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Diritto Tributario Appunti A.L. Appunti delle lezioni di Livia Salvini, integrati con le nozioni del manuale di Marongiu Marcheselli

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DirittoTributario

Appunti

A.L.

Appunti delle lezioni di Livia Salvini, integrati con le nozioni del manuale di Marongiu Marcheselli

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Premessa

Chi siamo

Appunti Luiss è un progetto nato per rendere meno difficoltosa e più soddisfacente

la vita universitaria.

Questo è stato possibile perché il team di appunti Luiss ha fatto una scoperta tanto

banale quanto geniale: la collaborazione tra studenti tramite la condivisione di

esperienze universitarie facilita il superamento degli esami. Tale collaborazione e

condivisione, molto spesso, si concretizza nella produzione, anche involontaria, di

lavori come appunti, compendi o esplicazioni.

Ora, dato che la diffusione di questo tipo di lavori aiuta lo studio e il superamento

degli esami, il favorire tale diffusione è il primo obbiettivo che Appunti Luiss si

propone.

Il secondo obbiettivo che ci proponiamo è quello di valorizzare questo tipo di lavori.

Tale valorizzazione, per natura, produce un doppio effetto: favorisce la diffusione,

incentivando gli studenti a produrne sempre di più, e costituisce la giusta

ricompensa per gli studenti che li hanno prodotti agevolando anche il

sostentamento dello studente stesso.

Insomma, quello che Appunti Luiss vuole fare è aiutare gli studenti e premiare

coloro che hanno reso questo possibile.

Appunti Luiss Team

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Sommario

Diritto Tributario ........................................................................................................ 0

1. Nozioni introduttive e definizioni generali ..................................................... 6

2. Le fonti del diritto tributario .......................................................................... 10

3. Finanza locale e federalismo fiscale .............................................................. 22

4. La struttura del tributo ................................................................................... 28

5. I soggetti del rapporto tributario ................................................................... 31

6. Sostituto e responsabile d’imposta ................................................................ 34

7. Il procedimento tributario .............................................................................. 41

8. L’iniziativa ........................................................................................................ 43

9. L’istruttoria ...................................................................................................... 47

10. L’avviso di accertamento ............................................................................. 53

11. Le tipologie di accertamento ....................................................................... 56

12. La riscossione ............................................................................................... 61

13. Esecuzione forzata ....................................................................................... 71

14. Crediti d’imposta e rimborso ...................................................................... 72

15. Evasione ed elusione .................................................................................... 75

16. Interpello ....................................................................................................... 79

PARTE SPECIALE ................................................................................................. 82

1. Il sistema delle singole imposte e imposte sul reddito ................................ 82

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2. L’IRPEF ............................................................................................................ 91

3. I redditi fondiari .............................................................................................. 99

4. I redditi di capitale ........................................................................................ 103

5. Il reddito di lavoro dipendente .................................................................... 106

6. Il reddito di lavoro autonomo ...................................................................... 108

7. I redditi diversi .............................................................................................. 110

8. Dal reddito di categoria all’imposta netta ................................................... 110

9. Cenni sull’imposta sul reddito delle società ............................................... 113

10. Il reddito d’impresa .................................................................................... 117

11. Consolidato fiscale ..................................................................................... 131

12. Paradisi fiscali ............................................................................................. 136

13. L’imposta sul valore aggiunto (IVA) ........................................................ 137

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PARTE GENERALE

1. Nozioni introduttive e definizioni generali

Il diritto tributario è costituito da regole che disciplinano il finanziamento della spesa pubblica attraverso tributi. Esso costituisce una parte del diritto finanziario che disciplina i meccanismi volti al reperimento dei fondi per la spesa pubblica. Il rapporto sussistente fra tributario e finanziario è di specialità del primo nei confronti del secondo, infatti, riassumendo, essi si occupano: - Diritto finanziario: dei meccanismi volti al reperimento dei fondi per le entrate pubbliche. - Diritto tributario: dei tributi.

Lo stato può avere diversi tipi di entrate, di cui le tributarie sono le più ingenti, occorrenti per finanziare le spese dello stato. Vi è un collegamento fra entrate e spese; ciò indica la presenza di un rapporto fra il loro livello e quello delle entrate, in quanto non si può spendere più di quanto si incassi, a meno che non si contragga debito (debito pubblico). Le entrate tributarie sono ottenute dallo stato a titolo definitivo: una volta pagate dai contribuenti, esse restano acquisite dallo stato.

Le entrate possono essere diverse dalle tributarie, ma necessarie per coprire le spese, come: • Emissione di titoli di debito pubblico offerti sul mercato � non sono entrate a

titolo definitivo: alla scadenza del titoli, lo stato deve restituire la somma al sottoscrittore del titolo stesso.

• Sanzioni amministrative (o le pecuniarie penali) � somme acquisite a titolo definitivo, ma la causa giuridica sottesa al pagamento è afflittiva, nel senso che chi ha commesso un illecito deve pagare la somma richiesta.

• Privatizzazioni � modo per lo stato per reperire risorse, come la vendita di beni patrimoniali dello stato o la vendita di beni pubblici.

Sulla base di questo, le entrate tributarie si distinguono dalle altre per la natura giuridica stessa: le sanzioni hanno natura afflittiva, mentre le vendite sono negozi giuridici, lo stato non agisce in virtù dei suoi propri poteri. Per distinguere le entrate tributarie dalle altre, bisogna partire dall’art.23 Cost.:

nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non in base alla legge.

Tale norma suggerisce la rilevanza della prestazione patrimoniale imposta. Un fare, un dare o un permettere. Deve essere imposta, ossia quando il soggetto che vi è tenuto deve subirla � l’obbligo non sorge per effetto di una scelta libera.

Si deve trattare di una prestazione valutabile economicamente e deve essere materiale (ex:

il servizio militare ha contenuto di un fare personale, una multa ha contenuto materiale)

Si può avere un’imposizione in senso sostanziale � una prestazione patrimoniale è imposta anche se la fonte dell’obbligo è un contratto, cioè un atto che presuppone una

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volontà del soggetto onerato e che produce i suoi effetti coerentemente a tale volontà, ove il contraente non abbia libertà di scelta.

È necessaria la previsione da parte della legge per disciplinare la prestazione del privato nei casi di soggezione formale (atto amministrativo espressione di supremazia) o sostanziale (servizio pubblico essenziale in regime di riserva alla mano pubblica).

Le entrate tributarie: - sono obbligazioni la cui fonte non è un negozio giuridico � la fonte dell’obbligo

non potrà mai essere un contratto1 e la soggezione non potrà mai essere di tipo solo sostanziale.

- devono essere pagate a titolo definitivo - sono attribuite in funzione del potere autoritativo dello stato2; - sono finalizzate alla copertura delle spese pubbliche generali o individuali.

Le entrate tributarie tradizionalmente si distinguono in quattro tipologie: 1. Imposte

2. Tasse

3. Monopoli fiscali 4. Contributi

Tasse e imposte

Tassa

Tributo riscosso in collegamento con la fruizione di un servizio da parte del soggetto obbligato. È riscossa in relazione al beneficio individuale. È dovuta per il solo fatto di poter usufruire del servizio, anche se in concreto non lo si utilizza: è la mera potenzialità di utilizzo del servizio a imporla.

Imposta

È un prelievo coattivo che serve per finanziare la spesa pubblica, ma senza alcun collegamento da parte dell’obbligato. Si fonda sul principio del sacrificio e ha una duplice caratteristica:

• È una prestazione patrimoniale imposta • È un tributo

1 N.B.: ciò non vuol dire che il tributo non possa avere come oggetto e presupposto un contratto, ma in

questo caso esso verrà considerato come fatto economico cui la legge ricollega l’obbligo di pagare (ex: la compravendita di un immobile è un contratto e gli effetti correlati alla volontà espressa delle parti sono: il

trasferimento di proprietà e l’obbligo di pagare il prezzo. Per il diritto tributario quel contratto interessa perché compratore e venditore manifestano della ricchezza, ma l’obbligo di pagare l’imposta di registro nasce perché la compravendita è espressione di ricchezza cui la legge collega l’obbligo di pagare).

2 Il diritto tributario, infatti, appartiene al diritto pubblico, non è conseguenza dell’autonomia privata. Ciò

implica che il prelievo tributario deve essere sempre previsto per legge e che i tributi siano, quindi, tassativi. I soggetti che applicano i tributi sono dotati di un potere autoritativo.

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Per capire la differenza fra tasse e imposte, bisogna considerare i beni e servizi forniti o offerti dallo stato. Essi sono:

- Indivisibili ���� tutta la collettività ne può usufruire indistintamente nella sua completezza (ex: difesa del territorio, viabilità pubblica, illuminazione pubblica).

- Divisibili ���� offerti a domanda: chi ne ha interesse chiede a un soggetto pubblico di usufruire di un determinato bene (ex: università statale, subordinata all’iscrizione per poterla utilizzare; il pronto soccorso).

Un bene che per sua natura è indivisibile, può essere trattato come divisibile: le autostrade, appartenenti per definizione agli indivisibili, sono utilizzabili solo dietro pagamento, subendo il regime tipico dei divisibile. Alcuni beni indivisibili non potranno mai essere privatizzati.

Poiché alcuni beni possono essere forniti sia dal servizio pubblico che dal privato, si pone il confine fra un’entrata di tipo tributario e una di tipo privatistico.

Un discrimine lo si può riscontrare nella natura del soggetto che impone il contributo. Un esempio lampante è dato dall’università: la retta della Luiss è basata su un contratto di natura privatistica, quella della Sapienza è una tassa. La stessa cosa si osserva anche con riferimento al servizio postale � in tale caso non vi è differenza di soggetto erogante, bensì si tratta dello stesso soggetto che ha cambiato natura: prima era un ente pubblico, ora è stata privatizzata. L’acquisto di un francobollo rappresenta la legittimazione a usufruire del servizio postale. Fino a quando le poste erano un soggetto pubblico, il corrispettivo del francobollo era considerato una tassa; oggi è un contributo di tipo privatistico per usare il servizio. La spinta verso la privatizzazione di molti servizi, prima appartenenti al pubblico, è stata attuata sulla spinta dell’Unione Europea che ha aperto tali servizi alla concorrenza dei privati. Questo movimento dal pubblico al privato è più accentuato con riferimento agli enti locali.

Normalmente il servizio a cui la tassa si riferisce deve essere richiesto, vi è una domanda che può essere:

- Esplicita: iscrizione all’università. - Implicita: smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Per usufruire del servizio, infatti,

bisogna corrispondere un tributo chiamato TARS. Esso ha una natura duplice, essendo in parte tassa e in parte imposta. Corte Costituzionale: ha detto che tale tributo è un’imposta, ma ha la duplice componente, dato da

� Elemento collettivo: spazzamento delle vie. Ha natura di imposta ed è considerato prevalente dalla Corte, tanto che questo comporta l’attribuzione di natura di imposta a tutto il servizio in via giurisprudenziale.

� Elemento individuale: raccolta individuale. È un servizio divisibile, avente natura di tassa.

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L’entrata tributaria cui appartiene la tassa ha natura pubblicistica e coattiva. Come si concilia la coattività del prelievo con la presenza di una domanda?

In realtà il soggetto è libero di richiedere o no un determinato servizio, ma tale libertà non significa che il pagamento della tassa sia volontario e non coattivo perché, quando si fa la scelta a monte di usufruire di quel servizio, poi si è obbligati a pagare quel servizio.

Dal punto di vista economico, le imposte sono dovute a fronte di beni e servizi indivisibili, mancando la presenza di una domanda. Non è possibile ravvisare una relazione fra l’obbligo di pagare la tassa e usufruire del bene. L’unica causa giuridica del pagamento è contribuire

alla spesa pubblica. Come si riconosce un’imposta da una tassa?

Un tempo il bollo auto era una vera e propria tassa, da pagarsi solo di fronte alla concreta circolazione del veicolo. La conseguenza di tale fatto era l’impossibilità di eseguire un controllo incrociato fra i paganti e i circolanti in via teorica, ma solo controllando concretamente che veicoli circolavano (il bollo era esposto sul cruscotto). Questo ha comportato un cambiamento della legge: il bollo auto deve esser pagato a fronte della proprietà del veicolo, non della sua circolazione, trasformandosi in un’imposta patrimoniale che colpisce i beni del soggetto.

Contributi speciali e monopoli

I monopoli sono in linea generale proibiti dalla Costituzione, a meno che non siano legittimati dalla presenza di ragioni di ordine pubblico. Al giorno d’oggi sono rimasti pochi monopoli, fra cui quelli del tabacco lavorato e della gestione del gioco. L’istituzione del monopolio e l’imposizione di un tributo specifico risponde alla finalità di limitare la diffusione di tale servizio per cercare di evitarne le conseguenze dannose che ricadono a carico della collettività. Negli ultimi termini l’esigenza di ricchezza ha portato lo stato ad aumentare il gettito su tali prodotti. Il controllo sulla commercializzazione e circolazione dei beni servono a monitorarla e rendere possibile l’applicazione di un tributo specifico. Molti ritengono che tale descrizione di monopolio sia descrittiva e non sostanziale: si tratta, infatti, di un’imposta sul produttore che viene poi ribaltata sul consumatore. Questo è evidenziato dalla legge che si applica sul produttore stesso.

Il contributo può essere di vario tipo. Quelli fiscali in senso classico non sono più presenti nel nostro ordinamento e si tratta, quindi, solo di una definizione di interesse storico. EX: contributi di miglioria, richiesti ai proprietari dei terreni a seguito della costruzione di servizi pubblici (acqua, fognature, ecc) e miglioramento della viabilità nel territorio dove è locato il terreno. Tale contributo era una forma di restituzione allo stato di una parte dei costi che avevano contribuito ad aumentare il valore dei bei privati. Oggi questa non esiste più.

Esistono due diversi criteri per definire il tributo:

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• Criterio descrittivo: il tributo è la prestazione patrimoniale imposta di fonte non negoziale che rientri in una delle categorie descritte.

• Criterio negativo: la caratteristica fondamentale del tributo sarebbe il fatto di essere una prestazione richiesta in adempimento di doveri di solidarietà. Si potrebbe affermare, in termini negati, che i tributi:

o Non sono prezzi che corrispondono a logiche di mercato o Non sono una punizione e non tendono a rimediare o reagire a violazioni

dell’ordinamento o Non sono corrispettivi riscossi in regime di prezzo amministrativo.

2. Le fonti del diritto tributario

Prima fonte del diritto tributario è la Costituzione, negli articoli: • Art.23 � riserva di legge relativa • Art.53 � capacità contributiva • Art.75 ���� non è ammesso referendum per le leggi tributarie e di bilancio • Art.81 ���� con la legge di bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e spese.

Art.23

Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Principio di riserva di legge relativa

Sottolinea la differenza rispetto alla riserva assoluta (art.25) che riguarda l’ambito penalistico: in atti aventi forza di legge devono trovarsi gli elementi essenziali del tributo, i quali sono: � Soggetto passivo: chi è obbligato � Presupposto: quale ricchezza deve scontare il tributo � Criterio per la determinazione della base imponibile e le aliquote:

quanto di quella ricchezza deve essere assoggettato a prelievo (bastano il minimo e il massimo).

La legge, in materia tributaria, di norma abbraccia tutti gli aspetti dei tributi, e lasciano al legislatore secondario solo i profili tecnici (ex: è disciplinato da norme secondarie l’elenco delle caratteristiche del registratore di cassa).

Tale riserva di legge riguarda le norme tributarie sostanziali, non le procedure amministrative o il processo tributario. Le sanzioni tributarie sono sia di tipo amministrativo che penale. Se la legge prevede una sanzione penale, essa sarà coperta da riserva assoluta di legge.

Si intende:

- legge approvata

dal Parlamento

- decreto legge

- decreto legislativo

- leggi delle Regioni

o province

autonome

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Le sanzioni amministrative, invece, non sono coperte dall’art.25, ma sono delle prestazioni patrimoniali e rientrano nell’art.23. L’art.23 è un retaggio di norme antiche, risalenti alla Magna Charta inglese, a tutela dei sudditi nei confronti del sovrano, sottraendo il patrimonio del suddito dall’arbitrio del sovrano, in modo che la scelta dell’entità del gettito fosse decisa dai rappresentanti dei sudditi (il Parlamento) per avere il consenso degli stessi sudditi.

Le diverse prestazioni sono: • Patrimoniali3 � tutte le misure normative che comportano l’attribuzione di denaro

o altri beni dal privato al soggetto pubblico. Son prestazioni che devono essere imposte (obbligatorie, coattive, il privato non può sottrarsi e, se non adempie spontaneamente, può essere costretto a farlo). Le prestazioni tributarie rientrano in tale categoria.

• Personali � il contribuente deve, nella maggior parte dei casi, tenere una contabilità ai fini fiscali e presentare una dichiarazione all’amministrazione finanziaria in cui sono contenuti tutti i documenti per determinare la base imponibile e il contributo dovuto. In alcuni particolari casi l’amministrazione finanziaria può richiedere al contribuente di presentarsi presso uffici specifici per fornire delle spiegazioni.

A garanzia del privato la Costituzione prevede che tutte le prestazioni non possono essere decise a discrezione dell’ufficio pubblico preposto, ma devono essere previste per legge. Un tributo può essere preteso solo se previsto ex lege e nelle modalità descritte dalla legge per esigerlo dal contribuente.

Nell’ambito tributario l’amministrazione non è dotata di discrezionalità: la posizione è vincolata.

3 Un’imposta sul patrimonio è il canone RAI � quando è nata questa imposta, nessuno aveva mai pensato che fosse un’imposta patrimoniale. Il tributo va allo Stato che lo impone, poi, alla RAI per finanziare il

servizio pubblico. Negli anni 80 iniziarono a crearsi le televisioni private e quindi si creò la possibilità di visualizzare solo le televisioni private e non la RAI. Si creò un’obiezione civica: poiché la legge permetteva

di non pagare il canone a patto di far sigillare la tv dinanzi a notaio, a scopo dimostrativo si diffuse tale usanza. Contemporaneamente, nelle valli dolomitiche non prendeva il canale RAI e quindi tali soggetti rifiutavano il pagamento del canone.

La questione venne sollevata dinanzi alla Corte Costituzionale: cos’è il canone RAI? È una tassa (e quindi

va pagata solo a fronte della ricezione del servizio) o un’imposta (e va pagata comunque)? Se è un’imposta, qual è la manifestazione della ricchezza a cui far riferimento?

È un’imposta patrimoniale sul possesso del televisore.

Poiché questo non era nella natura di chi l’ha realizzata, chi possiede una doppia casa con televisore comporta il pagamento di un unico tributo.

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- È vincolata un’attività prevista per legge, alla quale l’attività finanziaria debba attenersi, senza che possa in alcun modo valutare interessi diversi da quelli pubblici.

- È discrezionale quella in cui alla p.a. è consentito per legge di valutare anche interessi privati nell’esercizio della sua attività.

Nell’ambito tributario l’unico interesse che l’amministrazione deve seguire è quello alla corretta applicazione delle norme senza che vengano in considerazione interessi privati.

Ex: un contribuente evade le imposte per mangiare. L’evasione di sussistenza si ha quando i contribuenti non pagano le imposte per sopravvivere, in quanto il pagare le tasse impedirebbe di accedere ai servizi minimi indispensabili. Se l’attività tributaria fosse discrezionale, in questo caso l’amministrazione potrebbe rinunciare al prelievo di fronte a interessi privati certamente meritevoli di tutela. Tuttavia l’interesse perseguito è il corretto rispetto della legge � le imposte devono essere pagate anche di fronte alle maggiori difficoltà economiche. In questi casi potrebbero essere date delle agevolazioni diverse, come una rateizzazione del contributo, ma solo previo accertamento della reale condizione del soggetto.

Quando si parla di legge come fonte della prestazione tributaria, si parla di: • Costituzione • Legge dello Stato in tutte le sue forme (decreti legge, decreti legislativi, norme

primarie, ecc.) • Legge comunitaria, aventi la stessa efficacia prevista dai trattati.

o Regolamenti: direttamente operanti negli ordinamenti interni o Direttive: operanti solo se self-executing, altrimenti devono essere recepite

nell’ordinamento interno. In materia tributaria non si può discriminare fra soggetti residenti e non. Non si può limitare le circolazioni di merci e persone. La comunità europea ha previsto tre tipi di contributi armonizzati, ossia regolati da norme europee che comportano l’uniformità di disciplina in tutte gli stati:

o IVA o Accise � imposte sulla produzione che vanno a gravare poi sul consumatore o Imposte doganali � imposte pagate quando viene importato un bene in UE.

La cintura doganale ricomprende all’interno tutti i paesi comunitari. Sono tutte imposte indirette che colpiscono in vario modo la circolazione delle merci. Tale armonizzazione è stata dovuta per disciplinare in modo uniforme il passaggio da uno stato all’altro.

Principio di capacità contributiva

Art. 53. Primo comma

Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità

contributiva.

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Si tratta di un principio rivolto • al legislatore � per due ragioni:

o sancisce la funzione solidaristica del concorso alle spese pubbliche e, in tale prospettiva, la legittimità costituzionale dell’imposizione;

o esprime la funzione garantista della capacità contributiva e costituisce � l’indispensabile presupposto (e limite) dell’imposizione � solo chi ha

capacità contributiva può essere tenuto a concorrere alle spese, � il parametro dell’imposizione medesima � l’ammontare del prelievo

tributario deve essere commisurato alla capacità contributiva del singolo.

• al contribuente ���� nell’espressione sono tenuti può rinvenirsi la doverosità del concorso necessario per la stessa sopravvivenza dello Stato, nell’ottica di un rapporto anche orizzontale “tra contribuenti” (tra cui il carico impositivo viene ripartito) e non solo meramente verticale “Stato- contribuente”.

Il riconoscimento della centralità dell’art. 53 Cost. nel sistema tributario costituisce il frutto di un lungo percorso giurisprudenziale e dottrinale. Infatti, all’indomani della introduzione della Costituzione, erano state sostenute tesi svalutative del principio di capacità contributiva. Si riteneva che questo articolo rientrasse fra le norme a carattere meramente “programmatico”, indicante una mera direttiva futura per il legislatore e privo di qualsiasi valore vincolante. La capacità contributiva veniva così considerata in diverso modo: • una scatola vuota inidonea, per la sua indeterminatezza, a costituire un precetto

giuridico, dovendo l’interprete semplicemente prendere atto del presupposto così come descritto di volta in volta dal legislatore, senza possibilità di indagare se esso sia o no indice di una capacità contributiva, che, del resto, non si saprebbe neppure in base a quali criteri determinare.

• teoria del beneficio, dovendosi giustificare il concorso alle spese pubbliche in una sorta di rapporto di “scambio” tra lo Stato e il cittadino e, dunque, tra le somme pagate allo Stato e le spese pubbliche con esse finanziate. Si riferiva la capacità contributiva, pur avente natura economica, alle manifestazioni di godimento di pubblici servizi, in quanto tutti i possibili presupposti di fatto delle entrate pubbliche dovevano considerarsi appunto manifestazioni di tal genere. La capacità contributiva doveva semplicemente commisurare il valore della prestazione richiesta al contribuente al valore economico di quelle manifestazioni di godimento.

Si deve alla Corte costituzionale il superamento di queste teorie “svalutative”: - ha evidenziato la sostanziale irrilevanza della distinzione tra norme precettive e

programmatiche ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, possedendo anche le seconde l’attitudine a creare effetti giuridici diretti;

- ha ritenuto che se è vero che l’art. 23 Cost. riconosce al legislatore il potere di imporre prestazioni patrimoniali, tale potere, per determinate prestazioni di natura fiscale, non è

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generale, in quanto il legislatore è tenuto a riferirsi esclusivamente a situazioni espressive di forza economica.

Due teorie sulla capacità contributiva: 1. Come limite ASSOLUTO: sono espressivi di capacità contributiva i fatti o situazioni che

consentono di presumere in capo al contribuente una ricchezza rappresentata da: o Reddito o Patrimonio o Consumi

L’art.53 viene visto alla luce dell’art.2, come un dovere di concorso alle spese pubbliche.

La capacità contributiva si definisce come titolarità di situazioni giuridiche soggettive a

contenuto patrimoniale, scambiabili sul mercato, che consentono di estinguere

l’obbligazione. Il presupposto deve contenere in sé i mezzi per far fronte al pagamento del tributo. L’art.53 non può comprimere il diritto di proprietà dell’individuo, ma costituisce un limite al legislatore per tutelare tale diritto di proprietà. Esiste, quindi, un limite massimo all’imposizione tributaria.

2. Come limite RELATIVO: l’at.53 viene visto alla luce dell’art.3, nell’ottica distributiva. Sono espressivi di capacità contributiva quei fatti in grado di modificare la posizione del consociato all’interno dell’ordinamento e possono essere soggetti passivi coloro che esprimono una capacità differenziata economicamente valutabile. La capacità contributiva è definitiva come la funzione di riparto che impone criteri distributivi equi e

ragionevoli, compresi fatti non patrimoniali, purché naturalmente rilevabili e

misurabili in denaro. Le proprietà devono essere valutate alla luce dell’eguaglianza sostanziale: chi ha più proprietà deve partecipare in misura maggiore alle spese pubbliche. Il limite è rappresentato dalla ragionevolezza dell’imposizione.

Il significato della “capacità contributiva” tra limite assoluto e limite relativo.

Non ogni forma di capacità economica costituisce tuttavia capacità contributiva, in quanto occorre considerare il principio dell’esenzione del minimo vitale, nel senso che non può formare oggetto di prelievo tributario quel minimo di capacità economica necessario a soddisfare le esigenze primarie dell’individuo: di qui, dunque, una non identità tra capacità

contributiva e capacità economica, non manifestando le situazioni al di sotto o pari al minimo vitale tout court capacità contributiva. Il principio del minimo vitale si afferma come riconoscimento della preminenza dei valori fondamentali dell’individuo o, in un ottica più generale, del suo nucleo familiare, sostanziandosi in tal caso nelle detrazioni per carichi di famiglia.

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Ambito di applicazione oggettivo

La Corte costituzionale ha ritenuto che il principio di capacità contributiva riguardi solo le

imposte, in quanto relative a prestazioni di servizi il cui costo non si può determinare divisibilmente. Per le tasse, qualificabili come prestazioni divisibili per via del collegamento tra somma pagata e spesa dello Stato, l’art. 53 Cost. non troverebbe applicazione in quanto in esse partecipa alla spesa lo stesso soggetto cui la singola attività pubblica si riferisce.

Si tratta di una posizione criticata da parte della dottrina, la quale osserva che l’art. 53 Cost. si limita a considerare le ipotesi di concorso alla spesa pubblica, senza distinzioni né rispetto ai modi del concorso, né rispetto alle spese pubbliche. Pertanto, anche assetti tributari para-commutativi formerebbero parte delle prestazioni idonee a realizzare la ripartizione dei carichi pubblici all’interno della collettività.

E’ da ritenere che, ove si tratti di servizi essenziali (quali la sanità o l’istruzione), il legislatore non possa porre una tassa a carico di soggetti che non siano, per le loro condizioni economiche, in grado di sostenerle. Oggi ci si riferisce alla teoria del beneficio in due sensi. • nell’ottica della fiscalità locale e del federalismo fiscale, per indicare la possibilità che

si crei un rapporto più “stretto” tra i tributi richiesti a carico di una collettività e le attività che questi enti esplicano a favore della collettività medesima; sino ad arrivare all’estremo dell’imposta di scopo, dove il prelievo è richiesto a fronte dell’esecuzione di una specifica opera la cui utilità ridonda a favore dei soggetti obbligati al pagamento � la collettività è anche posta in condizione di giudicare sulla bontà dell’impiego delle risorse derivanti dai tributi richiesti e, dunque, di esprimere in modo più consapevole un giudizio sulla validità dell’operato dei rappresentanti politici.

• in relazione alla giustificazione della tassazione dei soggetti non residenti di redditi o cespiti situati nel territorio dello Stato.

Come non può condividersi la logica incentrata esclusivamente sulla tutela del contribuente propria della teoria del beneficio, così neanche può condividersi la posizione opposta che invece attribuisce rilievo preminente alla tutela del Fisco.

Per quanto attiene alla fase dell’imposizione, si deve escludere che siffatte regole possano incidere sul quantum del tributo, pervenendosi altrimenti a una violazione dello stesso principio di capacità contributiva. Per la fase di attuazione del tributo, la Corte ha qualificato l’interesse alla riscossione dei tributi come un interesse di natura generale in quanto rende possibile il regolare funzionamento dei servizi pubblici e che giustifica discipline differenziate.

L’interesse fiscale • non può dare vita a regole che abbiano l’effetto di incidere sul quantum del tributo,

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• non trova alcuna legittimazione nel principio di capacità contributiva, attenendo al funzionamento dell’apparato pubblico e, in tale prospettiva, deve comunque tenere conto della necessità di garantire un adeguato diritto di difesa al contribuente.

Il principio di capacità contributiva non trova applicazione solo nel momento di creazione dei prelievi che ne formano oggetto, ma anche in quello del relativo rimborso , nel senso che deve certamente ritenersi in violazione dell’art. 53 Cost. un meccanismo che abbia l’effetto di impedire il rimborso dei tributi indebitamente pagati. Il collegamento con altri principi costituzionali.

L’art. 53 Cost. non può essere isolatamente considerato, dovendo essere esaminato alla luce dell’intero sistema costituzionale. • art.2 Cost.: richiede a carico dei consociati l’adempimento dei doveri inderogabili di

solidarietà politica, economica e sociale. Tale norma pone in rilievo il criterio solidaristico del principio di capacità contributiva, dove il dovere tributario diviene espressione dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale al cui adempimento è volta la suddetta previsione costituzionale, emergendone così una disposizione finalizzata

o alla ripartizione dell’onere dei servizi pubblici tra tutti i contribuenti, o al finanziamento di quelle prestazioni sociali indirizzate non alla generalità, bensì

a una cerchia ristretta di soggetti.

• Art.3 Cost. sancisce il principio di eguaglianza, distinto in eguaglianza o formale � vuole che non siano ammesse discriminazioni in base a sesso, razza,

lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali e personali. o Sostanziale � è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e

sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. L’art. 53 Cost. declina l’uno e l’altro.

o formale � esso impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo disuguale situazioni diverse , dovendosi prevedere trattamenti fiscali differenziati per ricchezze diverse.

o sostanziale � lo Stato può utilizzare la leva fiscale per cercare di promuovere e migliorare la situazione dei propri consociati, correggendo gli squilibri sociali dovuti a situazioni sperequate di partenza. Da ciò deriva l’obbligo da parte dello Stato di tener conto delle differenti situazioni che intercorrono fra i vari consociati per promuovere la loro crescita, il loro miglioramento anche dal punto di vista economico, in un’ottica definibile di giustizia redistributiva.

Il principio di eguaglianza esprime il limite relativo del principio di capacità contributiva , come giustificazione della diversa contribuzione imposta a taluni consociati rispetto ad altri e giustificata razionalmente dalla sussistenza di differenti sintomi di capacità

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contributiva. Valutazione che spetta al legislatore ed è sindacabile dalla Corte solo in caso di sua irragionevolezza.

L’art.53 Cost., in quanto espressione del principio di eguaglianza, è stato utilizzato dalla Corte di cassazione quale fondamento del suo mutato orientamento in tema di abuso di diritto, in quanto consentirebbe di contrastare operazioni abusive garantendo la parità di trattamento tra contribuenti.

Va evidenziato il collegamento con tutte le altre disposizioni costituzionali suscettibili di legittimare interventi promozionali in favore di determinate situazioni per mezzo delle agevolazioni fiscali e di consentire l’utilizzo del tributo per finalità c.d. extrafiscali .

La legittimità costituzionale di trattamenti agevolativi e di deroga al principio di capacità contributiva in quanto sottraggono all’imposizione fatti espressivi di forza economica, può trovare razionale e congrua giustificazione in altri principi presenti nell’ordinamento cui l’agevolazione o il sistema di agevolazione si ispiri in un’ottica promozionale. L’uso extrafiscale del tributo si collega anche all’istituzione di tributi con finalità disincentivanti , nel senso di attenuare od inasprire l’imposizione in modo da condizionare scelte dei produttori o dei contribuenti. I destinatari del principio di capacità contributiva: il pronome “tutti”.

Il termine tutti evidenzia il principio di universalità del tributo che deve colpire, al verificarsi dei presupposti, tutti i soggetti indipendentemente dalla loro cittadinanza. Ciò che rileva è che il singolo abbia un collegamento con il territorio dello Stato, di natura - personale (residenza, domicilio) - reale (localizzazione del reddito o del cespite), che sia tale da giustificare il suo dovere di solidarietà ex art.2 Cost., indipendentemente dalla sua cittadinanza, la quale potrebbe anche non manifestare più alcun reale collegamento con il territorio dello Stato. La scelta del presupposto di imposta deve tenere conto dell’esistenza di criteri di collegamento effettivi, che giustifichino cioè per loro natura il dovere contributivo: non potrebbe essere prevista una forma di imposizione in capo a un soggetto privo di qualsiasi collegamento personale o reale con il territorio dello Stato.

Il termine concorrere è da collegarsi al tutti perché esprime il concetto che ciascuno deve contribuire, ma deve farlo insieme agli altri alle spese pubbliche. Il tributo in generale, e le imposte nello specifico, sono tutti connotati dalla finalità del finanziamento alla spesa pubblica. I requisiti del principio di capacità contributiva.

L’art. 53 Cost. evidenzia un nesso diretto tra capacità contributiva e soggetto obbligato (in ragione della loro capacità contributiva) � la capacità contributiva deve riguardare il singolo contribuente.

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Il legislatore può ampliare la sfera dei soggetti passivi e imporre il prelievo anche a persone diverse da coloro cui è riferibile l’indice di forza economica (ex: sostituto di imposta e responsabile di imposta). Vi è dunque un concetto di soggetto passivo più ampio di quello inteso come titolare della capacità contributiva , ma deve essere consentito di far ricadere il carico finale del tributo su colui che di tale capacità contributiva è titolare.

In ogni caso, i rapporti interni o privatistici mediante i quali si opera la traslazione

giuridica dell’imposta rientrano tra le obbligazioni di concorso oggetto dell’art. 53 Cost., mentre è esclusa la traslazione economica attraverso cui il soggetto tenuto al pagamento dell’imposta (percosso) riversa sull’acquirente, che ne resta definitivamente colpito (inciso), il relativo onere tramite un aumento del corrispettivo richiesto.

Ulteriori problemi si creano in relazione alla possibilità che un soggetto si accolli volontariamente le imposte di un altro soggetto allo scopo di garantire a esso una sorta di neutralità fiscale ���� è ammesso in materia tributaria l’accollo, e quindi la traslazione del tributo da un soggetto ad un altro, purché non si liberi dalla prestazione l’originario debitore (c.d. “accollo cumulativo”). La dottrina è divisa. • Taluni affermano che solo la pattuizione di una maggiorazione del corrispettivo in caso di

aumento dell’imposta si situerebbe legittimamente al di fuori della previsione dell’art. 53 � in tale prospettiva, anche le ipotesi di rivalsa facoltativa sarebbero di dubbia legittimità costituzionale.

• Altra dottrina è orientata nel ritenere che ciascuno potrebbe accollarsi l’imposta di un altro soggetto liberandolo così dall’obbligo (c.d. “accollo liberatorio”), trattandosi di scelta volontaria e operando il vincolo alla tassazione della capacità contributiva “propria” nei soli confronti del legislatore, sicché l’accollo sarebbe ammesso sia nei casi di rivalsa facoltativa sia nei casi in cui la rivalsa non sia espressamente vietata. L’accollo non sarebbe dunque ammesso nelle sole ipotesi di divieto di accollo o di rivalsa obbligatoria, come accade nell’ipotesi del sostituto d’imposta (art. 64, d.p.r. n. 600/73).

Deve esservi corrispondenza tra capacità contributiva che si intende colpire e il presupposto dell’imposta, dovendo sussistere una coerenza logica all’interno della stessa imposta. Effettività della capacità contributiva

Dall’art.53 Cost. si evince che la ricchezza cui viene commisurato il prelievo deve essere effettiva � non può essere considerata sufficiente una capacità meramente fittizia o apparente. Effettività consiste nella verifica del reddito effettivo, altrimenti ci sarebbe capacità contributiva solo apparente. Ecco perché si parla di tassazione al netto. Si discute se la tassazione sul reddito debba esser fatta al netto (nel caso dei redditi di lavoro dipendente) o al lordo dei costi di produzione.

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Un altro fenomeno dell’effettività è il drenaggio fiscale, fenomeno che si verifica in periodi di inflazione: in tale periodo i prezzi salgono in risposta all’aumento di domanda. Alcune tipologie di reddito, in particolare quelli di lavoro dipendente, avevano dei meccanismi automatici di adeguazione al costo della vita. Chi ha goduto dei meccanismi di adeguazione certamente sta meglio rispetto a chi non ha goduto degli stessi.

Principio di attualità si ricollega al principio di progressività perché se non fosse così si tasserebbe la manifestazione della forza economica avvenuta in passato. La capacità contributiva deve infatti essere sempre attuale. La tassazione su immobili è una tassazione sul patrimonio e non sul reddito, ma manifesta la capacità economica attuale.

Principio di progressività

Art. 53. Secondo comma

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Un tributo si dice progressivo quando cresce più che proporzionalmente al crescere della ricchezza che colpisce: il coefficiente di idoneità della ricchezza a soddisfare i bisogni decresce man mano che la ricchezza sale. Il parametro tenuto di misura è l’uguaglianza del

sacrificio � interpretazione dell’art.53: perché due contribuenti che hanno a disposizione due ricchezze diverse avvertano lo stesso sacrificio, non basta

• né prelevare la stessa imposta (imposta fissa) • né stabilire la stessa percentuale di imposizione (imposta proporzionale)

perché sia avvertito il medesimo sacrificio. Poiché le quote più elevate di ricchezza servono a soddisfare bisogni meno essenziali, queste possono essere incise con percentuali più alte (imposta progressiva). Tale norma non impone che tutti i tributi siano progressivi: si tratta di un invito rivolto al legislatore a porre in essere dei tributi progressivi.

Ex: immaginando una ricchezza massima di 200 e che la frazione da 100 a 200 soddisfi i bisogni essenziali molto meno di quanto non li soddisfi la frazione fra 0 e 100. Se vi fossero due contribuenti, uno con reddito 100 e uno 200 e l’imposta fosse fissa per 50, i 50 a carico del primo gli sottrarrebbero molti più beni essenziali che non al secondo. Prevedendo che l’aliquota sullo scaglione di reddito da 0 a 100 sia il 20% e che quella sullo scaglione da 100 a 200 sia 50%. In questa ipotesi:

- al primo contribuente si applica un’imposta di 20 - al secondo contribuente si applica un’imposta di 70

In questo modo si tende a correggere la disuguaglianza del sacrificio. Le leggi tributarie

Lo Statuto del contribuente (legge 212/2000) si apre con una norma che dichiara la sua funzione: l’interpretazione e applicazione degli articoli della Costituzione in materia tributaria. Lo Statuto contiene norme di diversa natura: alcune sono rivolte al legislatore,

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altre agli uffici tributari e contribuente, ma tutte sono accomunate dal principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica. Le norme dello statuto del contribuente, rivolte al legislatore, sono quelle che prevedono i divieti di:

• (art.2) Nascondere le norme tributarie � inserire disposizioni tributarie in leggi che, nel titolo, non abbiano la specificazione della natura anche tributaria della disciplina in questione.

• (art.3) Retroattività per le norme tributarie • (art.4) Decreti legge non possono:

o istituire nuovi tributi o estendere i tributi che esistono a nuove categorie di contribuenti.

Un problema comune è dato dall’effettiva efficacia: poiché lo Statuto contiene norme di interpretazione della Costituzione, il legislatore si impegna a rispettare l’interpretazione della stessa che queste norme recano � tale prescrizione non è diretta solo al futuro legislatore tributario, ma si riflette come criterio interpretativo sull’esercizio della stessa attività applicativa dell’interprete che è chiamato ad applicare quei principi. A fronte di una norma successiva e apparentemente non in linea con i principi dello Statuto, l’interprete deve:

- tentare di interpretare la norma in modo congruo ai principi statuari - se non è possibile � deve interrogarsi se il contrasto con lo Statuto non determina un

sospetto di illegittimità costituzionale. - Il giudice chiamato ad applicare una norma contraria ai principi della Costituzione

non si può sottrarre dallo scrutinare espressamente se in tale contrasto vi sia o meno una questione di legittimità costituzionale.

Fonti regionali, internazionali e comunitarie

Rispettano la riserva di legge ex art.23 anche le leggi regionali che riserva alla legislazione concorrente di Stato e Regioni il solo coordinamento del sistema tributario, lasciando alle Regioni ampi margini di iniziativa in materia. Essa è stata esercitata con molta parsimonia. L’art.117 Cost., dopo la riforma, ha capovolto il rapporto fra la potestà normativa statale e quella regionale.

• Potestà esclusiva dello stato la regolamentazione dei tributi erariali. • Potestà normativa concorrente il legislatore ha voluto inserire il coordinamento del

sistema fiscale dello stato con quello locale. Prima della riforma del titolo V, anche i tributi locali (ossia quelli che confluivano direttamente nelle casse degli enti locali) erano disciplinati dalla legge dello stato. Essi erano l’IRAP e l’ICI. All’entrata in vigore del titolo V, le regioni hanno pensato che, dal momento che l’art.117 prevede tale potestà concorrente, potessero disciplinare con proprie leggi il

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contributo a loro dovuto, ma la Corte Costituzionale ha fermato questi tentativi: poiché lo stato aveva ormai disciplinato tale sistema, aveva ormai acquisito il potere di farlo; anche dopo la riforma, la legge non poteva più intervenire. Tale posizione della Corte è stata ritenuta da alcuni una posizione centralistica, molto limitativa dell’autonomia delle regioni.

Tra le fonti internazionali, le convenzioni internazionali possono stabilire principi generali, rafforzando le garanzie della Costituzione: diventano efficaci nell’ordinamento per effetto delle leggi interne di ratifica. I trattati comunitari contengono disposizioni che non riguardano direttamente il diritto tributario, ma possono investirlo indirettamente, per esempio:

• Principio di non discriminazione in base alla nazionalità • Libertà di stabilimento • Libertà di circolazione dei capitali • Principio di proporzionalità

Le norme comunitarie derivate prevalgono sul diritto interno in materia di IVA. Fonti secondarie

I regolamenti si distinguono in: • Indipendenti: adottati in assenza di disciplina legislativa, appaiono i più a rischio

di contrasto con il principio della riserva di legge � ove essi riguardino materie coperte dalla riserva, la violazione dell’art.23 è palese. Sono illegittimi.

• Integrativi: completano il contenuto precettivo di una disposizione di legge • Delegati: completano il precetto legislativo o lo suppliscono, in forza di

conferimento del relativo potere da parte dello stesso legislatore. Per questi ultimi due regolamenti, essi saranno legittimi solo se si tratti di mera integrazione o specificazione di aspetti secondari, attuativi e simili � la riserva sarebbe salva, violata in caso opposto.

I regolamenti sono norme di diritto vincolanti per uffici, contribuenti e per il giudice, come la legge. Se contrastano con essa, non sono validi � gli uffici restano vincolati, ma possono essere impugnati dal contribuente. Egli può ottenere:

- Disapplicazione: il giudice tributario non ne fa applicazione nel processo, allegandone l’illegittimità � il regolamento non viene applicato dal giudice tributario e l’effetto avvantaggia solo il contribuente.

- Annullamento: la loro rimozione dall’ordinamento giuridico � il regolamento è oggetto di una diretta e autonoma impugnazione davanti al giudice amministrativo e l’accoglimento della domanda determina l’espunzione del regolamento dallo ordinamento giuridico. L’effetto ha efficacia erga omnes.

Circolari interpretative e analogia

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Importanti per l’individuazione delle fonti del diritto tributario sono le leggi

interpretative, le quali devono determinare il significato di una legge precedente. Problema connesso: attraverso una disposizione che affermi di interpretare la disposizione precedente, ma in realtà ne sta dando un diverso significato, il legislatore può aggirare il divieto di irretroattività della legge tributaria. La Corte Costituzionale è intervenuta sul merito, dividendo in tre fasi la soluzione:

o Primo tempo: le leggi pseudo-interpretative devono essere considerate norme retroattive; esse possono considerarsi legittime se sussistono i presupposti che legittimano una disciplina retroattiva.

o Secondo tempo: orientamento più rigoroso, affermando che una norma interpretativa, sia in realtà innovativa e sarebbe quindi costituzionalmente illegittima.

o Terzo tempo: si è tornati al primo orientamento Art. 1. Comma 2 Principi generali (Statuto del contribuente)

2. L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.

Su un piano differente si muovono le circolari interpretative: istruzioni emanate dall’Autorità Amministrativa e indirizzate a funzionari e impiegati per interpretare la legge. Non sono fonti del diritto, ma fonti di conoscenza dell’interpretazione. L’analogia è il meccanismo di applicazione delle disposizioni giuridiche in virtù del quale, se manca una regola specifica per una determinata fattispecie, si ricorre alla norma che regola la fattispecie più simile � non si applica per le nome eccezionali e, nel diritto tributario, per:

- le norme che disciplinano i reati tributari - eventuali norme tributarie di carattere eccezionale - diritto tributario sostanziale � il presupposto per l’applicazione dell’analogia è che

manchi la disciplina della fattispecie, ma nel diritto tributario una determinata fattispecie è imponibile o non imponibile. Se la legge non prevede come imponibile una certa fattispecie, essa non è tassabile.

3. Finanza locale e federalismo fiscale

• Federalismo: dottrina su cui si è basata la costruzione dei paesi federali. • Federalismo fiscale: dottrina elaborata da alcuni studiosi di scienza delle finanze

per ripartire su più livelli di governo le entrate e le imposte. Nozione introdotta per la prima volta dal professor Musgrave. Nasce come reazione all’eccesso di localismo e all’eccesso di differenze tra enti locali e tra Stati in uno Stato federale e afferma l’esigenza di uniformità e di centralizzazione rispetto all’eccesso di differenziazione e di decentramento storicamente determinato in una società.

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Le peculiarità del federalismo fiscale statunitense sono legate al particolare assetto costituzionale di quel Paese. Non essendo l’Italia uno stato federale, non si può parlare di federalismo fiscale in senso proprio. Le Regioni non sono degli stati sovrani � la riforma tributaria del 1971-73 attribuì alle Regioni tributi insignificanti e tolse ai Comuni tributi di rilievo come l’imposta di famiglia e quella al consumo. Tale processo si è avviato all’interno di una Costituzione che riconosce il principio di autonomia delle regioni, ma non la sovranità. Questa constatazione porta a due conseguenze:

- Le regioni non hanno diritto a trattenere quanto prodotto o incassato nel territorio - L’assetto preesistente lascia in eredità coalizioni politiche e tecnostrutture.

Il federalismo deve misurarsi con una tenace resistenza delle strutture centrali.

Il federalismo è uno strumento elaborato e attuato, in grandi Stati, per facilitare la tenuta e la ricostruzione del tessuto sociale, non per inserire nuove lacerazioni. Esso non può essere un meccanismo istituzionale, ma soprattutto uno strumento per la garanzia delle libertà civili e politiche: è la fede nella libertà, nella responsabilità individuale, nell’autonomia che anima il federalismo. In tutti i casi rilevanti, il governo federale distribuisce rilevanti fondi ai territori più deboli per assicurare un minimo livello di uguaglianza dei cittadini.

Federalismo

fiscale

Autonomia delle politiche di entrata degli Enti territoriali, riconosciuta dalla Costituzione per proporzionare le entrate fiscali del territorio di ciascun Ente con quelle destinate allo stesso territorio, in modo da consentire l’attuazione di politiche autonome di spesa.

Tale definizione, però, è solo una di quelle possibili, in quanto una ufficiale non esiste. Un’altra definizione data è quella del costituzionalista Malfatti: progressiva ripartizione tra

gli enti della potestà impositiva, che implica da un lato la tutela (ma anche la

responsabilizzazione) dei localismi, come pure la valorizzazione delle differenziazioni

economiche tra le varie realtà; dall’altro lato la previsione e l’adozione di correttivi da

parte dei livelli di governo superiori per soddisfare le istanze fondamentali che provengano

dall’autogoverno della periferia.

Con la l.cost. n.3/2001 è stato riformato il Titolo V della Costituzione, attuando anche l’introduzione dei principi del federalismo fiscale nella Costituzione. L’art.117 Cost. rovescia la precedente impostazione nel distinguere la potestà legislativa in:

• Esclusiva dello Stato, le cui materie sono individuate per prima. • Concorrente fra Stato e Regioni • Residuale delle Regioni, le quali hanno potestà normativa per tutte le materie non

riservate espressamente alla legislazione dello Stato. Per quanto riguarda l’ambito fiscale vi sono due riferimenti nell’articolo:

a) II comma, lett. e) riserva allo Stato la materia del sistema tributario e contabile. Non ha dato problemi interpretativi: non si dubita che spetta alla potestà normativa esclusiva dello Stato dettare le leggi in materia di tributi erariali, ossia dei tributi propri, il cui gettito è destinato alle casse statali.

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b) III comma è compresa tra le materie di legislazione concorrente il coordinamento

della finanza pubblica e del sistema tributario. Questione più delicata: una maggiore o minore autonomia riconosciuta alle Regioni influisce in modo decisivo sulla loro effettiva autonomia: è chiaro che poter decidere sui propri tributi e conseguentemente sul proprio livello di entrate è un fattore decisivo per poter stabilire politiche autonome di spesa, da finanziare con tali entrate.

N.B. la riforma del Titolo V ha riguardato solo le Regioni a statuto ordinario e non quelle a statuto speciale, le cui prerogative – molto accentuate in materia fiscale e che possono spingersi fino al diritto di trattenere quasi integralmente il gettito dei tributi riscossi sul proprio territorio – restano intatte.

Art. 119 I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di

entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare

l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono

e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principî di

coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni

al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.

[…]

Questa norma sancisce la piena autonomia di entrata e di spesa di tutti gli Enti territoriali, prevedendo che essi stabiliscono ed applicano tributi propri . Essa detta il principio cardine del federalismo fiscale, cioè l’avvicinamento dei centri politici che assumono decisioni in materia tributaria al cittadino. Certamente per quest’ultimo è più facile controllare - secondo il criterio della rendicontazione – in che modo vengono impiegati i fondi reperiti attraverso le imposte, se a imporre i tributi e a spendere le risorse così raccolte è la Regione piuttosto che un’entità più lontana e astratta come lo Stato. E a questo controllo dovrebbe corrispondere poi un giudizio positivo o negativo, da esprimere attraverso il voto. L’art. 119 Cost., laddove mette sul medesimo piano – attribuendo loro almeno in via di principio lo stesso potere di stabilire ed applicare tributi propri – Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane non è facilmente traducibile in termini concreti: solo le Regioni hanno potestà normativa, mentre Comuni, Province e Città metropolitane hanno solo una potestà regolamentare. Poiché in materia tributaria vige la riserva di legge, Comuni ed enti locali non possiedono la potestà normativa necessaria per stabilire e creare tributi.

Solo lo Stato e le Regioni, che hanno potestà normativa, possono “creare” con proprie leggi tributi il cui gettito è destinato a finanziare le funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane. La legge statale o regionale che istituisce tributi degli Enti locali può tuttavia lasciare a questi ultimi spazi di autonomia che si esplica in massimo grado se la legge attribuisce agli Enti locali:

� la facoltà se “applicare” o meno i tributi nel proprio territorio, ex art.119.

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� la determinazione dell’aliquota fissata dalla legge tra un minimo e un massimo, nel prevedere agevolazioni o riduzioni d’imposta in favore di determinati soggetti, ecc.

Fermo restando che Comuni, Province e Città metropolitane non hanno potestà normativa e che quindi non possono “creare” tributi propri, l’art. 119 Cost. non prende posizione sul fatto se tali tributi possano o debbano essere creati con legge statale o con legge regionale.

Terzo comma La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di

destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province,

alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro

attribuite.

Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli

squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per

provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse

aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città

metropolitane e Regioni.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio,

attribuito secondo i principî generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere

all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di

piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia

rispettato l’equilibrio di bilancio. E' esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi

contratti.

Questa seconda parte della disposizione reca i principi fondamentali del finanziamento degli Enti territoriali, destinati a contemperare l’autonomia di entrata e di spesa sancita dalla prima parte dell’art. 119 con la tutela dei diritti comuni a tutti i cittadini dello Stato italiano. Il previgente sistema di finanziamento di tali Enti si basava sul criterio della spesa storica: gli Enti venivano finanziati mediante trasferimenti dallo Stato, sulla base di quanto speso negli anni precedenti e perseguendo politiche di stabilità della spesa � non veniva premiata in alcun modo la maggior efficienza di spesa, ma si perpetuavano gli sprechi.

Nuovo sistema: il finanziamento avviene mediante le risorse fiscali riferibili all’ambito

territoriale di ciascun ente. Si rischia l’aggravamento della situazione di disparità di risorse economiche disponibili nelle diverse aree territoriali del nostro Paese. L’art. 119 Cost. ha previsto la istituzione di un fondo perequativo, cioè un fondo statale che viene erogato agli Enti territoriali laddove il gettito della fiscalità a essi direttamente riferibile non è sufficiente. In particolare, deve in questo modo essere garantito a tutti i cittadini, in tutto il territorio dello Stato, un uguale livello delle prestazioni essenziali (sanità, istruzione, ecc.).

L’interpretazione della disposizione sulla potestà normativa concorrente in materia fiscale del III comma art.117 dovrebbe segnare i limiti della legislazione statale e regionale riguardo

- l’autonomia regionale di entrata e di spesa attribuita dall’art. 119 Cost.,

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- l’esercizio della potestà normativa in materia di tributi dei Comuni, Province e Città metropolitane.

Terzo comma: Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà

legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla

legislazione dello Stato.

Problema: natura dei principi fondamentali. Essi sono: - quelli desumibili dalla Costituzione, dalla normativa comunitaria e dalle leggi fiscali

già vigenti, - deve essere emanata una legge statale ad hoc che li individui???

Da tale questione bisognava stabilire quale fosse il grado di autonomia delle Regioni rispetto allo Stato a legislazione invariata.

Corte Costituzionale sent.n.37/2004: Il sistema finanziario e tributario degli enti locali è oggetto delle disposizioni dell'art. 119 della Costituzione. Esso considera, in linea di principio, sullo stesso piano Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, stabilendo che tutti tali enti:

o hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa (primo comma); o hanno risorse autonome e stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri,

sia pure in armonia con la Costituzione e secondo i principi di

coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, o dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al

loro territorio (secondo comma). o Le risorse derivanti da tali fonti, e dal fondo perequativo istituito dalla legge

dello Stato, consentono agli enti di finanziare integralmente le funzioni

pubbliche loro attribuite (quarto comma), salva la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati enti territoriali, per gli scopi di sviluppo e di garanzia enunciati dalla stessa norma o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma).

L'attuazione di questo disegno costituzionale richiede l'intervento del legislatore statale che: - dovrà fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, - determinare le grandi linee dell'intero sistema tributario, - definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva,

rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali. Occorre una disciplina transitoria per passare a un nuovo sistema da uno caratterizzato da:

- permanenza di una finanza regionale e locale ancora dipendente dal bilancio statale - disciplina statale unitaria di tutti i tributi.

Oggi non si danno ancora tributi che possano definirsi a pieno titolo "propri" delle Regioni o degli enti locali, frutto di una loro autonoma potestà impositiva, e quindi possano essere

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disciplinati dalle leggi regionali o dai regolamenti locali, nel rispetto solo di principi di coordinamento. Anche i tributi di cui già oggi la legge dello Stato destina il gettito agli enti autonomi sono istituiti dalla legge statale e in essa trovano la loro disciplina, salvo che per i soli aspetti espressamente rimessi all'autonomia degli enti territoriali.

Per quanto poi riguarda i tributi locali, stante la riserva di legge che copre tutto l'ambito delle prestazioni patrimoniali imposte (art.23 Cost.), e che comporta la necessità di disciplinare a livello legislativo quanto meno gli aspetti fondamentali dell'imposizione, e data l'assenza di poteri legislativi in capo agli enti sub-regionali, dovrà altresì essere definito:

- l'ambito in cui potrà esplicarsi la potestà regolamentare degli enti medesimi; - il rapporto fra legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene alla

disciplina di grado primario dei tributi locali: potendosi in astratto concepire situazioni di disciplina normativa sia a tre livelli (legislativa statale, legislativa regionale, e regolamentare locale), sia a due soli livelli (statale e locale, ovvero regionale e locale).

Da ciò consegue che si deve tuttora ritenere: • preclusa alle Regioni la potestà di legiferare sui tributi esistenti, istituiti e regolati da

leggi statali • spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel

dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti. In proposito vale ovviamente il limite discendente dal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e così di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119.

In sostanza, fino all’emanazione di una legge statale ad hoc che individui i principi fondamentali cui le Regioni devono attenersi per legiferare in materia fiscale, le stesse Regioni non possono esercitare l’autonomia

riconosciuta dall’art. 119 Cost.

Con la legge n. 42/2009ha avuto avvio il federalismo fiscale, la quale ha però interpretato in modo conservatore e centralistico il dettato costituzionale � l’autonomia delle Regioni e degli Enti locali è stata fortemente ridimensionata non solo rispetto alle aspettative radicali di coloro che vedevano nel federalismo fiscale il primo passo per la costituzione di un vero e proprio Stato federale, ma anche di molti equilibrati interpreti del dettato costituzionale. La legge n. 42/2009 contiene i principi cui dovranno attenersi il legislatore statale e regionale in attuazione degli artt. 117 e ss. Cost. Tra i più importanti principi possono annoverarsi quelli di:

• sussidiarietà �le attività amministrative vengono svolte dall'Ente territoriale più vicino ai cittadini, ma possono essere esercitate dai livelli territoriali superiori solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficiente; sotto il profilo fiscale ciò comporta un avvicinamento al cittadino dei centri decisionali di entrata e di spesa;

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• solidarietà � l’autonomia degli Enti territoriali deve essere contemperata dal principio di solidarietà in favore dei soggetti meno avvantaggiati;

• territorialità � il presupposto del prelievo fiscale deve essere collegato al territorio dell’Ente impositore;

• continenza � collegamento del presupposto con le funzioni dell’Ente impositore; • riserva di presupposto � le Regioni non possono assoggettare a tributi propri

presupposti già assoggettati ad imposte disciplinate da leggi statali; • invarianza della pressione fiscale complessiva � per evitare che il proliferare non

coordinato dei tributi erariali e locali possa portare a una pressione fiscale eccessiva.

Per quanto concerne poi la fiscalità regionale, la legge in esame distingue tra: - tributi propri regionali � istituiti con legge regionale, - tributi propri derivati � istituiti con legge statale, il cui gettito viene devoluto alle

Regioni con riferimento al prelievo riferibile al rispettivo territorio.

Per i Comuni, la copertura del fabbisogno standard per le funzioni fondamentali è assicurata: o da tributi propri (istituiti con legge regionale o statale), o da compartecipazioni al gettito di tributi regionali o statali o dall’imposizione immobiliare.

I principi di delega relativi ai tributi comunali hanno trovato attuazione nel d. lgs. n. 23/2011 che ha sostituito l’ICI con l’IMU (si tratta di un’imposta patrimoniale sugli immobili). Infine, la l. n. 42/2009 detta i principi per il finanziamento della spesa degli Enti territoriali, prevedendo il progressivo abbandono del criterio della “spesa storica” e l’adozione del criterio del costo standard e quindi del fabbisogno standard di ciascun Ente.

Si tratta di stabilire, per ogni tipologia di funzione essenziale dell’Ente territoriale, qual è il costo “normale” per produrlo: solo questo costo dovrebbe essere finanziato con risorse non strettamente proprie, in modo da aumentare l’efficienza della spesa e ridurre gli sprechi. Questa parte della delega è però finora rimasta non attuata.

4. La struttura del tributo

Nella struttura normativa di un’imposta conta come principali elementi: • Soggetto passivo � il soggetto che deve corrispondere l’imposta. • Presupposto � manifestazione di ricchezza che il legislatore intende abbassare con

quella particolare imposta. Esso è individuato dall’art.53 Cost, il quale afferma che il presupposto deve esprimere la potenzialità del soggetto a contribuire alle spese pubbliche.

Vi deve essere una relazione fra soggetto passivo e presupposto. La relazione dipende dall’imposta: chiaramente una persona non può essere assoggettata a un’imposta per una ricchezza posseduta da altro soggetto.

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• Base imponibile � espressione quantitativa del presupposto, espressione monetaria della ricchezza. Vi sono casi in cui essa è già espressa (ex: tasse sul reddito), altri in cui deve essere calcolata sulla base di una valutazione (ex: tasse sugli immobili). Su di essa si applica il tasso, ossia il valore che deve essere imposto per ottenere l’imposta. Può essere un valore fisso, un ammontare stabilito in via assoluta.

• Aliquota � alternativa al tasso. Si tratta di una percentuale applicabile alla base imponibile per calcolare l’imposta.

Questi quattro elementi sono stati enucleati dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha precisato che gli elementi devono essere individuati dalla legge e da una fonte primaria (art.23 Cost.). Essi non devono essere considerati separatamente, ma combinati fra loro.

Con riferimento al presupposto dell’imposta si può distinguere le imposte in: - Dirette: colpiscono il

o reddito (flusso di entrata di un soggetto) � IRPEF e IRES o patrimonio (ricchezza statica di un soggetto, presente nella sua economia) �

IMU - Indirette: tutte le altre imposte, che possono avere qualsiasi altra tipologia di

presupposto. Sono le principali quelle su: o consumo � IVA o trasferimento � imposta di registro, quella di successione (trasferimento

mortis causa), quelle sulle donazioni (trasferimenti a titolo gratuito), imposte doganali (colpiscono i beni all’entrata nel territorio dell’UE)

Dal punto di vista normativo non si è una differenziazione; si distinguono solo per la riscossione: per le dirette essa era data in appalto a soggetti privati, per le indirette era appannaggio dello stesso soggetto avente diritto a percepirle. In realtà attualmente è venuta meno questa differenziazione, in quanto entrambe sono riscosse da Equitalia.

Le imposte sul consumo sono delle imposte regressive e questo permette di distinguere le imposte, sulla base dell’aliquota, in:

- Proporzionale: l’aliquota è fissa e non varia al variare della base imponibile. Un esempio è dato dall’IVA, come tutte le imposte indirette che sono generalmente fisse.

- Progressive: l’aliquota aumenta all’aumentare della base imponibile. L’unico esempio, avvallato dal dettato costituzionale, è l’IRPEF, costituita sulla base della progressività a scaglioni � il legislatore individua delle fasce di reddito e per ognuna di esse stabilisce un’aliquota. Dal punto di vista economico, essa trova una sua giustificazione nell’utilità marginale decrescente: man mano che si utilizzano quantità maggiori dello stesso prodotto, se ne ricava un vantaggio minore. Questo implica che sottraendo più ricchezza proporzionalmente a chi è più ricco, gli si sottrae un’utilità marginale pari a quella che si sottrae a chi ha una ricchezza inferiore.

- Regressive: colpisce di più chi ha una ricchezza minore. È un fenomeno non desiderabile dal punto di vista economico, nessuna imposta è costruita in tal senso,

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ma non tutti gli effetti delle imposte sono espliciti. L’IVA, per esempio, è un’imposta proporzionale, ma di natura è regressiva se non ci sono correttivi: chi è meno abbiente consuma di più, in proporzione, di chi è più ricco. Di fronte a questo fenomeno, il legislatore comunitario ha previsto delle aliquote differenziate del 4% e del 10% a cui assoggettare i beni di importanza primaria, in maniera tale da tamponare la regressione.

L’importanza di tale elemento tecnico la si evidenzia dall’art.53, secondo comma, Cost., il quale afferma che il sistema tributario è fondato su base progressiva. Si tratta del sistema tributario nel suo complesso; è una norma di tipo programmatico. La costituzione si occupa di questo perché l’imposta è un modo per ridistribuire la ricchezza.

Con riferimento al soggetto passivo, invece, si distinguono le imposte a seconda che siano costituite con riferimento ai beni posseduti dal soggetto o dalle sue qualità personali in:

- Personali: vengono commisurate sulla persona. Un esempio classico è dato dalla possibilità di detrarre spese sostenute dal soggetto passivo per sé o per il nucleo familiare (ex: spese mediche).

- Reali: colpiscono la ricchezza in sé. L’ICI è un’imposta diretta, ma è reale perché colpisce il possesso dell’immobile.

- Istantanei: il presupposto è un fatto istantaneo (ex: verificarsi di un fatto, come l’ammontare del saldo di conto corrente un certo giorno è stato in passato il presupposto di un’imposta straordinaria sui depositi bancari).

- Periodici: la ricchezza viene misurata nell’unità di tempo (ex: imposte sui redditi, ove si fa riferimento all’ammontare dei guadagni di una persona nel corso dell’anno).

Vi sono poi degli istituti che, in presenza di norme che li prevedano, il tributo non è applicabile alla fattispecie considerata:

Esenzione

Riguarda una fattispecie che rientra nella definizione del presupposto effettuata da altre disposizioni più generali, ma essa non viene sottoposta a imposizione. È un’eccezione. Possono essere:

• Soggettive: connesse in relazione alla persona • Oggettive: relative alla ricchezza

Esclusione Norma che non stabilisce un’eccezione al presupposto, ma che ne precisa il presupposto e ne ribadisce il confine.

Agevolazione Trattamento tributario più favorevole di quello ordinario.

Esenzioni e agevolazioni comportano, sostanzialmente, una deroga al principio di capacità contributiva, atteso che le fattispecie agevolate, a parità di ricchezza, sono sottoposte a un trattamento più favorevole.

Fattispecie Ipotesi nelle quali è prevista l’applicazione di un’imposta o tributo speciali, in luogo di quanto previsto da una regola più generale. (ex: ne è