che si

riformino loro

nale, che si fonda su un consapevole senso di apparte-nenza, e l’ottuso e aggressivo nazionalismo di matrice militare; un nazionalismo che – nella sostanza – impo-verisce sotto tutti i punti di vista (economico, culturale, sociale e politico).Nel Medioevo, le nazioni non furono «società di indivi-dui» o di «famiglie». Furono – piuttosto – «colleganze» di corporazioni, vale a dire aggregazioni di interessi su ba-se economica e produttiva. Con il sopraggiungere dell’e-tà moderna, «centinaja di corporazioni divennero una società civile, aperta ai vitali impulsi della libera concor-renza. Centinaja di dialetti si collegarono in lingue nazio-nali. [...] La letteratura uscì dai sepolcri degli antichi, e si fece specchio delle passioni e delle idee dei viventi. Dalla cultura della lingua venne lo spirito nazionale, il quale è in ragione inversa dell’uso dei dialetti e in ragion diretta dell’uso della lingua commune»25. E tuttavia, «lo sviluppo delle lingue determinando meglio i confini naturali delle nazioni divenne un fomento alla pace universale»26. Co-sì, l’antica armonia fu perduta.

Dalle Cinque Giornate all’UnitàNei suoi Ricordi, Massimo d’Azeglio scrive che «gl’Italiani han voluto fare un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico il loro retaggio; perchè pensano a riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci bi-sogna, prima, che si riformino loro, perchè l’Italia, come tutti i popoli, non potrà divenir nazione, non potrà esser ordinata, ben amministrata, forte così contro lo stranie-ro, come contro i settari dell’interno, libera e di propria ragione, finchè grandi e piccoli e mezzani, ognuno nella sua sfera non faccia il suo dovere, e non lo faccia bene, od almeno il meglio che può»27. All’indomani dell’Unità, «il primo bisogno d’Italia è che si formino Italiani»28. L’af-

(25) Ivi, p. 161.(26) Ibidem.(27) M. d’Azeglio (1891), I miei ricordi, Barbera, Firenze, ora Einaudi, Torino 1971, p. 4.(28) Ivi, p. 5.

06_I_Classici_B2.indd 54 11/10/11 10:17

Page 55: confronti 1-2 2011

55I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Lo Stato fu la grande invenzione, il capolavoro della civiltà europea occidentale nel ciclo storico della modernità politica

Tutto si consumò – in quella primavera del 1861 – in un semplice passaggio politico e amministrativo che si oppose alla tradizione civica del pluralismo territoriale della penisola, dove affondavano le radici delle libertà dei popoli che la componevano prima dell’Unità

fermazione è rilevante, poiché d’Azeglio coglie la diffe-renza fra il processo di State building e quello di Nation building, fra la fondazione dello Stato e la costruzione della nazione che, nei suoi risvolti politici, è un prodotto esclusivo della statualità.Il 17 marzo 1861, infatti, è nato – per decreto, con l’as-sunzione del titolo di re d’Italia da parte di Vittorio Ema-nuele II – lo Stato. Si trattava di un soggetto istituzionale nuovo, figlio della modernità. Lo Stato, infatti, fu la gran-de invenzione, il capolavoro della civiltà europea occi-dentale nel ciclo storico della modernità politica. Nato nel tornante tra Quattro e Cinquecento, fu perfezionato secondo il modello giacobino-napoleonico tra la fine del secolo decimottavo e i primi decenni del secolo decimo-nono; modello che venne appunto adottato nella realtà italiana nel 1861.Se non si può negare la nascita dello Stato come momen-to di modernità, non si può neppure negare lo slancio eti-co e civile del processo risorgimentale. Il Risorgimento, che pure portò alla nascita dello Stato, non riuscì tuttavia a costruire la nazione ed ebbe un limite davvero rilevante, quello di portare all’indipendenza i vari popoli della Peni-sola – articolati nei sette Stati preunitari – senza che essi maturassero una consapevole tensione verso la libertà, intesa quale rigenerazione morale, quale principio etico e civile fondante di una cultura politica nuova, propria di un Paese che avrebbe dovuto costituire una vera nazio-ne. Tutto si consumò – in quella primavera del 1861 – in un semplice passaggio politico e amministrativo che si oppose alla tradizione civica del pluralismo territoriale della penisola, dove affondavano le radici delle libertà dei popoli che la componevano prima dell’Unità.Nei fatti, lo Stato – oltre a configurarsi come l’«impre-sa istituzionale», teorizzata da Weber, che detiene l’uso esclusivo del potere su un territorio specifico e si fonda su un apparato burocratico gestito da un’élite politica centralizzata – è altresì l’esito di una conquista simbo-lica, dal punto di vista territoriale e sociale, culturale e giuridico, istituzionale e politico, di organizzazioni pre-

06_I_Classici_B2.indd 55 11/10/11 10:17

Page 56: confronti 1-2 2011

56 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Sino al 1848, la soluzione

della questione dell’unificazione

italiana in una prospettiva

confederativa era largamente

condivisa

I lombardi ebbero però il coraggio di fare un passo più

in là, chiedendo – qualora si fosse giunti a costruire

il nuovo Stato – la convocazione di un’assemblea

costituente

cedentemente autonome e indipendenti. Tale processo di appropriazione non si definisce solamente nell’accentra-mento dei poteri e in una nuova articolazione delle fun-zioni istituzionali – intesi quale evoluzione naturale di un ordine politico preesistente – ma è l’esito di un percorso segnato in profondità da fratture e contrasti, consumate nel segno della violenza, per la razionalizzazione gerar-chica dei poteri e per la costruzione del nuovo edificio istituzionale. Tali furono i costi dell’Unità.La struttura istituzionale dello Stato s’è dovuta confron-tare e ha fatto i conti sin dalle origini, dunque, con il rap-porto tra il centro e le periferie. Sino al 1848, la soluzione della questione dell’unificazione italiana in una prospet-tiva confederativa era largamente condivisa, soprattutto dalle più vive intelligenze della cultura politica piemon-tese, protagonista del dibattito risorgimentale. L’ipotesi della confederazione raccoglieva i maggiori consensi per via della struttura geopolitica della penisola, articolata nei sette Stati che avrebbero poi dato vita al processo di unificazione nazionale. E tuttavia, era una soluzione con-cepita allo scopo di non creare contraccolpi e non cam-biare nulla. La confederazione, infatti, avrebbe lasciata pressoché immutata la realtà delle cose, incidendo solo sotto il profilo delle dinamiche istituzionali e politiche. Ma ognuno sarebbe rimasto padrone in casa propria, nel senso che i sette Stati preunitari avrebbero trovato un’u-nità fittizia nell’accordo di politica estera connesso alla struttura confederativa.I lombardi ebbero però il coraggio di fare un passo più in là, chiedendo – qualora si fosse giunti a costruire il nuo-vo Stato – la convocazione di un’assemblea costituente, territorio dello scontro ideologico e politico tra il potere costituente e i poteri costituiti, allo scopo di redigere una nuova carta costituzionale. Era del resto la stessa proce-dura applicata per realizzare il processo di unificazione a richiederlo. Il ricorso ai plebisciti di annessione, vale a dire all’adesione consensuale a un progetto di espansione militare quale si configurò il processo di unificazione, ne-cessariamente richiedeva infatti – in armonia con i prin-

06_I_Classici_B2.indd 56 11/10/11 10:17

Page 57: confronti 1-2 2011

57I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

La proposta federalista si poneva in una contrapposizione frontale rispetto alla soluzione monarchico-costituzionale poi seguita, poiché richiedeva (…)un ordine politico di matrice repubblicana e democratica per la sua realizzazione

cipi del costituzionalismo europeo – la convocazione di un’assemblea costituente per dare semplicemente voce, nella individuazione delle ragioni del vivere associato, a chi aveva aderito al progetto di costruzione dello Stato; una costituente in cui si sarebbero potuti confrontare i diversi progetti politici, tra l’opzione unitaria e quella re-gionalista, tra l’ipotesi federalista e quella confederativa. E la proposta federalista – avanzata dalle Cinque giornate in poi – si poneva in una contrapposizione frontale rispet-to alla soluzione monarchico-costituzionale poi seguita, poiché richiedeva, per voce dei suoi stessi protagonisti, prima di tutti Carlo Cattaneo, un ordine politico di ma-trice repubblicana e democratica per la sua realizzazio-ne. Era l’idea stessa di Stato a determinare la differenza.«La sera del 17 marzo uno degli amici miei, che veniva all’istante dalla casa del conte O’Donnell vicepresidente del governo, avendomi annunciato che una nuova sedizione in Vienna ci apportava l’abolizione della censura, io deliberai tosto di por mano pel dì seguente alla pubblicazione d’un giornale»29. Comincia così la cro-naca dell’insurrezione: sono le vive e palpitanti pagine dell’Insurrezione di Milano nel 1848. Carlo Cattaneo an-nuncia la pubblicazione di un foglio – che si sarebbe do-vuto chiamare «Il Cisalpino» – sul quale avrebbe pubbli-cato il programma politico dell’insurrezione. A lui pare giunto il momento propizio «d’indirizzare i cittadini a estorcere immantinente all’attonito governo quanto più si potesse d’armamenti e di libertà; e recarci soprattut-to in poter nostro i nostri soldati»30. Insomma, è giunto il momento della conquista della libertà per approdare all’indipendenza: «Ricordo nuovamente, che l’impresa dei cittadini comprendeva il conquisto dell’indipenden-za insieme e della libertà»31. Indipendenza dallo straniero e libertà politica, non mai sopita vocazione milanese e lombarda, ereditata dalla

(29) C. Cattaneo (2001), Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, Mondadori, Milano, p. 34.(30) Ibidem.(31) Ibidem.

06_I_Classici_B2.indd 57 11/10/11 10:17

Page 58: confronti 1-2 2011

58 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

«Una indipendenza servile (…), non mi

pareva cosa da farsi se non per disfarla

da capo. Per siffatte mezze imprese non

mi pareva lecito insanguinare la

patria»

Gli scrittori politici piemontesi come Balbo, Durando

e Gioberti, sollecitavano

i giovani milanesi a insorgere nel nome

dell’Italia senza tuttavia guardare in

casa propria

tradizione civica dell’età comunale: queste erano le pa-role d’ordine dell’insurrezione. «Una indipendenza ser-vile, una indipendenza all’austriaca o alla russa, non mi pareva – prosegue Cattaneo – cosa da farsi se non per disfarla da capo. Per siffatte mezze imprese non mi pa-reva lecito insanguinare la patria»32. Di fronte all’insur-rezione non ci sono mezze misure, bisogna andare sino in fondo, cacciare l’occupante austriaco e conquistare la libertà. Altrimenti sarebbe stata una «mezza» impre-sa. E ciò valeva anche nei confronti dei piemontesi che guardavano a Milano e alla Lombardia con proverbiale e comprovata cupidigia per sostituirsi agli austriaci, come nei fatti avvenne undici anni dopo. Lo spiega bene, Catta-neo, nell’Insurrezione di Milano: gli scrittori politici pie-montesi come Balbo, Durando e Gioberti, sollecitavano i giovani milanesi a insorgere nel nome dell’Italia. Senza tuttavia guardare a casa propria. Avrebbero infatti «es-si avuto ben materia di scrivere a casa loro, vendicando al popolo le troppe tardate riforme, il rinnovamento, la costituzione»33. Ogni progresso fatto in Piemonte avreb-be infatti costretto l’Austria «a fare un passo avanti con noi, a slegarci ognora più la bocca e le mani»34, a levare ogni bavaglio, come del resto suggeriva un altro valente allievo federalista di Gian Domenico Romagnosi, Giusep-pe Ferrari, dalle pagine della «Revue des Deux-Mondes» e della «Revue Indépendante». E tuttavia, questi scrittori politici erano solo dei servitori di corte corrotti e asserviti al potere della monarchia dei Savoia e «non intendevano ad altro che a muovere una guerra per dare una provincia in più al loro padrone»35. Il loro obiettivo era che il Piemonte conquistasse la Lom-bardia, sostituendosi agli austriaci. «Essi non vedevano cosa da farsi in Italia se non la conquista della Lombar-dia; ma nella angustia dei loro propositi non abbracciava-no la più sicura via di compiere l’ambita impresa. Taceva-

(32) Ibidem.(33) Ivi, p. 23.(34) Ibidem.(35) Ivi, p. 25.

06_I_Classici_B2.indd 58 11/10/11 10:17

Page 59: confronti 1-2 2011

59I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Anche la concessione dello Statuto fu un atto tardivo e ingannevole; un atto di assolutismo illuminato, deliberatamente concepito allo scopo di mantenere il potere senza pagare un pedaggio eccessivo alle pressioni della borghesia

no essi che l’Austria poté aver pacifico dominio nelle terre d’Italia, solo perchè li altri governi erano quivi tutti peg-giori del suo. Tacevano che l’Italia non era serva dell’Au-stria, non era serva di quelle fragili armi straniere, ma delle storte idee de’ suoi reggitori»36. Giudizi davvero se-veri e impietosi, che però giustificano il presupposto ini-ziale dell’insurrezione – e, più in generale, il limite ogget-tivo dell’intero processo risorgimentale – che si sarebbe dovuta consumare nel binomio di indipendenza e libertà. Questi scrittori politici erano dei corrotti al servizio e al soldo dei Savoia: «Nella medaglia che la mano medesi-ma di Carlo Alberto regalava di soppiatto a’ suoi fidi, l’a-quila birostre non figuravasi conculcata dall’Italia, ma spennacchiata dal lione di Savoia. La costituzione di cui Carlo Alberto graziò finalmente i suoi popoli, se non do-po che il trionfo di Palermo ebbe fatta concedere la co-stituzione anche a Napoli, fu solo una necessità; o al più un manifesto di guerra, per cacciare sotto i primi colpi delli Austriaci la nostra gioventù»37. Insomma, anche la concessione dello Statuto fu un atto tardivo e inganne-vole; un atto di assolutismo illuminato, deliberatamente concepito allo scopo di mantenere il potere senza paga-re un pedaggio eccessivo alle pressioni della borghesia. In fondo, Carlo Alberto se l’era cavata davvero con poco nella costruzione della struttura diarchica sulla quale si reggeva la monarchia: da un lato il sovrano e il Senato e dall’altra la borghesia emergente, alla quale veniva con-cessa una camera – la Camera dei Deputati, appunto – e quattro libertà formali che, dato il momento, mai avreb-be potuto negare (libertà di stampa e di pensiero, di as-sociazione e di opinione).Anche se il manifesto politico del «Cisalpino» non uscì, Carlo Cattaneo comunque lo scrisse con febbrile slancio e agitazione nella notte tra il 17 e il 18 marzo del 1848. E lo pubblicò già in esilio, a Capolago, tre anni dopo, nel secondo volume dell’Archivio triennale delle cose d’Italia.

(36) Ivi, p. 24.(37) Ivi, pp. 25-26.

06_I_Classici_B2.indd 59 11/10/11 10:17

Page 60: confronti 1-2 2011

60 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

«Queste patrie, tutte libere, tutte armate,

possono vivere l’una accanto all’altra,

senza nuocersi, senza impedirsi.

Anzi, nel nome d’un principio comune

a tutte, possono avere un pegno di

reciproca fede»

È un programma da cui chiaro e forte emerge un auspi-cio battagliero: ogni popolo, insorto in quella memora-bile primavera, «abbia d’ora in poi la sua lingua, e secon-do la lingua abbia la sua bandiera, abbia la sua milizia: guai agli inermi!». Questi popoli liberi possono vivere nella concordia federale. E citava l’esempio della Sviz-zera: «Non si vedono nella Svizzera e nel Belgio diverse lingue esistere senza odii, in una sola provincia, in un sol cantone? Non già che questo associarsi, in qualunque modo che i tempi volessero e disponessero, debba divi-derci da chi più ci somiglia, ma diremo che il tempo potrà indurre pacifiche e volontarie combinazioni che rendano più semplici le cose e più conformi alle preparazioni e ai decreti della natura»38. La milizia è difensiva, non of-fensiva e conquistatrice, e deve essere trattenuta «entro il sacro claustro della patria», condizione necessaria «af-finchè l’obbedienza dei popoli sia spontanea e legittima, e quindi debba serbarsi legittimo e giusto il comando». Infatti, oltre il limite del «giusto» non c’è più «obbedien-za», ma soprusi soverchianti e costrizioni forzate. «Que-ste patrie, tutte libere, tutte armate, possono vivere l’una accanto all’altra, senza nuocersi, senza impedirsi. Anzi, nel nome d’un principio comune a tutte, possono avere un pegno di reciproca fede, un’assicurazione invincibi-le contro ogni forza che la minaccia». E il «principio co-mune» cui allude Cattaneo è, ovviamente, la federazio-ne, che vincola i federati a «un pegno di reciproca fede».L’idea di libertà, sulla quale tanto insiste Cattaneo, s’im-poneva davvero come un valore etico e civile, come la pie-tra fondativa di una nuova cultura politica, presupposto per la costruzione della repubblica, sinonimo di plurali-smo e, dunque, garanzia di federalismo. Perchè il fede-ralismo – questo è noto – era l’unica garanzia possibile, a suo giudizio, affinché potesse affermarsi il principio della libertà. A testimoniarlo, l’esperienza storica di due grandi paesi: la Svizzera e gli Stati Uniti, entrambi espressione

(38) C. Cattaneo (1851), “Programma del «Cisalpino»”, in Archivio triennale delle co-se d’Italia, vol. II, Tipografia elvetica, Capolago, ora in C. Cattaneo (1972), Il 1848 in Italia. Scritti 1848-1851, Einaudi, Torino.

06_I_Classici_B2.indd 60 11/10/11 10:17

Page 61: confronti 1-2 2011

61I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Lo Stato burocratico e accentratore sul modello giacobino-napoleonico, venne fondato ben prima dell’Unità. Da allora la prospettiva federalista ha assunto la fisionomia di un processo non già e pluribus unum, bensì ex uno plures

concreta di un federalismo che si manifesta nella libertà. «La condizione suprema della libertà fu intesa solo dagli svizzeri e dagli americani: militi tutti, soldati nessuno»39. Ben presto l’Insurrezione di Milano sarebbe divenuta il manifesto di una rivoluzione mancata, una grande occa-sione perduta – tutta consumata nell’equivoco rapporto tra il principio dell’indipendenza e l’aspirazione, soffoca-ta dai Savoia, alla libertà – per conferire al processo ri-sorgimentale uno slancio diverso. E quindi, pure un esito diverso da quello che ebbe.Lo Stato burocratico e accentratore sul modello giacobi-no-napoleonico, venne fondato ben prima dell’Unità. Da allora la prospettiva federalista ha assunto la fisionomia di un processo non già e pluribus unum (federalismo per aggregazione), bensì ex uno plures (federalismo per dis-aggregazione). A nulla valsero tuttavia i progetti proposti in tal senso, sistematicamente accantonati. A cominciare dal grande disegno elaborato dal ministro degli Interni di Cavour, Marco Minghetti, presentato alla Camera quattro giorni prima della proclamazione dell’Unità, il 13 mar-zo 1861, che rispondeva al principio di un «larghissimo discentramento»40. Si trattava di un progetto – articola-to in dieci disegni di legge – che aveva due grandi punti di forza: l’aggregazione consortile di comuni e province e l’istituzione delle Regioni per promuovere la massima libertà amministrativa. Lo statista bolognese immaginava sei grandi unità terri-toriali, intese quali corpi intermedi tra lo Stato e le Pro-vince del regno. Tali aggregazioni intermedie – cioè le Regioni – avrebbero dovuto riunire, sulla base di un ac-cordo consortile permanente, proveniente dal basso, le province affini per vicinanza territoriale, ma anche per storia, interessi, leggi, modelli culturali e comportamen-tali, facendo leva su un vasto e sistematico decentramen-

(39) C. Cattaneo (1850), “Considerazioni”, in Archivio triennale delle cose d’Italia, vol. I, Tipografia elvetica, Capolago, ora in C. Cattaneo (1972), Il 1848 in Italia, cit., p. 329.(40) Il testo del discorso di Minghetti alla Camera e dei disegni di legge si trova in C. Pavone (1964), Amministrazione centrale e amministrazione periferica. Da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Giuffrè, Milano.

06_I_Classici_B2.indd 61 11/10/11 10:17

Page 62: confronti 1-2 2011

62 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Carlo Cattaneo, rifiutando per

ben due volte – in ossequio ai propri

convincimenti repubblicani, democratici e

federalisti – di entrare nel

Parlamento di uno Stato monarchico,

seguì queste vicende con l’occhio attento,

ma disincantato e scettico, dell’esule

to amministrativo. Le Regioni, nelle intenzioni di Mar-co Minghetti, avrebbero inoltre curato «il trapasso dagli ordini presenti agli ordini nuovi con misura e gradata-mente, conciliando la unità sostanziale delle leggi con una certa varietà accomodata alle tradizioni ed alle abi-tudini». Avrebbero dunque introdotto con moderazione e gradualità i nuovi ordinamenti dello Stato, cercando di conciliarli con le esigenze dei territori e delle comunità. E a esse sarebbe stata riconosciuta l’autonomia fiscale, allo scopo di «poter attingere ai suoi contribuenti i mezzi pecuniari», necessari per il più ampio decentramento re-gionale. Si trattava di un disegno davvero profondamen-te innovativo, che non aveva pari nel contesto europeo. L’idea dello Stato “minimo” («dee restringere il suo com-pito», scriveva Minghetti) e dell’aggregazione consortile delle province enfatizzava il diritto naturale dei cittadi-ni ad associarsi secondo aggregazioni istituzionali forte-mente identitarie dal punto di vista storico e culturale, economico e sociale. Carlo Cattaneo, rifiutando per ben due volte – in osse-quio ai propri convincimenti repubblicani, democrati-ci e federalisti – di entrare nel Parlamento di uno Stato monarchico, seguì queste vicende con l’occhio attento, ma disincantato e scettico, dell’esule. E al mostro biblico del Leviatano, metafora mitologica dello Stato assoluto e centralizzato, contrappone l’immagine dell’«Idra di molti capi, che fa però una bestia sola»41, il mostro a nove te-ste e dalla forma di serpente contro il quale si consumò la seconda delle proverbiali dodici fatiche di Ercole. Il Leviatano contro l’Idra; lo Stato centralizzato contro lo Stato federale. Commentando la circolare del ministro Farini in ordine alla Commissione legislativa istituita il 24 giugno 1860 e nominata allo scopo di varare le riforme relative all’ordinamento amministrativo di uno Stato già fortemente accentrato, scrisse: «La formula Stati Uniti o Regni Uniti è in Italia l’unica possibile forma di unità e

(41) C. Cattaneo (1860), “Lettera a Francesco Crispi”, in C. Cattaneo (2003), Lettere (1821-1869), Mondadori, Milano, p. 197.

06_I_Classici_B2.indd 62 11/10/11 10:17

Page 63: confronti 1-2 2011

63I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

di durevole amicizia e di pratica e soda libertà»42. Essa esprime infatti «la sola possibile armonia delle libere for-ze». Nei tornanti decisivi della storia italiana, il federali-smo – quale opzione radicalmente alternativa all’ordine costituito – s’è sempre affacciato nel dibattito sui destini del Paese. E questa è la grande lezione che Carlo Cattaneo ci lascia in eredità; una lezione con la quale fare i conti – più che da riscoprire – nell’anno delle celebrazioni del 150esimo dell’Unità.

(42) C. Cattaneo (1860), “La circolare del ministro Farini sul riconoscimento ammi-nistrativo”, in «Il Politecnico», ora in C. Cattaneo (1972), Storia universale e ideologia delle genti, cit., p. 256.

06_I_Classici_B2.indd 63 11/10/11 10:17

Page 64: confronti 1-2 2011

06_I_Classici_B2.indd 64 11/10/11 10:17

Page 65: confronti 1-2 2011

Cattaneo come Tocqueville? La “riscoperta” di Carlo Cattaneo in Nord America

I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Filippo SabettiDepartment of Political ScienceMcGill UniversityMontréal, Québec

65

“Olstrom Workshop”, Seminario Oltstrom (dal nome dei suoi fondatori, Vincent ed Elinor Ostrom, quest’ultima Pre-mio Nobel per l’Economia 2009); oppure Scuola di Bloo-mington dal nome della città del Midwest americano ove si trova l’Università dell’ Indiana, sede del Seminario: sotto questi due nomi passa un forum di pensiero politico, sor-to all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, che è di grande interesse e attualità in una fase di transizione dallo Stato moderno a forme di organizzazione pubblica post-statuale come quella in cui viviamo. Alla sessione del Seminario Oltrom svoltosi nel corrente anno 2011, lo studioso italo-canadese Filippo Sabetti, pro-fessore di Scienze politiche all’Università McGill di Mon-tréal, ha partecipato con un interessante contributo che riprendiamo in queste pagine nell’originale inglese (rias-sunto in italiano nella sezione “Testi in sintesi”). Prenden-do le mosse da molti dei contenuti di Civilisation and Self-Government: The Political Thought of Carlo Cattaneo, un suo saggio pubblicato nel 2010, Sabetti vi presenta la figura e il pensiero di Carlo Cattaneo paragonandola alla figura e all’opera di Alexis de Tocqueville e sostenendo con fondati argomenti che il primo meriterebbe di venire considerato non meno del secondo tanto in sede internazionale in ge-nere quanto in particolare nel Nord America.

07_I_Classici_B2.indd 65 11/10/11 10:17

Page 66: confronti 1-2 2011

66 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Carlo Cattaneo was a challenging critic of both the

liberalism and the republicanism of his

epoch and sought to go beyond both.

He is a pioneer who has not received as

much recognition as I believe he deserves

in the Anglophone world

Carlo Cattaneo was a remarkable 19th century polymath with a powerful and original mind, deeply curious, and enormously well read. He was a challenging critic of both the liberalism and the republicanism of his epoch and sought to go beyond both. As I tried to show in my most recent book, Civilization and Self-Government: The Po-litical Thought of Carlo Cattaneo 2010), his work is im-portant because he is a pioneer who has not received as much recognition as I believe he deserves in the An-glophone world. He was a pioneer of a field of inquiry that, to this day, has not yet been identified as such – what Karol E. Soltan, a pioneer in his own right, sug-gests it might be called “the discipline of civics” (Soltan 2002: 357). This helps to explain why Cattaneo’s thought has been neglected. My book remedies this neglect. It is the first single volume to treat his political thought as a whole. The book also fills a gap in the vast and unex-plored territory that nineteenth century Italian political thought remains for the Anglophone world.Cattaneo did not merely seek to fashion a new theory of politics. He sought to provide a deeper structure to the paradigmatic shift required to channel human civiliza-tion toward the constitution of open and self-governing societies in and beyond Italy. He was convinced that nei-ther economic progress, nor representative institutions, nor armed revolt, nor nationalism could automatically lead to human liberation and freedom. He sought to mo-tivate people to recast what they knew and to act on that knowledge so as to achieve two objectives simultaneous-ly: to free themselves from foreign rule and illiberal re-gimes without falling back on the entrenched view of the European state as the sole acceptable form of govern-ance, and to contribute their share to “the common enter-prise of humanity” ([1839] 1981 Scritti Letterari 1: 104).

Cattaneo’s Thought Cattaneo struggled to create a public science capable, ret-rospectively, of making sense of the multiform nature of human civilization and, prospectively, of addressing the

07_I_Classici_B2.indd 66 11/10/11 10:17

Page 67: confronti 1-2 2011

67I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

It was Cattaneo who, probably for the first time in the history of Italian political reflection, showed that it was possible, through a federal commercial republic, to harmonize and foster liberty and heterogeneity

Cattaneo was four years older than the other great republican of the Risorgimento, Giuseppe Mazzini, They knew each other and shared a republican vision of a united country

major concerns of his epoch. His public science com-bined two elements which constitute the two parts of my book: the study of incivilimento on one hand, and the art and science of self-governance on the other. The book brings the two themes together to articulate his public science, which is not simply some form of liberal republi-canism or republican liberalism, nor does it amount sim-ply to political science as we have come to understand it. Cattaneo may be best viewed as a public economist. That made him not republican enough for the republicans and not liberal enough for the liberals of his time, and helps to explain his relative neglect.Though a distinguishing feature of Italian political thought has been to stress the multiform nature of polit-ical rule, it was Cattaneo who, probably for the first time in the history of Italian political reflection, showed that it was possible, through a federal commercial republic, to harmonize and foster liberty (the focus of liberal theory), equality (the focus of democratic theory) and heterogene-ity (the focus of federalist theory). Characteristically, he envisioned a federal commercial republic for Europe as well. Polycentric federal republicanism lies at the heart of his science of self-governance and his public philoso-phy appropriate to modern civilization.Cattaneo was four years older than the other great re-publican of the Risorgimento, Giuseppe Mazzini, whose national and international reputation completely over-shadowed his own. They knew each other and shared a republican vision of a united country. But, unlike Mazzi-ni, Cattaneo did not see why, in the rebirth of Italy and other nations, the issue of national independence should dominate all other considerations, including the issues of liberty, nor why patriotism should require a centralized state. Cattaneo feared that the work of secret societies was antithetical to the creation of an open society, and that a disregard for how the founding of a united Italy came about could undermine freedom and self-govern-ance in a united, reconstituted Italy. It was this emphasis on federal accountability or, in the language of the time,

07_I_Classici_B2.indd 67 11/10/11 10:17

Page 68: confronti 1-2 2011

68 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

What I also tried to show in my book is that, in spite of the sprawling, uneven

nature of Cattaneo’s work, there is a remarkable

continuity of both ideas and activities

over the course of his lifetime – enough

to view him as a skilled intellectual

craftsman

“publicity,” that helped to give Cattaneo’s thought its rad-ical colour, making his ideas stand apart from those of mainstream liberals like Cavour and of nationalist repub-licans like Mazzini. What I also tried to show in my book is that, in spite of the sprawling, uneven nature of Cattaneo’s work, there is a remarkable continuity of both ideas and activities over the course of his lifetime – enough to view him as a skilled intellectual craftsman, concerned with the way ideas and deeds, beliefs and action, complement each other to give meaning to human life and civilization (incivilimento). The assortment of historical insight, philosophical reflec-tion and analytical narrative adds up to a fairly consist-ent treatise, largely because he seldom lost sight of his attempt to understand the democratic revolution taking place and the difference that made for the struggle to be free. Indeed, it is a measure of the capacity and power of Cattaneo’s mind that he rose above the ruptures and diversions in his life, the scattered and often unsystem-atic exposition of his ideas, and the limited access to the scholarly resources imposed by his relative isolation, to sketch new standards by which to tackle old issues in the epistemological tradition of Western philosophy. His aim was not just to inform but to spur readers to act. Though he could be lyrical in his description of things and events that moved or intrigued him, such as the ag-ricultural history of Lombardy and natural phenomena like tidal waves, he carefully avoided both the mysticism and romanticism that can be found in the work of many of his contemporaries and the excessive abstraction with which, he lamented, Hegel had wrapped his ideas. It is, therefore, possible to reconstruct from his scattered and unsystematic writings a theory of history and politics faithful to his intention. One fact that has undermined Cattaneo’s standing in Ital-ian political thought is that many Italian readers have turned to him in the expectation of finding reinforcement for their own ideas, only to come away disappointed with his failure to lend them complete support. Secularist an-

07_I_Classici_B2.indd 68 11/10/11 10:17

Page 69: confronti 1-2 2011

69I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

While many of his generation looked to religion and science as having at best nothing to do with one another, Cattaneo, in spite of his own anticlericalism, recognized that many people saw no incommensurability or dissension between them

Non-believer or not, he recognized that in almost every society and civilization, from Europe to India, the search for the transcendental and eternal appeared metaphysically necessary, though epistemically contingent

alysts can find ample ammunition in Cattaneo for their salvos against the temporal power of the pope, “Jesuitical and monastic obscurantism,” and arcane metaphysical disquisitions, but not enough to discredit the importance of religion and local parishes for a democratic society. He was rare among post-Restoration Italian intellectu-als for his openness and support of science and techno-logical progress – indeed, he saw liberalism and science as allies – without, however, believing that one could, in principle, master all things by calculation or becoming “disenchanted” a la Max Weber. While many of his gen-eration – and some of his twentieth-century proponents – looked to religion and science as having at best noth-ing to do with one another, Cattaneo, in spite of his own anticlericalism, recognized that many people saw no in-commensurability or dissension between them. Science for Cattaneo was not just based on the importance of data of empirical experience or pursuit of some instrumental material welfare, but on the importance of a normative commitment or shared set of beliefs about a self-organ-izing and self-adjusting public realm of inquiry. Non-be-liever or not, he recognized that in almost every society and civilization, from Europe to India, the search for the transcendental and eternal – what sometimes is called “the religious sense” – appeared metaphysically neces-sary, though epistemically contingent. Idealists like the philosopher Benedetto Croce were attracted by Catta-neo’s insistence on the creative role of ideas in life, but the problem is that Cattaneo belonged to a class of intel-lectuals who did not deal exclusively in the realm of ideas and thus, disappointed, idealists judged him as not suf-ficiently idealist. Positivists, lured by Cattaneo’s concern for useful knowledge and positive analysis, have been reluctant to admit that this is not enough to make him the first Italian positivist, or a positivist in the manner of August Comte. Materialists, too, found some support in his econom-ic writings, but disappointed as well because he was a strong supporter of “bourgeois liberal order” , and be-

07_I_Classici_B2.indd 69 11/10/11 10:17

Page 70: confronti 1-2 2011

70 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Cattaneo saw commerce not just

as a means for generating wealth but also as a way

of substituting for conquest self-

governance in human affairs

Equally, Cattaneo saw no

contradiction between the liberty

of individuals and the kind of

communal liberty that existed in the

Switzerland of his day

cause, in Gramsci’s colourful words ([1948-51] 1978: 56n5), he possessed “too many fancies in his head,” to be regarded as one of them. Classical liberals are fond of recalling that Cattaneo penned some of the strongest ar-guments in favour of commerce and free trade but do not give adequate consideration to the fact that he also seri-ously discussed mechanisms that stood to improve the life prospects of those without property, or who worked for wages or were destitute. In a world that by the 1850s was increasingly being challenged to choose between the good or evil of capitalism and socialism, Cattaneo was not afraid to admit that there was something good in both. He explored the relationship between politics and economics beyond narrow economic and political concerns and sought to help people prepare for a new and emerging world of self-governing public economies. Drawing on a wide range of thinkers from the Lombard, Neapolitan and Scottish Enlightenments, Cattaneo saw commerce not just as a means for generating wealth but also as a way of substituting for conquest self-governance in human affairs. For all these reasons, and to the disap-pointment of some of his twentieth-century readers, he saw no contradiction in supporting workers and organ-ized labour as well as commerce and free trade. Equally, Cattaneo saw no contradiction between the lib-erty of individuals and the kind of communal liberty that existed in the Switzerland of his day. He saw no opposi-tion between modern notions of liberty (individual inde-pendence and autonomy) and ancient notions of liberty (which stressed political participation), and between en-lightened self-interest and the common good. He praised people like Baron Pietro Custodi (1771-1842), who su-pervised the production of the monumental collection of Italian authors on political economy. In Cattaneo’s view that was selfless dedication “to the promotion of the com-mon good and incorruptible virtues” ([1842] 1965 Scritti Politici 3: 309). Cattaneo’s reputation as a radical think-er derives from his critique of monarchical government and centralized administration and his insistence that a

07_I_Classici_B2.indd 70 11/10/11 10:17

Page 71: confronti 1-2 2011

71I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

In brief, Cattaneo stands at the meeting point of several intellectual currents in Italian political thought, but, if read selectively or in a segregated way, is apt to run counter to them all. Against this backdrop, it is easier to see why Cattaneo has been, sometimes all at once, both praised and neglected

federal commercial republic, more than liberal notions of representative government, offered the best prospect for the realization of popular sovereignty. His rejection of the notion of juste milieu beloved by Victor Cousin and François Guizot in France and by moderate liberals like Cavour in Italy drew largely from his understanding of popular sovereignty. Cattaneo’s appreciation of cul-tural diversity is beyond question, but he reserved some of his sharpest criticisms for the spread of Cousin’s Ec-lecticism in Italy because he was of the view that a free society without a strong concern for the quest for truth is especially vulnerable to scepticism and indifference. He could at times write rhapsodically about Lombard accomplishments, but his emphasis on the local as the essential foundation for a democratic society cannot be solely attributed to his attachment to Lombardy. In brief, Cattaneo stands at the meeting point of sever-al intellectual currents in Italian political thought, but, if read selectively or in a segregated way, is apt to run counter to them all. Against this backdrop, it is easier to see why Cattaneo has been, sometimes all at once, both praised and neglected, why many readers in Italy have not always grasped the paradigmatic significance of his work for surpassing the republicanism of the past and the liberalism of his day, and why his contribution to nine-teenth-century thought has been, sometimes, dismissed by Italian nationalist writers or, when noticed, has not even been properly identified. I tried to suggest that if we keep his preoccupations and the vicissitudes of his life in mind, it becomes easier to understand why he wrote the way he did, and even to marvel at his capacity to compre-hend and penetrate realities beyond the confines of his little world – other than a trip to Paris, he never set foot beyond the Swiss Alps or below Naples. I tried to demon-strate that his scattered insights, when brought together, are essential ingredients in a general theoretical frame-work for the creation of a public science – or emerging “discipline of civics” (Soltan 2002) – to be utilized retro-spectively to make sense of the multiform nature of hu-

07_I_Classici_B2.indd 71 11/10/11 10:17

Page 72: confronti 1-2 2011

72 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

The nineteenth thinker that comes

closest to what Cattaneo sought to do was Tocqueville

This is all the more remarkable

if we recall that Cattaneo’s social

background, intellectual training and circumstances

of life stand in sharp contrast to

Tocqueville’s

man civilization (incivilimento) and prospectively to ad-dress the major concerns of his epoch (the art and science of self-government). His public science sought to com-bine the study of these two themes. Hence, his theory of civilization and his theory of politics ware closely linked.

Cattaneo and TocquevilleThe nineteenth thinker that comes closest to what Cat-taneo sought to do was Tocqueville who suggested that “a new political science [was] needed for a world entire-ly new” ([1835] 2010 1: 16). They were both masters of paired comparison and shared a passion for liberty and institutions of self-government. They both aspired to map a territory now divided into many specialized sub-disci-plines. It is no accident that they looked to the American political experience for what it could teach Europeans (Sabetti 2001 [2007]). That Tocqueville and Cattaneo, in-dependent of one another, shared common concerns and a mode of analysis constitutes a powerful reminder about the extent to which certain ideas, perspectives and aspira-tions cut across accidents of birth, speech communities and national boundaries. This is all the more remarkable if we recall that Cattaneo’s social background, intellectual training and circumstances of life stand in sharp contrast to Tocqueville’s. Tocqueville and Cattaneo agreed that there were critical differences in the republicanism of the “sister republics” of United States and France (Higonnet 1988). For diffe-rent reasons, at least until 1848, neither was republican in the anti-monarchical sense. Tocqueville worked hard in Democracy in America to make sure his readers knew he was not a republican, while Cattaneo avoided any de-claration on the question, living as he did in the Austrian empire. After 1848, Cattaneo opposed the republicanism brought into Italy by the Jacobin propaganda and regar-ded it as ill-suited to a country in which the multiform, polycentric nature of the political order was either firmly rooted in ideas and experience, or at least never comple-tely lost. In fact, he looked to non-monarchical and fe-

07_I_Classici_B2.indd 72 11/10/11 10:17

Page 73: confronti 1-2 2011

73I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Cattaneo, like Tocqueville, turned to the American political experiment for serious consideration of the prospect of liberty and institutions of self-government

Whether Tocqueville knew of Cattaneo’s work remains a puzzle. There is, however, no puzzle about whether or not Cattaneo knew Tocqueville’s work

deralist principles of organization to reconcile indepen-dence and unification with liberty and self-government, to interpose limits on the scope and authority of both pu-blic and private monopolies, to promote a strong sense of citizenship and civic virtues, as well as to create me-chanisms capable of ensuring a tight connection betwe-en law and ethics. He promoted a “public economy” or economia civile which he envisaged exceeded the narrow confines of state and market to include the well being of those who either had no property except their labor or were destitute. Cattaneo, like Tocqueville, turned to the American po-litical experiment for serious consideration of the pro-spect of liberty and institutions of self-government. As each analyst applied himself as a public intellectual to the analysis of practical problems in the world, they took the American republican experience to suggest that alter-natives existed to the entrenched European view of the state. Just as Tocqueville had no objection to the doctrine of self-interest rightly understood, so Cattaneo thought that it was possible for self-interest to work for the com-monweal under appropriate institutional arrangements as it addressed issues of interpersonal relationship and the practice of civic virtues. Sharing some ideas of the early American republicans and countering what John Stuart Mill suggested, Cattaneo (who seems to have been unaware of either) considered the value of liberty to lie mainly in the ability to contribute to the common weal (Sabetti 2006 [2007]). Whether Tocqueville knew of Cattaneo’s work remains a puzzle. There is, however, no puzzle about whether or not Cattaneo knew Tocqueville’s work. We find him ap-provingly citing the first volume of Tocqueville’s Demo-cracy in America two years after it was first published and, soon afterwards, Tocqueville and Beaumont’s report on the United States penitentiary system ([1837] 1956 Scritti Economici 2: 68; [1847] 1964 Scritti Politici 1: 283, 300, 317, 383). Tocqueville and Cattaneo were animated by a strong interest in connecting political theory to po-

07_I_Classici_B2.indd 73 11/10/11 10:17

Page 74: confronti 1-2 2011

74 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Whereas Tocqueville used the American

experience to present an

alternative vision to that offered by

the philosophes and the French

statist experience, Cattaneo suggested that the alternative vision provided by

American theory of limited government was consistent with

the basic features of Italian and

European ways of life and with what

was universal in the human condition

litical practice. However, the circumstances of their li-ves, including the specificities of their particular political problems, led them to pursue their respective inquiries differently. Whereas Tocqueville used the American ex-perience to present an alternative vision to that offered by the philosophes and the French statist experience, Cat-taneo suggested that the alternative vision provided by American theory of limited government was consistent with the basic features of Italian and European ways of life and with what was universal in the human condition, even if at times hidden from view (Sabetti 2001 [2004]). Cattaneo sought in a more self-conscious way to think through the problem of articulating the conditions, and understanding the mechanisms, under which individual freedom and self-governing systems (including free trade and labor unions) could be developed and sustained. Fed-eralism and republicanism provided him with the tools for promoting a patriotism of free citizens, a nation at arms as opposed to a standing army, and a commitment to maintain and preserve plural, or polycentric, forms of self-rule (Sabetti 2006 [2007]). If Tocqueville sought to overturn the established French idea of the state, Cat-taneo sought to come to terms with the fact that nei-ther progress, nor armed revolt, nor nationalism would spontaneously lead to human liberation. Hence, the fun-damental problem facing people in Restoration Europe was not a purely Italian problem but a Europe-wide one: whether it was possible to decouple violence and posi-tive change, avoid the model history of European nation states and, peacefully, achieve national liberation and in-dependence, and promote the network of local institu-tions and regional infrastructures essential to both self-rule and economic growth.

Cattaneo and Tocqueville in our Time: The Ostrom Workshop at Indiana UniversityCattaneo and Tocqueville worked on a public science that never developed in the nineteenth century, but may be developing now in the form of a discipline of civics also

07_I_Classici_B2.indd 74 11/10/11 10:17

Page 75: confronti 1-2 2011

75I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Cattaneo and Tocqueville worked on a public science that never developed in the nineteenth century, but may be developing now in the form of a discipline of civics also being defined as “civic studies” and a science of citizenship, with the Indiana University Workshop in Political Theory and Policy Analysis as one of its major centers

being defined as “civic studies” and a science of citizen-ship, with the Indiana University Workshop in Political Theory and Policy Analysis as one of its major centers (see Aligica and Boettke 2009; see also Soltan 2002; and Tufts University Summer Institute of Civic Studies 2010). The Nobel Prize awarded to Elinor Ostrom in 2009 has served to bring renewed international interest about the Worskhop in Political Theory and Policy Analysis at In-diana University, Bloomington, that Elinor and her hus-band Vincent founded in the early 1970s (see also Vitale 2010). Vincent Ostrom has long emphasized the impor-tance of Tocqueville in the philosophical vision and em-pirical research at the Workshop. To describe the intel-lectual links of the Workshop to the ideas of Cattaneo, allow me to be a bit autobiographical. I am a first-generation Workshopper, though my associa-tion with its founders – Vincent and Elinor Ostrom – goes back to the spring of 1968, when I had the good fortune of receiving a telephone call from Elinor (“Lin,”as many of us call her) – then the graduate advisor in the Depart-ment of Government (as it was then called), urging me to choose Indiana University for doctoral studies in po-litical science. She challenged me to learn more about a new and exciting interdisciplinary field of public choice that also drew on the Italian school of public finance and fiscal theory. For the first time I heard someone stressing the importance of works of James M. Buchanan and Gor-don Tullock, whose papers I had distractedly noticed in earlier issues of «Il Politico», a University of Pavia jour-nal edited by Bruno Leoni, who had welcomed their con-tributions when most Anglo-American non-economic journals were not so readily disposed to their innovative thinking. Buchanan and Tullock were among the pillars of the early Workshop curriculum, alongside The Fed-eralist, Democracy in America, Leviathan, The Calculus of Consent and The Logic of Collective Action. Since that time, I witnessed the creation of the Indiana Workshop in 1972, and enjoyed a close relationship with the Ostroms and with their respective students and a growing num-

07_I_Classici_B2.indd 75 11/10/11 10:17

Page 76: confronti 1-2 2011

76 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

It became an enriching experience

for me to discover rich streams of

Italian scholarship on federal ideas and on issues of

subsidiarity broadly understood, and

bring them to the attention of colleagues and

associates of the Indiana Workshop

ber of associates of the Workshop especially through the Workshop on the Workshop conferences that have tak-en place periodically since the early 1990s. It became an enriching experience for me to discover rich streams of Italian scholarship on federal ideas and on issues of sub-sidiarity broadly understood, and bring them to the at-tention of colleagues and associates of the Indiana Work-shop. I saw myself serving as a bridge between successive generations of Italian and American scholars concerned with decentering the “state” and focusing on civic stud-ies and the multiform nature of self-government. All of us associated with the Workshop tended to view the Nobel Prize of 2009 awarded to Elinor Ostrom and, indirectly to her husband, Vincent Ostrom, as a recognition of the transition that was occurring in social sciences through their research and the ongoing efforts of the Workshop itself. Already by 1990, the Workshop had gained an internatio-nal reputation and the very experiences of visiting scho-lars from many parts of the world stimulated a broader in-quiry and conceptualization of the theoretical framework of institutional analysis and development. Elinor’s Gover-ning the Commons in 1990 broadened the subject areas, audiences and terminology of the Workshop, while Vin-cent’s explorations of the meaning of American federali-sm led to the affirmation of the concept of polycentrici-ty as a more universally relevant term than federalism. Building in particular on Tocqueville’s analysis, Vincent sought to assess the potential for citizens as constitutio-nal artisans to develop a science of association and so be-come “citizen-sovereigns” in self-government worldwide (Ostrom 2006; see also Allen 2011: 451-52). Paul Dragos Aligica’s and Peter Boettke’s reconstruction (2009) of the essential conceptual and theoretical buil-ding blocks as well as the philosophy that shapes and defines the Workshop – what they, following William C. Mitchell (1988), call “the Bloomington School” – maps in some important ways my own intellectual development and that of many other Ostrom students as well as the

07_I_Classici_B2.indd 76 11/10/11 10:17

Page 77: confronti 1-2 2011

77I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

More specifically, is there a close correspondence between Cattaneo and the Indiana Workshop?

work of many scholars whom they mentored at the Wor-kshop since the 1980s. Some of their students like Ro-nald Oakerson (1986, 1999), Mark Sproule-Jones (1982, 1993), and Susan Wynne (with Ostrom and Schroeder 1993) have made their own distinctive contributions to the development of the Institutional Analysis and Deve-lopment ( IAD) framework, while Roger Park and Gor-don Whitaker, working closely with Elinor, applied it in several police studies, covering a range of specific service delivery problems in metropolitan areas of the Midwest like South Chicago, Indianapolis and St. Louis, (where Kenneth A. Shepsle (2010) recalls first meeting Lin in the early 1970s). Jamie Thomson’s numerous reports prepa-red for, among others, the World Bank, the Asian Deve-lopment and the United States Agency for International Development (USAID) effectively conveyed the applica-bility and importance of the framework for understan-ding common-pool resource governance and manage-ment problems in several African and Asian countries (e.g. Thomson 2008). Others like Barbara Allen have cla-rified the American covenant tradition and brought toge-ther Vincent’s ideas in several publications so as to share them with others (Allen 2005, 2011, and Ostrom 2008; see also Sproule-Jones et al 2008; Sabetti et al 2009). The Nobel Prize Committee’s recognition of these cumulative efforts is a confirmation of what many of us already knew – Vincent’s and Elinor’s lifetimes of groundbreaking rese-arch, teaching and scholarship, have touched the lives of many beyond the select group of Workshoppers. More specifically, is there a close correspondence betwe-en Cattaneo and the Indiana Workshop? A special issue of Public Choice (2010), entitled “Elinor Ostrom and the Diversity of Institutions,” and guest edited by Michael Munger, helps to answer this question. The constraints of space work against treating each one separately. For-tunately, Peter Boettke’s contribution in the same issue nicely summed up the main lessons for the work of Eli-nor and Vincent, and establish – in my view – the close fit between their work and the work of Cattaneo and of a

07_I_Classici_B2.indd 77 11/10/11 10:17

Page 78: confronti 1-2 2011

78 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

First, there is in much of the

Ostroms’ research emphasis on the human capacity to craft the rules

of self-governance through reflection

and choice. This carries the

implication that human beings

possess the potential to improve their

well-being by devising rules

governing their associations with

others

certain Lombard tradition, sometimes referred to as “the welfare lombardo” – evidenced especially in the publica-tions of, among others, Giorgio Rumi (1981, 1984, 1988, 1992, 1995, 1998) and the collection of essays edited by Alessandro Colombo (2010).First, there is in much of the Ostroms’ research emphasis on the human capacity to craft the rules of self-governan-ce through reflection and choice. This carries the impli-cation that human beings possess the potential to im-prove their well-being by devising rules governing their associations with others (Boettke 2010:287). A second major lesson is that “rules in use” – a conceptualization initially suggested by the work of Mark Sproule-Jones (1993) – matter for social cooperation, and that all sorts of community-based rules systems can operate produc-tively, in an almost bewildering range of contexts. What that means it that people are capable of devising systems of self-regulation in a variety of circumstances, leading to a rich institutional diversity (Boettke 2010: 289). A third lesson is intellectual curiosity and methodological openness to a variety of techniques and approaches to learning – from field work to lab and experimental eco-nomics. Another contribution is the study of complex phenomena. As Boettke suggests, “It is arguable that not since Kenneth Boulding… have we seen a social scientist allow their sheer curiosity about the world to take them on such a methodological journey of so many different approaches to get at the phenomena she wants to under-stand (Boettke 2010: 290). Boettke is referring to Elinor and it is not coincidental that I read Boulding in the first doctoral class I took with Vincent in the fall of 1968.Finally, Boettke notes, there is what animates or motiva-tes the Ostroms’ life project as scholars and educators. Their vocation – which was very much Cattaneo’s voca-tion – is to cultivate a self-governing citizenry and the cha-racteristics necessary for such a citizenry. Boettke recalls what Elinor and Vincent note in another context: their greatest priorities have always been that their research and educational efforts are geared toward cultivating citi-

07_I_Classici_B2.indd 78 11/10/11 10:17

Page 79: confronti 1-2 2011

79I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Their work advances historical recognition of ordinary citizens as creative artisans of institutions for collective action well before academics uncovered the logic of collective action problems beginning in the 1950s

zens who have the capacity for self-governance in a mul-ti-organizational context. Boettke quotes Elinor to this effect: “Self-governing, democratic systems are always fragile enterprises” and “future citizens need to under-stand that they participate in the constitution of and re-constitution of rule-governed polities. And they need to learn the art and science of association. If we fail in this, all our investigations and theoretical efforts are useless” (Ostrom quoted in Boettke 2010: 290). Most recently, Al-len (2011: 31-36) has brought to light that the emphasis on this kind of “experiential learning” can be traced as far back as Vincent’s first teaching experience at the Uni-versity of Wyoming in 1947. Against this backdrop, it is no wonder that the Workshop is an institutional sponsor of the Committee on the Political Economy of the Good Society (PEGS), that Elinor and Vincent are members of the PEGS founding board, and that, most recently, Elinor has been a signatory of the Framing Statement, Summer Institute of Civic Studies of the Jonathan M. Tisch Col-lege of Citizenship and Public Services at Tufts Universi-ty. The Workshop and its founders are very much part of the theoretical traditions in civic studies – or what Karol Soltan in another context calls “the discipline of civics” (Soltan 2002; cf. Sabetti 2006 [2007]). But the enduring lessons of Elinor’s and Vincent’s work noted by Boettke and others have additional meanings for me as a long-time student of Cattaneo – and for at-tentive readers of the history of “the welfare lombardo (see, e.g. Colombo 2010; Rumi 1981, 1984, 1988, 1992, 1995, 1998). Their work advances historical recognition of ordinary citizens as creative artisans of institutions for collective action well before academics uncovered the lo-gic of collective action problems beginning in the 1950s. The fact that academics did not have the tools to single out analytically the core issues involving social dilemmas and the nature of certain goods does not mean that peo-ple in the Alps and other parts of the peninsula over the centuries had not confronted and resolved those core is-sues in the crafting of long enduring institutions of self-

07_I_Classici_B2.indd 79 11/10/11 10:17

Page 80: confronti 1-2 2011

80 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

Few areas of Europe can match Italian history for wealth

of documentary evidence and as

laboratory of civic artisanship in constitutional

choice, and yet most Anglophone

analysts have been unwilling to go

beyond conventional mischaracterizations

or have often been studying the wrong

thinkers

governance (see also Casari and Plott 2003l; Colombo 2010; Grossi [1971] 1981; Sabetti 1999, 2004, and 2010: 29, 73, 98-99, 146, 168, 177, 206; cf. Vitale 2010). The Ostroms’ work highlights the need to give histori-cal foundation to civic studies by recovering the ideas and practices that have characterized civic artisanship over the course of centuries in many contexts outside the Anglo-American milieu – not just in Italy but also in places like Poland, Nepal, Indonesia, Mali, Mexico, Pe-ru, Spain, among many other examples. The institutions and practices that made the Republic of Venice the lon-gest-lived, self-constituted commercial republic remain to be fully explored (Gordon 1999; Pullan 1974; Sabetti and Mentzel 2011). Few areas of Europe can match Ita-lian history for wealth of documentary evidence and as laboratory of civic artisanship in constitutional choice, and yet most Anglophone analysts have been unwilling to go beyond conventional mischaracterizations availa-ble in the popular and social science literature, or have often been studying the wrong thinkers (Sabetti 2011). Why this is, I suspect, has to do with the centrality of the concept of “Government” with its inherited bias towards conceptualizing politics as “power over” rather than, in Mary Parker Follett’s view, power with, people (Follett 1924). The conceptualization of politics as “power over” continues to be the mental model of many contempora-ry statists and social scientists. The Ostroms’ work recasts what we know by noting that the central issue in the study of public affairs is not “Does the Government exist?” but rather “Are the structures of basis institutions organized in such a way as to advance the pursuit of joint opportunities and human welfare or are those same structures an essential source of human adversity and misery?” Putting matters this way opens up new area of theoretical and empirical inquiry in institu-tional analysis and the practice of self-government. Carlo Cattaneo, suggested 150 years ago that philosophers had often posed the wrong question when they asked, “What would a country be like without the Government?” Cat-

07_I_Classici_B2.indd 80 11/10/11 10:17

Page 81: confronti 1-2 2011

81I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

What the Ostroms have done is to place in sharp relief human beings’ capacity and competence to craft rules and mechanisms of self-governance

taneo argued that this observation is based on the false presupposition that “government” must refer to the State only, which explains the widespread tendency to treat the study of politics almost exclusively as either the study of power or the study of why some states are more powerful than others. In a manner reminiscent of what later has been called “the welfare lombardo”, Cattaneo suggested – along lines quite similar to those pursued by Tocquevil-le and the Ostroms – that the way to identify which me-chanisms are foundational to human existence and to the political economy of the good society is to focus on how human beings the world over devise mechanisms to re-solve the challenge of complementarity, interdependen-ce and coordination (Colombo 2010; Sabetti 2008: 101; Sabetti 2010). What the Ostroms have done is to place in sharp relief human beings’ capacity and competence to craft rules and mechanisms of self-governance to im-prove their collective well being insofar as they give rise to complex, dynamic and mutually productive patterns of institutional diversity, many of which still await to be fully understood. And in so doing, their work can rein-vigorate, and offer exciting new interpretive keys in, the study of the political thought of Carlo Cattaneo and the very practice of politics characteristics of the history of the “welfare Lombardo” – something that I have tried to do in my past and current research.

07_I_Classici_B2.indd 81 11/10/11 10:17

Page 82: confronti 1-2 2011

82 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

References

Aligica, Paul Dragos and Peter J. Boettke (2009). Chal-lenging Institutional Analysis and Development. New York: Routledge.

Allen, Barbara (2005). Tocqueville, Covenant, and the Democratic Revolution. Harmonizing Earth with Heav-en. Lanham, MD: Lexington Books.

----- ed. (2011). Vincent Ostrom. The Quest to Understand Human Affairs. Natural Resources Policy and Essays on Community and Collective Choice. Lanham, MD: Lex-ington Books.

Boettke, Peter ed. (2005). “Polycentric Political Econo-my: Essays in Honor of Elinor and Vincent Ostrom.” Special Issue. Journal of Economic Behavior & Orga-nization 57 (June): 141-244.

------ (2010). “Is the only form of ‘reasonable regulation’ self regulation? Lessons from Lin Ostrom on regu-lating the commons and cultivating citizens.” Public Choice 143: 283-291.

Casari, M. and Charles R. Plott (2003). “Decentralized Management of Common Property Resource: Experi-ments with a Centuries-old Tradition.” Journal of Eco-nomic Behaviour & Organization 51: 217-247.

Cattaneo, Carlo (1837 [1956]). “Alcune ricerche sul pro-getto di un Monte delle Sete.” Scritti Economici, ed. by Alberto Bertolino. Vol. 2. Firenze: Le Monnier,7-82.

------- (1839 [1981]. “Vita di Dante di Cesare Balbo.” Scritti Letterari ed. by Pietro Treves. Vol. 1. Firenze: Le Mon-nier.

------- (1842 [1965]). “Pietro Custodi.” Scritti Politici ed. by Mario Boneschi, vol. 3. Firenze: Le Monnier, 306-309.

------- (1846 [1964]). “Della Riforma penale.” Scritti Poli-tici ed. by Mario Boneschi. Vol 1: 283-422.

Colombo, Alessandro ed. (2010). Far Bene e Fare il Be-ne. Interpretazioni e materiali per una storia del welfare Lombardo. Milano: Guerini Associati.

Follett, Mary Parker (1924). Creative Experience. New York: Longmans, Green & Co.

07_I_Classici_B2.indd 82 11/10/11 10:17

Page 83: confronti 1-2 2011

83I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Gordon, Scott (1999). “The Republic of Venice.” Pp. 129-164. In his Controlling the State. Constitutional-ism from Ancient Athens to Today. Cambridge: Harvard University Press.

Gramsci, Antonio (1948-51 [1978]). Selections from the Prison Notebooks ed. and trans. by Quintin Hoare and G. Nowell Smith. New York: International Publishers.

Grossi, Paolo (1971 [1981]. An Alternative to Private Prop-erty: Collective Property in the Juridical Consciousness of the Nineteenth Century. Trans. Lydia Chochrane. Chicago: University of Chicago Press.

Higonnet, Patrice (1988). Sister Republics.The Origins of French and American Republicanism. Cambridge: Har-vard University Press.

Mitchell, William C. (1988). “Virginia, Rochester, and Bloomington: Twenty-Five Years of Public Choice and Political Science.” Public Choice 56 (2): 101-119.

Munger, Michael (2004). “Commentary on ‘the Quest for Meaning in Public Choice’ by Elinor Ostrom and Vin-cent Ostrom.” American Journal of Economics and So-ciology 63 (January):149-160.

Oakerson, Ronald J. (1986). “A Model for the Analysis of Common Property Problems.” Pp. 13-30. In Proceed-ings of the Conference on Common Property Resource Management, National Research Council. Washington, D.C.: National Academy Press.

------ (1999). Local Public Economies. Creating the Civic Metropolis. San Francisco: ICS Press.

------ ed. (2009). ‘One Finger Cannot Lift a Stone.’ Decentral-ization and Development in Sierra Leone. Monograph. Collaborative Research in Political Science and Inter-cultural Studies. Houghton, N.Y.: Houghton College.

------ and Jeremy D. W. Clifton (2010). “Neighborhood Decline as a Tragedy of the Commons: Conditions of Neighborhood Turnaround on Buffalo’s West Side.” Draft Manuscript.

Ostrom, Elinor (1990). Governing the Commons. The Evo-lution of Institutions for Collective Action. New York: Cambridge University Press.

07_I_Classici_B2.indd 83 11/10/11 10:17

Page 84: confronti 1-2 2011

84 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

------ (2005). Understanding Institutional Diversity. Princ-eton: Princeton University Press.

------ (2009-2010). “The Institutional Analysis and Devel-opment Framework and the Commons.” Cornell Law Review 95: 807-815.

------, Larry Schroeder, Susan Wynne (1993). Institutional Incentives and Sustainable Development. Infrastructure Policies in Perspective. Boulder: Westview Press.

------, Vincent (2006). “Citizen-Sovereigns: The Source of Contestability, the Rule of Law and the Conduct of Public Entrepreneurship.” PS:Political Science & Poli-tics (January): 13-17.

------ (2008). The Political Theory of a Compound Repub-lic. Designing the American Experiment. Third edition revised and expanded with Barbara Allen. Lanham, MD: Lexington Books.

------ (2011). The Quest to Understand Human Affairs. Nat-ural Resources Policy and Essays on Community and Collective Choice. Vol 1 ed. by Barbara Allen. Lanham, MD: Lexington Books.

Perspectives on Politics (2010). “Beyond the Tragedy of the Commons: A Discussion of Governing the Com-mons: The Evolution of Institutions for Collective Ac-tion by Elinor Ostrom.” 8 (June): 569-594.

Public Choice (2010). Special Issue “Elinor Ostrom and the Diversity of Institutions.” Guest Edited by Michael Munger. 143 (nos. 3-4, June).

Pullan, Brian (1974). “The Significance of Venice.” The Bulletin of the The John Rylands University Library of Manchester 56: 443-462.

Rumi, Giorgio (1981). “Lavoro e cultura cattolica nel de-clino dell’età liberale (1914-1924.” Bollettino dell’Ar-chivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia 2: 149-165.

------- (1984). “La ‘ragionevole libertà’: Una tradizione in-transigente lombarda nell’età giolittiana.” In Cultura e società in Italia nel primo Novecento (1900-1915). Atti del secondo Convegno del Centro di ricerca “Lettera-

07_I_Classici_B2.indd 84 11/10/11 10:17

Page 85: confronti 1-2 2011

85I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

tura e cultura dell’Italia Unita”. Milano: 7-11 settem-bre 1981. Milano: Vita e Pensiero, 95-114.

------- (1988). Lombarda guelfa. 1780-1980. Brescia: Mor-celliana, 117-131, 155-174.

------- (1992). “Il governo della carità.” In G. Comacini, ed., La Carità e la cura. L’Ospedale Maggiore di Milano nell’età moderna. Milano: Ospedale Maggiore di Mila-no, 11-31.

------- (1995). “Milano a fine secolo: speranze e contrad-dizioni della ‘capitale morale’.” Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia 3: 250-254.

------- (1998). “Lombardia , libertà o dominanza.” In G. Rumi, ed., La formazione della Lombardia contempora-nea. Milano-Roma-Bari: Cariplo-Laterza, 3-12.

Sabetti, Filippo (1999). “An Agenda for the Study of Long-Enduring Institutions of Self-Governance in the Italian South.” Paper presented at the American Polit-ical Science Associations Meetings, Atlanta, Georgia, September 2-5.

------- (2001 [2004]). “Cattaneo e il modello Americano per una scienza politica nuova.” In Arturo Colombo, Franco della Peruta, Carlo G. Lacaita, eds., Carlo Cat-taneo: I temi e le sfide. Milano: Casagrande, 345-366.

------ (2004). “Local Roots of Constitutionalism.” Perspec-tives on Political Science 33 (Spring): 70-79.

------- (2006 [2007]). “Incivilimento e autogoverno nel pensiero politico dell’Ottocento: il contributo di Carlo Cattaneo in una prospettiva comparatistica.” In Ro-bertino Ghiringhelli, ed., Città e pensiero politico ita-liano dal Risorgimento alla Repubblica. Milano: Vita e Pensiero, 453-485.

------ (2008). “Democratization without Violence. Can Pol-itical Order be Achieved through Peaceful Means?” Pp. 85-109. In Mark Sproule-Jones, Barbara Allen and Filippo Sabetti, eds., The Struggle to Constitute and Sustain Productive Orders. Vincent Ostrom’s Quest to Understand Public Affairs. Lanham, MD: Lexington Books.

07_I_Classici_B2.indd 85 11/10/11 10:17

Page 86: confronti 1-2 2011

86 CONFRONTI 1-2/2011 I CLASSICI

------ (2010). Civilization and Self-Government. The Polit-ical Thought of Carlo Cattaneo. Lanham, MD: Lexing-ton Books.

------ (2011). “Italian Political Thought.” In The Encyclo-pedia of Political Science ed. by George Kurian. Wash-ington, DC: CQ Press. http://library.cqpress.com/teps/encyps_843.1

------ , Barbara Allen, Mark Sproule-Jones, eds., 2009. The Practice of Constitutional Development. Vincent Os-trom’s Quest to Understand Human Affairs. Lanahm, MD: Lexington Books.

------ and Peter Mentzel (2011). “Gasparo Contarini and Robust Institutions. The Political Basis of a Long-En-during Commercial Republic.” Montreal: McGill Uni-versity Paper.

Shepsle, Kenneth A. (2010). “Elinor Ostrom: Uncom-mon.” Public Choice 143: 335-337.

Soltan, Karol (2002). “Selznick and Civics.” Pp. 357-372. In Legality and Community: On the Intellectual Legacy of Philip Selznick, ed. Robert A. Kagan, Martin Krygier and K. Winston. Lanham, MD: Rowman and Littlefield

Sproule-Jones, Mark (1982). “Public Choice Theory and Natural Resources: Methodological Explication and Critique.” American Political Science Review 76: 790-801.

------ (1993). Governments at Work: Canadian Parliament-ary Federalism and Its Public Policy Effects. Toronto: University of Toronto Press.

------, Barbara Allen and Filippo Sabetti, eds. (2008). The Struggle to Constitute and Sustain Productive Orders. Vincent Ostrom’s Quest to Understand Human Affairs. Lanham, MD: Lexington Books.

Thomson, Jamie (2008). “Malawi’s Lake Chiuta Fisheries: Intelligent Burden-Shedding to Foster Renewable Re-sources Stewardship.” Pp. 125-150. In Mark Sproule-Jones, Barbara Allen and Filippo Sabetti, eds., The Struggle to Constitute and Sustain Productive Orders. Vincent Ostrom’s Quest to Understand Human Affairs. Lanham, MD: Lexington Books.

07_I_Classici_B2.indd 86 11/10/11 10:17

Page 87: confronti 1-2 2011

87I CLASSICI CONFRONTI 1-2/2011

Tocqueville, Alexis de (1835 [2010]. Democracy in Amer-ica ed. E. Nolla. Vol 1. Indianapolis: Liberty Fund Inc.

Tufts University Summer Institute of Civic Studies 2010. “Framing Statement.” Medford, MA: Tufts University Jonathan M. Tisch College of Citizenship and Public Service.

Vitale, Tommaso (2010). “Società locali e governo dei be-ni comuni. Il Nobel per l’economia a Elinor Ostrom.” Aggiornamenti Sociali 2: 91-100.

07_I_Classici_B2.indd 87 11/10/11 10:17

Page 88: confronti 1-2 2011

88 CONFRONTI 1-2/2011

Il nuovo Statuto d’Autonomia lombardo in vigore dal 1° settembre 2008, in sostituzione del primo Statuto del 1971, è una legge fondamentale di grande contenuto innovativo non solo per i meccanismi istituzionali che delinea quan-to in primo luogo per la filosofia che lo ispira: una filoso-fia, è importante sottolinearlo, largamente condivisa, tan-to che esso venne approvato dal Consiglio Regionale quasi all’unanimità.Come sottolineava il presidente Formigoni nell’editoriale di Confronti n.2/2008, dedicato in ampia misura al nuovo Statuto, “Quello che ad ogni modo fa dello Statuto d’Auto-nomia lombardo un fatto profondamente innovativo nel quadro delle carte fondamentali dei governi sub-nazionali non solo in Italia ma in Europa, se non forse in tutto l’Oc-cidente democratico, è il titolo primo, dedicato ai principi generali”. In questo senso il nuovo Statuto è una positiva sfida sia per il ceto politico regionale e sia per il popolo lombardo, che si sono così impegnati a costruire una comunità poli-tica molto rinnovata rispetto allo statu quo del 2008. Nel mondo in cui viviamo, nel quale la memoria e la consa-pevolezza sono molto più fragili che nel passato, i passi in avanti rischiano di venire impediti o vanificati assai più dalla dimenticanza che da aperte opposizioni. Con il desi-derio di dare un nostro contributo al contrasto di tale ten-denza abbiamo scelto di fare di una qualificata riflessione sui fondamenti del vigente Statuto l’argomento della sezio-ne “Tema”, che inizia con questo numero.

Il tema

08_Il tema_B2.indd 88 11/10/11 17:30

Page 89: confronti 1-2 2011

89Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Francesco BotturiOrdinario di filosofia morale Facoltà di Lettere e Filosofia Università Cattolica del Sacro Cuore Milano

Il principio di sussidiarietà è affermato con pretesa di valore architettonico dell’impianto statutario della Regione e dei modi effettivi di governo

Persona, ruolo pubblico della società civile e bene comune nello Statuto della Lombardia: quali basi teoriche*

Persona e sussidiarietà sono termini reggenti dei “Princi-pi generali” dello Statuto della Regione Lombardia: «La Regione riconosce la persona umana come fondamento della comunità regionale» (Titolo I, art. 2) e «La Regio-ne riconosce e promuove il ruolo delle autonomie loca-li e funzionali» (art. 3 co. 1), secondo cui intende attua-re il «principio di sussidiarietà orizzontale» nel conteso dell’«autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associa-ti» e quindi delle famiglie, formazioni e istituzioni sociali enti civili e religiosi (art. 3 co. 2; ma si considerino già il dettaglio delle fisionomie sociali che la Regione per sta-tuto riconosce, tutela, sostiene, promuove ecc. all’art. 2 co. 4). Significativamente, il principio di sussidiarietà è ricordato anche come oggetto di promozione (la Regione «promuove l’affermazione del principio di sussidiarietà») nei suoi rapporti internazionali (art. 6 co. 1, cfr. co. 2).In sintesi, sul fondamento della “persona”, il principio di sussidiarietà è affermato con pretesa di valore architet-tonico dell’impianto statutario della Regione e dei modi effettivi di governo. Il riferimento all’azione internazio-nale esprime, poi, l’intenzione di fare della “sussidiarie-tà” un criterio generale e un contenuto programmatico di azione politica.Il problema culturale che inevitabilmente si pone nell’at-

* Col titolo “Persona e democrazia nello Statuto d’Autonomia di Regione Lombardia” questo saggio si ritrova anche in: I.Re.R., Lombardia 2010/Rapporto di legislatura, Guerini e Associati, Milano, 2010.

08_Il tema_B2.indd 89 11/10/11 17:30

Page 90: confronti 1-2 2011

90 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

Il problema culturale che

inevitabilmente si pone nell’attuale

contesto socio-politico è quello

della tenuta teorica di questi

consapevoli intendimenti, dal momento

che l’idea di “persona” è incerta

e l’idea politica di “sussidiarietà” è

quasi assente

tuale contesto socio-politico è quello della tenuta teori-ca di questi consapevoli intendimenti, dal momento che l’idea di “persona” è incerta e l’idea politica di “sussidia-rietà” è quasi assente. Il grande laboratorio lombardo ha mostrato in questi anni la praticabilità del principio di sussidiarietà, costituendo nei fatti una novità politica che non si ferma all’ambito regionale. D’altra parte l’idea di sussidiarietà non sembra avere cittadinanza reale all’in-terno della cultura e della teoria politica contemporanee, a motivo di una lunga tradizione che orienta diversamen-te il politico e che, se ammette la sussidiarietà, lo fa solo nel ristretto orizzonte di una governance amministrati-va che considera ragionevole ripartire compiti, respon-sabilità e pesi tra i soggetti sociali di fronte alle difficoltà storiche che incontra il governo centrale. In definitiva, il principio di sussidiarietà stenta a idea politica architettonicamente nuova e deve ancora gua-dagnare il suo spazio teorico, sulla base di una revisio-ne dei fondamentali stessi del politico e a partire da un recupero adeguato del suo fondamento antropologico, l’essere-persona del cittadino.

Lo svuotamento politico della “società civile”Il principio di sussidiarietà si regge sul riconoscimento di soggettività politica alla società civile. Ma esiste una forte resistenza del pensiero, oltre che della prassi giuridica e socio-politica, a riconoscere tale soggettività. Dopo la fase inaugurale di un nuovo pensiero del civile nel pri-mo Umanesimo, appunto cd. “civile”, la società moderna europea, in cui il ceto borghese andava strutturandosi e affermandosi, produce un pensiero politico sempre più lontano, se non avverso, al riconoscimento della sogget-tività della società civile. Si ricordano poche voci che nel moderno hanno dato spazio all’idea della centralità po-litica del civile. Per fare grandi nomi Locke, Tocqueville, Rosmini, Sturzo. Qual è la difficoltà teorica del moderno nei confronti del “civile” (astraendo ora dai corposi interessi pratici del primo capitalismo nei confronti della centralizzazione

08_Il tema_B2.indd 90 11/10/11 17:30

Page 91: confronti 1-2 2011

91Il tema CONFRONTI 1-2/2011

La società civile da un certo punto in poi non è più identificata con la società politica, secondo quella che era l’antica idea risalente al paradigma della polis

Il moderno interrompe questa tradizione, in presenza del fatto nuovo e irreversibile, religioso e culturale, sociale e politico, del pluralismo

del potere, dal peso delle lotte politiche contro le eredità feudali, dall’incidenza dei contraccolpi della frantuma-zione religiosa ecc.)? Hegel ha sancito il modello della subordinazione della società civile alla società politica e, in senso stretto, allo Stato. Anche in questo caso, Hegel è il grande e geniale sintetizzatore delle tendenze e delle dialettiche della modernità. La ragione della subordina-zione è un’affermata insufficienza della società civile, in quanto ritenuta costitutivamente mancante di universa-lità e perciò strutturalmente bisognosa di un principio superiore di unità e di senso, di un’elevazione all’univer-sale politico che soltanto lo Stato può compiere. La for-mulazione hegeliana del problema evidenzia il dramma della visione moderna che non riesce a pensare la socie-tà civile come una società in cui in qualche modo sia già originariamente presente l’universale politico; incapacità che si risolve nell’affermazione della privatezza del civile. Da che cosa deriva questa presunta mancanza di univer-salità, e quindi di dimensione politica, della società civile (cioè della vita sociale reale dei soggetti reali)?

Pluralismo e conflittoLa società civile da un certo punto in poi non è più identi-ficata con la società politica, secondo quella che era l’an-tica idea risalente al paradigma della polis, ma formulata politicamente nella nostra era con l’esperimento politi-co dei Comuni e ancora tramandata nell’età umanistico-rinascimentale. Il moderno interrompe questa tradizione, in presenza del fatto nuovo e irreversibile, religioso e culturale, sociale e politico, del pluralismo. Quanto più il pluralismo si ac-centua e si drammatizza, tanto più si esige la distinzione forte tra l’esercizio sociale di tale pluralità e il suo gover-no politico, quale istanza superiore che la modernità ha configurato come Stato. Questo fatto epocale – l’“inven-zione” dello Stato – avrebbe potuto non significare di per sé depressione del civile. Acquisire la consapevolezza del pluralismo come fenomeno strutturale di una società li-bera, appunto la società borghese, ed esigere un’istanza

08_Il tema_B2.indd 91 11/10/11 17:30

Page 92: confronti 1-2 2011

92 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

C’è una seconda ragione che

introduce nella modernità la sua

tipica tonalità negativa nei

confronti del pluralismo civile,

quella secondo cui il pluralismo non

è semplicemente il luogo della difficoltà

politica, bensì è essenzialmente il

luogo del conflitto

superiore (oggi diremmo “laica”) di governo, non signi-fica di per sé neutralizzare la società civile. Potrebbe es-serci una feconda e virtuosa circolarità, come è urgente prospettare, che affermi appunto che la società civile sia istituente rispetto all’istituzione statuale garante, regola-tiva e moderatrice della società civile. Ma c’è una seconda ragione che introduce nella moder-nità la sua tipica tonalità negativa nei confronti del plu-ralismo civile, quella secondo cui il pluralismo non è semplicemente il luogo della difficoltà politica, bensì è essenzialmente il luogo del conflitto. Il pensiero della mo-dernità ha portato il contributo di una coscienza politica inedita del conflitto (a partire dall’esperienza drammati-ca delle guerre di religione). Conflittualità radicale che è stata letta alla luce di un pessimismo antropologico co-me quello di Hobbes, della riflessione teologico-politica del giansenismo, del primo liberalismo inglese ecc., sulla cui base si formula l’idea che non solo il politico si con-fronta con la realtà del conflitto, ma che il politico tutto vada ripensato alla luce del conflitto come “paradigma” della relazione politica.Questo è il punto gravido di conseguenze: “civile”, che nella grande idea umanistica è l’attributo di “società”, diviene nel paradigma del conflitto l’attributo di “guer-ra”. L’idea del civile diviene perciò radicalmente proble-matica. Per certi versi l’immagine di riferimento diventa proprio quella della guerra civile: “la politica è la guerra continuata con altri strumenti” si dirà, intendendo che il conflitto permanente è la struttura costitutiva della socie-tà umana e quindi il civile è il luogo “normale” della guer-ra. Da qui una sequenza di pensieri tipicamente moder-na: il civile è il luogo del conflitto, il conflitto permanente è guerra, la guerra è la distruzione dell’universale, di con-seguenza, la politica diventa pessimisticamente e/o cini-camente il governo dell’insocievolezza umana. Dico “in-socievolezza”, rovesciando la nota formula kantiana della “insocievole socievolezza” umana, che in qualche modo appartiene ancora all’idea antica dell’“amicizia civile” di ascendenza aristotelica. Il moderno, infatti, è – nelle sue

08_Il tema_B2.indd 92 11/10/11 17:30

Page 93: confronti 1-2 2011

93Il tema CONFRONTI 1-2/2011

C’è una crisi del politico moderno che dipende dall’avanzare di una (pretesa) forma nuova di universalità sociale, è l’universale astratto, tecnocratico della globalizzazione

maggiori teorizzazioni – il tempo della crisi totale dell’i-dea della “amicizia civile” o della “civil conversazione”, come si diceva in età rinascimentale, e quindi è comples-sivamente portatore della dottrina della “socievole inso-cievolezza”, cioè dell’idea dell’uomo come geneticamente insocievole, rispetto al quale la (tecnica) politica istitui-sce una socievolezza “artificiale”. Di qui la logica dell’amico-nemico, da Hobbes a Schmitt e una potentissima spinta all’invenzione di una totalità superiore inglobante, come lo Stato moderno, che con il suo potere unico e onninclusivo costituisca l’universale di cui il civile è privo.

Nuovo potere universalistico della tecnocraziaQuesta problematica storica non sta soltanto alle nostre spalle, bensì sta ancora sulle nostre spalle. Certamente, noi oggi assistiamo a una crisi del politico e con esso a un arretramento dell’istituzione statuale. Ma il fenome-no non è da sé liberatorio e innovativo, perché coincide con un arretramento di quel politico che non produce di per sé la scoperta di spazi nuovi e diversi del politico. Di qui la domanda se l’emersione della società civile – di cui pur si parla oggi – possa essere occasione per qualcosa di autenticamente innovativo.C’è un’emersione nuova del civile, perché c’è una crisi del welfare, non più in grado di rispondere ai bisogni so-ciali fondamentali e ai bisogni nuovi a cui lo Stato non è in grado di far fronte. Inoltre esiste l’eredità di una certa tradizione solidaristica umanista, che comunque è pro-seguita anche nella modernità, quello che J.C. Alexan-der chiama «la sfera della solidarietà sociale universa-lizzante». Tuttavia, c’è una crisi del politico moderno che dipende dall’avanzare di una (pretesa) forma nuova di universali-tà sociale, che non nasce dalla politica e tanto meno dalla relazione civile, e che anzi vorrebbe essere sostitutiva e del politico e del civile: è l’universale astratto, tecnocrati-co della globalizzazione; o, meglio, l’universalità astratta della tecnostruttura (tecnologica, informatica, finanzia-

08_Il tema_B2.indd 93 11/10/11 17:30

Page 94: confronti 1-2 2011

94 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

Nel regno della tecnostruttura la

politica è svuotata e ridotta al gioco

delle lobbies tecnocratiche, dal

momento che la tecnostruttura è intrinsecamente

elitaria nell’invenzione,

nella produzione e nella gestione

delle tecniche

ria) che ha un effetto globalizzante il mondo. Un univer-sale astratto nella sua natura, ma concretissimo nei suoi effetti. Astratto perché non nasce da tradizioni di espe-rienza sociale, né da idee politiche accomunanti, ma si identifica con una tecnostruttura metaculturale e meta-sociale. Diversa dalla vecchia astratta universalità della ragione filosofica illuminista o della ragione scientifica positivista, ma è un’universalità tecnocratica, inedita nel-la storia, che è universale come forma pratico-operativo e produttivo-funzionale del mondo e che ha il potere di cir-coscrivere, ricollocare e risignificare ogni altra tradizione universalistica (come quella religiosa o quella politica) e in generale ogni altra forma di esperienza. Nel regno della tecnostruttura la politica è svuotata e ri-dotta al gioco delle lobbies tecnocratiche (tecnologiche e finanziarie), dal momento che – si faccia attenzione – la tecnostruttura è intrinsecamente elitaria nell’invenzio-ne, nella produzione e nella gestione delle tecniche; ha eventuali elementi di “democrazia” solo a livello della di-stribuzione e del consumo e quindi di per sé ha il potere di portare al suo estremo la crisi della politica. Non solo, ma, contro l’ideologia tecnocratica che prospetta la tec-noscienza come via alla pacificazione del mondo, perché dotata di una universalità metareligiosa, metapolitica e metaideologica, tale universale astratto e tecno-scienti-fico concreto non è invece assolutamente in grado di su-perare il “paradigma del conflitto” moderno, perché la tecnocrazia stessa poggia sulla guerra di potentati – co-stituenti una aristocrazia inedita e senza alcun controllo democratico possibile, essendo la gestione delle grandi tecnologie appunto affare di pochi dotati di enormi ca-pitali finanziari e di straordinarie possibilità organizza-tive – e tende piuttosto a risolvere i conflitti spostandoli e dislocandoli in giro per il mondo a più livelli, sulle spalle delle ampie porzioni più indifese dell’umanità.

Universalità della società civile e bene politicoIn questo contesto il civile che cosa può essere? Quale spazio può avere in questa situazione mondiale? Certa-

08_Il tema_B2.indd 94 11/10/11 17:30

Page 95: confronti 1-2 2011

95Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Quando parliamo di società civile non possiamo riferirci a qualunque auto-organizzazione sociale spontanea, perché sono realtà sociale anche fenomeni di vita collettiva non esemplari o patologici

mente, se il politico tradizionale arretra, il civile ha più spazio. Ma nella misura in cui, però, avanza l’altro uni-versale, quello tecnocratico, il civile è di nuovo posto nel-la condizione di essere il non-universale, di essere ridotto al locale. Nasce una nuova giustificazione della sua non-universalità; come con Hegel al civile si imputa l’incapa-cità di essere una sintesi adeguata, con l’universale tec-noscientifico si imputa al civile di non essere adatto alle funzioni mondiali della tecnostruttura.Certamente, quando parliamo di società civile non pos-siamo riferirci a qualunque auto-organizzazione sociale spontanea, perché sono realtà sociale anche fenomeni di vita collettiva non esemplari o patologici. Non basta che qualcosa si organizzi socialmente, perché vi sia società civile. Il “civile”, nell’accezione qui utilizzata, richiede forme qualificate di vita sociale; meglio una certa qua-lità sociale, in termini di prassi e di coscienza culturale condivisa, cioè un principio sociale operante, «orientato verso il rispetto di criteri universalistici» (Magatti, 2005). In che cosa consiste, più precisamente, tale principio di universalità? Una risposta consueta potrebbe essere quel-la liberale della vigenza dei diritti umani fondamentali. Ma questa, che è sicuramente una componente di uni-versalità significativa, è ancora dell’ordine dell’astratto, dell’ideale regolativo dei rapporti che costituiscono il vis-suto sociale reale. Ma l’universale concreto di cui ha bi-sogno la vita civile deve essere interno a essa, intrinseco al suo tessuto sociale. Se il valore della società civile ri-spetta criteri universalistici di relazione giuridica, la ga-ranzia della sua identità è affidata alla vitalità della so-cietà dei cittadini. Di quale universalità si tratta, allora, quando parliamo di società civile? Deve trattarsi di un’u-niversalità più forte del conflitto, ma che non può rima-nere esterna ai bisogni e agli interessi. La società politica come Stato o la macrostruttura tecnocratica sono ester-ne ai bisogni e agli interessi reali vissuti; hanno a che fa-re naturalmente con questi ma non nascono dall’interno della vitalità della società dei cittadini. Si pensi a esemplificazioni come quelle del volontariato,

08_Il tema_B2.indd 95 11/10/11 17:30

Page 96: confronti 1-2 2011

96 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

L’universale del civile coincide cioè con l’affermazione

del valore universale dell’essere-in-

relazione, quale bene fondamentale

che è compito esclusivo della

società civile praticare, difendere

e proporre

Il civile è in questo senso lo scrigno del

bene politico, nel senso che è anche

memoria vivente del bene comune in un

senso non astratto e non ideologico

del privato civile, dell’organizzazione equa del mercato, dove è visibile che l’universalità in gioco è quella della relazione tra soggetti che compongono il civile. In defi-nitiva, il contributo che può portare il civile nella circo-stanza storica concreta, come forza di rinnovamento e come resistenza alle colonizzazioni del “mondo della vi-ta” (Habermas) da parte dell’universale astratto, sta esat-tamente nella coscienza del valore della relazione tra sog-getti, che è il valore di cui il civile vive se è “civile” e non semplice aggregato umano. L’universale del civile, infatti, non risponde a criteri esterni, come sono ancora i dirit-ti umani, ma consiste nel valore universalistico del suo stesso essere relazione; coincide cioè con l’affermazione del valore universale dell’essere-in-relazione, quale bene fondamentale che è compito esclusivo della società civi-le praticare, difendere e proporre; e che è responsabilità della società civile di far valere rispetto agli ambiti dello Stato, del mercato e delle strutture della globalizzazio-ne. L’essere-in-relazione, infatti, è produttivo di beni, e di “beni relazionali” in specie, in cui ne va dell’identità dei soggetti. Da questo punto di vista il civile è tale in quan-to luogo d’esperienza della relazione come bene antro-pologico fondamentale e come “bene comune” politico. Il civile è in questo senso lo scrigno del bene politico, nel senso che, se è cosciente del suo valore fondamentale – l’universale valore della relazione attiva e produttiva tra soggetti –, è anche memoria vivente del bene comune in un senso non astratto e non ideologico. Questo, infatti, è, a mio avviso, il significato autentico fondamentale dell’i-dea classica di “bene comune”. Precisamente ciò che la statualità moderna ha offuscato ed emarginato e l’univer-salismo globalistico astratto di oggi rischia di cancellare. Secondo l’antica tradizione aristotelica e poi tommasia-na è la comunicazione (koinonia in Aristotele e commu-nicatio in Tommaso) che “fa” la società umana; comuni-cazione che non significa tanto scambio di informazioni, quanto interazione e partecipazione, anzitutto a riguardo dei bisogni e, attraverso di essi e oltre essi, dei soggetti tra di loro.

08_Il tema_B2.indd 96 11/10/11 17:30

Page 97: confronti 1-2 2011

97Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Il significato del “bene comune” è tutt’altro; non è la somma dei molti beni particolari di cui questa è composta; non è neppure un bene esterno e aggiunto alla società civile; non è neppure l’insieme delle condizioni sociali favorevoli allo sviluppo. Il bene comune è invece, come già si diceva, il bene dello stesso essere in comune

L’affermazione che la società civile abbia un bene co-mune incorre di frequente nell’obiezione che ciò com-porterebbe una sua uniformità ideologica, un’identità di “piani di vita” e di concezione del mondo, contrastante con il pluralismo essenziale e inevitabile della società. Di conseguenza, diventano ammissibili solo la figura del-la dialettica aperta e, irrealisticamente, priva di sintesi centrale, oppure quella dello Stato come forza esterna di controllo e di unificazione; dunque, l’astratta dialettica di mercato e Stato. Ma il significato del “bene comune” – anche secondo lo spirito autentico della tradizione antica – è tutt’altro. Es-so non è un identico patrimonio ideologico; non è la som-ma dei molti beni particolari di cui questa è composta; non è neppure un bene (di varia natura) esterno e aggiun-to alla società civile; non è neppure l’insieme delle condi-zioni sociali favorevoli allo sviluppo. Il bene comune è invece, come già si diceva, il bene del-lo stesso essere in comune; che si documenta nell’essere inseriti in reti collaborative e cooperative, in strutture di azione comune, di interlocuzione aperta, in breve di co-municazione sociale. Questo è il fatto sociale originario, che diventa anche il fatto politico primario, nel momento in cui viene istituzionalmente riconosciuto. Il passaggio al politico non comporta se non la presa d’atto condivisa di ciò che già accomuna, cioè di quel comune che è l’es-sere in rapporto comunicativo, assunto come bene fon-damentale e come patrimonio da preservare e incremen-tare. Il corpo politico nasce, quando si assume il “bene relazionale” di cui si è parte, appunto come “bene comu-ne”; quando, assumendo in modo consapevole e strumen-tato la comunicazione sociale spontanea, si istituisce il perseguimento della medesima comunicazione sociale come fine comune e normativo. Il politico, così inteso, perciò, non aggiunge un’ulteriore finalità al sociale, ma coincide con il perseguimento responsabile del sociale nel suo insieme. Il politico sorge insomma come auto-finalizzazione consapevole della società umana, donde l’importante conseguenza che la società non è l’oggetto

08_Il tema_B2.indd 97 11/10/11 17:30

Page 98: confronti 1-2 2011

98 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

L’attuale crisi del politico apre,

dunque, lo spazio per pensare il civile non più «come una

specie di “grande contenitore” di

attori sociali non istituzionalizzati,

distinto dallo Stato e in certo modo dialetticamente opposto ad esso

della politica e del suo organo statale, ma il suo fine, che l’autorità politica ha il compito di proteggere e di aiutare.È chiaro che, entro questo presupposto fondamentale, quali siano poi i beni comuni più particolari da preser-vare e da incrementare, fa parte di una pattuizione costi-tuzionale e legislativa che si definisce storicamente. Re-sta però basilare che lo Stato e l’istituzione pubblica in genere nascono e si giustificano come funzione di cura, protezione e promozione di questo bene comune, con il compito di aiuto, di “sussidio”, a un patrimonio che non è loro e da cui anzi essi dipendono in ragione del suo compito stesso.

La persona protagonista della società civileL’attuale crisi del politico apre, dunque, lo spazio per il pensiero di una nuova società civile; si apre lo spazio per pensare il civile non più «come una specie di “gran-de contenitore” di attori sociali non istituzionalizzati, di-stinto dallo Stato e in certo modo dialetticamente oppo-sto ad esso» (Donati, 2001), ma come un grande ambito pubblico dotato di una sua peculiare fisionomia. Ciò che caratterizza il nuovo civile, infatti è la consapevolezza del rilievo pubblico della vita associativa che viene a compor-re la sua plurima soggettività. Ciò che qualifica la nuova concezione del civile è il valo-re antropologico della relazione. L’idea del nuovo civile sottrae definitivamente il soggetto sociale alla tradizione individualista e attribuisce valore fondativo alla relazione tra soggetti. La soggettività civile esiste, infatti, là dove si ha coscienza che la relazione tra soggetti è bene e risor-sa, perché è in grado di produrre quei beni che solo essa può produrre, i beni relazionali, cioè quei beni pubblici prodotti da interazioni nelle quali l’identità e le motiva-zioni dei soggetti coinvolti sono elementi essenziali del bene stesso: la relazione tra soggetti è costitutiva del be-ne e l’identità dei soggetti coinvolti e le loro motivazioni sono parte integrante del bene prodotto (Bruni, 2002). Il civile è un’identità che si produce attraverso un’«ecce-denza relazionale» (Donati, 2001).

08_Il tema_B2.indd 98 11/10/11 17:30

Page 99: confronti 1-2 2011

99Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Il soggetto, per avere esperienza della propria consistenza e per apprezzare il proprio valore, ha strutturalmente bisogno di “riconoscimento” e di “ospitalità”

Qual è allora la visione antropologica adeguata a tale cul-tura del civile? Un’antropologia conforme è quella in cui si coniugano relazione e libertà, che è un modo parziale, ma socialmente rilevante di dire la persona. La relazione riguarda la stessa identità umana. L’erro-re dell’individualismo è di ritenere che le relazioni siano per il soggetto qualcosa di accidentale e aggiuntivo. Per l’individualismo assiologico l’identità umana è già tutta costituita e presupposta alle sue relazioni, che perciò ven-gono interpretate secondo le ristrette categorie dell’utile-disutile, del funzionale-disfunzionale, ecc. Idea che non corrisponde affatto all’esperienza umana elementare, che invece attesta la relazione con altri quale condizione in-dispensabile per la formazione dell’identità propria, all’i-nizio dell’esistenza e lungo tutto il suo corso. Questo significa che il soggetto, per avere esperienza del-la propria consistenza e per apprezzare il proprio valo-re, ha strutturalmente bisogno di “riconoscimento” e di “ospitalità”. Non è un caso che l’istituto dell’ospitalità sia fondamentale in tutte le culture, in cui la società non è pensata a partire da funzioni ma a partire da rapporti primari, cioè dall’umano. Ed è evidente che questo feno-meno non riguarda solo gli stretti, privati rapporti inter-personali, ma ha un’immediata rilevanza sociale (come oggi si torna a pensare con J. Habermas, A. Honneth, Ch. Taylor), anzi è il principio genetico della socialità: di che cosa è fatta la socialità, se non anche di una rete di denominazioni, titoli, gesti che significano il riconosci-mento di ruoli e funzioni, e in essi di identità e dignità di soggetti? Se non si concepisce così la cosa, si pensa la società appunto come puro scambio, in cui le relazioni in quanto tali sono neutralizzate. La cultura moderna, che non ha saputo pensare costruttivamente la relazione, ha concepito il sociale a partire dagli individui e dai loro conflitti, esasperando così la funzione d’ordine e di con-trollo dell’istanza superiore dello Stato e perdendo di vi-sta la forza creativa del riconoscimento e dell’accoglienza e con esso l’energia socializzante di quello che Aristotele chiama “amicizia civile”.

08_Il tema_B2.indd 99 11/10/11 17:30

Page 100: confronti 1-2 2011

100 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

Il riconoscimento ha senso compiuto se si rivolge libe-ramente a un essere libero. L’ideale del riconoscimento infatti è un rapporto di libertà e tra libertà. Ma che cos’è una libertà capace di rapporto? Evidentemente non è so-lo indipendenza e capacità di scelta, ma anche capacità di bene e di relazione, anzi capacità di relazione vissu-ta come bene. Una libertà dunque che non si concepisce in alternativa a dipendenza, ma che discerne piuttosto tra dipendenza liberante e dipendenza schiavizzante. Se l’uomo fosse consegnato nel suo intimo ai riconoscimenti sociali, che pure gli sono necessari, la sua identità sareb-be totalmente dipendente dalla rete sociale delle attribu-zioni di ruolo e di funzioni. In realtà alla fine l’uomo sa-rebbe preso in un gioco anonimo, casuale e insensato (il gioco della società), che ridurrebbe il suo essere soggetto a una maschera vuota (come è il vissuto di molti contem-poranei). Ma il paradosso del soggetto personale è, inve-ce, di essere tra le cose e nei rapporti in forza della sua capacità di stare sempre oltre essi. Se è vero che l’uomo è soggetto ai riconoscimenti che riceve, è vero anche che ha la vocazione inestirpabile di essere anche e anzitutto soggetto di essi, cioè di esercitare in essi la sua libertà.

08_Il tema_B2.indd 100 11/10/11 17:30

Page 101: confronti 1-2 2011

101Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Bibliografia

Botturi F. (2002), «Pluralismo sociale e virtù politica», in «Hermeneutica», n. un., pp. 1-33

Botturi F. (2003), «Crisi della politica e sussidiarietà», in «Confronti», n. 3, pp. 43-54

Botturi F. (2008), «La polarità antropologica individuo-comunità. Prospettive filosofiche», in Richi Alberti G. (a cura di), Sul buon governo, Marcianum Press, Ve-nezia, pp. 39-75

Botturi F., Totaro F. (2006), (a cura di), «Universalismo ed etica pubblica», Annuario di etica, n. 3, Vita e Pen-siero, Milano

Donati P.P (2001), «Introduzione alla ricerca del “nuovo civile”», in Donati

P.P, Colozzi I. (a cura di), Generare “il civile”: nuove espe-rienze nella società italiana, Il Mulino, Bologna

Magatti M. (2005), Il potere istituente della società civile, Laterza, Roma-Bari, p.32

Sacco P.L, Zamagni S. (2002), (a cura di), Complessità re-lazionale e comportamento economico. Materiali per un nuovo paradigma della razionalità, Il Mulino, Bologna

08_Il tema_B2.indd 101 11/10/11 17:30

Page 102: confronti 1-2 2011

08_Il tema_B2.indd 102 11/10/11 17:30

Page 103: confronti 1-2 2011

Valori, principi ed elementi costituzionali fondamentali dello Statuto della Lombardia: la sussidiarietà come garanzia di libertà reale

Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Lorenza Violini*Professore Ordinario in Diritto Costituzionale - Università Statale di Milano

103

Uno Statuto a impianto sussidiarioApprovato in prima lettura il 13 marzo 2008 ed in via de-finitiva il 14 maggio 2008, il nuovo Statuto regionale ha visto confluire su di sé, al momento delle votazioni consi-liari, consensi ancora più ampi delle maggioranze quali-ficate previste dall’art 123 Cost.1 con ciò ponendosi come espressione di valori e di principi condivisi da pressoché tutte le parti politiche presenti nel Consiglio regionale e del loro elettorato. Confidando che i principi della rap-presentanza politica possano dar conto della pluralità di visioni presenti in seno al popolo regionale, si può dun-que affermare che nello Statuto sono riassunti i princi-pali elementi valoriali che la storia e la tradizione han-no radicato negli abitanti insediati nel nostro territorio. A tali valori e principi è dedicata l’intera prima parte dello Statuto stesso, in cui si legge che la Regione innan-zitutto «riconosce la persona umana come fondamento della comunità regionale», «promuove la libertà dei sin-goli e delle comunità» e «attua tutte le azioni positive a fa-vore del diritto alla vita in ogni sua fase». Non mancano, nel prosieguo, azioni volte ad attuare «politiche di piena integrazione nella società lombarda degli stranieri resi-denti» nonché «azioni per rendere effettivi i diritti delle

(1) In entrambe le deliberazioni il voto favorevole è stato superiore ai due terzi, degli ottanta consiglieri regionali: nella seduta del 13 marzo 2008, su settanta votanti, ses-santuno favorevoli e nove astenuti; nella seduta del 14 maggio 2008, su sessantasette votanti, cinquantanove favorevoli, sette astenuti ed uno solo contrario.

* Si ringrazia per la collabora-zione nella predisposizione dei materiali la dott. Valeria Randis, Dottore di ricerca in diritto costituzionale, Univer-sità degli Studi di Milano.

09_Il_tema_B2.indd 103 11/10/11 10:15

Page 104: confronti 1-2 2011

104 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

L’impianto dell’articolato di apertura risulta, nel suo insieme,

pienamente coerente con la logica

sussidiaria che da tempo caratterizza l’azione di governo

della Regione

persone in condizioni di disabilità». Insieme alle perso-ne come singoli, lo Statuto tutela ampiamente le diverse formazioni sociali e, in primis, la famiglia, cui sono ri-servate «adeguate politiche sociali, economiche e fiscali» nonchè il diritto al lavoro perché «si realizzi in condizioni di stabilità, sicurezza, equa retribuzione». L’impianto dell’articolato di apertura risulta, nel suo in-sieme, pienamente coerente con la logica sussidiaria che da tempo caratterizza l’azione di governo della Regione in forza di un principio, quello di sussidiarietà, che lega a doppio filo il nostro territorio con gli enti locali e con gli altri livelli di governo statale ed europeo che si rico-noscono in questa logica profondamente innovativa. Ed, invero, ampio spazio viene dedicato al principio stesso, declinato primariamente nella sua accezione orizzonta-le, in base al quale viene favorita «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, delle famiglie, delle for-mazioni e delle istituzioni sociali, delle associazioni e degli enti civili e religiosi». Sempre in ottemperanza al-lo stesso si regolamenta la partecipazione «dei cittadini, singoli o associati, e il partenariato con le forze sociali ed economiche» nell’azione di governo e per l’esercizio delle funzioni legislative e amministrative; è l’art. 8 che sviluppa il concetto di partecipazione, articolandolo in una duplice direzione volta a sancire, da un lato, l’obbli-go di dare informazioni tramite adeguate risorse infor-mative e tecnologiche e, dall’altro, la facoltà degli organi regionali di acquisire informazioni sui testi normativi e sugli atti di programmazione, con particolare riguardo ai provvedimenti che comportano effetti economici. L’ob-bligo di dare informazioni diviene presupposto utile a dare effettività alla partecipazione popolare e rappresen-ta, da un lato, l’espressione diretta del più ampio diritto all’informazione costituzionalmente garantito, dall’altro lato, il punto cardine per il corretto esercizio delle attivi-tà di una regione che intenda porre l’individuo al centro del suo operare.Infine, sempre ragionando di principi, nella parte agli stessi dedicata, di particolare interesse è certamente il

09_Il_tema_B2.indd 104 11/10/11 10:15

Page 105: confronti 1-2 2011

105Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Anche la Lombardia ha compiuto la scelta di una forma di governo imperniata sulla elezione diretta del Presidente della Regione, rafforzata dall’assegnazione al Presidente della Regione, e non più alla Giunta, del potere di iniziativa delle leggi regionali

riferimento alla semplificazione amministrativa, orga-nizzativa e procedimentale (art. 9, co. 2, non solo come principio cui deve, in generale, ispirarsi l’amministrazio-ne regionale, ma anche come obiettivo permanete dell’a-zione di governo (art. 46, co. 2).

La forma del governo regionale: centralità dell’esecutivo regionale in costante dialogo con il potere legislativoPassando a trattare delle norme necessarie dello Statuto secondo quanto prescrive il dettato costituzionale, si os-serva che anche la Lombardia ha compiuto la scelta – già suggerita dalla riforma costituzionale del 1999 – di una forma di governo imperniata sulla elezione diretta del Presidente della Regione, rafforzata dall’assegnazione al Presidente della Regione, e non più alla Giunta, del pote-re di iniziativa delle leggi regionali. Secondo l’art. 25, co. 3, dello Statuto, infatti, «il Presidente ha diritto di esercita-re, secondo le procedure stabilite dal regolamento generale, l’iniziativa delle leggi e di ogni altro atto di competenza del Consiglio»; iniziativa presidenziale vincolata presentano la legge comunitaria regionale (art. 39, co. 3) e di quella per il riordino normativo (art. 40, co. 1) mentre l’art. 14, co. 3, lett. f) e h) riservano al Presidente la proposta di im-portanti atti consiliari quali l’approvazione del bilancio, del consuntivo, del programma regionale di sviluppo e la delibera degli obiettivi generali di sviluppo economico-sociale e territoriale della Regione, compresi i piani set-toriali e intersettoriali a carattere pluriennale.Quanto al rapporto tra Giunta e Consiglio regionale, lo Statuto lombardo delinea istituti volti a individuare un punto di equilibrio tra gli stessi. A tal proposito, l’art. 13, co. 5, prevede il rafforzamento delle prerogative dei con-siglieri rispetto ai poteri di controllo, con riferimento alla possibilità di ottenere direttamente dagli uffici regionali, nonché da istituzioni, enti, aziende o agenzie regionali, dalle società e fondazioni partecipate dalla Regione, in-formazioni e copia degli atti e documenti utili all’eserci-zio del mandato. Sempre a rafforzamento dei poteri di

09_Il_tema_B2.indd 105 11/10/11 10:15

Page 106: confronti 1-2 2011

106 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

Lo Statuto lombardo delinea

norme volte a consentire che

l’organo collegiale possa “incidere”

sulle politiche della Giunta e del suo

Presidente

controllo del Consiglio viene istituita all’art. 29 per la pri-ma volta la censura verso uno o più assessori: un quinto dei consiglieri (cioè sedici) può, infatti, presentare una mozione di censura, che deve essere approvata per ap-pello nominale dalla maggioranza dei componenti del Consiglio. Quanto alla natura giuridica della mozione di censura, il co. 3 dell’articolo citato prevede che «il Presi-dente della Regione riferisce al Consiglio regionale sulle de-cisioni di competenza»: se ne deduce che l’approvazione di una mozione di censura nei confronti di un membro della Giunta non porta in modo immediato e diretto al-le dimissioni dell’assessore censurato né tanto meno alla revoca dello stesso da parte del Presidente della Regione ma solo ad un confronto – che dovrebbe essere leale e co-struttivo – tra l’organo legislativo e l’esecutivo regionale, i quali dovrebbe così rafforzare la loro capacità di dialogo. Sempre nella logica del check and balance tra i poteri della Giunta e quelli del Consiglio sono configurate le norme connesse alla determinazione dell’indirizzo po-litico della Regione. A tal proposito, lo Statuto lombar-do delinea norme volte a consentire che l’organo colle-giale possa “incidere” sulle politiche della Giunta e del suo Presidente. Tra queste, si cita l’art. 25, co. 8 secondo cui «Entro quindici giorni dalla formazione della Giunta il Presidente illustra al Consiglio regionale il programma di Governo per la legislatura» mentre anche «i consiglieri re-gionali possono intervenire nelle forme previste dal regola-mento generale»; non è invece prevista l’eventualità di un voto del Consiglio regionale sul programma di governo2.

(2) La Corte costituzionale ammette un voto consigliare sul programma di governo (previsto in altri Statuti) solo in quanto privo della capacità di provocare le dimissioni del Presidente. Si vedano a tal proposito le sentt. nr. 372 e 379 del 2004. Nella seconda delle pronunce citate la Corte chiarisce che “[a]ppare evidente che proprio la mancata disciplina nella delibera statutaria di conseguenze di tipo giuridico (certamente inam-missibili, ove pretendessero di produrre qualcosa di analogo ad un rapporto fiduciario), derivanti dalla mancata approvazione da parte del Consiglio del programma di governo del Presidente, sta a dimostrare che si è voluto semplicemente creare una precisa proce-dura per obbligare i fondamentali organi regionali ad un confronto iniziale e successi-vamente ricorrente, sui contenuti del programma di governo; confronto evidentemente ritenuto ineludibile e produttivo di molteplici effetti sui comportamenti del Presidente e del Consiglio: starà alla valutazione del Presidente prescindere eventualmente dagli esiti di tale dialettica, così come starà al Consiglio far eventualmente ricorso al drastico stru-

09_Il_tema_B2.indd 106 11/10/11 10:15

Page 107: confronti 1-2 2011

107Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Pur restando nel solco di quanto altrove previsto, la disciplina lombarda presenta interessanti tratti di sussidiarietà, visto che prevede un diretto coinvolgimento delle autonomie territoriali al processo di adeguamento e di attuazione della normativa comunitaria

Le funzioni del governo regionale: l’attività normativa tra sussidiarietà, semplificazione e adeguamento agli obblighi comunitariIn riferimento all’attività normativa della Regione, rego-lamentata nelle forme note, meritevole di positiva segna-lazione sono le norme concernenti i procedimenti legi-slativi speciali (Capo III del Titolo III). L’art. 38, in primo luogo, statuisce che «qualora su una proposta di iniziati-va di consigli comunali e provinciali che rappresentino la maggioranza degli elettori non sia stata presa alcuna deci-sione entro sei mesi dalla presentazione, la proposta stes-sa è sottoposta nella prima seduta all’esame del Consiglio regionale nel testo dei proponenti e su di essa il Consiglio delibera con precedenza su ogni altro argomento». Traspa-rente è l’intento di rendere più efficaci le proposte di leg-ge provenienti dall’esterno della Regione. Tra i procedimenti speciali, lo Statuto lombardo – analo-gamente a quanto accade per tutti gli altri Statuti regio-nali di ultima generazione – disciplina la legge comuni-taria regionale, divenuta indispensabile per l’importante ruolo di attuazione delle normative comunitarie assunte nel tempo dalle Regioni. Pur restando nel solco di quanto altrove previsto, la disciplina lombarda presenta interes-santi tratti di sussidiarietà, visto che prevede un diretto coinvolgimento delle autonomie territoriali al processo di adeguamento e di attuazione della normativa comu-nitaria. Come detto sopra, per quanto attiene al procedi-mento, lo Statuto ne riserva l’iniziativa al Presidente della giunta e rimette al regolamento interno la disciplina del-la sessione di lavori appositamente dedicata, statuendo altresì un coinvolgimento del Consiglio « con riguardo alla definizione della posizione della Regione nella forma-zione degli atti comunitari e statali di adeguamento al di-ritto comunitario». Va infine ricordato che l’adeguamen-to alla normativa comunitaria può avvenire sia tramite regolamenti regionali sia in via amministrativa, secondo

mento della mozione di sfiducia, con tutte le conseguenze giuridiche previste dall’art. 126, terzo comma, della Costituzione”.

09_Il_tema_B2.indd 107 11/10/11 10:15

Page 108: confronti 1-2 2011

108 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

quanto previsto dalle norme statali e dalle scelte attuate in sede comunitaria.Il terzo procedimento speciale riguarda la legge per il ri-ordino normativo di una determinata materia. L’articolo 40 prevede nello specifico l’approvazione della suddetta legge con il procedimento in fase redigente, con la sola votazione finale del Consiglio a seguito della discussio-ne generale. La norma evoca, come noto, la pratica del-la delegazione legislativa di cui all’art. 76 Cost. Al Consi-glio, infatti, è attribuito il potere di disporre il riordino normativo di una determinata materia, individuando gli atti da coordinare e stabilendo i principi e i criteri diretti-vi per la stesura della legge di riordino. È compito del Pre-sidente della Giunta, invece, elaborare la relativa propo-sta di legge redatta in articoli per sottoporla al Consiglio entro i termini fissati. La proposta di legge viene, quin-di, trasmessa alla commissione consiliare competente ed è approvata dal Consiglio, come detto sopra, con la so-la votazione finale. Va ricordato che nel vecchio Statu-to lombardo, adottato nel 1971, non era presente alcun riferimento esplicito alla legge di riordino normativo. I testi unici non rappresentano, tuttavia, un’innovazione del nuovo Statuto. La materia era infatti contenuta nel precedente regolamento consiliare, come modificato nel 2006, e nella legge regionale approvata sempre nel 2006 in materia (l.r. 7/2006 “Riordino e semplificazione della normativa regionale mediante testi unici”)3.I ricordati procedimenti speciali caratterizzano l’ordi-

(3) Sulla l.r. n. 7 del 2006 e sulle connesse modifiche del regolamento consiliare (nonché sulle prime esperienze applicative) si veda M. MALO, Testi unici della Regione Lombardia, in www.osservatoriosullefonti.it.; tale legge definisce il testo unico come la raccolta dell’intera disciplina legislativa regionale vigente in una determinata materia o settore omogeneo. L’entrata in vigore del testo unico implica l’abrogazione espressa delle disposizioni il cui contenuto è stato accolto nel testo, ma anche delle eventuali disposizioni, non inserite nel testo, che sono state ritenute da abrogare.La decisione di predisporre i testi unici è assunta dalla commissione consiliare Affari istituzionali, qualora sia approvata da un numero di componenti che rappresenti almeno i due terzi dei membri del Consiglio, oppure direttamente dal Consiglio stesso, qualora non sia raggiunta tale maggioranza in commissione. La redazione dei testi unici è affidata a un gruppo di lavoro, composto in modo paritetico da tecnici delle strutture organizzative della Giunta e del Consiglio, sulla base di una serie di criteri direttivi. Con l’entrata in vigore del nuovo Statuto, la disciplina dei testi unici ha semplicemente ricevuto riconoscimento statutario.

09_Il_tema_B2.indd 108 11/10/11 10:15

Page 109: confronti 1-2 2011

109Il tema CONFRONTI 1-2/2011

La semplificazione normativa ed amministrativa oggi, infatti, non è più solamente una questione tecnica ma è parte integrante della democraticità degli organi rappresentativi

naria attività normativa in senso sussidiario e le conferi-scono tratti importanti di apertura alla dimensione euro-pea, nella tensione a superare l’ormai accertata difficoltà a produrre in sede regionale una legislazione di ampio respiro, espressione autentica di autonomia politica; in particolare, le molte norme dedicate alla semplificazione risultano interessanti non solo in sede tecnica ma anche come punto politico qualificante delle scelte del governo regionale, il quale considera parte del proprio program-ma di vicinanza ai cittadini lo sforzo di migliorare l’im-pianto normativo rendendolo accessibile e comprensibile a chiunque. La semplificazione normativa ed ammini-strativa oggi, infatti, non è più solamente una questione tecnica ma è parte integrante della democraticità degli organi rappresentativi e, come tale, risulta compresa nel-la dimensione sussidiaria che, come è già stato messo in luce, è uno dei valori cardine del nuovo Statuto.Sempre sul piano delle regole che presiedono all’attivi-tà normativa regionale, va da ultimo ricordato che l’art. 123 Cost. delega allo Statuto quale parte necessaria del-lo stesso4, la regolamentazione della pubblicazione del-le leggi e dei regolamenti regionali. Importante tratto di questa fase finale del procedimento legislativo regionale è l’aver inserito anche qui molteplici elementi finalizzati alla semplificazione tramite i due precetti fortemente in-novativi della chiarezza lessicale delle norme, elemento chiave della qualità della legislazione, e della valutazio-ne di impatto delle stesse. Semplificazione, riordino nor-mativo e valutazione si pongono così come fattori qua-lificanti di una buona legislazione, a sua volta collegata ai precetti della democraticità e della sussidiarietà delle azioni del governo regionale. Da ciò si desume, infatti,

(4) Quanto alla distinzione tra contenuto necessario ed eventuale dello Statuto si veda: M. Rosini, Le norme programmatiche dei nuovi statuti, in M, Carli, G. Carpani, A. Siniscalchi (a cura di), I nuovi statuti delle regioni ordinarie: problemi e prospettive, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 31 ss.; L. Bianchi, Le norme di principio negli statuti, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio delle fonti 2005, Torino, Giappichelli, 2006; E. Longo, Il ruolo dei diritti negli statuti e nelle istituzioni regionali, in G. Di Cosimo (a cura di) Statuti atto II. Le Regioni e la nuova stagione statutaria, Macerata, EUM, 2007, pp.41 ss..

09_Il_tema_B2.indd 109 11/10/11 10:15

Page 110: confronti 1-2 2011

110 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

lo spiccato interesse della Regione Lombardia nei con-fronti di tali regole, che possono considerarsi trasversali rispetto agli interessi settoriali tradizionalmente indica-ti5. A dimostrazione di una sensibilità maggiore da par-te del legislatore lombardo ai temi della semplificazione legislativa e alla qualità della normazione, emerge nel nuovo Statuto un concetto di controllo, devoluto alla As-semblea legislativa, che assume un significato più ampio della mera legalità e legittimità formale, essendo volto a verificare l’attuazione delle leggi, studiandone in parti-colare le criticità che esse incontrano nel momento della loro traduzione in effetti giuridici rispetto alla società ci-vile cui sono destinati. Ne deriva che il controllo, inteso come controllo dell’attuazione delle leggi e valutazione delle politiche, può essere considerato come un’estensio-ne della funzione legislativa, che viene rafforzata e com-pletata grazie alla duplice valenza della valutazione6. La funzione di controllo sull’attuazione delle leggi, letta co-me funzione di valutazione anche delle politiche nel loro complesso, si qualifica, dunque, come altra dal sindacato ispettivo, per il quale già esistono e funzionano strumenti appositi come le interpellanze e le interrogazioni, perché diversa negli scopi, nelle modalità d’esercizio, nell’ogget-to d’indagine, nelle tecniche e negli strumenti. La funzio-ne di controllo svolta dal Consiglio, intesa nell’accezione appena detta, concerne l’esame di ciò che è stato realiz-zato dall’Esecutivo per l’attuazione della legge e, in un momento successivo, la verifica dell’impatto che la stes-sa legge ha avuto nell’ambito che intendeva modificare (art. 14, co. 1).

(5) Si vedano, in merito, M. Giachetti Fantini, I principi di qualità normativa nei nuovi statuti regionali, in R. Bifulco (a cura di), Gli statuti di seconda generazione, Torino, Giappichelli, 2006, pp. 227 ss., B. Malaisi, Qualità della normazione e divulgazione delle leggi, in G. Di Cosimo (a cura di) Statuti atto II. Le Regioni e la nuova stagione statutaria, Macerata, EUM, 2007.(6) Valutazione di tipo accounting che risponde a esigenze di rendicontazione, previste dal principio secondo il quale chi riceve un mandato che comporta l’utilizzo di risorse pubbliche è chiamato a rispondere dell’uso che ne ha fatto; valutazione di tipo learning, che produce apprendimento promuovendo un processo di riflessione sulla capacità risolutiva di una politica pubblica su uno specifico problema collettivo.

09_Il_tema_B2.indd 110 11/10/11 10:15

Page 111: confronti 1-2 2011

111Il tema CONFRONTI 1-2/2011

Il Consiglio delle Autonomie Locali può essere un valido strumento per la semplificazione dell’azione amministrativa

La concretizzazione istituzionale del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale: il Consiglio delle Autonomie LocaliSempre nell’ambito del contenuto necessario della disci-plina statutaria, il nuovo Statuto d’Autonomia introdu-ce il Consiglio delle Autonomie Locali, secondo quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 123 Cost. La disposi-zione statutaria potrebbe essere un valido strumento per la semplificazione dell’azione amministrativa, se si vede nel CAL un luogo in cui il pluralismo istituzionale può trovare concretizzazione, soprattutto vista la previsione della composizione integrata, che coinvolge non solo gli enti della sussidiarietà verticale ma anche le autonomie funzionali e sociali, chiamate ad esprimere un parere sul-lo Statuto, sul programma regionale di sviluppo e i suoi aggiornamenti, sui piani e programmi relativi all’innova-zione economica e tecnologica, all’internazionalizzazio-ne e alla competitività. Oltre che tramite la funzione consultiva il CAL – poi isti-tuito il 10 gennaio 2011 e insediato il giorno 21 di quello stesso mese – è coinvolto nel governo regionale tramite la partecipazione alla funzione legislativa. L’art. 54, infatti, attribuisce al suddetto organo l’iniziativa legislativa re-lativamente al conferimento delle funzioni amministra-tive agli enti locali. Nel suo insieme, dunque, le previsioni statutarie valoriz-zano appieno il ruolo di tale organo, i cui interventi non mancano di avere efficacia precettiva7. La norma statu-taria, infatti, prevede, sia il voto a maggioranza assoluta in Consiglio regionale per superare il parere negativo del Consiglio delle autonomie su progetti di legge regionale (in materia di bilancio, di coordinamento della finanza locale, di conferimento di funzioni agli enti locali, di or-dinamento dello stesso Consiglio delle autonomie locali)

(7) Per un commento sui Consigli delle Autonomie Locali nei nuovi statuti regionali, si vedano Gennaro Ferraiuolo, Il Coniglio delle Autonomie Locali nelle previsioni dei nuovi Statuti delle Regioni ordinarie, in www.federalismi.it 29 novembre 2006; Lorenza Violini, Il Consiglio delle Autonomie, organo di rappresentanza permanente degli enti locali presso la Regione, in Le Regioni n. 5, 2002, pp. 980 ss.

09_Il_tema_B2.indd 111 11/10/11 10:15

Page 112: confronti 1-2 2011

112 CONFRONTI 1-2/2011 Il tema

Accanto al Consiglio delle

Autonomie Locali, costituzionalmente

necessario, il nuovo Statuto prevede inoltre

la Commissione garante dello

Statuto, il Difensore civico regionale,

il Comitato regionale per le

comunicazioni ed il Consiglio per le pari

opportunità

sia la motivazione espressa delle deliberazioni di organi regionali (Consiglio, Giunta) divergenti dal parere reso dal Consiglio delle autonomie locali sul programma re-gionale di sviluppo e su altri fondamentali atti ammini-strativi ad efficacia generale (art. 54, co. 4 e 8)

Gli altri organi statutariAccanto alla previsione statutaria del Consiglio delle Au-tonomie Locali, come noto organo costituzionalmente necessario, il legislatore regionale ha dato libero spazio all’inserimento di altri organi quali la Commissione ga-rante dello Statuto, il Difensore civico regionale, il Co-mitato regionale per le comunicazioni ed il Consiglio per le pari opportunità.Non è questo il luogo per approfondire le norme che di-sciplinano i suddetti organi. Tuttavia, un breve cenno de-ve essere riservato alla Commissione garante dello Sta-tuto, disciplinata dagli articoli 59 e 60. Essa ha carattere di autonomia ed indipendenza in merito alla valutazione di conformità dell’attività regionale allo Statuto. Di nor-ma, l’organo di garanzia della Lombardia non si distin-gue per originalità da quelli previsti negli altri Statuti re-gionali; va tuttavia sottolineata la scelta, questa si tipica del legislatore lombardo, di anticipare l’intervento della Commissione prevedendo il controllo di conformità allo Statuto dei progetti di legge presentati in Consiglio re-gionale «su richiesta della Giunta, di un terzo dei compo-nenti del Consiglio regionale o della commissione consi-liare competente, ovvero della maggioranza del Consiglio delle autonomie locali». Per quanto concerne l’efficacia del parere espresso dalla Commissione, essa fa si che il Consiglio regionale possa discostarsi da quest’ultimo a maggioranza assoluta dei componenti8.Tra gli organi di garanzia presenti nel Titolo VII trovia-mo, come precedentemente accennato, il Difensore civi-

(8) Sull’efficacia del parere espresso dagli organi di garanzia la Corte Costituzionale si è espressa più volte. A tal proposito si vedano le seguenti sentenze: Corte costituzionale, sentt. n. 378 del 2004, punto 9 del CID; n. 12 del 2006, punto 7 del CID; n. 200 del 2008, punto 5.2. del CID.

09_Il_tema_B2.indd 112 11/10/11 10:15

Page 113: confronti 1-2 2011

113Il tema CONFRONTI 1-2/2011

co regionale che vede accresciute le sue funzioni. Tra le altre, infatti, il Difensore svolge funzioni volte a tutelare categorie cd. svantaggiate tra cui i detenuti, i contribuen-ti, i pensionati, i consumatori e gli utenti.

Nota conclusivaIn attesa del completamento della legislazione attuativa dello Statuto, che ne recepisca le novità ed adegui le di-sposizioni previgenti ai nuovi contenuti statutari9, è im-portante che sia messo in luce anche presso la cittadi-nanza il forte taglio innovativo che lo contraddistingue, determinato soprattutto dall’impianto sussidiario dello stesso. Questo comporta un’opera di diffusione di quella che alcuni avevano definito, anche per la assonanza con i procedimenti di revisione costituzionale del procedimen-to statutario, la piccola costituzione regionale. Nell’anno delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, sottolineare la natu-ra forte, quasi costituzionale, dell’ autonomia delle Re-gioni, così come emerge dagli Statuti, e la sua importan-za per la costruzione di una unità nazionale realmente rispettosa delle specificità dei diversi territori che com-pongono la patria comune, è elemento decisivo per dar corpo a uno sviluppo sostanziale ed equilibrato del Pae-se. Che unità non significhi uniformità o omologazione tramite decisioni prese al centro comporta, infatti, pren-dere coscienza del ruolo fondamentale svolto dalle auto-nomie presenti nella compagine nazionale. In questo gli Statuti regionali, se adeguatamente conosciuti, apprez-zati ed attuati, possono dare un importante contributo.

(9) Nel corso della VIII legislatura sono già stati adottati i primi importanti interventi legislativi: l.r. 10 dicembre 2008, n. 32 “Disciplina delle nomine e designazioni della Giunta regionale e del Presidente della Regione”; l.r. 23 dicembre 2008, n. 33 “Disposizioni per l’attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9 ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 ‘Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione’ - Collegato 2009”: adegua le procedure di bilancio e contabilità soprattutto con riguardo agli enti del sistema regionale; l.r. 23 ottobre 2009, n. 22 “Disciplina del Consiglio delle autonomie locali della Lombardia, ai sensi dell’art. 54 dello Statuto d’autonomia”; l.r. 4 dicembre 2009, n. 25 “Norme per le nomine e designazioni di competenza del Consiglio regionale”.Rilevante è altresì l’approvazione del nuovo Regolamento generale del Consiglio regionale intervenuta con deliberazione VIII/840 del 9 giugno 2009.

09_Il_tema_B2.indd 113 11/10/11 10:15

Page 114: confronti 1-2 2011

09_Il_tema_B2.indd 114 11/10/11 10:15

Page 115: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

Le politiche

La rinascita della scuola professionale in Lombardia: che cosa è stato fatto nell’VIII legislatura e che cosa resta da fare

Giovanni CominelliRicercatore del Centro per l’Innovazione e la Sperimentazione Educativa Milano, CISEM

115

Il bilancio della VIII Legislatura regionale della Lombar-dia (2005-2010) nel settore dell’istruzione e della forma-zione professionale non è operazione oziosa. Serve, per un verso, a fornire una spiegazione dei passi già com-piuti nella IX Legislatura. Basti pensare alle due Intese dell’autunno 2010: una firmata dal Presidente Formigoni, dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi, dal Ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmi-ni il 27 settembre 2010 sull’apprendistato; e l’altra, siglata il 16 dicembre 2010 in sede di Conferenza Unificata Sta-to-Regioni, per la definizione del sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e la conseguente ado-zione di Linee Guida in vista di “organici raccordi” tra i percorsi degli Istituti Professionali e quelli dell’Istruzio-ne e Formazione Professionale, IeFP. Non sono funghi cresciuti in una notte. Hanno alle spalle il lungo lavorio della legislatura precedente. Per l’altro verso e soprattutto, il bilancio del passato recen-te aiuta a pensare in modo realistico e innovativo al futuro prossimo, che, nel caso qui considerato, è appunto quello della IX legislatura della Regione Lombardia, incomincia-ta a metà 2010. Il futuro è spesso, in politiche di governo, una profezia che si autoadempie. Perciò è importante co-struire delle buone profezie. In ciò sta il senso di questa riflessione rivolta all’indietro, sia verso l’innovazione legi-slativa sia verso le politiche effettivamente attuate.

10_Le_politiche_B2.indd 115 11/10/11 10:15

Page 116: confronti 1-2 2011

116 CONFRONTI 1-2/2011 Le poLitiche

In Lombardia continua ad

aumentare il numero di persone

con diploma di licenza media

o diploma professionale

o di scuola superiore. Tuttavia

le percentuali non consentono compiacimenti

eccessivi

I termini di paragone della Regione Lombardia stanno, da secoli, soprattutto fuori dai confini nazionali. Il punto di riferimento per le politiche, Italia a parte, resta l’Euro-pa. Il Consiglio europeo, il Parlamento europeo, il Consi-glio d’Europa – ciascuna istituzione con proprie compe-tenze – hanno espresso Raccomandazioni e orientamenti per le politiche nazionali relative all’educazione e all’i-struzione, che peraltro non sono una competenza pro-pria né dell’Unione europea né del Consiglio. La più nota è quella di Lisbona 2000, che aveva fissato al 2010 il rag-giungimento dell’obbiettivo ambizioso di far diventare l’area europea quella più sviluppata al mondo, median-te un forte sviluppo dell’economia della conoscenza. Più recentemente il Consiglio d’Europa del 2009 ha indicato le sfide per tutti per gli anni a venire: apprendimento per-manente, mobilità degli studenti, qualità ed efficienza, equità, coesione e cittadinanza attiva, creatività e inno-vazione. Non si tratta di proiezioni retoriche, che spesso occupano i documenti ufficiali dell’Unione europea, ela-borati dalla burocrazia di Bruxelles, ma della recezione di fatto, in quei documenti, delle politiche, delle realizza-zioni e delle esperienze dei Paesi più avanzati del Nord-Europa. Con questi la Regione Lombardia si confronta.

La situazione in LombardiaIl primo dato che emerge dalla lettura del Rapporto ISTAT 2010 è che in Lombardia continua ad aumenta-re il numero di persone con diploma di licenza media o diploma professionale o di scuola superiore. Diminui-scono le persone con la sola licenza elementare. Tuttavia le percentuali non consentono compiacimenti eccessivi. La Francia ha il 79% della popolazione tra i 25 e i 34 an-ni con un titolo di scuola media superiore, la Germania l’85%, l’Italia solo il 60%. Quanto ai laureati, la media OCSE è il 23%, quella lombarda l’11,4%, quella italiana il 10,3%. La Lombardia sopravanza l’Italia, ma ambe-due stanno ancora parecchio al di sotto della media eu-ropea. Il grado di istruzione della popolazione lombarda non è ancora all’altezza delle regioni più forti d’Europa,

10_Le_politiche_B2.indd 116 11/10/11 10:15

Page 117: confronti 1-2 2011

117Le poLitiche CONFRONTI 1-2/2011

La crescita nel sistema scolastico pubblico – costituito da scuole statali e scuole paritarie – del numero di studenti, si deve in gran parte agli studenti figli di immigrati. Essi sono passati dal 2% del 1998/99 a oltre il 10% del 2010

Quanto all’Università, in particolare, le immatricolazioni sono relativamente stabili nel decennio: dai 40 mila del 2001/02 ai 50 mila del 2010

che competono sui mercati continentali e mondiali con la nostra Regione.Quanto alla crescita che si registra nel sistema scolastico pubblico – costituito da scuole statali e scuole paritarie – del numero di studenti, esso si deve in gran parte agli studenti figli di immigrati. Essi sono passati dal 2% del 1998/99 a oltre il 10% del 2010. Perciò sono aumentate anche le percentuali dell’abbandono, cui sono maggior-mente soggetti i figli degli immigrati. Ma anche i figli dei “nativi” abbandonano, spesso perché sono in grado di tro-vare un lavoro di bassa qualifica, già subito dopo l’usci-ta dalla Terza media. È la cosiddetta “dispersione ricca”.Il ritratto degli studenti lombardi che rimangono nella scuola, quale si ricava dal Rapporto OCSE-PISA 2009, reso pubblico nell’autunno 2010, si conferma eccellente rispetto al Paese e migliore rispetto a quello del Rapporto OCSE del 2006, in cui il Nord-Est compariva in cima al-la graduatoria dei territori italiani, davanti alla Lombar-dia. Una tecnica più rigorosa di raccolta dei dati ha con-sentito una registrazione più corrispondente alla realtà.

Rapporto Ocse-Pisa 2009

Materie Lombardia Italia OCSELettura 552 486 493Matematica 516 483 496Scienze 526 489 501

Quanto all’Università, in particolare, le immatricolazio-ni sono relativamente stabili nel decennio: dai 40 mila del 2001/02 ai 50 mila del 2010; gli iscritti complessiva-mente oscillano dai 230 mila del 2001/02 ai 250 mila del 2010. I laureati/diplomati sono quasi raddoppiati (da 26 mila a 50 mila) per effetto dell’istituzione della laurea breve triennale. Da notare che a livello nazionale, vice-versa, gli immatricolati tendono a diminuire, secondo i dati forniti dal Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, MIUR.

10_Le_politiche_B2.indd 117 11/10/11 10:15

Page 118: confronti 1-2 2011

118 CONFRONTI 1-2/2011 Le poLitiche

La Legge regionale 19/2007 ridisegna

un nuovo sistema unitario

di istruzione e formazione

professionale. Idee ispiratrici sono: la

centralità della persona

e la libertà di scelta delle famiglie

La risposta del governo regionaleAnche per quanto concerne l’istruzione, il governo regio-nale lombardo ha dunque elaborato strumenti legislativi più avanzati sia per rispondere alle necessità e alle do-mande che provengono dal suo territorio sia per adegua-re la legislazione regionale al nuovo quadro legislativo nazionale: la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 e la Legge delega n.53/2003 (la cosiddetta riforma Moratti), con il seguito di Decreti attuativi.La Legge regionale 19/2007: “Norme sul sistema educati-vo di istruzione e formazione professionale della regione Lombardia” è il risultato di questo duplice input. Qui ci limitiamo al segmento medio-superiore dell’istruzione, rinviando ad altra occasione l’affronto dell’intera que-stione universitaria.Essa ridisegna un nuovo sistema unitario di istruzione e formazione professionale. Idee ispiratrici sono: la centra-lità della persona e la libertà di scelta delle famiglie. Alle spalle sta un principio, che ha presieduto alla costruzio-ne delle istituzioni europee: il principio di sussidiarietà, orizzontale e verticale.Centrale è l’art. 11, che definisce la nuova architettura del sistema di istruzione e formazione professionale, all’in-terno del sistema educativo di istruzione e formazione:

a) percorsi triennali, di secondo ciclo, con qualifica di II livello europeo, con quarto anno, che rilascia certifi-cazione di competenza di III livello europeo;

b) quinto anno integrativo, realizzato con le Università e con l’alta formazione artistica, musicale e coreutica, ai fini dell’ammissione all’esame di Stato e ai percorsi di alta formazione artistica, musicale, coreutica;

c) percorsi, oltre il secondo ciclo, di istruzione e formazio-ne tecnica superiore (annuali, biennali, triennali, con certificazione di competenze di IV livello europeo).

Il sistema regionale, così strutturato, permette l’assolvi-mento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione professionale e dell’obbligo di istruzione.

10_Le_politiche_B2.indd 118 11/10/11 10:15

Page 119: confronti 1-2 2011

119Le poLitiche CONFRONTI 1-2/2011

Per comprendere la portata dell’innovazione dei risultati, vale la pena soffermarsi sul retroterra culturale e politico-legislativo.Sul terreno si è giocata nel decennio trascorso un’importante partita, cui l’Intesa del 16 dicembre pare offrire un esito positivo

La Valutazione è affidata al Valutatore indipendente, col-legato alla disciplina del mercato del lavoro.

Il perché della strana “coabitazione” Stato-Regioni nel settore della formazione professionalePer comprendere la portata dell’innovazione dei risulta-ti, vale la pena soffermarsi sul retroterra culturale e po-litico-legislativo.Sul terreno si è giocata nel decennio trascorso un’impor-tante partita, cui l’Intesa sopra citata del 16 dicembre pa-re offrire un esito positivo. Storicamente e a norma della Costituzione del 1948, alle Regioni era stata assegnata la competenza per la Formazione professionale. Lo sche-ma seguito era quello tedesco: Licei e Istituti tecnici allo Stato, la Formazione professionale alle Regioni. In que-gli anni si era ben lontani dall’evoluzione e dai dibattiti successivi relativi alla “pluralità dell’intelligenza”, ai di-versi stili di apprendimento, alle conoscenze che nascono dalla prassi lavorativa, manuale e intellettuale. Perdura-va la tradizione gentiliana: il Liceo per le classi dirigenti e perciò destinati alle Università, i Tecnici per formare i quadri tecnici intermedi, eventualmente destinati alle so-le Facoltà Tecniche e scientifiche. Per chi voleva accedere a qualche mestiere (elettricista, meccanico ecc...), dispo-nendo di qualche nozione teorica ed applicativa, restava, dopo la quinta elementare, la Scuola di Avviamento. La Scuola media era destinata, previo esame di ammissio-ne, a chi proseguiva per gli studi superiori: era una spe-cie di Ginnasio inferiore. La forbice tra Scuola Media e Avviamento sarebbe stata chiusa nel 1962, dopo circa un secolo di dibattiti (la prima proposta di scuola media uni-ca è di G. M. Bertini nel 1864, l’ultima – rispetto al 1948 – è quella del ministro Bottai, con la Carta della Scuola del 1939. Ma, intanto, urgevano i problemi dello svilup-po industriale del Paese, lanciato nel boom economico. Serviva una manodopera tecnicamente più preparata e anche più colta. Le Regioni a statuto ordinario erano pe-rò ancora al di là da venire (come noto, vennero istituite nel 1968 ed entrarono in funzione nel 1970, quando furo-

10_Le_politiche_B2.indd 119 11/10/11 10:15

Page 120: confronti 1-2 2011

120 CONFRONTI 1-2/2011 Le poLitiche

A questo punto lo Stato, non esitando

ad avvalersi di una vecchia legge di epoca fascista,

promosse la costituzione degli

Istituti di Istruzione professionale

per l’Industria e l’Artigianato, IPSIA

Negli anni ’70 quando sorsero le

Regioni, lo Stato a dispetto della

Costituzione decise di non restituire loro l’istruzione

professionale consentendo però

che aprissero la filiera della

“formazione professionale”

no eletti per la prima volta i Consigli regionali) e pertan-to negli anni ’50 ipso facto la loro competenza in materia di formazione professionale restava sulla carta. A questo punto lo Stato, non esitando ad avvalersi di una vecchia legge di epoca fascista firmata dall’allora ministro Bottai, promosse la costituzione degli Istituti di Istruzione pro-fessionale per l’Industria e l’Artigianato, IPSIA, di durata triennale, che svolsero poi un’eccellente funzione di ap-poggio allo sviluppo, in sintonia con l’istruzione tecnica di secondo grado. Negli anni ’70 accaddero poi due fatti rilevanti per la no-stra vicenda. In primo luogo, quando sorsero le Regioni, lo Stato a dispetto della Costituzione decise di non resti-tuire loro l’istruzione professionale (ormai appunto di-venuta “di stato”) consentendo però che aprissero la filie-ra della “formazione professionale”. Il tutto fu regolato dalla Legge 845 del 21 dicembre 1978, che è all’origine della strana coabitazione nel settore dello Stato e delle Regioni, coperta dalla foglia di fico costituita dal signifi-cato specifico dato a due locuzioni in effetti equivalenti essendo l’una, “istruzione professionale”, divenuta sino-nimo di scuola statale e l’altra invece, “formazione pro-fessionale”, divenuta sinonimo di scuola regionale. In se-condo luogo si procedette a una liceizzazione crescente dell’Istruzione secondaria e dunque anche dell’Istruzione professionale statale, che venne portata da tre a cinque anni. Così, alla fine di questo tragitto, l’offerta dell’istru-zione tecnico-professionale era articolata su tre canali, spesso sovrapposti: l’istruzione tecnica (Istituti tecnici, Istituti tecnici industriali ecc.), l’istruzione professiona-le, la formazione professionale.

La riforma costituzionale del 2001 riapre il problemaSopraggiunta poi nel 2001 la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni si videro assegnare nuove com-petenze in relazione all’organizzazione del sistema sco-lastico sul territorio. A questo punto con la legge di ri-forma n. 53 del 2003 di Letizia Moratti venne tentato un riassetto istituzionale dell’intero comparto dell’istruzione

10_Le_politiche_B2.indd 120 11/10/11 10:15

Page 121: confronti 1-2 2011

121Le poLitiche CONFRONTI 1-2/2011

Tutti questi andirivieni, naturalmente, accadevano solo sulla carta. Nella realtà il sistema dell’istruzione tecnico-professionale continuava a rimanere ostinatamente segmentato in tre canali

media superiore articolandolo in due canali: i licei e l’i-struzione tecnico-professionale. I primi rimanevano allo Stato, la seconda passava alle Regioni. La resistenza di Confindustria fece invece riassegnare alla filiera liceale l’Istruzione tecnica sub specie di Liceo tecnologico, così che alle Regioni rimase solo l’Istruzione professionale. Caduto Berlusconi e tornato al potere il centro-sinistra con Romano Prodi, il nuovo ministro Giuseppe Fioroni completò la demolizione dell’impianto della riforma Mo-ratti con la legge n. 40 del 2007: gli Istituti professiona-li vennero riconsegnati allo Stato, con l’intesa, tuttavia, che si costruissero dei raccordi con il resto dell’Istruzio-ne tecnica e della Formazione professionale. Tutti questi andirivieni, naturalmente, accadevano solo sulla carta. Nella realtà il sistema dell’istruzione tecnico-professio-nale continuava a rimanere ostinatamente segmentato in tre canali. Così che non sarebbe stato impossibile per il ministro Maria Stella Gelmini ripartire poi dalla realtà e dalla proposta Moratti. Questo però, misteriosamente, non è mai stato fatto. Mentre tutto ciò accadeva nei cieli della politica e della burocrazia centralistica, la Regione Lombardia, che già disponeva di un buon sistema di for-mazione professionale, aveva avviato fin dal 2002/03 dei percorsi sperimentali volti a raggiungere e far riconosce-re una pari dignità ai propri corsi professionali rispetto a quelli dello Stato. Accreditati con l’introduzione di nuove e più rigorose procedure, i percorsi di qualifica trienna-le – che prima venivano offerti solo dalle scuole profes-sionali della Regione – entrarono anche nei programmi delle scuole professionali statali. Tali percorsi triennali hanno incontrato il favore crescente di una quota consi-stente delle famiglie e della popolazione giovanile, tanto che i loro iscritti sono rapidamente passati dai 620 che erano nel 2002/03 ai circa 40 mila del 2010/11. Nel 2009 gli iscritti ai corsi del primo anno sia dei CFP (regiona-li) sia degli IPS (statali) sono stati 15.035; e nel corrente anno scolastico 2010/2011 sono divenuti oltre i 17.200. La ricerca dell’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori, ISFOL, del 2009 ha con-

10_Le_politiche_B2.indd 121 11/10/11 10:15

Page 122: confronti 1-2 2011

122 CONFRONTI 1-2/2011 Le poLitiche

Con un’Intesa siglata lo scorso

16 dicembre 2010 nell’ambito della Conferenza unificata Stato-

Regioni, si è posto infine termine al

lungo conflitto istituzionale tra

la Lombardia e il Ministero, costellato

da ripetuti ricorsi alla Corte

costituzionale

fermato che la Lombardia è al primo posto tra le Regio-ni italiane per numero percentuale di studenti iscritti ad attività di formazione professionale, seguita da Piemon-te e Veneto.

L’intesa siglata tra Lombardia e Stato il 16 dicembre 2010 Con un’Intesa siglata lo scorso 16 dicembre 2010 nell’am-bito della Conferenza unificata Stato-Regioni, si è posto infine termine al lungo conflitto istituzionale tra la Lom-bardia e il Ministero, costellato da ripetuti ricorsi alla Corte costituzionale, che era scoppiato in sede di attua-zione di un accordo sottoscritto il 16 marzo 2009. Tale ac-cordo ha delineato un sistema unitario di istruzione e for-mazione professionale, in forza del quale: 1) la frequenza con profitto di un ulteriore quarto anno di studi, oltre ai primi tre, consente agli iscritti alle scuole professiona-li di accedere a un “diploma professionale di tecnico”; 2) a partire dall’anno scolastico 2010/11 viene poi offer-to un ulteriore quinto anno, finalizzato alla preparazio-ne all’esame di Stato e quindi all’accesso all’Università. Con l’Intesa del 16 dicembre 2010 si è finalmente giunti all’adozione delle linee-guida per la realizzazione di “or-ganici raccordi” tra i percorsi delle scuole regionali e di quelle statali, resisi necessari, quale tentativo di ovviare, ex-post, agli inconvenienti generati dalla segmentazio-ne dell’offerta di istruzione tecnico-professionale nell’I-struzione Professionale, nell’Istruzione Tecnica, che sono appunto statali, e nella Formazione professionale, che è regionale. Gli oggetti dell’Intesa sono per l’appunto “or-ganici raccordi” tra l’IeFP e l’Istruzione Professionale e tra l’IeFP e il cosiddetto livello terziario, tramite un corso annuale per l’ammissione all’esame di Stato; le forme di organizzazione territoriale dell’offerta di istruzione; gli interventi di orientamento e quelli volti a sostenere i pas-saggi tra i sistemi per contenere la dispersione. Benché dunque, lo Stato abbia continuato a difende-re, dal centro burocratico del sistema, l’assetto obsoleto dell’offerta di istruzione tecnico-professionale, la Regio-ne Lombardia si è battuta per una struttura più moder-

10_Le_politiche_B2.indd 122 11/10/11 10:15

Page 123: confronti 1-2 2011

123Le poLitiche CONFRONTI 1-2/2011

Resta il fatto che l’edificio istituzionale dell’intero secondo ciclo, ancora incompleto continuerà a rimanere “senza il tetto”, finché non si introduca, come in altri Paesi europei, l’Istruzione tecnica superiore alternativa a quella universitaria

na, in asse con l’Unione europea e con le regioni d’Euro-pa che competono direttamente con le imprese lombarde sui mercati del continente per la conquista della forza-lavoro intellettualmente più qualificata. Resta il fatto che l’edificio istituzionale dell’intero secondo ciclo, ancora incompleto (tanto più che la corsa alle iscrizioni al Liceo delle scienze applicate – introdotto dal “riordino Gelmi-ni” – ha fatto crollare le iscrizioni agli Istituti tecnici), continuerà a rimanere “senza il tetto”, finché non si in-troduca, come in altri Paesi europei, l’Istruzione tecnica superiore alternativa a quella universitaria; come è il caso – per considerare un esempio interessante e a noi vicino – della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana, SUPSI. Occorre, al riguardo, prendere atto del fatto che gli Istituti di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, IFTS, introdotti sperimentalmente negli anni ’90, non hanno avuto una grande fortuna, sia a causa del conflitto istituzionale aperto dallo Stato contro la Regio-ne, sia per l’indeterminatezza della loro collocazione tra i tre segmenti dell’istruzione tecnico-professionale, sia per l’esiguità dei finanziamenti.In questo scenario la Regione Lombardia ha fatto da apripista sia rispetto alle altre Regioni sia rispetto al go-verno nazionale non soltanto attraverso l’elaborazione legislativa e conseguente innovazione degli assetti istitu-zionali, ma soprattutto rispetto alle politiche.

Quali prospettiveGià con la Legge regionale 1/2000 la Regione aveva intro-dotto il “buono scuola”: un rimborso parziale delle spese sostenute da ciascuna famiglia per tasse, rette, iscrizione, spese di funzionamento per ciascun figlio che sia iscrit-to alla scuola pubblica (statale o paritaria) primaria e se-condaria. Il “buono” poteva ricoprire il 25% delle spese e arrivare fino a 1.400 euro. L’erogazione era subordina-ta alle condizioni economiche. Il principio di fondo era quello già enunciato e praticato dal governo laburista inglese dopo l’avvento al potere di Tony Blair: the Fund follows the Pupils. Si trattava di un rovesciamento radi-

10_Le_politiche_B2.indd 123 11/10/11 10:15

Page 124: confronti 1-2 2011

124 CONFRONTI 1-2/2011 Le poLitiche

Tra il 2001 e il 2007 hanno beneficiato

del “buono scuola” 417.000 studenti,

per un totale di 275 milioni di euro.

Poi, a partire dal 2008, si è passati

dal “buono scuola” alla “dote scuola”,

che ricomprende il contributo del

“buono” e quello di altre voci

cale della filosofia che aveva presieduto alla costruzio-ne del Welfare in Europa e nella stessa Inghilterra: non si parte dalla capacità e dall’offerta di servizi, obbligan-do la domanda a infilarsi in binari e in tempi prestabili-ti, bensì dalla domanda stessa, rispetto a cui si modella e si ristruttura l’offerta dei servizi. È, detto in altro mo-do, l’applicazione del principio di sussidiarietà. Si tratta di un “uovo di Colombo” rivoluzionario. Tra il 2001 e il 2007 hanno beneficiato del “buono scuola” 417.000 stu-denti, per un totale di 275 milioni di euro. Poi, a partire dal 2008, si è passati dal “buono scuola” alla “dote scuo-la”, che ricomprende il contributo del “buono” e quello di altre voci: assegni, borse di studio, fondi per l’acquisto dei libri di testo. Il principio che sta alla base della “dote” non è soltanto quello di razionalizzare molteplici eroga-zioni, ma di accompagnare il singolo “lungo tutto il cor-so della vita”. È il LifeLong Learning, ampiamente teoriz-zato dall’OCSE nei suoi Rapporti annuali Education at a Glance. Apparentemente è la traduzione del principio del Welfare scandinavo “dalla culla alla tomba”, ma sia sul piano culturale sia sul piano pratico ne costituisce insie-me la realizzazione e il rovesciamento. La logica non è più quella dell’assistenza, ma del sussidio allo “sviluppo” della persona. Il sistema si presenta come una rete di ser-vizi flessibili, che offre risposte il più possibile persona-lizzate, in vista della crescita del “capitale umano” e che la persona acquista, in ciò supportata dalla “dote”. Perciò la Regione passa da provider a commissioner, impegnan-dosi innanzitutto a definire i LEP (i Livelli Essenziali di Prestazione), garantendo standard minimi di erogazio-ne dei servizi attraverso l’accreditamento e la valutazio-ne ex-post dei risultati. Dato il contenuto del principio “lungo tutto il corso della vita”, la “dote scuola” non po-teva rimanere una politica isolata. E così sono state intro-dotte anche la “dote formazione” e la “dote lavoro” (cfr. “Dal welfare dell’assistenza al welfare dell’opportunità” in Confronti n.2-3/2010. Ndr). Perciò la persona ha a di-sposizione una batteria di strumenti, di cui fare uso per i propri bisogni essenziali e tuttavia variabili nel tempo.

10_Le_politiche_B2.indd 124 11/10/11 10:15

Page 125: confronti 1-2 2011

125Le poLitiche CONFRONTI 1-2/2011

La Regione Lombardia ha fatto in questi anni da battistrada per il Paese e per i governi, percorrendo i sentieri dell’innovazione in solitaria o con pochi compagni di viaggio

Nel campo della “dote formazione” questa logica ha por-tato alla sostituzione del finanziamento diretto ai Centri di formazione con il voucher assegnato direttamente a chi si iscrive ai corsi. L’effetto è stato non solo la mag-gior libertà di scelta degli utenti, ma anche uno stimolo alla competizione per la qualità da parte dei Centri, pur mantenendo inalterati i costi di erogazione del servizio. Complessivamente l’investimento in capitale umano è stato di 2 miliardi di euro, che si sono distribuiti sulla formazione di secondo ciclo, sulla formazione post-di-ploma, sulla formazione continua per i lavoratori, sul sostegno per l’inclusione sociale. E di qui in avanti? La Regione Lombardia ha fatto in que-sti anni da battistrada per il Paese e per i governi, percor-rendo i sentieri dell’innovazione in solitaria o con pochi compagni di viaggio. La Conferenza Stato-Regioni ha fi-nito per funzionare da freno per gli innovatori e da alibi per i conservatori. I territori camminano a velocità diver-se – è un fatto – e i governi regionali ne riflettono e rap-presentano le dinamiche. L’ossessione dell’egualitarismo ideologico di stato si rifiuta di utilizzare le spinte diverse in una direzione generale di crescita del Paese. La pro-spettiva federalista resta incerta e lontana, nonostante le promesse. Ma il primo passo per affermarla non può consistere che in un federalismo a velocità variabile e a geometria variabile. Viceversa, il federalismo oggi pare divenuto solo un alibi per l’immobilismo. Ed è una con-dizione in cui la Regione Lombardia non può stare a lun-go. Il territorio che essa rappresenta non può stare fermo.

10_Le_politiche_B2.indd 125 11/10/11 10:15

Page 126: confronti 1-2 2011

10_Le_politiche_B2.indd 126 11/10/11 10:15

Page 127: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

In Europa, nel mondo

La Nuova Zelanda alla prova della sussidiarietà: quali lezioni dall’esperienza lombarda

Philip McDermott Institute of Public PolicyAuckland University of TechnologyNuova Zelanda

127

Geograficamente remota dall’Europa – ma nel medesimo tempo assai vicina trattandosi di un Paese di popolazione per circa l’80% di origine europea nonché di radicata tradi-zione anglo-sassone – la Nuova Zelanda sta considerando attentamente le potenzialità dell’applicazione del principio di sussidiarietà.Nel 1989 ne scrisse esplicitamente una Royal Commission on Social Policy, incaricata di avanzare proposte in tema di riforme della politica di sicurezza sociale. E nel 2002 un documento dal titolo Susidiarity: Implications for New Zealand venne pubblicato dall’autorevole New Zealand Tre-asury che (malgrado il nome) non è il ministero del Teso-ro bensì il principale ente di consulenza del governo neo-zelandese.La Nuova Zelanda è divenuta così il primo Paese anglofono a prendere in sistematica considerazione questa “filosofia” politica che è nata e si è sviluppata nell’Europa continenta-le e che – avendo ricevuto specifico impulso dalla dottrina sociale della Chiesa – forse anche per questo trova difficile eco nei Paesi di tradizione protestante o non-cristiana. Per quanto concerne in particolare la cosiddetta “sussidiarietà verticale” il caso neozelandese è tanto più significativo se si considera che di regola nelle nazioni sorte dalla coloniz-zazione e costituite in gran parte da discendenti di coloni europei l’istituzione politica primaria è il territorio (la co-lonia in quanto tale, più tardi affrancatasi e divenuta Sta-

11_In_Europa_B2.indd 127 11/10/11 17:30

Page 128: confronti 1-2 2011

128 CONFRONTI 1-2/2011 In Europa, nEl mondo

to) e non, come accade in Europa, la comunità locale; e che fra Stato e società civile la distanza critica è in genere minima. In questo la Nuova Zelanda rientra pienamente nella regola: gli enti di governo locale neozelandesi sono sorti e cresciuti sotto lo stretto controllo del governo cen-trale, né tradizionalmente si registrano esperienze rilevanti di autonomia della società civile. Unica eccezione è il caso, pur non secondario, delle comunità dei Maori, gli abitanti originari del Paese, circa il 20% della sua popolazione at-tuale, che a norma del trattato di Waitangi (1870) godono di un certo numero di diritti collettivi.Spinta dall’urgenza di ridurre una spesa pubblica ormai di-venuta troppo onerosa, sin dai primi anni ’90 dello scorso secolo la Nuova Zelanda ha avviato – dicevamo – un pro-cesso di riforme costituzionali che appunto fanno esplicito riferimento al principio di sussidiarietà. Di qui l’interesse di alcuni studiosi neozelandesi per l’esperienza in proposito della Regione Lombardia, malgrado la distanza e il contesto diversissimo dal nostro: i neozelandesi, meno di 4 milioni e mezzo, vivono agli antipodi dell’Europa su un arcipelago che sorge circa 2 mila chilometri a est dell’Australia, e la cui superficie è più o meno equivalente a quella della penisola italiana, mentre i lombardi sono circa 10 milioni e abita-no un territorio di soli 23 mila chilometri quadri, parte di un Paese che ha circa 57 milioni di abitanti e di un’Unione Europea che ne ha circa 500 milioni. A uno di questi studiosi, Philip MacDermott, abbiamo chiesto di spiegare ai lettori di Confronti i motivi di ta-le interesse. Originariamente intitolato The New Zealand Constitution – Lessons from Lombardy il saggio è nell’o-riginale inglese. Un breve riassunto in italiano si ritrova nella sezione “Testi in sintesi”.

This article outlines the operation of government in New Zealand, and considers the relevance to this small, remo-te country of the Lombardy experience of promoting lo-cal democracy through subsidiarity.

11_In_Europa_B2.indd 128 11/10/11 17:30

Page 129: confronti 1-2 2011

129In Europa, nEl mondo CONFRONTI 1-2/2011

From the outside, Lombardy’s secret lies in this response to opportunities created by vertical subsidiarity through horizontal subsidiarity. This is a significant innovation for democracy and for public sector efficiency

Subsidiarity in LombardyLombardy has a head start given Italy’s commitment to subsidiarity. Regional government has pursued initia-tives to capitalise on delegations central government has made over the past two decades. It has worked with civil society to deliver public services. It has matched vertical subsidiarity (the delegation of functions from central to regional or local government based on the most appro-priate level for definition and delivery of services) with horizontal subsidiarity, drawing on diverse organisations to deliver public services through the most appropriate agency. Lombardy’s government has fostered capacity among public, private and not-for-profit organisations in areas like health, education, social housing, and economic de-velopment. It has worked to better inform citizens about the choices available. Even if taxpayers still fund social services, they can do so with the expectation that com-petition, benchmarking, and innovation ensure that the diverse needs of the community are met effectively and efficiently.From the outside, Lombardy’s secret lies in this response to opportunities created by vertical subsidiarity through horizontal subsidiarity. This is a significant innovation for democracy and for public sector efficiency. When functions are delegated to lower levels of government it is important not simply to replace a centralised bu-reaucratic public monopoly with a regional one. In Lom-bardy this has been avoided by enlisting the support of civil society to meet the needs of communities – and to empower citizens to influence and select from a range of service options. In health, for example, services are provided by a mix of public and private hospitals and non-profit suppliers. The regional government still sets the standards and tariffs for procedures, which it funds, and enters into contracts with suppliers. However, fifteen Aziende Sanitarie Locali are responsible for planning, accreditation, and quality control across 86 health districts. Competitive bidding

11_In_Europa_B2.indd 129 11/10/11 17:30

Page 130: confronti 1-2 2011

130 CONFRONTI 1-2/2011 In Europa, nEl mondo

New Zealand lies 2,000 km east

of Australia and comprises two main

islands

New Zealand has a unitary system

of government. The House of

Representatives comprises

120 members voted every three years

to supply services and accreditation of approved suppli-ers promotes service quality and innovation. Informa-tion on accreditation and performance helps consumers make educated choices. Jointly, these practices have led to the low cost of providing quality health care compared with other states and nations, and a decline in acute hos-pital beds.

Government in New ZealandNew Zealand lies 2,000 km east of Australia and compris-es two main islands. The country is approximately 1,600 km in length and 270,000 square km in area (compared with Italy’s 1,185 km in length and 301,230 square km). With 4.4 million people it is sparsely populated. Although the economy remains heavily dependent on primary production (exports are dominated by dairying, meat and wool, fish, and forest products) over 85% of New Zealanders reside in urban areas. Most settlements are on the more fertile coastal plains, separated by gener-ally mountainous terrain. Auckland in the north is a pri-mate city, with one third of the population (1.4 million out of a total of 4.4 million). Wellington, which houses the capital at the southern end of the North Island, has fewer than 480,000 people. Christchurch, the largest city in the South Island has 370,000.

Central GovernmentNew Zealand has a unitary system of government. The House of Representatives comprises 120 members voted every three years on a proportional representation basis across a mix of constituent and list seats. Executive pow-er resides in a Cabinet of ministers selected by the Prime Minister who is the parliamentary leader of the majority party. The government is usually made up of an alliance of one of the larger parties (centre-left Labour or centre-right National) and one or two smaller parties. The small-er parties represent stronger but minority views (green, left wing, conservative, or Maori). The leader of the ma-jority partner is the Prime Minister.

11_In_Europa_B2.indd 130 11/10/11 17:30

Page 131: confronti 1-2 2011

131In Europa, nEl mondo CONFRONTI 1-2/2011

The potential for regional councils to broaden functions beyond an environmental mandate has led to conflict with district and city councils

The reservation of seven territorial seats that can only be voted for by voters of Maori (indigenous) ethnicity is a distinctive feature of central government.

Local and Regional GovernmentLocal government representatives are elected directly by ward. Although mayors are elected at large, executive au-thority rest with the council at large, not the mayor who has only limited powers. The 74 cities and districts are responsible for land use, public health, water supply, local roads, waste disposal, parks and reserves, recreational and community infra-structure. Fifteen regional councils are responsible for cross-boundary water, air, and soil quality, and pest manage-ment (weeds, wildlife). They are also responsible for pub-lic transport, transport plans, and civil defence. Regional council members are elected by ward with a chairmen chosen by the representatives themselves and so do not embody the popular leadership associated with a city or district mayor. Regional and local councils are differentiated by function rather than subordination of one to the other. For this reason city, district, and regional councils can be jointly termed as “local government”. Despite this “hierarchi-cal equivalence”, district and city land use plans need to comply with regional environmental policies. The potential for regional councils to broaden func-tions beyond an environmental mandate has led to con-flict with district and city councils as they have become more directly involved in controlling land use to help fulfil their environmental and transport mandates. The resulting confusion of local governance was one of the factors behind the recent abolition of seven local and one regional council in favour of a single unitary council for Auckland Region in 2010. Another way that councils have tried to resolve this potential conflict other parts of New Zealand has been to collaborate in the preparation of spatial plans integrate infrastructure, land use and ser-

11_In_Europa_B2.indd 131 11/10/11 17:30

Page 132: confronti 1-2 2011

132 CONFRONTI 1-2/2011 In Europa, nEl mondo

Subsidiarity is relevant to a formal commitment made

in 1979 to Closer Economic Relations

(CER) with Australia

However, the application of

subsidiarity to provide a

governance link between regions and

the trans-national entity (and among

Australian and New Zealand regions) is constrained by

several differences from Europe

vice development and delivery across their boundaries. Community boards are directly elected to represent com-munity interests within each local council area. Their functions are limited to advising district and city coun-cils on local matters.

Subsidiarity in New ZealandTrans-national relationsSubsidiarity is relevant to a formal commitment made in 1979 to Closer Economic Relations (CER) with Australia. There have been continuing initiatives to align business between the two nations (creating a single market) on the back of longstanding freedom of movement of citi-zens. Aligning economic regulation is not yet complete, though, and areas traditionally associated with subsidi-arity at the highest level – defence, foreign affairs, and currency – remain independent, although subject to co-operation at central government level and through busi-ness forums. However, the application of subsidiarity to provide a gov-ernance link between regions and the trans-national en-tity (and among Australian and New Zealand regions) is constrained by several differences from Europe:

– CER operates through a relationship between the gov-ernments and is not embodied in an identifiable joint governance agency.

– Australia has a formal constitution through which the original colonies (today’s states) granted certain pow-ers to the federal government, thereby clearly defining the relationship between the two levels. New Zealand does not have an equivalent constitutional arrange-ment.

– New Zealand has a very limited ability (Australia has a population of 22.6 million) to influence trans-Tas-man outcomes, especially when the Australian posi-tion may have to be reconciled across the six states.

Nevertheless, as New Zealand and Australia become in-

11_In_Europa_B2.indd 132 11/10/11 17:30

Page 133: confronti 1-2 2011

133In Europa, nEl mondo CONFRONTI 1-2/2011

New Zealand local government is empowered by central statute. It has traditionally had fewer responsibilities than in other countries, and until 2002 these were tightly prescribed by central government

creasingly aligned with the wider Asia-Pacific region by increasing intra-regional trade, free trade agreements, and migration there may well be a need to ensure that localities within New Zealand (and Australia) have the same status and recognition within any trans-national arrangement that regions like Lombardy have in Europe.

Intra-government relationsNew Zealand local government is empowered by central statute. It has traditionally had fewer responsibilities than in other countries, and until 2002 these were tightly pre-scribed by central government. The Local Government Act 2002 (LGA) changed this to allow for greater discre-tion. However, this was part of a wider process of restruc-turing local government, commenced in the 1980s, seek-ing efficiencies from greater political transparency and managerial accountability rather than a reflecting a com-mitment to devolution. Councils were granted the power of general competence but this was based on identifying through prescribed processes “community outcomes for the intermediate and long-term future of its district or re-gion” and preparing a (ten year) long term council com-munity plan (LTCCP) and indicative budget which:

a) Describe the activities of the council.b) Describe the anticipated community outcomes for the

district or region. c) Provide for integrated decision-making and co-ordi-

nation of resources.d) Provide a long-term focus for the decisions and activi-

ties of the local authority.e) Provide a basis for accountability of the local author-

ity in the community.f) Provide an opportunity for participation by the public

in decision-making processes on activities to be under-taken by the local authority (Part 6, 93).

The effect is to place relatively high hurdles in the way of new functions.

11_In_Europa_B2.indd 133 11/10/11 17:30

Page 134: confronti 1-2 2011

134 CONFRONTI 1-2/2011 In Europa, nEl mondo

The 1840 Treaty of Waitangi is

considered by many to be the founding

document of the nation. By signing

it Maori of different tribes collectively

ceded powers best exercised

centrally to Britain, particularly

protection of their customary rights

Provisions for Maori GovernanceThe 1840 Treaty of Waitangi is considered by many to be the founding document of the nation. By signing it Mao-ri of different tribes collectively ceded powers best exer-cised centrally to Britain, particularly protection of their customary rights in the face of growing pressure on land and resources from European settlers. The Treaty continues to mediate the relationship between Maori people and the wider community. Its application is progressive relative to relations with indigenous peo-ple in other former colonies. However, differences in the meanings ascribed to Maori and English language ver-sions and in the expectations of the signatories mean that the Treaty remains contentious. This is partly behind a constitutional review announced by the Deputy Prime Minister and Minister of Maori Affairs in late 2010. It was also highlighted by an earlier review that noted that:

“The issues surrounding the constitutional impact of the Treaty are so unclear, contested, and socially significant, that it seems likely that anything but the most minor and technical constitutional change would require deliberate effort to engage with hapu and iwi [sub-tribal social and organising units] as part of the process of public debate.” (Constitutional Arrangements Committee, 2005)

Despite this, the Treaty of Waitangi remains a significant check on the power of central government in a country without a written constitution.

Governing without a constitutionThe 2005 review decided that New Zealand’s constitu-tion is one of “pragmatic evolution”, based on “New Zea-landers’ instinct to fix things when they need fixing, when they can fix them, without necessarily relating them to any grand philosophical scheme”.Lack of formal expression of democratic and governance principles in a written constitution is seen as an issue by

11_In_Europa_B2.indd 134 11/10/11 17:30

Page 135: confronti 1-2 2011

135In Europa, nEl mondo CONFRONTI 1-2/2011

In a small nation state with a tendency towards centralisation of authority, the Treaty may promote an element of subsidiarity

Historical circumstances, small scale communities, and a unique if contested contractual place for Maori may justify the form of New Zealand’s governance

some people; pragmatism can be ad hocery by anoth-er name. Others welcome the primacy afforded central government, and yet others the reinterpretation it allows around the Treaty of Waitangi as a “living document”. In a small nation state with a tendency towards centralisa-tion of authority, the Treaty may promote an element of subsidiarity that is reflected in a practical way in special provisions that might be made for Maori welfare, educa-tion, and justice.In other former British colonies federal governments were created by discrete colonial governments. The cen-tre’s powers were conferred by people from separate col-onies coming together and preparing a written constitu-tion. Consequently, state or provincial governments in these countries empower local government, mainly to undertake functions best performed “on the ground”. New Zealand was different. Here a Royal Charter pre-pared in Britain provided for provincial administrative divisions with local bodies to oversee local services, po-licing, and justice. The British Constitution Act of 1852 created a General Assembly and six provinces. Eventu-ally limited resources and infighting led the General As-sembly to abolish provinces in 1876, leaving two tier gov-ernment with the role of local government prescribed at the centre. Reassertion of a centralised state Historical circumstances, small scale communities, and a unique if contested contractual place for Maori may justify the form of New Zealand’s governance. But the question remains how rights are protected – or evolve – in an unwritten constitution in which the local is so clearly subordinated to the central. Federal arrangements else-where spell out the relationship between central and local (state or provincial) government on the basis that power is ceded by the people to their representatives, not the other way round. Subsidiarity has played no real role in New Zealand’s programme of local government restructuring since the

11_In_Europa_B2.indd 135 11/10/11 17:30

Page 136: confronti 1-2 2011

136 CONFRONTI 1-2/2011 In Europa, nEl mondo

1980s. There was some debate about the appropriate al-location of functions between central and local govern-ment. However, the agenda was primarily a neo-liberal one, driven by the aim of reducing government rather than devolving responsibilities. Functions such as health, police, and education continue to be run from the cen-tre. Councils have deviated little from their traditional focus on infrastructure services and managing land use. A growing interest in local economic development has been the exception in some places.While local government is required to be sensitive to community needs and expectations, there is no onus on councils to assume functions currently delivered from the centre or to delegate responsibility for programme development or delivery to locally elected community boards or to other organisations.At the same time, there has been a reassertion of central control at the local level through increasing promulga-tion of government policy statements to set out param-eters for local service delivery and standard setting. To date this approach has been adopted for land transport, energy supply, and coastal, freshwater, and biodiversity management.The recent reform of Auckland’s governance was also based on central government’s concern that inconsisten-cy and duplication of services among councils and con-flict between regional and city or district councils was impeding the region’s development and consequently national economic performance. This view was prom-ulgated in the terms of reference for a Royal Commis-sion established by a Labour Government to look into the question in 2008 (and consequently reflected in its con-clusions) and endorsed by a new National Government when the Commission reported. Indeed, the Minister of Local Government played a dominant role in defining how the new single city-region should be organised and shaping the governance arrangements, a stark reminder that in New Zealand local government still operates at the behest of central government.

11_In_Europa_B2.indd 136 11/10/11 17:30

Page 137: confronti 1-2 2011

137In Europa, nEl mondo CONFRONTI 1-2/2011

What lessons might Lombardy’s distinctive form of governance offer New Zealand in this uncertain environment?

The first may be that greater sensitivity to demand and economy of service delivery might be achieved by local governments

Lessons from LombardyWidespread international interest in the reform of local governance over the past two decades reflects the uncer-tainties that beset local and national communities with increasing globalisation, and their relative roles. A new focus has fallen on the effectiveness and impact of re-gional and local governments in a society subject to exter-nal influence marked by more open trading economies, increased migration flows, and greater capital mobility. Today the Global Financial Crisis and underlying shifts in international financial, economic, and strategic inter-ests increase the significance of the local in people’s eve-ryday lives. What lessons might Lombardy’s distinctive form of gov-ernance offer New Zealand in this uncertain environ-ment? The suggestions below draw on a review by Co-lombo (2008).

1) Develop horizontal to support vertical subsidiarityThe first may be that greater sensitivity to demand and economy of service delivery might be achieved by local governments assuming more rather than fewer func-tions, but only on the grounds that through this they can integrate public purpose with private responsibility. This is not a simple matter of outsourcing. Local govern-ment has processes – albeit always capable of improve-ment – for defining need and service levels. It has capac-ity to fund services, too, subject to fiscal constraint and informing priorities through the consultative and deci-sion process set out in the LGA 2002. In New Zealand it may also need to explore new methods of funding even if conventional revenue streams (primarily property taxes) do not change significantly. But local government has no monopoly on the capac-ity to specify, produce, and deliver services, and where practical horizontal delegation to better suited suppliers should be beneficial. To support this, relationships with other public agencies, the third sector (voluntary asso-ciations), and the private sector will need to be strength-

11_In_Europa_B2.indd 137 11/10/11 17:30

Page 138: confronti 1-2 2011

138 CONFRONTI 1-2/2011 In Europa, nEl mondo

Some inspiration can be drawn in

progressing down what in New

Zealand would be a radical path

from the success of subsidiarity based

governance in Lombardy following

a long history of highly centralised

structures and powers

ened. Collaboration needs to replace adversarial or weak relationships.Some inspiration can be drawn in progressing down what in New Zealand would be a radical path from the success of subsidiarity based governance in Lombardy following a long history of highly centralised structures and powers. Here delegation to regional government and assignment of tasks to civil society has seen “the initial gap between supply and demand of welfare services (e.g. for the disabled, families, the elderly) ... bridged over a ten-year period” (Colombo, 2008, 188).

2) Build the capacity of civil societyThe second lesson may lie in the way in which Lombardy builds the capacity of civil society. For example, in the area of family support “the region financially supports – through yearly tenders – some hundreds of projects present-ed by families’ associations that create services in favour of family life where what is on offer is lacking or insuffi-cient (such as, for example, micro-nurseries)”. The aim is to “stimulate the autonomous response of civil society wherever it is needed, in place of direct government inter-vention”. Such initiatives not only reflect actions that are defined by communities, but they progressively strength-en the capacity of the community itself to act on them. This may not be so novel in New Zealand. A parallel ini-tiative is being explored as a means of giving effect to the Treaty by promoting distinctive modes of service delivery for Maori. Of particular note is the current whanau ora initiative. This aims to consolidate and integrate the de-livery of social services associated with different (central) government agencies at the level of whanau, (or indi-vidual sub-tribal units, usually based on extended, inter-generational family groups, moving away from a welfare focus on disadvantaged individuals. This automatically deals with localised and culturally specific needs and in theory should increase the capacity and resilience of the whanau groups. As yet, there is no expectation that such an approach may be applied more generally, although the

11_In_Europa_B2.indd 138 11/10/11 17:30

Page 139: confronti 1-2 2011

139In Europa, nEl mondo CONFRONTI 1-2/2011

The Lombardy experience suggests a way forward that might empower citizens, increase the resilience of communities, and enhance living standards against such a background

Lombardy experience raises that as a distinctive pros-pect.

3) Promote greater choice and competition in public servicesA third lesson may be the way in which Lombardy’s sub-sidiarity-informed governance has worked to increase individual choice. Unlike a libertarian agenda, which promotes self-choice as an end in itself, the use of tech-niques such as a voucher system to enable more fami-lies to choose among health or education providers ful-fils public ends while promoting greater self reliance. To ensure it delivers socially responsible outcomes much is also made of evaluation of service delivery, accreditation of suppliers, monitoring, and benchmarking. By publicis-ing the performance of alternative suppliers, the choic-es made by families with or without vouchers become more meaningful. At the same time, increased competi-tion among providers should see greater service respon-siveness and efficiencies. New Zealand, like many countries, may be suffering from a surfeit of public sector reforms. Nevertheless, the chal-lenges of meeting the material, cultural, and societal expectations of diverse and ageing populations under conditions of national fiscal stress and international eco-nomic uncertainty suggest that communities cannot stop exploring new and better ways of providing public ser-vices. The Lombardy experience suggests a way forward that might empower citizens, increase the resilience of communities, and enhance living standards against such a background. Even though the scale and context of New Zealand is well removed from that of Lombardy, increas-ing the role and capacity of local communities through the promotion of vertical and horizontal subsidiarity is an option that New Zealand could usefully explore in the course of its current constitutional review.

11_In_Europa_B2.indd 139 11/10/11 17:30

Page 140: confronti 1-2 2011

11_In_Europa_B2.indd 140 11/10/11 17:30

Page 141: confronti 1-2 2011

CONFRONTI 1-2/2011

Studi, ricerche e documenti

Verso un’Italia multietnica:quale multiculturalismo, quale tolleranza?

Giuseppe ScidàDocente di Sociologia della società multietnica Università di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche “Roberto Ruffilli”, Forlì

141

I temi affrontati in questo contributo si rinvengono, sin-tetizzati in modo ironico e insieme apodittico, in un sto-riella che si racconta negli Stati Uniti, Paese d’immigra-zione per eccellenza. Essa consente di introdurci senza esitazioni nel cuore stesso del dibattito che si incentra sulle sfide che le società multietniche recano con sé. La storiella narra che in una serena nottata di metà Otto-cento, in un piccolo villaggio del Dakota, un gruppo di giovani cacciatori della tribù dei Lakota, sempre più de-luso dalla carenza di selvaggina determinata dalla caccia praticata sistematicamente dai bianchi che invadevano le loro terre, dopo lunghe discussioni, si portò vicino al vecchio sakem per chiedergli quale fosse a questo riguar-do l’errore più grave che si potesse attribuire agli uomini della sua generazione. In risposta il vecchio capo laco-nicamente sentenziò: «Non siamo riusciti a salvaguarda-re il nostro modo di vivere, perché non ci siamo dati una politica dell’immigrazione e non abbiamo controllato tale fenomeno!». La mobilità umana nello spazio non è certamente un fe-nomeno nuovo nella storia dell’umanità. Non di meno negli ultimi decenni, le migrazioni internazionali sono spesso emerse come protagoniste dei mutamenti sociali, culturali ed economici della scena mondiale (Pollini, Sci-dà, 2004). Basta considerare, a questo proposito, un sem-plice dato quantitativo e la sua regolare ascesa: le persone

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 141 11/10/11 10:14

Page 142: confronti 1-2 2011

142 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

I dati statistici sugli immigrati regolari

in Italia ci segnalano una graduale

trasformazione del processo di mobilità

internazionale che, da oltre cinque

lustri, ha coinvolto anche l’Italia

Nel definire la morfologia

dell’immigrazione in Italia acquista oggi,

innanzi tutto, un significato crescente l’incipiente processo

di sedimentazione dei flussi

che vivevano fuori dai confini del Paese in cui erano na-te erano, nel 1965, 75 milioni; già a metà degli anni ’90, però, erano diventati 120 milioni, per giungere oggi ben oltre i 200 milioni mentre tutti gli osservatori specializ-zati tendono a stimare tale dato in crescita.

Verso il consolidamento della società multietnica italianaI dati statistici sugli immigrati regolari in Italia ci segna-lano una graduale trasformazione del processo di mobi-lità internazionale che, da oltre cinque lustri, ha coinvol-to anche l’Italia. Si tratta, si badi bene, di un mutamento qualitativo, ancorché quantitativo, che ha eminentemente a che fare con l’evoluzione dei diversi stadi migratori (al succedersi dei quali tendono a mutare alcune variabili dei flussi in entrata relativi a: l’età media d’ingresso, il livello medio del loro titolo di studio, la previsione circa la durata del soggiorno, ecc.). Nel definire la morfologia dell’immi-grazione in Italia acquista oggi, innanzi tutto, un signifi-cato crescente l’incipiente processo di sedimentazione dei flussi. Tale modalità di adattamento è segnalata da una se-rie di indicatori oggettivi che, nel loro insieme, mostrano percorsi significativi quanto meno di latente integrazione – che finiscono, com’è naturale, per influire decisamente sulla complessiva organizzazione sociale del Paese. Fra la serie d’indicatori disponibili merita, forse, ricor-darne qui solo alcuni selezionati per la loro rilevanza nel plasmare la riorganizzazione sociale del nostro Paese:

1. la crescita continua dei ricongiungimenti familiari che, insieme ai nuovi matrimoni, ha portato la percentuale degli stranieri con coniuge in Italia (un quarto dei qua-li con figli) ad oltre la metà del totale degli stranieri;

2. il regolare accumularsi di matrimoni misti (di questi il 60% sono fra italiani e straniere e oltre un quarto fra stranieri e italiane1 con i rimanenti riguardanti stra-nieri di diversa nazionalità coniugati fra loro);

(1) Ricordiamo a tale proposito che il matrimonio di uno straniero con una persona di nazionalità italiana (che spesso si accompagna e genera complesse problematiche

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 142 11/10/11 10:14

Page 143: confronti 1-2 2011

143Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

3. il graduale riequilibrio del rapporto fra i sessi nel com-plesso degli immigrati (pur permanendo ancora un lieve vantaggio per il sesso maschile) che presenta tuttavia differenze, talvolta importanti, nelle diverse appartenenze nazionali;

4. la graduale lievitazione delle iscrizioni scolastiche da parte dei giovani stranieri e il loro significativo salto conosciuto nelle scuole secondarie italiane particolar-mente negli ultimi dieci anni;

5. il significativo aumento dell’occupazione regolare, par-ticolarmente alta in alcune aree del Paese fra le quali spicca il Nord Est (sebbene l’occupazione irregolare resti ancora una quota rilevante)2;

6. la continua crescita delle rimesse ufficiali degli immi-grati verso i loro Paesi d’origine derivante dal migliore inserimento lavorativo che, a partire dal 1998, hanno superato la quota di quelle degli emigrati italiani ver-so il nostro Paese;

7. la lievitazione nella partecipazione associativa degli stranieri che si registra sia con riferimento ai sindacati come pure alle associazioni d’immigrati.

Mutano pure le preferenze accordate dagli immigrati cir-ca le diverse aree italiane di potenziale inserimento che cambiano sempre più in accordo con la domanda di for-za lavoro proveniente dai diversi sistemi economici re-gionali. Così, benché il tumultuoso arrivo di migranti che sbarcano nel meridione italiano (spesso clandestina-mente e non di rado pilotati da trafficanti, connessi alle

culturali e talvolta giuridiche) resta, ancora, il modo più semplice, rapido ed econo-mico per consentire a uno straniero l’acquisizione della cittadinanza italiana. Il che, quindi, rende poco significativo (in quanto di ambigua lettura) l’uso di questo dato come indicatore d’integrazione degli stranieri in Italia. Molto più significativo è invece il senso di questo indicatore in altri paesi, come ad esempio negli USA, ove i control-li sulle unioni matrimoniali miste sono particolarmente severi e pignoli come, non senza ironia, ci ha mostrato il film americano “Green Card”.(2) A proposito del lavoro degli stranieri va rilevato che com’è stato scritto (Tito Boeri, 2006): «Quasi nove immigrati su dieci in età lavorativa hanno un impiego, contro sette su dieci fra gli italiani. E anche le donne immigrate lavorano più delle italiane: una su due, cinque su cento in più che tra le nostre connazionali». In conclusione gli immigrati tendono a lavorare quasi tutti e spesso più degli italiani.

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 143 11/10/11 10:14

Page 144: confronti 1-2 2011

144 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

Da una decina d’anni si rileva,

analizzando i dati sull’insediamento degli stranieri in

Italia, il prevalere di una decisa tendenza alla mobilità interna

in direzione del settentrione d’Italia

diverse mafie operanti nel settore del cosiddetto “traffi-co umano”) sembri oggi frenato ma tutt’altro che esauri-to, già da una decina d’anni si rileva, analizzando i dati sull’insediamento degli stranieri in Italia, il prevalere di una decisa tendenza alla mobilità interna in direzione del settentrione d’Italia. A proposito di quest’ultimo dato, non sorprende eccessi-vamente l’insofferenza mostrata da fasce non irrilevanti di autoctoni, e regolarmente segnalata dai media, in me-rito all’ingresso e all’insedia mento di stranieri in alcu-ne aree del settentrione italiano. Un po’ in tutti i gruppi umani sparsi nel pianeta vi è, infatti, una forte relazione fra la cultura del gruppo insediato e il suo spazio ecologi-co. Gli esseri umani ogni qualvolta operano nel territorio d’insediamento finiscono con interpretare quest’ultimo, dargli un significato, segnarlo di valenze simboliche. Da ciò deriva, una volta che lo spazio sociale di un territo-rio sia occupato e fittamente presidiato da un determi-nato gruppo umano, la notevole difficoltà a che si accol-gano nel proprio ambiente i portatori di un’altra cultura consentendo loro di esprimerla pubblicamente (alle pro-blematiche che connettono i legami di appartenenza fra gruppi umani e territorio ha dedicato una notevole mole della sua produzione scientifica la scuola sociologica di Chicago a cavallo degli anni ’20 del secolo scorso: Polli-ni, Scidà, 2004:99-110).

Parole chiave: gruppo etnico, società multietnica, società multiculturale, cittadinanzaPer andare al cuore della nostra discussione ci pare uti-le prendere le mosse da un’essenziale chiarificazione di quattro termini centrali che costituiscono una sorta di leit-motiv del nostro contributo: gruppo etnico, società multietnica, società multiculturale e cittadinanza. Con “gruppo etnico”, realtà elementare che si pone al centro della nostra discussione, si intende un segmen-to di una società i cui membri sono dotati di un nome e hanno miti di discendenza, memorie e cultura comuni (Smith, 1984) o, più analiticamente, per dirlo con Tal-

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 144 11/10/11 10:14

Page 145: confronti 1-2 2011

145Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Ci pare che la formula “società multietnica e multiculturale” sia stata generalmente accolta nella società italiana con un tale acritico entusiasmo che non può non lasciare perplessi

cott Parsons (1994:202-3): «un gruppo in cui i membri, sia rispetto ai propri sentimenti sia rispetto a quelli dei non membri, hanno un’identità specifica che si basa su un certo senso distintivo della propria storia». È noto come l’uso del termine “etnico”, e di tutti gli altri derivati dalla radice greca ethnos, spesso risulta impro-prio all’interno di un discorso scientifico, in quanto vio-la un suo standard semantico. Lo stesso vale, ad esem-pio, per i termini “razza”, “nazione”, “stato”, con i quali, per di più, il termine “etnico” viene frequentemente a intersecarsi e non di rado a confondersi. In particolare, le principali connotazioni della parola “etnicità” riguar-dano per lo meno le tre seguenti e distinte dimensioni: la prima è data dal suo significato originario associato alla parola “razza”; la seconda è connessa alle dimen-sioni politiche del fenomeno; infine la terza è collegata alla dimensione culturale di un gruppo, comprendente, dunque, elementi come la lingua, la civiltà, la religio-ne. Mentre segnaliamo che per noi qui le parole “etni-co” e similari sono intese sempre secondo quest’ultima accezione, rimandiamo, per un utile excursus delle va-rie dimensioni assunte dal concetto di “etnicità” nelle scienze sociali, alla dettagliata analisi proposta da Fred Riggs (1991).Ciò considerato, ci pare che la formula “società multiet-nica e multiculturale” sia stata generalmente accolta nel-la società italiana con un tale acritico entusiasmo che non può non lasciare perplessi. Va così in primo luogo distinto – come fa Vincenzo Cesareo (2001) – il diverso significato dei due termini (multietnicità e multicultura-lità) che, in quanto utilizzati generalmente in modo asso-ciato, si finisce spesso ed erroneamente con l’equiparare. Va così osservato che se una società multietnica (che con-sta cioè della coesistenza su un determinato territorio di differenti gruppi etnici) è sempre multiculturale (in quanto ciascun gruppo etnico è portatore di un suo spe-cifico patrimonio culturale) non è necessariamente vero il contrario in quanto le differenze culturali sono ascri-vibili, ovviamente, non solo all’etnicità ma anche alle dif-

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 145 11/10/11 10:14

Page 146: confronti 1-2 2011

146 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

La salvaguardia dell’identità nazionale in una società

ineluttabilmente destinata a divenire vieppiù multietnica

non può non essere associata alla definizione di una politica

migratoria realistica e permeata da un

responsabile spirito di solidarietà

ferenti religioni, alle differenti ideologie, alla stratifica-zione sociale, ecc. Ma ciò che non va trascurato è una differenza ancora più sostanziale: il concetto di società multietnica si limita a descrivere una realtà di fatto, è cioè un concetto di tipo de-scrittivo, al contrario quello di società multiculturale è un concetto di tipo normativo che tende cioè a definire una realtà sociale che, eventualmente, si desidera realizzare. In altri termini, mentre il concetto di società multietnica costituisce il mero riconoscimento di una serie di dati di fatto emergenti dalla realtà, la società multiculturale non è altro che un progetto cioè una delle molte scelte politi-che che eventualmente si possono privilegiare per offrire un “accomodamento”, fra i numerosi possibili, alle com-plesse problematiche che suscita la società multietnica.La salvaguardia dell’identità nazionale in una società ine-luttabilmente destinata a divenire vieppiù multietnica non può non essere associata alla definizione di una po-litica migratoria realistica e permeata da un responsabi-le spirito di solidarietà oltre che alla messa a punto dei necessari controlli per contenere gli ingressi clandestini. Sono questi gli snodi del nostro tema che, in questi ulti-mi anni, hanno monopolizzato il dibattito nella società italiana e in quelle occidentali riguardo all’organizzazio-ne sociale, costringendo così non pochi policy makers a prendere posizione in un modo o nell’altro tenendo pre-senti i rischi sempre incombenti in una società multiet-nica. Merita sottolineare, infatti, come al giorno d’oggi la maggior parte dei conflitti non sono innescati dall’in-vasione di un Paese da parte di un altro bensì insorgono fra gruppi etnici e/o culturali diversi, conviventi all’in-terno dei confini di un singolo Stato, come ad esempio in Ruanda, in Bosnia, in Kosovo, a Timor Est, in Sudan/Darfur, in Congo, in Afghanistan, ecc.Si ha l’impressione, in altre parole, che spesso i canto-ri della società “ecumenica”, “sinfonica”, “arcoba leno”, ecc. non si rendano conto che l’impatto su un gruppo au-toctono dei portatori di un’altra cultura che tende a por-si pubblicamente genera naturalmente, e in particolare

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 146 11/10/11 10:14

Page 147: confronti 1-2 2011

147Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Anche coloro che, a ragion veduta, credono di dover puntare in Italia sulla “società multietnica e multiculturale”, forse senza saperlo accreditano un approccio contro il quale le minoranze etniche, autoctone o immigrate, hanno a lungo lottato in difesa della propria identità

nei membri culturalmente più fragili del gruppo, una re-azione di rigetto facendo brutalmente prendere loro co-scienza che anch’essi appartengono a una cultura par-ticolare da salvaguardare e difendere. La loro fragile e incerta identità, ancora bambina, li porta naturalmen-te, per diventare un “noi” adulto, a «raccogliersi assieme che è anche un chiudere fuori, un escludere. Un “noi” che non è circoscritto da un “loro” nemmeno si costituisce» (Sartori, 2000:44). L’equivoco, però, non finisce qui, perché anche coloro che, a ragion veduta, credono di dover puntare in Ita-lia sulla “società multietnica e multiculturale” sembrano coltivare l’inconfessata assunzione che «i valori fonda-mentali della cultura occidentale moderna finiscano per prevalere su quelli più tradizionali portati dagli immi-grati. Integrazione che si traduce in assimilazione. Forse senza saperlo, [costoro] ammantano di supposto progres-sismo un approccio contro il quale le minoranze etniche, autoctone o immigrate, hanno a lungo lottato in difesa della propria identità» (Gubert, 1991:10).Ci resta ora il compito di offrire qualche chiarificazione della quarta e ultima parola chiave che gioca un ruolo de-terminante nella nostra discussione: quella di cittadinan-za. Date per conosciute le coordinate generali e lo sche-ma di riferimento “classico” relativo all’interrelazione fra i concetti di appartenenza sociale, cioè di nazione come “comunità societaria”, organizzata politicamente su basi territoriali e con una tradizione culturale relativamente comune, e cittadinanza come status di appartenenza al-la nazione, si tratta di passare all’esame della medesima questione dal punto di vista dei flussi immigratori. Que-sti ultimi vengono a costituire, provenendo dall’esterno, un banco di prova della cittadinanza come appartenenza alla nazione soprattutto dal punto di vista sociale e cultu-rale piuttosto che territoriale e politico, come potrebbe-ro essere intesi invece i processi, provenienti dall’interno della nazione, che reclamano l’autonomia politica di aree territoriali ora soggette a una medesima giurisdizione e sovranità statuale.

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 147 11/10/11 10:14

Page 148: confronti 1-2 2011

148 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

A proposito delle relazioni fra

cittadinanza e immigrazione,

l’approccio adottato è stato quello di

tipo generalmente giuridico-

amministrativo. Per completare

tale approccio si tenterà in questa sede di proporre

alcune indicazioni di carattere più

propriamente sociologico

A proposito delle relazioni fra cittadinanza e immigrazio-ne, diversi studi, anche relativi al caso italiano, si sono ci-mentati nell’individuazione delle condizioni, delle proce-dure e degli esiti attraverso i quali gli immigrati possano o meno ottenere la cittadinanza, comparando tali condi-zioni, procedure ed esiti con quelli previsti ed attuati in diversi Paesi europei (Leca, 1990:254-258). L’approccio adottato in questi casi è stato quello di tipo generalmen-te giuridico-amministrativo, declinato secondo i criteri prevalenti, concettualmente distinti, dello jus soli e dello jus sanguinis e di una loro combinazione empiricamente variabile. Per completare tale approccio si tenterà in que-sta sede di proporre alcune indicazioni di carattere più propriamente sociologico, considerando innanzitutto la questione da due punti di vista principali:

1) quello della comunità nazionale di arrivo, intesa come collettività sociale politicamente organizzata su basi territoriali e con una tradizione culturale relativamen-te comune;

2) quello degli immigrati, intesi sia come singoli sia co-me collettività (comunità e/o associazioni etniche) e definiti da una condizione di “appartenenze moltepli-ci” (Pollini, Venturelli, 2002).

Accanto alla dimensione dell’appartenenza nazionale o cittadinanza si collocano – oltre quella della semplice localizzazione territoriale – almeno altre due dimensio-ni non necessariamente incompatibili con essa, e preci-samente la dimensione della partecipazione ecologica e quella della conformità culturale. In altri termini, se la cittadinanza designa la piena appartenenza alla comuni-tà nazionale, a fronte della quale vengono riconosciuti e conferiti determinati diritti e richiesti determinati dove-ri a coloro che ne fanno parte in quanto cittadini, accan-to ad essa e non necessariamente coincidente con essa, possono sussistere anche la partecipazione ecologica e la conformità culturale. Ciò significa che è possibile, con riferimento agli immigrati, ammettere e riconoscere al-

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 148 11/10/11 10:14

Page 149: confronti 1-2 2011

149Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

I diritti naturali dell’uomo, lungi dall’essere un portato e una conseguenza dei diritti del cittadino, vengono a costituire il fondamento di questi ultimi

In aggiunta al punto di vista della società di arrivo nei confronti degli immigrati e alle relative politiche dell’immigrazione è necessario considerare il punto di vista degli immigrati

tre condizioni diverse da quella della cittadinanza, con i diritti a essa connessi (Marshall, 1950; Parsons, 1970), sempre a partire dal riconoscimento e dal conferimento del diritto di mobilità territoriale nonché e soprattutto dei diritti umani che, in quanto tali, sono pertinenti ad ogni uomo e ad ogni donna, qualunque sia la loro col-locazione territoriale ed il loro status sociale, politico e giuridico particolare. Secondo questa prospettiva i diritti naturali dell’uomo, lungi dall’essere un portato e una conseguenza dei diritti del cittadino, vengono a costituire il fondamento di que-sti ultimi, competendo ed essendo da riconoscere a cia-scuna persona umana, indipendentemente dal fatto di essere cittadino, ossia membro di una determinata na-zione. Più nello specifico, i diritti umani competono a ciascun individuo, sia egli si trovi nella condizione della localizzazione territoriale o della partecipazione ecologi-ca o dell’appartenenza sociale o della conformità cultu-rale. In corrispondenza, quindi, alle diverse dimensioni del coinvolgimento degli immigrati nella società di arri-vo (localizzazione territoriale, partecipazione ecologica, conformità culturale e cittadinanza in quanto piena ap-partenenza alla comunità nazionale) saranno da preve-dere il riconoscimento ed il conferimento differenziato dei diversi diritti, a partire, come si è appena scritto, dai diritti umani che costituiscono per tutti la base impre-scindibile per il riconoscimento e per il conferimento dei diritti civili, sociali, politici e culturali (Pollini, 1987; Zin-cone, 1992, Donati, 1993).In aggiunta al punto di vista della società di arrivo nei confronti degli immigrati e alle relative politiche dell’im-migrazione è necessario considerare il punto di vista de-gli immigrati in quanto attori sociali e in particolare quel-lo della loro propensione all’inclusione lato sensu nella società di arrivo. Questo è un punto di vista solitamen-te trascurato e che postula che “tutti devono diventare cittadini ad ogni costo”. In effetti, se per taluni lo status della cittadinanza è di carattere ascritto, dipendendo so-litamente dalla coincidenza di legame di sangue e radica-

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 149 11/10/11 10:14

Page 150: confronti 1-2 2011

150 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

Non è affatto detto che tutti gli immigrati

desiderino diventare cittadini italiani.Dai dati ricavati

da una recente indagine empirica

emerge con nettezza una differenziazione

nella propensione all’acquisizione

della cittadinanza italiana

mento nel luogo, per altri, essendo di carattere acquisito, non può prescindere da una qualche forma di adesione volontaria. E quest’ultima, d’altra parte, può a sua volta essere intesa come uno dei requisiti, di carattere sogget-tivo, per l’acquisizione della cittadinanza.Tra i fattori che possono influire sull’orientamento e sull’atteggiamento degli immigrati a proposito della que-stione della cittadinanza e quindi sulla loro propensio-ne ad acquisirla o meno, alcuni autori hanno distinto tra fattori strutturali, fattori individuali e calcolo dei costi-benefici (Hammar, 1990; Yang, 1994), venendo a deline-are diversi tipi di immigrato in una ipotetica scala che va dallo straniero al cittadino passando attraverso lo stato intermedio del semi-cittadino (denizen), mediante suc-cessivi cancelli che regolamentano via via l’accesso agli stadi successivi.Dai dati ricavati da una recente indagine empirica su un campione di settecento immigrati in Italia provenienti da sette diverse nazioni (Tunisia, Marocco, Senegal, Gha-na, Cina, Filippine ed ex Yugoslavia) (Pollini, Venturel-li, 2002) emerge con nettezza una differenziazione nella propensione all’acquisizione della cittadinanza italiana. Tale differenziazione concerne in primis il genere di ap-partenenza nazionale degli immigrati e poi via via tutte le altre caratteristiche che vengono a determinare i line-amenti del ruolo dell’immigrato e gli orientamenti a esso corrispondenti. Tra queste caratteristiche, di tipo anagra-fico, ecologico, sociale e culturale, sono da evi denziare soprattutto quelle relative al sistema delle appartenen-ze molteplici, il che ci mostra un profilo degli immigrati più articolato e complesso, quello di attori socialmente e culturalmente caratterizzati e non appena come cate-goria sociale omogenea e internamente indifferenziata.

Della tolleranza e del multiculturalismoCome ha osservato Giuseppe De Rita (2010:611): «In Ita-lia abbiamo vissuto un processo migratorio caratterizza-to da due polarità contrapposte: da una parte l’accoglien-za ad oltranza e dall’altra il respingimento».Ciò, ha finito

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 150 11/10/11 10:14

Page 151: confronti 1-2 2011

151Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

C’è il rischio molto diffuso di scivolare dolcemente, quasi impercettibilmente, da un’idea di società fondata sul “diritto alla differenza” a quella di una società che si accontenta più semplicemente di galleggiare sul “diritto all’indifferenza”

col rendere la questione migratoria una frattura che di-vide il nostro Paese impedendo qualsiasi lavoro comune su tale tematica e rendendoci dunque impotenti di fron-te a quello che resta uno dei problemi più rilevanti circa il nostro futuro.Nel vivace dibattito che ruota attorno alla società mul-tietnica e al progetto di una società multiculturale, fa as-sai spesso capolino la qualificazione di società tolleran-te come chiave di volta per gestire una questione quanto mai complessa. Essa è evocata con la precisa intenzione di indicare una sorta di stella polare ritenuta assai utile nel guidare atteggiamenti dell’animo e conseguenti con-creti comportamenti delle persone, dei gruppi come pu-re delle istituzioni. Per la verità una tale opzione è ancora ampiamente in fieri nelle società che si autodefiniscono multiculturali, mentre non pochi osservatori mettono all’indice il rischio molto diffuso di scivolare dolcemente, quasi impercettibilmente, da un’idea di società fondata sul “diritto alla differenza” a quella di una società che si accontenta più semplicemente di galleggiare sul “diritto all’indifferenza” e, ciò non di me-no, definendo una simile società multiculturale e tolleran-te. Quest’ultima è al contrario l’esito di un impegno attivo volto a consentire e a favorire la possibilità per tutti i por-tatori di appartenenze etniche e culture diverse di espri-mersi liberamente e con piena aderenza al proprio parti-colare sistema di tradizioni, credenze e valori. Tutto ciò, naturalmente, fatto salvo il rispetto delle norme e leggi che regolano l’organizzazione sociale dei Paesi che li ospitano. Con quest’ultimo inciso non intendiamo riferirci soltanto all’ovvio divieto che l’immigrato in Italia commetta atti criminosi bensì anche all’eventualità che in forza della sua appartenenza ad una diversa cultura tenti di trasfe-rire norme e consuetudini del proprio Paese in Italia. In questo senso il riferimento è rivolto particolarmente alla sharia degli islamici desunta dal Corano e dalla Sunna. A questo proposito Samir Khalil Samir (1990:58) osserva: «L’Islam è una religione inglobante, che si definisce come “religione, società e stato” (dìn wa-dunyâ wa-dawla) o la

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 151 11/10/11 10:14

Page 152: confronti 1-2 2011

152 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

religione delle tre D. Essa rappresenta un sistema totale, che non prevede alcun difetto». Con rigida coerenza, ne consegue una sovrapposizione di religione e politica che si traduce nella derivazione del diritto positivo da istan-ze squisitamente religiose. Così norme inconsuete per le società laiche occidentali regolano la vita civile e fami-liare delle società islamiche come, ad esempio: lo sciogli-mento automatico del matrimonio in caso di conversione del coniuge a religione diversa dall’Islam; la possibilità di sottrarre la custodia dei figli alla madre quando si ha il sospetto che li educhi ad altra religione; l’impedimen-to alla successione ereditaria in caso di conversione ad altra religione; ecc. (Paolucci, Eid, 2004).La nostra impressione, come si sarà compreso, è che con l’uso diffuso, fino all’abuso, del qualificativo tollerante si finisca per non ottenere ciò che si vorrebbe, cioè la ne-

Il primo Paese multiculturale

Nel 1971, il Canada si proclamò ufficialmente paese multicul-turale diventando così la prima nazione al mondo ad adot-tare una prospettiva pluralista nella gestione dei rapporti tra lo Stato e le minoranze etno-culturali. Da allora, il multicul-turalismo canadese ha conosciuto molte trasformazioni non di meno la formula del mosaico canadese è sempre emersa, sulla scena internazionale, come modello coerente ed effi-ciente, capace di realizzare, nella pratica quotidiana, l’ideale dell’unità nella diversità. Un’indagine empirica in loco, tuttavia ha di recente mostra-to (Lucchese, 2008) come la realtà non sempre coincida con i principi. Il campo della ricerca si concentra sul settore dell’i-struzione, uno dei fondamentali pilastri di questa politica (ri-ferendosi all’insegnamento dell’inglese a tutte le minoranze non anglofone). È questo un obiettivo che costituisce il prere-quisito chiave per poter accedere e partecipare alle istituzioni della vita politica, economica e sociale così da garantire eguali opportunità educative agli studenti di background diversi. In altri termini la diffusione dell’apprendimento dell’inglese si propone di svelare e abbattere le strutture di esclusione e di-scriminazione, che sistematicamente penalizzano le minoran-

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 152 11/10/11 10:14

Page 153: confronti 1-2 2011

153Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Una società tollerante, in realtà, è l’esito di pratiche coerenti e sinergiche in tale direzione da parte d’istituzioni, gruppi e individui

cessaria chiarezza circa la strada da scegliere. L’uso in-discriminato del termine tolleranza finisce, infatti, per evocare – anziché la luce pulita di una stella in grado di orientare un cammino lungo, ancorché arduo e in salita – la luminescenza vaga di un’assai più vasta e poco defi-nita nebulosa che lascia intravedere luci e ombre sfuma-te, poco utile perché di non facile interpretazione e valu-tazione ai fini di scelte operative coerenti.Una società tollerante, in realtà, è l’esito di pratiche coe-renti e sinergiche in tale direzione da parte d’istituzioni, gruppi e individui. Se nel caso del Canada, dell’Olanda e degli Stati Uniti, ad esempio, qualche passo in questa direzione da parte dello Stato è oggettivamente rinveni-bile, benché non sempre condivisibile (come segnalano i tre box loro dedicati) ben diversa è la situazione che si riscontra in Italia.

ze e sono funzionali alla riproduzione dell’ordine precostituito. I programmi d’Inglese come Seconda Lingua (ESL) rappre-sentano, nel vasto campo dell’istruzione multiculturale, le forme più radicate e sistematizzate di supporto e sostegno alle minoranze etno-linguistiche. Per il governo, assicurare agli studenti non anglofoni il diritto all’istruzione linguisti-ca, rappresenta non soltanto un dovere etico ma anche una grande opportunità economica, in questo modo, infatti, si crea nuovo capitale umano da investire nel sistema di pro-duzione economico.Dall’indagine, sono emersi però particolari poco idilliaci e a tratti inquietanti sulla realtà quotidiana che svelando pro-blemi e contraddizioni insiti nel processo d’implementazione degli ideali multiculturali si sono tradotti per lo più in inizia-tive di tipo celebrativo e/o folcloristico incapaci di agire sul piano dell’intercultura e dell’equità. Andrebbero, inoltre, mo-dificati i meccanismi di finanziamento dei corsi di ESL, pre-vedendo sistemi di controllo e sanzioni, al fine di vincolare i Provveditorati a spendere i fondi, versati per i programmi di ESL, in questo specifico ambito di spesa. In conclusione, il modello canadese, così ampolloso ed enfatizzato all’esterno, appare, in realtà, notevolmente deludente perché incompiu-to e frammentato all’interno.

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 153 11/10/11 10:14

Page 154: confronti 1-2 2011

154 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

Spesso gli effetti di tali politiche

sull’opinione pubblica non

hanno impedito la diffusione di

pregiudizi verso la diversità degli

immigrati

Nel suo complesso, l’azione dello Stato con riferimento alle politiche migratorie pare decisamente frenata dal-la difficoltà di aderire pienamente all’idea di un ordina-mento liberale dal quale in modo più naturale possono derivare modalità civili di affrontare la sfida della diffe-renza. Sul piano pratico questo si traduce nell’affannoso approntamento di una legislazione lacunosa, oltre che spesso in una mancanza di coordinamento fra volontà dell’autorità centrale e azioni concrete di quelle locali che presenta – per dirla con Giovanna Zincone (1999:45) – una «propensione strategica all’auto-contraddizione». Spesso gli effetti di tali politiche sull’opinione pubbli-ca non hanno impedito la diffusione di pregiudizi verso la diversità degli immigrati. Un’essenziale rassegna dei pregiudizi più diffusi fra gli italiani verso gli immigrati, abbondantemente cavalcati dai media, dovrebbe com-prendere almeno i seguenti: gli immigrati nel nostro pa-ese sono troppi; ci rubano il lavoro; sono potenziali de-linquenti; sono ignoranti e analfabeti; molti sono fanatici integralisti; ci portano in casa un modo di vivere incom-

Il Polder model

L’Olanda è il paese che in Europa più di ogni altro aveva de-cisamente imboccato la via verso una società multiculturale e conosciuto contemporaneamente negli anni ’90 una fase di crescita economica fra le più dinamiche accompagnata da un andamento della spesa pubblica assai virtuoso tanto da far parlare di miracolo economico olandese. Con il nuovo secolo, non di meno, questo Paese deve fare i conti con una crisi economica profonda. Essa riguarda in primo luogo i ritmi di crescita dell’economia che dopo un quinquennio di crescita molto soddisfacente fra il 4,5-5% co-nosce una pesante stasi. Inoltre anche il bilancio pubblico, che veniva da una situazione di costante surplus, conosce dal 2003 una flessione significativa. Il Polder model, fonda-to su alta crescita, stabilità finanziaria e larghezza di risorse da ridistribuire con il welfare state, sembra ormai comple-tamente tramontato. Ma non è tutto. Dopo l’assassinio del

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 154 11/10/11 10:14

Page 155: confronti 1-2 2011

155Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

patibile con la nostra cultura; portano in Italia droga, prostituzione e malattie da tempo scomparse. Secondo lo schema proposto da Van Dijk (1994), i pregiudizi etni-ci si riproducono e diffondono essenzialmente seguendo tre percorsi che finiscono col rafforzarsi reciprocamente:

– accentuando l’enfasi sulla diversità culturale che rende oggettivamente difficile attivare un dialogo costruttivo con gli “altri”;

– ponendo in primo piano la competizione con i mem-bri degli altri gruppi etnici in termini di distribuzione delle risorse (in particolare: lavoro, casa, servizi);

– sottolineando il pericolo che gli “altri”, in forza della loro diversità, rappresentano nei riguardi sia della no-stra sicurezza personale sia della salvaguardia della nostra identità culturale.

Un sistema pluralistico, naturalmente, presuppone la tolle-ranza cioè il rispetto dei valori altrui, ma ciò non vuol dire che un sistema pluralistico non abbia valori propri, che ac-

regista Theo Van Gogh da parte di un fanatico musulmano e le reazioni che ne sono seguite, anche il sogno della socie-tà multiculturale sembra essersi drammaticamente infranto e il modello sinora seguito pare al momento messo da par-te con ampio consenso di un’opinione pubblica sempre più stanca e disillusa. Appare emblematica, in questo senso, la valutazione che i politici olandesi danno oggi della loro pio-nieristica esperienza di società multiculturale definendola: “una scatola vuota”. Ormai la società della tolleranza – dove la marijuana si com-pra liberamente nei caffè, dove i matrimoni omosessuali sono tutelati per legge, dove la prostituzione costituisce un libero commercio al pari di tutte le altre attività commerciali, dove le scuole di ogni religione sono sostenute dal finanziamento pubblico, dove le tre reti televisive pubbliche sono lottizzate non solo fra i partiti (i socialdemocratici del Vara e gli indi-pendenti del Vpro) ma anche fra religioni (cattolici, prote-stanti e evangelici) – sembra destinata a tramontare.

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 155 11/10/11 10:14

Page 156: confronti 1-2 2011

156 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

Non tutti gli aspetti delle diverse culture sono degni di eguale

considerazione, si tratta di discernere

ciò che di una data cultura è condivisibile, rispettabile e

tollerabile. Vi sono poi gli aspetti non

tollerabili

cetti una prospettiva relativista, tutt’altro! Il che fa sì che la tolleranza debba di fatto conoscere dei limiti. Stefano Za-magni (2000:244) suggerisce a questo proposito un sempli-ce strumento analitico che se applicato (il che presuppone però una notevole mole di lavoro) potrebbe rivelarsi assai utile per il lungo cammino che ogni società che si vuole multiculturale si trova oggi davanti. A questo proposito egli scrive «acquisito che non tutti gli aspetti delle diverse cultu-re sono degni di eguale considerazione, si tratta di discer-nere ciò che di una data cultura è: condivisibile, rispettabile e tollerabile. Vi sono poi gli aspetti non tollerabili. Chiara-mente, la tolleranza copre la gamma più vasta di posizioni e di atteggiamenti. Il rispetto, invece, è più discriminante; ancora più discriminante è la condivisione».

La sfida dei latinos al modello d’integrazione americana

Molto a lungo l‘esempio tipico di modello d’integrazione de-mocratico e rispettoso delle minoranze è stato quello ameri-cano che presenta però particolarità non prive di un qualche interesse anche per noi europei. L’identità americana si è co-stituita su valori e istituzioni portati seco, come un bagaglio a mano, dai primi colonizzatori WASPs (White-Anglo-Saxon-Protestants) arricchitasi poi, ma non snaturatasi, con l’ap-porto dei secondi arrivati, nei cento anni a cavallo del 1900, provenienti per lo più dalle campagne dell’Europa centro-meridionale a prevalente cultura cattolica. Col tempo, sia pure con qualche difficoltà, avveniva una sal-datura della cultura dei primi con i secondi arrivati mentre, tuttavia, restavano relegati sostanzialmente ai margini i ne-ri e la loro cultura nonostante il loro peso quantitativo e le lunghe lotte per l’emancipazione. Esito del processo era un’i-dentità costruita su valori come la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, il ruolo limitato del governo, la centralità della figura dell’imprenditore, l’economia di mercato. L’assetto così conseguito è oggi sottoposto a una nuova sfida, che si colloca in uno scenario profondamente rinnovato per-ché determinato sia dalla fine della guerra fredda sia dall’av-vento di un’epoca di globalizzazione. In questo contesto non

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 156 11/10/11 10:14

Page 157: confronti 1-2 2011

157Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Se le istituzioni paiono impacciate a misurarsi con la sfida della diversità, vi è al contrario una notevole effer-vescenza d’iniziative e disponibilità all’innovazione, sia nell’impegno e mobilitazione a favore degli immigrati sia nel rispetto delle loro culture, da parte delle associa-zioni della società civile (Ambrosini, 2000), le quali però presentano, e non da oggi, una grave e diffusa debolezza strutturale. Nonostante la notevole crescita attuale sia nel numero dei tipi associativi e ancor di più della partecipa-zione quantitativa alla loro membership – con eccezione dei partiti politici e dei sindacati che sono da trent’anni in deciso calo (Scidà, 2000) – si deve infatti riconoscere la vita stentata e continuamente a rischio che conducono questi gruppi sia per la scarsità di fondi di cui dispongo-

sono tanto i neri quanto piuttosto gli ultimi arrivati, i latinos, a divenire in modo crescente i reali protagonisti del rifiuto del modello d’integrazione. I loro tumultuosi flussi immigratori sono rappresentati in particolare da immigrati provenienti dal Messico che costituiscono, oggi, il 27,6% della popola-zione residente negli USA ma non nata in quel Paese. Va ri-levato, inoltre, come il confine tra Messico e Stati Uniti non solo si estende per oltre 3.000 km. ma rappresenta la linea di separazione fra due realtà umane che contengono il più alto gap nel reddito pro capite al mondo, il che si traduce, inelut-tabilmente, in un tendenziale crescente tasso d’immigrazio-ne illegale (Aloìa, 2004). Come osserva Samuel Huntington in un suo recente volume (2005) quest’ultima ondata migratoria verso gli USA risulta assai più ardua da integrare di tutte le precedenti e in questo senso costituisce un’autentica sfida al modello americano. I latinos, infatti, tendono non solo a concentrarsi su aree cir-coscritte del territorio americano (in particolare in Califor-nia), processo per altro comune a non pochi altri movimenti migratori, ma soprattutto non paiono orientati ad assimilarsi apprendendo l’inglese, celebrando matrimoni misti, puntan-do alla proprietà dell’abitazione, perseguendo carriere pro-fessionali e manageriali. In conclusione, Huntington teme il graduale consolidarsi di un’America disarticolata in due realtà popolari portatrici di altrettante culture, lingue e stili di vita.

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 157 11/10/11 10:14

Page 158: confronti 1-2 2011

158 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

L’Italia sembra abbondare

d’individui che sono sempre pronti

a dichiararsi tolleranti verso le

culture “altre” dalla propria. A fronte di queste diffuse

dichiarazioni, troppo facili perché

gratuite, bisogna, come ovvio, essere

molto cauti

no sia anche per la debole influenza e capacità di inter-dizione che, tutto sommato, sono in grado di realizzare in Italia. In un simile contesto, la spinta decisiva verso la concreta costruzione di una società tollerante sembra non poter venire da altro se non dagli atteggiamenti e dai comportamenti delle persone.

La società tollerante presa sul serioPoco male, si potrebbe osservare: l’Italia sembra abbon-dare d’individui che sono sempre pronti a dichiararsi tol-leranti verso le culture “altre” dalla propria. I dati ottenuti da un sondaggio per il “Primo rapporto sull’integra zio ne degli immigrati in Italia” (Zincone, 1999) segnalano che ben l’84,1% degli intervistati di un campione rappresen-tativo degli italiani dichiara che – per essere accettati a pieno come membri della comunità – i membri di grup-pi minoritari non debbano abbandonare la propria cul-tura. Il 50,9% ritiene addirittura che non debbano farlo neppure se le pratiche culturali o religiose impediscono il rispetto della legge. A fronte di queste diffuse dichiarazioni, troppo facili per-ché gratuite, bisogna, come ovvio, essere molto cauti. Na-turalmente la propensione degli italiani all’accoglienza degli “altri” tende a lasciare trasparire una certa insoffe-renza quando la domanda del questionario tocca aspet-ti meno generici e più pregnanti. Al 17,4% degli intervi-stati, ad esempio, darebbe fastidio avere come vicino di casa un immigrato, ma la percentuale sale al 27,7% nel Nord Est italiano ove pure è assai più alta della media nazionale l’integrazione degli stranieri nel mercato del lavoro regolare. Se considerassimo un immaginario campione di italia-ni, troveremmo infatti, realisticamente, almeno quattro, se non cinque, possibili tipi di posizioni diverse riguar-do all’idea di tolleranza che proviamo a presentare nello schema che segue.3

(3) Anche Michael Walzer (1998:17) ha presentato un continuum di comportamenti tolleranti che merita di essere qui riportato: 1. rassegnazione (accettazione dell’altro per amor di pace); 2. indifferenza alla differenza; 3. accettazione stoica (riconoscere

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 158 11/10/11 10:14

Page 159: confronti 1-2 2011

159Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Comportamento

OrientatO a sé OrientatO agli altri

Atteggiamento PassivO 1. Indifferenza 2. Relativismo culturale

attivO 3. Interesse funzionale 4. Meticciato

5. Dialogo

La prima è quella di coloro che sono semplicemente indif-ferenti alle culture diverse dalla propria e probabilmente, ma ovviamente non necessariamente, anche a quest’ulti-ma. In questa accezione la tolleranza esclude l’oppressio-ne ma non include la relazione e neppure il rispetto. So-no, in altri termini e semplificando, individui agnostici di fronte al manifestarsi di espressioni culturali diverse che li lasciano in un atteggiamento passivo non percependo alcun interesse in ciò; ovvero, forse più frequentemente, soggetti che non hanno mai avuto la ventura di trovarsi a fare i conti con manifestazioni di culture diverse dalla propria o che, comunque, non si sono mai posti concre-tamente il problema di doversi relazionare con portatori di culture diverse.La seconda posizione è caratteristica di coloro che, ab-bandonata ogni propria appartenenza culturale partico-lare, sono andati scivolando verso il relativismo culturale che accetta acriticamente e passivamente di galleggiare in una sorta di deriva culturale senza problemi su quel non troppo ben definito mare aperto di culture diver-se, talvolta anche antitetiche, senza, apparentemente, ri-sentire alcun contraccolpo perdendosi in una sorta di ecumenismo secolare nel quale passivamente sembrano adattarsi in base al proverbiale “vivi e lascia vivere”. Il relativismo culturale, negando l’esistenza di valori uni-versali, si costituisce di fatto – se ne sia coscienti o meno – come il maggiore ostacolo sia al potenziale dialogo fra culture diverse sia ad un effettivo contrasto al pericolo

per ragioni di principio che gli altri hanno dei diritti anche se il modo in cui li eser-citano non mi piace); 4. apertura agli altri e curiosità; 5. approvazione entusiastica delle differenze.

Tipologia degli atteggiamenti e comportamenti “tolleranti”

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 159 11/10/11 10:14

Page 160: confronti 1-2 2011

160 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

del fondamentalismo dilagante che, del resto, proprio del relativismo è figlio in quanto incapace di imparare dagli altri senza necessariamente pensare di dover rinunciare a se stessi (Allodi, 2003).Una terza posizione è quella di chi si dichiara tollerante (e lo è in modo attivo) in quanto intravede, talvolta anche per esperienze concrete, in questa posizione di apertura e scambio con culture altre dalla propria la possibilità di trarne vantaggi, personali o meno, funzionali a propri specifici interessi, non necessariamente di carattere cul-turale. Per fare un solo esempio, tratto dalla cronaca, ci si può riferire al pronunciamento, nel 1997, dell’associa-zione degli imprenditori svedesi a favore dell’inserimento di forza lavoro multietnica e multiculturale in base a con-siderazioni dettate da mero calcolo economico. Il ricono-scimento delle diverse appartenenze religiose e nazionali dei dipendenti, infatti, consentiva al padronato l’oppor-tunità che le loro aziende potessero sviluppare attività a ciclo continuo e ciò col vantaggio, oltre che di valorizzare a pieno i propri investimenti in capitale fisso, senza nep-pure dover pagare le maggiorazioni dovute per festività non godute e straordinari essendo la scelta dei giorni fe-stivi – a parità di giorni lavorativi fra i dipendenti di di-versa appartenenza nazionale e religiosa – un’opportuni-tà lasciata alla libera scelta dei dipendenti. Una quarta posizione è rinvenibile fra coloro che vedo-no l’evoluzione dei sistemi sociali come un continuo pro-gresso verso la sintesi, l’ibridazione delle culture. Que-sto atteggiamento si fonda sulla convinzione che solo da un deciso rimescolamento, da un attivo meticciato, del-le culture possa derivare una nuova cultura, senza dub-bio priva di radici ma ritenuta di per sé superiore perché nata dal multiculturalismo e, appunto, dalla tolleranza. Come però è stato osservato, in una società tollerante e multiculturale ove «ogni cultura ha diritto di esprimer-si, ciò può giustificare e rinforzare la convinzione di su-periorità […] o addirittura causare ostilità nei confronti delle culture di altri gruppi e dei loro membri. Proprio l’aspetto tollerante del multiculturalismo può diventare

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 160 11/10/11 10:14

Page 161: confronti 1-2 2011

161Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Esiste, non di meno, una quinta posizione, quella del dialogo. Questo, tuttavia, presuppone un incontro fra soggettività coscienti della loro diversa identità ed anche della reciproca distanza culturale ma proprio per questo tese ad una mutua conoscenza e ad un paragone fra identità

controproducente e incoraggiare l’intolleranza» (Blau, 1995:57).Esiste, non di meno, una quinta posizione, quella del dialogo. Questo, tuttavia, presuppone un incontro fra soggettività coscienti della loro diversa identità ed an-che della reciproca distanza culturale ma proprio per questo tese ad una mutua conoscenza e ad un parago-ne fra identità. Non a caso, è il vuoto, non il pieno di identità, a generare il senso di minaccia che deriva dalla presenza dello straniero. Il dialogo autentico – esperien-za sempre difficile e impegnativa – rappresenta in que-sto caso la possibilità di una comprensione reciproca. Questa opzione è propria di coloro che sono disponibi-li all’incontro con culture diverse non solo perché non ne hanno paura ma ancor di più perché sono spinti da atteggiamenti di curiosità e interesse verso ogni mani-festazione dell’umano. Tale atteggiamento, però, non è dettato dal non avere nul-la da perdere circa le proprie eredità culturali, come per gli aderenti alla seconda posizione (relativismo culturale) o alla quarta (meticciato), e neppure dall’avere immediati interessi specifici, materiali o meno, come è proprio della terza posizione. Con le parole di J. Habermas (1998:55) potremmo dire di avere a che fare con un «universalismo sensibile-alle-differenze», il quale «prende la forma di un’“inclusione dell’altro” che ne salvaguardi le diversità senza né livellare astrattamente né confiscare totalitaria-mente». In ogni caso si tratta di una posizione che neces-sita di un’appartenenza culturale profonda (costruita nel tempo e rinvigorita con il confronto) e proprio per que-sto sempre disponibile a confrontarsi con gli altri, certa di arricchirsi e rivitalizzarsi completandosi con gli altri in un rapporto di reciprocità senza temere di perdersi o di essere risucchiata in quel vacuum culturale dell’omo-genizzazione globalizzante così tipico dei nostri tempi. Nella medesima direzione Sergio Belardinelli (2006:513) scrive che è nel dialogo, «nell’incontro con l’altro che noi possiamo scoprire non soltanto i nostri limiti, ma anche i tesori che si nascondono nella nostra cultura e ai quali

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 161 11/10/11 10:14

Page 162: confronti 1-2 2011

162 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

La condizione preliminare per

dialogare è che ci siano due voci,

e che le due voci rimangano distinte, ognuna espressione

di un soggetto che abbia un volto e

un’identità definiti

avevamo smesso di pensare o non avevamo mai pensato prima. […] È per questo che l’altro può diventare persino una risorsa, un’opportunità, un impulso ad andare più a fondo in noi stessi e, quindi, ad arricchirci». Si potrebbe affermare che proprio da un comportamento orientato al sé può insorgere, senza secondi fini, un com-portamento orientato agli altri. Questa posizione, dun-que, radicandosi nell’identità esclude la soppressione del-le identità diverse e garantisce, contemporaneamente, anche sul piano formale libera espressione per tutti in un quadro normativo istituzionalmente stabilito.La condizione preliminare per dialogare è che ci siano due voci, e che le due voci rimangano distinte, ognuna espres-sione di un soggetto che abbia un volto e un’identità defi-niti. Oggi, a volte, sembra necessario camuffarsi e coprire il proprio volto per stare di fronte all’altro: è il dialogo dei cosiddetti valori comuni cercati a tutti i costi come base di partenza anziché come possibile risultato di un cammino. Al contrario bisona esigere da parte di entrambi gli inter-locutori il desiderio di fare conoscere all’altro la propria posizione in maniera integrale (non soltanto nelle parti che non lo disturbano o non suscitano interrogativi) e di conoscere quella dell’altro nella sua complessità. Come ci si sarà resi conto, non è facile definire questa quinta posizione che pare assomigliare troppo a un mero wishful think. Naturalmente, non è sufficiente per chia-rificare questa posizione limitarsi a sottolinearne il suo carattere attivo ed a differenziarla, dalle altre posizioni sopra segnalate, con altrettante articolate negazioni. In aiuto al nostro tentativo di definire in modo più puntuale una posizione di tolleranza attiva e improntata al dialogo, dal forte sapore normativo, ci soccorre il dettato dell’arti-colo 1 della Dichiarazione di principi sulla tolleranza, do-cumento proclamato e sottoscritto il 16 novembre 1995 nell’ambito della Conferenza Generale dell’UNESCO, che mette a fuoco in positivo proprio quest’ultima posizione e che perciò ci pare utile riprendere qui a conclusione di questo contributo. «La tolleranza non è né concessione, né condiscendenza,

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 162 11/10/11 10:14

Page 163: confronti 1-2 2011

163Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

Il dialogo fra culture diverse, se appare essenziale e necessario per la mera convivenza pacifica sul nostro pianeta, si rivela quanto mai difficile perché richiede tre virtù particolarmente deficitarie nel patrimonio culturale e nelle regole sociali della società globale: l’umiltà, il rispetto reciproco e una paziente perseveranza

né compiacenza. La tolleranza è, soprattutto, un’attitu-dine attiva animata dal riconoscimento dei diritti uni-versali della persona umana e delle libertà fondamentali altrui. In nessun caso la tolleranza potrà essere utilizzata per giustificare violazioni a questi valori fondamentali. La tolleranza deve essere praticata dagli individui, dai grup-pi, dagli Stati. [...] «Conformemente al rispetto dei diritti dell’uomo, essere tolleranti non significa né tollerare l’in-giustizia sociale, né rinunciare alle proprie convinzioni, né fare concessioni a tal riguardo. La pratica della tolle-ranza significa che ciascuno ha la libera scelta delle pro-prie convinzioni e accetta che l’altro goda della stessa li-bertà. Essa significa l’accettazione del fatto che gli esseri umani, che si caratterizzano naturalmente per la diversi-tà del loro aspetto fisico, per le loro situazioni, per i loro modi di espressione, per i loro comportamenti e per i loro valori, hanno il diritto di vivere in pace e di essere come sono. Essa significa anche che nessuno deve imporre le proprie opinioni ad altri». La sfida che ci attende e che ha come posta in gioco il mutamento delle fondamenta del paesaggio economico, antropologico e culturale vede la pur laica società italia-na, tuttavia plasmata in profondità da bi millenarie tra-dizioni cattoliche, chiamata alla convivenza quotidiana con altre culture (e in particolare quella islamica) che ri-chiede urgentemente una discussione nei diversi ambiti istituzionali ma anche fra gruppi e singoli individui. Allo stato attuale, purtroppo, non si può non concludere che il dialogo fra culture diverse, se appare essenziale e neces-sario per la mera convivenza pacifica sul nostro pianeta ormai divenuto sempre più piccolo con l’avanzare del-la globalizzazione, si rivela contemporaneamente quan-to mai difficile perché richiede tre virtù particolarmente deficitarie nel patrimonio culturale e nelle regole sociali della società globale: l’umiltà, il rispetto reciproco e una paziente perseveranza.

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 163 11/10/11 10:14

Page 164: confronti 1-2 2011

164 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

Bibliografia

Allodi L. (2003), Globalizzazione e relativismo culturale, Edizioni Studium, Roma

Aloia A. (2004), Un sogno lungo un confine. Indagine sulla migrazione illegale delle donne negli Stati Uniti, in «So-ciologia urbana e rurale», 73, pp. 9-26

Ambrosini M. (2000), Senza distinzioni di razza. Terzo set-tore e integrazione degli immigrati, in G. Scidà (a cura di) Multiculturalismo e politiche migratorie, «Sociolo-gia e Politiche Sociali», 3, pp. 127-152

Belardinelli S. (2005), Noi e gli altri: il confronto intercul-turale tra dialogo e conflitto, in «Il nuovo Areopago», 2, pp. 21-31

- (2006), Multiculturalismo, bioetica e cultura occidenta-le, in «Medicina e Morale», 3, pp. 501-515

Blau P.M. (1995), Il paradosso del multiculturalismo, in «Rassegna Italiana di Sociologia», 1, pp.53-64

Boeri T. (2006), Tre segnali sull’immigrazione, lavoce.in-fo 24/7/2006

Cesareo V. (2001), Per un dialogo interculturale, Vita e Pensiero, Milano

De Rita G. (2010), Colloquio sulle migrazioni, in «Aggior-namenti Sociali», 9-10, pp. 602-14

Donati P. (1993), La cittadinanza societaria, Laterza, Ro-ma-Bari

- (2008), Oltre il multiculturalismo, Laterza, Roma-BariGubert R. (1991), Minoranze autoctone e minoranze im-

migrate: continuità/discontinuità negli approcci dell’a-nalisi sociologica, in L.Bergnach, E. Sussi, Minoranze etniche ed immigrazione. La sfida del pluralismo cultu-rale, FrancoAngeli, Milano, pp. 17-22

Habermas J. (1998), L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano

Hammart T. (1990), Democracy and the Nation State, Ave-bury, Aldershot Hants

Huntington S.P. (2005), La nuova America. Le sfide della società multiculturale, Garzanti, Milano

Leca J. (1990), Nazionalità e cittadinanza nell’Europa delle

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 164 11/10/11 10:14

Page 165: confronti 1-2 2011

165Studi, ricerche e documenti CONFRONTI 1-2/2011

immigrazioni, in AA.VV., Italia, Europa e nuove immi-grazioni, Ed. Fondazione G. Agnelli, Torino, pp. 201-260

Lucchese I.V. (2008), L’incantesimo canadese. L’integra-zione nelle società multiculturali, in «Il nuovo Areopa-go», 1, pp. 78-96

Marshall T.H. (1976), Cittadinanza e classe sociale, UTET, Torino (ed.or.1950)

Parsons T. (1994), Comunità societaria e pluralismo. Le differenze etniche e religiose nel complesso della cittadi-nanza, FrancoAngeli, Milano

Paolucci G., EID C. (2004), Cento domande sull’islam. In-tervista a Samir Khalil Samir, Marietti 1820, Genova

Pollini G. (1987), Appartenenza e identità. Analisi socio-logica dei modelli di appartenenza sociale, FrancoAn-geli, Milano

Pollini G., Scidà G. (2004), Sociologia delle migrazioni e della società multietnica, FrancoAngeli, Milano

Pollini G., Venturelli Christensen P. (2002), Migrazioni e appartenenze molteplici, FrancoAngeli, Milano

Riggs F.W. (1991), Ethnicity, nationalism, race, minority: a semantic/onomantic exercise, in «International So-ciology», parte prima 3, pp. 281-306 e parte seconda 4. Pp. 443-446

Samir K.S. (1990), Religione e cultura nel vicino oriente arabo. Islam e cristianesimo come fattori di integrazione e di conflitto, in G.Scidà (a cura di), Confronti transme-diterranei, Jaca Book, Milano, pp. 51-122

Sartori G. (2000), Pluralismo, multiculturalismo e estra-nei. Saggio sulla società multietnica, Rizzoli, Milano

Scidà G. (2000), La partecipazione associativa, in R. Gu-bert (a cura di), La via italiana alla post-modernità. Verso una nuova architettura dei valori, FrancoAngeli, Milano, pp. 111-135

- (2004), Trasmigranti. Un nuovo approccio alle migra-zioni in epoca di globalizzazione, in «Futuribili», 1-2, pp. 187-211

Smith A.D. (1984), Il revival etnico, Il Mulino, BolognaVan Dijk V. (1994), Il discorso razzista. La riproduzione

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 165 11/10/11 10:14

Page 166: confronti 1-2 2011

166 CONFRONTI 1-2/2011 Studi, ricerche e documenti

del pregiudizio nei discorsi quotidiani, Rubbettino, So-veria Mannelli

Walzer M. (1998), Sulla tolleranza, Laterza, BariYang P.Q. (1994), Explaining Immigrant Naturalisation,

in «International Migration Review», 3, pp. 449-477Zamagni S. (2000), Dalle politiche di integrazione dei mi-

granti alla politica del riconoscimento delle diversità, in «Studi Emigrazione», 138, pp. 229-246

Zincone G. (1992), Da sudditi a cittadini, Il Mulino, Bo-logna

- (1999), Illegality, enlightenment and ambiguity: a hot Italian recipe, in M.Baldwin-Edwards, J.Arango (eds.), Immigrants and the informal economy in Southern Eu-rope, Frank Cass, London, pp. 43-82

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 166 11/10/11 10:14

Page 167: confronti 1-2 2011

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 167 11/10/11 10:14

Page 168: confronti 1-2 2011

12_Studi_ricerche_documenti_B2.indd 168 11/10/11 10:14