03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / /...

52
I l titolo di questa lezione è: “Le cause e gli effetti politici della prima crisi globale”. È per me un onore leggerla in una sede politica tanto importante, quanto è la Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese. Ma sarà per me poi un onore ancora più grande ascoltare le vostre riflessioni e rispondere alle vostre domande. Io sono in Cina in questi giorni soprattutto per imparare. Il titolo di questa lezione è impegnativo, e per questo, nel prepararla, ho ogni giorno memorizzato il monito di Confucio: “Dobbiamo riesaminarci tre volte al giorno”. Nella lezione parlerò di crisi: - dal mio punto di vista, ed in specie dal punto di vista della “vecchia” Europa e della vecchissima Italia; - cercherò di entrare nello spirito del tempo che insieme viviamo. Crisi è una parola che deriva dal greco antico e significa rottura di continuità, discontinuità. Questa crisi non è stata un week-end e non è un garden-party. È stata – è – un vero cambio di paradigma. Un cambio di paradigma non solo economico, ma anche politico; non solo materiale, ma anche ideale. Il mondo non è e non sarà più come prima. È nelle nostre sorti farne tutti insieme un mondo migliore. Abbiamo infatti, e tutti insieme, un rendez-vous con il nostro destino. Ho disegnato questa lezione all’interno di una figura triangolare, chiusa tra 3 punti: - cosa ha causato, quale è l’origine della prima crisi globale? - cosa l’ha fermata? - cosa (che) fare? Tutto ha inizio in Europa, con la caduta del muro di Berlino. E tutto dura venti anni. Quanti sono gli anni che vanno dal 1989 al 2009. I venti anni che hanno cambiato la struttura e la velocità del mondo. Certo, quella che stiamo vivendo è una storia che già era “in divenire”, una storia iniziata già ai principi del ‘900, tanto in America, quanto in Africa ed in Asia. Ma è solo a partire dal 1989 che il tempo è stato prima compresso e poi improvvisamente è esploso. Mai nella storia dell’umanità un cambiamento così intenso è stato contenuto in un tempo così breve. Certo, alla metà del passato millennio, la scoperta geografica dell’America ha rotto il vecchio ordine chiuso dell’Europa, ha eroso la base del sistema feudale, ha fatto nascere nuove religioni e nuove tecniche. Ma è comunque stato un fenomeno che poi ha occupato lo spazio lungo di almeno due secoli. La crisi non è un pranzo di gala >>>> Giulio Tremonti >>>> dossier / la crisi e il cambiamento mondoperaio 5/2010 //// dossier / la crisi e il cambiamento // 5 // La crisi finanziaria esplosa nell'autunno dell'anno scorso non solo non è finita, ma si ripropone con maggiore virulenza. Ora aggredisce l'Europa, già in recessione per effetto dei fallimenti di Wall Street. I governi intervengono ancora con misure straordinarie, e probabilmente nell'immediato non c'è altro da fare. Ma quello che è accaduto e sta ancora accadendo impone una riflessione meno congiunturale sulle regole del mercato, sulla sua globalizzazione, sul cambiamento di pensiero che è necessario. Il dossier che pubblichiamo vuole essere un primo contributo a questa riflessione, e prende le mosse da due documenti che riteniamo particolarmente significativi: la lezione letta da Giulio Tremonti alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese il 19 novembre 2009 a Pechino, e la lezione sull'enciclica “Caritas in veritate” tenuta da Stefano Zamagni l'8 marzo di quest'anno nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma.

Transcript of 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / /...

Page 1: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Il titolo di questa lezione è: “Le cause e gli effetti politicidella prima crisi globale”.È per me un onore leggerla in una sede politica tantoimportante, quanto è la Scuola Centrale del PartitoComunista Cinese. Ma sarà per me poi un onore ancora piùgrande ascoltare le vostre riflessioni e rispondere alle vostredomande. Io sono in Cina in questi giorni soprattutto perimparare.Il titolo di questa lezione è impegnativo, e per questo, nelprepararla, ho ogni giorno memorizzato il monito diConfucio: “Dobbiamo riesaminarci tre volte al giorno”.Nella lezione parlerò di crisi:- dal mio punto di vista, ed in specie dal punto di vista della“vecchia” Europa e della vecchissima Italia;- cercherò di entrare nello spirito del tempo che insiemeviviamo.Crisi è una parola che deriva dal greco antico e significarottura di continuità, discontinuità. Questa crisi non è stata unweek-end e non è un garden-party. È stata – è – un verocambio di paradigma. Un cambio di paradigma non soloeconomico, ma anche politico; non solo materiale, ma ancheideale.Il mondo non è e non sarà più come prima. È nelle nostre

sorti farne tutti insieme un mondo migliore. Abbiamo infatti,e tutti insieme, un rendez-vous con il nostro destino.Ho disegnato questa lezione all’interno di una figuratriangolare, chiusa tra 3 punti:- cosa ha causato, quale è l’origine della prima crisi globale?- cosa l’ha fermata?- cosa (che) fare?Tutto ha inizio in Europa, con la caduta del muro di Berlino.E tutto dura venti anni. Quanti sono gli anni che vanno dal1989 al 2009. I venti anni che hanno cambiato la struttura ela velocità del mondo.Certo, quella che stiamo vivendo è una storia che già era “indivenire”, una storia iniziata già ai principi del ‘900, tanto inAmerica, quanto in Africa ed in Asia.Ma è solo a partire dal 1989che il tempo è stato prima compresso e poi improvvisamente èesploso. Mai nella storia dell’umanità un cambiamento cosìintenso è stato contenuto in un tempo così breve.Certo, alla metà del passato millennio, la scoperta geograficadell’America ha rotto il vecchio ordine chiuso dell’Europa,ha eroso la base del sistema feudale, ha fatto nascere nuovereligioni e nuove tecniche. Ma è comunque stato unfenomeno che poi ha occupato lo spazio lungo di almeno duesecoli.

La crisi non è un pranzo di gala>>>> Giulio Tremonti

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

/ / 5 / /

La crisi finanziaria esplosa nell'autunno dell'anno scorso non solo non è finita,ma si ripropone con maggiore virulenza. Ora aggredisce l'Europa, già in recessione

per effetto dei fallimenti di Wall Street. I governi intervengono ancora con misure straordinarie,e probabilmente nell'immediato non c'è altro da fare. Ma quello che è accaduto e sta ancoraaccadendo impone una riflessione meno congiunturale sulle regole del mercato, sulla sua

globalizzazione, sul cambiamento di pensiero che è necessario.Il dossier che pubblichiamo vuole essere un primo contributo a questa riflessione,e prende le mosse da due documenti che riteniamo particolarmente significativi:

la lezione letta da Giulio Tremonti alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cineseil 19 novembre 2009 a Pechino, e la lezione sull'enciclica “Caritas in veritate” tenuta da

Stefano Zamagni l'8 marzo di quest'anno nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma.

Page 2: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

/ / 6 / /

Diversamente, la scoperta economica dell’Asia non haoccupato il tempo lungo tipico della longue-durée, il ritmolento del passaggio da una umana generazione all’altra.All’opposto, ha occupato un segmento minimo di tempo, untempo compreso nella vita di ciascun uomo contemporaneo,quanti sono appunto venti anni. E quali anni: 9 novembre1989, la caduta del muro di Berlino, la fine di una divisioneartificiale del mondo durata mezzo secolo; 15 aprile 1994, lastipula di Marrakesh in Marocco del Trattato World TradeOrganization (WTO), il disegno di una nuova, piana emercantile geopolitica mondiale; 11 dicembre 2001, la Cinadiventa membro del WTO; estate 2007: inizia la prima crisifinanziaria globale; oggi, siamo nel novembre 2009.Il processo che si è sviluppato in questi venti anni si è basatosu di un mix fatto da cinque fattori fondamentali:– un fattore geopolitico: caduto il muro di Berlino, larotazione, dall’Atlantico al Pacifico, dell’asse del poterepolitico americano;

– un fattore tecnico: la diffusione e l’applicazionedell’informatica;

– un fattore economico: la divisione, prima del mondo, traAsia, produttrice di merci a basso costo, ed America,compratrice a debito;

– un fattore finanziario: la nuova tecno-finanza che, usandola magia fluida del nuovo denaro, il denaro bancario evirtuale, ha consentito il “miracolo” istantaneo dellaglobalizzazione;

– un fattore ideologico, sintesi di tutti gli altri: il“mercatismo”, l’ultima ideologia totalitaria del ‘900, ladivinizzazione politica del mercato.

In Europa, per secoli, la politica è stata nazionalmentedominata dalla triade: “Liberté, Egalité, Fraternité”. Laglobalizzazione ci ha illuso che quella vecchia triade potesse

essere superata da una nuova triade: “Globalité, Marché,Monnaie”, iscritta sul frontone del nuovo tempio del diomercato.È in questi termini che si vede il legame causa-effettosviluppato tra la globalizzazione (la causa) e la crisi(l’effetto). La globalizzazione non poteva certo esserefermata ed è stata – è – oltre ogni dubbio fondamentalmentepositiva. Ma tempo e metodo della globalizzazione potevanoforse essere un po’ più saggi, un po’ più lunghi. Forse cosìavremmo potuto evitare la crisi.Ma quella che abbiamo davanti, e che viviamo, è la realtà. Èla struttura materiale della nostra esistenza. E dobbiamoprenderne atto, notando filosoficamente che è comunqueproprio con la globalizzazione che si è avverata la profezia diMarx: “All’antica indipendenza nazionale si sovrapporrà unainterdipendenza globale”.Credo che ci possa appunto illuminare una analisi filosoficae perciò politica. Oggi comprendere cosa è successo ciaiuterà ad evitare una prossima crisi.Siamo entrati nel nuovo mondo globale, ma con le strutturepolitiche e giuridiche ancora proprie e tipiche del vecchiomondo. Il mercato è diventato globale, ma il diritto è rimastolocale. È così che si è creata una drammatica asimmetria traeconomia e politica, tra realtà e regole.È questa l’origine della crisi. Perchè l’asimmetria tramercato e regole è incompatibile proprio con il meccanismostrutturale tipico del capitalismo che, nella sua storia, nonesclude, ma all’opposto presuppone le regole. Invece, con laglobalizzazione e nella globalizzazione, la parte emergente epiù vitale del “nuovo” capitalismo globale si è sviluppatafuori dalle regole e perciò fuori dallo schema capitalisticoclassico.Ed in particolare si è sviluppata:– fuori dai vecchi “sistemi” giuridici, prendendo forma esostanza in parti del mondo dove agli operatori economicisi offrivano regimi giuridici che avevano solo la forma, manon la sostanza, propria delle vere giurisdizioni;

– fuori dagli schemi giuridici che storicamente sono statitipici e costitutivi del capitalismo; ed in specie: fuori dalloschema della società per azioni; fuori dallo schema deicodici che, pur ammettendo certi margini di libertàcontrattuale, tuttavia soprattutto prevedono e disciplinanocontratti tipici. È così che è nato il “nuovo” capitalismo. Ilcapitalismo atipico. Il capitalismo degli hedge fund e degliequity fund, dei contratti derivati, dello shareholder valuee dello short term. Si è dimenticato che la funzione della

Page 3: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

società per azioni non è solo quella di creare valore per gliazionisti, ma anche di creare valore per i lavoratori, ed inquesto modo per la società nel suo insieme. Si èdimenticato che la speculazione può anche essere unaparte, ma non è il tutto del capitalismo.

È così che la parte “nuova” del capitalismo è uscita dalla suaoriginaria e propria dimensione legale ed etica. È così che lafinanza è deviata e si è sviluppata non nel regno del diritto,ma nel regno opposto, nel regno del non diritto, nel regnodella ”anomia”. È così che le nuove mega-banche globalisono state costruite come piramidi senza base. È così che icontratti finanziari sono stati scritti come geroglificiilleggibili. È così che ciò che nel mercato doveva cancellareil rischio lo ha invece creato, e su scala incontrollata edincontrollabile. In sintesi, è così che la sovranità monetaria,il potere di emettere la moneta, un potere sovrano e perciòstoricamente proprio degli Stati, è stata invece ceduta dallapolitica al mercato. È così che si è infine realizzata, e con lacrisi ne stiamo pagando il prezzo, l’antica profezia di

Goethe: “I biglietti alati voleranno più in alto di quel che lafantasia umana può immaginare”.La crisi, nata dal mercato e nel mercato, è stata fermata dallapolitica e dai governi.In specie, contro la crisi i governi hanno fatto tre tipi dipolitica:– per il solo fatto che (ri)entravano nell’economia, un campoche prima si pensava dovesse essere monopolizzato dalmercato, hanno trasmesso ai popoli un messaggiofondamentale di fiducia;

– hanno fatto specifiche politiche di interventonell’economia reale: in specie, hanno fatto classichepolitiche keynesiane di investimento pubblico o, inalternativa e/o combinazione, hanno fatto nuove o post-moderne politiche di “stimolo” ai consumi;

– hanno soprattutto fatto particolari politiche di interventonel settore bancario e finanziario.

In questo settore le politiche fatte finora in Occidente, neidue anni che vanno dall’inizio della crisi ad oggi, sono state

/ / 7 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 4: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

varie e tra di loro discontinue: iniezioni di liquidità, manovresui tassi, riduzioni fiscali, fallimenti, infine salvataggigeneralizzati. Non sarebbe – non è – generoso formulare orauna critica a queste politiche. Ma ex post (e per la verità, perquanto mi riguarda, era evidente anche ex ante), è evidenteche potevano anche essere fatte scelte diverse.In particolare era possibile:– non salvare con la mano pubblica tutto il sistema bancarioe finanziario, definito in sé come tutto “sistemico” e perciòper definizione tutto di interesse generale e pubblico;

– ma salvare con la mano pubblica, nello spirito biblico dellasegregazione sabbatica e nella logica fallimentare tipicadel c.d. Chapter 11, salvare con la mano pubblica solo laparte di finanza connessa all’economia reale, lasciandoinvece fuori dal salvataggio pubblico la finanza deviata, inmodo che il relativo costo restasse a carico degli operatorieconomici che l’avevano generata.

In realtà vediamo che è stata fatta una politica molto diversa.Nel vecchio New Deal, dopo la crisi del 1929, il denaro

pubblico è stato usato nell’interesse diretto del popolo, perinterventi pubblici. Nel 2008 il denaro pubblico è statoinvece usato per salvare quasi tutte le banche e quasi tutti ibanchieri. È così che nel 2007-2008:– la mano pubblica ha immesso nel sistema bancario efinanziario una enorme massa di liquidità; liquidità chetuttavia, proprio per come è stata data ed a chi è stata data,non è passata – se non in parte – dalle banche alle imprese;restando prevalentemente nel possesso delle banche stesse;

– la mano pubblica ha simmetricamente trasferito sui debitipubblici una enorme massa di debiti privati.

In realtà, così facendo, lo scenario è stato solo tem-poraneamente modificato. Lo spazio del mercato è statocerto corretto dal tempo della politica. È così che abbiamoguadagnato tempo. Ma non dobbiamo sprecarlo, il tempocosì guadagnato, non possiamo sprecarlo illudendoci chetutti i problemi siano ormai scomparsi.Non possiamo farlo per due ragioni. Perchè la finanzadeviata non è stata ancora corretta, se non a parole. Perchè il

/ / 8 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 5: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

/ / 9 / /

debito pubblico è certo più stabile del debito privato, datoche i governi hanno poteri sovrani ed un orizzonte temporalemedio-lungo. Ma non dobbiamo dimenticare che, privato opubblico, il debito è sempre uguale al debito.In sintesi, le cause e gli effetti ed i rischi della crisi sonoancora fondamentalmente in essere: i corsi delle borsefinanziarie sono tornati ai livelli pre-crisi, ma non l’economiareale; la velocità di crescita dei contratti derivati è tornata asalire vertiginosamente, segno che la speculazione è tornatain azione senza freni. Si dice Business as usual. Appunto.Stanno tornando la vecchia avidità e la vecchia stupidità: ogni8 secondi si emette 1 milione di euro di nuovo debitopubblico, così bruciando nel presente il futuro dei nostri figli.Il tempo è sempre strategico, ed ora lo è più che mai. Il tempoche abbiamo guadagnato deve servire prima per pensare e poiper agire. Nel tempo che abbiamo guadagnato l’economia e lasocietà possono certo, e noi tutti lo speriamo, produrre effettipositivi. La paura è stata scacciata dalla speranza, i popolihanno riconquistato la fiducia, ed è in atto, ed è positivo, unforte cambio di paradigma. Per troppo tempo si è pensato chegli alberi crescessero dall’alto e non dal basso. Ora è chiaroche non è così e che non può essere così.La ricchezza non si produce a mezzo finanza, ma a mezzolavoro. È positivo il ritorno all’economia reale, allamanifattura, alla fabbrica. C’è il ritorno delle classilavoratrici. E, con questo, c’è il ritorno della famiglia e deivalori spirituali, prima oscurati dall’ideologia totalitaria del“mercatismo”.

Che fare?In questo scenario positivo la continuazione del commerciomondiale può riportare ricchezza. Le nuove tecnologie, che inostri laboratori stanno preparando, possono portare nuovaricchezza. La ripresa dell’economia può allontanare glispettri sempre incombenti tanto del protezionismo cheannichilisce la speranza, quanto dell’inflazione che distruggeil risparmio delle famiglie e degli Stati. In sintesi: sono incampo due motori. Il motore della finanza. Il motoredell’economia reale. La speranza è che la velocità delsecondo motore sia superiore alla velocità del primo motore.La paura arriva dall’ipotesi opposta.In ogni caso, si può – si deve – fare di più. Per consolidarela fiducia, perchè il bene vinca sul male, serve anche esoprattutto un nuovo ordine politico.Nell’autunno dell’anno scorso, nel pieno della crisi, pur

senza avere combattuto una guerra, abbiamo rischiato diavere tutti gli effetti distruttivi storicamente tipici di unaguerra: il collasso della fiducia, il blocco dei flussi monetari,il crollo delle borse, la caduta del commercio mondiale, ilrischio di relazioni protezionistiche, l’impatto negativo edistruttivo conseguente sui lavoratori e sulle famiglie.Il miracolo ha preso il nome del G20, la forma iniziale esperimentale della nuova necessaria governance mondiale.Niente è perfetto e tutto è “in divenire”. E certamente, ilG20 è ancora oggi insieme pletorico e soprattuttoasimmetrico, perchè non contiene adeguatamente larappresentanza dell’Africa e del mondo arabo.Ma, tuttavia, il G20 è stato – è – fondamentale. Il rapportotra G7 e G20 marca infatti molto più di una sempliceestensione numerica del formato diplomatico, il G20contenendo tredici paesi in più. Il passaggio dal G7 al G20marca infatti soprattutto la differenza tra due mondi: ilvecchio mondo; il nuovo mondo. Appena dieci anni fa il G7controllava circa l’80% della ricchezza del mondo ed eraunificato da tre codici: un unico codice monetario, ildollaro; un unico codice linguistico, l’inglese; un unicocodice politico, la democrazia occidentale.Il colpo di gong è stato suonato prima dalle “Torri gemelle”,e poi dalla crisi finanziaria. La verità è che è definitivamenteed improvvisamente terminato, anche nella sua ultima formapost-moderna, il vecchio ordine coloniale. La verità è che,dopo due secoli, è definitivamente ed improvvisamenteterminato – improvvisamente, perchè nella storia venti annisono un tempo davvero minimo – il rapporto “centro-periferia”. È finita l’idea di onnipotenza di una parte sultutto.Le forze più nuove e dinamiche, tanto dell’economia (ilmaggiore incremento del prodotto interno lordo del mondo),quanto della demografia (la parte più giovane dellapopolazione mondiale), si stanno infatti formando fuori dalvecchio G7. Forti della loro nuova vitalità, enormi parti delmondo si stanno liberando dalla forza di gravità che,direttamente o indirettamente, e per almeno due secoli, le haattirate verso la direzione unica del centro. Il vettore dellastoria non è più e non sarà più lineare, ma circolare. Ilmondo non è più e non sarà più unipolare o bipolare, mamultipolare.Come è scritto nella Bibbia, è anche dal male che può venireil bene. La crisi ci sta in specie offrendo proprio l’op-portunità di definire un nuovo ordine politico, simmetricorispetto al mercato. La sovrastruttura deve convergere sulla

Page 6: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

struttura. Un nuovo ordine politico che deve essere globale,come è globale il mercato. È questa una sfida politica nuovache dobbiamo tutti insieme saper affrontare.Un importante uomo politico occidentale ha appenadichiarato:”Rispetto a Bretton Woods ci sono in realtà delledifferenze giuridiche. Bretton Woods aveva la forma di unTrattato che andava ratificato dai Parlamenti. Non vogliamoquesto genere di complicazioni”. Se vogliamo consolidareciò che abbiamo raggiunto con il G20, e se vogliamo evitarela prossima crisi, non possiamo permetterci questo genere diillusioni e di errori.La crisi si è scatenata nel settore della finanza ma, come inmedicina così in politica, non possiamo e non dobbiamoscambiare i sintomi con la malattia, gli effetti con le cause.Serve una nuova atmosfera politica. E servono regolegiuridiche più generali, non basta scrivere un set di regole“tecniche”. È vero che nel mondo, nella storia, non è mai

stata scritta – finora non è ancora stata scritta – una Tabulamundi cosmopolita del diritto globale, un catalogo diprincìpi universali scritti senza nulla togliere al dirittointerno dei singoli Stati sovrani, ma aggiungendo una partecomune sovraordinata. Nella tecnica del diritto si trova unostrumento utile per fare questo tipo di esercizio. Unostrumento che prende proprio il nome di “Trattatointernazionale”. Ed appunto Bretton Woods è stato unTrattato internazionale.È stato un Trattato unilaterale, prima scritto dalla parte piùforte, e poi solo firmato per adesione dalle altre parti. Unnuovo Trattato non può essere fatto così. Deve esseremultilaterale non solo nell’adesione ex post, ma anche nellascrittura ex ante.Simbolicamente può essere preparato e scritto nella partepiù debole del mondo. Per esempio, in Africa.Il G20 è un corpus politico che ha avuto ed ha una

/ / 10 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 7: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

essenziale funzione operativa empirica. Ma ora, guardandoal futuro, serve un qualcosa in più. Qualcosa che abbia unvalore simbolico e politico nuovo, che rappresentiorganicamente il nuovo ordine.Qualcosa che trasmetta ai nostri popoli un messaggiopolitico permanente forte e condiviso – perchè fatto tuttiinsieme- di futuro e di pace. Di futuro nella pace.Questa idea, un prodotto del G7 italiano, è nata con il G7,ma non è del del G7 e per il G7. Guarda lontano, ha bisognodell’impegno di tutti. Ed in specie del contributo positivo ditutte le esperienze politiche, culturali e storiche, oltre che ditutte le sensibilità.L’idea non è quella di un codice fatto di vecchi codici, madi uno strumento per scrivere una nuova pagina della nostrastoria. Ha preso il nome ambizioso di Global Standard. Ilnucleo base di un nuovo Trattato. Qualcosa che può anchepresentarsi come una utopia. Ho l’onore di depositarne quiuna prima bozza. Una bozza di studio. E non avrei potutoimmaginare una sede migliore per tentare di avviarci soprauna discussione politica. Una discussione che saràcertamente critica e difficile. Ma – ho fiducia – il solo fattoche sia difficile, non la rende inutile.

Il mercato senza pensieroFinisco con due considerazioni. Prima considerazione. Ilvecchio tavolo coloniale, un tavolo che è stato ormaibruciato dalla storia, aveva una gamba sola. I tavoli a duegambe non stanno in piedi. E questo non è il frutto delpensiero occidentale od orientale, è sapienza universale. Pertenere in piedi un tavolo servono infatti più di due gambe. IlG20 non può essere modificato togliendo lo zero etrasformandolo in G2. Come minimo serve un G3. Ma èmeglio il G20. Questa è, per quanto mi risulta, la posizionedell’Europa. Un’Europa che la crisi sta rendendo semprepiù coesa, più organica, più responsabile, anche nellacostituzione di una nuova architettura politica mondiale.Seconda considerazione. L’idea stessa di un Trattatopresuppone una nuova parità delle posizioni basata sulrispetto reciproco. Dal lato occidentale la paritàpresuppone essenzialmente il rispetto per le formepolitiche diverse dalla nostra. C’è una ragione per dirlo.Appena trenta anni fa, in Europa, la democrazia non era laregola, essendo fuori dalla democrazia più di un terzodella popolazione dell’attuale Europa a 27. Ed in più,venendo ad oggi, cadute le ideologie e logorata la “forma-

partito”, la forma politica democratica tipica dell’Oc-cidente si sta mettendo essa stessa in experimentum. E nonè comunque merce che si esporta stile McDonald’s. Inrealtà, è la geografia che fa l’economia ed è l’economia chefa la politica, adattandola alla realtà. Lo ha scritto perprimo nel 1708 l’illuminista Diderot, nel suo Viaggio inOlanda.Anche politicamente i piccoli spazi sono diversi daigrandi spazi. E non solo. La globalizzazione ci insegnache non c’è più spazio per l’autarchia, né dei piccoli nédei grandi paesi. Tutti, grandi e piccoli, piccoli e grandi,hanno bisogno degli altri. E come la terra ha bisogno delmare, così il mare ha bisogno della terra.La particolarità storica della vostra esperienza politicanon è stata e non è – mi pare – nel passaggio dalsocialismo al capitalismo. Ma è stata un intenso processodi riforme interne al vostro socialismo. Riforme ancora incorso. Non solo. La tolleranza reciproca non deve esseresolo economica, ma anche culturale e religiosa. Perchèl’essenza delle nostre società non è solo commerciale, masoprattutto morale e politica.Tre secoli fa, in Europa, l’uomo di Kant aveva “il cielostellato sopra di sé e la legge morale dentro di sè”. L’uomoglobale post-moderno si è illuso di avere il pensiero unicosopra di sé ed il mercato unico sotto di sé. Ora è arrivato iltempo per combinare diversamente il mercato ed ilpensiero. Non il mercato senza pensiero. Non il pensierosenza il mercato.Non c’è solo competizione, c’è anche, ed è soprattuttonecessaria, la comprensione. Nessuno ha titolo perinsegnare agli altri. All’opposto, tutti hanno il dovere diimparare dagli altri. E la nostra storia, la storia della Cinae dell’Italia, lo hanno indicato per millenni.La crisi ci ha riportato ai valori fondamentali. Il nostrodovere è di conservarli come sacri, ma il nostro dovere èora anche quello di combinare le nostre storie e le nostreculture, costruendo insieme qualcosa di nuovo, senzadistruggere niente di quello che c’era prima, maaggiungendo qualcosa. Un “catalogo” di valori comuniuniversali. A dover essere ed a poter essere universali nonsono infatti le forme nazionali della politica, ma i valoricomuni. Quando il governo dà un dito ed il popolo chiedeuna mano; quando il governo dà una mano ed il popolochiede il braccio. Il G20 è il dito, o tutt’al più la mano. Dateil braccio. Voi che di rivoluzioni avete esperienza: iniziamoinsieme una grande pacifica rivoluzione globale.

/ / 11 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 8: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Stefano Zamagni ha introdotto le sue riflessioni con unaricapitolazione, di carattere storico, sulle condizioni

che rendono il periodo post-moderno che stiamo vivendo(o epoca “dopo moderna”, come egli espressamente lachiama) profondamente diverso dalla modernità. Infattinella modernità – che possiamo far iniziare dalla rivolu-zione industriale – il problema centrale da affrontare eraquello di portare quante più persone possibili a livelli direddito che superassero la pura sussistenza. Accanto a que-sti bisogni di tipo materiale – che sono sempre stati presimolto sul serio, ad esempio, da istituzioni quali la Chiesacattolica – esistono però altri bisogni di tipo immateriale,spirituale e relazionale, che, messi in secondo piano dallecondizioni di difficile sussistenza della prima modernità,sono invece emersi in tutta la loro importanza nella condi-zione economica e sociale attuale. La condizione dellapostmodernità è contraddistinta infatti da alcuni evidentiparadossi, che nascono appunto sia dalla difficoltà di dis-tribuire equamente la capacità di sussistenza e di ricchez-za materiale, sia dalla tensione tra bisogni di sussistenza ebisogni di altro tipo.Uno di questi paradossi è che la enorme capacità potenzia-le di fornitura di beni materiali ed alimentari che si è svi-luppata a seguito della rivoluzione industriale non impedi-sce che ci siano milioni di persone che soffrono la fame, lamalnutrizione e sono soggetti a malattie facilmente debel-labili. Non sono le risorse che sono scarse (in questo glieconomisti sbagliano), sono le istituzioni economiche (epolitiche) che non sono in grado di garantirne la piena edequa valorizzazione. E’ aumentato infatti generalmente iltenore di vita, ma si sono accentuate enormemente le spe-requazioni distributive interne ed internazionali. Un altroparadosso è rappresentato dal fatto che quando sonoaumentati (in molti paesi) i consumi di beni non necessari,è aumentata anche l’insoddisfazione, come dimostrano leterapie di sostegno psicologico e anche i suicidi che inve-stono generalmente i benestanti piuttosto che i poveri(Zamagni ricorda tra l’altro Il disagio della civiltà di

Freud). Infatti questi ultimi hanno almeno la speranza dimiglioramento, mentre i primi finiscono per perdere, nellalogica meramente acquisitiva, il senso dell’essere. L’infeli-cità è legata non solo alla mancanza del necessario – comeè ovvio, vista la minaccia alla sopravvivenza – ma anche altroppo superfluo; e questo è un dato di eccezionale interes-se psicologico dimostrato dal cosiddetto “paradosso dellafelicità”.La speranza, ricorda Zamagni riprendendo un concetto disant’Agostino, ha due figli, bellissimi ambedue: una figlia,quella dell’indignazione, e un figlio, quello del coraggio,della volontà di cambiare: “La rabbia nel vedere come van-no le cose, il coraggio nel vedere come esse potrebberoandare”. E oggi abbiamo perso l’una e l’altro. Un docu-mento che permette di considerare con chiarezza questeattuali contraddizioni e questi limiti della nostra condizio-ne post-moderna è la recente enciclica di Benedetto XVICaritas in veritate. Domandandosi perché questa enciclicaabbia riscosso una così grande attenzione ed una così gran-de curiosità anche in ambienti accademici solitamenteestranei all’insegnamento della dottrina sociale della Chie-sa, Zamagni ha ricordato, ad esempio, specifici incontri diriflessione organizzati in alcune delle più prestigiose uni-versità americane come la stessa Princeton e l’università diChicago. La risposta, secondo Zamagni, è che questa è laprima enciclica che coglie i nodi centrali di contraddizionedella postmodernità (“dopo moderna” come la chiamaespressamente), della società postindustriale e della globa-lizzazione: così come la Centesimus annus (1991) di Gio-vanni Paolo II ha chiuso il ciclo della modernità che eranato con la Rerum Novarum di Leone XIII nel 1891.Secondo Zamagni, l’interesse suscitato dall’attuale enci-clica, che la rende un documento così interessante del tem-po in cui viviamo, risiede nella capacità di questo scritto diindividuare tre nodi critici che caratterizzano la societàattuale, il cui aggrovigliarsi, ha anche condotto alla pre-sente crisi. Si tratta, in fondo, di tre dicotomie teorizzate epraticate, ma non giustificate: quella tra efficienza ed equi-

/ / 12 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Miseria dell’utilitarismo>>>> Stefano Zamagni

Page 9: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

tà; quella tra arricchimento e lavoro umano; quella, infine,tra democrazia e mercato.Secondo la prima dicotomia, il modello teorizza e pratica l’in-clusione di tutto ciò venga considerato utile ad una maggioreproduzione sul piano immediato ed esclude coloro che nonrientrano in tali parametri. Una società, dunque, costituita daun’area coperta dall’ “efficienza” di un mercato sempre piùpervasivo e deregolato (come vedremo anche in seguito), e daun’altra area, non meno ampia e variabile a seconda di quel-le esigenze di “efficienza”, costituita da emarginati, seppuresostenuti dal filantropismo di Stato o privato (qui non conta laprovenienza). Naturalmente queste forme di aiuto sono unbene sul piano dell’emergenza, ma non sono la vera rispostaalle esigenze umane. A tal proposito Zamagni ricorda unabella frase della cultura francescana che afferma : “Con l’ele-mosina la persona sopravvive, ma non vive, perché vivere èprodurre, e l’elemosina non aiuta a produrre”. Per vivereoccorre il lavoro e la produzione. Non quindi i “due tempi”del prima la produzione, e poi la distribuzione. E nemmeno laripartizione di ruoli tra chi si dedica alla produzione (a pre-scindere) e chi alla distribuzione (a prescindere). I due termi-ni efficienza e equità sono evidentemente correlati, perché senon può esserci efficienza senza equità è vero altrettanto chenon può esserci equità se non c’è anche efficienza, salvocadere nell’assistenzialismo che alla lunga non è sostenibileper mancanza di risorse. Zamagni approfondisce ancora ildiscorso, distinguendo il dono come “regalo” dal dono come“reciprocità”. Mentre il primo crea dipendenza del beneficia-to che assume un ruolo passivo nei confronti del benefattore,

il secondo innesca e consolida una “relazione” di arricchi-mento reciproco tra i due attori. L’enciclica, con sorpresa dimolti, inserisce il concetto di “fraternità” (cristiana) nel pro-cesso economico e produttivo, non solo distributivo. Fraterni-tà e non semplice amicizia e solidarietà. Mentre gli amici meli scelgo io e sono con loro solidale, i fratelli mi sono dati (aprescindere dalla razza, dalla religione, dalla condizionesociale). E ho degli “obblighi” nei loro confronti. Talvolta lasolidarietà è un “dovere” ad esempio imposto dalla legisla-zione sociale, mentre l’ “obbligazione” nasce dallo spirito difraternità e attiene principalmente alla sfera morale.La seconda dicotomia è quella di aver sempre più considera-to come fonte di ricchezza non il “faticoso” lavoro, ma il piùfacile arricchimento finanziario. Con allontanamento dallostesso pensiero degli economisti classici a cominciare daAdam Smith che pone il lavoro alla base della ricchezza del-le nazioni. Qui Zamagni ricorda che, nella concezione biblicae quindi anche cristiana, il lavoro è visto da una parte comefatica (frutto di una maledizione) ma anche come partecipa-zione alla custodia e al completamento della creazione. Allacustodia, perché la creazione viene vista come sostanzial-mente buona (il racconto di ogni giorno della creazione ter-mina con la notazione che Dio disse: è cosa buona) e quindida non far deteriorare, ma da passare alle generazioni succes-sive. Al completamento, perché l’immagine di Dio che siriposa nel settimo giorno dà l’idea di un lavoro creativo chenon viene perfezionato del tutto, ma passato all’uomo. Perquesta concezione, dunque, il lavoro è partecipazione alladifesa della creazione (qui si inserisce facilmente l’idea del-

/ / 13 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 10: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

l’ecologia del francescanesimo, ad esempio) ma anche dimo-strazione della dignità umana, dell’uomo come co-creatore.La svalutazione della dignità del lavoro sostituita dalla ricer-ca spasmodica della ricchezza “a mezzo finanza” ha compor-tato gravi distorsioni in varie direzioni. In quella del tempo,privilegiando il breve e il brevissimo tempo, con effetti dele-teri non solo sulle forme di gestione aziendali, ma anche sul-la stessa concezione di azienda. Ciò ha comportato, infatti,una spinta a gonfiare artatamente i valori sul mercato con tut-te le forme aberranti che abbiamo riscontrato anche nellarecente crisi, con la distorsione dell’informazione fornita aimercati sulle reali situazioni aziendali resa possibile dai man-cati controlli dovuti ai vari livelli, nella diffusione dei bennoti confitti di interesse. Ha distorto la stessa concezione del-l’azienda, una volta concepita come associazione di produtto-ri (da cui anche il termine inglese corporation, corporazione),ora invece considerata una “merce”, trattata sul mercato adesclusivo ed immediato beneficio degli azionisti (share hol-ders) di riferimento, e la cui quotazione (share value) salirà inproporzione a quella logica di “efficienza” e di arricchimentofinanziario prima ricordata. La sorte degli altri interessati alleprospettive di medio e lungo termine dell’azienda (stakehol-ders), a cominciare dai lavoratori, diventa così una variabiledipendente. Zamagni sottolinea che l’arricchimento “a mezzofinanza” avviene nell’isolamento (e spesso egoismo indivi-duale), mentre quello a “mezzo del lavoro umano” implicanecessariamente la dimensione “relazionale” e della dipen-denza reciproca: dipendenza che anzi si accentua con la com-plessificazione della società. Occorre dunque rimettere alcentro il lavoro umano come fonte di ogni accumulazioneindividuale e sociale della ricchezza, oltre che di valorizza-zione personale.

Mercato e democraziaLa terza dicotomia è infine quella, teorizzata e soprattuttopraticata, della separazione tra mercato e democrazia. Non siparla – precisa Zamagni – del mercato come luogo e praticadi scambio che è una storia molto antica. Ricorda infatti cheil concetto di mercato deriva da una “invenzione” francesca-na che, soprattutto nella Toscana medioevale, decide che èimportante riuscire ad organizzare il modo con cui si potevaredistribuire, cioè liberare le persone ricche dall’“imbarazzo”di avere troppe cose (espressione fantastica, anche da un pun-to di vista psicologico, perché richiama all’idea dello “spaziomentale” ingombrato dalle preoccupazioni materiali, ritor-

nando alla radice etimologica del termine imbarazzo, che,com’è restato ad esempio nella corrispondente parola spa-gnola embarazo, indica uno spazio occupato da un peso o daun ingombro fisico). Quindi non c’è rifiuto del mercato, macasomai una esortazione a tornare alla sua logica razionaliz-zante e ridistribuiva, e anche una fierezza per le origini cultu-rali italiane di molti concetti economici e sociali.Si parla quindi del mercato come “istituzione”. Da moltidecenni si teorizza l’autosufficienza e la capacità di autore-golazione dei mercati interni come di quelli internazionali, esi è quindi proceduto a deregolamentare sempre di più.Dimenticando almeno due gravi limiti di questo ragionamen-to: il primo è che, non verificandosi mai i presupposti dellaperfetta concorrenza, hanno finito per prevalere gli interessiorganizzati più forti; il secondo è che si pongono seri proble-mi di composizione sul piano logico e sociale, anche presup-ponendo le migliori intenzioni da parte degli individui isola-tamente considerati. Problemi che, in assenza di “buone rego-le” (quelle finalizzate al “bene comune”), creano disordine egravi inefficienze dovute alle diffuse “esternalità”. Non basta,quindi, una corretta etica individuale, ma sono necessarieadeguate disposizioni regolative, democraticamente “delibe-rate”. Un problema quindi di governo democratico che inte-ressa le istituzioni interne quanto quelle internazionali.Ma la teoria dominante, in realtà, ha considerato un individuomotivato esclusivamente da egoismo, che si confronta, omeglio combatte hobbesianamente con gli altri analogamentemotivati. È un’antropologia non rispondente al vero e comun-que non certo estensibile a tutti gli uomini. Qui Zamagnieffettua una distinzione tra l’homo oeconomicus e l’homoreciprocans: il primo condotto dalla logica “acquisitiva”, ilsecondo da quella della realizzazione personale nell’arricchi-mento reciproco (con un riferimento anche alle capabilities diAmartya Sen). E introduce, con l’occasione, anche l’impor-tante distinzione tra individuo e “persona”, citando il “perso-nalismo” e l’“umanesimo integrale”, insegnati da Mounier eMaritain.Tornando all’analisi più strettamente economica, Zamagnimette in rilievo la contraddizione di chi oggi, di fronte allacrisi, lamenta la mancanza di controlli e di regole, quandoanche nel recente passato aveva teorizzato l’autoreferenziali-tà delle “forze” del mercato. Anche a livello teorico sono incorso alcuni ripensamenti, come potrebbe far pensare l’asse-gnazione dell’ultimo premio Nobel a due ricercatori (OlivierWilliamson e Elinor Ostrom, la prima donna a riceverlo perle discipline economiche), che hanno studiato l’importanza

/ / 14 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 11: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

degli aspetti sociali e cooperativi nella governance economi-ca. Mentre, sino ad un recente passato, tali riconoscimentierano andati soprattutto a chi teorizzava l’autosufficienza delmercato ed anzi la sua estensione persino in ambito familiare(Gary Beker) .Zamagni ne trae anche una conclusione sulla definizione dicrisi, distinguendo quelle “dialettiche”, causate da contraddi-zioni e malfunzionamenti interni, oltre che da errori analiti-ci e di policy, da quelle “entropiche”, cioè di “senso”come, invece, gli appare quest’ultima. Di “senso”, cioè diincertezza nell’individuare consapevolmente “una” dire-zione prima ancora che “la” direzione di marcia. E cogliel’occasione per effettuare una considerazione critica con-tro chi sostiene che ai giovani vada fornita “istruzione”,ma non “educazione”, con l’argomento che né in ambitofamiliare, né in quello scolastico, si debba, in un certo qualsenso, “coartare” il libero germogliare della personalità delgiovane. Ora, a parte l’errata pretesa di pensare ad un’i-struzione “neutrale”, cioè aliena da presupposti di valore,il non fornire al giovane valori sui cui misurarsi, confron-

tarsi e sperimentare, finisce per lasciarlo nella solitudine enell’angoscia, alla ricerca di pericolosi sostituti di senso.Andrebbe anzi sottolineata una sorta di defezione moraleda parte di chi ha esperienza da trasmettere e se ne astiene,mandando disperse importanti lezioni di vita (evolutiva).Anche qui, ci sono moltissime analogie con pensatori psi-co-sociali, si pensi solo al tema del difetto nella responsa-bilità generativa degli adulti come fonte di malessere e didisordine sociale (evidente ad esempio nella raccomanda-zione, in cui si pensa solo ai “propri” e non a tutti i giova-ni), così come ipotizzato ad esempio nei lavori interessan-tissimi di Scabini.Zamagni ha poi concluso l’intervento, ricordando il finaledell’enciclica, dove il Papa afferma che “il mondo di oggisoffre della mancanza di pensiero” e non già di risorse. E’il pensiero pensante la reale scarsità. Abbondiamo del pen-siero “calcolante”, ma scarseggiamo di quello “pensante”.Cioè quello capace di indicarci un “senso”, una direzione dipercorso. Un pensiero che va innanzitutto recuperato. Dopo,potremo pur analizzare le varie technicalities della crisi.

/ / 15 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 12: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Alla fine della conferenza si sono registrati tre interventicon domande al relatore.Il primo è tornato sul rapporto tra felicità e ricchezza, citan-do anche la Costituzione americana che ha recepito il dirittodi ognuno alla ricerca della felicità. Ha poi chiesto spiega-zioni in merito alle critiche che Zamagni rivolge alla teoriadei giochi e all’equilibrio di Nash.Zamagni ha ricordato che il concetto di felicità in campo eco-nomico è stato introdotto inizialmente dal pensiero italiano.Ha citato Antonio Genovesi, docente alla prima cattedra dieconomia al mondo, istituita presso l’Università Federico IIdi Napoli. Chiosando, con l’occasione, come sia un noto vizioitaliano quello di valorizzare cose che ci vengono dall’estero,il quale, a suo tempo e non di rado, le aveva apprese da noi.Il cosiddetto “paradosso della felicità”, la cui individuazionerisale agli anni settanta da parte di un autore americano(Richard Easterlin), afferma, come già accennato all’inizio,che sino ad un certo punto della ricchezza, la felicità segue dipari passo, mentre oltre ad una certa soglia la relazione si

inverte (con un andamento ad U rovesciata, quando sulleascisse si consideri la ricchezza e sulle ordinate la misura del-la felicità). Per Zamagni la cosa è spiegabile, nel senso chementre uno si può arricchire da solo (vedi il caso di RobinsonCrusoe), per essere veramente felici occorre essere almeno indue, la felicità implicando il riconoscimento sociale (si ricor-di anche la fulminante replica di Freud che, interrogato da ungiornalista sulla “formula della felicità”, rispose lapidaria-mente: “ amare e lavorare”). Mentre la copertura dei bisogniprimari non pone problemi, salvo ovviamente l’urgenza dellaloro soddisfazione, quella dei bisogni superiori implica unascelta che si inserisce intimamente con le complesse relazio-ni di carattere sociale e di reciproco “riconoscimento” nelsenso di Hegel. Si avverte sempre di più la necessità diampliare la sfera dei beni comuni e “relazionali”, rispetto aquella dei beni privati. Ne deriva anche un incoraggiamentoalla sobrietà e alla ricerca del “bene comune”. Cosa distinguequesto dal bene “totale”? Qui Zamagni ricorda il Bentham ela sua concezione utilitaristica che va alla ricerca della “mas-

/ / 16 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 13: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

simizzazione del bene totale”. Quel bene che gode della pro-prietà della somma. Nel senso che questa può crescere anchequando si annulla l’utilità di qualche persona. Non avvienecosì nel bene comune che gode della proprietà moltiplicativa.Se uno dei fattori si azzera anche il prodotto si annulla. Unamoltiplicazione dove i fattori si arricchiscono reciprocamente.Ma Zamagni, nella sempre supposta buona fede del dissen-ziente, non pretende da parte sua la verità, ma richiede che ipresupposti di valore, sottostanti alle diverse teorie, venganoonestamente resi espliciti. In merito alla teoria dei giochi,Zamagni non contesta, ovviamente, la superiore intelligenza diNash e le formalizzazioni matematiche di questa teoria. Inten-de però mettere in luce, non condividendolo, quel paradigma diindividui perfettamente razionali nei loro calcoli egoistici cheinteragiscono nell’ottica hobbesiana, che sta alla base di moltedi quelle formalizzazioni. Mentre ritiene più stimolanti i giochi“evolutivi”, nei quali individui dalla razionalità “limitata”, inconfronti ripetuti e cooperativi, riescono a selezionare strategiedi relazione, socialmente ed individualmente “vincenti”.Il secondo intervento ha centrato la sua domanda in meritoalla responsabilità sociale dell’impresa.Zamagni ricorda come il concetto risalga ad un economistaamericano (R. Edward Freeman) che lo teorizzò negli anniottanta. Mentre sulle prime suscitò addirittura scandalo il fat-to che l’azienda dovesse farsi carico di interessi che non fos-sero esclusivamente quelli degli azionisti, oggi il concettoviene comunemente accettato anche se troppo spesso non pra-ticato. A tal proposito basti ricordare le considerazioni primafatte sulle diverse concezioni di azienda: quella dell’associa-zione di produttori, oppure quella della merce da valorizzaresul mercato nell’interesse esclusivo degli azionisti (di riferi-mento). Ma qui Zamagni fa una distinzione sulle diverse eti-che che possono trovarsi anche alla base della responsabilitàsociale di azienda. Quella utilitaristica di Bentham di cuiabbiamo già detto, quella del dovere di Kant, quella contrat-tualistica di Rawls ed infine quella aristotelica dell’etica del-le virtù. Dopo aver accennato ai pregi e ai limiti delle altre,Zamagni valorizza l’ultima. L’“utilitarismo” – abbiamo visto– è una concezione antropologica falsa o comunque non suf-ficiente ed esaustiva. Inoltre, nel momento in cui si dovesserealizzare che l’adesione a criteri gestionali socialmenteresponsabili non fosse più nell’interesse dell’azienda, questisarebbero rapidamente abbandonati. Il “contrattualismo”, purimportante, presuppone una parità di potere contrattuale, dif-ficilmente riscontrabile e raggiungibile. Il kantiano “impera-tivo categorico” richiede una retta coscienza e un agire che

può prescindere dalle conseguenze della propria azione e dal-l’“altro”. L’etica delle “virtù”, evidentemente solidali, impli-ca l’“altro” nell’etica della “responsabilità” e, in un processoevolutivo, l’accrescimento con il suo esercizio.Il terzo intervenuto ha ricordato come questa enciclica parlidella responsabilità del consumatore e ne ha chiesto una giu-stificazione.Stefano Zamagni, dopo aver ricordato come anche questoinserimento nell’enciclica abbia creato un qualche sconcerto,ne difende tuttavia la coerenza. Mette in evidenza che, quan-do si passa dai consumi necessari a quelli sempre più volut-tuari, con l’aumentare il campo della scelta aumenta anche laresponsabilità personale del consumatore. L’acquisto è unsegnale che si manda al mondo del commercio e quindi dellaproduzione. Se si ha notizia che quella distribuzione com-merciale o quella linea produttiva avviene con disprezzo adesempio dei diritti umani o in violazione della legge, il con-sumatore di quel bene o servizio assume senz’altro una spe-cifica responsabilità.

(A cura di Giuseppe Amari e Giovanna Leone)

/ / 17 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 14: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

/ / 18 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

In cercadi Bretton Woods>>>> Luciano Cafagna

La “globalizzazione” non è altro, in fondo, che la realizza-zione, con modalità impreviste, della profezia di Marx

relativa alla formazione di un “mercato mondiale”. SecondoMarx questo mercato mondiale lo aveva preparato la scoper-ta dell’America. E sempre secondo Marx non era, in fondo,una profezia, ma il realizzarsi storico e graduale di un feno-meno che si dipanava dall’Europa, e principalmente dall’In-ghilterra, per iniziativa del capitalismo: una grande creazione,insomma, di innumerevoli “periferie”. Per un po’ di tempo,infatti, andò così. Ma poi le cose presero a cambiare: nell’a-rea atlantica si delineò quel fenomeno che Lenin avrebbechiamato dell’“ineguale sviluppo del capitalismo”, e via viale “periferie” cominciarono a reagire con un proprio protago-nismo, fino al configurarsi di quel grande mutamento negliequilibri mondiali verificatosi in pochi anni, a partire dallacaduta del Muro di Berlino alla fine del secolo XX, e cioè lacomparsa di nuovi grandi “paesi emergenti”.Giulio Tremonti è stato uno dei non molti che, in Italia, siavvidero immediatamente della grande rilevanza, pratica eoperativa, del fenomeno della globalizzazione. Le primeconseguenze sulla pelle viva dell’economia europea furonocertamente quelle generate dall’arrivo massiccio di mercicinesi, puntuali copie dalle nostre, ma prodotte con soltantouna frazione del nostro costo di manodopera. Gli occhi piùavveduti, però, percepirono anche gli effetti di una dilata-zione abnorme dei mercati finanziari che si stava verifican-do a seguito della svolta “mercatistica” con cui la Thatchere Reagan avevano reagito alla grande inflazione provocata,a sua volta, dalla prima e dalla seconda crisi petrolifera deglianni settanta.Spesso nelle fasi successive della storia economica si è porta-ti a dimenticare le condizioni entro le quali si erano svolte lefasi precedenti: la conseguenza è che si tende ad assolutizza-re solo i principi economici cui ci si è ispirati nell’ultima fase,

spesso opposti a quelli cui ci si era ispirati invece nella faseprecedente. In economia tutto dipende dalle condizioni, dalluogo e dal tempo: ecco perché vi sono situazioni che devonoessere a volte affrontate con un di più di intervento statale, esituazioni che devono essere, altra volta, affrontate con libe-ralizzazioni di mercati.A Tremonti deve essere riconosciuto il merito di avere, tra iprimi, avvertito la pericolosità degli eccessi della deriva“mercatistica” della congiuntura “thatcheriana”, eccessi parti-colarmente perversi nei mercati finanziari; se non andiamoerrati, la formula stessa del “mercatismo”, inteso come feno-meno deteriore, si deve proprio a Tremonti. L’impiego di taleformula non era esente da qualche equivoco, ed in quelmomento, nel quale le nostre industrie leggere si vedevanoaggredite massicciamente dalla concorrenza cinese, potevaanche essere inteso come una larvata nostalgia di protezioni-smo. Se equivoco era – visto che l’autore della polemica anti-mercatistica doveva poi chiarire di non avere in mente riven-dicazioni protezionistiche- la porta a questo equivoco era sta-ta però aperta dall’uso, da parte dell’autore, della formula“colbertismo”.Richiamandosi a Colbert Tremonti evidentemente intendevasoprattutto rivalutare la funzione dello Stato e della politicanella formazione di un’economia moderna ed efficiente: mala strada agli equivoci era facilmente aperta. Il nome del mini-stro del Re Sole evocava, inoltre, l’idea di un’organizzazionestatale particolarmente strutturata ed efficiente: il che pocosembrava potersi applicare a una fisionomia statuale e buro-cratica piuttosto malandata come quella italiana. Ma non sipuò non considerare appropriato lo spirito di tensione dram-matica con il quale lo statista italiano guardava già allora aquel nuovo scenario dell’economia mondiale, che egli sugge-riva di doversi affrontare fra i due poli della “paura” e della“speranza”.

Page 15: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

La paura induce a mettersi in guardia; la speranza induce aquel tanto di ottimismo che è in ogni caso necessario all’a-zione. Quanto è accaduto qualche anno dopo, e sta ancoraaccadendo ai nostri giorni, deve indurci ad ammettere che lepreoccupazioni del nostro ministro dell’Economia avevanobuone ragioni. Negli anni che ci separano dalle prime ester-nazioni tremontiane sul nuovo globalismo economico, infatti,lo scenario internazionale ha subito una rapida progressionedi eventi. In questa sua conferenza, che svolge nella singola-re sede della scuola del Partito comunista cinese, nel passag-gio dalla cifra diplomatica del gruppo dei sette a quella delgruppo dei venti il ministro italiano assume, quasi simbolica-mente, il programma di una nuova gestione dell’economiaglobalizzata. È evidente che egli vuole suggerire come debbaevitarsi l’idea di un nuovo dominio bipolare del mondo e del-l’economia mondiale fra Usa e Cina.La sintesi nella quale egli riassume la vicenda della crisi eco-nomica mondiale che stiamo vivendo pare senz’altro accetta-bile, così come è condivisibile l’idea che si debba tentare diuscirne con una nuova seria regolamentazione non solo finan-ziaria, ma forse anche monetaria, come quella che vennedecisa dopo la seconda guerra mondiale (Bretton Woods). Èinteressante, però, come Tremonti non manchi di rilevare chela situazione decisionale, rispetto ai tempi di Bretton Woods,

appare profondamente diversa. Allora il vincitore nel conflit-to mondiale era praticamente uno solo, e non gli fu difficilescegliere e imporre la soluzione dei problemi che si presenta-vano. Oggi non c’è un vincitore, ma solo molti sconfitti: for-se la Cina fa eccezione, ma si potrà mai considerarla qualco-sa di simile a un vincitore?Ci troviamo in una situazione completamente inedita, e appa-re singolarmente interessante che il ministro dell’Economiadi un paese europeo ritenga di doverla andare ad esporre pro-prio in una sede autorevole della nuova Cina, di una Cina chenon si sa più se sia comunista o neo-capitalista. Si tratta di untentativo di avviare un dialogo che appare ancora tutto dasvolgere. Il ministro italiano, dal novembre scorso a oggi,sembra aver continuato, per quanto possibile, in questo tenta-tivo di suggerire iniziative e soluzioni. Un contesto europeoparticolarmente scompaginato e insicuro, poi, finisce col darea lui e alle sue idee dimensioni più grandi di quanto non glipossano essere consentite dal paese che egli rappresenta.Restiamo in attesa, con trepidazione, di una nuova e più arti-colata Bretton Woods prodotta dal G20. Ma se intanto ci sipotesse evolvere verso un’Europa capace di agire unitaria-mente, e capace magari di aprire un proprio dialogo con laCina analogo a quello che hanno avviato dal canto loro gliStati Uniti, sarebbe già qualcosa.

/ / 19 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 16: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

/ / 20 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Le nazioni e le leggi>>>> Biagio de Giovanni

Liberato il discorso di Giulio Tremonti alla Scuola centra-le del Partito comunista cinese da qualche elemento di

captatio benevolentiae, esso rimane un testo di sicuro interes-se e sul quale val ben la pena di fare qualche commento.Dopo averlo letto, mi son chiesto: che cosa dire? In fondo èdifficile non esser d’accordo su moltissime cose: dall’impo-stazione storica, che vede nella caduta del Muro di Berlinol’inizio di una nuova epoca in cui tutto si accelera e il tempodiventa veloce; alla descrizione dell’origine della crisi (peral-tro già presente in forma almeno in parte presaga nel suovolume La paura e la speranza, che qualche anno fa ha fattomolto discutere); alla critica del pensiero unico “mercatista”e alla necessità di riconquistare princìpi più umani; alla affer-mazione della necessità di costruire un terreno cosmopolita

fatto di regole e di diritto adeguato alla nuova situazione glo-bale; all’ampliamento della struttura del mondo che invita ascoraggiare situazioni egemoniche; al nesso fra nuove regolee un’etica pubblica che coinvolga tutti, senza un modello pre-costituito (anche se la questione della democrazia non è insecondo piano); alla necessità di tornare a valorizzare l’effet-tiva produzione di ricchezza scoraggiando il diabolico giocodel denaro che produce denaro, che oggi si chiama specula-zione globale; alla affermazione, infine, di un Global Stan-dard che qualifichi in forme adeguate ai tempi (che non sonopiù quelli, ancora egemonici, di Bretton Woods) l’auspicatosistema di regole di ispirazione cosmopolita. Mi fermo qui,ho pensato. Ma come si fa a commentare un testo per diresemplicemente che si è d’accordo? E come si può non esser-

Page 17: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

lo con un testo pieno di così buone intenzioni e anche di cosìfondate analisi? Ne vale la pena? Ma in realtà, come con ognitesto denso di temi, le riflessioni giungono subito dopo.ll tema che più mi affascina è quello politico, sulla possibili-tà effettiva di un nuovo cosmopolitismo, questa parola chiavetante volte riaffiorata nella storia d’Europa, ed è su questo cheintendo fare un commento. Capisco che il discorso di Tre-monti, per il luogo in cui è stato pronunciato e per gli interlo-cutori cui era rivolto, non poteva render molto problematicoquesto aspetto, e quindi la mia non è una critica a una ipote-tica carenza del testo, ma un commento sulla sua diagnosi,sulla capacità che la sua analisi, presa per come è stata pre-sentata, apra una prospettiva che si possa considerare di perse stessa probabile. Manca, nel testo, non la notizia (tutt’al-tro!), ma la problematizzazione di quel dato nuovo che è ilriemergere di soggetti “nazionali”, di nazioni che ergono laloro fisionomia intorno a passioni, a identità, a conflitti, eche rifiutano omologazione. Nel testo di Tremonti il globali-smo si presenta in prevalenza come algida regolamentazione,una sorta di neokelsenismo (o neokantismo) realizzato, e adesso fa da unica controfaccia un ritorno a vecchi “valori” delbuon tempo antico che sembra impossibile riabilitare con unatto di volontà.

Il ritorno delle nazioniLo stesso scenario compariva, mutatis mutandis, in La pau-ra e la speranza. Ma se le cose stanno così, la regolamenta-zione globale rischia di rimanere una grande utopia, e glielementi catastrofici di una non-regolamentazione potrannotornare in campo, magari in forme imprevedibili. Da qualimondi vitali nasce il nuovo cosmopolitismo? O esso va inte-so come un processo meramente tecnico, affidato alla manodi esperti tecnocrati? Esso dovrà essere anche questo, mapotrà essere solo questo? Potrà mai diventare reale uncosmopolitismo siffatto? Può nascere solo come ancora disalvezza dall’estremo pericolo? Per me si tratta di domanderetoriche che richiedono risposta negativa. Che voglio dire?Che il referente, certo problematico, del globalismo consolo apparente paradosso è proprio nel massiccio ritornodelle nazioni e degli Stati-nazione, dati per morti da oltre unsecolo (anche da Tremonti nel suo libro), e che tornano sul-la scena non come convitati di pietra né ombre di Banco, macon tutto il peso del loro rivendicato patrimonio identitario,qualunque sia la sua natura.Ora, il problema del futuro sarà: come si troverà equilibrio

fra il ritorno dell’umanità delle nazioni (complessa espres-sione vichiana), della loro cogente affermazione, e l’esigen-za di un tessuto universalistico fatto di regole e di norme? Siavvia un periodo di tesa dialettica che non può esser risoltocon un richiamo ai “valori”, parola che mi richiama semprealla memoria, per una sorta di automatismo, il celebre dettodi quel professore napoletano di filosofia, riferito da Anto-nio Labriola a Benedetto Croce, che li chiamava “cacioca-valli appesi”. Il tema è invece schiettamente politico, e natu-ralmente il richiamo a esso non vuol comunicare l’idea chetutti questi processi abbiano gli stessi tempi. È evidente chepuò esserci una discrasia in tempi calcolati su emergenzedifferenti. Ma guai ad illudersi che il globalismo addomesti-chi il lato vitale e decisionista della politica, guai a pensareche l’interdipendenza produca di per sè la tensione cosmo-polita, guai a immaginare che questo immenso mondo diregole che si immagina necessario (e certo per tanti aspettilo è, ma anche qui il merito del problema sarà assai com-plesso per ritrovare l’equilibrio fra camicie di forza e liber-tà di azione) si realizzerà semplicemente perchè necessarioe perchè se ne invoca la necessità. Insieme deve nascere laconsapevolezza del problema, che deve diventare consape-volezza delle classi dirigenti dei vari paesi, e di quelli euro-pei e del nostro. E colgo l’occasione di queste osservazionie commenti per rivolgermi al Tremonti ministro del gover-no italiano per fare la seguente osservazione che motiva for-se meglio le ragioni di ciò che ho detto finora: l’auspicatoglobalismo delle regole ha bisogno come dell’aria per respi-rare di un governo delle nazioni, di una nuova tensione eti-co-politica nei governi di ciascuna nazione. Se così nonsarà, la nazione diventerà entropia, chiusura, e addio globa-lismo! Il globalismo germina all’interno della nazione, que-sto è il suo atto di nascita. La nazione deve tendere versol’umanità, secondo un antico insegnamento, da Vico a Maz-zini. E se non lo fa, l’entropia razzistico-nazionalista travol-gerà tutto. Il globalismo deve tornare a fare i conti con que-sto problema o rischia di fallire prima di nascere.Infine, una semplice domanda: quando si parla degli anniottanta, l’accento va posto sui limiti del mercatismo o sullagrandiosa rivoluzione tecnologica che ha sconvolto la vitadell’umanità e ha portato una forma di nuova razionalitàpostfordista che comunque impedisce semplici ritorni all’in-dietro? Per me l’accento va posto su questo secondo punto,altrimenti la regressione è già nell’aria. Anche questo è temadirimente: non c’è crisi al mondo che possa riportare al pas-sato la logica delle relazioni economiche e sociali.

/ / 21 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 18: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Della lezione che Giulio Tremonti ha svolto nella sede dellascuola centrale del Partito Comunista Cinese a Pechino

colpiscono soprattutto tre cose: la data (novembre del 2009), lasede in cui è stata tenuta, e l’impostazione complessiva, fonda-ta sulla centralità del ruolo della politica in risposta alla crisinonostante la natura finanziaria ed economica della medesima.La data, perché essa venne tenuta a pochissime settimane dallaterza riunione del G20, svoltasi alla fine di settembre a Pitt-sburgh; la sede, perché taluno avrebbe potuto considerare stra-vagante svolgere in una sede così apparentemente distante,soprattutto sotto il profilo ideologico, argomenti che si sarebbepotuto ritenere pertinenti ad una discussione in un ambito, percosì dire, più “occidentale”; e l’impostazione, considerando laquestione che in quel momento, e anche nei mesi successivi,era al centro del dibattito in corso nelle sedi ufficiali ed uffi-ciose sul che fare relativamente al modo di uscire dalla crisi. Inrealtà tutti e tre questi aspetti sottolineano come Tremonti, equindi, almeno in qualche modo, anche l’Europa e l’Italia,abbia cercato di capire la lezione della crisi, prima, di più emeglio di altri, soprattutto negli Stati Uniti, mettendo a fonda-mento delle sue riflessioni il senso del salto di paradigma e delcambiamento della configurazione del mondo, determinato dauna crisi scatenata dall’accumulazione insostenibile di squilibriprodotti dall’inadeguata governance di fenomeni figli del cam-biamento di configurazione.È la multipolarità di quello che io chiamo il “mondo Post-Pitt-sburgh” che rende necessario l’approdo a forme di governancemultilaterali, difficilissime a costruirsi, ma inevitabili, visto chela precedente architettura bipolare se ne è andata per sempre ela governance unipolare è semplicemente impossibile rispettoad un mondo globale troppo pesante (demograficamente edeconomicamente) e troppo complesso. E ovviamente – qual-siasi sia la forma che tale governance multilaterale assumerà –essa presuppone un rafforzato primato della politica ed un ade-guato apparato di regole, invertendo drasticamente lo sciagura-to trend deregolatorio che ha caratterizzato il trentennio inizia-to alla fine degli anni ’70 dalla Thatcher e da Reagan, e met-

tendo quindi fine al predominio dell’ultima ideologia novecen-tesca e cioè quella che Tremonti felicemente definisce come“mercatismo”: un’ideologia il cui prevalere aveva fatto sì chenegli ultimi tre decenni il successo dei governi e delle loro poli-tiche venisse sancito, più che da ogni altro indice, dall’anda-mento degli indici delle borse. Di questo mito, rivelatosi nonsolo falso ma generatore di pericolosissimi squilibri, si eranoalimentate illusioni come quelle che avevano indotto Fukuya-ma a proclamare, nell’euforia della vittoria della Guerra Fred-da, quella “fine della storia” che ha poi ispirato sia Clinton cheBush nelle loro presidenze, a cui gli storici assegneranno lamaggiore responsabilità nel determinare le condizioni che han-no portato al duplice segnale rappresentato dall’11 settembredel 2001 e dal 12 settembre del 2008.Ebbene: l’aver imboccato la strada di una riflessione non super-ficiale circa le cause e le possibili risposte della crisi, giusta-mente letta come discontinuità, spiega anche perché l’averdeciso che cominciare il confronto intellettuale da Pechino,anziché da Bruxelles o da Washington, non solo non può esse-

/ / 22 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Il cambio di paradigma>>>> Gianni De Michelis

Page 19: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

re letto come una stravaganza, ma è anche esso segno di lungi-miranza e di comprensione degli interlocutori più adeguati.Infatti in un certo senso Tremonti è stato il primo che dal ver-sante occidentale ha cominciato a rispondere a tono ai messag-gi che proprio da parte cinese si erano andati infittendo neimesi precedenti, senza che dalle èlites occidentali venisserosegni sufficienti ed intellegibili di presa d’atto e di reazione.Penso all’intervista del settembre del 2008 concessa dal primoministro cinese Wen Jiabao al settimanale americano New-sweek, e per essa addirittura al suo direttore Fareed Zakaria(uno degli intellettuali americani più attenti e sofisticati).

Confucio ed Adam Smith

In essa il leader cinese, volendo spiegare l’approccio del suopaese alla grande questione dell’evoluzione politico-economi-ca da imprimere alla società cinese anche e soprattutto nel con-testo della crisi che stava allora emergendo, non aveva fattoricorso né a Mao, né a Marx, e neppure a Confucio, ma adAdam Smith: con l’evidente intenzione di cercare il confrontosulla base di categorie filosofiche ed economiche consuete perl’interlocutore, e al tempo stesso però facendo sottilmente nota-re che loro, i cinesi, avevano cercato, nello sforzo di ricom-prendere i fondamenti del moderno pensiero occidentale, dicomprendere la lezione in modo completo, ad esempio impa-rando la lezione di Smith non solo per quello che riguarda ilruolo della “mano invisibile del mercato”, ma anche per quellodella “mano visibile dello Stato”. Così come penso, semprenella medesima direzione, alla riflessione in materia di ordinemonetario resa nota nel marzo del 2009, alla vigilia del G20 diLondra, dal Governatore della Banca di Cina, nella quale siponeva esplicitamente il problema dell’evoluzione in sensomultilaterale dell’ordine monetario come premessa inevitabileper evitare il ripetersi degli squilibri che avevano innescato lacrisi, con l’obiettivo di avviare in modo concreto la prepara-zione di una vera e propria nuova conferenza di Bretton Wood.Non solo quindi è difficile pensare di costruire quella rispostapolitica che Tremonti ha in mente senza la Cina, ma probabil-mente è proprio dall’èlite e dalla cultura cinese che può venireil contributo più solido per quel salto di paradigma filosoficoche solo potrà consentire l’avvio del negoziato per il nuovoTrattato Internazionale che potrà rappresentare il definitivosuperamento della crisi. D’altronde non credo sia un caso cheil povero Giovanni Arrighi abbia dato al suo ultimo, magistra-le lavoro il titolo di Adam Smith a Pechino.Naturalmente nella lezione di Tremonti vi sono anche alcuni

punti più deboli o comunque che necessitano un ulterioreapprofondimento. Mi voglio soffermare solo su due punti. Ilprimo è quello relativo all’Europa, definita da Tremonti come“un’Europa che la crisi sta rendendo sempre più coesa, piùorganica, più responsabile, anche nella costruzione di una nuo-va architettura politica mondiale ”. Ebbene: queste parole, pro-nunciate nel novembre del 2009, sono state in questi giorniduramente smentite dalla faticosa reazione provocata dalla cri-si greca. C’è solo da augurarsi che di fronte al precipitare dellasituazione, come sembra sia cominciato ad avvenire nell’ulti-mo vertice dell’eurogruppo, vi sia davvero uno sforzo perandare in quella direzione della coesione e della responsabilità,che nelle parole di Tremonti a Pechino avevano più il saporedel wishful thinking.Perché la realtà è che si sono persi oltre 18 mesi da quelladomenica di ottobre del 2008 in cui per un attimo l’Europa, sot-to la leadership francese, sembrò addirittura dare la direzione dimarcia agli USA e al mondo, senza però poi capire che occor-reva procedere senza indugi alla definizione di una nuovaarchitettura politica, innanzitutto europea, per poter contribuireanche a quella mondiale.Il secondo è relativo al tema, tanto caro a Tremonti, dei cosid-detti legal standards, obiettivo al quale indubbiamente bisognatendere, ma della cui perseguibilità a breve si può invece dubi-tare. È legittimo chiedersi, cioè, se siano mature le condizioniper l’adozione, in termini vincolanti, di un sistema di standardsdavvero tali da costituire la base della nuova governance glo-bale multilaterale, o se invece non sia meglio procedere perapprossimazioni successive in tale direzione, scegliendo quin-di tra i cosiddetti dossier globali quello da cui partire per fissa-re le nuove regole del gioco attorno alle quali costruire lagovernance multilaterale. Tali dossier, sui quali tra l’altro ladiscussione è già cominciata, sono ovviamente quelli del com-mercio internazionale, del clima e dell’ambiente, della non-proliferazione, del terrorismo e dell’ordine monetario. È nota lamia propensione per la scelta del dossier monetario, ma com-prendo anche le ragioni che potrebbero far pendere al bilanciaa favore del dossier della non-proliferazione.Comunque la direzione di Tremonti è quella giusta, l’argo-mento del G3 (con l’Europa come elemento essenziale accantoagli Sati Uniti e alla Cina) è un argomento capace di far risuo-nare delle corde comprensibili alla mentalità cinese, e quindigli auspici sono i migliori per continuare la discussione, anco-ra una volta a Pechino, alla fine dell’anno, in occasione di quelseminario Aspen che è stato il principale prodotto di “GiulioTremonti a Pechino”.

/ / 23 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 20: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Secondo il sociologo francese Durkheim occorredistinguere, nel dibattito politico, due livelli: quello del-

la conversazione e quello del pettegolezzo. Il primo è unprocesso costruttivo e cooperativo inteso, attraverso la dis-cussione, a dare risposte ai problemi della società. Il secon-do è un processo distruttivo e solitario. Non aggiunge nien-te alla conoscenza dei problemi e non contribuisce in nientealla loro soluzione. Si limita a “smontarli” in un discorso nelquale il conflitto tra le diverse posizioni non è il mezzo perrisolverli, ma, propriamente, il fine del confronto.A me pare che nel dibattito politico corrente il pettegolezzo pre-valga nettamente sulla conversazione. Il dibattito politico è sca-duto a livello del pettegolezzo. Sono rari gli interventi che si pon-gono a livello dei problemi che investono il nostro presentesituandolo in una prospettiva storica che permetta di individuarele grandi possibilità e i gravi rischi che esso presenta.I due testi su cui discutiamo mi pare costituiscano una feliceeccezione. Il primo è una lezione tenuta dal ministro Tre-monti alla scuola centrale del Partito comunista cinese nelnovembre 2009 e ha per tema gli effetti politici della primacrisi globale. Il secondo è il resoconto di una conferenza tenu-ta da Stefano Zamagni alla Basilica di San Giovanni a Romanel marzo 2010 e ha per tema le contraddizioni della postmo-dernità. Nell’esprimere un giudizio su questi due testi miavvarrò di una certa libertà interpretativa, specie per quantoriguarda il secondo, che non è un testo originale ma un reso-conto. Secondo quel resoconto Zamagni affronta il tema delparadosso della felicità che emerge nella nostra epoca postmoderna. Al formidabile aumento della produzione di risorsesi contrappone la crescente insoddisfazione della loro valo-rizzazione, sia nel senso dell’ ingiustizia distributiva sia inquello del disagio psicologico e morale: il disagio della civil-tà, denunciato a suo tempo da Freud in un suo famoso saggio.Di questo disagio si è fatto interprete Benedetto XVI nellaenciclica Caritas in veritate. Essa, afferma Zamagni, dà aiproblemi della postmodernità una risposta corrispondente aquella che l’enciclica Rerum novarum di Leone XIII avevadato nel 1891 ai problemi della modernità.

Secondo Zamagni l’enciclica di Benedetto XVI individuanella società del nostro tempo tre nodi critici, tre fondamen-tali dicotomie: tra efficienza ed equità; tra arricchimento elavoro; tra democrazia e mercato. Quanto al primo: affidan-do la produzione al solo principio dell’efficienza, si ècostretti ad affidare l’equità alle istituzioni dell’assistenzia-lismo, mancando quelle della cooperazione e della recipro-cità che contemperano efficienza ed equità nello spirito del-la fraternità. In tal caso la fraternità, ne concluderei, anzichécostituire una ricchezza, diventa un costo.Quanto al secondo: sostituendo l’arricchimento finanziarioal lavoro come fonte della ricchezza si scambia un mezzo, lamoneta, con un fine, la cooperazione, con il risultato di ren-derla incontrollabile: non uno strumento, ma un idolo. Staqui la radice dell’attuale crisi, derivante in ultima analisi daquella mercificazione della moneta che fu denunciata più diun secolo fa da Karl Polanyi – insieme con la mercificazio-ne dei fattori di produzione – come la causa fondamentaledell’alienazione capitalistica. Alla cooperazione collettiva sisostituisce la scommessa individuale, gioco eminentementeaggressivo. All’accumulazione di beni reali, frutto di unattività relazionale, quella dei simboli di quei beni , fruttodell’azzardo, esponendo così la ricchezza a un tragicorischio di fraintendimento.

Principi e prassiQuanto infine alla terza dicotomia: si estende la logica delmercato, lo scambio, alle sue regole. Ora un mercato autore-ferenziale, dove le regole si comprano e si vendono, è unapartita senza arbitro, dove l’arbitro non è riconosciuto in basea un accordo, ma può essere venduto e comprato sulla basedei rapporti di forza. Di qui l’estendersi micidiale dei conflit-ti d’interesse che hanno “suicidato” il mercato durante l’ulti-ma crisi. Di qui il trionfo delle “esternalità”, e cioè degli effet-ti non voluti e non controllabili. Di qui la violazione del pat-to democratico.Tutte e tre queste dicotomie sono, essenzialmente, aspetti

/ / 24 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Veritas in caritate>>>> Giorgio Ruffolo

Page 21: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

di quella mutazione del capitalismo che è riassumibilenella sostituzione dei mezzi ai fini. La legittimazionemorale del capitalismo, anche delle sue forme più ripu-gnanti, sta nella possibilità di dimostrare che quei mezzi,in fin dei conti, si traducono in un crescente benesseremateriale, base fondamentale del benessere sociale. Sequesta pretesa viene a mancare, se l’assenza di equitàdistrugge l’efficienza, l’assenza della cooperazionedistrugge il mercato, l’assenza di regole distrugge lademocrazia, la pretesa del capitalismo di costituire l’ordi-ne sociale più favorevole al progresso dell’uomo viene amancare.Ho tentato di interpretare le conclusioni di Zamagni, comeriferite nel testo curato da Giuseppe Amari e GiovannaLeone. Non escludo che l’autore non si riconosca in questainterpretazione. Per parte mia, credo che quelle conclusio-ni, se correttamente da me intese, concordino sostanzial-mente con quelle del mio libro Il capitalismo ha i secolicontati. Le contraddizioni nelle quali Zamagni riassume inodi cruciali dell’enciclica Caritas in veritate, ovviamentein termini diversi, sono enunciate nei capitoli finali dellibro, dedicati alle caratteristiche dalla mercatizzazioneglobale (Il mercato senza le mura: l’insostenibilità ecolo-gica, la globalizzazione dello spazio, la privatizzazione, lafinanziarizzazione – altrimenti definita mercatizzazione –del tempo, la demoralizzazione).Ne dovrei concludere, per via transitiva, che le mie con-clusioni concordano sostanzialmente con quelle dell’enci-clica papale. In questo caso, ne sarei lieto. Con tre nonirrilevanti qualificazioni. La prima è ovvia. Per un noncredente come me il concordare su quei giudizi non com-porta adesione alle loro premesse teologiche.La seconda riguarda la vessatissima questione demogra-fica. Se è scorretto affermare che l’aumento della popo-lazione è la causa prima del degrado ecologico e ambien-tale, è altrettanto scorretto affermare che non esiste comecausa concomitante di quest’ultimo. Ed è ancor più dis-cutibile porre in primo piano il calo di natalità dei paesiricchi, anziché l’eccesso di natalità nei paesi poveri, dovesi registra il maggior numero dei decessi di bambini perfame e privazioni. La Chiesa sostiene lo sviluppo umanointegrale e il pieno rispetto dei valori umani. Ma non èsviluppo umano la cura dei bambini poveri e non è rispet-to dei valori umani evitare che si venga al mondo solo persoffrire e morire? La risposta della Chiesa è affidata allaproposizione che la vita è, di per sé, ricchezza. Anche

quando, nell’indigenza, degrada prestissimo verso lamorte?La terza è la più grave e riguarda il totale silenzio del-l’enciclica papale sulla criminalità finanziaria internazio-nale e sui paradisi fiscali, che ne costituiscono un aspettorilevantissimo. La ragione di quel riserbo è comprensibi-le. Essa sta nel pieno coinvolgimento del Vaticano in quelmondo paradisiaco che poco ha a che fare con i nostri pri-mi progenitori, ma molto con le istituzioni e le pratichefinanziarie della Chiesa cattolica. È evidente che il com-prendere quel silenzio non equivale a giustificarlo.Questa osservazione vale anche per il secondo testo: quel-lo relativo alla lezione tenuta il 19 novembre 2009 a Pechi-no alla scuola centrale del Partito comunista cinese dalnostro ministro Giulio Tremonti. Anche qui, non si puònon concordare ampiamente con la diagnosi delle causedella crisi, dei modi di affrontarla, dei modi di uscirne; inparticolare, della assoluta inadeguatezza delle istituzioniche dovrebbero provvedere alla creazione di un nuovoordine economico mondiale. Inadeguatezza di un G7 o diun G8 dal quale è esclusa tanta parte dei protagonisti del-l’economia mondiale. Ma anche improponibilità di sosti-tuirlo con un G2 (Stati Uniti e Cina) che riproporrebbe unduopolio mondiale, quello tra Stati Uniti e Unione Sovie-tica, il quale si sosteneva soltanto sul terrore atomico.E non si può non convenire sulla necessità di un qualchegoverno mondiale, fondato su una leadership di paesi piùrappresentativa, ma soprattutto su un impegno di solida-rietà che trascenda decisamente gli egoismi particolari.Ripeto. Non si possono non condividere i principi di unnuovo ordine mondiale basato sul principio della solida-rietà. Del resto anche qui, mi permetto di ricordare som-messamente, sono giunto io stesso a conclusioni non dis-simili in più di una occasione.Ma anche qui vale l’esigenza che all’invocazione deiprincipi corrisponda la coerenza della pratica politica. Midomando se la pratica politica del ministro Tremonti,fondata su un’alleanza di ferro con le forze politiche piùrappresentative del localismo e meno sensibili, per nondire dichiaratamente ostili, agli ideali e alle passioni del-la unità nazionale (per non parlare della disposizione allasolidarietà e alla fraternità con uomini e donne di altripaesi) costituisca quella riserva aurea di credibilità che ènecessaria a garantire la moneta circolante nei discorsi piùispirati. Mi domando, in altri termini, come si traduca ilcinese di Pechino nel lumbard di Cinisello Balsamo.

/ / 25 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 22: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

/ / 26 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

In viaggio sul Titanic>>>> Giulio Sapelli

Nella storia dei viaggiatori rimarrà l’episodio della tappacinese del ministro italiano dell’Economia, Giulio Tre-

monti, il quale il 19 novembre 2009 ha tenuto una lectiomagistralis presso la Scuola Quadri del Partito ComunistaCinese. Una lezione il cui nucleo essenziale è il significatostorico-generale della globalizzazione. La riflessione sullaglobalizzazione continua, con risultati scientifici che debbonoancora compiere un decisivo passo innanzi. E questo perchénon abbiamo ancora acquistato ciò che è necessario per riflet-tere scientificamente su di essa: la libertà rispetto al “pensie-ro unico” che ha prevalso per un trentennio nel mondo, allon-tanandoci dalla conoscenza della società e delle sue relazionieconomiche. In questa lezione Tremonti ci aiuta a farlo, unpasso innanzi. L’essenza del “pensiero unico” è l’aver fattoproprio una prospettiva analitica metodologica individualisti-co-comportamentista ed una ipostatizzazione antropologicamaterialistico-acquisitiva ( la razionalità illimitata dell’indivi-duo massimizzante le utilità pecuniarie). L’economia, invece,è una parte e non il tutto della società, e dalla società – e quin-di dalle relazioni interpersonali e dai comportamenti persona-li – essa è determinata. Tutto il contrario sia delle ipotesi mar-xiste più dozzinali, sia di quelle neoclassiche ideologicamen-te neo-liberiste.Riguardo al senso comune si può ben dire che la vulgata cor-rente identifichi la globalizzazione come un fenomeno preci-puamente economico e precipuamente nuovo, un fenomenoche è emerso dalla modernità ininterrotta: addirittura giàsuperata nello stesso farsi (la “post-modernità”) del capitali-smo contemporaneo. Aver dimenticato la storiografia, e quin-di vivere e operare misconoscendo la storia, riduce l’essercinel mondo a una deprivazione del suo significato più profon-do. È come essere collocati al centro di una serie di quadrisenza prospettiva, come le icone bizantine, che paralizzano ilmondo nell’assoluta presenza del divino. Quando però i qua-dri che sfilano dinanzi non sono i santi e le icone del calen-dario ortodosso, ma le mosse avventure della vita, allora l’as-senza di prospettiva, il porsi in una posizione pre-rinascimen-

tale dinanzi alla vita stessa, può avere conseguenze devastan-ti per coloro che rimirano e cercano di dirigere gli eventi.Quando vi riescono gridano alla vittoria, mentre invece sonosolo dominati dal caso. Infatti alla vittoria giungono distor-cendo gli eventi in una narrazione illusoria, inesistente sulfronte della realtà. Ma ciò produce processi di comunicazio-ne che distorcono le menti e dispensano favole invece chenarrazioni realistiche. Così è per la globalizzazione. Rimet-tiamo, invece, in campo la prospettiva: non solo la storia nonè finita allorché crolla l’URSS, ma essa, la globalizzazione,altro non è che il ciclico riproporsi di eventi a cui i grandi sto-rici della contemporaneità hanno dedicato pagine straordina-rie e sempre da rileggere con inesausta passione.I periodi di grandi scambi mercantili, non limitati da barrieree da dazi, sono stati i grandi propulsori della crescita econo-mica e dell’interconnessione culturale. L’inculturazione nonsarebbe potuta avvenire senza le vie del commercio, de ledouce commerce di Montesqieu, il quale voleva così inverareil sogno massonico del superamento delle nazioni nell’aura diuna ragione che fosse infinita come la storia. Lo stesso capi-talismo moderno s’erige – dalla seconda metà dell’Ottocentosino alla prima guerra mondiale – sul mito e sulla realtà delfree trade e del domino britannico mondiale, per poi infran-gersi dinanzi al crollo degli imperi che a quella guerra seguecon deflagranti conseguenze che sono durate sino agli anniquaranta del Novecento. Il fatto che dopo la fine degli anniottanta del Novecento la macchina della globalizzazione (nonsolo finanziaria, ma anche industriale e dei servizi) si siaposta in marcia, altro non è che la prova che la globalizzazio-ne è più un fenomeno dalle radici politico – culturali che eco-nomiche. Senza il crollo sovietico, come si ricorda dinanziagli allievi comunisti cinesi, l’infermo percorso dell’unitàeuropea, asimmetrico e fortemente insidiato dalla presenzadegli Stati nazionali, non sarebbe stato neppure iniziato; sisarebbe rimasti al MEC.Il sogno, tuttavia, appena il ciclo degli scambi mondiali s’in-debolisce, rimane come è nato: già morto per l’acciecamento

Page 23: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

devastante del funzionalismo monetarista che ha portato ilsogno stesso al fallimento. Ma soprattutto il commercio mon-diale, senza il declino e poi il crollo dell’URSS, non si sareb-be nuovamente posto in marcia con un ritmo che si avvicinò aquello degli anni della grande crescita ottocentesca e ai primianni del Novecento. E tutto ciò superando profonde crisi, arre-tramenti, mai interrompendosi se non dinanzi ai cannoni dellearmate franco-tedesche e russe e italiane e all’insanabile frat-tura, al profondissimo cleavage, che ne sarebbe scaturito conla trasformazione del comunismo in statualità via via semprepiù aggressiva. Un comunismo più asiatico che europeo, piùrusso che internazionalista, un comunismo sempre più dilava-to delle sue utopie e rapidamente trasformatosi in un dominiodittatoriale della forza in misura inusitata e mai prima invera-tosi nella storia delle società industriali.

Le icone e la prospettivaLa globalizzazione come fenomeno politico, e di conseguen-za come fenomeno storico concreto, non può ridursi ai grafi-ci che ne misurano – o meglio, pensano di misurarne – glieffetti, e nulla dicono delle cause, trasmutando anche il pro-

cesso epistemologico in un susseguirsi di icone anzichè inun’esibizione di quadri dalla prospettiva rinascimentale. L’e-conomia, in effetti, altro non è, invece, che la concretizzazio-ne di una filosofia morale che si fonda su un’immagine antro-pologica dell’uomo. Lo è anche se gli addetti ai lavori, nelladifferenziazione sociale odierna sempre più autoreferenzialee frammentata, ne sono inconsapevoli, vista la stupefacenteignoranza dei più. Per gli economisti neoclassici e neo liberi-sti l’immagine è quella dell’individuo in quanto archetipoliberale matematizzato; per gli economisti classici e per i filo-sofi dell’essere è la persona non matematizzabile, irriproduci-bile. Il personalismo cristiano, l’umanesimo cristiano, nonpuò non fondarsi sulla persona. E l’economia che ne discen-de, in teoria e nella praxis, non può non essere un’economianon per il profitto, ma per la persona.In questa luce teorica il mercato non può che essere un even-to probabilistico, sempre “quasi perfetto”, dominato spessodall’imperfezione dilagante e soprattutto soggetto alle ciclici-tà della crescita come della depressione e della crisi. Dal pun-to di vista delle nostre volizioni non può che essere quello chepuò scaturire da un liberismo temperato dalla sussidiarietà edall’obiettivo della piena occupazione. Che questa imposta-

/ / 27 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 24: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

zione teorica interpreti lo Zeitgeist che si leva dalle maceriedella grande crisi è dimostrato sia dalla resistenza che lepersone stanno opponendo alla crisi medesima, disvelandouna resilienza fortissima e spesso imprevista, associandosie unendosi più di quanto non appaia a prima vista; sia nel-la stessa trasformazione che il reticolo dell’economia reale,tra finanza e manifattura e servizi, rende manifesto; sia nel-le culture che emergono dalla crisi medesima, culture coo-perative e donative che nell’orizzonte mainstream neoclas-sico non sono neppure teoricamente ammesse e, quandoesistono, non si vedono.La globalizzazione, del resto, oggi si sta trasformando pro-prio per effetto della grande crisi mondiale in corso. Laragione risiede nel fatto che termina, in questo contesto, unciclo politico: non solo un lungo ciclo economico, quindi,che aveva incantato le menti e paralizzato i comportamen-ti, in una coazione a ripetere sia l’indebitamento sia ilrischio, entrambi eretti a virtuosità. La chiave di volta diquesto lungo ciclo economico-politico era la convinzioneche animava il capitalismo anglosassone che la lotta all’in-flazione e in primis al debito pubblico costituissero i fatto-ri fondamentali della crescita mondiale. La crescita eradimidiata, tuttavia: il reddito si spostava dal lavoro al capi-tale indebolendo i mercati nella loro solvibilità delladomanda, e la finanza drenava risorse che si sottraevanoall’industria, generando stagnazione occupazionale che ineo-servizi non potevano integralmente sostituire. Il lungociclo economico-politico decadeva e aveva al suo nuovocentro il mercato internazionale, non più in grado di opera-re come meccanismo regolatore non soltanto degli scambima anche dei poteri degli Stati e dei meccanismi internidella crescita.L’unificazione del mercato europeo con il Trattato di Maa-stricht nel 1992 aveva rappresentato l’apogeo di questapolitica internazionale. Non a caso quelli sono gli anni del-la crescita impetuosa del mercato borsistico e della cosid-detta Nuova Economia. L’Europa divenne un anello sensi-bilissimo di questa nuova prospettiva economica e politica.Essa aveva al suo centro la prevalenza del mercato sul con-senso elettorale. Questo ciclo è durato un ventennio. Erainiziato, il volto politico di quel ciclo, agli inizi degli anninovanta del Novecento, quando i grandi investitori istitu-zionali, i grandi banchieri d’affari anglosassoni, le grandidemocrazie occidentali europee imponevano in una Europaunita la moneta e una disciplina sociale imperniata sul rigo-re dei conti pubblici. Tutti questi dominatori e costruttori

dei mercati che si andavano globalizzando annunciaronol’inizio del totalitarismo liberistico.Si è trattato di un modo totalitaristico di affermare il mercatoin democrazia. Non è un ossimoro, ma il disvelamento delvolto poliarchico e non democratico dell’assetto capitalisticomondiale: pensiero unico, dominio unico del mercato in unassetto procedurale democratico, ma condizionato continua-mente dai poteri situazionali di fatto che si sottraggono allavisibilità e governano le volizioni che s’incanalano nelle pro-cedure. È stato questo modo d’imporre il mercato che haposto le basi della decadenza in cui oggi siamo immersi. Equesto perchè la società, in questa morsa, non poteva piùessere produttrice di senso e quindi di motivazione vitale: ilsignificato si separava dalla funzione. Il mercato governavase stesso e quindi andava verso la rovina dei più deboli e lavittoria dei poliarchici dominatori. Il profitto diveniva unavertigine, diveniva l’illusione della capacità di dominare ilrischio, diveniva un’arma di distruzione di massa; la cecitàdinanzi alla povertà relativa che dilagava e non poteva essereesorcizzata dalla diminuzione della povertà assoluta divenivaun ostacolo per qualsivoglia trasformazione che impedisse ilcrollo che si avvicinava.

Il denaro e il lavoroCambiare o cadere nell’abisso: ecco l’alternativa che si pre-sentava dinanzi al mondo agli inizi del primo decennio delnuovo millennio. Ma non vi fu scampo. Non solo la tecno-crazia inferma delle business schools fallì. Fallì, e fallisce,anche la democrazia plebiscitaria che si avvia a divenire ilmeccanismo politico più pertinente all’emersione della socie-tà dei diritti, che è oggi consustanziale a un mercato dispie-gato che non può non fondarsi sulle volizioni acquisitive dimiliardi di consumatori. Quando la fiducia nel consumo inin-terrotto crolla, la democrazia plebiscitaria rimane e l’ugua-glianza à la Tocqueville si disvela come un terribile strumen-to di omologazione se non viene sostenuta da uno Stato didiritto forte quanto mai. Ma anche questo è stato distrutto dalmercato dilagante: rimane solo il diritto dei mercanti, che pergovernare la società è insufficiente. Dopo alterne vicende intutto il mondo nuove forze politiche si trovarono e si trovanoa dover compiere l’opera di risanamento per impulso dellamoral suasion che veniva dai grandi dominatori dei mercatiinternazionali. Di qui la divaricazione delle due teste caninedello Stato: la rappresentanza si aggroviglia nella complessi-tà riducibile solo consentendo la decisione in sé (l’utopia

/ / 28 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 25: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

schmmittiana di Luhmann); e la decisione, quando si concre-ta, assorbe e dilava i tessuti della partecipazione. Di qui lachiara visione che l’aver posto al centro dell’organizzazionesociale il denaro anziché il lavoro ha avuto conseguenzedevastanti. E questo per l’impossibilità del denaro di riclassi-ficare ceti, ruoli, funzioni sociali, non essendo in grado diriaggregare il sociale e di dare a esso un significato di comu-nità riproducibile. Tutto ciò, dinanzi al nomadismo che divie-ne l’essenza delle collocazioni sociali dominanti, ha avuto ildisastroso effetto in cui oggi siamo ancora immersi, in unmondo dove solo la fede ci può salvare.La politica, all’inizio del ventennio disastroso, iniziava atacere quando e laddove di essa v’era più bisogno. E pureaveva per lungo tempo esercitato un potere dispiegato: ma eraeffimero, quel potere, perchè riproduceva solo le classi poli-tiche autoreferenziali (di qui, per me, l’efficacia che persistedell’insegnamento autopoietico luhmaniano). Per questo oraparla solo il mercato.Iniziarono le privatizzazioni, in questo contesto caratterizzatodall’afasia politica e dalla bulimia discorsiva mercatistica.Questa bulimia doveva realizzarsi attraverso i mercati deidiritti di proprietà. Infatti le liberalizzazioni vennero iniziatecon inaudite difficoltà, difficoltà che aumentavano mano amano che il potere dei mercati si estenuava, ma che eranosempre raccontate come salvifiche. Il potere della nuovademocrazia cesaristica fece il resto: iniziò a costruirsi il mitodella sovranità che ha la legittimità non negli interessi gene-rali, ma in quelli particolari del collegio, della gente affamatadi favori, della società economica non incivilita dalla creden-za nella legalità. La sovranità degli affari, degli scambi eco-nomici, iniziava, in tal modo, a fondarsi non più solo sui mer-cati, come avvenne all’inizio del ciclo prima descritto. Non sifondava più sullo sforzo diuturno di renderli meno imperfet-ti, quei mercati, quanto invece sul principio di decisioneimmediata e non vincolata dalla rappresentanza salvo che nelmomento dell’attribuzione del principio di legittimità che loStato non può non avere in sé con l’avvento delle società dimassa. E questo incrocio via via iniziò a non legittimare piùsolo il mercato come meccanismo regolatore delle decisionimacro-economiche, sia sul fronte dell’imposta, sia su quellodella spesa.Le recenti vicende governative mondiali, che scaturisconodalla necessità di sostenere sia la società dei consumi, sia lasocietà aggressiva e suicida dei diritti senza limiti, sia esoprattutto la circolazione finanziaria sotto il dominio incon-trollato dei grandi banchieri di tutto il mondo, debbono esse-

re interpretate in questa generale trasformazione. Essa noninveste solo l’Europa e gli USA, ma il mondo, BRIC in testa,ASEAN a seguire. Tanto più dopo l’allargamento recente chedistrugge alle fondamenta il rigore possibile e futuro dei mer-cati europei. La Costituzione Europea è l’emblema di questociclo di separazione della politica dall’economia alla cui fineoggi assistiamo. Certo, dopo gli scandali finanziari – deter-minati fondamentalmente dalla carenza dei controlli internidelle imprese – una soluzione della crisi legittimata dal prin-cipio di rappresentanza tarda a realizzarsi a livello mondiale.L’effetto di questa paralisi è il discredito non tanto della clas-se politica, i cui clamori riempiono i giornali e le televisioni,quanto, paradossalmente, delle stesse autorità statuali, che sivedono attaccate e vilipese senza che possano preannunciaredecisioni rapide e rinnovatrici. Non a caso in tutto il mondocresce il potere dei giudici, potere ormai corporato che calpe-sta ogni giorno Montesquieu mentre l’invoca e si candida agovernare o a offrirsi al maggiore offerente per consentire acoloro che vogliono decidere di farlo con una legittimazionegiustizialistica, neo-barbarica, che esalta le plebi terracquee.

La variante asiaticaLa sovranità del mercato, in tal modo, perde, per effetto con-tro-circuitato dalla politica, ogni parvenza di legittimità. Ognigiorno. Ogni giorno essa si scredita e si corrompe. Tutto ciòsi inserisce nella trasformazione del sistema di pesi e di rile-vanze della situazione geo-strategica mondiale, che si stainverando a velocità impreviste. Pensiamo a ciò che è acca-duto recentemente nel Sud Est Asiatico. Anche qui non si puònon iniziare dalla storia. Nel pieno della guerra fredda e del-la guerra del Vietnam, che era iniziata nel 1964, si fondava aBangkok l’ASEAN, ossia Alleanza tra i paesi dell’Asia SudOrientale. Le nazioni firmatarie erano l’Indonesia, la Thai-landia, Singapore, le Filippine e la Malysia. Le finalità eranoquelle di coordinare lo sviluppo economico, promuovere lapace e la stabilità militare della regione. Nel 1964, non si puònon ricordarlo, un colpo di stato faceva crollare l’alleanza traSukarno, eroe della lotta d’indipendenza anti-olandese indo-nesiana, e i comunisti filo-cinesi, che erano l’architrave asia-tico della politica filocomunista del fronte dei non-allineati(così come i comunisti sudanesi lo erano in una nazione stra-tegica per tutta l’Africa Centrale e per il Corno d’Africa).Negli anni 1964-65 quei partiti comunisti e nazionalisti ven-nero distrutti con centinaia di migliaia di morti e la storia die-de vita, anche attraverso simili processi, al fondamentalismo

/ / 29 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 26: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

islamico come movimento collettivo di massa in funzioneanti-occidentale.La storia camminava con gli stivali delle sette leghe.Via via,ai soci fondatori dell’ASEAN, che avevano adempito al ruo-lo di combattere l’avanzata comunista nell’area, si aggiunse-ro il Brunei (nel 1984), il Laos e Myanmar (entrambi nel1997), e più recentemente, terminate le guerre e gli orrori (siricordino i khmer rossi) che sconvolsero quei paesi, il Viet-nam (nel 1995) e la Cambogia (nel 1999). Nel 2003 s’iniziòla riduzione delle tariffe doganali con l’incremento del liberoscambio, al di là dei differenti regimi politici e sociali checaratterizzavano quelle nazioni. Ma il problema dell’ASEANfu sempre quello del rapporto da intrattenersi con la Cinaallorché essa abbandonò il verbo maoista e iniziò la sua asce-sa economica. Nel 1996 fece scalpore l’adesione della Cinacome paese “partner” dell’Alleanza; adesione che seguiva lafirma, nel 1993, a Phnom Penh, di un accordo di cooperazio-ne commerciale tra il Paese di Mezzo e l’ASEAN, accordoche iniziò a mutare radicalmente le relazioni internazionalinella regione. Ma nessuno si attendeva che i rapporti si con-solidassero così fortemente e rapidamente come è accadutosorprendendo la maggioranza degli osservatori.Il 29 dicembre 2009 il ministro cinese del commercio e il rap-presentante economico della Thailandia in Cina annunciaro-no che dal 1 gennaio 2010 la Cina avrebbe fatto parte inte-grale dell’Alleanza. Viene così costituendosi un’area di libe-ro commercio di 1,9 miliardi di persone in un plesso strategi-co essenziale per gli equilibri mondiali. La dipendenza delSud Est Asiatico dagli Usa e dal Giappone sta lentamente sce-mando, anche se queste due nazioni rimangono i principalipartner economici della regione. Il problema è che con la cri-si economica la Cina ha visto esponenzialmente aumentare lacrescita degli scambi rispetto ai due grandi protagonisti primacitati e a tutti gli altri paesi dell’Alleanza. L’accordo di libe-ro scambio segna, infatti, una forte integrazione tra dueimmense macroregioni: una che si configura come una solapotenza statuale; l’altra che si contrassegna, invece, comeuna miriade di Stati di diversa dimensione e con non conver-genti orientamenti politici. È facile perciò prevedere che inbreve la Cina assumerà un ruolo predominante nell’aerea e necondizionerà pesantemente i destini non solo economici.Anche questa volta la storia ha degli effetti non previsti, con-tro-intuitivi: un accordo nato per contenere e contrastare ilcomunismo finisce per essere oggi un veicolo di propagazio-ne del comunismo medesimo, che ha tuttavia rivestito, dopole entrata della Cina nel WTO nel 2001, i panni di un capita-

lismo monopolistico di Stato sempre più potente e aggressivograzie al decisionismo di matrice nazional-socialista checaratterizza il dispotismo asiatico di cui la Cina è l’incarna-zione più pura. I fondatori dell’Alleanza negli anni sessanta

/ / 30 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 27: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

del Novecento a tutto avevano pensato, ma non a questo.Ecco un nuovo trionfo della politica. Ma quale trionfo! Ed èun trionfo che si ha anche nei confronti della tecnica, chemolti, sulla scorta di un heideggerismo di maniera, conside-rano il nuovo despota delle relazioni sociali mondiali. Maquesto dominio è così incontrollato? Non mi pare. E questoperché la tecnica continua a essere uno degli anelli fonda-mentali della configurazione delle nostre relazioni sociali,non solo e semplicemente strumentali, ma altresì espressive evolizionali, desideranti.

Il disordine europeoI nodi sono venuti al pettine. E tutto questo cambiamento dipesi e di rilevanza a livello internazionale è acuito dal disor-dine europeo che la crisi greca porterà in piena luce tra pocotempo. L’illusione monetarista europea, infatti, si sta lique-facendo. Il tradimento operato agli inizi degli anni novantacontro i padri fondatori dell’Europa, impegnati ad una rico-struzione pacifica che cicatrizzasse per sempre le ferite fran-co-tedesche dopo la seconda guerra mondiale, presenta ilconto. L’unificazione europea è stata il compimento di undisegno che affonda le sue radici nel tradimento operato daineonazionalismi del secondo dopoguerra contro l’idea diun’Europa del libero scambio (che volevano inverare gli Usacon il Piano Marshall), e i sognatori dell’Europa federale(con l’appello di Ventotene). Il Mercato Comune Europeoraggiunse certo risultati importanti sul terreno delle quattrolibertà di scambio fondamentali (di beni, di capitali, di servi-zi, di persone), risultati che sono divenuti per un certo lassodi anni irreversibili con il Trattato di Maastricht. Ora ladepressione più profonda, la più grave da cento anni (daquella del 1907), pone in discussione tutti gli assetti dei mer-cati unificati: a moneta unica, come l’Europa, oppure a bas-se e coordinate barriere doganali, come il Mercosur, il Naf-ta, e perfino l’Asean.La ragione di questo è simile a quella che provocò la crisi del1929 dopo la prima guerra mondiale. Allora, manu militari,crollarono gli imperi. Oggi, manu topmanager stockoptioni-sti, sono crollate le regole dello scambio della moneta sim-bolica e del rischio diffuso. Senza una teoria del rischio e conuna diffusa violazione delle regole contabili si è spezzato ilnesso fondamentale dell’autoregolamentazione che ha allabase la limitazione dell’indebitamento monetario. Il mercatofinanziario non ha dato segnali del prossimo crollo dei valo-ri perché non poteva darli: a fianco, o sotto, di esso si è for-

mata una popolazione invisibile di operatori finanziari che,occultamente, hanno violato le regole della fairness univer-sale. La sanzione morale è stata sostituita dal titolo di unmaster. Il nichilismo ha prevalso.A fianco di questo la flessibilità e la precarietà hanno deva-stato i mercati interni: il rischio è salito alle stelle perché allasovraccapacità produttiva si è affiancato il crollo delladomanda aggregata. L’assenza di teoria dell’investimento eil prevalere del pensiero neoclassico hanno distrutto la socie-tà e quindi l’economia. L’Europa non ha futuro se rimanesolo l’Europa dei monetaristi neoclassici. La profezia gonfiadi stupido orgoglio hajekiano della Thatcher (“La societànon esiste perché esiste solo il mercato”) si è avverata. Tutticontro tutti. Ma l’unica società a brandelli che ancora esistesono le nazioni: perciò tutte le nazioni ora si sbranano avicenda, e la Germania, la più inquinata tra le nazioni euro-pee dagli asset tossici dei manager stockopzionisti, rifiuta difarsi carico dei paesi dell’Est. La Francia gioisce. L’Italianon conta nulla, e neppure gli altri Stati dell’Europa del Sud.Il Regno Unito è pietrificato dalla crisi e dal fallimento delblairismo in economia, dopo i tanti successi mietuti in poli-tica, ma si salva perché non è entrato nell’euro e la sterlinarimane la sua ultima speranza: il Regno Unito non sarà tra-volto dal crollo di quell’euro che sino a poco tempo fa glistupidelli candidavano a essere la nuova moneta mondiale.L’unica soluzione potrebbe essere quella politica. Ricomin-ciare non dalla moneta, ma dalla politica: un solo sistemafiscale, un solo sistema di nuovo welfare societario e mutua-listico. Ma mi pare troppo tardi. La follia di aver ammesso inEuropa non la Turchia ma, invece, paesi come la Bulgaria, laRomania, la Polonia, gli Stati Baltici, avrà conseguenze ter-rificanti sul piano economico, e il fatto che tali Stati abbianooperato sui mercati internazionali non con le loro monetine,ma con monete europee che ritenevano più vantaggiose perle ragioni di scambio dei loro capitali nazionali, aumenterà ildisordine monetario e porterà tutta l’Europa sull’orlo deldefault. Se si pensa che tutto ciò accade mentre il FondoMonetario Internazionale ha necessità inderogabili di essererifinanziato pena la sua inutilità strutturale per lunghi decen-ni, e che la Banca Mondiale ha tradito clamorosamente i suoifini, non rimane che levare un brindisi agli euroscettici. È unbrindisi sul Titanic. Anche un euroscettico di lungo corsocome me non può che averne paura. Quello che è certo è cheil mercato senza morale distrugge la società: la comunità laricostruisce e la fa crescere. Questo mi ha fatto pensare lalezione tremontiana nella vicinissima Cina.

/ / 31 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 28: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Interloquire nello specifico con Giulio Tremonti non è faci-le. Mentre è prevedibile che il suo intervento alimenterà leulteriori critiche dei suoi nemici, che non sono pochi, e i col-pi del fuoco amico: “Tremonti fa il profeta”, titolava VittorioFeltri qualche giorno fa, e Santoro aveva approntato una tra-smissione di Anno zero con lo stesso ministro dell’Economia,titolandola appunto “il profeta”. Chi la pensa così troveràaltre frecce al proprio arco per insistere in questa rappresen-tazione. Nel mio piccolo ritengo il contrario: quella di GiulioTremonti è un’analisi che si muove con il necessario livellodi astrazione, indispensabile per abbozzare un discorso seriosulla crisi che il mondo sta vivendo.L’esigenza è quella di andare all’essenza delle cose: operazio-ne non facile e non priva di rischi, come insegna Popper nellasua lunga disamina sull’evoluzione del pensiero filosoficomoderno. Perché è lì che allignano i pericoli per la libertà. Mail tentativo è, al tempo stesso, inevitabile. Assistiamo a cam-biamenti talmente profondi che solo un livello di astrazioneadeguata consente di intuire – e non vogliamo andare oltre –un barlume di luce in fondo al tunnel. Se siamo “ad un verocambio di paradigma”, come dice Tremonti, allora conta piùl’intuito che non l’analisi di carattere sistematico. Che comun-que andrà fatta, quando le cose diverranno più evidenti.È giusta questa impostazione? L’esempio più recente, a suaconferma, è più che autorevole. Nell’ultimo numero delWorld Economic Outlook il FMI nega la sua più recente tra-dizione. Non si limita a rimproverare quei paesi che nonrispettano i parametri del buon governo in termini di crescitasalariale, eccesso di welfare e disordine nelle pubbliche finan-ze. Ma alza il tiro anche sull’eccesso di virtù. Paesi come laCina, il Giappone o la Germania, che pensano troppo adesportare e poco al benessere dei propri cittadini. È il sensopiù completo di uno smarrimento – teorico ancor prima cheprogrammatico – che è l’essenza di questa crisi, in cui sem-brano essere saltati tutti i parametri di una vecchia ortodossia.Non è la prima volta che questo accade. La crisi del 1929 –un riferimento ricorrente – produsse gli stessi effetti. Quel

cataclisma fu foriero di soluzioni che investirono il cielo del-la teoria e le pratiche di governo. Furono processi distinti eper molti versi indipendenti; come dimostra la lettera cheLord Keynes indirizzò a Roosevelt per dargli atto di una con-vergenza per molti versi non voluta, ma divenuta tale. Il newdeal fu essenzialmente il prodotto degli eventi e della neces-sità di farvi fronte con una politica innovativa e diversa dalpassato. Le tesi di Keynes costituivano il superamento di unvecchio corpus teorico che non era più in grado di rappresen-tare il reale. Come si poteva, infatti, sostenere ancora la tesidi un equilibrio meccanico e automatico tra domanda edofferta di lavoro, che escludeva concettualmente l’ipotesi didisoccupazione, quando milioni di senza lavoro si aggiravanocome fantasmi tra le rovine delle vecchie roccaforti industria-li? Keynes svolse onestamente il suo ruolo di analista, ricor-rendo agli attrezzi del mestiere. Comprese il limite della vec-chia legge di Say – l’offerta crea sempre la sua domanda – ene rovesciò il postulato.Oggi, almeno sul fronte della pratica di governo, non capitaforse qualcosa di simile? Se il paese più pragmatico e liberi-sta del mondo, come gli Stati Uniti, è costretto a intervenirepubblicamente nell’economia con una manovra di qualchetrilione di dollari non assistiamo forse ad un’identica varia-zione sul tema? Ma questo – si dirà – non è un ritorno al vec-chio statalismo. Passata la bufera, tutto ritornerà come prima.Era quanto Beneduce e Menichella pensavano all’atto dellacostituzione dell’IRI. Un intervento limitato nel tempo, poi lebanche e la grandi imprese acquisite dallo Stato dovevanotornare in mano privata. Un’illusione che è durata quasi 50anni ed è terminata solo agli inizi degli anni ’90.Quanto ci vorrà per tornare ad una situazione di normalità? Epoi qual’è la normalità? Il pezzo che manca nella nostra ana-logia con gli anni ’30 è proprio il deficit di analisi oltre il con-tingente ed il pragmatismo. Giulio Tremonti non ha questapretesa. Quel che conta, almeno in questa fase, è percepire lanatura del problema, anche a costo di passare per profeti sen-za terra. Quest’esigenza può essere colta solo con un adegua-

/ / 32 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

L’astrazione che serve>>>> Gianfranco Polillo

Page 29: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

to processo di astrazione, riscoprendo metodologie più anti-che che le successive vicende storiche hanno poi, forse ingiu-stamente, detronizzato. Non dimentichiamo qual’è stata l’am-bizione del marxismo: quella di essere il superamento storicodella filosofia classica tedesca. Che tuttavia riaffiora, comeun torrente carsico, nei momenti più acuti della crisi. Parten-do da un’esigenza di metodo che non può essere negata.

Il salto di paradigmaLa realtà si rappresenta solo grazie a categorie teoriche checonsentono di separare il grano dal loglio. Di individuare glielementi fondanti dai semplici episodi. Oggi tutto questo,proprio a causa del “salto di paradigma”, ancora non esiste. Inattesa che qualcuno possa fornire un’indicazione più precisadobbiamo ricorrere ad un calcolo probabilistico. Qual’è lametodologia che meglio di altre può fornire una traccia? Perrispondere al quesito dobbiamo partire dall’osservazioneempirica. Il tempo di Keynes è finito con la globalizzazione.Era in parte inevitabile. Keynes ragionava in termini di “eco-nomie chiuse”. Quel processo impetuoso ne ha spazzato ipostulati. L’antitesi a Keynes è stato il pensiero unico del neoliberismo: il mercatismo, come dice lo stesso Tremonti. Ma

questo è sfociato in una crisi che ricorda da vicino il crack del1929. Negato Keynes, la crisi si è risolta nella negazione del-la negazione. Diventa allora chiaro che non è dal primo che sipuò ripartire, ma da una sintesi delle due esperienze. Questo,almeno mi sembra, il metodo di Tremonti: non la vecchia dia-lettica aristotelica, ma un movimento a spirale che cerca dirappresentare il divenire del processo storico.Hegel? In me certamente, forse meno in Tremonti. Ma il risul-tato non cambia. Quel che conta è immaginare un diverso ruo-lo dello Stato, e quindi della politica, nel governo della crisi.Keynes, nella sua più complessiva analisi, recuperò gran par-te della precedente teoria. Nel suo celebre apologo sui compi-ti della politica economica – le buche da ricoprire di sabbia –era presente un postulato che molti hanno trascurato. L’attivi-tà pratica dello scavare e del riempire nuovamente le buchenon era compito dello Stato, ma dei privati. Le due sfere era-no distinte. Il primo non poteva sostituirsi ai secondi. Il capi-talismo, ovvero l’economia di mercato – ed è qui la profondadifferenza rispetto all’esperienza sovietica – andava gestitosolo da un punto di vista macroeconomico. Le prerogative deiprivati, nell’organizzare la produzione, erano intangibili.Oggi ciò che si deve recuperare è soprattutto l’orizzonte del-la globalizzazione: legal standard, come dice Tremonti, ed

/ / 33 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 30: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

una nuova cooperazione internazionale, all’insegna del multi-lateralismo. Basterà? Sarebbe sbagliato trascurare l’intreccio,molto più complesso, che si è venuto a determinare tra fatto-ri interni e fattori internazionali. Né del resto si può invocareuna maggiore determinazione politica solo al secondo livello.Siamo invece convinti che la politica deve tornare a fare lasua parte anche all’interno dei confini nazionali, affidandosiun po’ meno ai semplici equilibri di mercato. Questo del restoè il suggerimento che si ricava dalle analisi del FMI prece-dentemente citate. I paesi virtuosi – dice il FMI – possonointervenire proficuamente in modi diversi. Possono rivalutareil cambio, come nel caso cinese; liberalizzare il mercato,come in quello giapponese; o potenziare i consumi interni,come in Germania.In tutti questi casi lo Stato non è più semplice spettatore inattesa che trionfi l’armonia del libero scambio, ma soggettopartecipe e consapevole. Come declinare questi principi nelcaso italiano? La prima cosa è il rispetto degli equilibri finan-ziari. Se non si fosse operato in questa direzione oggi sarem-mo come la Grecia. Qui si coglie tutto il limite della posizio-ne del PD. Limite politico, ma anche limite teorico. La richie-sta di aumentare di 1 punto di PIL il deficit italiano, peraumentare salari e pensioni e attraverso questa via rilanciarela domanda interna, avrebbe portato l’Italia in un vicolo cie-co. Da un punto di vista teorico sarebbe stato, invece, un sem-plice ritorno a tecniche di tipo keynesiano ed alla dialetticaaristotelica che vi è sottesa.Ma nemmeno il semplice rigore finanziario è sufficiente. Inuna prospettiva di medio periodo se non aumenta il tasso dicrescita dell’economia reale – questo è stato il lascito delladelegazione del FMI in visita in Italia per il consueto check-up annuale – anche quell’equilibrio è destinato a saltare. Edallora? Occorre una politica economica orientata alla cresci-ta. Cosa non facile da realizzare. Essa presuppone trasforma-zioni radicali – le riforme strutturali – negli assetti di fondodella società italiana. Non pensiamo solo alle attività materia-li – infrastrutture, fisco, funzionamento della pubblica ammi-nistrazione e quant’altro – ma a cambiamenti che attengono aicomportamenti individuali e collettivi. Quindi al ruolo di unapolitica che sappia riscoprire la forza della pedagogia. Chesappia lanciare un segnale di allarme rispetto alla spensiera-tezza del “tirare a campare”, perché, tanto, le cose non si pos-sono cambiare.Questa è oggi la grande illusione. Il caso della Grecia dimo-stra che i nodi stanno venendo al pettine. La crisi di quel pae-se non è la conseguenza di squilibri solo finanziari. Questi

ultimi riflettono le patologie di una società che non ha accet-tato i vincoli derivanti non dall’euro, ma dai condizionamen-ti internazionali. I prestiti verranno concessi, ma non risolve-ranno, se non saranno accompagnati da un profondo cambia-mento delle strutture economiche e sociali. Il dato di fondo èquello di una società disallineata rispetto alle tendenze delmercato: salari eccessivi rispetto al potenziale esistente; defi-cit strutturale della bilancia dei pagamenti; welfare troppogeneroso in relazione alle risorse disponibili; spesa pubblicadebordante rispetto alle capacità fiscali del paese. La crisidurerà fin quando questi fondamentali non torneranno aposto. Il che può avvenire solo in due modi: con un salto nellivello di produttività complessiva, possibile solo attraversoriforme dure, ma necessarie; o con una drastica caduta deisalari, sia pubblici che privati.Il caso della Grecia ha un valore paradigmatico. Altri paesi,come mostra il pericolo del contagio, si trovano nelle stessecondizioni. Il Portogallo è ad un passo dalla crisi, lo stessocapita alla Spagna ed all’Irlanda. Ma nemmeno l’Italia èfuori dalla zona rossa. Di fronte a fenomeni così estesi èimpossibile non interrogarsi sulle cause di fondo che lideterminano e sulle possibili risposte. Il riallineamento allalogica del “nuovo paradigma”, sempre per riprendere Tre-monti, può avvenire in due modi: lasciando mano libera allabrutalità delle leggi di mercato, oppure dando alla politica ilruolo che le compete non solo nel rappresentare ma nel gui-dare un paese. Qui si coglie tutta la diversità culturale tra ilministro dell’Economia ed i suoi colleghi di governo: a par-tire da Silvio Berlusconi. La maggior parte di loro ha caval-cato l’onda lunga del mercatismo, riducendo la politica asemplice tecnica di comunicazione nella ricerca del consen-so. Oggi tutto questo appartiene al passato.Le analisi di Tremonti – non solo questa, ma il complessodella sua attività editoriale – lasciano trasparire questa con-sapevolezza. Che poi tutto ciò possa tradursi, coerentemen-te, in un’azione politica è tutto da vedere. Il grande deficitdi questo periodo è la mancanza di un barlume di organiz-zazione politica che sappia alimentare la lucidità collettivanecessaria per affrontare un processo così difficile. Nonabbiamo nostalgia per le vecchie strutture di partito. Ma nonè con il vuoto pneumatico attuale che possiamo andare avan-ti. La speranza è che il sistema politico italiano possa cam-biare con la necessaria rapidità, riscoprendo, pur nelle nuoveforme imposte dal trascorrere del tempo, vocazioni più anti-che. Ed evitare così l’altrimenti inevitabile brutale rispostadel mercato.

/ / 34 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 31: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

La crisi finanziaria globale ha imposto ovunque unimprovviso cambiamento di agenda politica e delle rap-

presentazioni del mercato. Man mano che dagli Stati Uniti siè trasmessa al resto del mondo e all’economia reale anche neipaesi culturalmente più refrattari a misure del genere si sonosusseguiti salvataggi o nazionalizzazioni di grandi banche,aiuti alle imprese e alle famiglie, progettazioni di grandi ope-re pubbliche.Sembrerebbe un déjà vu che sfida tutte le ideologie: quandoil mercato non ce la fa, interviene lo Stato. E il paragone con

gli anni Trenta del secolo scorso parrebbe confermato dal fat-to che anche allora l’economia mondiale veniva da un inten-so ciclo di globalizzazione dei mercati, anche allora la crisipartì da Wall Street per propagarsi al resto del mondo, edanche allora ovunque vi si rimediò con massicci interventipubblici.Ma il paragone è troppo impressionistico. Gli strumenti diallerta e coordinamento intergovernativo e interbancario sonodivenuti nel frattempo molto più sofisticati, e soprattutto lecomponenti che hanno interagito reciprocamente nel produr-

/ / 35 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Da un pensiero unico all’altro>>>> Cesare Pinelli

Page 32: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

re la globalizzazione degli anni Novanta furono del tuttodiverse dal passato, e alcune sono destinate a sopravviverealla crisi odierna.Come è noto, fu grazie alla rapida diffusione di nuove tecno-logie delle comunicazioni e del trattamento delle informazio-ni che le piazze finanziarie del mondo cominciarono a colle-garsi fra loro e a restare quindi aperte per tutto l’arco delleventiquattro ore. D’altra parte senza decisioni ed eventi poli-tici di grande portata tale possibilità sarebbe rimasta pura-mente tecnica. Furono i governi Reagan e Thatcher a render-la effettiva con la liberalizzazione dei prodotti finanziari; fu ilcrollo del muro di Berlino a immettere i paesi del dissoltoblocco sovietico nel mercato globale; e fu la scelta della Cinadi avviare un’inedita combinazione fra capitalismo e totalita-rismo ad estendere ulteriormente quel mercato. Se è vero cheil fallimento dei mercati ha richiesto l’intervento degli Statinon meno di ottanta anni fa, lo scenario è insomma profonda-mente diverso per tutto il resto.La crisi di Wall Street portò al protezionismo su larga scala,con politiche tariffarie e dazi doganali che a loro volta age-volarono l’ascesa del totalitarismo europeo e con esso laguerra mondiale. Oggi la sequenza è estremamente improba-bile, proprio perché le componenti tecniche e storico-politi-che che venti anni fa resero possibile la globalizzazionefinanziaria non sono scomparse con la crisi, e a certe condi-zioni potrebbero anzi concorrere a superarla, tanto che gliStati membri dell’Unione europea non avrebbero resistitosenza l’euro all’onda d’urto della crisi (anche se ora l’Unionedeve scegliere definitivamente se diventare uno dei quattro ocinque global players o cadere nell’irrilevanza).Un’analisi non molto diversa da questa la troviamo nella con-ferenza tenuta da Giulio Tremonti alla scuola centrale del par-tito comunista cinese. Con una opportuna insistenza sull’og-gettiva interdipendenza fra Stati anche e soprattutto in termi-ni di decisioni politiche, con una giusta rivendicazione delruolo dell’Italia nell’evoluzione dal G7 al G20, e con il cor-relato auspicio (perché non può essere nulla di più) che dalG20 non si finisca al G2. Ottimo e abbondante. Eppure chi sifermasse al Tremonti-ministro non coglierebbe il senso dellaconferenza.L’occasione era sicuramente ghiotta. Si trattava nientedimenodi parlare di globalizzazione davanti al Gotha del comunismocinese. L’oratore ricambia l’onore dell’invito osservando,verso la fine, che “la particolarità storica della vostra espe-

rienza politica non è stata e non è – mi pare – nel passaggiodal socialismo al capitalismo. Ma è stata un intenso processodi riforme interne al vostro socialismo. Riforme ancora incorso. Non solo. La tolleranza reciproca non deve essere soloeconomica, ma anche culturale e religiosa. Perché l’essenzadelle nostre società non è solo commerciale, ma soprattuttomorale e politica”. Pochi calibrati accenni, nel paese principedi quel “mercatismo” contro il quale il Tremonti-intellettualeha proposto “una filosofia che ci sposti dal primato dell’eco-nomia al primato della politica”, che si potrebbe fondare solosulle “radici giudaico-cristiane dell’Europa”1.“La confusione è grande sotto il cielo”, dice un antico pro-verbio cinese. Per capire di quale confusione si tratti nella fat-tispecie, dobbiamo chiederci se lo scarno auspicio di “riformeculturali e religiose” nel segno della “tolleranza reciproca”(dunque nemmeno riferita al contesto interno) sia stato soloun omaggio agli ospitanti o riveli anzitutto un punto crucialedel Tremonti-pensiero. Il silenzio su libertà e democrazia sispiega col rifiuto di non aggiungere, banalmente, un’altravoce al coro di leader occidentali in visita a Pechino, o riflet-te convinzioni che vanno al di là della visita?La conferenza parla di un mondo in cui esistono, e possonoesistere, capitalismo e socialismo, mercato e Stato, comunitàe popoli, la politica, l’economia, la religione e la morale (tut-te, beninteso, con le maiuscole). Non esistono invece, o sonodel tutto irrilevanti, la democrazia, la libertà e l’eguaglianza.Favolette da intellettuali figli del pensiero debole, si direbbe,che non servono a spiegare i rapporti di forza, e quindi (leparole virgolettate sono mie) a “guidare la Storia”, a segnare“il destino dei popoli”.

Da Fukuyama a TremontiL’esegesi del Tremonti-pensiero merita qualche sforzo, poi-ché solleva la questione di cosa sia stato in questi anni, e cosapossa ancora essere, il “pensiero unico”. C’è un punto fermoda cui partire. Nella misura in cui va riferita, oltre che ai mer-cati, alle comunicazioni mediatiche, agli stili di vita e alle cul-ture, nonchè alle grandi migrazioni dal Sud al Nord del mon-do, la globalizzazione ha prodotto e continua a produrreincertezza. Incertezza sulle identità individuali e collettive,incertezza di aspettative economiche come di orizzonti politi-ci e culturali. Corrispondentemente, ma anche schizofrenica-mente, è cresciuto il bisogno di previsioni. Perché più aumen-

/ / 36 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

1) G. TREMONTI, La paura e la speranza. Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla, Mondadori, 2008, p. 62.

Page 33: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

ta l’incertezza, più ci si aggrappa a previsioni nel frattempodivenute più inverosimili.Da qui la fortuna del “pensiero unico”. Che è in realtà unaforma di pensiero. Può essere global o no-global. E quindi nelcorso del tempo può attaccare la “demonizzazione del merca-to” e proporre il passaggio alla tassazione sulle cose2, e muo-vere lancia in resta contro il “mercatismo”3 in nome del trino-mio “Dio, patria e famiglia” e del ritorno ai territori. L’im-portante è che ogni volta si abbia qualcosa di definitivo dapredire, possibilmente prima che si formi un mainstream, macomunque sempre aderendovi.Per far questo bisogna sempre annunciare passaggi epocali,chiusure definitive di un ciclo della storia il più possibile lun-go e significativo. Bisogna comunque annunciare la “fine” diqualcosa, come avvenne negli anni Novanta. Bastava passareper una libreria e leggere i titoli: fine della storia, della demo-

crazia, del lavoro, della politica, della geografia. Questa èancora in Occidente, qualunque cosa dicano, la linea dei guruche va da Fukuyama a Tremonti. Quale sia in Oriente non èdato sapere, anche se è nota la risposta di Ciu en lai a chi glichiese cosa pensasse della rivoluzione francese: “È troppopresto per dirlo”; così come si attribuisce al mullah Omar labattuta “Gli americani hanno gli orologi, noi abbiamo il tem-po”. Altra classe, mi pare.C’è poi un secondo approccio alle incertezze create dalla glo-balizzazione, che esemplificherei con quanto disse il grandeinternazionalista René-Jean Dupuy di fronte alle profezie diun trionfo dei mercati globali sugli Stati. Ricordò che l’av-vento di un modello di società si è sempre combinato col pre-cedente senza sopprimerlo, notando in questo una tensionedialettica che diversamente da quella hegeliana rimane aper-ta, perché l’uomo è libero e imprevedibile4.È questa una forma di pensiero possibilistico, di cui potrem-mo dare molti altri esempi. Corrisponde da una parte allademocrazia della nostra epoca, dove i cambiamenti vivonoall’interno di tradizioni e di regole in mutua interazione, edall’altra allo statuto epistemologico delle scienze fisiche ebiologiche che hanno semplicemente rivoluzionato il mondonel XX secolo e anche nell’attuale. Di fronte alla globalizza-zione, come alla crisi della finanza globale sregolata, questaforma di pensiero consente di lavorare in termini di opportu-nità e limiti dei cicli e dei processi sociali ed economici. E perciò stesso non consola dall’incertezza, non soddisfa il bisognodi sicurezza di popolazioni spaventate dalla perdita di riferi-menti istituzionali e di legami comunitari che la globalizza-zione si è portato appresso.È precisamente su questo che fa leva, in politica, l’altroapproccio. La sicurezza diventa il principio-base della convi-venza, a cui non tanto il “mercatismo”, quanto la democrazia,la libertà e l’eguaglianza dovrebbero subordinarsi. Quando ècosì, il bisogno di sicurezza viene usato per ricorrere alla pau-ra, antichissima arma del potere per guadagnare consenso. Ela speranza, a quel punto, è sparita dall’orizzonte. Come pos-sa la politica rispondere alla domanda di sicurezza senza but-tare il bambino con l’acqua sporca è equazione difficile, e adire il vero finora priva di buone soluzioni.

/ / 37 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

2) G. TREMONTI, Il futuro del fisco, in F.Galgano, S.Cassese, G.Tremonti e T.Treu, Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza nazione, Il Mulino, 1993,rispettivamente p. 61 e p. 78.

3) TREMONTI, La paura e la speranza, cit.4) R.-J. DUPUY, Le dédoublement du monde, in Revue générale du droit international public, 1996, p. 319.

Page 34: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

L’aveva urlato con durezza la Forrester in un suo discussolibro del 1998: l’economia in cui siamo vissuti negli ulti-

mi 20-25 anni “fa orrore”. Da quando nel 2008 i maggiorinodi della più folle e ignobile speculazione finanziaria sonovenuti al pettine, quel titolo viene alla mente, così come quel-lo di Pateyron e Salmon sulle nuove miserie: I-dimenticati-del-mondo.com (2000). Oppure quello di Thureau-Dangin:La concorrenza e la morte (1995). Viene alla mente il fronte-spizio del volume del premio Nobel Krugman sul falso mitodella globalizzazione: Un’ossessione pericolosa (1996). Esuona chiara la copertina di Auger che definisce i banchieri diLondra e di Wall Street Mercanti dell’ingordigia (2005).Dentro i volumi ci sono pagine documentatissime che antici-pano i disastri di oggi e quelli che ci aspettano se il governodell’economia resta nelle mani degli hedge hunters, i maestridi fondi a rischio, che hanno inventato il gioco d’azzardofinanziario globale e ancora oggi lo pilotano, in barba ai crackche altri, dopo, pagheranno1. David Landes aveva anche luiricordato a fine anni ‘90 che “la regola di base negli affari è,come in fisica, la legge della conservazione della massa e del-l’energia: non si ha nulla in cambio di nulla”. E dopo averpredetto che “i successi economici sono sempre legati ai ciclieconomici”, ammetteva, lucido e pessimista insieme: “Il fal-limento si cela all’ombra del successo: nell’eccesso dellacupidigia, inevitabile perché troppo umana”2.Scrivere in anticipo dei guai economici che ci aspettano è ser-vito e continuerà a servire a ben poco se non si prende attoche l’economia globale ha preso una strada demenziale quan-do non intrinsecamente delinquenziale. E se non si ammetteche di etica e di politica bisogna parlare giudicando prassieconomiche che radono al suolo tanto il bene comune quantoil senso comune. Se il Presidente degli Stati Uniti arriva al

/ / 38 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Dire qualcosa di sinistra>>>> Gian Paolo Bonani

1) La riflessione di origine francofona è rispecchiata in volumi quali M. CUILLERAI, Spéculation, étique, confiance, Payot, 2009; B. PERRET, Le capita-lisme est-il durable?, CarnetsNord, 2008; M. KEMPF, Pour sauver le planète, sortez du capitalisme, Seuil, 2009.

2) D. LANDES, The Wealth and Poverty of Nations, 1998.

Page 35: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

punto di consentire un procedimento penale contro la bancadi investimenti che fino all’altro ieri esprimeva niente menoche il ministro dell’Economia della superpotenza americana,qualcosa di grave deve ben essere successo. Per capirlo nonoccorre essere economisti di professione, ma attenti osserva-tori dei processi economici quotidiani delle banche, delleassicurazioni, dei promotori finanziari, con un occhio parti-colare alle realtà anglosassoni, britannica e americana. Sequalcuno avesse guardato veramente “da sinistra”, anche sen-za orpelli ideologici precostituiti, avrebbe dovuto essere incu-riosito fin dagli anni ’70 dal silenzio e dalla complicità deglieconomisti di mestiere nei confronti delle scandalose vicendeche hanno segnato l’affermazione del libero mercato e leondate di privatizzazioni nella vecchia Europa e nella povera,squinternata, pulcinellesca penisola Italiana.Non si tratta tanto, come ha ammesso con ipocrita sorpresa ilvecchio scienziato politico del Corriere a crisi palese, che glieconomisti non abbiamo saputo “prevedere il crollo delcastello di carte finanziario internazionale”. Piuttosto si trattadi stabilire per quali perverse ragioni la maggioranza di essicontinui indefessamente a mentire su cause e destino dellacrisi, anche dopo che il danno è ben evidente a tutti, e in tut-ti i paesi del mondo. Sarebbe meglio non trovare la rispostanella lettura della loro busta paga e delle voci di finanzia-mento delle istituzioni cui fanno capo (fossero anche univer-sità “libere”). Come è possibile che a “Grecia sventrata”,ancora nel 2010, il ruolo dei consiglieri di Goldman Sachsche hanno truccato i conti dei governi di destra sia citato eimmediatamente dimenticato? Che non si confronti la seque-la continua di malefatte delle banche di investimento interna-zionali con le oscene dichiarazioni di profitti a tre cifre che

“mentre la Grecia muore” i banchieri collusi sventolano aWall Street?Per quel che riguarda l’Italia, a chiunque abbia un minimointeresse ai temi della giustizia distributiva e alla felicità col-lettiva (quindi molto prima di qualsiasi professione socialista)sarebbe utile capire come sia stato possibile, nella più recen-te congiuntura nazionale, il seguente paradosso politico. Unasinistra agguerrita ed estrema, pur di far battaglia contro ilcapitalista fatto-da-sé di Arcore, si è fatta volentieri assediarein un governo dominato da rappresentanti diretti e indirettidel più aggressivo e speculativo capitalismo bancario d’Ol-treoceano. Si è vissuto fra il 2006 e il 2008 l’ossimoro di unpopulismo rosso che ha strangolato i salari e i consumi dellamicro classe intermedia, e di un governo Prodi che ha dedi-cato il suo tempo a costruire leggi finanziarie il cui unico sco-po era restituire alle banche internazionali i soldi con cui essetentavano inutilmente di tappare le falle generate dal giocod’azzardo. Di lì è derivata una assurda corsa al baratro e laconseguente sconfitta, politica ed elettorale, della sinistra,della quale ostinatamente si è cercato di evitare di parlare dal2008 in poi, mentre è utile e necessario fare chiarezza propriosulle ragioni profonde del tracollo. Magari nominando Prodie Padoa Schioppa, che allineati ai dettami della BCE di Fran-coforte hanno solo anticipato la debácle dei loro mentori del-la Goldman Sachs3: omettendo o dimenticando l’analisi, èovvio che la sinistra politica è destinata a non imparare nulladai propri clamorosi errori.Forse l’incolore socialdemocrazia veltroniana (e forse di piùl’ambigua presunzione dalemiana) era convinta che l’unicaopportunità fosse quella di omologarsi al sistema economicovincente, che però era entrato in un delirio di speculazione

/ / 39 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

3) Il 22 aprile del 2006, alla vigilia delle elezioni, scrivevo un pezzo dal titolo Guai all’economia senza politica: “È tempo che la politica batta un colpo. E,sia una parola di sinistra o di destra, quella che va pronunciata è l’espressione “politica economica” e non quella “economia politica”. La prima espres-sione è quella che ragiona di sviluppo a partire dalle esigenze del territorio e delle forze produttive reali. La seconda muove dalla necessità di forzare ilritorno sugli investimenti anche se questo strozza intere economie, conducendole alla recessione forzata, incolpandole peraltro (ma da quale pulpito?) diincompetenza operativa. Il Ministero dell’Economia di un Paese industriale avanzato ad alto potenziale di intelligenza produttiva come l’Italia merita diessere guidato da un politico e non da professori integrati nelle linee di lavoro delle consulting finanziarie e delle merchant banks. Occorre finirla con l’es-sere vittime dei mitici osservatori di rating che (senza spiegare su quali indicatori effettivi) promuovono arricchimenti e impoverimenti improvvisi di pae-si che mantengono tutta la vitalità necessaria nel contribuire seriamente ad una economia sociale giusta, distributiva e in linea con le più grandi tradizionidella filosofia politica, sia liberale che socialista, dell’Occidente. Sarà dunque, ad esempio, sorprendente se il governo a fatica nascente dall’Unione stabi-lirà di avere un Padoa Schioppa (di che sinistra è? sarebbe utile una risposta) al posto di un Bersani. L’uno capace di leggere le lezioni dei sistemi di inte-resse bancario, l’altro capace sicuramente di comprendere i bisogni del tessuto produttivo, piccolo e grande, conservatore o progressista, che il Paesecomunque esprime. Non ci vogliono freddi tecnocrati, di questi tempi, occorrono politici coraggiosi. Ovviamente non si tratta di nomi. Si tratta di ricor-dare che tutti i Paesi che vogliono oggi l’indipendenza economica non possono limitarsi a trangugiare le medicine di Washington e Francoforte, magaricon la benedizione inetta di Bruxelles.

Page 36: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

finanziaria (guarda caso dopo la caduta del Muro di Berlino),per essere oggi (non si sa quanto durevolmente) sconfitto dal-la sua stessa ingordigia. Oppure si tratta di un momentaneooffuscamento del pensiero socialista, come appare dalle ondi-vaghe dichiarazioni dei dirigenti del PD degli ultimi due anni.I quali non si sono accorti di aver lasciato al governo di destrauna bella eredità di limone già spremuto (solo uno scemo, nonTremonti, sarebbe tornato indietro alleviando il peso fiscalesul lavoro e le famiglie), e di aver condizionato a lungo ter-mine l’economia italiana con la manovra a favore di Draghi(golden boy della ditta Goldman Sachs), contro un Fazio chetifava per le banche di sinistra. Forse la sinistra rifletterà. For-se i ragionamenti puri e duri sulla giustizia sociale e sull’eco-nomia redistributiva si faranno ancora strada, in Italia, doma-ni. Anche perché non solo Barack Obama, ma perfino Sar-kozy e Cameron (nelle campagne elettorali, almeno) si sonomostrati ben più determinati nella difesa delle politiche socia-li di quanto non faccia la sinistra italiana. Per spiegare alcunidegli aspetti paradossali dell’economia rampante degli ultimianni non basta prendere lo spunto da eventi del momento, perquanto grandi e dolorosi. È essenziale il riferimento costanteal quadro istituzionale delle vicende economiche. Occorrericonoscere che l’Europa che abbiamo è l’Europa dell’euro-marco, che mette la competizione fra centrali finanziarie pri-ma dei confronti fra i sistemi di governo della società. L’er-rore storico si chiama Trattato di Maastricht, che ha sepoltol’idea dell’Europa sociale di Delors per mettere in auge quel-la del deficit finanziario invalicabile come “ideale” trionfantee pensiero unico.

L’economia incivileL’economia in Europa non corrisponde oggi ad un mododi vivere civile. È una narrazione del tutto fantasiosa cheserve ad alcuni per dominare e arricchirsi senza limiti (incollusione con operatori di tutto il mondo, ovviamente),mentre strati sempre più vasti di popolazione vengonoassoggettati al trend dell’impoverimento, ed ai mezzo-for-tunati è chiesto di pazientare nel benessere sdraiati davan-ti alla Tv. L’affermazione del santo cancelliere TommasoMoro secondo cui respublica est quaedam conspiratiodivitum, il governo del mondo è solo una cospirazione diricchi, sta lì davanti a noi. La “splendida menzogna” dimarchio platonico è gestita da mass media che con il lorodominio indottrinante hanno fatto diventare fin dagli anni’70 il messaggio economico una vera nevrosi, droga ecci-

tante per chi vuole giocare e vincere, farmaco depressivo erepressivo per chi vuole contrastare il pensiero unico dellafinanza.È ben noto che l’Italia è, dal punto di vista economico, lapatria degli insicuri (quando non degli ignoranti). Siamoun paese di imprenditori creativi, ma non sempre certi deiconti della propria azienda. Tuttavia fino ai mitici anni’80, in cui la crescita economica era notevole, le istituzio-ni che valutavano l’andamento del bilancio pubblico (sta-tale e non solo) le avevamo in casa, con tutta l’autoritànecessaria: ad esempio una solida Banca d’Italia che sape-va fare i bilanci e interveniva per migliorarli; o una Con-findustria che era più centro studi che agenzia di pubblici-

/ / 40 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 37: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

tà; o i sindacati, perfino, che credevano nella ricerca socia-le. Gli anni ’90 hanno portato Tangentopoli, con tutte leinsicurezze che ancora falcidiano l’intelligenza di un’inte-ra classe politica e imprenditoriale. Quegli anni sono statianche il momento in cui le più aggressive iniziative dellafinanza internazionale americana e britannica hanno impo-sto le nuove regole della valutazione delle prestazioni del-l’economia internazionale, in barba ad una Unione Euro-pea che non si è dotata di un centro di verifica dinamico eautonomo, accontentandosi di una Banca Centrale che èsolo un presidio stanziale, un sistema di difesa tanto mutoquanto rigido.D’altro canto l’Europa “politica” sembra non si sia accor-ta (occupata com’era a godersi il crollo del Muro di Berli-no) che intanto al potere andavano le società di rating,figlie di un incesto fra giornalismo economico, banched’affari e frange creative di Wall Street e della City londi-nese4. Non è facile in poche righe tracciare la storia di que-sto fortunato arrembaggio, ma si deve riconoscere che oggi

condiziona la vita di tutti noi. Le compagnie che danno ilgiudizio sulla famosa “affidabilità” del debito pubblico diStati, amministrazioni locali e aziende si atteggiano comeil medico, ma hanno il potere di un prete che ha appenaricevuto la confessione senza che senta l’obbligo di man-tenere il segreto sacramentale. Il banchiere di una volta eraforse troppo riservato, ma sempre istituzionale. L’analistadella società di valutazione finanziaria internazionale dioggi si presta a giudizi che, attraverso le famose letterecubitali A, B o C e i più e meno che li seguono hanno dueeffetti. Da un lato indicano a che prezzo si può comprare ilsoggetto o l’oggetto valutato: e in effetti l’agenzia nel darepunteggi è un luogo ideale per la produzione di insider tra-ding a favore delle banche di investimenti (partner e pro-motori del rating) e dei fondi d’arrembaggio che specula-no sui derivati positivi o negativi, garantendo profitti allimite dell’illecito. D’altro canto il rating influenza diret-tamente il dibattito politico, e tanto più quello elettorale. Siarriva ad applicare una logica che può “defenestrare” mini-

/ / 41 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

4) La matrice politica della City di Londra è quella di uno “Stato nello Stato” che non ha mai amato l’autonomia delle banche centrali e che amagovernare i processi di merger creditizi in corso in tutto il mondo. Ci sono più banche estere presenti nel miglio quadrato della City (quasi 500)che in tutti gli Usa (290). Le negoziazioni giornaliere a Londra sono il 32 per cento del totale mondiale (oltre 700 miliardi di dollari); il 18 pas-sa per gli Usa, l’8 per cento viaggia in Giappone, il 4 per cento in Svizzera. I prestiti internazionali partono per il 20 per cento dalla City, il dop-pio del Giappone, quasi tre volte tutte le piazze Usa messe assieme. Innovatore, se non inventore del predominio globale della City sul creditotradizionale, distribuito e localmente controllato, è stato il governo della Thatcher, che gestiva l’economia inglese proprio in vista della globa-lizzazione. Mentre parlava direttamente alla City, teneva la debole Bank of England lontano da ruoli regolatori. La Thatcher tenne ai vertici unGovernatore modestissimo come Leigh Pemberton, sotto i cui occhi sfilarono tutti gli affari più sporchi e gli scandali ostentati della finanzainternazionale e del riciclaggio degli anni ‘80. Pemberton dovette dimettersi dopo che l’affare “più infame della finanza mondiale”, come scris-sero i giornali inglesi di allora, venne alla luce: la BCCI, colosso asiatico-arabo-britannico, coccolato per anni alla City, trafficava in armi e dro-ga, lavando denaro illegale; fece bancarotta all’inizio degli anni ’90; si seppe allora che un certo Osama Bin Laden era uno dei soci, e che labanca manteneva in armi milizie private stimate da 10 a 20.000 unità in tutto il mondo. Il nerbo duro del terrorismo internazionale senza ban-diera è ancora lì. Dagli anni ’70 in poi la City è divenuta quello che Roberts e Kynaston, storici della finanza contemporanea, hanno chiamatoin un celebre e serissimo saggio City State, che a tutti gli effetti è “per la Gran Bretagna uno stato estero. Un posto dove gli abitanti parlano unalingua inintelligibile, praticano comportamenti misteriosi, e adorano un dio chiamato denaro”. Un mito e un miraggio che, come dice un testi-mone interno “è diventato una calamita per i sogni e le demonologie della gente, mentalmente posseduta dalle pratiche che simboleggiano ric-chezza, potere, futuro”. Se non bastano il Fondo Monetario con i suoi avvisi letali e le Agenzie di rating (che nessuno valuta) con il loro pote-re sanzionatorio, l’azione del mercato “assoluto” può passare all’intimidazione, anche usando la catena dell’informazione per screditare gli atto-ri che vogliono giocare una partita senza trucchi. La storia è questa, ed è servita, come si diceva, su un piatto tecnologico. La grande partita delXXI secolo, più che la produttività, sembra ormai essere quella dell’intelligence economica. Oggi si vive in uno spazio dove avvengono mode-ste, anche se mirate, intercettazioni telefoniche disposte dagli organi giudiziari. Ma viviamo nel secolo di Echelon, il sistema di ascolto satelli-tare globale creato dagli Usa e da Gran Bretagna per anticipare i controlli ad uso militare e antiterroristico, ma di fatto utilizzato per lo spio-naggio industriale-economico in modo già evidente. Nato per la sicurezza, Echelon migra verso impieghi discutibili. Chi ne beneficia effettiva-mente, visto che ogni secondo 36 giga di informazione elettronica vengono acquisiti a livello planetario dai centri di ascolto? Provate a chie-derlo, fra l’altro, a quelli del Miglio Quadrato della City.

Page 38: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

stri e governatori di banche centrali5 o ingessare i comporta-menti di governi di sinistra, come in Grecia, anticipando gliinterventi salasso del Fondo Monetario Internazionale6.

La dittatura del ratingLe agenzie di rating, società anonime internazionali, hanno inmano la sorte della politica a livello nazionale e locale. Forsenel 2010 se ne è accorta perfino la Merkel, quando ammetteche per dar giudizi sull’economia europea ci vorrebbe una

agenzia di rating del Vecchio Continente7. In questo contestoil tema della “affidabilità” del debito nazionale (quello italia-no, come si è visto di recente, se comparato a quello statuni-tense, ma anche al crescente indebitamento britannico, è ridi-colo) non ha scopi di valutazione economica, ma serve aindurre cambiamenti fra i protagonisti della vita politica.Sembra incredibile che socialisti e in genere la sinistra alli-neata a Padoa Schioppa abbiano accettato di fondare i propriragionamenti economici, intesi come arma di combattimentoelettorale8, sul giudizio critico di entità che sono la punta più

/ / 42 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

5) Fu la City londinese a porre il problema della “credibilità” di Fazio dando spazio ad un uomo di Goldmann Sachs (grande attore negli investimenti privati degli ultimianni) a capo della Banca d’Italia. Parlando dei compiti della Presidenza Draghi scrissi a gennaio 2005: “Qualcuno lo ha già notato, forse esagerando. LaMissione è sta-ta compiuta. Palazzo Koch è in via di trasferimento alla City di Londra. Non le pietre ovviamente, quelle non si muovono. Quello che si deve trasferire sono i cervelli ei flussi di informazione. Non si tratta di spostare neppure persone, nè computer, nè archivi. L’importante è che cambi the way of thinking: che si pensi a partire dagli inte-ressi del Sacro Miglio Quadrato e dei suoi quattrocentomila specializzati professionals e non dal vecchio Stivale e dai suoi sessantamilioni di generici abitanti. Dunquesiamo in fase di alignment, come dicono eufemisticamente gli anglosassoni. Ci si deve allineare perché “come sempre il protezionismo non paga”. Un economista (pro-fessore universitario per giunta) intervistato alla radio va giù duro: “Il cambiamento servirà a far sì che la Banca d’Italia obbedisca ai mandati della Banca Centrale Euro-pea”. L’espressione, di vaga origine sabaudo-garibaldina mette bene in chiaro chi comanda. Ma come, non ci siamo accorti che il mondo è cambiato? L’Herald Tribu-ne, facendo risuonare le preoccupazioni diWall Street, dice che il nuovoGovernatore Draghi ha a che fare con “una gigantesca burocrazia che ha fatto muro contro ognitaglio di personale in barba all’introduzione delle nuove tecnologie e al trasferimento di molte delle funzioni alla BCE di Francoforte”. Alla City o a Francoforte si gio-ca chiaro, coerente e soprattutto trasparente. (Trichet sta lì: chi si ricorda che sia mai stato indagato dalla magistratura francese?). Non si scambiano bottiglie di champa-gne né per Natale, né per gli onomastici. Non c’è tempo: si architettano gli equilibri del mondo. Si gioca alla guerra finanziaria. Si armano, se necessario eserciti privatie si muovono quelli di Stato per affermare supremazie politiche ed energetiche. Certo non direttamente, non in prima persona. I banchieri non si sporcano mai le mani enon usano il cellulare per farsi intercettare, come capita nel Sud del Continente. Dunque questo può essere il mondo in cui ci porta, più rapidamente ed efficacemente dialtri, Draghi, un altro banchiere, anche lui cattolico. Ha sposato integralmente le tesi storiche dellemerchant banks, come l’ultima per cui lavorava? Quelle tesi purtrop-po tendono a non distinguere le fonti del profitto, purché esso si generi. Lavorerà in una Banca Nazionale per dimostrare che si possono fare gli interessi veri della col-lettività del paese o si occuperà come gli altri di trovare gli stratagemmi per finanziare il demenziale deficit nordamericano generato da faraoniche, quanto inefficientispese belliche? Andando terraterra, se è vero, come scrivono anche a Londra, che “i servizi del credito in Italia sono fra i più onerosi nel mondo”, saprà trovare il modoper sottrarre gli sportelli bancari alla rovinosa ingordigia dei manager amorali e dei finanzieri fai-da-te, che hanno giocato negli ultimi vent’anni in Italia? Draghi serviràalla Banca d’Italia e all’Italia, se si vedrà subito l’etica al lavoro. C’è una radice solidale che oggi solo le banche centrali possono esprimere. E non necessariamente conil distacco opaco del colosso di Francoforte. Il problema etico nel mondo finanziario è molto più rilevante che in tutti gli altri settori economici. Un terzo o la metà delMondo viaggia con soldi di provenienza illegale. La City tace e acconsente. C’è qualche banchiere, magari di matrice cristiana, che vuole prendere la parola?

6) Ci sono strategie alternative e serie proposte per consentire che tutti gli attori, e soprattutto i responsabili dei disastri finanziari, paghino la loro parte. Uno dei miglioricontributi in materia è ascrivibile a Luigi Zingales (Il Sole 24 0re del 1 maggio 2010), che suggerisce una terza via per curare i conti, premettendo che “una regola fon-damentale del mercato è che chi gode dei guadagni debba assumersi anche le perdite”, mentre “la stretta fiscale richiesta per ridurre il deficit avrà effetti negativi sullacrescita finendo per aumentare il peso del debito invece che ridurlo. Senza contare la protesta sociale che sta causando”; del resto ”l’aiuto non è ai greci, ma alle banchee assicurazioni francesi e tedesche , esposte verso la Grecia per 78 miliardi”.

7) Fra i ritardi nella comprensione (o semplice ammissione) di una crisi economica ben visibile fin dal 2005, c’è da citare quello realmente preoccupante di un Papa (Bene-detto XVI) che interrogato sulla uscita della sua Enciclica sociale consegnata nel giugno 2009, dice ai giornalisti che lo accompagnano in Africa inmarzo: “Era pronta, maalla luce dell’attuale crisi economica, abbiamo dovuto ritoccarla”. La Chiesa una volta, oltre a conoscere i conti dello IOR, non guardava avanti con spirito profetico?

8) La trasmissione televisiva Ballarò per la prima e forse unica volta usò la testimonianza di un rater di Fitch nel 2006 allo scopo di dimostrare “da sinistra” la inattendibi-lità delle valutazioni del ministro Tremonti, nell’unico periodo a noi noto in cui un responsabile economico italiano stava dicendo apertamente a Francoforte che biso-gnava allargare gli stupidi vincoli monetari di Maastricht. Il famoso muro del 3 per cento debito/Pil è poi crollato ovunque sotto il peso della crisi, ma da sinistra nessu-no ha sottolineato che si è trattato degli interventi pubblici a salvaguardia delle banche, e non delle imprese né dell’economia sociale. Le banche che hanno creato i pro-blemi sono state ospitalizzate per prime. I malati cronici sono dappertutto i conti pubblici. Come è possibile?

Page 39: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

sofisticata del capitalismo anonimo che ci governa. Entità, ipadroni del rating, che non guardano in faccia la politica e ilbene comune, ma puntano solo a massimizzare i ritorni sulcapitale investito (da entità private e spesso senza nome).All’osservatore che guarda i paesi europei a crescita più dif-ficile dallo Square Mile della City di Londra in realtà piace lasoluzione che è stata adottata per la Grecia e minaccia Porto-gallo e Spagna (se lo è lasciato scappare anche Draghi, discu-tendo don i suoi colleghi europei).Il lancio di futuri raid speculativi sulle finanze statali servonoa portare quel che resta dell’economia europea a sottostarealle regole strette del mercato finanziario che ha la sua regiafra Londra e New York e i suoi consensi regali a Francoforte.Esattamente quattro anni fa sulle colonne del Financial Timesun consulente dell’ex primo ministro conservatore JohnMajor ha sintetizzato la storia “imperiale” della City citando-ne “l’indifferenza ad ogni motivo e forza che non sia il pro-

fitto”, e ricordando che nessun paese “attribuisce al suo cen-tro finanziario il grado assolutamente mistico” come fa laGran Bretagna con la City di Londra. Bisogna capire che,come dice lo storico, “ancora oggi gli agenti eleganti ed elo-quenti del centro finanziario hanno un atteggiamento di incol-pevole libidine e di prontezza autocompiacente che li tienealla larga dagli interessi nazionali e li fa andare dovunque ildenaro li conduce”. Possiamo non prendere sul serio le lorospietate diagnosi? Dove erano (con chi parlavano, chi ascol-tavano) i consulenti Goldman Sachs di nome Prodi, PadoaSchioppa, Draghi, Siniscalco, Monti e compagnia, mentreGoldman Sachs, che ha pagato loro nel tempo laute consu-lenze, per ammissione dell’attuale amministratore delegatocontribuiva sostanzialmente al disastro americano dei subpri-me, metteva a rischio l’intero pianeta, e comunque impoveri-va sostanzialmente milioni di famiglie dei paesi industrialiavanzati?9

/ / 43 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

(9) Nel 2006 a Londra si riteneva seriamente che l’Italia fosse a rischio default. L’attenta analisi anglosassonemuoveva dal comparare la situazione dell’Italia con quella del-la Gran Bretagna che non entrò nell’euro per via delle “identiche fondamenta barcollanti”. Il problema italiano, dicevano gli analisti, è la “mancanza di prontezza pervivere in un’unione monetaria”. Da dove derivava questa inerzia? Ovviamente dai salari che crescono troppo e dai costi eccessivi dei prodotti/servizi. Sullo sfondo c’e-ra (e c’è) il costo del welfare. Si poteva dedurre da questo ragionamento che la City suggerisse all’Italia di riprendere la propria libertà dall’euro. Proprio come, in anti-cipo, ha fatto la Gran Bretagna. No, a questo punto sarebbe come ammettere il fallimento dello Stato Italiano, veniva detto. Non ci sarebbe svalutazione competitiva del-la lira che tenga. Sarebbe la rovina. A meno che non ci pensi la Banca Centrale Europea, diceva sempre l’analista, a metterci fuori. Ma anche questo suonava improba-bile. Che dire a quattro anni di distanza, con i conti italiani che suonano migliori di tutti gli altri e con meno banche italiane esposte alle turbolenze dei fondi a rischio? Econ la Banca Centrale Europea costretta a coprire i bond spazzatura greci pur di non rinunciare al miraggio dell’euro-moneta-guida?

Page 40: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Giulio Tremonti, nella sua lezione sulla crisi globale, sot-tolinea l’importanza del “fattore tempo”, l’accelerazione

dei cambiamenti che hanno interessato l’intera umanità in unintervallo temporale molto breve, a partire dalla caduta delmuro di Berlino: in soli vent’anni il vecchio mondo, quellodel “G7”, è stato sostituito da un nuovo mondo, quello del“G20”, nel quale i codici unificanti del vecchio (dollaro, lin-gua inglese, democrazia occidentale) non sembrano più ingrado di definire e controllare l’ordine politico attuale. Cichiediamo allora se l’analisi storica, quella recente e quellameno recente, possa aiutarci a capire meglio cosa è accadutoe cosa possiamo fare: il compito più importante dello storico,osservava infatti Eduard H. Carr1, è quello di leggere i fattidella storia alla luce del presente, e nel contempo riuscire acapire il presente alla luce del passato; la storia è “maestra divita” proprio perché ci permette, o ci dovrebbe permettere, dinon ripetere gli errori commessi dalle generazioni che ci han-no preceduto.Anche nelle circostanze attuali, di economia globale in cui sisono susseguite prima una crisi finanziaria e poi una econo-mica anch’esse di dimensioni globali, la ricerca storica è sta-ta più volte chiamata in soccorso per cercare soluzioni cheimpedissero il ripetersi di situazioni drammatiche, prendendoin esame in particolare quanto accadde nella grande crisi del’29. Uno dei maggiori studiosi di quegli anni, l’economistaJohn Kenneth Galbraith, così si esprimeva in un suo famosolibro dedicato a quel periodo: “Seguendo un’abitudinecostante, ilWall Street Journal citò il pensiero della giornata.Era tratto da Mark Twain: ‘Non separatevi dalle vostre illu-sioni; quando esse sono scomparse, potete continuare a esi-stere, ma avete cessato di vivere”. La giornata in questioneera l’11 settembre 1929, il libro citato era Il Grande Crollo,pubblicato da Galbraith nel 1955 e più volte ristampato, ma ilcui titolo originale in lingua inglese – The Great Crash – ave-va un doppio significato, tanto che nella introduzione allaristampa del 1997 l’economista americano notava come ilvolume fosse esposto nelle vetrine di tutte le librerie di New

York, tranne che in quella dell’aeroporto: crash, in inglese,non significa infatti soltanto “crollo dei mercati” ma anche“disastro aereo”2.Il libro di Galbraith è interessante, oltre che per la puntualericostruzione storica di quanto avvenne in quel periodo, ancheper l’attenta analisi delle motivazioni psicologiche che furo-no alla base della crisi del ’29, dalle fasi iniziali all’intero suosvolgimento; tre sue considerazioni, più di altre, lasciano qua-si senza parole. La prima, citando lo stesso Galbraith, sostie-ne che “tutte le volte che il mercato è in difficoltà, si odono lestesse frasi: ‘La situazione economica è fondamentalmentesolida’ o più semplicemente: ‘Le fondamenta della nostraeconomia sono buone’. Chiunque senta queste parole dovreb-be capire che qualcosa non va”3. La seconda considerazioneriguarda il comportamento degli attori economici, ed in parti-colare degli investitori finanziari, che nel periodo in questio-ne (ma non solo in quello) ebbero reazioni di natura psicolo-gica, emotiva, irrazionale, e sempre sbagliate, riuscendo in talmodo ad aggravare ancor di più la situazione: “Come in tuttii periodi di speculazione, era venuto il momento in cui la gen-te cercava non di convincersi della realtà delle cose, ma ditrovare pretesti per evadere verso un nuovo mondo di fanta-sia”4. La terza considerazione, infine, riguardava il comporta-mento del governo americano dell’epoca, presieduto da Hoo-ver, che era impegnato ad organizzare soltanto riunioni incon-cludenti, “rituali”, ma molto efficaci nel dare l’impressioneche qualcosa si stesse facendo: anche in tempi più recenti,osservava Galbraith, “la riunione inconcludente alla CasaBianca, con la partecipazione di governatori, industriali, rap-presentanti del mondo degli affari, dei sindacati e dell’agri-coltura, è diventata un’affermata pratica di governo. (…)Hoover nel 1929 fu un pioniere in questo campo della pub-blica amministrazione”5.Il quadro che emerge leggendo The Great Crash di Galbraithè quello di una sorta di follia collettiva, caratterizzato certa-mente da iniziative a dir poco azzardate da parte di finanzierisenza scrupoli, ma anche da scelte emotive e totalmente irra-

/ / 44 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

L’età dell’incertezza>>>> Gianpiero Magnani

Page 41: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

zionali da parte degli investitori, oltre che da una paleseincompetenza privata ed una altrettanto palese impotenzapubblica. L’immagine è stata ben espressa, in un contesto dif-ferente, non da un economista ma da uno psicanalista, ErichFromm, che in Psicoanalisi della Società Contemporanea,pubblicato nel 1955 (che coincidenza, lo stesso anno delGrande Crollo di Galbraith) così si esprimeva: “La convalidaconsensuale in sé non ha nulla a che vedere con la salute men-tale. Come c’è una folie a deux, così c’è una folie a millions.Il fatto che milioni di persone condividano gli stessi vizi nonfa di questi vizi delle virtù, il fatto che essi condividano tantierrori non fa di questi errori delle verità”6. E proseguiva:“Supponiamo che nella cultura occidentale il cinema, laradio, la televisione, gli avvenimenti sportivi e i giornali sia-no sospesi per sole quattro settimane. Chiuse queste diversevie di evasione, quali sarebbero le conseguenze per genteridotta solo alle proprie risorse? Indubbiamente, seppur incosì breve tempo, si registrerebbero esaurimenti nervosi amigliaia, e ancor più sarebbero le persone che cadrebbero inuno stato di ansia acuta non diverso dal quadro clinico di unanevrosi”7.Pierre Carniti8 ha fatto una analisi approfondita delle ragionidelle recenti crisi internazionali di natura prima finanziaria epoi economica, ha evidenziato i limiti dell’ottimismo dimaniera e di una normalità che è solo immaginaria, ha illu-strato con grande efficacia quanto è costato nel solo ambitofinanziario l’intervento pubblico che ha cercato di riparare glierrori del “fondamentalismo liberista” (7 volte il costo dellaguerra in Vietnam, 47 volte il Piano Marshall, 11 volte quan-to basterebbe a dimezzare per un anno nel mondo il numerodegli affamati, ecc.) ed i suoi inevitabili futuri effetti collate-rali (“chi pagherà questi debiti?”); ha descritto il ruolo dellafinanza facile come succedaneo delle politiche pubbliche permitigare le crescenti disuguaglianze (il cosiddetto “sociali-smo debitorio”); ha analizzato il caso italiano (dal “capitali-smo feudale” alla flexi-insecurity). E sempre Carniti, in unlibro pubblicato appena un mese dopo l’11 settembre 2001,definiva come società dell’insicurezza quella che è derivatadal processo di globalizzazione, un processo che è stato deter-minato dai rapidi cambiamenti tecnologici ma che si è acce-lerato in forte misura dopo il crollo del comunismo. La carat-teristica principale della società dell’insicurezza, osservavaCarniti nel libro, è che questa sfugge a qualsiasi previsione:l’informazione è divenuta globale, il potere finanziario èdiventato extraterritoriale, e mentre l’economia si globalizza-va, la democrazia non è riuscita a fare altrettanto, con una

conseguenza che non bisogna sottovalutare: “Perché se è veroche la democrazia può vivere solo con il mercato, è altrettan-to vero che il mercato può invece vivere anche senza demo-crazia”9. E proprio il caso cinese è eclatante, in questo senso.La società dell’insicurezza è stata definita anche società delrischio10: rischi valutari (variabilità dei cambi), rischi inflatti-vi (variabilità dei prezzi), rischi finanziari (variabilità dei tas-si e dei valori patrimoniali), rischi occupazionali (disoccupa-zione e variabilità dei redditi), rischi ambientali (disastri eco-logici); negli anni Settanta del secolo scorso una combinazio-ne virtuosa di alcuni di questi rischi (inflazione, fluttuazionedei cambi, volatilità dei tassi d’interesse) ha aiutato la cresci-ta economica ed ha fatto decollare la finanza internazionale11.Non dobbiamo però dimenticare che quelli erano anche annidi pieno confronto militare fra le due superpotenze, e chel’apparato militare-industriale degli Stati Uniti costituiva, dasolo, la tredicesima potenza industriale del pianeta12.

La nuova frontieraQuella che stiamo vivendo in questo periodo è, al contrariodegli anni Settanta, una vera e propria età dell’incertezza, perutilizzare il titolo di un altro celebre libro di Galbraith13. Seper un verso il mondo appare più sicuro (il pericolo immi-nente di un olocausto nucleare, che tanto preoccupava AlbertEinstein e Bertrand Russell, sembra oggi un incubo lontanoche chiede attenzione unicamente per i rischi legati al terrori-smo), per contro quelle stesse variabili che negli anni Settan-ta hanno permesso una crescita virtuosa almeno di una partedi questo mondo (l’Italia diventerà all’epoca la settima poten-za industriale dell’Occidente) oggi sembrano avvantaggiarealtre parti del pianeta – “Cindia” o il “BRIC” –, con conse-guenze sull’ecosistema globale che sono peraltro del tuttoimprevedibili. Incertezza economica ed incertezza ambienta-le insieme; i cui effetti sulla vita delle persone si rivelanospesso disastrosi: “Le ricchezze sono globali, la miseria èlocale”14.Ethan B. Kapstein ha utilizzato il termine esternalità trans-nazionali per definire gli effetti indesiderati e dell’inquina-mento e delle crisi finanziarie15; entrambi i fenomeni hanno,infatti, la stessa caratteristica: possono colpire a distanza, conconseguenze negative per individui fisicamente lontani anchemigliaia di chilometri dai responsabili del danno. Ne sannoqualcosa i cittadini islandesi, che d’un tratto hanno scopertodi avere investito le loro disponibilità finanziarie nelle princi-pali banche del paese in titoli “tossici”16; ne sanno qualcosa i

/ / 45 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 42: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

quasi duecentomila risparmiatori italiani che hanno investitoa suo tempo ingenti somme di denaro (miliardi di dollari) inobbligazioni argentine e che a distanza di anni stanno ancoraaspettando l’esito della causa internazionale17. Con l’aggra-vante che quanto è accaduto di recente sul fronte della crisifinanziaria non è una novità: se è vero che la situazione attua-le non è paragonabile alla crisi del 1929 (Galbraith osservò tral’altro come “nei primi sei mesi del 1929, 346 banche falliro-no in varie parti del paese”, op. cit., pag.169), è pur vero chequanto accaduto negli Stati Uniti di recente ha avuto prece-denti in epoche non tanto lontane dalla nostra.Leggiamo cosa scrive Kapstein in proposito: “Nel maggio1984, l’ottava tra le banche più grandi degli Stati Uniti, laContinental Illinois, ebbe bisogno di un trasferimento di fon-di per 6 miliardi di dollari dalla Federal Riserve per far fron-

te ai suoi obblighi finanziari più immediati. La vicenda dellaContinental Illinois costituì un caso da manuale di una bancache aveva combinato un elevato rapporto di indebitamentocon un portafoglio a rischio. (…) Nonostante il finanziamen-to d’emergenza da parte della Federal Reserve, la banca giun-se al crollo, cui seguì il salvataggio federale (…) gli organi diregolamentazione si trovarono al centro di rinnovate pressio-ni da parte del Congresso affinché rafforzassero il processo divigilanza”18. Ed eravamo nel 1984. Altri fallimenti bancarierano già avvenuti nel 1974 negli Stati Uniti, in Inghilterra ein Germania, mentre nel 1982 fu interessata anche l’Italia conla vicenda del Banco Ambrosiano. A seguito di questi falli-menti nacque nel 1987 il Comitato di Basilea ed il primo“accordo di Basilea” sull’adeguatezza del capitale delle ban-che19; poi, a vent’anni di distanza da quei casi emblematici,

/ / 46 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 43: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

nuovi salvataggi pubblici si sono resi necessari, questa voltasu scala ben più ampia.Dopo il Grande Crollo del 1929 arrivò negli Stati Uniti laGrande Depressione, che durò un decennio: nel 1933 un lavo-ratore su quattro era disoccupato, nel 1938 uno su cinque; manel marzo del 1930 il presidente americano Hoover “affermòche i peggiori effetti del tracollo sulla disoccupazione sareb-bero finiti in una sessantina di giorni”, sempre nel 1930, inmaggio, Hoover dichiarò che “abbiamo ora passato il peggioe con una continua unità di sforzi ci riprenderemo rapida-mente”, ed alla fine di quello stesso mese “egli rassicurò poiche gli affari sarebbero tornati alla normalità con l’autunno”20.Col New Deal, che fu la risposta politica alla crisi del ’29, lamano pubblica intervenne massicciamente nell’economia rea-le, diversamente da quanto è accaduto oggi, dove il denaropubblico, osserva Tremonti nell’intervento citato, è stato uti-lizzato per il salvataggio generalizzato dell’economia finan-ziaria, anche di quella deviata. Lo scoppio della secondaguerra mondiale, come noto, cambiò nuovamente gli scenari,politici oltre che economici; nel dopoguerra, la ricostruzionee la corsa al riarmo fecero altrettanto. Poi vennero la globa-lizzazione ed il crollo del muro di Berlino, e grandi speranzefurono evocate con la fine delle ideologie distruttive delNovecento; ma poi venne l’11 settembre, quello del 2001, epoi ancora una nuova grande crisi finanziaria ed economica,paurosamente simile a quella che era stata preannunciata dalWall Street Journal un altro 11 settembre, nel 1929.Ma perché tutto questo? In un memorabile discorso pronun-ciato al suo insediamento alla Casa Bianca già nel 1961 JohnFitzgerald Kennedy rivendicava la necessità di un nuovo pro-gramma politico, che egli chiamò “La Nuova Frontiera”, cheaveva come obiettivo “le zone inesplorate della scienza e del-lo spazio, gli insoluti problemi della pace e della guerra, leinconquistate sacche dell’ignoranza e del pregiudizio, le irri-solte questioni della miseria e dell’abbondanza”21. I problemieconomici non possono essere risolti solo per via economica,e le situazioni di conflitto solo per via militare; lo ha scritto achiare lettere, di nuovo, Carniti nel libro già citato: “Perchésia abitabile, il mondo infatti non può essere solo ammini-strato, deve essere anche corretto. E questa è una delle fun-zioni essenziali della politica. Tanto più in una fase nella qua-le la rapidità dell’innovazione tecnologica e scientifica accre-sce la consistenza dei problemi e delle inquietudini e, dunque,anche la frequenza con cui la politica viene interpellata”22.Mentre si parla sempre più di fine della politica23, quello cheserve nel nostro tempo, il tempo post-1989 (ma anche post-

2001 e post-2008), è invece proprio l’opposto: un progettopolitico di grande profilo, che non può essere costruito da unao poche persone, ma che sia il frutto di un impegno collettivocome lo sono stati i grandi sistemi di pensiero che sono allabase della nostra stessa civiltà, in primis il liberalismo e lasocialdemocrazia, che hanno consentito sviluppo economico,progresso nelle conoscenze, democrazia politica come maiprima era avvenuto nella storia umana; è questo ciò di cuiabbiamo assolutamente bisogno per non subire passivamentenuove “esplosioni del tempo” con le crisi e le incertezze con-seguenti. Ma soprattutto per non trovarci nel deserto, una vol-ta usciti dal tunnel.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1) E. H. CARR, Sei Lezioni sulla Storia, Torino 1980.2) J. K. GALBRAITH, Il Grande Crollo, Milano 2002, pag.82 e pag.IX.3) GALBRAITH, cit., Introduzione, pag.VIII.4) GALBRAITH, cit. pag. 11.5) GALBRAITH, cit., pag.133.6) E. FROMM, Psicanalisi della Società Contemporanea, Milano 1981,

pag.23.7) FROMM, cit., pag.25.8) Mondoperaio, settembre 2009.9) P. CARNITI, La Società dell’Insicurezza, Città Aperta Edizioni, 2001,

pag.92.10) D. LUPTON, Il Rischio, Bologna 200311) E. B. KAPSTEIN, Governare l’Economia Globale, Trieste 1994.12) J. RIFKIN, La fine del lavoro, Milano, 1995, pagg.68-69.13) J. K. GALBRAITH, L’Età dell’Incertezza, Milano, 1977.14) Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione, Bari 199815) KAPSTEIN, cit., pag.221.16) La Repubblica, 9 ottobre 2008.17) Cfr. l’Associazione per la Tutela dei Risparmiatori in Titoli Argentini, in

Internet sul sito http://www.tfargentina.it18) KAPSTEIN, cit., pag.140.19) KAPSTEIN, cit., pag.39.20) GALBRAITH, Il Grande Crollo, cit., pagg.134-135 e pag.159.21) A. M. SCHLESINGER Jr., I Mille Giorni di John F. Kennedy, Milano,

1998, pag.79.22) CARNITI, cit., pag.84.23) A GAMBLE, Fine della Politica?, Bologna, 2002.

/ / 47 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Page 44: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Non so se ho centrato il cuore della questione, ma nel tuoscritto ho visto un utile tentativo di costruire un pensie-

ro nuovo per la Destra larga. Ma sei scivolato verso la terzavia di Ratzinger perché parti da un presupposto errato: il revi-sionismo socialista del 2000 non c’è perché non ha basi eti-che, c’è solo il comunismo mercatista. Poiché non sono certoche il tuo pensiero sia stato da me bene interpretato, ho pre-ferito scegliere la strada dello scambio di opinioni diretto chequella più impegnativa e definitiva della esposizione pubbli-ca.Sul finire della tua lezione saggiamente ricordi un principio dicultura politica secondo il quale le strategie e le identità poli-tico-ideologiche delle formazioni di partito e delle leadershipnon si definiscono secondo una linea di “opposizione in nega-

/ / 48 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

>>>> dossier / la crisi e il cambiamento

Prima del diluvio>>>> Rino Formica

Prima che esplodesse con tutta la suaviolenza la crisi finanziaria Giulio Tremontiaveva tenuto un’altra lezione,questa volta ai giovani di Forza Italia(Padova, 14 luglio 2007).In quell’occasione Rino Formica gli mandòuna lunga lettera che ora pubblichiamoinsieme coi brani più significativi dellalezione stessa.

Page 45: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

tivo” rispetto all’avversario, e di conseguenza non si costrui-sce una immagine politica di sé a contrariis; ma, pur seguen-do una logica dialettica (per cui le mie convinzioni non pos-sono fare a meno del confronto con l’avversario), l’impiantoideale si costruisce attraverso l’elaborazione e una interpreta-zione autonoma della realtà. Non si può non condividere que-sto principio, che fa riflettere anche su una conseguenza cuila lotta politica e le forze coinvolte vanno incontro, allor-quando abbandonano il campo della elaborazione autonomadelle proprie basi culturali-ideologiche (pur nella dialetticasopra ricordata) per rincorrersi vicendevolmente in un rap-porto e in una identificazione per l’appunto a contrariis,impoverendo in questo modo la lotta politica e lo stesso orga-nismo che la conduce. Si può dire che una tale configurazio-ne del conflitto politico (per cui le identità si formano nel-l’opposizione all’avversario) disegna perfettamente lo statoattuale del quadro politico nazionale, nel quale – per usareuna schematizzazione – le categorie del berlusconismo e del-l’antiberlusconismo hanno dominato il campo della politica,segnando un punto di degenerazione mai vista prima d’ora.Fatto è che il tuo schema contraddice palesemente il principiodi “autonomia” anzidetto, nella misura che riproduci il profi-lo della Destra (o del centrodestra) ricalcando a contrariis tut-ti i passaggi topici che hanno fissato il fallimento del comu-nismo, e in modo particolare contrapponendoti a quellavariante del postcomunismo italiano che va sotto il nome di“veltronismo”. In altre parole non solo ti “racconti” unaDestra a immagine del fallimento del comunismo, e sullescansioni di questa sconfitta storica ricostruisci per contrap-punto il pensiero della Destra; ma intendi addirittura identifi-care il campo dell’avversario (la sinistra) con quella parte cheè risultata sconfitta: come sappiamo, l’Urss, il comunismo, ilPCI. E ad abundantiam di una tale “semplificazione” riducila sinistra a una sua raffigurazione, il “veltronismo”, chepotrebbe essere dominante nell’immediato presente, ma checertamente non potrà in futuro occupare tutto il sistema teori-co e politico della sinistra.Non ritengo utile andare oltre nella registrazione di questoelemento di contraddizione metodologico del tuo pensiero(contraddizione non secondaria perché ne indebolisce l’interoimpianto), in quanto mi interessa discutere ben altri passaggiche appartengono al circolo autonomo della Destra. Però nonposso tacere che se è vero che la crisi dell’Urss e quindi delsistema del comunismo mondiale è stata determinata per l’ef-fetto combinato di una iniziativa dichiaratamente di destra (ilreaganismo) e della presenza fattiva del modello socialdemo-

/ / 49 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

La rivoluzione in corso>>>> Giulio Tremonti

[…] La carta politica che abbiamo davanti è cambiatacome per effetto di una rivoluzione. Viviamo un temponon banale, non normale. Un mondo in cui l’apparenza èancora, per ora, quella di vivere a velocità costante, quasiin un noioso continuum esistenziale. Ma la sostanza dellemutazioni in atto è rivoluzionaria. È stato così altre voltenella storia. È stato così al principio del Cinquecento, conl’apertura degli spazi atlantici e con la conseguente rottu-ra dell’antico ordine europeo. Quando il mondo diventamundus furiosus. È stato così al principio dell’Ottocento.Il 18 settembre 1806, dopo la Rivoluzione francese,durante l’età di Napoleone, nella Fenomenologia dellospirito Hegel scrive di un “sentimento di ignoto”: “L’in-tera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbia-mo avuto finora, le catene del mondo, si sono dissolte esprofondano come un’immagine di sogno”. È così di nuo-vo ora, al principio di questo secolo. Nel luglio 1989,anno bicentenario della Rivoluzione francese, ho scrittosul Corriere della Sera un articolo che provo a sintetizza-re: si è spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza; primalo Stato controllava il territorio, e con questo la ricchezza(che stava infissa nel territorio: agraria, mineraria, protoindustriale), e per questo aveva il monopolio della politi-ca (batteva moneta, levava le tasse, faceva la giustizia); laglobalizzazione avrebbe invece (si era solo nel 1989)dematerializzato ed internazionalizzato la ricchezza, cosìerodendo le basi del vecchio potere politico nazionale.Così, mentre il primo ’89 era stato l’anno di avvio di rivo-luzioni “parlamentari”, il secondo ’89 sarebbe invece sta-to anno di avvio del processo contrario. […]Il nuovo mondo, unico e globalizzato, ha prodotto un suoproprio tipo di pensiero nuovo, il “pensiero unico”. Maquesto a sua volta è stato un prodotto effimero. È duratosolo un decennio. La sequenza “mercato unico-mondounico-uomo a taglia unica” ha in specie espresso un pro-dotto a veloce consumazione. […]Il “pensiero unico” non è una formula ideologica, mapiuttosto una formula empirica: market if possible,government if necessary. È questa una formula politica di

Page 46: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

cratico operante nel cuore dell’Europa, la crisi del PCI è sta-ta accelerata sotto i colpi di una iniziativa organica del rifor-mismo socialista (il craxismo), che ne ha minato, dalla finedegli anni Settanta e per tutto il decennio successivo, le basidel potere ideologico. Se oggi si assiste al revival di formespurie del comunismo italiano (sotto spoglie di sincretismoteorico-programmatico, di liberaldemocratismo aperto a sug-gestioni di destra e di sinistra, di movimentismo) si deveall’assenza di un soggetto socialdemocratico di massa.Ciò chiarito (nella speranza di aver fatto emergere i caratteristrutturali e solo secondariamente polemici di una critica auna lettura parziale della crisi del comunismo) proseguo nel-la lettura della lezione e mi fermo al punto in cui secondo teavviene la frattura epocale di un equilibrio economico esociale per far posto a un nuovo assetto del rapporto tra eco-nomia e politica. Provo brevemente a riproporre la corniceentro la quale inserisci il tuo ragionamento. Se sin dagli albo-ri della rivoluzione industriale il capitalismo è stato un siste-ma economico, ma anche un sistema sociale, di organizzazio-ne dei rapporti umani e sociali, e ha determinato con la suaforza totalizzante anche le forme della politica e del poterestatuale nonché del governo, oggi questo carattere di parte (diclasse) del capitalismo viene meno per effetto della globaliz-zazione che ne ha diffuso sin dentro le roccaforti del comuni-smo (esempio di scuola: la Cina) i meccanismi produttivi esoprattutto la logica globalizzante di ogni aspetto della vitaindividuale e collettiva. Insomma, se il prodotto (il capitali-smo) è vincente vuol dire che è un buon prodotto. Quindi, hasconfitto definitivamente tutte le forme alternative al capitali-smo che si sono costruite dal Manifesto di Carlo Marx in poi,passando per la rivoluzione del ‘17 per finire sin dentro lamuraglia cinese. Fine della storia (senza alcun riferimento aFukuyama).

Il ritorno dell’ideologia

Se l’economia capitalistica domina su (e si intreccia con) tut-ti i sistemi politici (chiami questo fenomeno mercatismo,unione di liberalismo e comunismo, con l’occhio evidente-mente al modello cinese, che è anche un modello asiatico,come anche forse il modello russo); se dunque l’economia èun vettore che cammina secondo un tracciato ineludibile (l’e-conomia come la forma di un nuovo materialismo storico,dici con finezza e perfidia teorica), la politica riesce final-mente a emanciparsi dall’economia e può dispiegare il suo

/ / 50 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

tipo non universale, ma all’opposto, per definizione, ditipo particolare. Una formula che mira a soluzioni ad hoc,basate sull’equilibrio dinamico tra principi diversi e tra diloro potenzialmente opposti. […]E tuttavia non basta dire market if possible, government ifnecessary. È sembrato (è stato?) così nel Novecento, apartire dalla profezia di Rathenau: la politica è nell’eco-nomia. La profezia si è in parte avverata dentro le econo-mie di mercato. Anche il comunismo è stato in parte pre-valente una ideologia economica. Il mercatismo si è infi-ne presentato come la forma nuova del materialismo sto-rico. Ma ora, a questa altezza di tempo, possiamo dire chenon è più così e che non può essere più così. L’economiaè importante, ma la politica è una cosa diversa.La politica vive e/o rivive dunque, ma su di un quadrantediverso. E di riflesso la differenza tra sinistra e destraresta, perché la grande dividente non è più sul modelloeconomico ma sulla visione, sul disegno, sulla strutturadella società. La realtà è più vasta, più complessa, più for-te, ed anche per questo reagisce all’economia. La realtànon è nell’economia. La realtà non è dimensione unica.L’essenza della realtà è nella società, ed è qui che nelladialettica storica tra destra e sinistra continua la politica.Certo, l’economia resta importante, ed è anche (ancora)sull’economia, ed in specie sulle tasse, che si vincono o siperdono le elezioni. Certo è sull’economia che ancora simanifestano differenze politiche: cresce tendenzialmente,coi governi di sinistra, la pressione fiscale, e questo deter-mina e marca differenziali di posizione tra chi è a favoree chi è contro; persiste poi a sinistra un’ideologia “fisca-le” e giacobina, totalitaria ed odiosa: in sintesi, l’idea chela vita può, deve essere contenuta, schematizzata e dichia-rata in un “modello unico”.Ma tutti comunque, nell’Europa continentale, tanto adestra quanto a sinistra accettano in generale un unicomodello economico, l’economia “di mercato”. Ovvero:non propongono modelli alternativi (esclusi solo i model-li onirici o messianici, tipo Rifondazione comunista). Nonper caso, ma pour cause, sono possibili in Europa, e stan-no anzi diventando la formula politica prevalente, le gran-di coalizioni. Una formula politica questa che è essenzial-mente determinata da cause economiche e per questo èbasata proprio su comuni agende economiche. In ognicaso e proprio per questo, per essere essenzialmente strut-

Page 47: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

potenziale, a quel punto solo tecnico, lasciando alle forzepolitiche la possibilità di differenziarsi solo su basi ideologi-che. A quali conclusioni giungi? Presto detto: l’economia èglobalizzata (sotto forma di mercatismo); la politica è tecnicadi governo delle contraddizioni e ricerca dell’equilibrio pos-sibile; la società si organizza e si differenzia secondo valori(le ideologie) e non più su una linea di difesa degli interessimateriali. E’ il ritorno trionfale dell’ideologia, dunque, comenuovo orizzonte della politica e della modernità. In altre paro-le, la politica non degrada in ideologia (come abbiamo erro-neamente pensato con lo sguardo rivolto al secolo scorso), masi riconverte in tecnica più ideologia seguendo il nuovo livel-lo di organizzazione sociale, un livello di società che, supera-te le vecchie formule di divisione classista, si riarticola secon-do una pluralità di interessi e di visioni sempre meno dettatidall’economia e sempre più immateriali (valoriali), che primaerano compressi nel contenitore del classismo. In questo nuo-vo spazio, non più identificabile con l’economia, in questanuova geografia della società, articolata e plurale, intendecollocarsi la destra. Per riorganizzare politicamente la societàcon un programma che ne asseconda la tendenza all’autono-mia, all’autosufficienza e all’antistatalismo (il contrario delmovimento redistributivo socialdemocratico dall’alto verso ilbasso). Tu immagini realisticamente uno scenario nel quale la

/ / 51 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

turate sulla base di agende economiche, le grandi coali-zioni non anticipano e non determinano la fine della poli-tica. Non sono la post-politica.Infatti è fuori dal dominio dell’economia, non tanto neldominio fiscale quanto nel dominio spirituale, che ancorasi sviluppa la dinamica politica. Ed è qui, su questo qua-drante della mappa, che la politica prosegue. Proseguenello sviluppo e nel confronto tra due diverse visioni del-la società. Semplicemente, il vettore della storia ha ripre-so a muoversi dall’economia alla società, dal materialeallo spirituale. Non è la fine del mercato. Ma è la fine del-l’idea che il mercato possa essere la matrice totalizzanteesistenziale, la base di un nuovo materialismo storico. Ilmercato è una parte, non il tutto.

Roma o LondraLa nuova partita è iniziata in Europa con il dibattito sulleradici giudaico-cristiane: se inserirle o no nella nuovabozza costituzionale europea. La prima, ed in qualchemodo superficiale, interpretazione ha trattato questa parti-ta come una partita tra Parigi e Roma: tra Parigi, luogotutelare dei “lumi”, e Roma, centro storico e spirituale.L’interpretazione più vasta e più profonda pare inveceessere un’altra: non una partita tra Parigi e Roma, ma traLondra e Roma. Al fondo, la lotta tra due visioni dellasocietà. Londra come base di irradiazione di una visionedella società che, banalizzandosi nei consumi e di riflessonei costumi, si identifica e appiattisce sull’economia (l’i-dea dell’Europa-mercato). All’opposto, l’idea dell’Euro-pa-politica. Frutto della sua storia passata e proiettata nel-la storia a venire proprio perché costruita come qualcosadi diverso e più alto rispetto alla geografia piana tipica diun’area di libero scambio + alcune autorità di regolamen-tazione del traffico. […]Perché la sinistra post-moderna perde quota tanto sul pia-no dell’economia (con l’accettazione neofita ed enfaticadel mercatismo) quanto e soprattutto e decisivamente sulpiano del modello sociale? Perché i vettori della moderni-tà si sono rovesciati? Perché, dopo quasi due secoli, lasinistra non è più il progresso, e perché il progresso non èpiù a sinistra? Perché, per la prima volta nella sua storia,la sinistra non è più proiettata verso il futuro, ma impi-gliata nel passato? Perché la sinistra ci si presenta come

Page 48: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

forza della società eguaglia la forza dello Stato. Societas ver-sus Res publica.Di qui l’importanza strategica per la destra di agitare (nonpropagandisticamente ma identitariamente) parole d’ordinecome Autorità, Responsabilità, Legge e Ordine. Salvo poi amescolarle abilmente con prassi politiche assai più empiriche(ad esempio la miscela di liberismo e protezionismo del pre-sidente Sarkozy). Di qui le battaglie individuate dalla destra eche hanno il comune denominatore valoriale: la bioetica, iDico, la famiglia, il valore della vita eccetera. E’ tutta spaz-zatura di destra? Vecchi edifici del conservatorismo ritinteg-giati nella facciata? Niente affatto.Per intanto c’è da dire che nel processo di autonomia dellasocietà, di maggiore forza del cittadino rispetto ai poteri strut-turati sia pubblici che privati, di emancipazione del socialedalla costrizione e dalla dipendenza dal primato dell’econo-mia prima e della politica poi, in tutti questi processi, c’è unelemento fondamentale di evoluzione e di emancipazione, dilotta politica e sociale, nella quale non è estranea, come sai,la presenza del movimento operaio, del riformismo socialde-

/ / 52 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

un albero con le radici rovesciate, come un albero che cre-sce all’inverso, dall’alto verso il basso?La risposta a queste domande si trova a sua volta rispon-dendo ad una domanda di fondo: cosa è successo alla sini-stra? Per capirlo basta prima identificare le categorie-basestoricamente proprie della sinistra, poi verificare che que-ste sono contemporaneamente entrate in crisi proprio conla “modernità” prima evocata e poi spinta dalla globaliz-zazione. Con l’apporto decisivo e paradossalmente suici-da proprio della sinistra stessa nei termini che seguono: a.basta guardare alle mutazioni intervenute nei processiproduttivi, basta guardare un personal computer, per capi-re che la vita non è più massa, non è più collettivo, non èpiù grandi numeri; b. la ragione non fornisce più spiega-zioni totalizzanti offerte nella forma della progressivailluminazione: lo sviluppo scientifico non è tutto positivoe tutto lineare; c. lo Stato nazionale (il container ed insie-me l’hardware dell’ideologia di sinistra applicata allasocietà) è in crisi storica di potere, proprio per effetto del-la globalizzazione che ne ha eroso le basi; d. è in speciefinita l’età del debito pubblico usato come leva sociale ditransfert dall’alto verso il basso; è così che la sinistra nonpuò essere più identificata con la sua essenza di politicasociale: con la spesa pubblica fatta a debito.Questo deficit politico, culturale, spirituale, non puòessere colmato dalla politica post-moderna. Non puòessere colmato dal pensiero debole, dal populismo legge-ro, dal relativismo, dal sincretismo, dal veltronismo. Ilveltronismo si limita infatti a frullare, confondere ed infi-ne a sublimare materiali eterogenei. Il veltronismo siprende tutto, usa tutto, diventa tutto: Nelson Mandela eKennedy, Alcide De Gasperi ed i Procul Harum. Il vel-tronismo è la versione politica del Truman show, lo showin cui tutto è falso. Ciò che è vero nel veltronismo è solouna foresta di contraddizioni. Veltroni va solo un po’ piùavanti, rispetto al Truman show, perché alla tecnica sce-nica aggiunge una tecnica retorica, identificando e combi-nando relativamente verità ed utilità: non è vero ciò che èvero; non è falso ciò che è falso; è vero solo ciò che è uti-le per la propaganda. Un esempio: Veltroni attacca lademocrazia che non decide; la democrazia che non deci-de sui trafori o sulla spazzatura. Bene. Ma è bravo solo avedere gli effetti e non le cause dei fenomeni sociali chedenuncia. Le cause del blocco e dello stallo politico sono

Page 49: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

mocratico. Anzi si potrebbe ricostruire la linea di autonomiz-zazione e di crescita civile attraverso i punti di conquista eco-nomica, sociale e politica che vanno sotto il nome di Welfa-re. Come sarebbe stato possibile un grado così alto di autoco-scienza civile delle nostre moderne società senza quel movi-mento dall’alto verso il basso operato dal compromessosocialdemocratico, e che ha consentito, con la più grande ope-razione di redistribuizione economica mai vista nella storia,quell’opera di promozione (autonomizzazione) sociale da tericordata? Come sarebbe stato possibile senza quel movimen-to opposto, dal basso verso l’alto, rappresentato dalla catego-ria (dal valore) della partecipazione del cittadino? Conoscisenz’altro il fenomeno dell’autonomismo locale e del mutua-lismo, nato assieme al movimento socialista, e non potrai nonammettere che si è trattato di un processo volto a promuove-re quella spinta dal basso verso l’alto che oggi vuoi avocarealla destra italiana.E’ evidente che la cosiddetta democrazia del ’68 è stata untentativo (purtroppo riuscito) di ideologizzazione dell’origi-naria spinta partecipativa, e che è diventata il terreno di col-tura delle forme degenerate di rappresentanza politica e dellastessa concezione della politica intesa come compromissione,come eterna ricerca della “terra di mezzo”, se non assemblea-rismo. È del tutto vero che la democrazia del ’68 rimaneancora il retroterra ideologico della sinistra: sia di quellanostalgica che rivendica la differenza antropologica delcomunismo italiano, sia dell’altra che sta per denominarsidemocratica, quella che ne fugge a gambe levate per rifugiar-si in una non meglio definita antropologia della modernità. E’del tutto vero che il milieu culturale di questa sinistra riscrivele regole della governabilità con una grammatica resa incertada una confusa compresenza di esperienze burocratico-assembleari e leaderistico-autoritarie. Ma non va dimenticato(ancora una volta) che fu un leader socialista italiano a sbar-rare la strada a quella costituzione materiale del compromes-so che è stata la forma più alta sia dell’ingovernabilità sia del-la formazione di un blocco politico conservatore.Avresti ragione nel ben sperare per le sorti della destra italia-na se l’interlocutore fosse solo la sinistra identitaria assiemecon la sinistra del sincretismo veltroniano; ma c’è un’alterna-tiva – che io chiamo del “Socialismo largo” – che si fa spazioe che non teme il terreno valoriale su cui va collocandosi ladialettica politica dentro le moderne società occidentali. Nonteme di entrare nel campo dei valori perché la matrice di queivalori (la responsabilità, l’autorità, la legalità) è da cercarsinei processi di emancipazione e di crescita civile segnati pro-

/ / 53 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

infatti proprio nella democrazia dal basso, nella democra-zia permanente, nella democrazia dei sindacati universalie dei comitati territoriali, in sintesi nella democrazia del’68. Veltroni tratta tutto, ma non questo. Per una ragionemolto semplice: perchè la matrice, la madre di questo tipodi democrazia – della democrazia in cui gli aggettivi e ipredicati cancellano il sostantivo (democrazia) – è propriola sinistra che lo ha espresso, che lo sostiene, che lui stes-so dice di essere.In Veltroni c’è una sola variante rispetto alla sinistra dibase, ed è una variante leggermente degenerativa. La vec-chia sinistra parlava di bisogni; la nuova supera questafrontiera, passando dai bisogni ai desideri. In questa nuo-va prospettiva politica non è necessario garantire qualco-sa, è sufficiente promettere tutto. Il veltronismo è il rifor-mismo gratuito: il mio impegno è il vostro desiderio. Conil ’68 la sinistra ha “spogliato gli altari”. E, come si dice,se non credi più a niente, finisci per credere a qualsiasicosa. […]

Cinque vecchie paroleÈ il ’68 aggiornato. Ed è proprio dal ’68 in poi che sonoinvece scomparse dal vocabolario della sinistra, come sefossero state sbianchettate, le parole autorità e responsa-bilità, morale e dovere. Ed è proprio qui, nella progressi-va decivilizzazione prodotta dal relativismo, che stannoinsieme il vero marcatore e la dividente tra sinistra edestra: tra la sinistra che è e la destra che vogliamo e chedobbiamo saper essere.All’opposto userò cinque vecchie parole: Autorità,Responsabilità, Valore, Identità, Ordine (Legge&Ordine):Autorità - È scomparsa l’autorità. Il ’68 ha infatti portatocon sé la morte dell’autorità. Noi invece vogliamo piùautorità nella vita pubblica. Non si può abrogare per leg-ge il ’68. Ma molto si può fare anche per legge. Un esem-pio: per principio i pubblici uffici non sono al serviziodegli impiegati che ci lavorano, ma dei cittadini per cuiquegli uffici devono lavorare. Siccome pare che le cosenon vadano proprio così, l’idea della sinistra è stata un’i-dea tipica della sinistra: istituire una “Autorità” contro ifannulloni. Tipica della sinistra nei termini che seguono:c’è un problema? Facciamo una legge. Ma non una leggeche supera il problema. Una legge che lo aggira. Salvo

Page 50: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

prio dal riformismo socialdemocratico, la cui forza è stataanche quella di fonderli, combinarli con altri valori, altrettan-to identitari, della civilizzazione democratica occidentale. Esono: il lavoro, la partecipazione, l’eguaglianza, la dignità delcittadino-lavoratore, la sicurezza democratica.Per essere ancora più chiari, il “Socialismo largo” individuanell’espansione della base sociale della religiosità e nella dif-fusione del sentimento religioso non un fenomeno regressivo,anzi, lo interpreta nel solco di quella autonomizzazione socia-le sempre più attenta e sensibile alle questioni dell’etica. Semettiamo in relazione la questione sociale (non annullabile,come sto per dire), la questione etica e la questione cattolica,vediamo che rappresentano tre angoli di un campo di azionesociale e politica sul quale la destra non può accampare alcundiritto speciale (semmai qualche vantaggio); e verso il qualeil “Socialismo largo” non muoverà con atteggiamenti stru-

/ / 54 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

infine scoprire che ci sono i fannulloni anche dentro gliuffici dell’Autorità contro i fannulloni. Noi faremo inve-ce una legge che ristabilisce nei pubblici uffici le antichelinee verticali di gerarchia e di autorità.Responsabilità – C’è una certa differenza tra il “siediti easpetta” e l’”alzati e cammina”. È quello che va fatto eche gli italiani si aspettano sia fatto. La prova? È nellasorpresa (!) del 5 per mille, proposto da noi e scelto dasedici milioni di italiani. Su questa traccia proporremo, afianco del “vecchio”, un nuovo aggiuntivo 5 per mille perl’ambiente. Ancora: riapriremo, quanto meno per capirese sono utili o no, il dibattito sulle mutue sociali, che inaggiunta al Welfare State hanno in Europa già più di 120milioni di iscritti. Non sono, tutte queste, idee di sinistra.Infatti per la sinistra tutto è statale e perciò tutto è legale.Assolto il dovere fiscale, sei liberato dai doveri sociali:dagli antichi doveri verso te stesso, verso la tua famiglia,verso la tua comunità. Per la sinistra tutta la società siidentifica infatti verso l’alto, con lo Stato. La sua visioneè totale e verticale. Il disegno sociale è quello rigido, tec-nico, tipico di un grande vecchio mainframe computer.All’opposto il nostro disegno politico riflette la strutturareale ed attuale della società in cui viviamo, e per questonon è solo verticale, è anche orizzontale, flessibile, fede-rale nel senso radicale del foedus. In questi termini è undisegno che segue il tracciato di Internet. La nostra visio-ne non è nel dictum thatcheriano, dialetticamente oppostoallo statalismo della sinistra: “Non esiste la società, esi-stono solo gli individui”. Per noi è l’opposto dei dueopposti: non solo esistono gli individui; non solo esiste loStato; esistono anche, nell’intermedio, le famiglie e lecomunità. […] Si fa qui indifferentemente riferimentoall’individuo (idea laica) o alla persona (idea religiosa).Ma comunque resta ferma, alla base, la dimensione mora-le e spirituale propria della nuova visione politica. Nonpuramente compassionevole –come nella vecchia tradi-zione puramente caritatevole- ma appunto “responsabile”.[…] Il modello sociale socialista trova la sua massimaespressione nel “trasferimento” pubblico dall’alto verso ilbasso. E con questo abdica alla responsabilità. Aliena lapersona, spingendola verso l’astrazione dello Stato prov-videnziale. Il nostro modello sociale è nuovo ed alternati-vo proprio perché assume una forte e nuova caratterizza-zione insieme personale e comunitaria. […]

Page 51: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

mentali (del resto mai appartenuti alla tradizione del sociali-smo italiano), incorporando ad esempio pezzi di sinistra cat-tolica in ritirata; ma con un atteggiamento costruttivo peraffermare nella società, orgogliosa e consapevole della pro-pria forza autonoma, una tavola di valori e comportamenticondivisi e una laicità non lacerante.Perché la questione sociale è ancora prepotentemente iscrittanell’agenda dei governi non solo occidentali? Perché non èderubricabile a meccanicismo economico, come pare traspa-rire dalle tue parole? Risolvibile cioè all’interno dei ferreimeccanismi del modello unico del mercatismo, senza poterinfrangere le regole del capitalismo mondiale, che funziona-no allo stesso modo a nord come al sud, a ovest come a est delglobo? La risposta sta nel fatto che questo modello unico, sìgeneralizzato e globalizzato, non è una identità metafisica chesi è sviluppata al di là e al di sopra dei processi politici esociali, ma è il risultato di un particolare equilibrio di forze(anche ideologico), equilibrio condizionato dal peso del falli-mento epocale del socialismo reale e dell’economia colletti-vistica che ha interrotto la stagione e il secolo socialdemo-cratico.Le contraddizioni di questo capitalismo a una dimensionesono sotto gli occhi di tutti nelle forme dello sviluppo senzademocrazia (come in Cina), e dello sviluppo senza eguaglian-

za o con eguaglianza ridotta e precaria (come in Occidente).Per tale ragione v’è necessità di potenziare una nuova sinistrariformatrice che sappia legare e interpretare la questionesociale (che è nello stesso tempo conquista della democraziaper quelle aree nelle quali il totalitarismo si alimenta con unmotore capitalista, e conquista di eguaglianza e sicurezza pervasti settori delle società occidentali) con la questione etica,che è la cifra della modernizzazione e della autonomizzazio-ne delle società civili avanzate.Per concludere. La competizione, almeno in Italia, non saràtra vecchia sinistra e nuova destra, ma si determinerà secon-do uno schema diverso da quello da te previsto: non con lasinistra ad occuparsi del Terzo e del Quarto Stato, escluso dalsecolo socialdemocratico dell’abbondanza, e con la destra amietere consensi nella società affluente di massa, interessataa conservare i beni materiali e ad allargarli a quelli immate-riali. La competizione politica, vista da una forza socialistariformista e larga, sarà a tutto campo e trasversale.

/ / 55 / /

mondoperaio 5/2010 / / / / dossier / la crisi e il cambiamento

Valori – Il nostro problema non è creare, come in un pro-getto di ingegneria sociale e di mutazione genetica, valo-ri nuovi e post-moderni. Il nostro problema, in un’età dicrisi universale, è quello di conservare valori che per noisono eterni. Rispetto al consumismo noi preferiamo ilromanticismo. Non i valori dei banchieri centrali, ma ivalori dei nostri padri spirituali. […]Identità – La difesa dell’identità è la difesa delle nostrediversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e “pic-cole patrie”, vecchi usi e consumi, vecchi valori. Al fon-do c’è qualcosa di molto più intenso che una parodiabigotta della tradizione. È un misto di paura e di orgoglio,una riserva di memoria, un retroterra arcaico e umoraleche negare, comprimere o sopprimere non solo è difficile,è dannoso. Saremo più forti nel futuro solo se saremo piùancorati al nostro passato. Per inciso: se a differenza chenel resto dell’Europa in Italia non ci sono diffusi e cre-scenti gli orrori della xenofobia è anche per questo, ed èanche per merito della fondamentale funzione democrati-ca esercitata dalla Lega Nord.Ordine (Legge & Ordine) – Non servono nuove figure direato. Serve la concreta ed anche territoriale applicazionedi quelle che già ci sono. Ed è questo, della Legge & Ordi-ne, il campo più difficile su cui stiamo principalmentelavorando. […].

Page 52: 03 april 2 col saggi e dibat ok - Mondoperaio maggio/003dossier.pdf · mondoperaio5/2010/ / / / dossier/lacrisieilcambiamento / / 6 / / Diversamente, la scoperta economica dell’Asia

Pelletteriae cuoio artistico

fiorentino

Pelletteriae cuoio artistico

fiorentino

PeruzziFIRENZE

50122 Firenze - Borgo dei Greci, 8-20r - Via dell’Anguillara, 5-23re-mail: [email protected]

www.peruzzispa.com