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La dispensa è a disposizione dello studente per lo studio. Non può essere riprodotta, fotocopiata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo se non nei termini previsti dalla legge.  

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Dispense

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AA 2014-2015

*****

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Modulo 4  

Lo Sviluppo Comunicativo-linguistico

• Principali Teorie

• Tappe dello Sviluppo linguistico

• Il linguaggio per comunicare

• L’ironia

__________________________________________________________________

 

   

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“Il senso delle parole non è solo quelle che significano in se stesse,

bensì lo spazio su cui gettano luce”

Sandor Marai (“L’isola”, 2007)

SVILUPPO COMUNICATIVO-LINGUISTICO

Premessa Nei paragrafi precedenti è emerso il ruolo centrale del linguaggio e della

comunicazione nello sviluppo del bambino.

Il linguaggio permette al bambino di interagire con il mondo che lo circonda,

permette di comprendere quello che gli altri gli dicono e di esprimere sentimenti, emozioni

e desideri.

Allo stesso tempo, il linguaggio accompagna

il gioco, sia solitario sia di gruppo, e con la crescita

viene utilizzato in giochi di finzione sempre più

complessi e di narrazione.

Inoltre, il linguaggio è un precursore di altre

abilità come gli apprendimenti scolastici di lettura e

scrittura.

Esiste un linguaggio parlato, un linguaggio

compreso, ma anche un linguaggio interno

(rappresentativo) e un linguaggio non verbale (fatto

di gesti).

In ogni fase della vita il bambino utilizzerà,

per comunicare, forme diverse di linguaggio con

complessità crescente. Inizialmente, si servirà di

gesti poi di parole poi di frasi e, infine, di discorsi.  

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Lo studio dello sviluppo del linguaggio ha, vista la complessità e il significato di questa

competenza, attratto da sempre molti ricercatori e diverse sono state le teorie a riguardo.

Indipendentemente dalla conclusioni a cui sono arrivati i diversi studiosi sono partiti tutti

dagli stessi interrogativi: il linguaggio è una abilità innata o appresa dall’ambiente? Quale

è l’uso di questa competenza e come interagisce con le altre abilità?

Principali Teorie

A) Teoria Innatista:

questa teoria, il cui rappresentante più famoso è Chomsky, nasce negli anni ’60 e

ipotizza l’esistenza di una base biologica grazie al quale si sviluppa il linguaggio.

Esisterebbe, secondo gli innatisti, un vero e proprio “organo del linguaggio”

(chiamato, in seguito, dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio, LAD -

language acquisistion device), di tipo

universale, e che ogni individuo possiede.

Il LAD presiede allo sviluppo del linguaggio

a partire da una grammatica universale in

cui sono presenti i principi, le condizioni e

le regole di base per tutte le lingue

(fonologiche e semantiche). Secondo

Chomsky, il linguaggio è un insieme di

regole che ogni bambino scopre, a partire

dalle più semplici alle più complesse,

attraverso un processo attivo di scoperta e

verifica. Il LAD, in realtà, non contiene tutte le regole del linguaggio, che sono

molteplici, ma solo quelle di base da cui ogni bambino parte per poter maturare la

funzione. Quello che viene sostenuto in questa teoria è che lo sviluppo linguistico è

dominio specifico, ovvero non dipendente dalle funzioni cognitive, e questo

sarebbe il motivo per cui i bambini apprendono il linguaggio (in tempi e modi simili)

indipendentemente dalle culture in cui si trovano o dagli input ambientali a cui è

 

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esposto nella prima infanzia. Solo in un secondo momento entrerebbero in gioco gli

aspetti culturali e ambientali, attraverso lo sviluppo delle competenze morfologiche.

Viene, in questa teoria, negata l’importanza dell’imitazione e dell’insegnamento

dell’adulto (l’esempio classico è quello delle parole inventate dal bambino che non

sono il risultato di imitazione di quelle dell’adulto). Le teorie di Chomsky, pur con

molti limiti, hanno il merito di ritenere che il linguaggio infantile non sia una versione

semplificata di quello dell’adulto, ma piuttosto di un processo attivo, creativo e

guidato da regole precise (Camaioni Di Blasio, 2007). Il limite maggiore è, però,

proprio quello di considerare poco il ruolo dell’ambiente (linguaggio ascoltato) e

dell’organizzazione cognitiva.

B) Teoria Interazionista:

I limiti della teoria di Chomsky, hanno portato a sviluppare negli anni ’70 un

approccio, chiamato interazionista o cognitivista, in cui viene sottolineato come il

linguaggio si possa sviluppare

solo quando il bambino ha

una conoscenza del mondo

tale da poter esprimere

verbalmente concetti e

relazioni. A tale proposito,

molti autori hanno portato

avanti l’idea che non fosse

corretto proprio l’assunto

iniziale di Chomsky secondo

cui tutti i bambini iniziassero a

parlare indipendentemente

dall’ambiente, sottolineando

come esistessero diversi casi

di bambini esposti a situazioni

di grave deprivazione precoce in cui il linguaggio non era comparso. L’esempio

Locandina  del  Film  di  F  Truffaut  ispirato  alla  storia  vera  di  Victor  

 

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classico è rappresentato dalla storia reale di Victor, meglio conosciuta come il Ragazzo

Selvaggio, descritta dal medico Jean Itard. Victor fu trovato nelle campagne francesi

intorno alla fine del 1700 e, sebbene inizialmente si pensò che avesse un ritardo

cognitivo, Itard sottolineò come la totale assenza di linguaggio, la non comprensione e

conoscenza di regole sociali fosse dovuta all’isolamento sociale in cui era vissuto per

molti anni.

Inoltre, molti ricercatori hanno evidenziato come un’esposizione precoce al

linguaggio e, in generale, a situazioni con una forte valenza comunicativa favorissero

non solo l’emergenza di tale competenza, ma anche una maggiore abilità a livello

semantico e sintattico.

La teoria interazionista, che parte dalle idee di Piaget, sottolinea come il linguaggio

(inteso come capacità simbolica) può comparire solo quando il bambino ha raggiunto i

18 -24 mesi, in altri termini, solo quando è concluso lo stadio sensomotorio e inizia

quello rappresentativo. Tutto quello che avviene nella fase sensomotoria

(apprendimento di schemi, sperimentazione di azioni, imitazione, coordinazione delle

abilità) porta, in modo condiviso, non solo ad uno sviluppo cognitivo, ma anche allo

sviluppo di linguaggio.

Secondo Piaget il bambino impara eseguendo e, quindi, le competenze sono il

risultato, piuttosto che l’origine come, invece, riteneva Chomsky.

Come spesso avviene nessuna

delle due teorie, innatista e

interazionista, è totalmente corretta

nè totalmente errata e, le ricerche

degli ultimi anni hanno evidenziato

come il linguaggio sarebbe il

risultato sia di una base biologica

sia di aspetti interattivi. In altri

termini, biologia ed esperienza

costituiscono la base per lo sviluppo

di tale abilità e questo sarebbe dimostrato, indirettamente, da bambini che pur

Aree  del  SNC  che    se  danneggiate  possono  compromettere  le  capacità  linguistiche

 

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crescendo in un ambiente che li espone al linguaggio presentano ritardi di linguaggio e,

viceversa, bambini cresciuti in situazioni ipostimolanti sviluppano un linguaggio

adeguato. In tal senso, si inseriscono una serie di lavori che sottolineano il peso del

linguaggio, non tanto come abilità di saper fare qualcosa, piuttosto come competenza

finalizzata alla comunicazione.

La comunicazione viene definita in senso ampio, quindi riguarda sia la fase

preverbale sia quella verbale, ed è proprio la spinta a comunicare (quindi ad interagire)

che porta il bambino ad espandere ed arricchire le proprie capacità linguistiche, sia in

senso quantitativo sia qualitativo.

In questo processo ha, inoltre, un significato centrale la risposta dell’ambiente alle

spinte comunicative, in quanto porteranno il bambino ad interpretarne le reazioni e ad

agire di conseguenza. Ad esempio, l’espressione del volto della madre, mentre dice

qualcosa, fornirà al bambino degli indizi sulla situazione e sullo stato d’animo e, questo

gli permetterà, di rispondere in modo sempre più congruo nei diversi contesti.

comunicazione  

produzione  verbale  

linguaggio    non  verbale  

comprensione  

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Tappe e fasi di sviluppo del linguaggio

Le competenze comunicativo-linguistiche emergono in fasi successive e procedono di pari

passo con lo sviluppo dell’individuo. I primi anni di vita sono quelli in cui i cambiamenti

sono maggiori (dall’assenza di parole al saper costruire una frase e un breve discorso),

ma anche il periodo successivo si caratterizza per una maturazione significativa che

riguarda sia aspetti quantitativi sia qualitativi di tali abilità.

E’ possibile individuare una serie di fasi principali:

1. Fase Prelinguistica

La fase pre linguistica inizia dalla nascita e si sviluppa per tutto il primo anno. Il

bambino, inizia a “comunicare” utilizzando il pianto. Questo avrà caratteristiche diverse a

seconda del significa (fame, sonno, dolore) e darà luogo ai primi scambi interattivi. La

madre riconosce, infatti, precocemente il tipo di pianto e agisce di conseguenza (ad

esempio se è dovuto a fame lo allatterà). Inoltre, sempre la madre troverà strategie

adeguate a non far piangere il bambino, mostrandogli un gioco o attivando della musica, e

pre  linguistica   delle  prime  parole   morfosintattica   pragmatica  

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questo comportamento potrà essere accompagnato (dal 3° mese) a espressioni, quale il

sorriso sociale. Il sorriso amplierà, quindi, la possibilità di scambi interattivi con l’adulto e,

insieme alla comparsa di vocalizzi (tra il 2° e il 6° mese) si creeranno delle forme di

protoconversazione in cui i vocalizzi e i sorrisi si inseriscono, a turno, in quello che dice il

genitore.

A partire dal 6° mese, comparirà la lallazione (sequenza di sillabe consonante-

vocale) come “ma-ma-ma” o “da-da-da” che tenderà a ripetere anche più volte. Questa

prima forma di lallazione viene definita poco modulata proprio per questo aspetto ripetitivo

delle sequenze verbalizzate (“mamama”), seguirà a partire dai 10-12 mesi una espansione

del numero di sillabe prodotte e delle loro combinazioni. Si parlerà, a questo punto, di

lallazione modulata.

 

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I bambini, più o meno nello stesso periodo, inizieranno ad utilizzare specifici

vocalizzi sempre nelle stesse situazioni (ad esempio, “tata” per richiedere qualcosa). Sono

degli abbozzi di parole, ma con un significato, e indicano uno sviluppo non solo fonologico

ma anche lessicale.

Il genitore interpreta i comportamenti aiutando il bambino a raggiungere il suo

scopo. E questa intenzione dell’adulto farà emergere successivamente la comunicazione

intenzionale nel bambino, che capisce che l’adulto può partecipare attivamente aiutandolo.

Sempre tra i 10 e i 12 mesi, il bambino inizia ad utilizzare gesti per richiedere, condividere

e comunicare. I gesti rivestono un’enorme importanza, soprattutto perchè permettono di

comunicare anche se il linguaggio non è ancora presente.

La comunicazione non verbale (gesti, ma anche espressione del volto e sguardo) è

ben compresa dal genitore che, in tempi rapidi, riesce a dare un significato al

comportamento del proprio bambino.

Inizialmente i gesti saranno di tipo deittico (o comunicativi), in quanto esprimono

da parte del bambino un’intenzione comunicativa e si riferiscono a un oggetto, evento del

mondo esterno facilmente osservabile. Tra questi i più importanti sono l’indicazione, alzare

le braccia per essere presi, allungare la mano aperta se si vuole qualcosa, e si

accompagnano al contatto oculare. Durante tutta la fase pre linguistica un ruolo

fondamentale è quello dello sguardo, il bambino inizialmente attiverà il contatto oculare in

modo preferenziale con la madre e in una fase successiva (quando sarà aumentata

l’acuità visiva) inizierà a guardare l’ambiente e le persone oltre la madre. Un passaggio

importante è quello in cui il bambino non guarderà più solo l’adulto (sguardo diadico), ma

passa dall’adulto all’oggetto desiderato (triangolazione dello sguardo). Questo fenomeno

fondamentale viene chiamato anche dell’attenzione condivisa, esso compare già a partire

dal 6° mese (in realtà in forma molto abbozzata), e si manifesta quando il bambino e

l’adulto guardano lo stesso oggetto o evento esterno alla diade. L’attenzione condivisa

serve al bambino per spostare l’attenzione della madre su qualcosa al di fuori del campo

visivo e, insieme all’indicazione, ha un’enorme valenza interattiva e comunicativa,

soprattutto in questa fase non verbale.

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I gesti con valenza comunicativa rappresentano una fase importante dello sviluppo

perchè indicano anche il momento in cui il bambino comprende che esiste altro al di fuori

di sè.

I gesti deittici hanno diverse finalità, come quella richiestiva, che il bambino mette in

atto perché vuole che l’adulto gli dia un oggetto, o come quella dichiarativa, che il bambino

usa quando desidera condividere attenzione o interesse su un oggetto o un evento con

l’adulto che si trova lì (Camaioni et al., 2001).

Dopo l’anno ai gesti comunicativi si affiancano quelli referenziali (o

rappresentativi). Essi esprimono, oltre l’intenzione comunicativa, un significato che non

varia con il contesto (esempio tipico è il gesto del “ciao” ha un significato e viene usato al

momento di andare via, indipendentemente dalle persone che si hanno di fronte). Tra i

gesti referenziali ritroviamo oltre il ciao, il no, il non c’è più, e molti altri.

Questi gesti sono il risultato, nella maggior parte dei casi, di routine sociali e

vengono appresi per imitazione.

In un secondo momento, il numero di gesti aumenta, così come la loro valenza

comunicativa (ad esempio, il gesto del buono inizialmente può essere usato per “dire” che

un cibo è buono e poi per richiedere cose buone o per dire che un qualcosa gli piace).

Nello stesso periodo in cui il bambino usa i gesti di tipo referenziale, compaiono le

prime parole (sebbene molto semplici e spesso con errori fonologici). E’ stato dimostrato

come vi sia un rapporto inversamente proporzionale tra numero di gesti usati e numero di

parole. Infatti, in una prima fase il bambino avrà molti gesti e poche parole poi, con

l’aumentare del numero di parole si ridurrà sempre di più il ricorso al gesto come

strumento comunicativo.

La figura successiva mostra uno schema di quanto accade nella fase pre verbale

con le relative età di comparsa.

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2. Fase di emergenza delle prime parole

Le prime parole compaiono a partire dai 13 mesi circa. In realtà, vi è un’estrema

variabilità con cui si presenteranno. Inizialmente, il bambino userà parole semplici per

nominare persone a lui vicine (mamma, papà, nome dei fratelli, nonno/a) e oggetti legati al

suo quotidiano (acqua, pappa, cane).

Le prime parole sono, quasi sempre pronunciate male (ad esempio, aua x acqua) o

possono essere presenti delle gergolalie o pseudoparole (parole non comprensibili per

l’adulto, ma usate in modo specifico dal bambino).

Il patrimonio linguistico, nei primi mesi, viene utilizzato in modo contestuale e le parole

hanno un significato legato alla categoria (ad es. pappa x tutti i cibi, ma anche per

richiedere di mangiare).

Come più volte sottolineato, quando si parla di sviluppo linguistico è necessario

prestare attenzione allo sviluppo della comprensione verbale.

fase    pre  linguistica  

pianto  

vocalizzi  (dal  2°  mese)  

lallazione  (dal  6°  mese)  

non  modulata  (6-­‐10  mesi)  

modulata  (10-­‐12  mesi)  

gesti  

deittici  (9-­‐12  mesi)  

referenziali  (12-­‐18  mesi)  

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Questa competenza ha un ruolo centrale nelle capacità di comunicare e matura, in

realtà, prima della produzione verbale.

Il bambino comprende frasi semplici, quando ancora non dirà alcuna parola. Anche la

comprensione verbale sarà, inizialmente, per situazioni contestuali (ad esempio,

richiedere la consegna di un oggetto posto di fronte al bambino) e poi per ordini e concetti

sempre più complessi, astratti e decontestualizzati.

In generale, la comprensione verbale è sempre più avanti, sia in termini qualitativi sia

quantitativi, rispetto alla produzione verbale.

Il vocabolario è, nel primo anno e ½ - 2 anni, composto dalle parole usate con

maggiore frequenza e da nuove parole acquisite in modo graduale o, in alcuni bambini,

con una tale velocità che viene chiamata “esplosione del vocabolario”. Questa non

riguarda tutti i bambini, ma al di là della velocità di comparsa di nuove parole si osserva

una maggiore flessibilità dell’uso del vocabolario posseduto.

A partire dai due anni, iniziano ad essere presenti anche aggettivi, preposizioni, articoli

e un buon numero di verbi.

Se fino ai due anni il bambino usava singole parole o, al massimo parola + parola, per

comunicare, ora (tra i 24 e i 30 mesi) prova a costruire delle frasi semplici soggetto,

verbo, oggetto (ad esempio, mamma voglio acqua).

Le strutture grammaticali sono ancora molto immature e l’uso del vocabolario si

caratterizza per una povertà semantica (esempio, fiore tutti i fiori) e numerose

generalizzazioni. Il significato delle parole viene costruito sulla base di somiglianze

percettive e funzionali.

Il vocabolario, a livello semantico, continua ad ampliarsi fino all’inserimento in scuola

elementare (in realtà anche dopo) e il bambino sarà sempre più preciso nel scegliere la

parola (o il verbo) più corretta per quello che vuole esprimere.

3. Fase dello sviluppo morfosintattico

Questa fase inizia quando il bambino ha un vocabolario sufficiente, in termini di

numero di parole e verbi, per poterle combinare tra di loro e iniziare a creare delle frasi.

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Si ha sia uno sviluppo delle componenti morfologiche (plurale, singolare, genere,

aggettivi, pronomi, coniugazione dei verbi, etc.) sia di quelle sintattiche (capacità di

costruire frasi che rispettino le regole della lingua di appartenenza).

La fase morfosintattica inizia già intorno ai due anni (ci deve essere un vocabolario di

almeno 50 parole) (Camaioni et al, 1991), ma queste capacità continuano a maturare fino

all’età scolare (alcune strutture più complesse non prima dei 10 anni).

Tra i 3 e i 4 anni, il bambino possiede le strutture semantiche principali e le organizza

in frasi di lunghezza progressivamente maggiore.

Sempre di più, avrà importanza il significato di quello che il bambino vuole dire e,

intorno a questo, si costruisce la capacità di formulare frasi più corrette dal punto di vista

morfosintattico.

Inoltre, in questa fase, è importante, più che mai, la comprensibilità di quello che viene

verbalizzato. Il linguaggio, ormai, è ricco da un punto di vista quantitativo, e con il

concomitante sviluppo cognitivo, viene utilizzato in situazioni interattive più complesse,

come il gioco di finzione, il racconto e la conversazione.

I tempi di acquisizione delle capacità semantiche, ma anche di quelle morfosintattiche,

risentono della situazione socio culturale del bambino nel momento in cui la struttura dei

discorsi diventa più complessa con strutture grammaticali più mature (Parisi, 1997).

Le capacità morfosintattiche, nella lingua italiana, vengono acquisite in modo graduale

e lentamente dai bambini e questo dipende, in parte, dalla complessità della lingua.

Lo sviluppo della morfosintassi non riguarda solo la produzione verbale ma anche la

comprensione di quanto gli altri dicono. E’ stato affermato che il linguaggio viene usato in

modo, ormai, costante nelle interazioni, di gioco e non, ma poichè l’interazione per

definizione implica uno scambio è fondamentale che il bambino comprenda quanto gli

viene detto. Un bambino che ha difficoltà a comprendere strutture grammaticali più

complesse rischia di non riuscire a seguire le regole di un gioco o a non poter interagire

con i pari secondo quanto atteso per l’età.

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Le tappe di acquisizione delle diverse competenze comunicativo linguistiche sono

molteplici e, anche in relazione alla complessità di tale funzione, presentano una certa

variabilità. La variabilità, che abbiamo visto anche in altri ambiti dello sviluppo, è fisiologica

e fa parte della natura umana, però esistono degli appuntamenti evolutivi che devono

essere rispettati altrimenti si è di fronte a situazioni di rischio o, peggio, di disturbo vero e

proprio.

Gli appuntamenti evolutivi più importanti sono:

Come si vede la variabilità è elevata, ma questo non deve portare a sottovalutare il

bambino che non parla. E’ necessario monitorare e valutare non solo la quantità di quello

che dice, ma soprattutto se è presente un’intenzionalità comunicativa, se vi è una

comunicazione non verbale e quale è il livello di comprensione presente. Tutte queste

informazioni saranno d’aiuto a stabilire se si è di fronte ad una situazione fisiologica, a

rischio o di franco problema.

•  9-­‐12  mesi  Comparsa  di  gesti  deittici    (soprattutto  l’indicazione)  

•  12-­‐15  mesi  Comparsa  di  gesti  referenziali  

•  in  media  tra  gli  11  e  i  13  mesi  • Rari  casi  a  8  mesi  e,  meno  rari,  casi  a  18  mesi  (i  cosiddetti  parlatori  tardivi).  

Comparsa  di  prime  parole  

•  24-­‐30  mesi  Comparsa  delle  prime  frasi  

•  2-­‐3  anni  sviluppo  morfosintattico  

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4. Fase dello sviluppo pragmatico

Le competenze pragmatiche vengono, classicamente, definite come quelle capacità di

utilizzare il linguaggio con finalità comunicative nei diversi contesti e con persone diverse.

Tale abilità, in realtà, si sviluppa molto precocemente, ancor prima che compaiano

le parole e procede di pari passo con la maturazione ed espansione delle capacità

linguistiche. Ovviamente, vi è una relazione diretta tra livello linguistico raggiunto e livello

pragmatico esistente.

Un ruolo fondamentale, per lo sviluppo di tali capacità, lo hanno oltre i bambini le

relazioni ed interazioni che essi sperimentano con i pari e con gli adulti.

Il bambino, gradualmente, impara a utilizzare tipologie di comunicazioni diverse a

seconda degli interlocutori e comprende quali sono i mezzi per comunicare in modo

efficace quelli che sono i suoi desideri, pensieri e intenzioni.

Inoltre, impara che esiste una differenza importante tra quello che si vuole dire e

quello che effettivamente si dice, e che esiste la possibilità che il linguaggio sia “ambiguo”,

che sia “astratto” e, infine, che esistono delle forme linguistiche che non si riferiscono alla

realtà, bensì a stati mentali (es., “io penso che...”).

Dopo i 6 anni la capacità conversazionale migliora, anche perché il bambino sa

produrre messaggi immediati e adeguati, sa chiedere spiegazioni se non ha capito e sa

tenere conto dei diversi punti di vista. Egli migliora le capacità metalinguistiche: sa

produrre linguaggio ed è in grado anche di riflettere sul linguaggio e sa riconoscere che

esso è qualcosa di convenzionale, sa rifletterci sopra (es: quando impara la grammatica).

Tra i 6 e gli 8 anni compare la capacità di inserire nei racconti delle complicazioni,

un elemento di rottura. A 10 si arriva all’inserimento di diverse complicazioni con relativa

soluzione. In preadolescenza e adolescenza le capacità migliorano e la novità è quella di

muoversi sul piano del racconto andando avanti e indietro, non c’è più sempre rapporto di

consequenzialità (flash back, flash forward, racconto nel racconto).

Infine, lo sviluppo armonico delle competenze comunicativo-linguistiche è alla base,

oltre a quanto fin’ora riportato, dello sviluppo degli apprendimenti scolastici.

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La dispensa è a disposizione dello studente per lo studio. Non può essere riprodotta, fotocopiata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo se non nei termini previsti dalla legge.  

17  

La lettura, la scrittura non possono prescindere dallo sviluppo fonologico, semantico e

morfosintattico. Allo stesso tempo, la comprensione dei compiti, dei problemi e delle

spiegazioni fornite dall’insegnante non possono prescindere da una comprensione verbale

adeguata.

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18  

Una particolare forma di comunicazione: l’ironia

L’ironia è una particolare figura retorica che entra a far parte quotidianamente degli

scambi comunicativi.

La comprensione di tale forma di linguaggio non letterale risulta di primaria

importanza, dunque, per l’efficienza delle interazioni sociali. Si tratta di un processo

cognitivo piuttosto complesso che richiede la decodifica di ciò che il parlante ha detto

letteralmente e il riconoscimento di una certa espressione facciale e di un tono di voce,

che si prestano al proferimento ironico. Inoltre, cogliere l’intenzione ironica implica la

comprensione non solo del fatto che il parlante non intende dire ciò che ha detto

letteralmente, ma anche che dà per scontato che il suo interlocutore è consapevole che

non intende essere inteso letteralmente.

Definizione di ironia

L’ironia è una forma di comunicazione a cui gli individui sono esposti fin dai primi

anni di vita, attraverso vari canali.

E’ definita dal dizionario della lingua italiana (Zingarelli, 2006) come un costrutto

dalle molteplici componenti:

i. (filos): svalutazione eccessiva, reale o simulata, di sé stessi, del proprio pensiero,

della propria condizione.

ii. Dissimulazione più o meno derisoria del proprio pensiero con parole non

corrispondenti ad esso.

iii. Figura retorica che consiste nel dire il contrario di ciò che si pensa.

iv. Specie di umorismo sarcastico e beffardo.

                                                                                                                 questo  paragrafo  è  stato  scritto  in  collaborazione  con  la  dott.ssa  Mara  Testa  e  il  Dott.  Sergio  Melogno    

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19  

v. Derisione, scherno.

Può essere verbale o meno, o legata agli eventi; può essere espressa mediante

un’affermazione, uno scambio comunicativo o sottoforma di domanda, inoltre anche uno

sguardo, un’espressione facciale o un sorriso possono essere ironici.

L’ironia consiste in una forma di linguaggio non letterale caratterizzata

dall’opposizione tra il significato letterale della frase e l’intenzione comunicativa del

parlante (Booth, 1974; Winner, 1988, citato da Dews et al., 1996), quindi, essendo un

fenomeno non standard di comunicazione, necessita di processi inferenziali più complessi,

i quali richiedono maggiori risorse da parte del sistema cognitivo.

Un processo inferenziale presuppone che si dia una qualche forma di rapporto, a

seconda dei casi più o meno formale, tra l’informazione in entrata e quella in uscita.

Al fine di comprendere l’intenzione ironica, infatti, un individuo deve in primo luogo

elaborare il significato non letterale di un enunciato, testandone il significato in base al

contesto e, nel caso fosse riscontrata un’ incongruenza attribuita alla violazione delle

massime conversazionali, creare un’alternativa non letterale che risparmi il senso

dell’enunciato.

La riuscita di un atto comunicativo, così come la comprensione dell’ironia necessita

dell’acquisizione sia delle basi del sistema linguistico, come la sintassi, la fonologia e la

morfologia, sia delle competenze per utilizzare il linguaggio nel giusto contesto: come,

quando, a chi dire qualcosa (Papp, 2006). Tali competenze rientrano nell’ambito della

pragmatica. Quest’ultima è una disciplina della linguistica che si occupa dell’uso della

lingua come azione; osserva come e per quali scopi la lingua viene utilizzata. Più nello

specifico si occupa di come il contesto, inteso come qualsiasi fattore extralinguistico

(sociale, ambientale, psicologico, etc.), influisca sull’interpretazione dei significati.

Tipi di ironia

Esistono diversi tipi di ironia, tra cui quella situazionale e verbale.

L’ironia situazionale è insita in eventi o fatti senza presupporre affermazioni verbali

e intenzionalità. L’assenza del canale verbale permette di saltare il processo di decodifica

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del contenuto delle affermazioni, dei segnali vocali, permettendo, così, un’ interpretazione

più immediata; proprio per questo, l’ironia situazionale è semplice da comprendere per i

bambini, che riescono già ad identificarla in età scolare. Questo potrebbe dipendere dal

fatto che la sua codifica non implica inferenze sugli stati mentali, intesi come intenzioni, di

chi è coinvolto nell’atto ironico.

L’ironia verbale è compresa e diffusa tramite il linguaggio; nelle interazioni sociali di

tutti i giorni, per comprendere l’ironia verbale è probabile che si abbia bisogno

dell’accompagnamento dell’espressione del viso e del tono di voce di chi parla e integrare

poi le informazioni raccolte da questi segnali con il contesto della situazione.

Un’affermazione ironica può avere significato sia positivo che negativo: nel primo

caso chi parla intende fare un complimento, nel secondo caso invece, il parlante vuole

criticare il suo interlocutore attraverso la derisione. Dunque una critica ironica è una

dichiarazione positiva con lo scopo di trasmettere un significato negativo, al contrario, il

complimento ironico è una dichiarazione negativa per trasmettere un significato positivo.

L’ironia verbale può avere diverse funzioni sociali:

• Attenuazione: grazie alla quale il parlante può attenuare l’irruenza di una

critica e può, allo stesso modo, rendere un complimento ironico meno

lodevole, in relazione ai corrispettivi letterali (Thinge Hypothesis; Dews et al.,

1995);

• Umorismo: funzione di cui si può servire una persona per rendere una

situazione più divertente e colorita (Dews et al, 1995).

Teorie sull’ironia

Secondo l’interpretazione classica la relazione tra significato letterale e ironia pone il

significato ironico come il contrario di ciò che è detto: “Contrarium quod dicitur

intelligendum est” (Quintiliano, Istitutio oratoria, 9, 2, 44’).

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Anche Grice (1989), pur sostenendo che l’ironia sia un caso di implicatura

conversazionale1 (rivela qualcosa che non viene detto, ma viene fatto intendere

utilizzando il contesto della conversazione), dovuta alla violazione della massima della

qualità, non si discosta molto dalla posizione che individua l’ironia laddove c’è

contraddizione e inconsistenza.

Sia l’interpretazione classica che la visione Griceiana condividono l’idea che alla

base della comprensione dell’ironia ci sia un processo psicologico.

A tal proposito, secondo il Modello Pragmatico Standard (Grice, 1975; Searle,

1979; citati da Marchetti et al., 2007) nel processo di comprensione di un’affermazione

ironica, viene decodificato prima il significato letterale, il quale, poi, se viene rilevata

un’incompatibilità tra il senso letterale e gli elementi di supporto all’interazione insiti nel

contesto, viene cancellato e sostituito dal significato inteso dal parlante.

Tale posizione teorica suggerisce che il linguaggio ironico venga elaborato

attraverso un processo obbligatorio, soprattutto nella fase iniziale della comprensione, e

che gli indizi contestuali e pragmatici siano coinvolti solo più tardi nel processo cognitivo.

L’ipotesi Griceiana viene contraddetta da alcuni studi sperimentali relativi ai

processi di comprensione dell’ironia.

Giora et al. (1999, 2002), infatti, hanno proposto un approccio denominato

“Rilevanza graduale” (Gradent Salience Hipothesis) ponendo l’accento sulla salienza dei

significati, i quali possono ritenersi tali (salienti) quando vengono categorizzati nel lessico

mentale poiché possiedono un alto livello di convenzionalità, frequenza d’uso, familiarità e

prototipicità. La comprensione richiederebbe, quindi, un processo a due stadi di

elaborazione: l’attivazione dei significati salienti, indipendentemente dal fatto che siano

plausibili col contesto, e successivamente la comprensione di tutti gli altri significati

possibili, permettendo di giungere così, alla comprensione dell’ironia. Ad esempio la

parola “ponte” potrebbe evocare il significato di intervento odontoiatrico per un dentista,                                                                                                                1   Tutti i comportamenti derivanti dall'osservanza delle massime o dalle loro violazioni o sfruttamenti danno luogo a delle implicature

conversazionali, che consistono in informazione supplementare derivante dal confronto di ciò che il parlante ha detto con la sua supposta aderenza al

principio di cooperazione e alle massime. Si distinguono da altri tipi di implicature, principalmente dalle implicature convenzionali, che invece sono

legate al significato convenzionale delle parole usate nel discorso.

 

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oppure un particolare tipo di esercizio fisico per una ginnasta. Ancora, un dentista

appassionato di ginnastica potrebbe trovare entrambi i significati ugualmente salienti. A

questo punto il contesto potrebbe modificare il significato della parola “ponte” nel caso in

cui il nostro dentista appassionato di ginnastica si trovasse a dover chiedere informazioni

stradali.

Se la comprensione richiede un processo a due stadi, per il significato “saliente” e

per quello ironico, ciò dovrebbe comportare tempi di elaborazione più lunghi di quelli

richiesti per gli enunciati letterali.

L’ipotesi che l’interpretazione del significato ironico richieda un maggiore sforzo

cognitivo non è condivisa dal Modello dell’Accesso Diretto di Gibbs (2002), nel quale viene

ipotizzato che la comprensione degli enunciati ironici non sarebbe necessariamente più

difficile rispetto a quella delle affermazioni letterali e potrebbe avvenire in un solo stadio, in

cui chi ascolta l’affermazione accederebbe direttamente al significato letterale, senza

previa decodificazione del linguaggio letterale.

Ad ogni modo, sia il modello di Giora che quello di Gibbs convergono nell’accettare

che si possa accedere al significato non letterale con la stessa facilità con cui si fa

accesso a quello letterale, se si dispone di informazioni contestuali appropriate e che

quindi, l’interpretazione ironica non dipenderebbe dal fallimento di una plausibile

interpretazione letterale.

Entrambi i modelli, comunque, presentano un limite, relativo al fatto che non hanno

preso in considerazione i fattori sociali, i quali, come emerge da alcuni studi (Kreuz e

Caucci, 2009), giocherebbero un ruolo rilevante nel processo di comprensione dell’ironia.

Teorie relative all’oggetto dell’ironia La definizione classica e Griceiana non indica qual è l’oggetto proprio dell’ironia, ossia

verso che cosa si rivolge chi fa ironia. In vista di questo, tre teorie contemporanee hanno

affrontato il problema:

La Teoria della menzione ecoica (Sperber e Wilson, 1981) tenta di identificare il

pensiero dal quale si vuole prendere le distanze attraverso l’effetto ironico.

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Secondo questa teoria l'ironia è:

• una menzione di significati, ovvero un riferimento a un dato significato attraverso

una espressione linguistica;

• i significati sono impliciti, cioè fortemente legati al contesto in cui avviene la

comunicazione;

• una menzione che veicola un atteggiamento critico verso quei significati a cui si

fa riferimento;

• i significati rievocati fanno eco a quelli espressi in precedenza, ovvero

riprendono il significato (che è letterale) di una espressione precedentemente

manifestata (realmente pronunciata o appartenente alla cultura condivisa da

entrambi gli interlocutori).

Attraverso l’ironia il parlante comunica un pensiero a proposito di un pensiero

altrui, per indicare che è falso, irrilevante e non pertinente.

Secondo gli autori quindi colui che si esprime ironicamente non intende trasmettere

un significato contrario a quello letterale, ma ha la finalità di esprimere una critica a un

certo significato; e il destinatario dell'ironia non compie alcuna elaborazione di significati

letterali o figurati ma coglie semplicemente il riferimento a dei significati (menzione).

L'ironia è comprensibile non attraverso l’elaborazione di significati letterali o figurati

ma all'interno di un quadro più ampio dato dalla situazione e dall'intero contesto

comunicazionale e culturale.

Il significato dell’enunciato è puramente letterale e l’effetto ironico è dato “dal far

eco”, cioè dal riferimento ad un pensiero realmente espresso da qualcuno

precedentemente o dal riferimento ad uno stereotipo linguistico. L’ironia dipende quindi,

da un antecedente che ricordi di una norma violata o un’asimmetria e come tale, l’ironico

atteggiamento del parlante, di solito negativo, circa una data situazione.

La teoria della Finzione Allusiva (Kumon-Nakamura et al., 1995) prende spunto

dalla teoria della Menzione Ecoica e tenta di identificare lo stesso atto linguistico con cui si

ottiene l’effetto ironico.

L’ironia, in questo approccio,viene vista come un modo per ricordare indirettamente

una norma sociale o morale condivisa in una data comunità linguistica.

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L’ironia può essere compresa, quindi, non solo come richiamo a una frase ascoltata

in precedenza (eco), ma anche in riferimento a una norma condivisa infranta o a

un’aspettativa disattesa del parlante; ciò grazie al concetto di insincerità pragmatica,

ovvero intendere il contrario di ciò che è stato detto, di una aspettativa o di una norma

condivisa. Questa teoria si poggia su due concetti importanti:

1) Le espressioni ironiche sono destinate ad essere allusive in quanto richiamano

l’attenzione di chi ascolta su delle aspettative che in qualche modo vengono violate;

2) L’ironista deve essere pragmaticamente insincero e violare così, una o più

condizioni di un qualsiasi atto linguistico “felice”.

La Teoria della Negazione Indiretta (Giora, 2003) tenta di identificare la

situazione in cui viene espresso l’enunciato ironico.

Tale teoria ipotizza che l’enunciato ironico diriga l’attenzione su un’aspettativa

disattesa, creando un contrasto tra quanto viene detto e come invece le cose stanno

realmente. L’ironia è, pertanto, una forma di negazione indiretta, in quanto non esprime il

significato opposto a quello letterale, ma sottolinea la distanza tra la realtà e le aspettative.

Per esempio l'espressione “che bel film!” al termine della proiezione di un film

noioso sottolinea come questo si discosti dalle proprie aspettative e sia “lontano”

dall'essere bello; quindi questa espressione non evoca necessariamente né

l'interpretazione più lontana né il significato più prossimo a quello letterale.

Altre Teorie sull’ironia

  - Constraint – Based Model of Language Comprehension (Pexman, 2008)

Tale modello si contrappone all’ipotesi di un’elaborazione di tipo seriale di

un’affermazione ironica, proposta da Giora (2003) e ipotizza che le diverse informazioni,

come il tono della voce, l’incongruità tra informazioni verbali e contestuali, la conoscenza

del parlante, vengono elaborate in parallelo al fine di giungere alla comprensione

dell’intenzione ironica. Un espressione verbale attiverebbe varie interpretazioni possibili,

che sarebbero elaborate parallelamente.

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Nonostante questo approccio sembri essere potenzialmente esplicativo ha una

bassa specificità, dovuta in parte al fatto che non vengono esplicitate in modo esaustivo i

processi cognitivi che supportano la comprensione dell’ironia e gli indizi su cui questi si

basano.

- Teoria dell’inappropriatezza rilevante (Attardo, 2000)

Questa teoria prevede che la comprensione dell’ironia avvenga prima tramite la

valutazione dell'inappropriatezza semantico-contestuale dell’espressione, e poi tramite la

valutazione della rilevanza dal punto di vista pragmatico, ovvero facendo riferimento ai

significati più funzionali allo scambio comunicativo in atto.

Pertanto secondo Attardo una frase viene riconosciuta come ironica se:

1. Risulta contestualmente inappropriata;

2. È rilevante;

3. È formulata intenzionalmente e con la consapevolezza del suo grado di

inappropriatezza contestuale da parte dell’ironista;

4. L’ironista vuole che l’ascoltatore colga i precedenti punti;

5. Se l’ascoltatore considera l’espressione come non-intenzionalmente ironica i punti 3

e 4 non si applicano (citato da Marchetti et al., 2007).

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Sviluppo della comprensione dell’ironia verbale nello sviluppo tipico

Le affermazioni e le narrazioni ironiche insite nei cartoni animati e programmi per

bambini evidenziano il fatto che, questi ultimi, entrano ben presto a contatto con tale

modalità comunicativa e ne fanno esperienza quotidianamente (Marchetti et al., 2007).

Alcuni autori (Creusere, 1999; Levorato e Cacciari, 1995, 2002) sostengono che la

comprensione dell’ironia sia un processo stadiale. Come dimostrato (Winner, 1988) i

bambini comprendono prima le metafore e solo più tardi, verso i sei anni, l’ironia.

Creusere (1999) ad esempio, mostra dei risultati importanti sullo sviluppo della capacità di

riconoscere e comprendere l’ironia fino in fondo, con le sue caratteristiche

metarappresentazionali, contestuali, prosodiche, sociali e comunicative. L’autrice sostiene

che tra i 6 e gli 8 anni i bambini acquisiscono le capacità per distinguere le espressioni

letterali da quelle non letterali e solo successivamente diventano capaci di riconoscere la

natura diversa delle affermazioni non letterali, arrivando infine alla loro completa

comprensione, servendosi anche di altri fattori, quali il rapporto tra le parole e la realtà, gli

atteggiamenti e le intenzioni di chi parla.

Levorato e Cacciari (1995, 2002), a loro volta, hanno proposto un modello di

elaborazione globale (GEM: Global Elaboration Model) per spiegare come i bambini

acquisiscono le competenze necessarie per comprendere il linguaggio figurato e

idiomatico lungo il corso dello sviluppo, fino a padroneggiare la capacità di integrarle con i

più generali meccanismi cognitivi alla base dell’utilizzo del linguaggio. Le autrici

propongono un modello stadiale all’interno del quale a 5-6 anni i bambini si mostrano

capaci di utilizzare solo il linguaggio letterale; tra i 7 ai 10 anni iniziano a concepire

l’esistenza di affermazioni anche non letterali, la cui comprensione prevede il supporto di

numerose fonti di informazioni; dai 10 ai 12 anni interiorizzano il Principio della Violazione

della Letteralità (Padovani, 2006; citato in Marchetti et al., 2007; p. 118), attraverso il quale

riescono ad interpretare correttamente il linguaggio non letterale, facendo inferenze sulle

intenzioni del parlante. Dai 12 ai 15 anni acquisiscono e utilizzano in maniera spontanea

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espressioni figurate note nei contesti di vita quotidiana, dove il senso potrebbe essere

frainteso. Solo in età adulta gli individui padroneggiano tutto il repertorio delle espressioni

figurate e le utilizzano in ogni situazione e contesto.

In contesto italiano il lavoro di ricerca che si è occupato dello sviluppo delle abilità

metalinguistiche, coprendo l’intero arco evolutivo, dall’età prescolare alla fascia

adolescente adulta è stato portato avanti da Pinto (1999). Un aspetto particolarmente

interessante degli strumenti di valutazione dell’abilità metalinguistica concepiti e messi a

punto da Pinto, riguarda “l’idea di considerare come oggetto di studio a se stante l’esame

delle argomentazioni delle risposte che il soggetto è in grado di dare, sulla falsariga di ciò

che Piaget introdusse fin dagli anni venti nello studio del ragionamento infantile”(Pinto,

1999; p. 57). Questa modalità è particolarmente esigente dal punto metacognitivo e

metalinguistico perché richiede processi “inequivocabilmente intenzionali, espliciti ed

analitici” (Pinto, 1999; p. 58).

Hancock, Dunham e Purdy (2000) hanno condotto degli studi per indagare un

aspetto più specifico dello sviluppo della comprensione dell’ironia, cioè l’ordine di

comparsa della capacità di identificare le critiche e i complimenti ironici, arrivando alla

conclusione che le prime vengono comprese più precocemente rispetto ai secondi. Gli

stessi autori sottolineano che per i bambini è più facile il significato letterale nel caso della

critica Ironica, mentre è più facile riconoscere il complimento ironico quando l’affermazione

ironica “fa eco” ad una precedente attesa di una situazione negativa; quindi evidenziano

come alcuni fattori, fra i quali il fattore ecoico, possano favorire la comprensione dei

complimenti ironici in bambini di 5-6 anni. Infine evidenziano un’asimmetria tra critica

ironica e complimento ironico simile a quella riscontrabile nell’adulto.

Il ruolo del contesto

Partendo dal presupposto che l’acquisizione delle abilità volte alla comprensione

dell’ironia rappresenta un processo lento e complesso, molti studiosi si sono chiesti se

indizi contestuali e linguistici possano, in qualche modo, supportare tale capacità.

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Una recente teoria che si occupa di spiegare come l’interlocutore interpreta il

significato veicolato da colui che parla, basandosi sui fattori contestuali, è la Teoria della

Rilevanza (Loukusa et al, 2006).

Questa parte dal presupposto che l’interpretazione letterale dell’enunciato a volte

non è sufficiente a comprendere il significato che vuole esprimere il parlante. Le

espressioni linguistiche assumono diversi significati in base al contesto e quindi hanno

tante possibili interpretazioni; queste ultime però, non vengono analizzate tutte

dall’interlocutore, ma la comprensione è guidata dagli aspetti salienti dell’informazione

contestuale.

Ackerman (1982, 1983; citato in Marchetti, 2007) afferma che gli indizi contestuali

rappresentano un elemento fondamentale per la comprensione dell’ironia soprattutto per i

bambini più piccoli, dal momento che con l’avanzare dell’età questi imparano a

padroneggiare l’ironia nelle varie situazioni, senza più servirsi di alcun indice “facilitante”.

Ha anche indagato, in bambini di età compresa tra i 6 e 8 anni, il ruolo della memoria nella

comprensione dell’ironia, concludendo che, come nel caso degli indizi contestuali, anche

la memoria è importante in funzione dell’età, quindi solo per i bambini più piccoli.

Winner et al. (1987, citato in Marchetti, 2007) hanno condotto le prime ricerche

concernenti la potenziale influenza del tono di voce sulla comprensione dell’ironia da parte

di bambini di 8-10 anni, giungendo a risultati che ne disconfermano il ruolo determinante;

dai loro studi è emerso infatti che i bambini si servono solo del riconoscimento della

discrepanza tra il significato letterale dell’affermazione e quello che il parlante vuole

intendere.

Studi più recenti, invece, avvalorano l’ipotesi che i bambini, nel processo di

acquisizione delle competenze relative al linguaggio indiretto, si servano sempre di indici a

loro disposizione, ma in modi diversi a seconda dell’età. A tal proposito Pexman et al.

(2006), alla luce del “Constraint-based model of language comprehension (Pexman et al.,

2008), hanno indagato l’influenza che la presentazione di informazioni, concernenti i tratti

di personalità del parlante, può avere nel processo di elaborazione e interpretazione

dell’ironia verbale. Dai loro studi è emerso che i bambini di 5-6 anni utilizzano informazioni

sulla personalità per inferire desideri e predire il comportamento dei personaggi di storie,

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ma solo qualche volta sono in grado di interpretare correttamente le credenze e le

intenzioni di colui che fa una critica ironica; tale capacità subisce un notevole incremento

dai 5 agli 8 anni, probabilmente in funzione dello sviluppo cognitivo e delle esperienze

sociali. Inoltre tali studi dimostrano che i bambini tra i 5 e gli 8 anni, cui sono state fornite

informazioni sulle caratteristiche dei personaggi di storie, congruenti o incongruenti con

affermazioni ironiche, integrano tutti gli indici a loro disposizione e che i bambini di 5 anni

individuano la valenza ironica di un’affermazione in maniera più accurata quando una

frase è coerente con la personalità del personaggio.

Sviluppo della comprensione delle funzioni dell’ironia Dews et al. (1996) hanno esaminato la sensibilità di bambini di età compresa tra i 5-

6 anni e 8-9 anni, alle funzioni dell’ironia, attraverso due esperimenti, mettendoli a

confronto con adulti.

Il primo studio ha esaminato l’età in cui bambini iniziano a comprendere forme di

ironia verbale e quando, dopo l’acquisizione di tale abilità, si mostrano sensibili alle due

funzioni dell’ironia (attenuazione e umorismo). Sono state prese in considerazione le

critiche ironiche, le critiche letterali e i complimenti letterali, utilizzando un contesto

familiare per i bambini, come quello dei cartoni animati.

Il secondo studio ha cercato di esaminare come vari tipi di affermazioni e

l’intonazione con cui vengono fatte, possano influenzare la comprensione delle funzioni

comunicative dell’ironia.

Tali studi dimostrano che tra i 5-6 anni c’è un forte incremento della capacità di

identificare le affermazioni ironiche e che, mentre la sensibilità alla funzione di umorismo si

sviluppa in seguito con l’avanzare dell’età, in questo periodo i bambini sono già sensibili

alla funzione di attenuazione, suggerendo che a differenza degli adulti (che

padroneggiano entrambe le funzioni) essi cercano di utilizzare l’ironia nella misura in cui

servirebbe a mitigare l’aggressività di una critica.

È emerso, infatti, che i bambini di 6 anni giudicano la critica ironica meno cattiva di

quella letterale e trovano egualmente divertente una critica letterale e una ironica;

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entrambe sono meno gradite rispetto ad un complimento letterale. Viene inoltre osservato

l’effetto comunicativo dell’intonazione, dal momento in cui un’intonazione sincera

riuscirebbe a mitigare la critica e ad accrescere l’umorismo.

Gli autori ritengono che tali risultati confermerebbero la Tinge Hipothesis (Dews et

al., 1995) secondo cui si assume che le affermazioni ironiche hanno la funzione di mitigare

sia il significato negativo che positivo rispettivamente di una critica e una lode letterale, a

causa dell’opposizione tra ciò che è detto e il significato sottostante.

Allo stesso modo Glenwright e Pexman (2003) indagano, attraverso due

esperimenti, l’abilità di bambini tra i 5 e i 6 anni e tra 7 e 8 anni di comprendere le funzioni

sociali dell’ironia, nelle condizioni di critica e lode sia ironiche che letterali. I risultati del

primo studio dimostrano che tra i 7 e gli 8 anni i bambini sono molto più rapidi nel cogliere

il significato delle critiche ironiche rispetto a quelli di 5-6 anni, ma per entrambe le fasce

d’età sono state riscontrate le stesse difficoltà nella comprensione delle lodi ironiche.

Inoltre è stato osservato come i bambini a quest’età percepiscano la critica ironica

come meno aggressiva di una critica letterale, ma comunque, prima dei 7-8 anni trovano

divertente più una frase letterale che ironica, confermando le assunzioni della Tinge

Hipothesis (Dews et al., 1995).

Dal secondo esperimento emerge che i bambini già a 5-6 anni percepiscono i

complimenti ironici come più svalutanti rispetto a quelli letterali e che solo i bambini più

grandi trovano i complimenti ironici più divertenti, suggerendo qualche evidenza relativa al

fatto che il riconoscimento della funzione dell’umorismo comincia ad emergere tra i 7-8

anni, per continuare a svilupparsi in seguito.

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COMPRENSIONE IRONIA VERBALE COMPRENSIONE

FUNZIONI IRONIA VERBALE

Funzione di attenuazione (Dews et al., 1996)

5-6 ANNI

Linguaggio letterale (Levorato e Cacciari, 1995, 2002)

Difficoltà con critiche e lodi ironiche (Pexman et al., 2006) Funzione di umorismo (Dews et al., 1996; Pexman et al., 2006) 7-10 ANNI

Linguaggio non letterale con più fonti di informazioni (Levorato e Cacciari, 1995, 2002)

6-8

ANNI

Distinzione espressioni letterali/non

letterali (Creusere,

1999)

Difficoltà solo con lodi ironiche (Pexman et al., 2006)

10-12 ANNI Linguaggio non letterale con inferenze su intenzioni parlante (Levorato e Caacciari, 1995, 2002)

12-15 ANNI Espressioni figurate note in contesti quotidiani (Levorato e Cacciari, 1995, 2002)

ETA’ ADULTA Tutte le espressioni figurate in tutti i contesti (Levorato e Cacciari, 1995, 2002)

Tab. 1 Tabella riassuntiva sullo sviluppo tipico dell’ironia.

BASI NEURALI DELLA COMPRENSIONE DELL’IRONIA

La ricerca neuropsicologica indica che l'emisfero destro, le aree prefrontali e le aree

temporali sembrano essere coinvolte nella comprensione dell'ironia.

Molti studi, condotti attraverso la fRMI, su bambini e adulti con sviluppo tipico,

sembrano condividere i risultati circa il coinvolgimento della corteccia mediale prefrontale

(MPFC) (Wang et al 2006a; Wang et al. 2006b; Wang et al. 2007; Shibata et al., 2010).

Alla luce di questi risultati, sembra infatti, che l’integrazione degli indizi contestuali

sia a carico della MPFC (Bird et al., 2004). Nello specifico, alcuni autori sostengono che

l'area dorsale della MPFC partecipa al monitoraggio cognitivo degli stati mentali e l’area

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ventrale è implicata nella rappresentazione del significato emotivo degli stati mentali

(Hynes et al. 2006).

Wakusawa et al. (2007) hanno trovato, inoltre, che quando si deve determinare

l’appropriatezza situazionale di frasi ironiche e metaforiche piuttosto che di frasi letterali, la

MPFC sinistra si attiva maggiormente; ciò suggerisce che la MPFC sinistra è coinvolta nel

processamento intenzionale di significati sociali impliciti. Quando è necessaria

un’elaborazione di informazioni contestuali nel processo di comprensione dell’ironia, si

attive attiverebbe maggiormente la corteccia mediale orbitofrontale (MOFC) (Wakusawa et

al. 2007).

Queste aree (aree mediali frontali) sono associate all'attribuzione di stati mentali

(Frith e Frith, 2003).

La comprensione dell'ironia sembra quindi essere strettamente relata ai processi di

mentalizzazione, ma l'attivazione di queste aree cerebrali potrebbe essere influenzata da

operazioni cognitive di alto livello che richiederebbero il coinvolgimento delle funzioni

esecutive (Shibata et al., 2010). Tuttavia il modo in cui i processi cognitivi di alto livello

partecipano alla comprensione dell'ironia e alla mentalizzazione non è chiaro.

Sembra che anche il lobo temporale destro sia fondamentale nella comprensione

dell'ironia. In uno studio di Wakusawa et al. (2007), in cui i soggetti erano impegnati nel

determinare se le vignette che gli venivano presentate fossero ironiche, metaforiche o

letterali, presentavano un’attivazione maggiore nel lobo temporale destro solo nelle

situazioni ironiche. Tale risultato suggerisce una partecipazione di quest'area

specificatamente per il processamento dell'ironia (Wakusawa et al. 2007).

Inoltre, ci sarebbero delle attivazioni in aree diverse in base al tipo di proferimento

non-letterale: il giro temporale superiore destro (RSTG) e il giro temporale mediale destro

(RMTG) sembrano essere coinvolti maggiormente nella comprensione dell'ironia, mentre il

giro temporale inferiore destro (RITG), il giro frontale inferiore sinistro (LIFG) e il giro

temporale inferiore sinistro (LITG) sono maggiormente implicati nella comprensione delle

metafore (Eviatar e Just, 2006). Ciò suggerisce che il lobo temporale destro partecipa nel

giudizio di plausibilità e coerenza del discorso (infatti questo aspetto è maggiormente

presente nel discorso ironico) e alla comprensione degli intenti comunicativi (Eviatar e

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Just, 2006), mentre il LIFG e LITG sono legati ai processi linguistici e in particolare ai

processi di accesso lessicale (infatti le metafore si servono maggiormente e

principalmente del canale comunicativo verbale) (Lee e Dapretto, 2006).

Differenze relative alle attivazioni neurali sono state riscontrate anche in relazione

all’età. Studi che hanno messo a confronto le prestazioni dei bambini e adulti in compiti

legati all’ironia (Wang et al., 2006b) hanno evidenziato, infatti, che in entrambi i gruppi si

attiva maggiormente la MPFC nel giudizio dell'ironia (rispetto al giudizio di frasi dal

significato letterale), ma tale attivazione diminuisce al crescere dell'età; questi dati

suggeriscono che il processo di inferenza dell'ironia diventa più automatico e le funzioni

della MPFC sono meno richieste.

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Nel processamento dell'ironia, i bambini, rispetto agli adulti attivavano

maggiormente il LIFG che è coinvolto nel giudizio di incongruità tra emozioni e parole

(Schirmer et al., 2004), la MPFC e il STG bilateralmente che sembra essere coinvolto in

generale nell’elaborazione delle informazioni facciali e prosodiche; invece gli adulti

attivavano maggiormente le aree occipitali inferiori e il giro fusiforme destro (RFG). Nel

giudizio dell’ironia, quando viene chiesto ai bambini di prestare attenzione ai volti,

vengono evidenziati pattern di attivazione neurale simili a quelli degli adulti (Wang et al.,

2006b), con un maggiore coinvolgimento del RFG, del lobo temporale destro e della

corteccia extrastriata (corteccia occipitale centrale e ITG), solo che negli adulti l’attivazione

del RFG non sarebbe indotta da una richiesta esplicita ma automatica, probabilmente

perché rappresenta una funzione dell'expertise nell'elaborazione di informazioni facciali (al

crescere dell'esperienza aumenta l'attivazione del RFG) (Gauthier et al., 2000).

Inoltre in questo studio il LIFG si attiva maggiormente nei bambini che negli adulti.

La LIFG sembra essere coinvolta nel riconoscimento dell'incongruità tra significato

letterale (positivo) della parola e emozione (negativa) associata ai commenti ironici

(Schirmer et al., 2004).

Sintesi degli studi sui correlati neurali sulla comprensione dell’ironia