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R I V I S T A D I O C E S A N A A N D R I E S EAnno LIV - n. 1 Gennaio - Aprile 2011

SOMMARIO

LA PAROLA DEL PAPA

007 Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle ComunicazioniSociali.

011 Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale.

015 Messaggio a S.E. l’On. Giorgio Napolitano, Presidente della Re-pubblica in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

021 Omelia per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II.

SANTA SEDE

026 Il Cortile dei Gentili.

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

031 Comunicato finale del Consiglio Permanente(Ancona, 24-27 gennaio 2011).

037 Comunicato finale del Consiglio Permanente(Roma, 28-30 marzo 2011).

043 Testimoni della vita buona del Vangelo. Messaggio della Com-missione Episcopale per il clero e la vita consacrata per la 15ªGiornata Mondiale della vita consacrata (2 febbraio 2011).

046 “Educare alla pienezza della vita”. Messaggio del Consiglio Epi-scopale Permanente per la 33ª Giornata Nazionale per la vita (6febbraio 2011).

VITA DIOCESANA

* LA PAROLA DEL VESCOVO

048 Messaggio in occasione del X anniversario della costituzione delCentro Pastorale Maria SS. Assunta in Canosa di Puglia.

Ufficiale per gli atti della Curia VescovileOrgano di comunicazione e di promozione della vita e della pastorale della Diocesi di Andria

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050 Atto di affidamento della comunità parrocchiale B.V. Immacola-ta in Andria a Maria Ausiliatrice e a San Giovanni Bosco.

052 Presentazione agli Atti del Convegno diocesano.055 “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal. 5,13)

Itinerario per la Quaresima 2011.061 Presentazione al volume. “Il 10 marzo 1576 e le vicende del

Santuario di Andria”.062 Presentazione alla 3ª edizione del Repertorio diocesano di Canti

per la Liturgia.063 Presentazione al Rapporto Annuale 2010 della Casa di Acco-

glienza “S. Maria Goretti” e dell’Ufficio per le Migrazioni dellaDiocesi di Andria.

* ATTI DEL VESCOVO065 Lettera di nomina ai Presidenti parrocchiali di Azione Cattolica.066 Lettera agli assistenti uscenti di Azione Cattolica.067 Lettera alla Presidente uscente di Azione Cattolica.068 Decreto per l’Arciconfraternità del SS. Corpo di Cristo in Catte-

drale.070 Decreto di nomina del Presidente dell’Unitalsi diocesana.071 Decreto di nomina della Presidente diocesana di Azione Cattolica.073 Decreto di nomina dell’Assistente diocesano unitario di Azione

Cattolica.074 Decreto di nomina dell’Assistente diocesano del settore Giovani

di Azione Cattolica.075 Decreto di nomina dell’Assistente diocesano di ACR.

* ATTI DI CURIA076 Nomine.077 Benedizione Apostolica per il XXV anniversario di presbiterato

di don Giannicola Agresti.

* UFFICI DIOCESANI PASTORALI

UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO078 Il 2° Forum Catechistico diocesano.080 Settimana biblica diocesana 2011.083 La parola ai catechisti.085 XIX Convegno Nazionale dell’Apostolato Biblico.

UFFICIO PER L’ATTIVITA MISSIONARIA087 Restare nella speranza. XIX Giornata dei Missionari Martiri.

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SERVIZIO DI PASTORALE GIOVANILE090 Oratorio in cantiere.

UFFICIO PER L’ECUMENISMOE IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

092 “Onora tuo padre e tua madre”. Giornata per l’approfondimen-to e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei.

095 Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani.

UFFICIO PER LA PASTORALE SCOLASTICA097 Giornata di formazione degli Insegnanti di Religione.

UFFICIO LITURGICO099 Quale ministerialità e partecipazione dei laici nella liturgia.

CARITAS101 XX rapporto sull’immigrazione della Caritas italiana e della

Fondazione Migrantes.104 Un libro-testimonianza di Santa Porro su un “campo-lavoro”

in Egitto.106 Quaresima di carità: la casa dei “Bambini di Gesù”.109 Luoghi e Volti. Caritas e terzo settore insieme a Minervino

Murge.111 Una Caritas parrocchiale si racconta: la parrocchia Gesù,

Giuseppe e Maria a Canosa.114 Il commercio equo e solidale in Palestina.

UFFICIO DI PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO,GIUSTIZIA, PACE E SALVAGUARDIA DEL CREATO

116 Salvaguardia del creato e impegno contro le fonti di inquina-mento.

UFFICIO DI PASTORALE SANITARIA118 “Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24).

XIX Giornata Mondiale del Malato.

* ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

AZIONE CATTOLICA120 Riflessioni sul Seminario Nazionale ACR: “Tweens. La preadole-

scenza: un’età a più velocità”.122 Per amore della persona. Un percorso formativo di AC sulle

questioni bioetiche.124 Echi della XIV Assemblea Elettiva diocesana di Azione

Cattolica.

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128 Dal documento finale dell’Assemblea Elettiva di AC.130 Un pellegrinaggio dell’Azione Cattolica in Terra Santa.

MEIC134 Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno.

AGESCI136 L’AGESCI a Minervino Murge.

COMUNIONE E LIBERAZIONE138 Riflessioni sul programma pastorale diocesano.141 Centenario della chiesa dell’Immacolata di Andria.143 Il Programma pastorale parrocchiale di Maria SS.ma Addolora-

ta alle Croci di Andria.146 Il programma pastorale parrocchiale nella parrocchia SS. Trinità

di Andria.148 I laici tra fede, ricerca e preghiera a San Sabino - Canosa.150 Dieci anni nella parrocchia Maria SS. Assunta - Canosa.152 Esperienze formative a Minervino Murge.155 L’antica storia della Madonna dei Miracoli e della città di

Andria in un’opera del secolo XVII.

STUDI ed INTERVENITI

157 V. D’ALARIO, Ester e Giuditta: la Sapiente laicità delle donnedi Israele.

173 R. VIGNOLO, Un doppio testimoniale nel Vangelo di Giovanni:Giovanni Battista e il Discepolo amato.

206 A. PITTA, Dimensione laicale dei ministeri nelle comunitàPaoline.

218 S. GRASSO, La parabola degli operai mandati nella Vigna (Mt20,1-16): una salvezza per i primi e una salvezza per gli ultimi.

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7LA PAROLA DEL PAPA

Messaggio per la XLV Giornata Mondialedelle Comunicazioni Sociali

Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale5 giugno 2011

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Socia-li, desidero condividere alcune riflessioni, motivate da un fenomenocaratteristico del nostro tempo: il diffondersi della comunicazione at-traverso la rete internet. È sempre più comune la convinzione che, co-me la rivoluzione industriale produsse un profondo cambiamento nel-la società attraverso le novità introdotte nel ciclo produttivo e nellavita dei lavoratori, così oggi la profonda trasformazione in atto nelcampo delle comunicazioni guida il flusso di grandi mutamenti cultu-rali e sociali. Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il mododi comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può af-fermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Contale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo unnuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità distabilire relazioni e di costruire comunione.

Si prospettano traguardi fino a qualche tempo fa impensabili, chesuscitano stupore per le possibilità offerte dai nuovi mezzi e, al tem-po stesso, impongono in modo sempre più pressante una seria rifles-sione sul senso della comunicazione nell’era digitale. Ciò è particolar-mente evidente quando ci si confronta con le straordinarie potenzia-lità della rete internet e con la complessità delle sue applicazioni. Co-me ogni altro frutto dell’ingegno umano, le nuove tecnologie della co-municazione chiedono di essere poste al servizio del bene integraledella persona e dell’umanità intera. Se usate saggiamente, esse pos-sono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unitàche rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano.

Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre piùspesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene con-

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LA PAROLA DEL PAPA

divisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra ilproduttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e lacomunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sem-pre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad unarinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dia-logo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D’altro can-to, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digitale:la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcuneparti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta dicostruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiaci-mento.

Soprattutto i giovani stanno vivendo questo cambiamento della co-municazione, con tutte le ansie, le contraddizioni e la creatività pro-prie di coloro che si aprono con entusiasmo e curiosità alle nuoveesperienze della vita. Il coinvolgimento sempre maggiore nella pub-blica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, con-duce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sul-la percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione nonsolo della correttezza del proprio agire, ma anche dell’autenticità delproprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il se-gno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si faattenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta dimondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ri-cerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfidadell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di co-struire artificialmente il proprio “profilo” pubblico.

Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre iconfini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un interonuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità,ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscien-za rispetto ai possibili rischi. Chi è il mio “prossimo” in questo nuo-vo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incon-triamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di es-sere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e as-sorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Ab-biamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di ali-mentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? Èimportante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e nondeve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i li-velli della nostra vita.

Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità diessere persona autentica e riflessiva. Del resto, le dinamiche propriedei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in

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LA PAROLA DEL PAPA

ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stan-no già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro spe-ranze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile cristiano di pre-senza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma dicomunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro.Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo in-serire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diver-si mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo di-gitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che sianoprofondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non siparla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vipuò essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimo-nianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuoveforme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad of-frire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che èin lui (cfr 1Pt 3,15).

L’impegno per una testimonianza al Vangelo nell’era digitale ri-chiede a tutti di essere particolarmente attenti agli aspetti di questomessaggio che possono sfidare alcune delle logiche tipiche del web.Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo dicondividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quan-tità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua in-tegrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annac-quandola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di unmomento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere og-getto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chie-de una libera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale del-la rete, esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto aivolti concreti dei fratelli e delle sorelle con cui condividiamo la vitaquotidiana. Per questo rimangono sempre fondamentali le relazioniumane dirette nella trasmissione della fede!

Vorrei invitare, comunque, i cristiani ad unirsi con fiducia e conconsapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’eradigitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desi-derio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante del-la vita umana. II web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e piùcomplesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevo-lezza condivisa. Anche in questo campo siamo chiamati ad annuncia-re la nostra fede che Cristo è Dio, il Salvatore dell’uomo e della sto-ria, Colui nel quale tutte le cose raggiungono il loro compimento (cfrEf 1,10). La proclamazione del Vangelo richiede una forma rispettosae discreta di comunicazione, che stimola il cuore e muove la coscien-za; una forma che richiama lo stile di Gesù risorto quando si fece

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LA PAROLA DEL PAPA

compagno nel cammino dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), iquali furono condotti gradualmente alla comprensione del mistero me-diante il suo farsi vicino, il suo dialogare con loro, il far emergere condelicatezza ciò che c’era nel loro cuore.

La verità che è Cristo, in ultima analisi, è la risposta piena e au-tentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di sensoche emerge anche nella partecipazione massiccia ai vari socialnetwork. I credenti, testimoniando le loro più profonde convinzioni, of-frono un prezioso contributo affinché il web non diventi uno stru-mento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarleemotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare le opi-nioni altrui. Al contrario, i credenti incoraggiano tutti a mantenerevive le eterne domande dell’uomo, che testimoniano il suo desiderio ditrascendenza e la nostalgia per forme di vita autentica, degna di es-sere vissuta. È proprio questa tensione spirituale propriamente uma-na che sta dietro la nostra sete di verità e di comunione e che cispinge a comunicare con integrità e onestà.

Invito soprattutto i giovani a fare buon uso della loro presenzanell’arena digitale. Rinnovo loro il mio appuntamento alla prossimaGiornata Mondiale della Gioventù di Madrid, la cui preparazione de-ve molto ai vantaggi delle nuove tecnologie. Per gli operatori della co-municazione invoco da Dio, per intercessione del Patrono san France-sco di Sales, la capacità di svolgere sempre il loro lavoro con grandecoscienza e con scrupolosa professionalità, mentre a tutti invio la miaApostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2011, Festa di san Francesco di Sales

Benedetto XVI

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Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale

«Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21)

LA PAROLA DEL PAPA

In occasione del Giubileo del 2000, il Venerabile Giovanni PaoloII, all’inizio di un nuovo millennio dell’era cristiana, ha ribadito conforza la necessità di rinnovare l’impegno di portare a tutti l’annunciodel Vangelo «con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora» (Lett.ap. Novo millennio ineunte, 58). È il servizio più prezioso che la Chie-sa può rendere all’umanità e ad ogni singola persona alla ricerca del-le ragioni profonde per vivere in pienezza la propria esistenza. Perciòquello stesso invito risuona ogni anno nella celebrazione della Gior-nata Missionaria Mondiale. L’incessante annuncio del Vangelo, infat-ti, vivifica anche la Chiesa, il suo fervore, il suo spirito apostolico,rinnova i suoi metodi pastorali perché siano sempre più appropriatialle nuove situazioni - anche quelle che richiedono una nuova evan-gelizzazione - e animati dallo slancio missionario: «La missione rin-nova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo en-tusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuo-va evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegnonell’impegno per la missione universale» (Giovanni Paolo II, Enc. Re-demptoris missio, 2).

Andate e annunciate

Questo obiettivo viene continuamente ravvivato dalla celebrazionedella liturgia, specialmente dell’Eucaristia, che si conclude sempre rie-cheggiando il mandato di Gesù risorto agli Apostoli: “Andate…” (Mt28,19). La liturgia è sempre una chiamata ‘dal mondo’ e un nuovo in-vio ‘nel mondo’ per testimoniare ciò che si è sperimentato: la poten-za salvifica della Parola di Dio, la potenza salvifica del Mistero Pa-squale di Cristo. Tutti coloro che hanno incontrato il Signore risorto

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LA PAROLA DEL PAPA

hanno sentito il bisogno di darne l’annuncio ad altri, come fecero idue discepoli di Emmaus. Essi, dopo aver riconosciuto il Signore nel-lo spezzare il pane, «partirono senza indugio e fecero ritorno a Geru-salemme dove trovarono riuniti gli Undici» e riferirono ciò che era ac-caduto loro lungo la strada (Lc 24,33-34). Il Papa Giovanni Paolo IIesortava ad essere “vigili e pronti a riconoscere il suo volto e correredai nostri fratelli a portare il grande annunzio: “Abbiamo visto ilSignore!”» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 59).

A tutti

Destinatari dell’annuncio del Vangelo sono tutti i popoli. La Chie-sa, «per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dallamissione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il di-segno di Dio Padre» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2). Que-sta è «la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identitàpiù profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Paolo VI, Esort. ap.Evangelii nuntiandi, 14). Di conseguenza, non può mai chiudersi inse stessa. Si radica in determinati luoghi per andare oltre. La suaazione, in adesione alla parola di Cristo e sotto l’influsso della suagrazia e della sua carità, si fa pienamente e attualmente presente atutti gli uomini e a tutti i popoli per condurli alla fede in Cristo(cfr Ad gentes, 5).

Questo compito non ha perso la sua urgenza. Anzi, «la missionedi Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suocompimento … Uno sguardo d’insieme all’umanità dimostra che talemissione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte leforze al suo servizio» (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 1).Non possiamo rimanere tranquilli al pensiero che, dopo duemila an-ni, ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno an-cora ascoltato il suo Messaggio di salvezza.

Non solo; ma si allarga la schiera di coloro che, pur avendo rice-vuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato e abbandonato, nonsi riconoscono più nella Chiesa; e molti ambienti, anche in societàtradizionalmente cristiane, sono oggi refrattari ad aprirsi alla paroladella fede. È in atto un cambiamento culturale, alimentato anche dal-la globalizzazione, da movimenti di pensiero e dall’imperante relativi-smo, un cambiamento che porta ad una mentalità e ad uno stile divita che prescindono dal Messaggio evangelico, come se Dio non esi-stesse, e che esaltano la ricerca del benessere, del guadagno facile,della carriera e del successo come scopo della vita, anche a scapitodei valori morali.

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LA PAROLA DEL PAPA

Corresponsabilità di tutti

La missione universale coinvolge tutti, tutto e sempre. Il Vangelonon è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto, ma è un dono da con-dividere, una bella notizia da comunicare. E questo dono-impegno èaffidato non soltanto ad alcuni, bensì a tutti i battezzati, i quali so-no «stirpe eletta, … gente santa, popolo che Dio si è acquistato”(1Pt 2,9), perché proclami le sue opere meravigliose.

Ne sono coinvolte pure tutte le attività. L’attenzione e la coopera-zione all’opera evangelizzatrice della Chiesa nel mondo non possonoessere limitate ad alcuni momenti e occasioni particolari, e non pos-sono neppure essere considerate come una delle tante attività pasto-rali: la dimensione missionaria della Chiesa è essenziale, e pertantova tenuta sempre presente. È importante che sia i singoli battezzatie sia le comunità ecclesiali siano interessati non in modo sporadico esaltuario alla missione, ma in modo costante, come forma della vitacristiana. La stessa Giornata Missionaria non è un momento isolatonel corso dell’anno, ma è una preziosa occasione per fermarsi a ri-flettere se e come rispondiamo alla vocazione missionaria; una rispo-sta essenziale per la vita della Chiesa.

Evangelizzazione globale

L’evangelizzazione è un processo complesso e comprende vari ele-menti. Tra questi, un’attenzione peculiare da parte dell’animazionemissionaria è stata sempre data alla solidarietà. Questo è anche unodegli obiettivi della Giornata Missionaria Mondiale, che, attraverso lePontificie Opere Missionarie, sollecita l’aiuto per lo svolgimento deicompiti di evangelizzazione nei territori di missione. Si tratta di so-stenere istituzioni necessarie per stabilire e consolidare la Chiesa me-diante i catechisti, i seminari, i sacerdoti; e anche di dare il propriocontributo al miglioramento delle condizioni di vita delle persone inPaesi nei quali più gravi sono i fenomeni di povertà, malnutrizionesoprattutto infantile, malattie, carenza di servizi sanitari e per l’istru-zione. Anche questo rientra nella missione della Chiesa. Annunciandoil Vangelo, essa si prende a cuore la vita umana in senso pieno. Nonè accettabile, ribadiva il Servo di Dio Paolo VI, che nell’evangelizza-zione si trascurino i temi riguardanti la promozione umana, la giu-stizia, la liberazione da ogni forma di oppressione, ovviamente nel ri-spetto dell’autonomia della sfera politica. Disinteressarsi dei problemitemporali dell’umanità significherebbe «dimenticare la lezione che vie-ne dal Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso» (Esort.ap. Evangelii nuntiandi, 31.34); non sarebbe in sintonia con il com-portamento di Gesù, il quale “percorreva tutte le città e i villaggi, in-

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LA PAROLA DEL PAPA

segnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno eguarendo ogni malattia e infermità” (Mt 9,35).

Così, attraverso la partecipazione corresponsabile alla missionedella Chiesa, il cristiano diventa costruttore della comunione, dellapace, della solidarietà che Cristo ci ha donato, e collabora alla rea-lizzazione del piano salvifico di Dio per tutta l’umanità. Le sfide chequesta incontra, chiamano i cristiani a camminare insieme agli altri,e la missione è parte integrante di questo cammino con tutti. In es-sa noi portiamo, seppure in vasi di creta, la nostra vocazione cristia-na, il tesoro inestimabile del Vangelo, la testimonianza viva di Gesùmorto e risorto, incontrato e creduto nella Chiesa.

La Giornata Missionaria ravvivi in ciascuno il desiderio e la gioiadi “andare” incontro all’umanità portando a tutti Cristo. Nel suo no-me vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, in particolare aquanti maggiormente faticano e soffrono per il Vangelo.

Dal Vaticano, 6 gennaio 2011, Solennità dell’Epifania del Signore

Benedetto XVI

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Messaggio a S.E. l’On. Giorgio Napolitano,Presidente della Repubblica

in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia

LA PAROLA DEL PAPA

Illustrissimo SignoreOn. GIORGIO NAPOLITANOPresidente della Repubblica Italiana

Il 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre lafelice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, lacui Capitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto laSede del Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Leie all’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di par-teciparLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazio-ne che legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni.

Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX se-colo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il na-turale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tem-po prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di personeunite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima ap-partenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolatesulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesi-mo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’iden-tità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni edu-cative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configura-zioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissi-ma attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architet-tura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pier-luigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sonosolo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, han-no dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italia-na. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la

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LA PAROLA DEL PAPA

storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità,non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione delmessaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosae la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espres-sioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persi-no politico. San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche peril contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Sienaoffre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elabo-razione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto dellaChiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamentodell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea.Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranitàdi potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta eforte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazionegeo politica, la nazione italiana poté continuare a sussistere e ad es-sere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Italia, realizzatasi nella se-conda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosacostruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco poli-tico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo.La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgi-mentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pursussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale,al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un con-tributo fondamentale.

Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgi-mento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesi-mo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo ditradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdi-zionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e ta-lora di azione - dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dalpunto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vi-cenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustrerappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali diCesare Balbo, Massimo D’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pen-siero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura diAntonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino adinformare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E perquella letteratura che tanto ha contribuito a “fare gli italiani”, cioè adare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica cheil processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Ales-sandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica;o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vi-cissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor

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di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, comesan Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a com-porre manuali di storia Patria, che modellò l’appartenenza all’istitutoda lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione li-berale: “cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa”.

La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolsediverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cuianche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto do-vette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità tempora-le dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via viaacquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento for-temente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale ecollettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fe-deltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ec-clesiale dall’altro. Ma si deve riconoscere che, se fu il processo di uni-ficazione politico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato eChiesa che è passato alla storia col nome di “Questione Romana”, su-scitando di conseguenza l’aspettativa di una formale “Conciliazione”,nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profondaamicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità naziona-le degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche,costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica.In definitiva, la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, nonnel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto. An-che negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unitàdel Paese. L’astensione dalla vita politica, seguente il “non expedit”,rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione diresponsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità,cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecerocrescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza aperta-si tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italiae con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa. Sitrattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cuisolo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altraparte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internaziona-le. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, purreclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordi-ne suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della “Que-stione Romana” attraverso imposizioni dall’esterno, confidando neisentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giusti-zia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, l’11 febbraio1929, segnò la definitiva soluzione del problema. A proposito della fi-ne degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Suc-

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cessori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini,nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: “Il papatoriprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di te-stimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spi-rituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima nonmai”.

L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione del-la Costituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costitu-zionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tradiverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costi-tuenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un pre-ciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; unprogetto maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare del-la FUCI e del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sa-cro Cuore, ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice diCamaldoli del 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Ita-liani dello stesso anno, dedicata al tema “Costituzione e Costituente”.Da lì prese l’avvio un impegno molto significativo dei cattolici italia-ni nella politica, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nel-le realtà economiche, nelle espressioni della società civile, offrendo co-sì un contributo assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostra-zione di assoluta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune ecollocando l’Italia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscu-ri del terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza disangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. AldoMoro e del Prof. Vittorio Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazieanche alla larga libertà assicuratale dal Concordato lateranense del1929, ha continuato, con le proprie istituzioni ed attività, a fornire unfattivo contributo al bene comune, intervenendo in particolare a so-stegno delle persone più emarginate e sofferenti, e soprattutto prose-guendo ad alimentare il corpo sociale di quei valori morali che sonoessenziali per la vita di una società democratica, giusta, ordinata. Ilbene del Paese, integralmente inteso, è stato sempre perseguito e par-ticolarmente espresso in momenti di alto significato, come nella “gran-de preghiera per l’Italia” indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il10 gennaio 1994.

La conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranen-se, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuo-va fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fuchiaramente avvertito dal mio Predecessore, il quale, nel discorso pro-nunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ra-tifica dell’Accordo, notava che, come “strumento di concordia e colla-borazione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dal-

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la libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione del-le diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore dipromozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e disentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in unastessa Patria”. Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia perl’uomo “la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomiadell’ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è at-tenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabi-le alla costruzione di un mondo degno dell’uomo, che solo nella libertàpuò ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovan-dovi motivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al benecomune”. L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazionedi quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordina-mento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chia-mati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quel-lo della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una colla-borazione motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vati-cano Il, entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, “anche se atitolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale del-le stesse persone umane” (Cost. Gaudium et spes, 76). L’esperienzamaturata negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha vi-sto, ancora una volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario mo-do a favore di quella “promozione dell’uomo e del bene del Paese” che,nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità, costituisce prin-cipio ispiratore ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). LaChiesa è consapevole non solo del contributo che essa offre alla so-cietà civile per il bene comune, ma anche di ciò che riceve dalla so-cietà civile, come afferma il Concilio Vaticano II: “chiunque promuovela comunità umana nel campo della famiglia, della cultura, della vi-ta economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che in-ternazionale, porta anche un non piccolo aiuto, secondo la volontà diDio, alla comunità ecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fatto-ri esterni” (Cost. Gaudium et spes, 44).

Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscereche la nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stes-so il singolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la qualeè in Italia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il cen-tro della cattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto aquesta consapevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiu-to alla Sede Apostolica per la sua libertà e per assecondare la rea-lizzazione delle condizioni favorevoli all’esercizio del ministero spiri-tuale nel mondo da parte del successore di Pietro, che è Vescovo diRoma e Primate d’Italia. Passate le turbolenze causate dalla “que-

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stione romana”, giunti all’auspicata Conciliazione, anche lo Stato Ita-liano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione preziosa, dicui la Santa Sede fruisce e di cui è consapevolmente grata.

Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invocodi cuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché siasempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di per-severante impegno per la libertà, la giustizia e la pace.

Dal Vaticano, 17 marzo 2011

Benedetto XVI

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Omelia per la beatificazionedi Papa Giovanni Paolo II

Sagrato della Basilica Vaticana1° maggio 2011

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Cari fratelli e sorelle!

Sei anni or sono ci trovavamo in questa Piazza per celebrare i fu-nerali del Papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la per-dita, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia cheavvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il fruttodell’intera vita del mio amato Predecessore, e specialmente della suatestimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo aleg-giare il profumo della sua santità, e il Popolo di Dio ha manifestatoin molti modi la sua venerazione per Lui. Per questo ho voluto che,nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa dibeatificazione potesse procedere con discreta celerità. Ed ecco che ilgiorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto alSignore: Giovanni Paolo II è beato!

Desidero rivolgere il mio cordiale saluto a tutti voi che, per que-sta felice circostanza, siete convenuti così numerosi a Roma da ogniparte del mondo, Signori Cardinali, Patriarchi delle Chiese OrientaliCattoliche, Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, DelegazioniUfficiali, Ambasciatori e Autorità, persone consacrate e fedeli laici, elo estendo a quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisio-ne.

Questa Domenica è la Seconda di Pasqua, che il beato GiovanniPaolo II ha intitolato alla Divina Misericordia. Perciò è stata sceltaquesta data per l’odierna Celebrazione, perché, per un disegno prov-videnziale, il mio Predecessore rese lo spirito a Dio proprio la seradella vigilia di questa ricorrenza. Oggi, inoltre, è il primo giorno delmese di maggio, il mese di Maria; ed è anche la memoria di san Giu-seppe lavoratore. Questi elementi concorrono ad arricchire la nostra

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preghiera, aiutano noi che siamo ancora pellegrini nel tempo e nellospazio; mentre in Cielo, ben diversa è la festa tra gli Angeli e i San-ti! Eppure, uno solo è Dio, e uno è Cristo Signore, che come un pon-te congiunge la terra e il Cielo, e noi in questo momento ci sentiamopiù che mai vicini, quasi partecipi della Liturgia celeste.

“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29).Nel Vangelo di oggi Gesù pronuncia questa beatitudine: la beatitudi-ne della fede. Essa ci colpisce in modo particolare, perché siamo riu-niti proprio per celebrare una Beatificazione, e ancora di più perchéoggi è stato proclamato Beato un Papa, un Successore di Pietro, chia-mato a confermare i fratelli nella fede. Giovanni Paolo II è beato perla sua fede, forte e generosa, apostolica. E subito ricordiamo quell’al-tra beatitudine: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né car-ne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”(Mt 16,17). Che cosa ha rivelato il Padre celeste a Simone? Che Ge-sù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Per questa fede Simone di-venta “Pietro”, la roccia su cui Gesù può edificare la sua Chiesa. Labeatitudine eterna di Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ha lagioia di proclamare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: “Beatosei tu, Simone” e “Beati quelli che non hanno visto e hanno credu-to!”. La beatitudine della fede, che anche Giovanni Paolo II ha rice-vuto in dono da Dio Padre, per l’edificazione della Chiesa di Cristo.

Ma il nostro pensiero va ad un’altra beatitudine, che nel Vangeloprecede tutte le altre. È quella della Vergine Maria, la Madre del Re-dentore. A Lei, che ha appena concepito Gesù nel suo grembo, santaElisabetta dice: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciòche il Signore le ha detto” (Lc 1,45). La beatitudine della fede ha ilsuo modello in Maria, e tutti siamo lieti che la beatificazione di Gio-vanni Paolo II avvenga nel primo giorno del mese mariano, sotto losguardo materno di Colei che, con la sua fede, sostenne la fede degliApostoli, e continuamente sostiene la fede dei loro successori, special-mente di quelli che sono chiamati a sedere sulla cattedra di Pietro.Maria non compare nei racconti della risurrezione di Cristo, ma lasua presenza è come nascosta ovunque: lei è la Madre, a cui Gesù haaffidato ciascuno dei discepoli e l’intera comunità. In particolare, no-tiamo che la presenza effettiva e materna di Maria viene registratada san Giovanni e da san Luca nei contesti che precedono quelli delVangelo odierno e della prima Lettura: nel racconto della morte diGesù, dove Maria compare ai piedi della croce (cfr Gv 19,25); e all’ini-zio degli Atti degli Apostoli, che la presentano in mezzo ai discepoliriuniti in preghiera nel cenacolo (cfr At 1,14).

Anche la seconda Lettura odierna ci parla della fede, ed è propriosan Pietro che scrive, pieno di entusiasmo spirituale, indicando ai

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neo-battezzati le ragioni della loro speranza e della loro gioia. Mi pia-ce osservare che in questo passo, all’inizio della sua Prima Lettera,Pietro non si esprime in modo esortativo, ma indicativo; scrive, infat-ti: “Siete ricolmi di gioia” – e aggiunge: “Voi lo amate, pur senzaaverlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate digioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fe-de: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6.8-9). Tutto è all’indicativo, per-ché c’è una nuova realtà, generata dalla risurrezione di Cristo, unarealtà accessibile alla fede. “Questo è stato fatto dal Signore - dice ilSalmo (118,23) - una meraviglia ai nostri occhi”, gli occhi della fede.

Cari fratelli e sorelle, oggi risplende ai nostri occhi, nella piena lu-ce spirituale del Cristo risorto, la figura amata e venerata di Gio-vanni Paolo II. Oggi il suo nome si aggiunge alla schiera di Santi eBeati che egli ha proclamato durante i quasi 27 anni di pontificato,ricordando con forza la vocazione universale alla misura alta della vi-ta cristiana, alla santità, come afferma la Costituzione conciliare Lu-men gentium sulla Chiesa. Tutti i membri del Popolo di Dio – Ve-scovi, sacerdoti, diaconi, fedeli laici, religiosi, religiose – siamo in ca-mino verso la patria celeste, dove ci ha preceduto la Vergine Maria,associata in modo singolare e perfetto al mistero di Cristo e dellaChiesa. Karol Wojtyla, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Ar-civescovo di Cracovia, ha partecipato al Concilio Vaticano II e sapevabene che dedicare a Maria l’ultimo capitolo del Documento sulla Chie-sa significava porre la Madre del Redentore quale immagine e mo-dello di santità per ogni cristiano e per la Chiesa intera. Questa vi-sione teologica è quella che il beato Giovanni Paolo II ha scoperto dagiovane e ha poi conservato e approfondito per tutta la vita. Una vi-sione che si riassume nell’icona biblica di Cristo sulla croce con ac-canto Maria, sua madre. Un’icona che si trova nel Vangelo di Gio-vanni (19,25-27) ed è riassunta nello stemma episcopale e poi papaledi Karol Wojtyla: una croce d’oro, una “emme” in basso a destra, e ilmotto “Totus tuus”, che corrisponde alla celebre espressione di sanLuigi Maria Grignion de Montfort, nella quale Karol Wojtyla ha tro-vato un principio fondamentale per la sua vita: “Totus tutus ego sumet omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cortuum, Maria – Sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo. Ti prendoper ogni mio bene. Dammi il tuo cuore, o Maria” (Trattato della ve-ra devozione alla Santa Vergine, n. 266).

Nel suo Testamento il nuovo Beato scrisse: “Quando nel giorno 16ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Pri-mate della Polonia card. Stefan Wyszyƒski mi disse: «Il compito delnuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio»”. E ag-giungeva: “Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spi-

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rito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale in-sieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – misento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuo-ve generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XXsecolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento con-ciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande pa-trimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a rea-lizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permessodi servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del miopontificato”. E qual è questa “causa”? È la stessa che Giovanni Pao-lo II ha enunciato nella sua prima Messa solenne in Piazza San Pie-tro, con le memorabili parole: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spa-lancate le porte a Cristo!”. Quello che il neo-eletto Papa chiedeva atutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società,la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza diun gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che potevasembrare irreversibile.

Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostoli-co, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare fi-glio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo anon avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di par-lare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura del-la verità, perché la verità è garanzia della libertà.

Ancora più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo,perché Cristo è Redemptor hominis, Redentore dell’uomo: il tema del-la sua prima Enciclica e il filo conduttore di tutte le altre.

Karol Wojtyla salì al soglio di Pietro portando con sé la suaprofonda riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo,incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la viadella Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, cheè la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo “timoniere” ilServo di Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il Popolodi Dio a varcare la soglia del Terzo Millennio, che proprio grazie aCristo egli ha potuto chiamare “soglia della speranza”. Sì, attraversoil lungo cammino di preparazione al Grande Giubileo, egli ha dato alCristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio,trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia.Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo almarxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente riven-dicata al Cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica dellasperanza, da vivere nella storia con uno spirito di “avvento”, inun’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezzadell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace.

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Vorrei infine rendere grazie a Dio anche per la personale espe-rienza che mi ha concesso, di collaborare a lungo con il beato PapaGiovanni Paolo II. Già prima avevo avuto modo di conoscerlo e di sti-marlo, ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come Prefetto dellaCongregazione per la Dottrina della Fede, per 23 anni ho potuto star-gli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è sta-to sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sueintuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edi-ficato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle mol-teplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nel-la sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egliè rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La suaprofonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha per-messo di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un mes-saggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisichegli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario lavocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quelGesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa.

Beato te, amato Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Con-tinua – ti preghiamo – a sostenere dal Cielo la fede del Popolo diDio. Tante volte ci hai benedetto in questa Piazza dal Palazzo! Oggi,ti preghiamo: Santo Padre ci benedica! Amen.

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Il Cortile dei Gentili

“Mi manca la fede e, quindi, non potrò mai essere un uomo feli-ce, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vi-ta sia solo un vagare insensato verso una morte certa (...) Non hoereditato il ben celato furore dello scettico, il gusto del deserto caroal razionalista o l’ardente innocenza dell’ateo. Non oso, allora, getta-re pietre sulla donna che crede in cose di cui dubito”. Aveva soltan-to 31 anni ed era già al culmine del successo; eppure il 4 novembre1954 si era tolto la vita, e forse la chiave di questa resa fallimenta-re era da cercare proprio nelle righe che abbiamo citato dalla suaopera Il nostro bisogno di consolazione. Stiamo parlando di uno scrit-tore svedese di “culto”, Stig Dagerman, che illumina in modo esplici-to il senso di un dialogo tra atei e credenti.

Interrogarsi sul significato ultimo dell’esistere non coinvolge, cer-to, lo scettico sardonico e sarcastico che ambisce solo a ridicolizzareasserti religiosi. Tra l’altro, uno che di ateismo s’intendeva come il fi-losofo Nietzsche non esitava a scrivere nel “Crepuscolo degli dei”(1888) che “solo se un uomo ha una fede robusta, può indulgere allusso dello scetticismo”. Neppure il razionalista, avvolto nel mantoglorioso della sua autosufficienza conoscitiva, vuole correre il rischiodi inoltrarsi sui sentieri d’altura della sapienza mistica, secondo unagrammatica nuova che partecipa del linguaggio dell’amore, che è bendiverso dalla spada di ghiaccio della pur importante ragione pura. Néè interessato a questo dialogo l’ateo confessante che, sulla scia dellozelo ardente del marchese de Sade della “Nouvelle Justine” (1797),presenta il suo petto solo al duello: “Quando l’ateismo vorrà dei mar-tiri, lo dica: il mio sangue è pronto!”.

L’incontro tra credenti e non credenti avviene quando si lascianoalle spalle apologetiche feroci e dissacrazioni devastanti e si toglie via

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la coltre grigia della superficialità e dell’indifferenza, che seppelliscel’anelito profondo alla ricerca, e si rivelano, invece, le ragioni profon-de della speranza del credente e dell’attesa dell’agnostico. Ecco perchési è voluto pensare a un “Cortile dei Gentili” che si inaugurerà a Bo-logna, nella sua antica università e a Parigi alla Sorbona, all’Unescoe all’Académie Française. Lasciamo da parte la denominazione stori-ca che ha solo una funzione simbolica, evocando l’atrio che nel tem-pio di Gerusalemme era riservato ai “gentili”, i non ebrei in visita al-la città santa e al suo santuario. Fermiamoci, invece, sul suo aspettotematico, così come lo fa balenare Dagerman. Uno degli intellettualiebrei più aperti del primo secolo, Filone di Alessandria d’Egitto, ar-tefice di un dialogo tra ebraismo ed ellenismo - quindi secondo i ca-noni di allora, tra fedeli jahvisti e pagani idolatrici - definiva il sa-piente con l’aggettivo methòrios, ossia colui che sta sulla frontiera.Egli ha i piedi piantati nella sua regione, ma il suo sguardo si pro-tende oltre il confine e il suo orecchio ascolta le ragioni dell’altro. Perattuare questo incontro ci si deve armare non di spade dialettiche, co-me nel duello tra il gesuita e il giansenista del film “La Via Lattea”(1968) di Buñuel, ma di coerenza e rispetto: coerenza con la propriavisione dell’essere e dell’esistere, senza slabbramenti sincretistici osconfinamenti fondamentalistici o approssimazioni propagandistiche;rispetto per la visione altrui alla quale si riservano attenzione e ve-rifica. Si è, invece, incapaci di ritrovarsi su quel confine tra i due cor-tili simbolici del tempio di Sion, l’atrio dei gentili e quello degli israe-liti, quando ci si arrocca solo in difesa dei propri idoli. Nell’“Adole-scente” (1875) Dostoevskij, sia pure con la passione del credente, liidentificava con chiarezza. Da un lato, infatti, affermava che “l’uomonon può esistere senza inchinarsi (...) Si inchinerà, allora, a un idolodi legno o d’oro, o del pensiero... o di dèi senza Dio”. D’altro lato,però, riconosceva che vi sono “alcuni che sono davvero senza Dio, so-lamente fanno più paura degli altri, perché vengono col nome di Diosulle labbra”. Ecco la tipologia comune a coloro che non si fermeran-no a dialogare su quella frontiera: chi è convinto di aver già in sétutte le risposte e di doverle solo imporre.

Questo, però, non significa che ci si presenta soltanto come men-dicanti, privi di qualsiasi verità o concezione della vita. Ponendomiper congruenza sul territorio del credere a cui appartengo, vorrei so-lo evocare la ricchezza che questa regione rivela nei suoi vari pano-rami ideali. Pensiamo al raffinato statuto epistemologico della teolo-gia come disciplina dotata di una sua coerenza, alla visione antropo-logica cristiana elaborata nei secoli, all’investigazione sui temi ultimidella vita, della morte e dell’oltrevita, della trascendenza e della sto-ria, della morale e della verità, del male e del dolore, della persona,

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dell’amore e della libertà; pensiamo anche al contributo decisivo of-ferto dalla fede alle arti, alla cultura e allo stesso ethos dell’Occiden-te. Questo enorme bagaglio di sapere e di storia, di fede e di vita, disperanza e di esperienza, di bellezza e di cultura è posto sul tavolodi fronte al “gentile” che potrà, a sua volta, imbandire la mensa del-la sua ricerca e dei suoi risultati per un confronto.

Da un simile incontro non si esce mai indenni, ma reciproca-mente arricchiti e stimolati. Sarà un po’ paradossale, ma potrebbeessere vero quello che Gesualdo Bufalino scriveva nel suo “Malpen-sante” (1987): “Solo negli atei sopravvive oggigiorno la passione peril divino”. Una lezione, quindi, e un monito per lo stesso fedele abi-tudinario, affidato a formule dogmatiche, senza lo scavo del com-prendere intelligente e vitale. Sull’altro versante si potrebbe imma-ginare l’epigrafe di una delle tombe dell’“Antologia di Spoon River”(1915): “Io che qui giaccio ero l’ateo del villaggio, loquace, litigioso,versato negli argomenti dei miscredenti. Ma in una lunga malattialessi le Upanishad e il Vangelo di Gesù. Ed essi accesero una fiac-cola di speranza e di intuizione e di desiderio che l’Ombra, guidan-domi tra le caverne del buio, non poté estinguere. Ascoltatemi, voiche vivete nei sensi e pensate solo attraverso i sensi: l’immortalitànon è un dono ma un compimento. E solo coloro che si sforzano mol-to potranno ottenerla”.

Si deve, allora, affermare - sempre in questa linea e sulla scia del-la metafora della frontiera - che il confine, quando si dialoga, non èuna cortina di ferro invalicabile. Non solo perché esiste una realtàche è quella della “conversione” e qui assumiamo il termine nel suosignificato etimologico generale e non nell’accezione religiosa tradizio-nale. Ma anche per un altro motivo. Credenti e non credenti si tro-vano spesso sull’altro terreno rispetto a quello proprio di partenza: cisono, infatti, come si suol dire, credenti che credono di credere, main realtà sono increduli e, viceversa, non credenti che credono di noncredere, ma il loro è un percorso che si svolge in quel momento sot-to il cielo di Dio. A questo proposito vorremmo solo suggerire un paiodi esempi paralleli, anche se distribuiti sui due campi. Partiamo dalcredente e dalla componente di oscurità che la fede comporta, soprat-tutto quando si allarga il sudario del silenzio di Dio. Facile è pensa-re ad Abramo e ai tre giorni di marcia sull’erta del monte Moria,stringendo la mano del figlio Isacco e custodendo nel cuore lo scon-certante imperativo divino del sacrificio (Genesi, 22); oppure possiamoricorrere alla lacerante e fluviale interrogazione di Giobbe; o ancoraal grido dello stesso Cristo in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi haiabbandonato?”. O tanto per scegliere un emblema moderno, tra i tan-ti possibili, alla “notte oscura” di un mistico altissimo come san Gio-

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vanni della Croce e, per venire a noi, al dramma del pastore Erics-son in crisi di fede, nel film “Luci d’inverno” (1962) di Ingmar Berg-man. Scriveva giustamente un teologo francese, Claude Geffré: “Su unpiano oggettivo è evidentemente impossibile parlare di una non cre-denza nella fede. Ma sul piano esistenziale si può arrivare a discer-nere una simultaneità di fede e di non credenza. Ciò non fa che sot-tolineare la natura stessa della fede come dono gratuito di Dio e co-me esperienza comunitaria: il vero soggetto della fede è una comunitàe non un individuo isolato”.

Spostiamoci ora sull’altro versante, quello dell’ateo e delle sueoscillazioni. Il suo stesso anelito, testimoniato per esempio dal citatoDagerman, è già un percorso che s’inoltra nel mistero, a tal punto daconfigurarsi in preghiera, come è testimoniato da questa invocazionedi Aleksandr Zinov’ev, l’autore di “Cime abissali” (1976): “Ti supplico,mio Dio, cerca di esistere, almeno un poco, apri i tuoi occhi, ti sup-plico! Non avrai da fare altro che questo, seguire ciò che succede: èben poco! Ma, o Signore, sforzati di vedere, te ne prego! Vivere sen-za testimoni, quale inferno! Per questo, forzando la mia voce io gri-do, io urlo: Padre mio, ti supplico e piango: Esisti!”. È la stessa sup-plica di uno dei nostri poeti contemporanei più originali, Giorgio Ca-proni (1912-1990): “Dio di volontà, Dio onnipotente, cerca, / (Sforza-ti!), a furia di insistere, / - almeno - di esistere”. È significativo cheil concilio Vaticano II abbia riconosciuto che, obbedendo alle ingiun-zioni della sua coscienza, anche il non credente può partecipare dellarisurrezione in Cristo che “vale non solamente per i cristiani, ma an-che per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore invisibilmen-te lavora la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti (...) Perciòdobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità divenire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale”(Gaudium et spes, 22).

In ultima analisi l’ostacolo che si leva per questo dialogo-incontroè forse uno solo, quello della superficialità che stinge la fede in unavaga spiritualità e riduce l’ateismo a una negazione banale o sarca-stica. Per molti, ai nostri giorni, il “Padre nostro” si trasforma nellacaricatura che ne ha fatto Jacques Prévert: “Padre nostro che sei neicieli, restaci!”. O ancora nella ripresa beffarda che il poeta franceseha escogitato della Genesi: “Dio, sorprendendo Adamo ed Eva, / dis-se: Continuate, ve ne prego, / non disturbatevi di me, / fate come seio non esistessi!”. Far come se Dio non esistesse, etsi Deus non dare-tur, è un po’ il motto della società del nostro tempo: chiuso come egliè nel cielo dorato della sua trascendenza, Dio - o la sua idea - nondeve disturbare le nostre coscienze, non deve interferire nei nostriaffari, non deve rovinare piaceri e successi.

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È questo il grande rischio che mette in difficoltà una ricerca reci-proca, lasciando il credente avvolto in una lieve aura di religiosità, didevozione, di ritualismo tradizionale, e il non credente immerso nelrealismo pesante delle cose, dell’immediato, dell’interesse. Come an-nunciava già il profeta Isaia, ci si ritrova in uno stato di atonia:“Guardai, ma non c’era nessuno; tra costoro nessuno era capace diconsigliare, nessuno c’era da interrogare per avere una risposta” (41,28). Il dialogo è proprio per far crescere lo stelo delle domande, maanche per far sbocciare la corolla delle risposte. Almeno di alcune ri-sposte autentiche e profonde.

Card. Gianfranco RavasiPresidente del Pontificio Consiglio della Cultura

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Comunicato finale del Consiglio Permanente

(Ancona, 24-27 gennaio 2011)

Per bocca del Consiglio Episcopale Permanente – riunito ad Anco-na dal 24 al 27 gennaio 2011, sotto la presidenza del Card. AngeloBagnasco, Arcivescovo di Genova – la Chiesa che vive in Italia haparlato al Paese con riconosciuta autorevolezza e credibilità. Ha sa-puto farlo dimostrando unità di giudizio, anche nella disamina delledelicate problematiche che ne stanno segnando la vita politica e so-ciale.

I Vescovi sono intervenuti in quanto pastori, animati da una chia-rezza morale lontana da ogni faziosità, capaci di una parola di fidu-cia e d’incoraggiamento, sostenuti dal desiderio dei credenti e di tuttii cittadini di superare le difficoltà del momento presente. I giovanihanno rappresentato la lente, attraverso la quale leggere la realtà: diqui l’attenzione alle loro attese, prima fra tutte quella dell’accesso almondo del lavoro. I Vescovi, consapevoli del fatto che il vincolo reli-gioso è stato la radice da cui è scaturita la prima coscienza dell’iden-tità nazionale, hanno riaffermato con convinzione l’impegno educativodella Chiesa, orizzonte che abbraccia i suoi diversi ambiti di azionenel Paese.

In tale prospettiva, alla luce degli Orientamenti pastorali per il de-cennio, hanno individuato il tema principale della prossima Assem-blea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, che si terrà a Ro-ma dal 23 al 27 maggio 2011: “Introdurre e accompagnare all’incon-tro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educa-zione alla fede”, e hanno tratteggiato le linee di approfondimento del-la tematica educativa nel corso del decennio.

È stato presentata e discussa la bozza del documento conclusivodella 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, celebrata a ReggioCalabria dal 14 al 17 ottobre scorso. Il testo sarà pubblicato nelle

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prossime settimane a firma del Comitato scientifico e organizzatoredelle Settimane Sociali. Nel medesimo contesto, i Vescovi si sono con-frontati sulle scuole e le esperienze di formazione socio-politica di ispi-razione cattolica e sulle prospettive di un loro sviluppo.

Ampio spazio è stato dedicato al confronto sulla formazione uma-na, spirituale e teologica offerta nei circa cento seminari maggiori esi-stenti in Italia: è stata una preziosa occasione di condivisione su untema cruciale per la vita e il futuro delle comunità ecclesiali.

Il Consiglio Permanente ha approvato i nuovi parametri per l’edi-lizia di culto per il 2011 e il Messaggio d’invito al XXV Congresso Eu-caristico Nazionale, che si terrà proprio ad Ancona dal 3 all’11 set-tembre prossimi, per accompagnare il cammino di preparazione dellediocesi italiane a tale importante appuntamento.

1. Una prolusione condivisa

Una forte unità di giudizio da parte dei membri del Consiglio Per-manente è emersa nell’articolato dibattito seguito alla prolusione delCardinale Presidente. Si è registrata in tutti gli interventi unaprofonda condivisione del tono e ancor prima dei contenuti del suo in-tervento.

I Vescovi hanno apprezzato la pacatezza, la profondità e l’equili-brio di una lettura della realtà né reticente né aggressiva, e nel con-tempo capace di dar conto del disagio morale che serpeggia nel no-stro Paese. In particolare – è stato rilevato – la posizione espressadal Cardinale Presidente ha saputo tener conto della complessità deifattori in gioco, senza prestarsi a interpretazioni di parte e ricondu-cendo la questione a un livello culturale ed etico che chiama in cau-sa la responsabilità di tutti, in particolare di quanti hanno maggioriresponsabilità in vista del bene comune.

I Vescovi hanno anche condiviso l’apertura al futuro che ha con-notato l’intervento del Cardinale Presidente, soprattutto laddove egliha rilanciato come un’opportunità la sfida educativa, rappresentata inprimo luogo dal mondo giovanile. Proprio questa dimensione – è sta-to ribadito – necessita di venir assecondata e orientata dalla societàintera, che dovrà essere sempre più “comunità educante”, e dalla co-munità cristiana nel suo sforzo evangelizzatore, per superare quel ci-nismo e quel disincanto che sempre più si fanno strada nelle pieghedel sentire comune.

2. Il decennio sull’educazione: obiettivi e priorità

In vista della programmazione del decennio alla luce degli Orien-tamenti pastorali dell’episcopato italiano, Educare alla vita buona del

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Vangelo, i Vescovi hanno fatto tesoro delle indicazioni emerse daigruppi di studio dell’Assemblea Generale tenuta ad Assisi nel no-vembre scorso, circa gli obiettivi e le priorità su cui investire. Il con-fronto ha permesso di rivisitare i momenti salienti dell’azione educa-tiva delle comunità ecclesiali, in vista di un nuovo slancio della loromissione evangelizzatrice. Si tratta, è stato sottolineato, di adattarel’ideale al reale, senza rinunciare a far tendere quest’ultimo all’idea-le. Concentrandosi sulle attività direttamente indirizzate all’educazio-ne della persona, i Vescovi hanno portato l’attenzione sull’iniziazionecristiana, la catechesi, la pastorale giovanile, l’insegnamento della re-ligione cattolica, la formazione iniziale e permanente dei presbiteri edegli operatori pastorali, la preparazione al matrimonio, la formazio-ne permanente degli adulti e quella all’impegno sociale e politico.

È emersa la consapevolezza che l’iniziazione cristiana dei bambinie dei ragazzi costituisce una chiave di accesso a una realtà pastoralepiù ampia, che abbraccia in primo luogo i genitori e le famiglie.

Alla luce di queste considerazioni, è stato definito il tema princi-pale della prossima Assemblea Generale, che si svolgerà a Roma dal23 al 27 maggio: “Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristonella comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educazione alla fede”.

Guardando al decennio nel suo insieme, si è deciso di dedicarnela prima metà l’approfondimento tematico intorno al tema “Comunitàcristiana ed educazione alla fede”, mentre la seconda parte sarà de-dicata al tema “Comunità cristiana e città”. A fare da spartiacquequasi tra le due fasi, si porrà il Convegno ecclesiale nazionale dimetà decennio. Sin da ora si è deciso di demandare alla Presidenzala costituzione di un gruppo di lavoro con il compito di avviare la ri-flessione sul Convegno nazionale.

3. Sale e luce:il documento conclusivo della 46a Settimana Sociale

Nelle prossime settimane sarà pubblicato, a cura del Comitatoscientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italia-ni, il documento conclusivo della 46a Settimana Sociale, celebrata aReggio Calabria dal 14 al 17 ottobre scorso.

La bozza del documento è stata esaminata dal Consiglio Perma-nente, che ne ha autorizzato la pubblicazione. Tra i motivi di spe-ranza evidenziati in esso, vi è anzitutto l’esperienza di quanti hannocondiviso la volontà e l’impegno di adoperarsi per il conseguimentodel bene comune, ponendo l’amore cristiano a fondamento del loro es-sere e del loro agire. Sono persone attente a promuovere una culturadell’uomo, della vita e della famiglia, quale fonte di autentico svilup-po. Per loro la fede cristiana è chiave di lettura della storia e via di

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conoscenza sapienziale e costruttiva.Il documento riconduce la questione sociale alla questione antro-

pologica nella sua integralità e la declina riprendendo le sessioni te-matiche della Settimana Sociale: intraprendere (ambito nel quale lacrisi economica è stata analizzata e ricondotta alle sue cause piùprofonde); educare (dove si ribadisce la centralità del ruolo dell’adul-to e l’importanza di strumenti con cui sostenere famiglia e scuola edove non manca una lettura della realtà giovanile, colta quale risor-sa che chiede di trovare uno sbocco); includere (con attenzione al fe-nomeno migratorio, ai percorsi di cittadinanza e alle condizioni dei ri-fugiati); slegare (valorizzando le opportunità che ciascuno può offrire,come anche le opportunità del mercato, all’interno di un nuovo pattosociale); completare la transizione istituzionale (evitando di escluderei giovani, i poveri e i non qualificati, come pure di snaturare l’im-pianto della Costituzione).

I Vescovi, in particolare, hanno sottolineato l’importanza di pro-muovere il volontariato in tutte le sue forme; la necessità di declina-re il tema del federalismo alla luce dei principi di sussidiarietà e disolidarietà; l’importanza di additare figure emblematiche nell’impegnoimpegno sociale, quali Giuseppe Toniolo e don Pino Puglisi.

In questa prospettiva, i Vescovi hanno condotto anche un’articola-ta riflessione sulle scuole e le esperienze di formazione all’impegno so-ciale e politico presenti sul territorio. Le motivazioni che le hanno ori-ginate e la loro ampia diffusione negli anni Ottanta hanno contribui-to a far conoscere e apprezzare la dottrina sociale della Chiesa e asensibilizzare alla partecipazione democratica alla vita del Paese. Nelcontesto della prospettiva educativa e in sintonia con il costante ri-chiamo del Santo Padre Benedetto XVI all’impegno dei cattolici a es-sere ovunque luce e sale, è stata riaffermata l’importanza dell’azionedi formazione delle coscienze, attraverso il veicolo di una cultura po-litica che, nel mutare dei tempi, aspiri alla ricerca del bene comune.Si intendono, perciò, sostenere le diocesi che hanno avviato tali luo-ghi formativi e incoraggiare chi è disponibile a suscitarne di nuovi.

4. La formazione dei futuri presbiteri

Il Consiglio Episcopale Permanente si è ampiamente soffermatosulla situazione dei circa cento seminari maggiori presenti in Italia edestinati alla formazione dei futuri presbiteri. Si tratta di soggettispesso diversi fra loro per età, percorsi di studio, provenienze ed espe-rienze pregresse. Come è naturale, essi condividono le risorse e le fra-gilità che caratterizzano i loro coetanei. Curarne la formazione signi-fica anzitutto evitare un approccio meramente funzionale al ministe-ro, riconducendo la figura del sacerdote alla sua radice sacramentale

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e combinando opportunamente la crescita umana, spirituale e intel-lettuale dei candidati. Affinché l’essere prete non si riduca a un at-teggiamento esteriore, ma sia una forma mentis in grado di caratte-rizzare tutta l’esistenza, i Vescovi avvertono la necessità di un cam-mino di fede adeguato al profilo sacerdotale, unito a un’affettività ma-tura e equilibrata. Sono queste le condizioni irrinunciabili per viverecon serenità l’appartenenza alla communio presbiterale, per un’obbe-dienza non formale alla Chiesa nella persona del proprio Vescovo, perimpostare relazioni adulte con i laici e per non soccombere di frontealle inevitabili difficoltà dell’esperienza pastorale. La responsabilitàprimaria di assicurare la qualità dei preti di domani richiede a ognidiocesi l’investimento di adeguate risorse nella formazione dei forma-tori dei seminari, perché siano all’altezza del compito che la Chiesaaffida loro.

5. Nuovi parametri per l’edilizia di culto

Come ogni anno, il Consiglio Permanente ha approvato le tabelleparametriche dei costi per la costruzione di nuovi edifici di culto. Ri-spetto al 2010, esse sono state aggiornate applicando alle singole vo-ci di costo unitario l’incremento del 2%, secondo la variazione dell’in-dice ISTAT.

6. Il Messaggio d’invito al Congresso Eucaristico Nazionale

L’ormai imminente celebrazione del Congresso Eucaristico Nazio-nale, che si terrà ad Ancona e nelle diocesi limitrofe dal 3 all’11 set-tembre e che culminerà con l’incontro con il Santo Padre, è la ragio-ne che ha giustificato il fatto che, in via eccezionale, il Consiglio Per-manente si sia riunito in quella città. Grati della calorosa accoglien-za a loro riservata dall’Arcivescovo di Ancona – Osimo e dalle auto-rità locali, i Vescovi hanno approvato il Messaggio d’invito al Con-gresso Eucaristico Nazionale, rivolto a tutte le diocesi per sostenerlee accompagnarle nel cammino di preparazione di questo importanteevento di fede e di preghiera, che intende ribadire il ruolo dell’Euca-ristia quale faro di luce per la vita quotidiana. Il testo del Messaggiosarà diffuso a breve.

7. Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha provveduto allaseguenti nomine:– Presidente del Comitato per l’edilizia di culto: S.E. Mons. Filippo

IANNONE, Vescovo di Sora – Aquino – Pontecorvo.

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– Coordinatore nazionale della pastorale per gli immigrati ucraini:don Yaroslav SEMEHEN (Ternopil-Zboriv degli Ucraini).

– Coordinatore nazionale della pastorale degli immigrati africanifrancofoni: don Denis KIBANGU MALONDA (Tivoli).

– Consulente ecclesiastico nazionale della Federazione Italiana Unio-ni Diocesane Addetti al culto/Sacristi: mons. Alessandro GANDINI(Milano).

– Consigliere spirituale nazionale dell’Associazione Rinnovamentonello Spirito Santo: don Guido PIETROGRANDE, SDB.

La Presidenza della CEI, riunitasi il 24 gennaio 2011, ha proce-duto a rinnovare la Commissione Mista Vescovi – Religiosi – Istitutisecolari, che risulta ora così composta: S.E. Mons. Francesco LAM-BIASI, Vescovo di Rimini, Presidente della Commissione Episcopaleper il clero e la vita consacrata, Presidente; S.E. Mons. DomenicoCANCIAN, Vescovo di Città di Castello; S.E. Mons. Oscar CANTONI,Vescovo di Crema; S.E. Mons. Gianfranco Agostino GARDIN, Arcive-scovo – Vescovo 5 di Treviso; don Alberto LORENZELLI, SDB; padrePier Luigi NAVA, SMM; padre Fidenzio VOLPI, OFMCap; suor Vi-viana BALLARIN, OP; suor Regina CESARATO, PDDM; suor AmaliaCOLUCCIA SFAlc; prof.ssa Piera GRIGNOLO.

La Presidenza ha inoltre nominato:– membri del Comitato per l’edilizia di culto: don Vincenzo BAR-

BANTE (Milano), per l’area Nord; dott. Stefano MORI, per l’areaCentro; mons. Giovanni ACCOLLA (Siracusa), per l’area Sud; ing.Andrea ZAPPACOSTA, Segretario; mons. Giuseppe RUSSO, Re-sponsabile del Servizio Nazionale per l’edilizia di culto; don Fran-co MAGNANI, Direttore dell’Ufficio Liturgico Nazionale.

– Membro del Comitato per la valutazione dei progetti di interven-to a favore dei beni culturali ecclesiastici: don Francesco VALEN-TINI (Orvieto – Todi).

– Membri della Commissione Nazionale Valutazione Film: mons. Da-rio Edoardo VIGANÒ, Presidente; dott. Massimo GIRALDI, Segre-tario; prof.ssa Giuliana ARCIDIACONO; suor Teresa BRACCIO,FSP; dott.ssa Elisa COPPONI; dott. Mario DAL BELLO; prof. Ni-cola DI MARCOBERARDINO; dott. Francesco GIRALDO; dott.Vittorio GIUSTI; prof.ssa Daniella IANNOTTA; prof.ssa MarinaMATALONI; sig.ra Graziella MILANO; dott. Raffaele NAPOLI;dott. Lorenzo NATTA; dott. Beowulf PAESLERLUSCHKOWKO;mons. Domenico POMPILI; dott. Renato TARANTELLI; dott.Giancarlo TARÉ.

Roma, 28 gennaio 2011

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Comunicato finale del Consiglio Permanente

(Roma, 28-30 marzo 2011)

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Sono essenzialmente tre i punti chiave che hanno animato il Con-siglio Episcopale Permanente della CEI, riunito a Roma dal 28 al 30marzo 2011. Anzitutto, i problemi legati all’intervento militare in Li-bia, all’emergenza dei profughi e dei rifugiati, al dovere della primaaccoglienza. In secondo luogo, la preoccupazione per il dilagare di unparadigma antropologico che rende labile l’identità personale e il sen-so di una storia condivisa, illudendo di costruire un modello di uomoche pretende di bastare a se stesso. Infine, l’orizzonte pastorale di unaChiesa che vive l’evangelizzazione come il terreno della sua presenzanel mondo, non stancandosi di educare con animo missionario e di se-minare la Parola nelle molteplici occasioni della vita ordinaria, consperanza e pazienza rispetto ai tempi di Dio.

Alla luce di questi temi si è articolato un confronto sereno e paca-to, che ha valorizzato e approfondito i molteplici spunti offerti dallaprolusione del Cardinale Presidente, Angelo Bagnasco, Arcivescovo diGenova. Consapevoli del loro compito di guide della comunità eccle-siale, i Vescovi membri del Consiglio Permanente non hanno rinun-ciato a pronunciare una parola umile e ferma sul momento presente,ben sapendo quanto le questioni in gioco siano complesse, complicatee confuse, con l’intenzione esplicita di attivare pensieri e accenderesperanze più forti delle preoccupazioni che pure assalgono quanti han-no a cuore il bene delle persone e la serenità della convivenza socia-le.

Nelle tre giornate di lavoro, il Consiglio Permanente ha approvatol’ordine del giorno della prossima Assemblea Generale, che si terrà aRoma dal 23 al 27 maggio 2011. Entrando nel vivo del decennio de-dicato all’educazione, essa fisserà l’attenzione sui soggetti e sui meto-di con cui la missione ecclesiale conduce all’incontro con Cristo, sor-

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gente, itinerario e traguardo di ogni prassi pastorale. Durante l’As-semblea Generale sarà anche esaminata la seconda parte dei materia-li della terza edizione italiana del Messale Romano. È stata annun-ciata la preghiera mariana che, in quella occasione, riaffiderà il Pae-se alla Vergine Madre, nell’anno in cui esso fa memoria del centocin-quantesimo anniversario dell’unità.

È stata analizzata e approvata la proposta di ripartizione dellesomme che nell’anno corrente perverranno alla Chiesa cattolica dall’ot-to per mille, come pure la misura del contributo per il funzionamen-to dei Tribunali ecclesiastici regionali. In questo stesso ambito, si èapprovato un nuovo modello di inquadramento professionale per i giu-dici, i difensori del vincolo e i patroni stabili laici a tempo pieno. Am-pio spazio è stato dedicato all’esame dei piani di lavoro delle Com-missioni Episcopali, cosìì da orientarne la programmazione del pros-simo quinquennio.

1. Per una «via africana» verso il futuro

I moti popolari che nelle ultime settimane hanno infiammato –con esiti diversi e tuttora incerti – non soltanto i Paesi del Nordafri-ca, ma anche quelli della Penisola arabica, rivelano la comune aspi-razione umana alle libertà fondamentali e all’affermazione della di-gnità personale, non scevra però da violenze e da sofferenze.

L’attenzione dei Vescovi – a partire dalla prolusione del Cardina-le Presidente – si è soffermata in particolare sul caso libico: la vici-nanza espressa al Vicario apostolico di Tripoli trova corrispondenzanell’impegno solidale, promosso e sostenuto fin dalle prime ore dellacrisi da Caritas Italiana. A fronte dell’intervento internazionale, ilConsiglio Permanente ha fatto proprio l’auspicio del Card. Bagnascoaffinchéé “si fermino le armi”, nella convinzione di quanto “la stradadella diplomazia sia giusta e possibile”, oltre che “premessa e condi-zione per individuare una «via africana» verso il futuro”.

L’ampio confronto, caratterizzato dalla cura di evitare interpreta-zioni catastrofiche, ha dato voce alla necessità che l’Europa – la stes-sa che “è, non da oggi, in debito verso l’Africa” – sappia evitare l’il-lusione di poter vivere sicura chiudendo le porte al grido dei popoliin difficoltà: soltanto autentiche politiche di cooperazione potranno as-sicurare a tutti sviluppo e pace duratura.

Nel frattempo, davanti al dramma degli sfollati, dei profughi e deirichiedenti asilo, i Vescovi riaffermano l’impegno della Chiesa a edu-care a una cultura dell’accoglienza, oltre che a praticarla in tutte leforme possibili, intensificando quanto Caritas Italiana e le Caritasdiocesane stanno già facendo in tutto il Paese.

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I membri del Consiglio Permanente chiedono con forza che l’Euro-pa sia presente in modo concreto, immediato e congruo. E alla politi-ca italiana di promuovere, per l’emergenza, modalità di lavoro piùflessibili, che consentano un’accoglienza che vada al di là della primarisposta. Avendo presente il recente Documento conclusivo della 46ªSettimana Sociale dei Cattolici Italiani, essi invitano anche a coglie-re le opportunità presenti in questo momento storico, che impongonola rivisitazione della disciplina sulla cittadinanza e delle norme sul ri-congiungimento familiare.

2. Alle radici della disgregazione sociale

Notevole preoccupazione suscita il dilagare di un paradigma an-tropologico che sostituisce la persona con l’individuo, stravolge il rap-porto tra verità e libertà, equipara la convivenza al matrimonio e ri-duce lo Stato da ordinamento per il bene comune a strumento chia-mato a registrare il mero esercizio dei diritti individuali.

Nella prolusione, il Cardinale Presidente ha sottolineato come“l’individualismo odierno ?- una volta entrato in commistione con laspinta narcisistica ?- non può non contorcersi in una versione anti-sociale”. I Vescovi del Consiglio Permanente hanno riconosciuto gli in-dicatori di questa evoluzione perversa anzitutto nella sterilità chespesso accompagna l’esperienza affettiva e si esprime in legami effi-meri, come pure nella rarefazione demografica, di cui è complice unapolitica incapace di legiferare in maniera davvero efficace a tutela epromozione della famiglia.

L’indebolimento di un paradigma antropologico “alto” si rivelaanche nelle molteplici forme in cui la vita è calpestata: dalla prati-ca abortiva alla fatica di darsi regole che siano di “garanzia per per-sone fatalmente indifese e la cui presa in carico potrebbe un doma-ni risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste”: emble-matico, in proposito, è il caso delle cosiddette “dichiarazioni antici-pate di fine vita”, oggetto di un disegno di legge ritenuto necessarioe urgente.

La stessa incapacità delle nazioni di cogliersi all’interno di un rap-porto di interdipendenza ha a che vedere con la mentalità di chi è at-tento unicamente a difendere se stesso e il proprio territorio, arri-vando a volte a privatizzare persino l’esperienza di fede, in una mio-pia che impedisce di riconoscere dignità e volto al povero, all’immi-grato o al rom.

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3. Evangelizzare, cultura della vita

A partire da queste riflessioni, il Consiglio Permanente ha riaffer-mato la necessità di lavorare per ricostruire l’umano, attraverso unaprofonda opera di pensiero, capace di dare respiro a una cultura del-la vita. È il compito sempre nuovo dell’evangelizzazione che, in uncontesto che sta rapidamente passando da un cristianesimo per na-scita a un cristianesimo per scelta, avverte l’urgenza di andare alcuore della fede. Soltanto riproponendo i valori fondamentali – ritor-nando, quindi, a Gesù Cristo nell’esperienza ecclesiale – può reggereanche l’impianto della morale personale, familiare e sociale.

Dal mistero trinitario, in particolare, scaturisce l’antropologia cri-stiana e il fondamento di una società aperta e solidale. Qui si apreanche l’orizzonte della formazione permanente dei sacerdoti, non im-muni dalle lusinghe di un individualismo che depotenzia la vita inte-riore e rischia di mortificare la perenne freschezza del ministero pre-sbiterale. è parsa assai efficace l’immagine delle parrocchie come “pa-lestre dello Spirito”, luoghi nei quali “non si gestiscono burocratica-mente incontri e impegni, ma avvengono miracoli perchéé si cerca ilSignore, ci si imbatte con il suo sguardo, ci si sente raccolti nella suamano, e se ne ricava la vita trasformata, non più sottomessa alconformismo o sofferente per il giudizio altrui”.

Su questo orizzonte si staglia l’impegno assunto dalla Chiesa inItalia come priorità per il decennio: quello di un’educazione che sa en-trare, con la forza della speranza cristiana, in tutti gli ambitidell’esperienza umana. Questo tema sarà al centro della prossima As-semblea Generale, prevista a Roma dal 23 al 27 maggio 2011, chia-mata a orientare l’attuazione del documento programmatico per il de-cennio Educare alla vita buona del Vangelo, perchéé ispiri le linee pa-storali di ciascuna diocesi.

4. Verso l’Assemblea Generale

Il Consiglio Permanente ha approvato l’ordine del giorno dellaprossima Assemblea Generale di maggio. Oltre alla riflessione suisoggetti e sui metodi dell’educazione alla fede – tema al quale saràdedicato anche l’approfondimento nei gruppi di studio –, essa proce-derà all’esame e all’approvazione della seconda parte dei materiali de-stinati a confluire nella terza edizione italiana del Messale Romano,completando il lavoro svolto nel novembre scorso ad Assisi. Nel corsodell’Assemblea, si terrà un momento di preghiera mariano nella Ba-silica di Santa Maria Maggiore, per rinnovare l’affidamento a Mariadell’Italia, a centocinquant’anni dall’unità del Paese. Ciascuna diocesiè invitata a preparare tale momento con una celebrazione analoganello stesso mese di maggio.

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5. Adempimenti amministrativi e giuridici

È stata presentata la proposta di ripartizione dei fondi dell’ottoper mille per l’anno corrente, la cui approvazione spetterà all’Assem-blea Generale di maggio. Desta particolare compiacimento l’incremen-to in valore assoluto del numero dei firmatari, segno della validità delmeccanismo, a cui ha corrisposto in proporzione l’aumento delle firmeper la Chiesa cattolica. è un segno di conferma del costante apprez-zamento degli italiani per l’opera svolta dai sacerdoti e dalle comu-nità ecclesiali in ambito religioso, educativo, sociale e caritativo. Unampio dibattito si è sviluppato in merito all’ipotesi di una campagnaper il rilancio delle erogazioni liberali per il sostentamento del clero,a partire dalla consapevolezza del valore della solidarietà e della ne-cessità di coinvolgere attivamente su questo tema le comunità par-rocchiali. È stata determinata la misura del contributo da assegnareai Tribunali ecclesiastici regionali per l’anno in corso, definendo an-che nuove modalità per l’inquadramento professionale di giudici, di-fensori del vincolo e patroni stabili laici che vi operano a tempo pie-no. L’attenzione della Chiesa per una questione che ha evidenti ri-flessi sul vissuto interiore delle persone, induce a ritenere che siaquesto un ambito nel quale, oltre a elevate e specifiche competenzegiuridiche, occorre assicurare una spiccata identità ecclesiale e unaspecifica sensibilità pastorale. Si è dato conto, infine, dell’ipotesi dimodifica dell’Intesa per l’insegnamento della religione cattolica, peradeguarla ai nuovi percorsi accademici degli Istituti Superiori diScienze Religiose. In sessione separata, i Presidenti delle ConferenzeEpiscopali hanno scelto, per ciascuna delle tre aree territoriali, i pro-getti-pilota per la nuova edilizia di culto.

6. La programmazione delle Commissioni Episcopali

All’inizio del nuovo quinquennio, le dodici Commissioni Episcopali,a cui sono affidati all’interno della Conferenza Episcopale compiti distudio, di proposta e di animazione nei diversi ambiti pastorali, sonostate chiamate a presentare al Consiglio Permanente il loro program-ma di lavoro. Emerge in ciascuno di essi un riferimento diretto agliOrientamenti pastorali del decennio, con l’impegno a declinare l’istan-za educativa nei settori di competenza. Tali programmi esprimonoun’indicazione autorevole, la cui realizzazione potrà subire eventualimodifiche in corso d’opera, tenendo conto delle decisioni che mature-ranno all’interno del Consiglio Permanente e nell’Assemblea Genera-le, anche in vista della progettazione del Convegno ecclesiale nazio-nale di metà decennio.

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7. Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha proce-duto alla seguenti nomine: – Membro della Commissione Episcopale per il servizio della carità

e la salute: S.E. Mons. Luigi Antonio CANTAFORA, Vescovo diLamezia Terme.

– Membri del Collegio dei revisori dei conti di Caritas Italiana:Mons. Giampietro FASANI, Economo della CEI, Presidente; Rag.Renzo BOLDRINI; Dott. Paolo BUZZONETTI.

– Presidente della Federazione Italiana Esercizi Spirituali (FIES):S.E. Mons. Giovanni SCANAVINO, Vescovo emerito di Orvieto –Todi.

– Consulente Ecclesiastico Nazionale del Centro Turistico Giovanile:Mons. Guido LUCCHIARI (Adria – Rovigo).

Ha inoltre espresso il gradimento all’elezione della PresidenteNazionale dei Convegni di cultura Maria Cristina di Savoia: Dott.ssaStefania ROLLA PENSA.

Nella riunione del 28 marzo 2011, la Presidenza della CEI hanominato membro del Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici donGiovanni Soligo, Presidente dell’Istituto Centrale per il sostentamen-to del clero; Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica delSacro Cuore – sede di Campobasso, padre Roberto NESTA, OFM.

Roma, 1° aprile 2011

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“Testimoni della vita buona del Vangelo”

Messaggio della Commissione Episcopaleper il clero e la vita consacrata

per la 15ª Giornata Mondiale della vita consacrata(2 febbraio 2011)

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I Vescovi italiani hanno voluto concentrare l’impegno pastoraledelle nostre Chiese nel nuovo decennio su quella che il Santo Pa-dre Benedetto XVI ha appropriatamente definito l’emergenza educa-tiva1. La sfida dell’educazione emerge, infatti, sempre più chiara-mente come la questione più urgente per la vita della società, equindi anche della Chiesa. È il Papa stesso a ricordarci che a cau-sa di un errato concetto di autonomia della persona, di una ridu-zione della natura a mera materia manipolabile e della stessa Ri-velazione cristiana a momento di sviluppo storico, privo di conte-nuti specifici, il processo di trasmissione dei valori tra le genera-zioni è fortemente compromesso. Per questo i luoghi tradizionalidella formazione, quali la famiglia, la scuola e la comunità civile,sembrano tentati di rinunciare alla responsabilità educativa, ridu-cendola a una mera comunicazione di informazioni, che lascia lenuove generazioni in una solitudine disorientante. In realtà, la ve-ra esperienza educativa porta a scoprire che l’io di ogni persona èdato e si compie in relazione al “tu” e al “noi”, e ultimamente al“tu” di Dio, rivelatoci in Cristo e reso accessibile dal dono delloSpirito Santo. Infatti, “solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ aprel’‘io’ a se stesso”2. Sostenuti da queste visione antropologica e teo-logica, riconosciamo l’importanza vitale di promuovere l’educazionealla vita buona del Vangelo.

1. Cfr BENEDETTO XVI, Discorso alla 59ª Assemblea Generale della CEI, 28 mag-gio 2009.

2. ID., Discorso alla 61ª Assemblea Generale della CEI, 27 maggio 2010.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

A questo compito urgente e affascinante sono chiamate tutte lecomponenti ecclesiali. In questa Giornata, vogliamo ribadire che “unruolo educativo particolare è riservato nella Chiesa alla vita consa-crata”3. Prima ancora delle numerose opere promosse nell’ambito edu-cativo dagli istituti di vita consacrata, è necessario aver presente chela stessa sequela di Cristo, casto, povero e obbediente, costituisce diper sé una testimonianza della capacità del Vangelo di umanizzare lavita attraverso un percorso di conformazione a Cristo e ai suoi senti-menti verso il Padre. Inoltre, la natura stessa della vita consacrata ciricorda che il metodo fondamentale dell’educazione è caratterizzatodall’incontro con Cristo e dalla sua sequela. Non ci si educa alla vi-ta buona del Vangelo in astratto, ma coinvolgendosi con Cristo, la-sciandosi attrarre dalla sua persona, seguendo la sua dolce presenzaattraverso l’ascolto orante della Sacra Scrittura, la celebrazione deisacramenti e la vita fraterna nella comunità ecclesiale. È proprio lavita fraterna, tratto caratterizzante la consacrazione, a mostrarci l’an-tidoto a quell’individualismo che affligge la società e che costituiscespesso la resistenza più forte a ogni proposta educativa. La vita con-sacrata ci ricorda così che ci si forma alla vita buona del Vangelo so-lo per la via della comunione.

Anche i consigli evangelici, vissuti da Gesù e proposti ai suoi di-scepoli, possiedono un profondo valore educativo per tutto il popolo diDio e per la stessa società civile. Come ha affermato il venerabileGiovanni Paolo II, essi rappresentano una sfida profetica e sono unavera e propria “terapia spirituale” per il nostro tempo4. L’uomo, cheha un bisogno insopprimibile di essere amato e di amare, trova nel-la testimonianza gioiosa della castità un riferimento sicuro per impa-rare a ordinare gli affetti alla verità dell’amore, liberandosi dall’ido-latria dell’istinto; nella povertà evangelica, egli si educa a riconoscerein Dio la nostra vera ricchezza, che ci libera dal materialismo avidodi possesso e ci fa imparare la solidarietà con chi è nel bisogno;nell’obbedienza, la libertà viene educata a riconoscere che il proprioautentico sviluppo sta solo nell’uscire da se stessi, nella ricerca co-stante della verità e della volontà di Dio, che è “una volontà amica,benevola, che vuole la nostra realizzazione”5.

3. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo.Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 4 otto-bre 2010, n. 45.

4. Cfr GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata, 25marzo 1996, n. 87.

5. CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀDI VITA APOSTOLICA, Istruzione Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, 11 mag-gio 2008, n. 4.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Gli Orientamenti pastorali ribadiscono che la vita consacrata “co-stituisce una testimonianza fondamentale per tutte le altre forme divita cristiana, indicando la meta ultima della storia in quella speran-za che sola può animare ogni autentico processo educativo”6. Infatti,senza una speranza affidabile non è possibile sostenere l’impegno del-la educazione. La vita consacrata, esprimendo in modo peculiare l’in-dole escatologica di tutta la Chiesa, richiama ogni fedele alla meta checi è assicurata in Gesù risorto, speranza del mondo. Pellegrini neltempo, abbiamo bisogno di attingere mediante la virtù della speranzaa ciò che è definitivo; per questo la vita consacrata “costituisce un ef-ficace rimando a quell’orizzonte escatologico di cui ogni uomo ha biso-gno per poter orientare le proprie scelte e decisioni di vita”7.

Su queste basi fiorisce l’impegno specifico di tanti istituti di vitaconsacrata nel campo dell’educazione, secondo il carisma proprio, lacui fecondità è testimoniata dalla presenza di numerosi educatori san-ti. La vita consacrata ci ricorda che l’educazione è davvero “cosa delcuore”: non affastellamento di emozioni, ma sintesi personale, a par-tire dalla quale si orientano le scelte e le decisioni di ognuno. Tuttoil popolo di Dio si attende che questa ricchezza, che ha lasciato trac-cia di sé in tante istituzioni scolastiche e nella cura di itinerari di vi-ta spirituale, si rafforzi e si rinnovi anche mediante la collaborazionecon le Chiese particolari.

Infine, celebrando la Giornata della vita consacrata, come non sen-tire l’urgenza educativa in riferimento alla animazione vocazionale?Oggi più che mai, abbiamo bisogno di educarci a comprendere la vitastessa come vocazione e come dono di Dio, così da poter discernere eorientare la chiamata di ciascuno al proprio stato di vita. La testimo-nianza dei consacrati e delle consacrate, attraverso la sequela radica-le di Cristo, rappresenta anche da questo punto di vista una risorsaeducativa fondamentale per scoprire che vivere è essere voluti e ama-ti da Dio in Cristo istante per istante: “Ciascuno di noi è voluto, cia-scuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello cheessere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente dipiù bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui”8.

Roma, 6 gennaio 2011, Solennità dell’Epifania del Signore

6. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo,n. 45.

7. BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 22febbraio 2007, n. 81.

8. ID., Omelia della Messa per l’inizio del ministero petrino come Vescovo di Roma,24 aprile 2005.

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“Educare alla pienezza della vita”

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanenteper la 33ª Giornata Nazionale per la vita

(6 febbraio 2011)

LA PAROLA DEL PAPA

L’educazione è la sfida e il compito urgente a cui tutti siamo chia-mati, ciascuno secondo il ruolo proprio e la specifica vocazione.

Auspichiamo e vogliamo impegnarci per educare alla pienezza del-la vita, sostenendo e facendo crescere, a partire dalle nuove genera-zioni, una cultura della vita che la accolga e la custodisca dal conce-pimento al suo termine naturale e che la favorisca sempre, anchequando è debole e bisognosa di aiuto.

Come osserva Papa Benedetto XVI, «alla radice della crisidell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita» (Lettera alla Dioce-si e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gen-naio 2008). Con preoccupante frequenza, la cronaca riferisce episodi diefferata violenza: creature a cui è impedito di nascere, esistenze bru-talmente spezzate, anziani abbandonati, vittime di incidenti sullastrada e sul lavoro.

Cogliamo in questo il segno di un’estenuazione della cultura dellavita, l’unica capace di educare al rispetto e alla cura di essa in ognistagione e particolarmente nelle sue espressioni più fragili. Il fattorepiù inquietante è l’assuefazione: tutto pare ormai normale e lascia in-travedere un’umanità sorda al grido di chi non può difendersi. Smar-rito il senso di Dio, l’uomo smarrisce se stesso: «l’oblio di Dio rendeopaca la creatura stessa» (Gaudium et spes, n. 36).

Occorre perciò una svolta culturale, propiziata dai numerosi econfortanti segnali di speranza, germi di un’autentica civiltà dell’amo-re, presenti nella Chiesa e nella società italiana. Tanti uomini e don-ne di buona volontà, giovani, laici, sacerdoti e persone consacrate, so-no fortemente impegnati a difendere e promuovere la vita. Grazie aloro anche quest’anno molte donne, seppur in condizioni disagiate, sa-ranno messe in condizione di accogliere la vita che nasce, sconfiggen-do la tentazione dell’aborto.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Vogliamo di cuore ringraziare le famiglie, le parrocchie, gli istitu-ti religiosi, i consultori d’ispirazione cristiana e tutte le associazioniche giorno dopo giorno si adoperano per sostenere la vita nascente,tendendo la mano a chi è in difficoltà e da solo non riuscirebbe a fa-re fronte agli impegni che essa comporta.

Quest’azione di sostegno verso la vita che nasce, per essere dav-vero feconda, esige un contesto ecclesiale propizio, come pure inter-venti sociali e legislativi mirati. Occorre diffondere un nuovo umane-simo, educando ogni persona di buona volontà, e in particolare le gio-vani generazioni, a guardare alla vita come al dono più alto che Dioha fatto all’umanità. «L’uomo – afferma Benedetto XVI – è veramen-te creato per ciò che è grande, per l’infinito. Il desiderio della vita piùgrande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua“impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; inmodo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio,aspira all’amore, alla gioia e alla pace» (Messaggio per la XXVI Gior-nata Mondiale della Gioventù 2011, 6 agosto 2010, n. 1).

È proprio la bellezza e la forza dell’amore a dare pienezza di sen-so alla vita e a tradursi in spirito di sacrificio, dedizione generosa eaccompagnamento assiduo. Pensiamo con riconoscenza alle tante fami-glie che accudiscono nelle loro case i familiari anziani e agli sposi che,talvolta anche in ristrettezze economiche, accolgono con slancio nuovecreature. Guardiamo con affetto ai genitori che, con grande pazienza,accompagnano i figli adolescenti nella crescita umana e spirituale e liorientano con profonda tenerezza verso ciò che è giusto e buono. Cipiace sottolineare il contributo di quei nonni che, con abnegazione, siaffiancano alle nuove generazioni educandole alla sapienza e aiutando-le a discernere, alla luce della loro esperienza, ciò che conta davvero.

Oltre le mura della propria casa, molti giovani incontrano auten-tici maestri di vita: sono i sacerdoti che si spendono per le comunitàloro affidate, esprimendo la paternità di Dio verso i piccoli e i pove-ri; sono gli insegnanti che, con passione e competenza, introducono almistero della vita, facendo della scuola un’esperienza generativa e unluogo di vera educazione. Anche a loro diciamo grazie.

Ogni ambiente umano, animato da un’adeguata azione educativa,può divenire fecondo e far rifiorire la vita. È necessario, però, chel’anelito alla fraternità, posto nel profondo del cuore di ogni uomo, siailluminato dalla consapevolezza della figliolanza e dalla gratitudineper un dono così grande, dando ali al desiderio di pienezza di sensodell’esistenza umana. Il nostro stile di vita, contraddistinto dall’impe-gno per il dono di sé, diventa così un inno di lode e ci rende semi-natori di speranza in questi tempi difficili ed entusiasmanti.

Roma, 7 ottobre 2010, Memoria della Beata Vergine del Rosario

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48VITA DIOCESANA

Messaggioin occasione del X anniversario della costituzione

del Centro Pastorale Maria SS. Assuntain Canosa di Puglia

Prot. n. 01/11 E

Carissimo Don Michele,

Mi hai cortesemente informato che il prossimo 13 gennaio codestacomunità parrocchiale ricorderà, in un momento di preghiera, il X an-niversario della costituzione del Centro Pastorale Maria SS. Assunta,che è stato il nucleo germinativo della parrocchia.

Si tratta di una iniziativa molto opportuna per attingere dalle pro-prie origini il senso di identità di una comunità parrocchiale e pernon smarrire, nel tempo, lo slancio e la vitalità iniziale.

È mia viva convinzione che la comunione ecclesiale non è soltan-to un compito ed un dovere talora faticoso ed improbo in una societàfrantumata, qual è purtroppo quella in cui viviamo, ma è una risor-sa e un’atmosfera che ci rassicura, ci sostiene e ci dà, soprattutto,gioia, rendendo facile quello che appare difficile.

Il segreto della vitalità della Chiesa è la certezza di fondo di es-sere un insieme di fratelli e sorelle che si vogliono bene, si aiutano,collaborano perché nessuno si senta solo, debole, povero, afflitto.

La grazia che comporta essere in Cristo, come traspare da moltiscritti del Nuovo Testamento, è dono soprannatura, al di sopra, per-ciò, di tutti gli altri tipi o gradi di unione naturale, quale la famiglia,il gruppo, la cittadinanza.

Ritengo, pertanto, che la commemorazione del gruppo iniziale oprimordiale, vada nella direzione desiderata e che percepisco ogni vol-ta che vengo nella vostra parrocchia, grazie al Tuo particolare impe-gno e visione, che risulta condiviso da quanti, uomini, donne, piccoli,adulti, anziani, sani e malati, collaborano con Te.

LA PAROLA DEL VESCOVO

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LA PAROLA DEL VESCOVO

Questa mia Lettera intende attestare la mia personale partecipa-zione a questa lieta circostanza e trasmette la mia benedizione, pe-gno di quella che non cessa di elargire Cristo Signore.

Con affetto vi saluto tutti e vi auguro ogni bene.

Andria, dal Palazzo Vescovile, il 9 gennaio 2011,festa del Battesimo del Signore.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

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50VITA DIOCESANA

Atto di affidamentodella comunità parrocchiale B.V. Immacolata in Andria

a Maria Ausiliatrice e a San Giovanni Bosco

Prot. n. 2/11 E

Maria Vergine Immacolata,Patrona della nostra parrocchia,ci affidiamo a Te quali Tuoi figlicerti del Tuo amore e della Tua protezione,perché possiamo esperimentareil grande dono della carità ecclesialee lo esprimiamo ogni giorno nella nostra vita.

Piena di grazia e inabitata dallo Spirito Santonella concezione del Figlio di Dio,la Chiesa Ti onora e Ti veneracome Madre amatissimae fonte di vita e di santitàsapendo che Tu ci precorri nella viacome Modello di amore verso Dio e i fratelli.

A Te ci affidiamoperché, come nostra Regina,possa essere la timoniera della nostra vitanelle acque spesso agitate che ci circondano,perché non soccombiamo nella provao, se caduti, possiamo preso rialzarci.

Ti sono cari i nostri giovani,perché più esposti ai pericolinel loro affacciarci alla vitaper la loro inesperienzae perché non sempre corroborati

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LA PAROLA DEL VESCOVO

dall’esempio di quanti li circondano.Li affidiamo a Teperché attingano il coraggio di conferirneun senso pieno alla loro vita.

Accanto ai giovani ci sono le loro famiglieche avvertono nella trepidazionel’alto compito e la permanente responsabilitàdi testimoniare loro per primiche la vita è bella ed è un donoche non si può barattare a favoredi inebrianti seduzioni transitoriee di varie chimere che lasciano l’amaro in boccae il vuoto nel cuore.

Amabile San Giovanni Bosco,l’affidamento alla Vergine Marialo rinnoviamo a Te,Educatore e Padre dei giovani.Nella Tua vita e nella Tua operaci hai insegnato che solo in Maria Ausiliatriceprende forma e consistenza ogni opera educativanella Chiesa e nella società.Assistici con la Tua preghierae con la Tua intercessione,perché possiamo sempre attingeredalle fonti perenni della salvezza.

Amen.

Andria, 31 gennaio 2011,memoria di san Giovanni Bosco, sacerdote.

† Raffaele CalabroVescovo

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52VITA DIOCESANA

Presentazione agli Atti del Convegno diocesano

Prot. n. 10/11 E

Presentazione

Presento, con piacere, la raccolta degli Atti del Convegno diocesa-no sulla vocazione dei laici nella Chiesa e nella società, tenutosi adAndria il 21 e il 22 ottobre scorsi.

Lo scopo primario non è quello dell’autocompiacimento o del colle-zionismo erudito, quanto quello di mettere a disposizione della nostraChiesa particolare (consigli pastorale e presbiterale, consigli zonali,parrocchie, associazioni…) un documento prezioso che contiene la ri-flessione e il dibattito sviluppatosi nel Convegno stesso.

Frutto del lavoro di tutti (ringrazio il Vicario Generale, i sacerdo-ti e i laici), intende preservare nel tempo e non far cadere in oblio (eciò è proprio della scrittura), quanto s’è ascoltato dal Relatore, il pro-fessor Giuseppe Savagnone, con notevole interesse, a quanto ricordo,ed ampiamente e nei particolari, nelle riunioni di gruppo, come ri-sulta dalla sintesi.

1. Per quanto concerne il Prof. Savagnone, noto che egli, nello spa-zio di circa un’ora, ci ha dato una sintesi articolata dei principaliargomenti che interessano la dottrina e soprattutto la prassi dellaicato oggi. Con una bella ed efficace immagine (quasi un’icona),egli ha richiamato un nodo problematico che concerne il ruolo dellaicato: il dislivello, cioè lo scarto tra teoria e prassi: piano terrae piano alto di un edificio. Il piano alto è quello dei vari docu-menti ecclesiastici, ispirati prevalentemente al criterio dell’orto-dossia, con spunti e indicazioni, certo, finalizzati alla pratica. Ilpiano basso allude alla recezione, poche volte integrale, o corri-spondente agli obiettivi preposti.

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LA PAROLA DEL VESCOVO

Più volte io stesso ho messo in evidenza questo “gap” o dislivello,che pone a rischio l’efficacia stessa dei proponimenti pastorali, purcosì lucidamente elaborati e tracciati

2. Ritengo che il Relatore ha prospettato il modo di superare talefossato e i verbali delle riunioni di gruppo registrano il consensosostanziale, pur con varianti degne di attenzione.La Chiesa, nella sua multiforme azione, è riuscita nel passato eriuscirà in futuro, a formare i laici nell’ambito del popolo di Dio,e ad interessarli, per poi impegnarli.Preciso meglio il mio pensiero:

a) la multiforme azione della Chiesa riguarda, singolarmente enell’insieme, l’aspetto liturgico, che rappresenta la vita stessadella Chiesa (“Culmen et Fons”, SC 10), la Signoria di Dio è ce-lebrata (nella liturgia), ma è prima ancora creduta (catechesi),donata (nei Sacramenti), testimoniata nel quotidiano.Se la Chiesa agisce come Chiesa, sempre e dovunque, forma ilaici, li plasma e li pone in grado di testimoniare, nella Chiesae nel mondo, i più alti e nobili valori, che orientano ed illumi-nano non solo la vita della Chiesa, ma anche la storia e la so-cietà umana nel suo complesso.

b) Il nodo cruciale consiste nel superare – tra i laici e talora nelclero – il muro dell’indifferenza che non costituisce un male so-lo contingente ma un male epocale, rappresentato dal clima delnichilismo e del secolarismo che impregna la cultura e la men-talità odierna. L’indifferenza caratterizza la visione del mondoesistenzialista. Si ricorderà un romanzo di Alberto Moravia, “Gli indifferenti”.Il tema dell’angoscia che oltrepassa nella sua genericità le pau-re concrete e individuabili. Ed infine la “Noia” (Moravia, Sartree tanti altri). La noia è il nome evocativo, simbolico, dell’insi-gnificanza totale dell’esistenza votata alla morte.Come cristiani e come uomini non possiamo non reagire a talevisione deprimente e votata allo scacco. Paul Tillich, un luterano poi accostatosi, insieme a Karl Barth,alla visione cattolica, nel 1952, scrisse un libro: “The courage tobe”, che incita alla riscossa, e ricorda che la vita stessa spingeall’affermazione della vita stessa, come un naufrago che fa ognisforzo per non essere sommerso.

Mi sembra che anche in vista della Quaresima tale via di uscitavada indicata e proposta ai nostri fedeli ed ai nostri giovani, co-me motivo ispiratore di fondo per non lasciarsi risucchiare dal las-

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VITA DIOCESANA

sismo molto diffuso e che intacca non solo la fede ma anche leenergie vitali di ciascuno di noi.Nel Vangelo di Matteo, versetti 8, 34 e ss, e negli altri due si-nottici passi paralleli, viene narrata la tempesta sedata: alla do-manda angosciata dei discepoli “Salvaci, Signore, siamo perduti”,il Signore li rassicura: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”Desidererei che tale invito a non avere paura costituisse il sot-tofondo di questa riconsegna degli Atti, a quanti li hanno prodot-ti ed a quanti li accoglieranno non come lavoro concluso, ma co-me inizio di un nuovo lavoro di riflessione e di impegno.

Andria, 22 febbraio 2011,festa della Cattedra di San Pietro.

† Raffaele CalabroVescovo

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55LA PAROLA DEL VESCOVO

“Voi infatti, fratelli,siete stati chiamati a libertà” (Gal. 5,13)

Itinerario per la Quaresima 2011

Prot. n. 11/11 E

Carissimi,

la Quaresima assume pienezza di senso solo in rapporto con laPasqua e al tempo successivo fino alla Pentecoste, che prolunga nel-la gioia l’azione salvifica per tutto il ciclo dei cinquanta giorni.

La celebrazione domenicale, in questo tratto dell’itinerario eccle-siale, assume più che mai la caratteristica di evento, di occasione pa-storale. In questa prospettiva unitaria la celebrazione del Giorno delSignore, dalla Quaresima alla Pentecoste, si presta a porre in risaltoil “Signore dei Giorni” quale fondamento ed asse dei vari e differen-ti itinerari di fede, che coinvolgono la vita semplice di tutti i giorni.

Secondo gli orientamenti della Congregazione per il Culto Divinoe la Disciplina dei Sacramenti, tale prospettiva aiuta a superare unaconcezione frantumata dell’anno liturgico. Occorre, pertanto, assicura-re un giusto dosaggio per non sbilanciare la Pasqua ed i cinquantagiorni rispetto alla Quaresima staccata dalla sua finalità.

Tale affermazione, forse un po’ sibillina, si traduce in praticanell’illuminare la Quaresima e motivare con la luce e la gioia dellaRisurrezione. L’itinerario, certamente faticoso e non privo di ostacoli,della penitenza e dell’ascesi, un termine non più in voga, ma che èimprescindibile dalla vera conversione, apparirà nel suo risvolto posi-tivo di rafforzamento delle energie interiori e di un equilibrio che do-na serenità e gioia.

1. Conversione, cuore della quaresima

Il termine “conversione” compare subito all’inizio della Quaresimacon l’imposizione delle ceneri. Convertitevi e credete al Vangelo, che è

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VITA DIOCESANA

il refrain o ritornello che inizia la predicazione stessa di Gesù, checontinua e prolunga quella di Giovanni Battista, battesimo voluto fer-mamente da Gesù, quale segno di solidarietà con i peccatori e del suoabbassamento (kénosi).

L’appello di Gesù, molto simile a quello di Giovanni, se ne disco-sta poiché s’incentra sulla Buona Novella stessa del Regno, depuran-dolo, perciò, dalle minacce dell’ira divina.

Il Vangelo mette in evidenza l’aspetto positivo della Vita Nuovaesprime la fiducia di fondo del Padre celeste nei confronti dell’uomo,nella certezza che se questi intuisce che gli viene offerto un gioielloprezioso (preziosa margarita), non si lascerà sfuggire la straordinariaed imperdibile occasione di venirne in possesso, lasciando perdere isurrogati, la cianfrusaglia dei falsi o apparenti gioielli.

La conversione, lo sappiamo, comporta un cambio totale di men-talità e una visione del mondo esclusiva, che esclude ogni compro-messo con una mentalità mondana basata su una presunta autono-mia dell’uomo e dei mezzi che egli ha a disposizione per salvarsi oper valorizzare pienamente la propria esistenza.

L’umanesimo, proposto dal Vangelo, non può essere integrale senon si ispira e si modella sull’Uomo-Dio. L’umanesimo integrale, qua-le lo concepisce Jacques Maritain, potrebbe ingenerare equivoci edambiguità, certamente lontane dalle intenzioni del grande pensatorecattolico, che non ha mancato di precisare sempre di più il suo pen-siero nei confronti di false e ingiustificate interpretazioni.

Ad ogni modo, la vita nuova del Vangelo consiste nell’imitazionedi Cristo, nella configurazione piena a lui, anche nella prova e nelcammino verso la Croce.

2. Ascesi

Rispunta, in questo contesto, il senso vero dell’ascesi, mortificazio-ne, che non contraddice una sana antropologia ma la rafforza, non so-lo con riferimento alla fede ma anche nei confronti della ragione, te-nendo conto dell’unità sostanziale anima-corpo. Il noto teologo KarlRahner definisce l’uomo come “Geist im Leben”, Spirito nel Corpo.

Il corpo non è così deprezzato, come nell’eresia manichea, qualecarcere, ostacolo nei confronti dello spirito o anima, ma si componearmoniosamente con l’anima e le potenze spirituali, rivelando la suaintrinseca dignità. Ne consegue che gli istinti e gli impulsi corporeinon possono né devono essere lasciati a se stessi. Ne verrebbe una si-tuazione di disordine e di conflitto. Essi vanno contenuti, tenuti sot-to controllo, e regolati in armonia con l’Io dell’uomo e con le sue po-tenze spirituali: mente, cuore, volontà, in modo da rappresentare unaforza, anziché una debolezza ed un disordine.

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LA PAROLA DEL VESCOVO

Tale visione è ampiamente suffragata e documentata soprattuttonelle Lettere paoline e data per scontata da tutti gli scritti del Nuo-vo Testamento.

Alla luce di questi principi e criteri risulta inaccettabile e perico-losa la concezione di Freud, secondo il quale tale impulsi o istinti nonvanno repressi e sbagliano tutti coloro che usano l’autorità e l’educa-zione per soffocare la natura stessa dell’uomo e della sua libertà.

In uno dei suoi ultimi libri, “Il disagio della civiltà”, egli pone sot-to accusa la civiltà, la cultura e la struttura stessa della società, lequali svolgono questa opera repressiva, anche se – egli ammette –non può esistere società o civiltà senza un freno o un controllo cheinduca l’uomo a “differire”, e a non appagare subito tali impulsi masolo a dilazionarli per ragioni di sicurezza o di tenuta della compagi-ne sociale, che egli riassume nel principio di realtà.

La concezione freudiana verrà ripresa da Herbert Marcuse in“Eros e Civiltà”, molto letto ed ascoltato negli anni 50 – 70, dandoorigine a vari movimenti e iniziative libertarie, le cui conseguenze du-rano ancora.

3. Cammino verso la libertà

L’ascesi cristiana è sottesa alle pratiche tipiche della Quaresima:digiuno, preghiera, elemosina, penitenza, che cercano di tradurre inpratica la penitenza salutare dei quaranta giorni.

Comprendiamo molto bene che tali esercizi o prove di serietà cri-stiana si dovrebbero praticare nell’intero anno, alla luce delle letturedelle cinque domeniche fino alla Settimana Santa, con il soccorso del-la grazia sacramentale e dell’Eucarestia.

I Sacramenti, secondo la loro stessa natura, ripetono questo am-monimento: “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carnecon le sue passioni e concupiscenze” (Gal. 5, 24). Di conseguenza nel-la virtù cristiana della mortificazione si tratta di qualcosa infinita-mente superiore alla categoria puramente morale, del dominio di sé edell’autodisciplina, del senso della misura – cose tutte che, natural-mente, vi sono incluse - la realtà più importante è comunque laconformità a Cristo che soffre e espia.

La penitenza costituisce la vera ed unica via verso la libertà au-tentica.

La Pasqua cristiana realizza il suo significato etimologico: transi-to - Pesah. Prolunga la Pasqua ebraica ma la oltrepassa e la superae ne rappresenta il compimento definitivo. La liberazione dell’Esodo,interpretata dal Deuteronomio, è costituita dalla liberazione del popo-lo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto verso la Terra promessa.

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VITA DIOCESANA

Già nell’Antico Testamento tale liberazione, avvenuta una volta so-la, allude ad una liberazione continua, attestata da mille episodi con-simili, analoghi, che da sempre rammentano al popolo d’Israele che illoro Dio, Jahwé, è costantemente all’opera nel corso della storia, perliberarlo e proteggerlo, come suo scudo e corazza. Il popolo ebraico èl’inventore della storiografia, proprio perché i suoi scribi prendono no-ta degli eventi, giorno dopo giorno, per trasmetterli ai posteri.

Il profetismo tiene vivo nel popolo questa consapevolezza e certez-za, al di là di ogni dubbio e di sconfitte temporanee, perché è il po-polo eletto da parte di Jahwè che tuttavia non è esclusivista nei con-fronti di altri popoli. Israele ha il compito e la missione di far cono-scere e testimoniare presso altri popoli la volontà salvifica ed univer-sale di Jahwè. La splendida visione di Isaia: “Tutti i confini della ter-ra vedranno e toccheranno con mano la salvezza del nostro Dio”.

La Pasqua cristiana è l’antitipo della liberazione di Israele dallaschiavitù dell’Egitto, ma ne allarga i confini e ne raggiunge la profon-dità già implicita nel tipo, ma restata inespressa.

La redenzione operata da Cristo, con il suo sacrifico ed il versa-mento del suo sangue, culminante nella Risurrezione, libera da benaltra e più radicata schiavitù: quella dal peccato.

Gesù è “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, così lo in-dica il Battista ai suoi discepoli (Gv 1, 29). L’Agnus Dei liturgico usail plurale, anziché il singolare del Vangelo di Giovanni, forse occul-tandone la radicalità. Il peccato dice molto più dei peccati, perché diquesti è la radice e l’origine.

Ad ogni modo il concetto resta chiaro e si presta bene alla medi-tazione e alla riflessione.

4. “Voi, infatti, fratelli siete chiamati alla libertà” (Gal. 5,13)

Nell’epistola ai Galati, S. Paolo enuncia, in termini molto chiari,la conseguenza della redenzione operata da Cristo: la libertà, effettodella liberazione.

Dopo aver sviluppato nel capitolo 5 un interpretazione allegorica(evidenziando la sua formazione rabbinica) tra Sara, la moglie diAbramo, e Agar, la schiava convinta a surrogare la moglie legittimaper dare un figlio ad Abramo, Paolo conclude: Sara è la donna libe-ra, Agar la schiava.

“Ora, queste cose - afferma Paolo - sono dette per allegoria: le duedonne infatti rappresentano le due alleanze. Una, quella del monte Si-nai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar - il Sinai èun monte dell’Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale,che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. Invece la Gerusalemme dilassù è libera ed è la madre di tutti noi” (4, 24-25).

59

LA PAROLA DEL VESCOVO

L’argomentazione di Paolo diventa via via sempre più esplicita econcreta:

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi enon lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Pao-lo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. E di-chiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è ob-bligato ad osservare tutta quanta la legge. Non avete più nulla a chefare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete de-caduti dalla grazia. Noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamodalla fede la giustificazione che speriamo. Poiché in Cristo Gesù nonè la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che ope-ra per mezzo della carità.

Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbeditepiù alla verità? Questa persuasione non viene sicuramente da coluiche vi chiama! Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta. Io sonofiducioso per voi nel Signore che non penserete diversamente; ma chivi turba, subirà la sua condanna, chiunque egli sia. Quanto a me,fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora per-seguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce? Dovrebberofarsi mutilare coloro che vi turbano.

Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa li-bertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma me-diante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge in-fatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuocome te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate al-meno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!

Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete porta-ti a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri con-trari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; questecose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la leg-ge. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impu-rità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia,dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere;circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compienon erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore,gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio disé; contro queste cose non c’è legge.

Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carnecon le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spiri-to, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanaglo-ria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.

60

VITA DIOCESANA

Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che ave-te lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per noncadere anche tu in tentazione. Portate i pesi gli uni degli altri, cosìadempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosamentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la pro-pria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà moti-vo di vanto: ciascuno infatti porterà il proprio fardello.

Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede achi lo istruisce. Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco diDio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nellasua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spiri-to, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare ilbene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunquene abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto versoi fratelli nella fede” (Gal 5-6).

L’esistenza cristiana, lievitata e mossa dallo Spirito di Dio, risul-ta così una liberazione da (dal peccato e dai vincoli del peccato) e so-prattutto una liberazione per amare di più, essere più snelli e spedi-ti, senza impaccio, per seguire Cristo e la sua chiamata al discepola-to e all’apostolato.

Ritornando alla concezione freudiana degli istinti lasciati liberi, sipuò constatare come questi portino dritto dritto non alla libertà,quanto piuttosto al libertinismo, alla violenza incontrollata, all’ag-gressività. Esiti questi che, nelle affermazioni stesse di Freud e Mar-cuse, dissolvono la società nell’anarchia e nel dominio, di un uomosull’altro, che il marxismo combatte.

Ognuno può rendersi conto della ricaduta sociale delle opposte vi-sioni in gioco: quella cristiana e quella miope sua antagonista.

Vorrei concludere questa mia Lettera proposta come traccia possi-bile tra tante più autorevoli o preferite.

Disponendoci insieme a vivere con zelo e impegno la Santa Qua-resima, vi saluto e vi benedico.

Andria, dal Palazzo Vescovile, 22 febbraio 2011,festa della Cattedra di San Pietro.

† Raffaele CalabroVescovo

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61LA PAROLA DEL VESCOVO

Presentazione al volume“Il 10 marzo 1576 e le vicende del Santuario di Andria”

Prot. n. 12/11 E

Volentieri presento il volume dedicato al Santuario della Madonna deiMiracoli (o Madonna d’Andria) firmato da Michele Melillo, diacono per-manente della diocesi di Andria.

L’opera ha il pregio di raccogliere la maggiore documentazione possi-bile sia sul Santuario (architettura, pitture, etc.), sia sull’origine e svi-luppo del culto alla Madonna dei Miracoli, sia sulla presenza dei religio-si succeduti nella cura pastorale del Santuario (prima i Benedettini poigli Agostiniani).

Vuol essere anche una guida pratica per il visitatore del SantuarioBasilica.

Il volume aggiunge all’opera di sintesi e di raccolta, di cui sopra,quella della divulgazione che fa riferimento a fonti di riconosciuto rigorestorico, come, per citarne uno, Mons. Cosimo Damiano Fonseca, dal qua-le nel 2008 fu pubblicato il volume Madonna di Andria (raccolta degli At-ti del Convegno diocesano sull’argomento tenutosi qualche anno prima).

Ritengo che il Melillo meriti un elogio ed un ringraziamento per la di-ligenza con la quale ha reperito, compulsato e selezionato l’ampio materia-le a disposizione e per la scorrevolezza dello stile che permetterà al volu-me di raggiungere non solo la cerchia degli specialisti dei singoli settori,ma anche un pubblico più vasto e popolare, cui solitamente poco si pensa.

Auguro all’iniziativa il più ampio successo anche allo scopo di pro-muovere l’incremento della devozione mariana.

Andria, 10 marzo 2011, festa del Ritrovamento dell’Immagine della Madonna dei Miracoli,Patrona principale della diocesi.

† Raffaele CalabroVescovo

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62VITA DIOCESANA

Presentazione alla 3ª edizionedel Repertorio diocesano di Canti per la Liturgia

Prot. n. 15/11 E

S. Ambrogio dice che: “cantando la Chiesa manifesta la sua natura disposa, affettuosamente rapita nella contemplazione di Colui che è la ve-rità” (Ps 118, XIX, 25).

Siamo tutti convinti che la musica, all’interno della liturgia, occupaun ruolo fondamentale per evidenziare i molteplici sentimenti dell’animoin preghiera e per fomentare la partecipazione comunitaria al Mistero ce-lebrato.

La comunità ecclesiale si costruisce e cresce con l’ascolto della Parolae con la preghiera comunitaria. Questa terza edizione del Repertorio dio-cesano di Canti per la Liturgia, preparato dalla Commissione diocesanaper la Liturgia – sezione Musica Sacra, vuol essere uno strumento per lacelebrazione comunitaria della lode, del ringraziamento, della supplica edella gioia.

Nella compilazione del repertorio si è privilegiato il canto dell’assem-blea per il culto eucaristico, nei vari tempi liturgici, e i canti mariani.

Desidererei che questo repertorio fosse utilizzato in tutte le parrocchiee le comunità religiose, senza mortificare la ricerca di nuovi canti.

Il repertorio diocesano aiuta a sentirsi Chiesa, evidenzia l’unità di uncammino, rappresenta un punto di riferimento per tutti i cristiani in pre-ghiera.

Auspico che questo sussidio diventi il libro di canti di tutta la dioce-si e di vederlo nelle mani dei fedeli quando insieme celebriamo i SantiMisteri.

Cerchiamo di diventare quasi in unico strumento musicale, suonatocon arte sublime dallo Spirito Santo.Andria, 13 marzo 2011, Prima Domenica di Quaresima.

† Raffaele CalabroVescovo

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63LA PAROLA DEL VESCOVO

Presentazione al Rapporto Annuale 2010 della Casa di Accoglienza “S. Maria Goretti”

e dell’Ufficio per le Migrazioni della Diocesi di Andria

Prot. n. 16/11 E

Il Direttore della Casa di Accoglienza “S. Maria Goretti” e dell’Uf-ficio per le Migrazioni della Diocesi, don Geremia Acri, ha redatto ilRapporto Annuale 2010, sui servizi, attività e progetti, corredandolodi cifre e statistiche.

Gli ambiti sono i più svariati, vanno dalla Mensa della Carità, al-la distribuzione di sacchetti viveri, indumenti, docce, alle visite domi-ciliari. Vi è un ambulatorio medico ed infermieristico, al centro diascolto ed all’accoglienza notturna. Vi sono, infine, corsi di formazio-ne per badanti, un percorso educativo per minori ed adulti ed un tu-toraggio economico-educativo.

Di anno in anno si espande la “ragnatela” di assistenza e di be-neficenza con l’intento di raggiungere un numero sempre maggiore difratelli e sorelle bisognosi, coloro che gli americani chiamano gli “un-derdogs” (inferiori ai cani) e K. Marx il “lumpenproletariat” (i prole-tari degli stracciaioli).

La Chiesa, seguendo le orme e gli insegnamenti del suo Fondato-re, li considera fratelli e sorelle in Cristo, persone umane con la lorodignità da accogliere, amare e soccorrere.

Dai dati si nota che negli ultimi anni la fascia di povertà estre-ma comprende un numero sempre maggiore di italiani, nostri concit-tadini ridotti in condizione di chiedere la carità per loro e le loro fa-miglie, i loro figli.

È un dato questo che ci deve indurre a riflettere e a domandarcicome mai in un Paese come il nostro, che figura tra i più avanzati eprosperi la soglia di povertà, anziché restringersi, si allarga semprepiù.

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VITA DIOCESANA

La carità è encomiabile è deve, comunque e sempre, essere prati-cata. Ma non far dimenticare la giustizia ed a tale scopo occorre “co-scientizzare” (come si dice in Brasile) i nostri fedeli e i nostri concit-tadini, la classe politica ed il nostro Governo a non lavari le mani.

Se nel piccolo e con risorse limitate, Centri di Accoglienza come“S. Maria Goretti” riescano a raggiungere tante persone, non chiu-dendo gli occhi, come mai le Istituzioni, che hanno come compito lo-ro specifico di porre tutti i cittadini in condizioni di parità denotanocomportamenti di miopia e scarsa sensibilità?

Ringrazio, comunque, Don Geremia Acri, i Sacerdoti, le Associa-zioni ecclesiali e laicali, i Volontari, le Parrocchie, i Centri di AscoltoZonali della Diocesi ed anche tanti buoni fedeli e cittadini, che con leloro offerte e dando una parte del loro tempo per soccorrere chi è nelbisogno, dimostrano che c’è ancora altruismo fattivo.

Se si può e si deve sperare in un futuro migliore, dipende in buo-na parte da questi Samaritani volenterosi, che a somiglianza del Pa-dre Celeste, che fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti, non di-scriminano, ma accolgono tutti in spirito di fraternità e di servizio.

Andria, 7 marzo 2011, memoria delle Sante Perpetua e Felicita, martiri.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

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65LA PAROLA DEL VESCOVO

Lettera di nominaai Presidenti parrocchiali di Azione Cattolica

ATTI DEL VESCOVO

Prot. n. 08/11 E

Carissima/oEsaminate le proposte giuntemi dei Presidenti parrocchiali di

Azione Cattolica, a norma dell’art. 19.5 dello Statuto e dell’art. 10.2del Regolamento Nazionale di Attuazione dell’Azione Cattolica,

Con questo AttoTi nomino

Presidente della stessa Associazione della Parrocchia ____________________per il triennio 2011-2014

Mentre Ti esprimo le più vive felicitazioni per la fiducia riscossapresso gli amici dell’Azione Cattolica per presiedere l’Associazione del-la comunità parrocchiale, sento il dovere di richiamare la responsabi-lità che da tale onere consegue: essere modello di zelo e di impegnocristiano autentico, di ministerialità a servizio dell’Azione Cattolica edell’intera comunità parrocchiale e diocesana.

Rinnovo la mia gratitudine a questa Associazione di laici cattoliciper quanto ha fatto in passato e per quanto fa per la Chiesa di An-dria. Ritengo che essa abbia ancora davanti a sé un entusiasmantefuturo di azione, di sacrificio, di preghiera per l’annuncio di Cristo.L’Azione Cattolica saprà rispondere a questa sua vocazione se avràben chiara la propria identità e se, nell’interpretare le nuove esigen-ze della società di oggi, non perderà di vista i principi irrinunciabiliche danno senso alla sua azione e alla sua stessa esistenza.

RingraziandoTi per la generosa disponibilità a servizio dell’Asso-ciazione, rinnovo un sentito augurio per il Tuo compito ed invocosull’Azione Cattolica diocesana la benedizione del Signore.Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 19 febbraio 2011.

† Raffaele CalabroVescovo

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66VITA DIOCESANA

Lettera agli Assistenti uscentidi Azione Cattolica

Prot. n. 20/11 E

Ai ReverendiDon Antonio BasileMons. Giuseppe RuotoloDon Francesco SantomauroDon Franco Leo

Loro sedi

Carissimi Confratelli,

Al termine del vostro mandato di Assistenti diocesani di AzioneCattolica, sento il dovere di ringraziarvi per il lavoro svolto in questianni con passione, pazienza e sacrificio, dell’esempio di generosità egratuità donato a tanti con affetto e amicizia, e della competenza concui, assieme alla Presidenza e al Consiglio diocesano uscenti, aveteaiutato gli adulti, i giovani e i ragazzi di Azione Cattolica a sentirsiparte di un’unica famiglia associativa, che ha il cuore nelle nostreparrocchie e che, al contempo, sa assumere una dimensione più gran-de: quella diocesana, nazionale e universale.

A voi va il mio affetto, la riconoscenza e la mia benedizione.

† Raffaele CalabroVescovo

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Lettera alla Presidente uscentedi Azione Cattolica

Prot. n. 21/11 E

Alla carissimadott.ssa Anna Maria Basile

Presidente diocesano uscente dell’Azione Cattolica

Nel momento in cui, accogliendo i Tuoi voti e le indicazioni delConsiglio diocesano dell’Azione Cattolica, nomino il nuovo Presidentedell’Associazione, non posso tralasciare di esprimerTi la gratitudinemia personale e, son sicuro, dell’intera diocesi per l’attaccamento di-mostrato nei due mandati ininterrotti come Presidente diocesano allabeneamata Associazione.

In questi sei anni mi sono reso conto delle Tue qualità di mentee di cuore, dell’equilibrio ed esperienza che Ti hanno permesso di ac-quistare la stima, non solo presso di me, ma soprattutto presso gli as-sociati, i presbiteri, gli organismi pastorali diocesani ed i fedeli delleparrocchie.

Nel rinnovare ancora il mio ringraziamento, sono certo che conti-nuerai a sentirTi vicino al Vescovo e alla diocesi che chiedono ilconforto della Tua collaborazione con il saggio consiglio e la collauda-ta esperienza.

Desiderando ogni grazia e bene dall’Alto Ti benedico.

Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 19 marzo 2011,solennità di San Giuseppe, sposo della B.V. Maria.

† Raffaele CalabroVescovo

ATTI DEL VESCOVO

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68VITA DIOCESANA

Decreto per l’Arciconfraternitadel SS. Corpo di Cristo in Cattedrale

Prot. n. 02/11 C

Visti i risultati a Noi comunicati con lettera del 30° dicembre2010 dal Delegato Vescovile, Canonico Giannicola Agresti, delle ele-zioni effettuate presso l’Arciconfraternita SS. Corpo di Cristo in Cat-tedrale in data 16 dicembre 2010;

Letti gli articoli 85-87 dello Statuto-tipo per le Confraternite;

Verificato in fatto e in diritto la regolarità delle elezioni;

In deroga all’art. 20 dello stesso Statuto-tipo,

Con il presente

Ratifichiamoa norma degli articoli citatatii nominativi sotto menzionati

Priore Dr. Nicola Agresti

Primo Assistente Pietro CalvanoSecondo Assistente Francesco Di BariPrimo Consigliere Giuseppe MininnoSecondo Consigliere Pasquale Lorusso

Tesoriere Savino Santovito

A norma del can. 317 § 1 del Codice di Diritto Canonico e dell’art.69 del menzionato Statuto,

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ATTI DEL VESCOVO

RiconfermiamoPadre Spirituale

il Rev.mo Canonico Giannicola Agresti

La durata delle cariche, a norma del Decreto n. 43/05 C del 31 ot-tobre 2005, è quinquennale, a partire dalla data del presente Atto.

Tanto stabiliamo per opportuna conoscenza e norma.Nonostante qualsiasi altra disposizione contraria.

Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 13 gennaio 2011,memoria di S. Ilario, vescovo e dottore della Chiesa.

† Raffaele CalabroVescovo

Il Cancelliere Vescovilesac. Ettore Lestingi

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70VITA DIOCESANA

Decreto di nominadel Presidente dell’Unitalsi diocesana

Prot. n. 03/11 C

Vista la notifica prot. n. 1341/10 dell’11 gennaio 2011 indirizzata-Ci dal Presidente della Sezione Pugliese dell’U.N.I.T.A.L.S.I., Avv.Angelamaria Cannone,

Con questo AttoConcediamo

il Nostro benestarealla scelta del

Dott. Francesco Scarabinorisultato eletto Presidente

dall’Assemblea della Sottosezione dell’U.N.I.T.A.L.S.I. di Andria in data12 dicembre 2010.

Tanto si comunica per opportuna conoscenza e norma.

Andria, 13 gennaio 2011.

† Raffaele CalabroVescovo

Il Cancelliere Vescovilesac. Ettore Lestingi

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Decreto di nominadella Presidente diocesana di Azione Cattolica

Prot. n. 07/11 C

Alla carissimadott.ssa Silvana Campanile

Preso atto dei risultati delle elezioni per il rinnovo del Consigliodiocesano dell’Azione Cattolica svoltesi il 19 febbraio 2011 e della ter-na dei nominativi proposta dal Consiglio diocesano, comunicatami dalPresidente uscente Dott.ssa Anna Maria Basile;

Dopo attenta valutazione e accurato discernimento,Ho ritenuto opportuno nominarTi, come di fatto con questo Atto

Ti

NominoPresidente dell’Azione Cattolica diocesana

per il prossimo triennio 2011-2014

La Tua lunga esperienza associativa, durante la quale hai sempremostrato una grande disponibilità, e la Tua età piena di entusiasmo,mi fanno ritenere che possa essere Tu la persona giusta per conti-nuare a guidare la nostra Associazione.

L’Azione Cattolica rappresenta un ganglio vitale dell’impegno mi-nisteriale della Chiesa locale. Essa costituisce, come emerge dal suostesso Statuto, la più significativa e collaudata forma di apostolatodei laici, strettamente collegata con il Papa, il Vescovo ed il presbi-terio e, nello stesso tempo, immersa nella realtà temporale, per ani-marla secondo lo spirito e gli ideali del Vangelo.

ATTI DEL VESCOVO

72

VITA DIOCESANA

Mi auguro che possa riprendere e continuare con slancio il cam-mino già sostenuto dall’Associazione dai Tuoi predecessori, come pureche sappia compiere questo servizio con passione, determinazione ecompetenza in grande spirito di comunione con il Vescovo e l’interadiocesi, curando la formazione degli associati ed integrando il loropercorso in maniera sempre più organica con la pastorale diocesana eparrocchiale.

Per questo compito così impegnativo Ti sono vicino con l’affetto econ la preghiera, sicuro che non Ti mancherà la collaborazione ed ilsostegno del presbiterio diocesano, degli associati e dei fedeli.

Su di Te, sulla Presidenza, sui Sacerdoti assistenti e su tutti gliamici dell’Associazione imploro la divina benedizione, affidando il vo-stro lavoro all’intercessione di San Giuseppe, lo sposo castissimo del-la B.V. Maria, nel giorno della sua festa liturgica.

Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 19 marzo 2011,solennità di San Giuseppe, sposo della B.V. Maria.

† Raffaele CalabroVescovo

Il Cancelliere Vescovilesac. Ettore Lestingi

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73ATTI DEL VESCOVO

Decreto di nominadell’Assistente diocesano unitario di Azione Cattolica

Prot. n. 08/11 C

Al diletto figliodon Domenico Basile

A norma dell’art. 10 dello Statuto e dell’art. 14 dell’Atto normati-vo diocesano dell’Azione Cattolica,

Con questo Atto Ti

NominoAssistente diocesano unitario

e Assistente diocesano del settore Adultidell’Azione Cattolica

con tutti i diritti e i doveri che tale incarico comporta.

Son certo che, con le qualità umane e sacerdotali e con lo spiritodi servizio alla Chiesa che Ti caratterizzano, saprai infondere nuovoslancio alla benemerita Azione Cattolica.

Imploro su di Te e sugli associati le più elette grazie divine ac-compagnate dalla mia benedizione.

La nomina è ad triennium.

Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 19 marzo 2011,solennità di San Giuseppe, sposo della B.V. Maria.

† Raffaele CalabroVescovo

Il Cancelliere Vescovilesac. Ettore Lestingi

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74VITA DIOCESANA

Decreto di nominadell’Assistente diocesano

del settore Giovani di Azione Cattolica

Prot. n. 09/11 C

Al diletto figliodon Sabino Troia

A norma dell’art. 10 dello Statuto e dell’art. 14 dell’Atto normati-vo diocesano dell’Azione Cattolica,

Con questo Atto Ti

NominoAssistente diocesano del settore Giovani

dell’Azione Cattolica

con tutti i diritti e i doveri che tale incarico comporta.

Son certo che, con le Tue qualità umane e sacerdotali e con il Tuospirito di servizio alla Chiesa, saprai infondere nuovo slancio alla be-nemerita Azione Cattolica.

Imploro su di Te e sui fedeli affidati alle Tue cure le più elettegrazie divine e Ti benedico con tutto il cuore.

La nomina è ad triennium.

Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 19 marzo 2011,solennità di San Giuseppe, sposo della B.V. Maria.

† Raffaele CalabroVescovo

Il Cancelliere Vescovilesac. Ettore Lestingi

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Decreto di nominadell’Assistente diocesano di ACR

Prot. n. 10/11 C

Al diletto figliodon Angelo Castrovilli

A norma dell’art. 10 dello Statuto e dell’art. 14 dell’Atto nor-mativo diocesano dell’Azione Cattolica,

Con questo Atto Ti

NominoAssistente diocesano ACR

dell’Azione Cattolica

con tutti i diritti e i doveri che tale incarico comporta.

Son certo che, con le Tue qualità umane e sacerdotali e con il Tuospirito di servizio alla Chiesa, saprai infondere nuovo slancio alla be-nemerita Azione Cattolica.

Imploro su di Te e sui fedeli affidati alle Tue cure le più elettegrazie divine e Ti benedico con tutto il cuore.

La nomina è ad triennium.

Dato in Andria, dalla Sede Vescovile, il 19 marzo 2011,solennità di San Giuseppe, sposo della B.V. Maria.

† Raffaele CalabroVescovo

Il Cancelliere Vescovilesac. Ettore Lestingi

ATTI DEL VESCOVO

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76VITA DIOCESANA

Nomine

ATTI DI CURIA

S.Ecc. Mons. Raffaele Calabro, vescovo di Andria, ha nominato:

– il rev. Sac. Domenico Basile, Assistente diocesano unitario diAzione Cattolica e Assistente diocesano del settore Adulti, il 19marzo 2011 (prot. n. 08/11 C)

– il rev. Sac. Sabino Troia, Assistente diocesano del settore Gio-vani di Azione Cattolica, il 19 marzo 2011 (prot. n. 09/ 11 C)

– il rev. Sac. Angelo Castrovilli, Assistente diocesano dell’ACR,il 19 marzo 2011 (prot. n. 10/ 11 C)

– il rev. Can. Don Giannicola Agresti, padre Spirituale dell’Arci-confraternita SS. Corpo di Cristo in Cattedrale ad Andria, il 13gennaio 2011 (prot. n. 02 /11 C)

– la Dott.ssa Silvana Campanile, Presidente diocesano di AzioneCattolica, il 19 marzo 2011 (prot. n. 07/11 C)

– il Dott. Nicola Agresti, Priore dell’Arciconfraternita del SS. Cor-po di Cristo in cattedrale, il 13 gennaio 2011 (prot. n. 02/11 C)

– il Dott. Francesco Scarabino, Presidente diocesano dell’UNI-TALSI il 13 gennaio 2011 (prot. n. 03/11 C)

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Benedizione Apostolicaper il XXV anniversaro di presbiterato

di don Giannicola Agresti

Il Sommo Pontefice

Benedetto XVI

rivolge fervidi auguri al Rev.do Canonico

don Giannicola AgrestiParroco della Chiesa

di S. Francesco d’Assisi in AndriaPresidente del Capitolo della Cattedrale

nella lieta ricorrenza del 25° anniversario di Ordinazione sacerdotalee, mentre Si unisce al suo rendimento di grazie a Cristo Sommo edEterno Sacerdote per i numerosi doni ricevuti nel ministero pastora-le a edificazione del Popolo di Dio, invoca su di lui, auspice la Ver-gine Maria, ulteriori effusioni di ricompense celesti e di cuore gli im-parte l’implorata Benedizione Apostolica, volentieri estendendola aquanti si uniscono alla sua spirituale letizia.

Dal Vaticano, 19 aprile 2011

† Tarcisio card. BertoneSegretario di Stato

ATTI DI CURIA

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78VITA DIOCESANA

Il 2° Forum Catechistico diocesano

UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

Il 7 e 8 marzo scorso si è svolto a Trani il 2° Forum Catechisticoa cura della Commissione Catechistica Regionale della Puglia, rivoltoa tutti i direttori e ai collaboratori di UCD di ogni diocesi di Puglia.L’obiettivo del Forum è stato quello di segnalare e divulgare nuoveesperienze di iniziazione cristiana nelle Chiese di Puglia, supposto cheoggi sembra non rinviabile un “ripensamento e rinnovamento” dellaprassi dell’IC. Il nodo della questione è quello di rendere la catechesiancora capace di dare risposte attuali e concrete ai ragazzi e ai fan-ciulli del terzo millennio e di fare in modo che le famiglie siano coin-volte nel processo di educazione alla fede dei propri figli giacché pri-me responsabili della questione educativa in tutta la sua complessitàe in tutte le sue dinamiche. La società è cambiata, questa è ormai unacertezza, ma come possono cambiare le prassi educative della fede? LaChiesa si interroga e riflette. Tutti gli aspetti della vita dell’uomo so-no importanti agli occhi di Dio e poiché la storia della salvezza conti-nua ad incarnarsi oggi nella nostra storia, non è più pensabile che lacatechesi possa fermarsi al puro nozionismo e alla dottrina. Insegna-mento e vita devono essere tra loro coniugati, la catechesi deve crea-re una sintonia tra fede e vita, deve dare una formazione globale enon deve fermarsi alla preparazione ai Sacramenti. Per operare tuttiquesti interventi è necessario non solo pensarli ma, più di ogni altracosa, occorre metterli in pratica attraverso il cambiamento del modo dipensare, la formazione dei catechisti e delle intere comunità parroc-chiali e diocesane. La Commissione Pugliese, già nel 2010 con il 1° Fo-rum Catechistico, e accogliendo le nuove tendenze esposte nel XLIVConvegno Nazionale dei direttori degli UCD, ha cercato di farsi porta-voce di questa esigenza verificando, dapprima, la situazione regionalee poi mettendo in evidenza le sperimentazioni in atto: lo scopo è quel-

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UFFICI DIOCESANI PASTORALI

lo di non imporre dall’alto un modello da imitare, ma capire quali nuo-ve esperienze, introdotte dal basso, potessero soddisfare le nuove ne-cessità. Ecco che il Forum è diventato non un dire, in modo più o me-no accademico, su teorie e modelli astratti, ma una vetrina di espe-rienze nuove e originali, un raccontarsi esperienze che diventa stimo-lo per riflettere e aprire le menti a situazioni nuove.

Sperimentazioni si sono fatte nella Parrocchia S. Maria Assuntadi Polignano a Mare (Ba) con il Metodo a quattro tempi. Qui gli in-contri sono articolati in tappe mensili ponendo al centro la domenica,recuperando il ruolo centrale che la famiglia ha nella comunicazionedella fede e offrendo ai bambini un’esperienza di fede, non una “le-zione”. Nella Parrocchia S. Maria del Carmine di Noicattaro (Ba) siè rilevato soprattutto il problema del rapporto tra IC e Messa dome-nicale che spesso viene abbandonata, da qui la proposta di tre itine-rari educativi che vanno vissuti in stretto accordo: liturgico (di paripasso con l’anno liturgico), catechistico (seguendo i catechismi CEI) ecaritativo (attraverso la testimonianza). Nella Parrocchia San Giusep-pe di Corato (Ba) lo scopo principale che ci si è proposti è quello delcoinvolgimento dei genitori, avvalendosi di una catechesi nella fami-glia tesa a far comprendere ai genitori che essi stessi sono i prota-gonisti nella comunicazione della fede. Nella Parrocchia Regina Pacisdi Lama (Ta) ci si è rivolti direttamente ai genitori per proporre unnuovo cammino di IC, un cammino di corresponsabilità che ha porta-to buoni frutti. Nella Parrocchia Sacro Cuore di Gesù di Andria (Bt)e Mater Domini di Mesagne (Br) già da qualche anno ci si è ispiratial cammino catecumenale sperimentato nella Diocesi di Trento. Ilcammino prevede un itinerario parallelo, di crescita spirituale, trabambini e genitori. Da ultime le sperimentazioni che si stanno svol-gendo nelle Arcidiocesi di Foggia-Bovino e di Taranto dove i progettidi Pastorale Catechistica sono improntati sullo stile dei primi cristia-ni e l’obiettivo della catechesi è vivere da cristiani.

Il filo conduttore che lega tutte le esperienze è senza dubbio quellodi proporre un cammino di IC a partire dai genitori. Sono gli adulti adaver bisogno, oggi come non mai, di riscoprire la fede e di imparare avivere da cristiani. La catechesi deve essere pensata per la famiglia econ la famiglia rendendo responsabili i genitori, in primis, dell’educa-zione alla fede dei propri figli. Le difficoltà sono innumerevoli e di di-versa specie. Siamo di fronte ad una svolta epocale, ad un cambia-mento di rotta e, come per tutti i cambiamenti di grande portata, siannunciano fatiche. Non c’è una ricetta, c’è solo la volontà unanime,della Chiesa tutta, a provare strade nuove, consapevoli che quelle vec-chie risultano ormai inadeguate per una reale iniziazione alla fede.

Maria SelvaroloUfficio Catechistico Diocesano

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Settimana biblica diocesana 2011

Insegnanti, docenti di religione, catechisti, animatori della pasto-rale della Diocesi di Andria si sono ritrovati tutti riuniti, più o menomotivati, intorno al libro per eccellenza, la Bibbia.

Quattro giorni di riscoperta della sua ricchezza e preziosità, par-ticolarmente in relazione alla vocazione dei laici nella Chiesa e nellasocietà, oggi. Personaggi biblici dell’Antico e Nuovo Testamento qualiEster, Giuditta, Giovanni Battista, il Discepolo Amato, sono stati pre-sentati in tutta la loro identità di membri dell’Antico e Nuovo Popo-lo di Dio (dal greco laos), il cui senso di appartenenza alla comunitàsi traduce in profonda solidarietà e unione indissolubile ad essa.

Ester e Giuditta, presentate dalla prof.ssa Vittoria D’Alario nellaprima serata, rappresentano una laicità ispirata ai valori della Sa-pienza. Due figure femminili alla cui bellezza è associata l’astuzia,che consente loro di prevalere sull’arroganza degli empi e sul potereottuso e irrazionale. Esse rappresentano il popolo d’Israele che si ri-conosce nei poveri e negli oppressi, perché sa che Dio è dalla loroparte.

Ester riesce ad evitare lo sterminio degli Ebrei facendo leva suisentimenti che il re nutre nei suoi confronti e sollecitando il suo or-goglio maschile. Al potere oppressivo Ester oppone la disobbedienzacivile (4,8.11). Ella non pensa all’interesse personale ma al suo popo-lo.

Giuditta è donna di coraggio, intraprendente, non si arrende difronte agli avversari dei suoi connazionali, rappresenta la protestacontro il totalitarismo politico-religioso.

Secolarità e religiosità si intrecciano nella loro personalità: prota-gonismo attivo nella storia di liberazione del loro popolo e costantepreghiera verso quel Dio che potenzia le loro doti naturali, la bellez-

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za e l’astuzia, consentendo loro di vincere contro la violenza e l’op-pressione.

Una laicità dunque impegnata nella storia del loro tempo, model-lo per la laicità nel nostro tempo a favore di una globalizzazione dalvolto più umano che non sia sistema di sopraffazione nei confrontidelle nazioni e delle popolazioni più deboli; a favore dei nuovi poverioggi: i giovani, gli anziani, gli stranieri; contro ogni forma di stermi-nio e genocidio presenti in alcuni paesi ancora oggi.

Ester e Giuditta ci indicano la strada per l’efficacia del nostro lai-cato: dalla preghiera la forza per contrastare il fatalismo e la rasse-gnazione alimentati nel nostro cuore dai fallimenti della politica edell’economia.

Riscoprire la vocazione laicale è riscoprire la nostra vocazione didiscepoli sotto il profilo della testimonianza: è ciò che il sac. prof. Ro-berto Vignolo ha sottolineato nella seconda serata.

La Bibbia è ‘Rivelazione attestata’. La testimonianza è l’animadella Parola, portata a compimento da Gesù. Nel vangelo di Giovan-ni due testimoni speciali: Giovanni Battista e il Discepolo Amato, le-gati a Gesù da uno speciale rapporto amicale. Il Discepolo che Gesùamava “stava ai piedi di Gesù sotto la croce”, con Maria, riceve daGesù la sua vocazione filiale, ma soprattutto è presente quando Gesùviene trafitto e dal suo costato esce acqua e sangue, frutto del sacrifi-cio di Gesù. Testimone è colui che è presente al posto giusto e al mo-mento giusto. L’acqua è lo Spirito, è l’idea che quel corpo morto è vi-vente. Dal trafitto, che esce intatto, dobbiamo uscire anche noi comefrutto della testimonianza. Tutto il quarto vangelo è un concerto ditestimoni del Risorto: Gesù, il Padre, lo Spirito, le Sacre scritture. Co-me con uno zoom sul corpo di Gesù ci avvicina a ciascuna delle suemembra (“guarderanno colui che è stato trafitto,…non gli sarà spez-zato alcun osso”), così con un grand’angolo ci fa fare un passo indie-tro e ci coinvolge tutti e la testimonianza diventa corale.

Giovanni Battista è il testimone che si relativizza di fronte allaverità, punta il dito verso Gesù e fa una marcia indietro (“Lui devecrescere, io diminuire”). Il testimone ha il coraggio di esistere in pri-ma persona, ma al contrario di quello che succede oggi nei dibattititelevisivi, non è il protagonista, è il contrario dell’essere autoreferen-ziale. Il testimone con un movimento ostensivo fa riascoltare la Paro-la che ha ricevuto, ha il coraggio di dire “Io ho visto e ho reso testi-monianza” e risveglia l’amore per la Verità.

Ogni cristiano è, dunque, testimone in relazione, in quanto mem-bro, con il corpo vivente della comunità. È nella Chiesa, corpo di Cri-sto, che ciascuno scopre e vive i propri carismi e ministeri. E’ propriosu questi che il sac. prof. Antonio Pitta ha focalizzato l’attenzione dei

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presenti. I carismi sono doni da porre al servizio della comunità cri-stiana. La Chiesa può trasformare il carisma in ministero. I ministe-ri non sono una concessione della gerarchia ma sono un diritto pro-mosso per l’utilità personale e comune. Carismi e ministeri non ecce-zionali, ma segnati dalla fatica del quotidiano e della normalità, quel-li più naturali quelli che risaltano dal nostro carattere, dono genero-so del Signore. Carismi non per esaltarsi, ma perché siano messi a di-sposizione di tutti. Bando a forme di verticismo nella fede e nelle re-lazioni con il Signore!

Conclude la settimana biblica l’intervento del sac. prof. SantiGrasso che con professionalità porta i presenti nell’analisi esegeticadella parabola degli operai mandati nella vigna (Mt 20, 1-16), fino acondurli di fronte ad un Dio che dà gratuitamente; non è il Dio del‘do ut des’, degenerazione interpretativa del mondo reale riportata suDio. È un Dio che chiama continuamente ‘operai’ nella sua vigna,simbolo non più solo di Israele ma di tutto il mondo, il cosmo; un Dioche ha a cuore la salvezza di tutti, ultimi e primi, cioè che vivano incomunione più profonda con il Padre. È questa la ‘ricompensa’ evan-gelica. I laici dunque chiamati, mandati nella Chiesa e nella societàcon la logica della gratuità e del dono contro quella del fare edell’avere.

Lella Buonvino

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La parola ai catechisti

Tutta la Chiesa evangelizza ed è missionaria anche quando agisceattraverso singole persone. Per evitare che il compito catechistico del-la Chiesa sia delegato o appaltato dal singolo in quanto tale, l’UfficioCatechistico Diocesano, per primo, fa suo il “mandato” di educare alsenso della comunione e della comunità. Da qui l’iniziativa di incon-trare nelle diverse zone pastorali i catechisti dell’iniziazione cristiana.L’obiettivo è stato quello di mettersi in ascolto gli uni gli altri per co-noscere e condividere i percorsi catechistici parrocchiali e creare unarete di rapporti.

La possibilità di essere stati presenti, in questi mesi, in diversecomunità parrocchiali ci ha permesso di apprezzare ancora di più iltanto lavoro semplice e quotidiano che viene svolto nelle parrocchie.La cosiddetta “pastorale ordinaria” è in molte comunità tutt’altro cheuno stanco e ripetitivo intrecciarsi di iniziative. C’è insomma tantavoglia di elaborazione e tanto desiderio di “innervare” l’annuncio delVangelo nella vita delle comunità.

L’incontro dei componenti dell’UCD con le comunità parrocchialiha costituito lo spazio visibile e l’occasione favorevole per condividereun sì grande servizio.

Siamo, infatti, convinti che l’ascolto è una dimensione essenzialenon solo dal punto di vista metodologico, ma anche come stile di re-lazioni e di collaborazione. Il compito dell’Ufficio Catechistico Dioce-sano è soprattutto quello di favorire un cammino unitario, nel rispet-to delle scelte e nello stesso tempo di valorizzare la ricchezza che siesprime nelle diverse realtà parrocchiali. È, pertanto, nostra intenzio-ne favorire la circolazione delle idee, la condivisione dei problemi edelle risorse nella convinzione che le persone con i loro bisogni e de-sideri costituiscono il centro dei percorsi formativi.

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Agli incontri zonali sono stati invitati a partecipare con i sacer-doti, i coordinatori parrocchiali della catechesi e i referenti parroc-chiali di ogni corso di catechesi di iniziazione cristiana.

Il calendario degli incontri è stato il seguente:

– 24.01.2011Minervino Murge c/o parrocchia B.V. Immacolata - ore 19.00;

– 31.01.2011:Canosa di Puglia c/o parrocchia Gesù, Giuseppe, Maria - ore 19.00;

– 07.02.2011:Andria (3ª zona) c/o parrocchia B.V. Immacolata - ore 19.00;

– 14.02.2011:Andria (2ª zona) c/o parrocchia S. Francesco d’Assisi - ore 19.00;

– 21.02.2011:Andria (1ª zona) c/o parrocchia SS. Sacramento - ore 19.00.

don Gianni Massaroe gli amici dell’Ufficio Catechistico Diocesano

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XIX Convegno Nazionaledell’Apostolato Biblico

Dal 4 al 6 febbraio si è svolta a Roma il XIX Convegno Naziona-le dell’Apostolato Biblico sul tema: Gesù Cristo centro delle Scritturenella prospettiva esegetica, teologica, catechistico-pastorale, liturgica.Vale la pena ricordare in questo contesto che lo scopo dell’ApostolatoBiblico, che è un settore dell’Ufficio Catechistico nazionale, è quello dipromuovere iniziative che valorizzino la presenza della Bibbianell’azione pastorale della Chiesa e che favoriscano l’incontro direttodei fedeli col testo sacro. Il settore biblico ha anche ricevuto un gran-de impulso dalla recente pubblicazione dell’esortazione apostolica po-stsinodale di Benedetto XVI Verbum Domini. Così il papa presental’animazione biblica della pastorale nel documento: «In tale linea, ilSinodo ha invitato ad un particolare impegno pastorale per fare emer-gere il posto centrale della parola di Dio nella vita ecclesiale, racco-mandando di incrementare la pastorale biblica non in giustapposizio-ne con altre forme della pastorale, ma come animazione biblicadell’intera pastorale. Non si tratta, quindi, di aggiungere qualche in-contro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abitualiattività delle comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni enei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale conCristo che si comunica a noi nella sua Parola» (Verbum Domini 73).

L’intento del convegno di quest’anno dell’Apostolato Biblico era dipresentare un tema che sta a fondamento della lettura cristiana del-la Bibbia: riconoscere che dietro ogni pagina della Scrittura c’è GesùCristo. Il tema è stato approcciato da quattro punti di vista: esegeti-co, teologico, catechistico-pastorale, liturgico. Per l’approccio esegeticoil primo giorno di convegno ci sono state due relazioni. La prima didon Claudio Doglio, biblista della Facoltà Teologica dell’Italia setten-trionale, che è partita dalla diatriba fra i Giudei e Gesù nel capitolo

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5 del Vangelo di Giovanni per mostrare come le prime comunità cri-stiane hanno vissuto il rapporto fra la rivelazione di Cristo e quellaveterotestamentaria, attraverso il metodo della rilettura delle Scrittu-re ebraiche alla luce di Cristo. Suor Benedetta Rossi, docente adArezzo, nella seconda relazione, ha presentato alla luce di alcuni bra-ni della Scrittura, un esercizio di lettura cristiana del testo sacro po-nendo in evidenza la qualità profetica della Scrittura, capace di su-scitare domande di senso. La prima giornata di convegno si è con-clusa con una lectio divina guidata da don Pasquale Giordano, bibli-sta di Potenza. La seconda giornata si è aperta con la riflessione teo-logica del gesuita Paolo Gamberini, professore di Cristologia alla Fa-coltà Teologica dell’Italia meridionale, sulla centralità della persona diCristo alla luce della tradizione dogmatica e della recente ricerca teo-logica. Il pastoralista don Cesare Pagazzi, docente a Milano, inveceha svolto una relazione sulla portata educativa del canone delle Scrit-ture che aiuta a tenere sempre presente l’importanza dell’inizio e del-le singole biografie da collocare nel contesto complessivo. Il pomerig-gio del secondo giorno di convegno è stato dedicato al racconto dellevarie esperienze di Apostolato Biblico presente in Italia e al lavoro dilaboratorio sul tema: “Dal Mosè della Torah al Cristo del Discorsodella montagna” guidato dal biblista don Giovanni Giavini. La gior-nata si è conclusa con la presentazione della miscellanea in onore didon Cesare Bissoli, responsabile e anima dell’Apostolato biblico nazio-nale. Nell’ultimo giorno c’è stata la relazione del liturgista AndreaGrillo sulla centralità di Cristo nella liturgia, dove la parola nella di-namica simbolico-rituale trova compimento. Il convegno si è conclusocon l’Eucaristia domenicale presieduta da don Guido Benzi, direttoredell’Ufficio Catechistico Nazionale.

Il convegno è stato l’occasione per prendere sempre più consape-volezza che la Parola di Dio è una Persona, è Gesù Cristo, una con-sapevolezza che deve sempre guidare ogni iniziativa dell’ApostolatoBiblico.

don Sabino MennuniUfficio Catechistico diocesano

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Restare nella speranza.XIX Giornata dei Missionari Martiri

UFFICIO PER L’ATTIVITA MISSIONARIA

“Spero di avere la stessa fortuna, grazia e coraggio di morire peril Signore. Ci sono molti modi per morire: l’importante è dire sì aquello che ti manda Dio”.

Con queste parole, don Andrea Santoro, sacerdote “fidei donum”assassinato nel 2006 nel Nord-Est della Turchia, spiega molto bene iltema della giornata di preghiera e di digiuno per i missionari marti-ri. Dicendo “sì”, collaboriamo al progetto di Dio e quindi la speranzadi un mondo migliore si fa più forte!

Il tema della speranza è molto caro alla Chiesa in questi ultimitempi. Già nel 2008, il Papa nel Messaggio per la giornata missiona-ria mondiale, richiamando l’Enciclica “Spe salvi” si domandava: “C’èsperanza per il futuro, o meglio, c’è un futuro per l’umanità? E comesarà questo futuro? La risposta a questi interrogativi viene a noi cre-denti dal Vangelo. È Cristo il nostro futuro e, come ho scritto nellaLettera enciclica “Spe salvi”, il suo Vangelo è comunicazione che“cambia la vita”, dona la speranza, spalanca la porta oscura del tem-po e illumina il futuro dell’umanità e dell’universo”.

Come si può parlare di speranza nel giorno in cui preghiamo peruomini e donne, consacrati e laici, che dopo 2000 anni continuano amorire a causa del Vangelo? Il martirio, infatti, mostra sempre duefacce: la violenza e il dono. A trasformare una morte violenta in mar-tirio è la verità per la quale il testimone subisce violenza. Esseremartiri è molto di più di una semplice proclamazione della verità: im-plica dedizione, appartenenza, coinvolgimento di tutto se stessi finoalle estreme conseguenze.

Il martirio, quindi, non è un’interruzione della vita ma una testimo-nianza portata in pienezza. Non è la morte che ci istruisce ma la vita!Il martire non sceglie la morte, ma un modo di vivere, come Gesù!

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Il martire diviene non l’eroe ma il segno concreto dell’amore diDio per l’uomo. Tutta la vita dell’uomo deve diventare “segno e fontedi speranza”!

L’invito, quindi è di “restare nella speranza”, cioè a “stare nelle co-se”. Si può portare speranza solo se si vivono le situazioni con la pas-sione e l’amore…mettendo in conto anche la sofferenza!

Missio ha invitato: le COMUNITÀ parrocchiali– ad utilizzare la veglia, la via crucis, l’adorazione eucaristica, per

vivere momenti di preghiera non solo il 24 marzo ma anche neigiorni precedenti o successivi;

– a creare in Chiesa l’angolo del martirio utilizzando una croce, undrappo rosso (che potrebbe essere esposto anche davanti alla portaprincipale), un ramo d’olivo con i nomi delle missionarie e dei mis-sionari uccisi;

– a suonare le campane alle ore 15,00 del 24 marzo per invitare al-la meditazione sul sacrificio di Cristo e delle tante donne e uomi-ni di buona volontà;

– a piantare un albero per fare memoria di quanti hanno dato tut-to per amore;

le FAMIGLIE– ad accendere un cero rosso sul davanzale della finestra o ad

esporre un drappo rosso, – a compiere un gesto di riconciliazione: tra marito e moglie, tra ge-

nitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra vicini di casa, tra membridella stessa famiglia, etc.;

– ad offrire l’offerta del digiuno per sostenere il progetto di solida-rietà proposto da Missio;

gli AMMALATI e i SOFFERENTI– ad unire ed offrire la loro sofferenza in memoria delle missionarie

e dei missionari uccisi per l’annuncio del Vangelo, per sostenere illavoro apostolico di quanti operano in ogni angolo della terra e perchiedere al Signore il dono di sante e numerose vocazione missio-narie;

– a sottoscrivere l’atto di offerta della sofferenza;

i GIOVANI– A visitare, singolarmente o in gruppo, l’ospedale, una casa di ri-

poso, il carcere, gli ammalati o anziani soli in casa, etc.;– a donare il proprio sangue;– ad offrire l’offerta del digiuno per sostenere il progetto di solida-

rietà proposto da Missio.

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QUADRO RIASSUNTIVOdei missionari uccisi nel 20101 Vescovo; 15 Sacerdoti (13 diocesani; 1 OFM; 1 OFM Conv); 1

Religioso (SDB); 2 Seminaristi (1 SJ); 1 Religiosa; 3 Laici.Paesi di origine: Asia 5 (2 Cina, 2 Iraq, 1 India); America 14 (5

Brasile, 3 Colombia, 2 Messico, 1 Perù, 1 Stati Uniti,1 Portorico, 1Haiti); Africa 2 (1 R.D.Congo; 1 Togo); Europa 2 (1 Italia, 1 Polonia).

Luoghi della morte: Asia 6 (2 Cina, 2 Iraq, 1 India, 1 Turchia);America 15 (5 Brasile, 3 Colombia, 2 Messico, 2 Perù, 1 Venezuela,1 Haiti, 1 Ecuador); Africa 2 (2 R.D.Congo).

MISSIONARI MARTIRI ITALIANIS.E. Mons. Luigi Padovese nato a Milano il 31 marzo del 1947 fa

la prima professione nei frati cappuccini il 4 ottobre del 1965 ed esat-tamente 3 anni dopo quella solenne.

L’11 ottobre 2004 viene nominato Vicario Apostolico dell’Anatoliae vescovo titolare di Monteverde. Viene consacrato a Iskenderun il 7novembre dello stesso anno.

E stato ucciso il 3 giugno a coltellate dal suo autista nella suaabitazione a Iskenderun (Turchia).

don Riccardo TaccardiDirettore Ufficio Missionario diocesano

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Oratorio in cantiere

SERVIZIO DI PASTORALE GIOVANILE

Domenica 23 gennaio presso la Parrocchia Cuore Immacolato diMaria si è svolta la seconda esperienza di formazione per tutti coloroche svolgono il loro servizio negli oratori della nostra diocesi.

Lo scorso anno si era pensato di proporre una “due giorni” (8 e 9Maggio), dove presentare non solo la proposta estiva Party nel Mon-do, ma anche vivere alcune esperienze laboratoriali su alcuni ambitisignificativi dell’azione pastorale oratoriana.

Mantenendo la stessa finalità, quest’anno come Coordinamento,abbiamo voluto distinguere le due proposte, riservando esclusivamen-te alla formazione degli animatori, proprio la data del 23 gennaio.

Tale attenzione si coniuga con i nuovi orientamenti pastorali dal-la Chiesa italiana per i prossimi dieci anni: “Educare alla vita buonadel Vangelo”. Infatti al n. 42 si legge:

“Un ambito in cui tale approccio ha permesso di compiere passi si-gnificativi è quello dei giovani e dei ragazzi. La necessità di rispon-dere alle loro esigenze porta a superare i confini parrocchiali e ad al-lacciare alleanze con le altre agenzie educative. Tale dinamica incideanche su quell’espressione, tipica dell’impegno educativo di tante par-rocchie, che è l’oratorio. Esso accompagna nella crescita umana e spi-rituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando lo-ro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorioesprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegnaanimatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ra-gazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e ilsuo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani:aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio.”

La giornata, cominciata con una “calda accoglienza” preparata dal-la comunità ospitante, è stata organizzata grazie all’apporto e il con-

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tributo di un gruppo di formatori salesiani, a cui ancora una voltavolgiamo il nostro più sentito ringraziamento.

La proposta è stata strutturata secondo due livelli: il primo livelloriproponeva tre laboratori legati a tre ambiti dell’ oratorio (Il Gioco,L’animazione, il Teatro), mentre il secondo livello, monotematico, af-frontava la valenza educativa del gioco.

La strutturazione in due livelli, vuole proprio richiamare la gra-dualità del cammino, che si sostanzia di tappe e momenti. Infatti, ènel nostro intento mantenere stabile la proposta del primo livello,mentre sarà nostro impegno andare a modulare anno dopo anno, un’attenzione diversa tra gli svariati aspetti che riguardano l’ oratorio.

La formazione cristiana non può definirsi tale se non parte e giun-ge all’ Eucarestia, fonte e culmine di ogni azione ecclesiale. Ecco per-ché al centro della giornata tutti siamo confluiti attorno alla mensadel Signore per essere con – formati dalla sua Parola e nutriti dalsuo Corpo.

C.O.R.D.A.(Coordinamento Oratori Estivi Riuniti Diocesi di Andria)

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“Onora tuo padre e tua madre”.Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo

del dialogo tra Cattolici ed Ebrei

UFFICIO PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

Nel 2011 continuerà la comune riflessione sulle “Dieci Parole”, cheanche il Santo Padre ha incoraggiato in occasione dell’incontro di Ro-ma nella Sinagoga Maggiore. Egli, parlando del Decalogo, l’ha defini-to “… un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un“grande codice” etico per tutta l’umanità”. Il verso riportato nella Bib-bia CEI afferma “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghi-no i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio”, dove la ra-dice del verbo Kabad, (onora) in ebraico, contiene l’idea che “ciò checonta, che pesa, che si manifesta e deve contare agli occhi di tutti,deve essere riconosciuto e manifestato a causa del suo valore emi-nente”.

La quinta parola è, dunque quella che riconosce una situazioneprivilegiata dei genitori, dando loro il giusto valore. Sono, infatti, conil loro amore, strumenti di Dio come fonte di vita e insieme garantidi quella filogenesi che unisce, con un filo invisibile, ma continuo, tut-te le generazioni precedenti.

Secondo Abulafia, uno dei più grandi maestri di Kabbalah maiesistiti, si possono fare delle ricerche cabalistiche su parole non inebraico e collegarle con l’ebraico.

Il rapporto padre-madre, che genera il figlio è un legame di amo-re che in ebraico si scrive:

ALEF – MEM – VAV – RESH – ALEFLe prime due lettere, Alef-mem; formano la parola E M, madre.

La madre è il primo esempio d’amore che riceviamo, oltre che rico-nosciuta come la diade fra le più significative delle relazioni. Poichéoriginaria, l’individuo, il figlio in questo caso, può emanciparla o ar-restarla in un rapporto simbiotico, responsabile in futuro di numero-se manifestazioni nevrotiche e psicotiche. Il padre, invece, consenten-

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do al bambino il passaggio dal registro del bisogno pressante verso lamadre, a quello del desiderio, prepara e trova in seguito la suaespressione nella domanda dell’Altro da sé e nella separazione sim-biotica, necessaria alla crescita. Come unità sociale istituzionalizzata,la famiglia entra nel gioco delle responsabilità e deresponsabilizzazio-ni di cui è gravido il vissuto psichico dell’individuo, con le sue parti-colarità, la sua visione del mondo o le sue eventuali anomalie. Sem-pre nella Kabbalah l’unione Adamo-Eva, prima famiglia al mondo, èesaminata sommando i valori numerici dei rispettivi nomi.Adamo+Eva=64 (45+19). Questo numero è importante dal punto di vi-sta cabalistico, perché:1) 64 sono i percorsi dell’Albero della Vita dall’alto in basso (32) e

dal basso in alto (32).2) 64 è anche 8x8 dove 8 è l’infinito, altro numero di Dio. E’ il qua-

drato dell’immortalità.3) 64 sono i codici unici del DNA (4x4x4).4) 64 sono gli esagrammi dell’I Ching Cinese.

Mentre la Cheit, iniziale di Chavà, Eva, è formata da due lettereche sono la Zain e la Vav.

Simbolicamente esse rappresentano la consapevolezza superiore(Zain) e il processo di discesa graduale (Vav) che vanno unite per da-re vita e forma alla Cheit. La forma della Cheit ricorda inoltre il bal-dacchino nunziale dei matrimoni ebraici,quindi un’unione sacra e l’ini-zio di una nuova vita, legata ai comandamenti precedenti dall’adora-zione del Dio unico, Padre per eccellenza. I genitori sono, quindi, atitolo speciale l’immagine di Dio, nei suoi aspetti paterni (Cfr. Os11,1-4; Is 63,16; Ger 3,19…) con un cuore di madre (Cfr. Is 49,15; Os11,8; Ger 31,20).

Ecco perché la trasgressione di questo comandamento era punitaseveramente. Nel codice d’Alleanza troviamo le prescrizioni: “Chi bat-te suo padre o sua madre, costui sia messo a morte. Chi malediscesuo padre o sua madre, costui sia messo a morte” (Es 21,15.17). Nellibro del Deuteronomio, il disprezzo dei genitori viene annoverato trai delitti degni di maledizione. (Dt 27,16). Anche il libro dei Proverbitratteggerà in modo negativo, l’atteggiamento sprezzante verso i ge-nitori “Chi rovina il padre e fa fuggire la madre è un figlio disono-rato e infame”. (Pr 19,26), oppure in Pr 20,20 “Chi maledice il padree la madre vedrà spegnersi la sua lucerna nel cuore delle tenebre”, èlegato alla seconda parte del versetto: “…perché si prolunghino i tuoigiorni…”.

La promessa di benedizione si può spiegare come richiamo alla ne-cessità che il futuro del popolo di Dio, dipenda da famiglie sane,

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amanti dei genitori e delle tradizioni. Tra l’altro nella struttura so-ciale di quel tempo solo la generazione successiva poteva prendersicura della precedente, quando ormai l’invecchiamento e le forze affie-volite, dovevano necessariamente contare sui figli e sul rispetto, l’ono-re e l’affetto che a loro si doveva. Nella Bibbia fra l’Antico e il Nuo-vo Testamento ci sono esempi mirabili di queste situazioni, che noncito per esteso per motivi di spazio, ma dal libro di Tobia, magnificoesempio di amore filiale, all’Eccl. 3,2-16 alle parole di Gesù in Mat-teo 15,4-6; o Marco 7,10-13 o a quelle parole di S. Paolo in Ef 6,1; oCol 3,20 sono tutti insegnamenti che spingono in un’unica direzione.Il “vivere per lunghi giorni” dove la vita è il bene primario, è assi-curato dall’osservanza delle Dieci parole, incise sulla pietra dal ditodi Dio, per amore dell’uomo. “Quando il Signore ebbe finito di parla-re con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimo-nianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio” (Es 31,18).

Porzia QuagliarellaDelegato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso

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Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani

Il mese di gennaio ci ha riportato all’appuntamento annuale conla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, un’iniziativa ecu-menica, che si è andata strutturando ormai da oltre un secolo, e cheattira ogni anno l’attenzione su un tema, quello dell’unità visibile trai cristiani, che coinvolge la coscienza e stimola l’impegno di quanticredono in Cristo. E lo ha fatto innanzitutto con l’invito alla preghie-ra, ad imitazione di Gesù stesso, che chiede al Padre per i suoi di-scepoli “Siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21).

Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione trai cristiani manifesta l’orientamento più autentico e più profondodell’intera ricerca ecumenica, perché l’unità, prima di tutto, è dono diDio (cf UR 24).

Pertanto, oltre al nostro sforzo di sviluppare relazioni fraterne epromuovere il dialogo per chiarire e risolvere le divergenze che sepa-rano le Chiese e le Comunità ecclesiali, è necessaria la fiduciosa econcorde invocazione al Signore.

Il tema di quest’anno è stato preso da At 2,42-47, in particolaredal primo versetto, il v. 42: “Essi ascoltavano con assiduità l’insegna-mento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavanoalla Cena del Signore e pregavano insieme”.

La proposta del tema e la preparazione del Sussidio sono state de-mandate dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cri-stiani, in accordo con la Commissione Fede e Costituzione del Consi-glio Ecumenico delle Chiese, alle Chiese cristiane di Gerusalemme,che hanno voluto così richiamare i quattro elementi peculiari e fon-damentali della comunità cristiana originaria come essenziali alla vi-ta di ogni comunità cristiana, chiamata - ovunque essa si trovi - a ri-vivere il tempo in cui la Chiesa era unita.

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Il brano è uno dei sommari che punteggiano la prima parte del li-bro degli Atti: 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16; 5,42; 6,7-8; 8,lb-4.

I «sommari» sono testi narra tivi in cui vengono generalizzati unaserie di com portamenti che l’autore presenta come diffusi e reiterati,ta li da caratterizzare non questo o quel momento della vita di un or-ganismo, ma la sua stabile costituzione. Luca alterna, particolarmen-te nella prima parte degli Atti, dal cap. 1 agli inizi del cap. 8, testiriassuntivi e generalizzanti con narrazioni di singoli episodi: somma-ri e racconti, con lo scopo di offrire un’im magine esemplare dellaChiesa di sempre e della sua missione, un modello di Chiesa che pos-sa valere perennemente, ancorando lo ai suoi caratteri fondamentali.

Ma non tutti i sommari hanno la stessa importanza. Dal confron-to emerge chiaramente che il sommario che chiude il c. 2 del libro hauna parti colare rilevanza. La sua collocazione iniziale, la sua esten-sione, il suo rapporto con il contenuto dei som mari successivi lascia-no emergere come At 2,42-47 sia da intendersi quale nucleo generato-re dei successivi sommari e quindi di tutta la narrazione, almeno deiprimi sette capitoli degli Atti. Con un’espressione provocatoria, po-tremmo dire che tutto il libro degli Atti, o almeno la sua prima par-te, è contenuto nei sei versetti finali del c. 2.

Va tenuto presente che la comunità che Luca descrive nasce dal-lo Spirito (Pentecoste: At 2,1-13) e dalla Parola (Discorso di Pietro:2,14-41), una comunità che vive e si regge su quattro strutture por-tanti: insegnamento e comunione (didaché e koinonìa), frazione del pa-ne e preghiere.

C’è una profonda unità e una coesa dinamica tra queste quattrostrutture portanti della vita cristiana. La fede, continuamentealimenta ta dall’ascolto della Parola, è il fondamento di quel l’unità dicuori che si esprime anche nella condivisio ne dei beni per la solida-rietà verso i bisognosi. È la stessa comunione che si esprime e si ali-menta nella frazione del pane ed è la condizione per presentarsi difronte al Padre nelle preghiere.

La medesima fede alimenta la gioia che scaturisce dall’esperienzadella salvezza escatologica, assicurata dalla presenza del Ri sorto, checonvoca tutti all’unità e alla perseveranza.

In quella comunità i cristiani di ogni tempo e di ogni luogo sonochiamati a riconoscere la propria origine e il proprio modello e a ri-scoprire i valori che tennero uniti i primi cristiani di Gerusalemme.Guardando alla Chiesa madre di Gerusalemme siamo chiamati a rin-novare il nostro impegno perché “la nostra testimonianza possa, comequella dei primi cristiani, essere visibile e costituire un modo di es-sere obbedienti alla preghiera di Gesù “che tutti siano una cosa sola”(Gv 17,21)” (cf Sussidio, p. 6).

Mons. Michele LenociDelegato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso

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Giornata di formazione degli Insegnanti di Religione

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

UFFICIO PER LA PASTORALE SCOLASTICA

“Educare alla vita buona del vangelo”, è la proposta pastorale deiVescovi italiani per il decennio 2010-2020 intorno alla quale circaquaranta docenti di Religione, fedeli laici della diocesi, guidati dal Di-rettore dell’Ufficio scuola mons. Michele Lenoci , si sono fermati a ri-flettere per una giornata di formazione spirituale e professionale.

Educare a una umanità nuova e piena, promuovendo la ricerca,l’apertura e il confronto con l’Uomo “più”, Gesù, vero Dio e vero uo-mo, è la motivazione di fondo, la forza interiore su si poggia il nostrolavoro di docenti di religione tra generazioni che globalmente defini-rei del ‘senza senso’, individualisti, mediocri, resistenti ad interrogar-si su se stessi, sulla vita, che non cercano il ‘più’, in una scuola sem-pre più difficile, complessa e faticosa da gestire.

Il Papa ci incoraggia in questa direzione in quanto riconosce chel’educare oggi assume caratteristiche più ardue visti gli insuccessi de-gli sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli al-tri e di dare un senso alla propria vita.

Il Vangelo ci mette in contatto con Cristo, maestro e pedagogo,modello di educatore che parla all’intelligenza e scalda il cuore; allasua scuola scopriamo il nostro specifico di educatori: essere non tantosolo adulti, quanto piuttosto dei “risorti”, cioè persone che conosconola vita, nelle sue contraddizioni, ma che avendo sperimentato la ri-surrezione conoscono la speranza, e in sé una certezza li anima: la vi-ta vincerà, non il male! L’educatore ‘risorto’ affronta la realtà, maeduca attraverso la realtà che sa leggere con gli occhi della risurre-zione.

Di fronte a chi è convinto di ciò che sa, a chi si chiude nelle cer-tezze che non mette mai in discussione (Saulo sulla via di DamascoAt 9, 1-22; At 26,9-11), l’educatore è colui che cammina accanto, pre-

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VITA DIOCESANA

ga che qualcosa accada, e consola, aiuta quando le certezze vengonomeno e le menti sono confuse.

Di fronte a uomini dallo stato d’animo incerto, che vanno versouna ‘non meta’ (i discepoli di Emmaus in Lc 24, 13-35), che hannosolo deciso di evadere, e che vivono senza risurrezione nel grigioredella vita , l’educatore conforme a Gesù resta vigile nei confronti de-gli affanni degli uomini con quel sentimento di compassione che fasentire sulla propria pelle il dolore degli altri, cammina accanto, li la-scia esprimere, ascolta, coglie le loro domande profonde, rispetta i tem-pi di crescita, tocca e risveglia il loro cuore e la loro intelligenza, par-la di sé, della propria verità, quella verità che riguarda se stesso eprende la sua vita, fa crescere il desiderio di credere, di aprirsi, diavere fiducia, il bisogno di un “più”, di una meta alta, la comunionecon Dio nell’amore.

Da educatori “risorti” a educatori “eucaristici”.

Lella Buonvino

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Quale ministerialità e partecipazionedei laici nella liturgia

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

UFFICIO LITURGICO

Quale ministerialità e partecipazione dei laici nella liturgia, èstato il tema del Convegno diocesano organizzato dall’Ufficio Litur-gico nei giorni 17 e 18 novembre, presso l’Auditorium dell’OratorioS. Annibale Maria Di Francia in Andria, inserendosi pienamente nelsolco del programma pastorale di quest’anno. A provocare la rifles-sione dei 300 partecipanti, provenienti dalle Parrocchie, Associazio-ni e Movimenti ecclesiali, sono state le magisteriali relazioni delProf. Andrea Grillo, Docente di Liturgia presso l’Anselmianum diRoma e dell’Istituto di liturgia pastorale di Padova, e della Profes-soressa Suor Antonella Meneghetti, Docente di Liturgia pressol’Auxilium di Roma.

Dalle relazioni è emersa l’importanza della ministerialità delle enelle nostre assemblee liturgiche, intesa non in senso funzionale, ma“diaconica”, cioè un servizio reciproco che oltre a orientare all’incon-tro con Cristo, diventa epifania della Chiesa come popolo tutto mini-steriale, caratterizzato dal comando dell’amore e che nelle azioni li-turgiche indossa non solo i paramenti dello splendore, come pallido ri-flesso dell’abbassamento della Bellezza (la Kenosi della Bellezza), maanche il grembiule del servizio, come testimonianza della Bellezzadell’abbassamento (la Bellezza della Kenosi).

Dunque, non una riflessione tecnico-rubricistica sui ministeri isti-tuiti e di fatto, ma un cogliere il senso profondo ed anche testimo-niale della ministerialità nella Chiesa.

Il Convegno ha ridestato in tutti i partecipanti il desiderio profon-do di ridare slancio alla ministerialità nella Chiesa, ma anche la con-vinzione della necessità di un percorso formativo, per giungere al ser-vizio liturgico purificati da ogni tentazione di protagonismo.

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A servizio di tale desiderio di formazione si pone l’Ufficio Liturgi-co diocesano, programmando incontri laboratoriali all’interno delle Zo-ne Pastorali.

Di fatti sono stati calendarizzati gli incontri di approfondimento(10 e 11 gennaio; 3 e 4 febbraio 2011), che hanno avuto come obiet-tivo fondamentale quello di riqualificare laddove ci sono e di impian-tare dove mancano i Gruppi liturgici parrocchiali, intesi come formadi corresponsabilità laicale nella preparazione e animazione dellecelebrazioni liturgiche.

Agli incontri è stata proposta una lezione sul senso e sui compitidel Gruppo Liturgico, a seguire una simulazione sul come è chiama-to ad operare un Gruppo Liturgico, nel quadro della riscoperta delladignità e della missione dei laici nella Chiesa in ambito liturgico.

E tutto con l’augurio che le nostre assemblee liturgiche esprimanoin pienezza la loro identità di popolo adunato dal Padre, dal Figlio edallo Spirito, che celebra le meraviglie di Dio nella multiforme varietàdei carismi e dei ministeri.

don Ettore LestingiUfficio Liturgico diocesano

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XX rapporto sull’immigrazionedella Caritas italiana e della Fondazione Migrantes

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CARITAS

È stato presentato di recente il XX Rapporto sull’Immigrazione diCaritas Italiana e della Fondazione Migrantes, l’attento lavoro chemonitora annualmente la situazione dell’immigrazione. Non è un ca-so che il titolo che il rapporto riporta quest’anno è lo stesso di quel-lo che riportava il primo anno; L’iniziativa esprimeva la sensibilitàdella comunità ecclesiale nei confronti di un “segno dei tempi” nelquale si configuravano le linee del cambiamento in atto in Italia, inEuropa e nell’intero contesto mondiale (ci troviamo all’inizio degli an-ni ’90). Il Dossier suscitò subito grande interesse. Questa prima rac-colta organica dei dati statistici andava incontro alle esigenze deglioperatori sociali, dei funzionari pubblici e dei giornalisti, tant’è chenel giro di pochi mesi si rese necessaria una ristampa. Sono aumen-tate man mano le pagine del rapporto, che ha suscitato spesso l’ap-prezzamento di altri paesi europei dove non è disponibile un sussidiocosì completo. In Italia, invece, è stata avvertita talvolta una reazio-ne di disappunto, quasi che la Chiesa cattolica abbia praticato unasorta di invasione di campo occupandosi delle statistiche sull’immi-grazione. In realtà questa ricerca, nata per rimediare a una carenza,non è avulsa dai compiti pastorali, perché la missione della Chiesa sicompone sia di evangelizzazione e testimonianza della fede cristiana,sia di promozione umana e sostegno sociale. Con questo progetto cul-turale è stato messo a disposizione un sussidio di larga diffusione perfavorire una conoscenza del fenomeno migratorio libera da pregiudiziculturali e contrapposizioni partitiche. Di fondamentale supporto èstata la rete di migliaia di operatori pastorali, a loro volta collegaticon altre realtà sociali e di ricerca. È stata questa la base che haconsentito di arricchire di contenuti l’osservazione sulle dimensioninazionali e regionali del fenomeno migratorio e di far sentire il Dos-

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sier come un prodotto a disposizione di tutti.Questo ventesimo anniversario cade in una fase complessa e pro-

blematica come attestano i tre concetti che si sono scelti di argomen-tare (crisi, criminalità e integrazione), i quali costituiscono un ricor-rente motivo di contrapposizione tra gli italiani e di avversione agliimmigrati e sui quali il Dossier, con i suoi numeri, cerca di apporta-re elementi di chiarezza.

In questi 20 anni la popolazione immigrata è cresciuta di quasi 10volte, arrivando alla soglia di 5 milioni, ma insieme al numero degliimmigrati sono aumentate anche le chiusure.

L’immigrazione e la crisi economico-occupazionaleA predisporre negativamente la popolazione verso la presenza im-

migrata sono gli effetti in Italia della crisi mondiale: è il nostro si-stema economico a trovarsi in difficoltà e alla luce degli effetti dellacrisi bisogna chiedersi se gli immigrati, che contribuiscono alla pro-duzione del Prodotto Interno Lordo per l’11,1% siano il problema onon piuttosto un contributo per la sua soluzione.

E il fattore criminalità? 1. la criminalità in Italia è aumentata in misura contenuta negli ul-

timi decenni, nonostante il forte aumento della popolazione stra-niera, e addirittura è andata diminuendo negli anni 2008 e 2009;

2. il ritmo d’aumento delle denunce contro cittadini stranieri è mol-to ridotto rispetto all’aumento della loro presenza, per cui è infon-dato (e non solo per il Dossier) stabilire una rigorosa corrispon-denza tra i due fenomeni;

3. il Rapporto del Cnel ha mostrato che il tasso di criminalità adde-bitabile agli immigrati venuti ex novo nel nostro paese, quelli sucui si concentrano maggiormente le paure, è risultato, nel periodo2005 - 2008, più basso rispetto a quello riferito alla popolazionegià residente;

4. il confronto tra la criminalità degli italiani e quella degli stranie-ri, ha consentito di concludere che gli italiani e gli stranieri in po-sizione regolare hanno un tasso di criminalità simile.Queste linee interpretative non devono portare ad “abbassare la

guardia”, bensì a vincere i preconcetti e a investire maggiormente sul-la prevenzione e sul recupero.

Immigrazione e pari opportunità: un binomio irrinunciabileL’immigrazione e l’integrazione devono andare di pari passo. Il

Governo ha proposto un piano per l’integrazione nella sicurezza e neldocumento vengono individuati 5 assi di intervento: l’educazione el’apprendimento, dalla lingua ai valori; il lavoro e la formazione pro-

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fessionale; l’alloggio e il governo del territorio; l’accesso ai servizi es-senziali; l’attenzione ai minori e alle seconde generazioni. Si insisteinoltre, sugli aiuti allo sviluppo, progressivamente ridotti in Italia aun livello veramente minimo, oltre che sulle migrazioni a carattererotatorio e sui rientri. Ma, intanto, è andata radicandosi la convin-zione, supportata dai dati, che l’immigrazione stia acquisendo un ca-rattere sempre più stabile. Nel 2009, tuttavia, il Fondo nazionale perl’inclusione sociale è rimasto sprovvisto di copertura e questa caren-za, oltre tutto in fase di crisi economica, di certo non aiuta l’inte-grazione, anzi continua a essere più difficoltoso per gli immigratil’accesso ai servizi. Integrazione e pari opportunità, quindi, devonoandare di pari passo, in un intreccio di doveri ma anche di diritti.

Il “Dossier Statistico Immigrazione” della Caritas e della Fonda-zione Migrantes da 20 anni si batte per diffondere questa culturadell’altro: l’ampliamento di questa campagna di sensibilizzazione saràuna maniera molto concreta per preparare l’Italia del futuro.

Simona Inchingolo

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Un libro-testimonianza di Santa Porrosu un “campo-lavoro” in Egitto

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Copie vendute a scopo benefico, al fine di sollecitare e promuove-re il programma di educazione interculturale avviato dalla comunitàcomboniana in Egitto, animato da suor Annamaria Sgaramella. Que-sto è stato il lavoro di cui Santa Porro, insieme con la collaborazionedi quanti hanno condiviso la proposta della Caritas diocesana, si èfatta promotrice nonché portavoce esemplare. La sua eco la si avver-te forte, prorompente. Le gole del deserto dorato pullulano di speran-za, profumano di sogni, attendono risposte concrete. La Caritas dioce-sana, impegnata nel “campo missione” in Egitto ha confermato la suaproposta, credendo sempre più in un impegno che racconta a noi tut-ti l’esigenza di una fraternità universale. Sacerdoti della nostra Dio-cesi insieme a giovani e una coppia di coniugi, si sono immersi nelleacque di quel “fiume lento”, il Nilo, che con il suo sciabordio melo-dioso, li ha condotti in una della peregrinazioni più toccanti, capacedi far vibrare le corde del cuore. Poiché, l’Egitto, non è solo la realtàfaraonica che conosciamo, realtà che ammalia, che incanta e stupisce.L’Egitto possiede anche una fetta di mela marcia, ingiallita, corrosadalla povertà, dalla fame, dal disagio, dalla violenza, dalla precarietàe dalla corruttela dell’animo umano. Un paesaggio, quello del Cairo,con strade non asfaltate, bambini dai volti già adulti e dalle manibianche intinte di calce, donne dal volto rigorosamente coperto, quasia voler velare e mal celare quel dolore che serpeggia dentro. Ed in-tanto sorge l’aurora e all’imbrunire cala la notte…e il fiume continuaa scorrere lento. Tra i rifiuti si trova la ricchezza. Gli avanzi dellasocietà benestante, diventano “pane quotidiano” da spezzare alla men-sa dei più poveri, dei diseredati, delle vittime della violenza e del con-sumismo. Il gruppo dei volontari, impegnato nella costruzione e ma-nutenzione di una scuola per bambini, riscopre ogni giorno al sorger

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del sole, la sua collocazione nel mondo. Stendere pennellate su pen-nellate, allestire l’ambiente, creare spazi idonei adibiti all’insegna-mento e alla cultura, rendono ricche di gioia le giornate. Vince la col-laborazione, viene premiato l’impegno, e i piccoli gesti paiono donimeravigliosi. La riconoscenza non ha eguali, la gratitudine della gen-te del posto commuove. Collaborare al fine di raggiungere obiettiviche nobilitano l’animo umano, permette di guardare oltre i meandridella crudeltà e della miseria, malattie queste che incancreniscono isentimenti. L’Egitto che vive nell’agio e nello sfarzo, pare non avereocchi per quella parte di umanità sofferente. Gli alti palazzi grigi e ilfumo denso delle ciminiere, paiono annebbiare gli spiriti di quanti vi-vono adagiati su baldacchini color rosso porpora. Altro è il senso del-la vita piena e vera, quella dello spirito. Ciascun uomo è solo di pas-saggio. Siamo matite nelle mani del Signore, è Lui Colui il quale avràpremura nel delineare il nostro ritratto. Basta lasciare le redini epercorrere il fiume, qualunque sia il suo corso. Tutto deve vivere infunzione di Lui e per Lui. Siamo cittadini chiamati a rendere questomondo migliore, debellando ogni sorta di violenza o forma di razzi-smo. Siamo diversi gli uni dagli altri, ma nella diversità ci si scoprefratelli del cielo. La nostra meta non deve mai dissolversi …. “Il cam-po lavoro” diventa dunque esperienza di condivisione, crescita, forma-zione spirituale, donazione di sé stesso verso l’altro, il povero, il biso-gnoso, il senza tetto, l’ammalato, il bambino desideroso di affetto. Sor-prendente diventa il peso del fardello di ritorno. Non più i soli indu-menti sono posti in valigia. Vi è spazio in abbondanza occupatodall’amore ricevuto in dono, dai sorrisi rubati ai sudanesi in un gior-no riservato al divertimento in mare, dalle mani che si toccavano estringevano le une con le altre durante i momenti dediti alla pre-ghiera, dal pane bianco, spezzato, condiviso e assaporato con un gu-sto diverso dal quotidiano. Il “campo lavoro” irrobustisce la spiritua-lità di quanti aderiscono all’iniziativa carichi di entusiasmo e vogliadi versare una piccola goccia in quell’oceano profondo, ricco di spe-ranza e voglia di cambiare una realtà dolente. Affinché ciascuno leg-gendo le pagine di questo “diario di bordo”, possa far propria un’espe-rienza che ha segnato la vita di tanti e possa nascere un germe chespinga molti a percorrere lo stesso cammino di fede, entro il medesi-mo “fiume lento” e le medesime gole del deserto dell’Egitto, desertoche attende l’arrivo della primavera.

Il libro è in vendita presso le librerie, la bottega Filomondo, ed èordinabile anche on line sul sito della Casa editrice (www.etet.it). Ilricavato della vendita permette alla Caritas di finanziare un’altra an-nualità del progetto di educazione interculturale.

Rossella FusaroCaritas diocesana

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Quaresima di carità:la casa dei “Bambini di Gesù”

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La finalità per la Quaresima di Carità 2011 per la nostra Dioce-si è il frutto di un “pellegrinaggio” di 50 giovani e adulti guidati daPaolo Farina e don Mario Cornioli in Palestina l’estate scorsa. Tra ipartecipanti c’ero anch’io e ho potuto conoscere, incontrare e confron-tare le diverse situazioni di bisogno che sono presenti nella TerraSanta.

Già l’11 dicembre 2009 un gruppo di cristiani palestinesi (presie-duti dal patriarca latino Michel Sabbah) avevano pubblicato il docu-mento “Kairos Palestina” pieno di dolore per la situazione presente(occupazione israeliana dei territori palestinesi, innalzamento del mu-ro e umiliazioni subite, ma anche offerta di una lettura di fede, spe-ranza e carità per i palestinesi, per i musulmani, per gli ebrei e perl’intera comunità internazionale!

Nel mese di ottobre 2010 a Roma il Santo Padre Benedetto XVIaveva convocato il Sinodo per il Medio Oriente. A conclusione, e inattesa della esortazione pontificia, il Sinodo ha prodotto un elenco diproposizioni tra le quali leggiamo: “Occorrerà attirare l’attenzione delmondo intero sulla situazione drammatica di certe comunità cristianenel Medio Oriente, le quali soffrono ogni tipo di difficoltà, giungendotalvolta fino al martirio. Occorre anche chiedere alle istanze naziona-li e internazionali uno sforzo speciale per mettere fine a questa situa-zione di tensione ristabilendo la giustizia e la pace” (n. 5).

Ecco, dunque, la proposta della nostra Caritas, che come ogni an-no, in questo tempo di Quaresima apre la sua attenzione al mondo.Un progetto in Palestina, a Betlemme.

Negli anni la città di Betlemme ha seguito le sorti della Palesti-na, essendo stata dapprima occupata dagli israeliani verso la fine de-gli anni ’60, per poi ricadere sotto il controllo palestinese nel 1996.

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La popolazione di Betlemme affronta oggi una situazione estremamen-te critica a seguito del lungo conflitto in corso, reso più aspro dallarealizzazione del muro di separazione che segna un confine provviso-rio tra i territori Palestinesi ed Israeliani. L’economia della cittadinaè fortemente legata al commercio degli oggetti sacri, al turismo eall’artigianato; la costruzione del muro ha provocato gravi ripercus-sioni sull’economia e notevoli difficoltà di spostamento per lavoratorie studenti pendolari.

La difficoltà degli spostamenti tra un territorio all’altro e la diffi-coltà di rinnovare i permessi di lavoro concessi dall’autorità israelia-na, hanno diffuso un clima di tensione e di povertà economica sem-pre crescente e una mancanza di prospettive future.

A causa delle difficoltà o quasi impossibilità ad attraversare quo-tidianamente le linee di confine, molti hanno perso il lavoro o incon-trano maggiori difficoltà a svolgere normalmente attività imprendito-riali e commerciali, scarseggiano risorse di primaria necessità qualicibi, medicine e servizi ospedalieri; i flussi turistici che alimentano lepiccole attività commerciali ed artigianali a carattere familiare sonofortemente calati.

In quest’area geografica la disabilità è frequente e spesso conse-guenza dei matrimoni tra consanguinei.

Nella società araba avere dei figli disabili è segno di una puni-zione divina per delle colpe che i membri delle stesse famiglie avreb-bero commesse; riconoscere quindi di avere parenti handicappati rap-presenta un grave limite sociale. Per questo chi si trova in questa si-tuazione, spesso viene chiuso in isolamento in casa, nascosto alla vi-sta degli altri, reso invisibile.

I bambini disabili e affetti da malformazioni spesso vengono ab-bandonati dalle famiglie che vedono nell’handicap un disonore.

Le madri non sanno come far fronte alle disabilità dei figli a cau-sa della mancanza di una cultura dell’assistenza verso i più deboli esfavoriti.

Molte in ogni caso le famiglie che non sanno come trattare il fa-miliare disabile o che, comunque, non credono che si possa fare qual-cosa per migliorarne la condizione (scuole specifiche, terapie mirate) equindi si limitano a nutrirlo e a mantenerlo in vita.

Il nostro progetto sostiene l’Istituto Serve del Signore e della Ver-gine di Matarà, le cui suore gestiscono l’“Hogar Niño Dios”, casa d’ac-coglienza per bambini handicappati, abbandonati o in grave necessità.Le religiose sono in 5, e l’opera che svolgono è dare una casa a 20ragazzi disabili fisici e mentali che altrimenti non avrebbero dove an-dare, oltre a seguire altri 10 ragazzi disabili che vengono soltanto perseguire le attività pomeridiane. Provengono dalle zone limitrofe di Be-

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tlemme, da Ramallah, Jenin e Hebron, mandati da altri centri chenon li possono tenere perché già pieni, o direttamente dalle famiglie,o ancora perché rifiutati dalle scuole che non vogliono pagare inse-gnanti specializzati a loro necessari.

Concretamente con le offerte che raccoglieremo nelle nostre comu-nità parrocchiali sosterremo il costo di alcuni operatori sanitari (fisio-terapista, logopedista, fisioterapista occupazionale e idroterapista).

La convinzione nostra e delle suore che vi operano è che un bam-bino handicappato non è un bambino malato, certamente ha funzionibiologiche imperfette, ma conserva tutte le esigenze affettive ed edu-cative di un bambino sano.

Quanti pellegrinaggi hanno avuto nella visita alla Grotta dellaNatività il suo momento più alto, quanti hanno saputo poi riconosce-re nei “piccoli” il volto di Gesù che sin dalla sua nascita ha volutoessere riconosciuto nei poveri?

Con questo interrogativo avviamo una nuova stagione di caritànella nostra Chiesa, sicuri che come la primavera potrà portare in sésegni di speranza e di vita nuova, per tutti.

don Mimmo FrancavillaDirettore Caritas diocesana

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Luoghi e Volti.Caritas e terzo settore insieme a Minervino Murge

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“Luoghi e Volti. Percorsi di sostegno alla crescita”, è il titolo delprogetto di servizi integrati a favore delle famiglie con minori che, daottobre 2009 a dicembre 2010, la Cooperativa Sociale L’Albero ha rea-lizzato a Minervino Murge, grazie al sostegno della Caritas Italiana edella Caritas diocesana di Andria.

Attraverso il cofinanziamento ottenuto a valere sui fondidell’8x1000 infatti, per la prima volta nel comune di Minervino, unsoggetto privato non profit, quale appunto la Coop. L’Albero, ha po-tuto offrire in maniera organica e continuata, una serie di servizi so-cio-assistenziali integrati, dedicati alle famiglie con minori. La sedeoperativa de L’Albero, attrezzata ed arredata ad hoc, è divenuta un“centro formativo-ludico-ricreativo” dove i ragazzi ed i loro genitorihanno potuto usufruire di diversi servizi quali: sostegno post-scolasti-co pomeridiano, attività musicali di propedeutica, coro di voci bianche,laboratori creativi, laboratorio teatrale, percorsi di gruppo di sostegnoalla genitorialità e disponibilità ad incontri individuali curati da unapsicoterapeuta familiare. Attraverso queste attività sono stati favoritil’incontro, lo scambio, il confronto e la socializzazione non solo tra iragazzi, impegnati nelle diverse attività, ma anche tra gli stessi ge-nitori. L’intero progetto è stato fortemente orientato a soggetti in si-tuazione di disagio socio-economico-culturale, con l’obiettivo di attiva-re percorsi di inclusione sociale.

In termini operativi, già nel mese di settembre 2009 la Coop. L’Al-bero ha organizzato un corso di formazione di alto livello per educa-tori professionali/formatori, tra i cui partecipanti sono poi stati sele-zionati gli operatori che, da ottobre 2009 a giugno 2010, hanno se-guito le attività di sostegno post-scolastico. I ragazzi che si sonoiscritti al “doposcuola”, ogni giorno, dal lunedì al sabato, sono stati

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impegnati prima nello svolgimento dei compiti, ed a seguire nelle di-verse attività di cui abbiamo già detto, ciascuna curata da un pro-fessionista esperto.

A partire da marzo 2010 sono state potenziate le attività musica-li. In collaborazione con l’Ass. Musicale “Il colore dei suoni” e con ilsostegno delle parrocchie, è stata fortemente promossa la formazionedi un coro di voci bianche. Luogo di crescita e di incontro, luogo conun’identità culturale definita, in cui poter fare esperienza di comu-nità, relazione, scambio, condivisione, cultura, il CORO è per sua na-tura un’esperienza educante. Per questo l’attività corale è stata par-ticolarmente incentivata e sostenuta e, ad oggi, proprio questa atti-vità, rappresenta uno dei risultati duraturi del progetto. Il coro di vo-ci bianche ET CETERA Junior, diretto dal M° Luigi Leo, è oggi unnuovo “luogo” generato dal progetto. Non solo una tra le tante atti-vità per impegnare il tempo libero, ma un luogo dove i ragazzi di Mi-nervino, sperimentando la dimensione affascinante ed insostituibiledel canto corale, imparano loro le regole della vita di comunità, su-perando lo sterile individualismo e lo stile di egocentrismo del nostrotempo, per aprirsi alle dinamiche di relazione e di comunità.

Il progetto, dopo lo star up della Caritas, continua a svolgere leproprie azioni sul nostro territorio e sicuramente non solo quanti nefanno parte, ma l’intera comunità beneficerà dei risultati raggiuntiche permettono di qualificare sempre più un vivere comunitario ar-monico e capace di infondere fiducia.

Rossana GiorgioPresidente Cooperativa Sociale “L’Albero”

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Una Caritas parrocchiale si racconta:la parrocchia Gesù, Giuseppe e Maria a Canosa

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Il 1° Febbraio 2011 in Canosa di Puglia presso il Centro ServiziCulturale, si è tenuto un convegno organizzato dalla FIDAPA (Fede-razione Italiana Donne Arti Professioni Affari) di Canosa - Spinazzola- Terlizzi con il patrocinio del Comune di Canosa, Assessorato allaCultura, dedicato al ruolo della donna nella realtà culturale del vo-lontariato: dalla C.R.I. alle realtà territoriali.

Il percorso del rispetto, così come è stato intitolato il convegno, hasottolineato preliminarmente gli aspetti legali del volontariato parten-do dalla Legge n° 266 del 91 con la relazione dell’Avv. Eufemia Ip-polito, Vice Presidente Nazionale FIDAPA ed i rapporti tra Istituzio-ni e Volontariato con l’Assessore comunale alle Politiche Sociali e Fa-miglia di Canosa, Raffaella De Troia.

Al centro dell’incontro però sono state collocate le testimonianze divolontariato a partire dalle attività ed esperienza di una volontariadella CRI, Responsabile degli Ospedali di Roma, alla volontaria UNI-TALSI di Terlizzi, alla volontaria dell’Associazione Coloriamo Insiemedi Spinazzola, alla Volontaria del Gruppo Amici di Canosa ed infinealla Volontaria Caritas Parrocchiale.

Tutte esperienze concrete di vita di donne impegnate nel sociale,nel servizio, nello sviluppo e promozione del bene comune, espressio-ne della cittadinanza attiva, dalle quali sono scaturite riflessioni, pro-poste, considerazioni positive ma al contempo sono emersi aspetti dicriticità.

Cogliamo l’occasione per riportare alcune parti più salienti dellarelazione fatta nel Convegno dalla Operatrice Volontaria Caritas del-la Parrocchia di Gesù Giuseppe e Maria di Canosa, Avv. CristinaSaccinto: “…parlare di volontariato nell’anno proclamato dall’UnioneEuropea è occasione molto propizia e gradita per evidenziare il ruo-

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lo insostituibile del volontariato nella società civile e per estenderloal maggior numero possibile di persone, facendo formazione e pro-mozione.

La mia esperienza di volontariato si realizza nella CARITAS PAR-ROCCHIALE della Chiesa di Gesù Giuseppe e Maria in Canosa, cheha le seguenti finalità:– promuovere la testimonianza della carità, – promuovere la formazione di operatori pastorali,– predisporre piani di intervento e stimolare le Istituzioni civili nel

sostegno ai bisogni.

La CARITAS PARROCCHIALE è all’interno della Parrocchiastrumento di aiuto per tutta la comunità a divenire soggetto unitariodi carità, cioè essa ha in primis compiti pedagogici, promozionali e dicoordinamento.

Occorre, infatti, partire dal presupposto che tutta la CHIESA èchiamata alla CARITÀ CRISTIANA, pertanto l’equipe Caritas dellaParrocchia deve essere stimolo per tutta la comunità. Segno visibiledella carità, antenna che capta i bisogni e li segnala alla comunità;in questa direzione la CARITAS PARROCCHIALE realizza la suafunzione educativa:

EDUCARE ALLA CULTURA DELLA CARITÀ significa insegnarea fare i conti con il dolore e la povertà, a far dono di sé e del pro-prio tempo con gratuità, non come fatto episodico, sporadico ed occa-sionale tipico della elemosina o della beneficenza.

L’EQUIPE CARITAS, in cui opero, vede il coinvolgimento di di-versi laici che si occupano di attività diversificate a seconda delle pro-prie competenze ed attitudini. Oltre al soccorso prestato per le gran-di emergenze, attraverso raccolte di fondi o di derrate alimentari.

Tante sono le persone che per svariate ragioni di bisogno si rivol-gono al Centro Caritas Parrocchiale o meglio al parroco o a noi, vo-lontari Caritas. In genere accade che dopo un primo contatto infor-male si passa ad un approccio che si formalizza con generalità, certi-ficati di residenza e situazione di famiglia, perché i nostri assistiti outenti che dir si voglia hanno una propria scheda anagrafica, aggior-nata periodicamente e corredata delle informazioni seppur sommariecirca il loro stato di bisogno. Uno dei criteri di servizio è quellodell’appartenenza territoriale alla parrocchia, questo per non disper-dere energie e per coordinarci all’interno del territorio comunale conle altre Caritas parrocchiali.

Un altro criterio è quello della non dazione di danaro, le richiestein tal senso non sono previste dal nostro tipo di intervento ritenen-dole non utili alla soluzione dei problemi della persona. Tutte le vol-

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te in cui la situazione lo richiede, ci mettiamo in contatto con l’EntePubblico, Assessorato servizi Sociali, chiedendo loro un aiuto, perchési realizza una rete con il pubblico e con il territorio.

I Servizi che nel quotidiano cerchiamo di garantire vanno: – dalla Distribuzione quindicinale di generi alimentari, prodotti di

prima necessità, indumenti, accessori per la prima infanzia. Lescorte alimentari e vestiarie provengono dalla generosità dei par-rocchiani, dalla collaborazione di aziende locali più sensibili e dalcostante sostegno della Caritas Diocesana;

– all’Ascolto discreto delle diverse problematiche che angustiano chivive il disagio, che riguardano molto spesso la ricerca del lavoro,la ricerca della abitazione, le dipendenze, le difficili situazioni af-fettive o di rapporti coniugali. Questo ci serve ad inquadrare la si-tuazione, a conoscere il problema e ad orientare, il compito più ar-duo è senz’altro questo. Non avendo le risorse per risolvere o perdare risposte a tutti, possiamo solo sforzarci di orientare, di esse-re cassa di risonanza. Relazionarci con la persona nel rispetto del-la dignità umana, per non abbandonarli al loro disagio;

– al Laboratorio Caritas che progetta ed opera manualmente per fi-nalità caritative, per fronteggiare situazioni di emergenza.

– ai Momenti di aggregazione periodici, al fine d favorire la cono-scenza, l’integrazione all’interno della comunità.

Quando il Volontariato prende corpo e forma, prende nomi e co-gnomi è sempre difficile parlarne, però un laico deve uscire dall’ano-nimato perché chiamato ad essere cittadino corresponsabile nella chie-sa e nella società. D’altronde il Programma Pastorale Diocesano delloscorso anno: una comunità che educa alla cittadinanza, abitare ilmondo, ci chiama a farci testimoni di una carità aperta al mondo,agli scenari agli sviluppi globali in cui viviamo, ai forti cambiamenti,che devono portare un cambiamento dei nostri modi di pensare, diagire, a stili di vita, scelte quotidiane di consumo più consone alle ri-strettezze, alla sobrietà alla sensibilità verso l’altro. Meno sprechi, piùcondivisione e più disponibilità per il bene comune”.

a cura degli animatori parrocchiali

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Il commercio equo e solidale in Palestina

VITA DIOCESANA

Il giorno in cui siamo stati a Ramallah, durante il magnifico pel-legrinaggio sui generis vissuto quest’estate in Palestina, la Bottegadel Mondo di Andria FILOMONDO (sita in via Bologna 115), attra-verso una piccola delegazione composta da Giovanna Tangaro, DonMimmo Francavilla e dal sottoscritto, ha incontrato Shadi S. Mah-moud, responsabile delle relazioni esterne dell’organizzazione PARC(Comitati Palestinesi di Sostegno Agricolo). Saliti su uno degli innu-merevoli taxi di color giallo Mahmoud ci ha portato nella loro sedecentrale per descriverci qual è la situazione attuale del commercioequo e solidale in Palestina, che in quest’ambito sembra essere il“Paese” (sigh!!) più attivo in tutta la regione Araba e del MedioOriente.

Il commercio equo e solidale (Fair Trade) è una relazione com-merciale, basata sul dialogo, sulla trasparenza, il rispetto dei dirittiumani e dell’ambiente, su relazioni di lunga durata e sul prefinan-ziamento degli ordini (evitando l’indebitamento degli agricoltori conbanche o usurai), cercando il più possibile l’equità nel commercio in-ternazionale e pagando prezzi più alti rispetto a quelli imposti dallemultinazionali. Esso contribuisce allo sviluppo sostenibile offrendo mi-gliori condizioni commerciali a produttori e lavoratori marginalizzatidei Sud del Mondo.

In un contesto caratterizzato dalla brutale occupazione che perdu-ra da quasi 62 anni, tra il 1987-1993 PARC iniziò a sostenere ediffondere il concetto di economia domestica e di cooperativa rurale,dando vita ad un “Home Garden Programme” (programma giardinodomestico) con il quale venivano distribuite piantine, semi, e pecore amigliaia di povere famiglie rurali marginalizzate che stavano vivendosotto l’assedio israeliano. In seguito cominciò ad assistere queste coo-

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perative anche nella vendita dei loro prodotti, dapprima nelle cittàpalestinesi e successivamente nel circuito del Commercio Equo e So-lidale internazionale.

In più PARC (in collaborazione con l’Unione degli Agricoltori Pa-lestinesi - Palestinian Farmers Union) offre supporto tecnico e logi-stico alle varie cooperative di agricoltori, permettendo loro di offrireprodotti di più elevata qualità, e quindi maggiormente remunerati.

La crescita del mercato di prodotti come mandorle (con cui si pro-ducono i confetti), timo, cous-cous, datteri, olio d’oliva biologico e sa-poni, in Europa, USA, Canada, Giappone, Nuova Zelanda e Regionedel Golfo, rappresenta una nuova speranza per altri agricoltori e don-ne palestinesi. Infatti sono circa 8.000 i Palestinesi che, in differentiaree, beneficiano direttamente del Fair Trade, ottenendo per le loroproduzioni prezzi 20-25% maggiori di quelli del mercato locale. Ciò si-gnifica che i loro figli hanno un più facile accesso all’educazione e al-le cure mediche, mentre i contadini stessi acquistano più fiducia inse stessi e consapevolezza socio-politica lavorando le proprie terre(sotto costante minaccia di confisca israeliana). E ciò significa ancheun ulteriore veicolo di informazioni circa la situazione alla quale so-no condannati dalle politiche israeliane (come le restrizioni alle li-bertà individuali o la costruzione incessante di colonie: interi quartie-ri o coltivazioni fortemente sussidiate sui territori sottratti ai palesti-nesi).

Oggi, dunque, il commercio equo è diventato un importante mez-zo per realizzare uno sviluppo sostenibile: una cultura che aiuta i po-veri ad evitare gli aiuti umanitari ed a guadagnarsi una vita digni-tosa, a beneficio cioè di migliaia di svantaggiati piccoli agricoltori edonne delle aree rurali palestinesi. È cioè la prova che una maggioregiustizia nel Mondo è ancora possibile. Ed è praticabile quotidiana-mente attraverso le scelte di voi consumatori.

Marcello CarbuttiBottega del Mondo “Filomondo”

- Fatti dai Sud della Terra -

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Salvaguardia del creatoe impegno contro le fonti di inquinamento

VITA DIOCESANA

UFFICIO DI PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO, GIUSTIZIA,PACE E SALVAGUARDIA DEL CREATO

La Consulta Diocesana della Pastorale Sociale di Andria, compo-sta dai settori “Lavoro e Problemi Sociali”, ”Giustizia e Pace”, “Salva-guardia del Creato” cui aderiscono realtà ecclesiali, sociali e sindaca-li impegnata con la Chiesa Locale, nella costruzione del bene comu-ne, nella formazione riguardante comportamenti individuali e colletti-vi, sociali e istituzionali di custodia del creato e solidale con quantispendono le proprie energie per un mondo sempre meno inquinato epiù sano in ogni dimensione della vita umana, convinta che gli even-ti drammatici e tragici vicini e lontani, ormai all’ordine del giorno, cicostringono a pensare che la custodia del creato non è questione sol-tanto di buoni sentimenti, di deleghe al mondo del volontariato o cheinteressi unicamente alcune aree o realtà o Paesi del mondo, ma èresponsabilità del nostro vivere quotidiano perché le grandi questioniplanetarie e le soluzioni autentiche delle fragilità e criticità di questanostra famiglia umana in ogni angolo del pianeta hanno radici nelnostro cuore, nei nostri progetti e nei nostri comportamenti e trova-no in essi il fondamento dell’autentica cultura della vita, unisce lapropria voce a quanti si oppongono alla implementazione di una nuo-va cementeria prevista nell’agro di Trani, al confine con il territorioandriese, perché, siamo convinti che - rappresenti una scelta non oculata di ulteriore fonte di inquina-

mento dei territori comunali confinanti e della salute di tutti gliabitanti in essi residenti, a partire dalle persone più indifese, più deboli e più a rischio;

- sia carica di ricadute negative sull’economia della nostra agricol-tura, ricchezza primaria delle nostre popolazioni; crede che la ri-sposta degli Amministratori a nuove opportunità economiche perle casse comunali o al problema lavoro, che nella fascia giovanile,

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reggiunge ormai quasi il 30%, non possa e non debba passare at-traverso percorsi che aumentino i rischi di vivibilità e assuefazio-ne ad una cultura che diventa sempre più selettiva ed escludenteda un lato e rassegnata dall’altro, ma debba aprirsi al rispetto deidiritti e delle necessità effettive dei singoli cittadini e della collet-tività, favorire occupazione reale per tutti (che ne è di lavorato-ri/trici che a 45/50 anni perdono il lavoro e delle famiglie che nonpossono contare su una entrata mensile certa e sufficiente per ipropri bisogni primari, il mutuo della casa, ecc?), valorizzando lerisorse locali, aprendo nuovi sbocchi di lavoro alla creatività gio-vanile, dando vita a una imprenditoria che metta al centro lo svi-luppo del territorio e il ben-essere delle popolazioni.

Piuttosto che bruciare, sprecare e distruggere per consumare sem-pre di più, siamo convinti che valga la pena di imparare la sobrietàdella vita, avviare con convinzione e serietà di controlli la differen-ziata, educare al recupero, al riciclo e al riuso di tutto ciò che è pos-sibile per il rispetto dell’ambiente e delle persone, per dare nuova lin-fa alla convivenza civile, alla formazione giovanile, ad un presenteche cammini fiducioso verso il… futuro.

Il settore “salvaguardia del creato” della Consulta è disponibile,pertanto, ad attivare conferenze itineranti, curate da studiosi dellamateria e tecnici che si sono resi disponibili, nelle comunità parroc-chiali e nel mondo dell’associazionismo per migliorare sempre più laconsapevolezza che la cura dell’ambiente è un indice intangibile dicoerenza con quanto affermato da Benedetto XVI nel Messaggio perla Giornata della Pace del 1° gennaio 2010 “Se vuoi coltivare la pa-ce, custodisci il creato” e dalla CEI nella V° Giornata per la Salva-guardia del Creato, a settembre scorso, “Custodire il creato per colti-vare la pace”.

don Vito MiracapilloDirettore della Consulta Pastorale Sociale

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“Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24)XIX Giornata Mondiale del Malato

VITA DIOCESANA

UFFICIO DI PASTORALE SANITARIA

L’attenzione pastorale della Chiesa in Italia per gli ammalati, i lo-ro familiari, i volontari e gli operatori professionali della sanità è incostante crescita. Sul versante della salute si affrontano, oggi più chemai, questioni decisive per la nostra società e per il futuro dell’uma-nità.

I vescovi italiani hanno accolto l’appello, lanciato da Giovanni Pao-lo II (Evangelium Vitae) e confermato da Benedetto XVI, ad afferma-re e far crescere una nuova cultura della vita umana.

Il programma triennale dell’Ufficio CEI per la sanità, ha come te-ma: “Educare alla vita: sfida e profezia per la pastorale della salute”.

In questo contesto si celebra l’11 febbraio la XIX Giornata Mon-diale del Malato, avente per tema “Dalle sue piaghe siete stati guari-ti” (1Pt. 2,24).

Memore del comando del Maestro di Galilea, la Chiesa fa sua l’av-ventura di riconoscere il suo volto nelle piaghe sofferenti di ogni uo-mo, perché “se ogni uomo è nostro fratello, tanto più il debole, il sof-ferente, il bisognoso di cura devono essere al centro della nostra at-tenzione”.

Benedetto XVI lo ribadisce nel suo messaggio al mondo credentee agli uomini di buona volontà, cittadini e istituzioni, ricordando atutti che è dell’uomo essere capace di compassione, una attitudine chelega insieme i diversi per fede e cultura e rilancia a ogni latitudineil bisogno di cura come estrema espressione della giustizia.

“Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è ca-pace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferen-za venga condivisa e portata anche interiormente è una società cru-dele e disumana”. (Spe salvi n° 38).

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Sguardo, quello del Papa, che copre di tenerezza chi dal male èstato visitato. Se è vero che il sofferente deve potersi confrontare, conla sua fede, per trovare in sé la forza di una compagnia che gli vie-ne da Dio, riconoscendo che Lui alla “prepotenza del male ha oppostol’onnipotenza del suo amore” , è anche vero che tutti devono avere losguardo puntato sulla croce e imparare a vedere nella croce la conso-lazione a ogni sofferenza: “In ogni sofferenza umana, allora, è entra-to Uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; in ogni soffe-renza si diffonde la CON-SOLATIO, la consolazione dell’amore parte-cipe di Dio per far sorgere la stella della speranza” (Spe salvi n° 39).La croce, le piaghe dolorose del Maestro sono la cura definitiva diogni sofferenza, e se nel frattempo il pungolo del dolore non abban-dona la carne malata dell’uomo porovato, la sua speranza di salvezzanon sarà delusa, perché “Dalle sue piaghe siete stati guariti”(1Pt. 2,24), dalla croce di Gesù di Nazareth.

“La croce è il sì di Dio all’uomo, l’espressione più alta e più in-tensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna”.

Il Messaggio di Papa Benedetto XVI è un appello rivolto alle dio-cesi del mondo, agli operatori pastorali del settore, per far sì che ilVangelo sia annunziato agli ammalati e che gli ammalati possano es-sere inseriti a pieno titolo nella comunità credente come Vangeloscritto nella propria carne. Appello che preziosamente, e in modo deltutto particolare, il Papa rivolge ai giovani colorando il loro prossimoimpegno di Madrid, per la Giornata Mondiale della Gioventù in ago-sto, con una provocazione stimolante; guardare negli occhi il Maestroe imparare da Lui a essere compagni dell’ammalato; riconoscere Cri-sto nel sofferente e far amicizia con il dolore, senza mai fuggirlo perpaura di dirsi il vero. “Seppiatelo riconoscere e servire anche nei po-veri, nei malati, nei fratelli sofferenti e in difficoltà, che hanno biso-gno del vostro aiuto” chiede Benedetto XVI ai giovani, perché solo co-sì la festa della vita diventa un banchetto di pace. Questo il messag-gio di Papa Benedetto. Agli uomini di giustizia e di pace il compitodi costruire ponti di compassione.

don Michele TroiaDirettore Ufficio per la Pastorale della Salute

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Riflessioni sul Seminario Nazionale ACR:“Tweens. La preadolescenza: un’età a più velocità”

VITA DIOCESANA

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AZIONE CATTOLICA

Da sempre la curiosità stimola la ricerca suscitando stupore. El’ufficio centrale ACR ha saputo stupirci, oltre che arricchirci, con unseminario di studi tenuto da profondi conoscitori del mondo adole-scenziale che hanno analizzato l’universo dei Tweens in tutte le suesfaccettature e sempre con uno sguardo attento alla realtà, con unapproccio pratico e concreto a questa sorta di terra di mezzo di tolke-niana memoria.

Partiamo dal titolo: chi sono i tweens? Il termine sta a indicare inmezzo, fra (dall’inglese between), si tratta dunque di ragazzi non piùbambini e non ancora adolescenti, che vanno a più velocità: quella delfisico, che si sviluppa e trasforma sempre più precocemente, e quelladella sfera psico-emotiva, più lenta, legata alla corporeità, al faccia afaccia, al contatto fisico, che può essere l’abbraccio della mamma o loscazzottamento con il compagno di squadra, ma è altresì attratta dalsentirsi e volersi “grande”, dalla voglia di sperimentare il distaccodalla famiglia, essere parte del gruppo, scolastico, sportivo o parroc-chiale che sia.

Come possiamo noi educatori gestire questa “emergenza educativa”? Nel suo intervento il prof. Savagnone sosteneva che l’emergenza

educativa riguarda più gli adulti che i ragazzi. Perché, riprendendoil bel parallelo fra il rapporto ragazzi-adulti e la storia di Alice, pro-posto da Mirko Campoli a conclusione dei lavori, gli adulti hannosempre fretta, come il Coniglio; talvolta sono incomprensibili, comeil Cappellaio; talvolta troppo autoritari, come la Regina. Alice, inve-ce, è mossa dalla curiosità, dalla voglia di scoprire senza neancheporsi il problema di dove andrà a finire. Noi adulti siamo semprepronti a scommettere e investire sul futuro dei ragazzi, ma ci chie-diamo cosa pensano del futuro – se mai ci pensano – loro che vivo-

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no nel qui e ora, in una realtà sempre più virtuale e sempre menoreale?

Il tema scottante dei social network è stato affrontato con sapien-te intelligenza da don Mario Delpiano, il quale, lungi dal demoniz-zarli, ne ha messo in evidenza i possibili risvolti positivi, purché nonsi perda la consapevolezza che si tratta pur sempre di strumenti.

La questione è a dir poco complessa, tanto più quando si toccal’argomento evangelizzazione. L’abbandono post-cresima è sempre piùdiffuso e anche in questo senso le agenzie preposte stentano a trovaresoluzioni. Una possibilità ci viene suggerita da don Armando Matteo,il quale insiste sul dare fiducia ai ragazzi affinché superino la vergo-gna. E un’iniezione di fiducia la fa a noi, educatori di ACR, quandoafferma che l’ACR è forse l’unica realtà in grado di abolire questavergogna, di far capire che la chiesa è per ogni stagione della vita;che Dio non è affare della chiesa, ma di chiunque voglia una vitabuona; che la fede (che è una forma di fiducia!) non è una questionedi cuore, ma di corpo e di libertà e che è una sfida, per questo è dif-ficile. E se la preadolescenza è un periodo di rottura, rompiamo an-che noi gli schematismi e facciamo capire ai ragazzi che «il cristiane-simo è più di una morale sessuale, più di quello che dice la famigliao la TV, più dei preti con la pancia e delle suore con i baffi». In-somma compito dell’educatore è stimolare domande, sollevare dubbi edare fiducia. Non dimentichiamo, ancora con il prof. Savagnone, chel’educatore è un pescatore che va alla ricerca dei pesci; sono sott’ac-qua e non li vede, non li giudica, ma li segue, li osserva, riflette estudia le loro mosse, solo dopo aver pescato si “trasforma” in conta-dino, che pianta il seme, lo coltiva e lo ama perché dia frutti.

Valeria Fucci

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Per amore della persona.Un percorso formativo di AC sulle questioni bioetiche

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“L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le di-mensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipa-zione alla vita stessa di Dio.” (Evangelium Vitae 2)

Rivestiti della pienezza di vita e consapevoli della necessità dicontinuare il cammino formativo di ricerca dei valori autentici relati-vi alla dimensione affettivo-relazionale nella vita di coppia, il settoreadulti dell’Azione Cattolica Diocesana di Andria ha continuato il per-corso organico guidato da don Luigi Renna, rettore del seminariopontificio regionale pugliese, docente di teologia morale.

“Maternità e paternità responsabile, alla luce del magistero e del-la teologia” il titolo del nostro primo incontro. Nell’ottica di una ses-sualità di coppia che comprenda in sé sia la funzione riproduttiva siaquella di intimo rapporto relazionale, il Cristiano è chiamato ad unastraordinaria compartecipazione alla natura generativa di Dio e nellostesso tempo ad un utilizzo gioioso e positivo della propria reciprocacorporeità. Siamo strumenti e coautori nel procreare nuova vita pervolere di Dio, con la responsabilità di regolare in maniera armoniosatale capacità secondo la nostra razionalità.

Sul controllo delle nascite la Chiesa ha in passato fatto un lun-go cammino di discernimento per elaborare il suo insegnamento inuna materia così delicata, che va ad intercettare la sfera affettiva esessuale della coppia e la coscienza e la libertà umana. La coppiapuò e deve avere la possibilità di vivere la propria sessualità anchee non solo a scopo procreativo, per vivere in pienezza anche il si-gnificato unitivo. Questo comporta lo sviluppo di una maturità eduna comunanza di intenti all’interno della coppia che possono esse-re raggiunti attraverso una formazione ed un sostegno soprattuttoda parte di chi, all’interno della Chiesa ha sviluppato specifiche ca-

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pacità tecnico-scientifiche, come ad esempio gli operatori dei consul-tori familiari cristiani.

Nel secondo incontro don Luigi ha guardato al tema “Interruzionedella gravidanza…interpella la coscienza del credente”. Il dibattitosull’aborto è divenuto molto vivo dall’epoca del referendum popolareche ha introdotto la possibilità in Italia di praticare l’interruzione vo-lontaria della gravidanza entro determinate condizioni. La vita è undono di Dio e come tale va accettata e difesa, ed in particolare quel-la dell’embrione. La Chiesa, sempre aperta al dialogo continuo, man-tiene salda la dignità di essere umano all’embrione fin dal suo con-cepimento; per noi Cristiani la vita ha inizio nel momento stesso incui i cromosomi del padre e quelli della madre si uniscono in unanuova cellula, lo zigote, che porta in sé un corredo genetico e quindiuna individualità unica ed irripetibile, perché unico ed irripetibile èciascuno di noi nel cuore e nella mente del Creatore.

La fermezza delle posizioni della Chiesa su tematiche che, comequeste, toccano il rispetto e la sacralità della vita, non va confusaperò con un atteggiamento di condanna verso l’uomo o con una sortadi freddo e distaccato decalogo moralistico. Lo stesso don Luigi ha ri-cordato anche l’atteggiamento tenero e misericordioso della Chiesaverso la fragilità umana, verso il dramma che spesso accompagnascelte tragiche e dolorose.

Il percorso formativo sulle questione bioetiche, intrapreso dal setto-re adulti dell’A.C., ha mantenuto l’impegno di stimolare il pensiero, laconsapevolezza e l’attenzione verso la ricerca del bene integrale dellapersona umana e la sua vocazione massima all’amore per la vita,mettendo in relazione le diverse generazioni, convocandole ad un di-scernimento comune.

I prossimi anni, comunque, ci vedranno impegnati nella ricerca dimodi nuovi per fare educazione e di nuovi modi di comunicare, lo fa-remo con impegno affidandoci, come sempre, all’aiuto dello Spirito.

Giulia e Giuseppe Coratella

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Echi della XIV Assemblea Elettiva diocesanadi Azione Cattolica

VITA DIOCESANA

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore…” (Sal 138)Queste parole del Salmo rendono senza dubbio benissimo lo spiri-

to con il quale la XIV Assemblea Elettiva Diocesana è stata prepara-ta e vissuta, una assemblea che conclude l’esperienza di servizio do-nato in tre anni da tutti i soci di Azione Cattolica e che apre al rin-novo degli incarichi della responsabilità associativa a livello diocesa-no.

L’Assemblea è stata aperta la sera del 18 febbraio, nella Chiesadel Carmine, con una veglia di preghiera guidata da Mons. Ugo Ughi,vice Assistente generale dell’Azione Cattolica, alla quale erano invitatinon solo i delegati alla stessa Assemblea, ma anche tutti i socidell’AC, chiamati a riflettere e a lasciarsi interrogare dal brano evan-gelico che guida l’AC in questo anno: “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo”.

A questo momento importante e partecipato, è seguito, sabato 19febbraio, il momento assembleare vero e proprio, apertosi con la cele-brazione dei Vespri, presieduta dal Vicario don Gianni Massaro (cheha fatto le veci del nostro Vescovo, al quale tutti ci uniamo nel dir-gli un immenso grazie per l’attenzione che sempre ha mostrato e mo-stra per l’Azione Cattolica), che ha consegnato le nomine ai PresidentiParrocchiali; successivamente i ragazzi dell’ACR hanno portato unsorriso sul volto dei partecipanti allietandoli per qualche minuto conun simpatico gioco. Subito dopo c’è stato l’insediamento degli organiassembleari con la nomina del Presidente dell’Assemblea, il Prof. Ni-cola Conversano, e della Segretaria dell’Assemblea, Gabriella Calvano,a cui sono seguite le relazioni della Presidente Diocesana Anna Ma-ria Basile e del Delegato Regionale Vincenzo Di Maglie e le votazionia cui erano chiamati quattro (o cinque, in caso di associazione terri-

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toriale con più di cento iscritti) delegati per parrocchia: il presidenteed un rappresentante per ogni settore.

Il sentimento di GRAZIE è stato il fil rouge che ha tenuto insie-me la relazione della Presidente Diocesana, chiamata a fare un bi-lancio dei sei anni di responsabilità, all’interno dei quali si è vissutoil momento importante del Centenario della nostra AC diocesana.

Fondamentale è stato il richiamo, ad inizio relazione, ai primi duearticoli dello Statuto e al Progetto Formativo. Riflettere ogni volta sulfatto che essere laici di AC voglia dire essere laici “semplicemente”radicati nel Battesimo rappresenta un punto di forza per tutti i soci,chiamati al servizio gioioso ed in comunione con tutti, chiamati aduno stile di verità nella carità. Ripartire dai documenti fondamentalidell’Associazione vuol dire, ha sottolineato ancora Anna Maria, risco-prire ogni volta la nostra chiamata a spenderci per la formazione “al-la vita buona del Vangelo”, come chiede l’episcopato italiano negliOrientamenti Pastorali per il prossimo decennio, al cui interno (al n.43) si fa esplicitamente riferimento all’Azione Cattolica quale «scuoladi formazione cristiana». Tale formazione non può essere il frutto diun impegno individuale, ma si deve inserire in un cammino di co-munità, di «squadra», ha più volte affermato Anna Maria.

Proprio l’importanza della dimensione comunitaria e della autenti-cità delle relazioni ha guidato l’Azione Cattolica nella sua verifica delsessennio. In particolare, ci si è interrogati sul cammino percorso, masoprattutto su ciò che questa Presidenza e questo Consiglio lascianoa chi verrà dopo: è questo un elemento da cui non si può prescinde-re in quanto la nostra è una storia che si vive di “generazione in ge-nerazione”, coscienti che solo valorizzando il passato, e con esso le no-stre radici, è possibile progettare un futuro pieno e autentico. La va-lutazione dei sei anni appena terminati hanno portato l’AC, così co-me emerso dalla relazione della Presidente, a prendere coscienza chesi è lavorato perché:– si sperimentasse il servizio, soprattutto un servizio mosso dalla fi-

ducia, dall’affidamento, dal coraggio;– si insistesse sul senso di unitarietà, intesa in termini di farsi ca-

rico gli uni degli altri, recuperando un modo di fare Associazionenell’essere UNA, pur se articolata in più settori, e di essere Chie-sa, pur nella convinzione di essere imperfetti, fragili e bisognosi diaffidarsi a Dio;

– si progettasse una formazione a trecentosessanta gradi, che fosse,cioè, sociale e spirituale, oltre che ecclesiale ed associativa;

– ci si impegnasse in vista di relazioni rinvigorite, con la consape-volezza che è bello e prezioso scoprirsi fratelli nella diversità. Daciò sono scaturite comunicazioni con andamento circolare, giammai

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verticistico, per fare in modo che tutti i membri dell’Associazionefossero sempre coinvolti il più possibile in ogni scelta ed in ognimomento della vita dell’AC;

– si vivesse una partecipazione più completa e più costante, nellaconsapevolezza della preziosità delle presenza di ciascuno, sempre;

– si costruisse un profondo legame umano, oltre che associativo, tracomunità parrocchiali, tra queste e il Centro Diocesano e tra que-st’ultimo e il Centro Regionale e Nazionale. In questo modo l’Azio-ne Cattolica si è scoperta meno autoreferenziale e più necessitan-te di confrontarsi per poter meglio crescere e servire;

– si lavorasse in vista di una adesione più consapevole, pur trovan-dosi in un periodo dove si sperimenta ogni giorno la crisi dell’as-sociazionismo.

L’impegno del periodo appena conclusosi si è concretizzato nel re-cupero del senso e del valore della corresponsabilità (nell’accezione piùalta del termine), vissuta non solo negli ambienti ecclesiali, ma anchesociali e politici. Efficace, a tal proposito, è stata la citazione, fatta daAnna Maria, di don Tonino Bello: «Dovete portare la tuta di lavoroin chiesa e la veste battesimale in ufficio, in banca, nella scuola», adindicare che compito dell’AC è proprio quello di favorire il recuperodell’osmosi tra fede e vita.

Questi elementi e molti altri spunti di riflessione sono stati l’ar-gomento di una intensa, sentita ed emozionata relazione di Anna Ma-ria Basile, che, come soci di AC, Presidenti Parrocchiali, membri delConsiglio e della Presidenza Diocesana, ringraziamo sulle pagine del-la Rivista Diocesana.

Così come Anna Maria, anche il Delegato Regionale, Vincenzo DiMaglie, ha esordito col ringraziare per i legami che grazie all’AC sisono creati, ma soprattutto per la nostra Associazione, che da più di140 anni ha come priorità l’impegno educativo. È questo evidente-mente un discorso che ci coinvolge tutti, ha asserito Vincenzo, poichétutti abbiamo delle profonde responsabilità nei confronti delle genera-zioni future. «Sono io il custode del mio fratello?» (Gn). Assolutamen-te sì, perché è proprio del DNA del laico di AC, del suo cuore, pren-dersi cura di chi gli è posto accanto. Responsabilità è, ha continuatoil Delegato Regionale, rispondere ad una situazione. Essa ha dimen-sione relazionale, è libera, è nei confronti dell’altro, la cui presenzainevitabilmente ci interpella, ci scuote, ci interroga. È una responsa-bilità, poi, che non può non concretizzarsi anche nei confronti dellasocietà. Non possiamo, tuttavia, assumerci una responsabilità di talenatura se non ci impegniamo prima di tutto a riflettere su noi stes-si e a formarci a nostra volta.

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ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

Anche Vincenzo Di Maglie, come la Presidente Diocesana, ha ri-preso lo Statuto, in particolare gli Artt. 1-3. Questi articoli hanno pernoi una importanza fondamentale: ci spingono a riflettere sul fattoche è nel mondo di tutti i giorni che siamo chiamati a portare il no-stro contributo. Paolo VI, quando parlava di impegno dei laici invita-va costoro a stare più vicini alla Chiesa per potersi formare al me-glio perché, poi, il loro compito, la loro missione, andava vissuta nelquotidiano, in tutti gli ambienti di vita e di lavoro. Il laico, dunque,deve prendersi cura il più possibile di se stesso perché solo in questomodo può portare qualcosa agli altri: solo allora sarà testimone diCristo.

Come fare perché il nostro sì sia responsabile e originale? Vincen-zo ci ha dato alcuni preziosi suggerimenti:

vita spirituale alta ed intensa: bisogna puntare alle alte vette,scrutare il cielo, fare in modo che la fatica della quotidianità non ce-li l’infinito;

fare della comunità ecclesiale il luogo della nostra formazione, nel-la consapevolezza che questo non ci può bastare. Bisogna vivere lacittà ed avere la dimensione della piazza come luogo dell’incontro, incui si affina il dialogo, in cui ci si confronta.

Riscoprire, ogni volta nuovamente, il valore e la bellezza di essereassociazione, per non sentirsi mai soli o solisti fuori dal coro.

Non bisogna mai trascurare, tuttavia, il fatto di essere delle per-sone libere. Solo chi è libero non ha difficoltà a incontrare chi è di-verso da sé, di dialogare con chi la pensa in modo differente. Tuttoquesto fa della nostra responsabilità il luogo educativo per eccellenza:la responsabilità è un atto d’amore che compiamo ogni giorno. Perfarlo serve, però, saper sperare: anche di fronte alla più grande diffi-coltà.

Chiudendo il suo intervento, Vincenzo Di Maglie, ha, allora, au-gurato, ai soci di AC di Andria, di essere sempre, ovunque, in qual-siasi occasione, «soci e responsabili in grado di tracciare percorsi diresponsabilità pieni di speranza e autorevolezza». In questo modo laresponsabilità è la risposta ad una chiamata e non sterile peso daportare sulle spalle.

In conclusione, mi sembra doveroso riprendere la parte finale del-la relazione di Anna Maria Basile, nella quale ella fa il suo augurioal nuovo Consiglio e alla nuova Presidenza Diocesani servendosi del-le parole di San Francesco: «Noi abbiamo fatto la nostra parte… lavostra, ve la insegni Cristo».

Duc in Altum Azione Cattolica!Gabriella Calvano

Centro diocesano A.C.

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Dal documento finaledell’Assemblea Elettiva di AC

VITA DIOCESANA

Dal Documento Finale approvato in seno alla XIV Assemblea Elet-tiva Diocesana.

Esso è stato articolato in tre parti:1. Il percorso da cui veniamo,2. Il nostro vissuto,3. L’AC che consegniamo.

In particolare riportiamo integralmente la terza parte del Docu-mento.

L’AC CHE CONSEGNIAMOPapa Benedetto XVI indica chiaramente quali debbano essere og-

gi le priorità della Chiesa: una fede adulta, una Chiesa profetica; unlaicato maturo. Non è facile, oggi, incarnare e fare propri questi con-cetti. Molto spesso cediamo alla tentazione di rinchiuderci nello spa-zio ristretto del gruppo e di sentirci appagati nell’eseguire compiti af-fidatici dai sacerdoti, ma ad un laico che si sente chiamato ad offri-re il suo servizio alla Chiesa attraverso l’esperienza dell’AC vienechiesto qualcosa che va oltre il perimetro dell’altare e lo fa uscire nel-la piazza.

La Chiesa diocesana nel Convegno Ecclesiale dello scorso ottobre“Andate anche voi nella mia vigna. Riscopriamo la vocazione dei lai-ci nella Chiesa e nella società, oggi” e la Chiesa di Puglia, in cam-mino verso il Convegno Ecclesiale Regionale “I laici nella Chiesa enella società pugliese, oggi” ci interpellano innanzitutto sulla corre-sponsabilità e l’impegno formativo, che connotano fortemente la no-stra associazione e per i quali posiamo spenderci come laici.

Quale A.C. consegniamo al futuro in questa Assemblea? Un’ACpiù matura, più consapevole, con una buona dose di buona volontà e

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ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

di entusiasmo per crescere e per affrontare le sfide che il tempo pre-sente ci chiede di vivere. Ad essa affidiamo la cura di una vita spi-rituale alta e intensa, con la guida degli assistenti, l’impegno educa-tivo, che più ci sta a cuore, l’impegno alla formazione, alla corre-sponsabilità, a sviluppare la missionarietà oltre il campanile, in undialogo costruttivo con il territorio, continuando il percorso intrapresonello stile della partecipazione, dell’unitarietà e dell’intergeneraziona-lità. Affidiamo all’Azione Cattolica diocesana del futuro: adulti chesiano capaci di essere responsabili, educatori, testimoni più che mae-stri; giovani che sono una risorsa prima ancora che un “problema pa-storale” e ragazzi che comunicano la spontaneità e la gioia della fedein Gesù Cristo, che vogliamo portare al mondo.

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Un pellegrinaggio dell’Azione Cattolicain Terra Santa

VITA DIOCESANA

Dal 28 dicembre al 5 gennaio si è svolto in Terra Santa il pelle-grinaggio della Presidenza nazionale di Azione Cattolica con la parte-cipazione di 50 rappresentanti di quasi tutte le regioni italiane, Pre-sidenti diocesani insieme ad alcuni membri della Presidenza naziona-le, consiglieri regionali e nazionali e collaboratori degli uffici centrali.

L’iniziativa si inserisce nel rapporto di prossimità che da sempreunisce l’AC alla Terra Santa, secondo lo stile di un incontro che ri-guarda non solo i luoghi santi e le tracce della presenza storica diGesù in questa terra, ma le “pietre vive” di una comunità cristianache in modo particolare, negli ultimi tempi, chiede la vicinanza spiri-tuale e fisica dei fratelli di fede perchè, come ci ricorda il Salmo 87,“tutti là siamo nati…”.

Il tema: ”La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e te-stimonianza. La moltitudine di coloro che erano diventati credenti ave-va un cuore solo e un’anima sola (At 4, 32)” ci ha accompagnati nonsolo in queste giornate, ma anche nella preparazione remota al pelle-grinaggio, attraverso la lettura dell’Instrumentum Laboris dell’Assem-blea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (10-24 otto-bre 2010), l’Esortazione Apostolica Postsinodale di Sua Santità Bene-detto XVI “Verbum Domini”, e il Messaggio al Popolo di Dio che haconcluso il Sinodo.

Siamo stati invitati all’inizio del pellegrinaggio da Mons. Sigalini,nostro Assistente centrale, ad essere in duplice tensione: verso il Si-gnore, qui dove si riesce meglio a cogliere la sua umanità, e verso lepersone.

“Andiamo fino a Betlemme…”:queste parole che i pastori si dice-vano l’un l’altro dopo l’annuncio degli Angeli, riecheggiavano dentro dinoi durante il viaggio e nella sosta a Betlemme, dove pressante era

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ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

l’invito a lasciare le nostre sicurezze, a farci piccoli riscoprendo la po-tenza della debolezza e a ripartire dal Bambino di Betlemme.

L’umanità di Gesù continua ad emergere in alcuni luoghi di Ge-rusalemme: al Dominus flevit, dove la memoria del pianto di Gesù al-la vista di Gerusalemme che “non ha riconosciuto il tempo in cui èstata visitata” ci mette in guardia dal rischio di non accorgerci, nellanostra corsa quotidiana, del SIGNORE CHE PASSA…

Il Getsemani ci aiuta a cogliere nella vita di Gesù il misterodell’obbedienza al Padre e a discernere, nella nostra vita, i segni del-la presenza del Signore che salva, per ridire, ogni giorno: SIA FAT-TA LA TUA VOLONTA’.

L’incontro del paralitico alla piscina Bethesda con il Signore, cheha cambiato la sua vita, è monito per noi a conservare la memoriadel passato e a ricordare la Grazia che ha rinnovato la nostra vita.

L’area della Flagellazione e il Sepolcro costituiscono un invito adeporre ogni resistenza a condividere il Suo stesso destino e a richie-dere una vita nuova…

Nazareth ci aiuta a cogliere, oltrechè l’adesione piena alla volontàdi Dio attraverso l’ECCOMI di Maria all’Angelo, il senso pieno dellafamiglia e della “spiritualità del quotidiano” , vivendo la vita ordina-ria in pienezza, come Gesù.

La sosta al Monte delle Beatitudini, a Cafarnao, a Tabgha, al Ta-bor ci hanno gradualmente condotti a consegnare la nostra vita, sem-pre in tempesta, al Signore, a vivere le Beatitudini come una dispo-sizione e non uno stato, ad accogliere la nostra fragilità come Pietroe a fissare lo sguardo su Gesù per avere occhi limpidi per guardareil mondo.

La sosta in ogni luogo ci ha consentito di portare con noi, oltre-ché le nostre Associazioni diocesane di AC, tutte le nostre comunitàdiocesane di appartenenza, con i propri Pastori e fedeli tutti…

Alla visita dei luoghi santi di Betlemme, Ein Karem, Gerusalem-me, Nazaret, Gerico, deserto di Giuda, Tiberiade, Tabor, Cesarea ma-rittima, Monte Carmelo, si sono alternati gli incontri con i responsa-bili della Chiesa locale - il Patriarca della Chiesa latina, Sua Beati-tudine Fouad Twal; i suoi vicari mons. William Shomali e p. DavidNeuhaus; il Custode di Terra Santa, fra Giambattista Pizzaballa - conquelli con le esperienze più in prima linea nel sostegno alle necessitàdella popolazione (il Caritas Baby Hospital di Betlemme, l’asilo dellesuore comboniane di Betania, le scuole francescane di Gerico).

È stato fra Oscar Marzo, la nostra guida francescana in TerraSanta, il primo a notarlo: «In questo pellegrinaggio gli incontri più si-gnificativi sono stati quelli con le donne». E mons. Sigalini, nella ce-lebrazione eucaristica al Cenacolino, ha sottolineato il coraggio e la

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VITA DIOCESANA

sensibilità delle donne ricordando come, sotto la croce di Gesù, ci fos-se solo Giovanni insieme a loro. Sotto la croce di una «Chiesa che sacos’è il Calvario», come l’ha definita il Patriarca latino Twal, ci sonoancora molte donne a sostenere il peso di un dolore che ha diversivolti e a tenere alta la speranza.

Come sr. Lucia Corradin, una delle quattro suore lisabettiane chelavorano al Caritas Baby Hospital di Betlemme, l’unica struttura pe-diatrica di tutta la Cisgiordania. L’ospedale accoglie i bambini pale-stinesi, con gravi deficit a livello cardiaco, respiratorio o metabolico,piccoli malati cronici «per i quali la struttura diventa una seconda ca-sa e spesso dobbiamo farci carico di accompagnare alla morte». Quan-do ci sono delle possibilità di guarigione si cerca di farli accogliere da-gli ospedali israeliani e comincia un’odissea di permessi da ottenereper superare il muro che separa Betlemme da Israele, autoambulan-ze da predisporre da una parte e dall’altra del check point, soldi daraccogliere per accedere ad un sistema di sanità privatizzata. «Menomale - sorride sr. Lucia - che c’è una cardiologa palestinese che la-vora in Israele e viene qui due volte la settimana la quale, quandoritiene che il trasferimento di un bambino sia assolutamente da fare,insiste così tanto che i suoi colleghi d’ospedale si arrendono per sfi-nimento… La sua presenza è un segno di incoraggiamento e di spe-ranza».

A Betlemme la speranza di un futuro migliore è fragile, ma resi-ste anche ai venti più gelidi di dicembre e punta sulle donne: «Lavo-riamo sul profilo educativo - afferma sr. Lucia - perché cresca la con-sapevolezza del proprio valore rispetto al ruolo marginale che gli at-tribuisce la cultura tradizionale. Ciò avrà effetto anche sul futuro deiloro figli».

Bambini e bambine che cercano nella scuola la chiave per sperarein un futuro migliore per sé e per tutto il loro Paese. A Betania, sul-la strada da Gerusalemme a Gerico, le suore comboniane tengonoaperta una scuola materna da quarant’anni. Nel 2004 il Muro è ar-rivato fin là e ha diviso l’istituto delle suore dal resto del Paese.

Sembrava già una soluzione estrema quella di una specie di fine-stra nel cemento aperta dalle 8.00 alle 8.15 e dalle 12.00 alle 12.15attraverso la quale i bambini venivano fatti passare da una parteall’altra, ma da settembre scorso anche questa finestra è stata chiu-sa e l’alternativa sarebbe far passare i piccoli dal check point, ventichilometri più in là. «Il risultato - racconta sr. Alicia Vacas - è che ibambini sono scesi da 57 a 9, ma soprattutto abbiamo perso i con-tatti con la comunità cristiana di Betania nella quale le suore sonoinserite da sempre». Dal mese prossimo, due o tre suore della comu-nità si trasferiranno a vivere dall’altra parte del Muro, fuori dal pro-

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prio convento, per continuare il lavoro con le donne e i bambini: «Ciòche vorremmo fare -afferma sr. Alicia - è vivere e far comprendere larealtà di Cristo venuto per essere la nostra pace abbattendo il murodi separazione». «C’è un grande pericolo - sottolinea sr. Alicia - nelfar vivere in modo separato bambini israeliani e palestinesi: la man-canza di conoscenza reciproca alimenta il mito e il pregiudizio».

La conoscenza, il crescere insieme di bambini e ragazzi che ap-partengono a religioni e anche a culture in parte diverse: è l’obiettivodelle scuole francescane di Gerico, 600 alunni e alunne per la scuoladelle suore fino alla classe terza e 470 fino alla decima, due anni pri-ma della maturità, per la scuola dei frati. Suor Colombia Ayub è ira-chena e vive qui da due anni: «Gli alunni cristiani sono 16 - spiega- tutti gli altri sono musulmani: si trovano bene da noi». «Lavoriamoper il bene del Paese - prosegue - e per una convivenza pacifica coni musulmani: i ragazzi che oggi giocano a calcio insieme si troveran-no domani a dividere la responsabilità della loro comunità».

Cristiani, ebrei, musulmani; cattolici, ortodossi, protestanti, arme-ni, copti; cattolici di rito latino, greco, armeno, provenienti dall’ebrai-smo: tutte le distinzioni religiose e anche le sfumature sono presenti inTerra Santa e si urtano tra loro e cercano in vari modi una stradaper convivere, come ha testimoniato anche il recente Sinodo per ilMedio Oriente.

«Incontrando le contraddizioni di questa terra - ci ha detto anco-ra mons. Sigalini al Cenacolino - ognuno fa i conti con la propriaumanità, con le proprie debolezze». Eppure Gesù «ha istituito l’Euca-restia, il dono totale di sé, tra il tradimento di uno e la fuga di tut-ti gli altri». Solo al Cenacolo «con la discesa dello Spirito santo, gliapostoli hanno cominciato ad avere il coraggio che ancora oggi non liabbandona». Proprio da qui, allora «nasce la consapevolezza che il Si-gnore usa la fragilità per fare cose grandi».

Anna Maria BasilePresidente diocesana di A.C.

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Per un paese solidale.Chiesa italiana e Mezzogiorno

VITA DIOCESANA

MEIC

La Lettera dei Vescovi italiani “Per un paese solidale. Chiesa ita-liana e Mezzogiorno”, pubblicata dopo vent’anni dalla precedente “Svi-luppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno”, è stata l’argo-mento dell’incontro organizzato dal MEIC il 14 gennaio, presso l’Ope-ra diocesana “Giovanni Paolo II”.

In continuità con quanto il MEIC con l’Azione Cattolica, la FUCI,il Forum per la formazione sociale e politica e la Biblioteca diocesa-na stanno facendo da alcuni anni, la finalità dell’incontro è stata, nonsolo quella di portare nel dibattito civile ed ecclesiale la conoscenzapuntuale dei documenti magisteriali spesso misconosciuti, ma anche -e in particolare- “la riflessione (dei Vescovi ndr) sul cammino della so-lidarietà nel nostro Paese, con particolare attenzione al Mezzogiornod’Italia e ai suoi problemi irrisolti. […]

Intervenendo in un dibattito che coinvolge tanti soggetti, l’Episco-pato italiano ribadisce la consapevolezza del dovere e della volontàdella Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, perpromuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese” (Cfr. Introduzio-ne al Documento).

Il documento, insieme all’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Ve-ritate, ha costituito il punto di riferimento della 46a Settimana Socia-le dei Cattolici, tenutasi a Reggio Calabria lo scorso ottobre.

Dopo la chiara e sintetica introduzione del nostro Vescovo, en-trambi i relatori, sia l’Arcivescovo di Potenza e Vicepresidente dellaCEI, Sua Eccellenza Mons. Agostino Superbo, che il Prof. GianfrancoViesti, docente di Economia presso l’Università di Bari, pur partendoda punti diversi della Lettera, hanno rilanciato alla comunità eccle-siale e a tutti gli uomini di buona volontà, l’invito alla speranza “con-

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ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

tro ogni tentazione di torpore e di inerzia” e l’appello a “osare il co-raggio della speranza”.

Mons. Superbo, infatti, ha invitato con forza a guardare con amo-re intelligente al Mezzogiorno e al Paese “nella consapevolezza che losviluppo dei popoli si realizza non in forza delle sole risorse materia-li, di cui si può disporre in misura più o meno larga, ma soprattuttograzie alla responsabilità del pensare insieme e gli uni per gli altri”.

È importante - ha ancora detto Mons. Superbo - “promuovere lanecessaria solidarietà nazionale e lo scambio di uomini, idee, risorsetra le diverse parti del Paese”, poiché “un Mezzogiorno umiliato im-poverisce e rende più piccola tutta l’Italia”.

Il prof. Viesti, dal canto suo, ha centrato il suo intervento soprat-tutto sul guardare al Sud con occhi aperti e attenti al mondo, senzanascondersi i problemi.

Riprendendo inoltre alcuni punti dell’intervento di Mons. Superbo,egli ha sottolineato che è fondamentale non lasciarsi schiacciare daimolteplici problemi che affliggono le nostre terre, ma affermare “il do-vere di annunciare che i cambiamenti sono possibili attraverso “unnuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale”.

Saverio SgarraPresidente MEIC Andria

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L’AGESCI a Minervino Murge

VITA DIOCESANA

AGESCI

“Gioca! Non stare a guardare” (Baden-Powell) è stato l’invito chealcuni giovani cinque anni fa hanno accettato, intraprendendo unanuova avventura: lo scoutismo.

Solennemente hanno recitato la loro promessa: “con l’aiuto di Dioprometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio do-vere verso Dio e il mio Paese, per aiutare gli altri in ogni circostan-za, per osservare la legge scout”. Fiduciosi si sono impegnati di fron-te a Dio e al Mondo nell’assumere un ruolo responsabile nella vitamettendo in gioco il proprio onore, con la consapevolezza che l’impor-tante non è l’”essere arrivato”, ma “fare il proprio meglio“.

Lo scoutismo è un movimento in movimento, che si pone comeobiettivo la formazione completa del ragazzo, riconoscendo l’assolutaimportanza di ogni componente, credendo nell’autodisciplina, nellafraternità, nella responsabilità e nel rispetto delle reciproche funzio-ni.

I principi fondamentali su cui si basa il metodo sono: la forma-zione del carattere che ha lo scopo di favorire la nascita di una co-scienza critica che permetta di compiere scelte autonome; la salute ela forza fisica, cioè l’accettazione e cura del proprio corpo quale donodi Dio e fonte di relazione con gli altri e l’ambiente; l’abilità manua-le, mira all’adozione di una progettualità pratica e creativa; serviziodel prossimo, educare al bene comune e alla solidarietà scoprendo laricchezza della diversità.

Fondamentale nella realtà scoutistica è la vita all’aria aperta, oc-casione in cui è più facile scoprire e riscoprire la bellezza della na-tura quale dono di inestimabile valore affidataci da Dio, nonché mo-mento in cui si sperimenta l’essenzialità e la semplicità dei semplicigesti lontano dalla caotica frenesia quotidiana.

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La chiara professione della fede cattolica indica lo sforzo costantedi tutti i capi nel promuovere nei ragazzi la crescita cristiana attra-verso il magistero della Chiesa ed una vita comunitaria partecipata eattiva nella Chiesa.

Il nostro progetto triennale parte da un’attenta analisi del territo-rio in cui è emerso che i ragazzi vivono una certa disaffezione al pro-prio paese, probabilmente per una mancata conoscenza di esso. Ne se-gue una sorta di dispersione e la tendenza a creare luoghi di ritrovoe di aggregazione autogestiti, i cosiddetti “club”.

Di qui la necessità di dare stimoli ai ragazzi che, conoscendo leproprie radici, valorizzino se stessi e il proprio territorio e, ovunquepossano trovarsi per motivi di studio o di lavoro, siano espressionedel proprio essere minervinese. Nasce cosi il PEG (Progetto Educati-vo di Gruppo) che prende spunto dall’immagine dell’albero:

Io… Radici: il ragazzo sarà aiutato a scoprire la propria identitàattraverso un percorso di conoscenza del suo paese da un punto di vi-sta storico, culturale socio-economico, attingendo da alcuni detti dellatradizione popolare (ad esempio “jej sond u meghj” in quanto vive inun paese dell’entroterra con poche occasioni di confronto; “nan voghjstaj a siggett” non accetta l’aiuto di qualcuno, seppure lo ritenga giu-sto; “aghja faj stu duver” tiene agli impegni di grande importanzamorale. E ancora “ionn ditt” esprime la tendenza a rendere imperso-nale una propria opinione).

Io… Tronco: prendendo spunto da uno dei quattro punti di B.P“formazione del carattere”, si mira ad irrobustire e fortificare la per-sonalità del ragazzo, correggendo i difetti e valorizzandone le qualità.

Io… Frutto - il mio dovere verso il mio paese: andremo a svilup-pare e progettare il segno concreto da lasciare nel nostro paese.

a cura della Comunità Capidi Minervino

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Riflessioni sul programma pastorale diocesano

VITA DIOCESANA

COMUNIONE E LIBERAZIONE

“I laici nella vita della Chiesa e della società” è il programma pa-storale della nostra diocesi, un programma credo, che vuole aiutarcia riscoprire la identità laicale là dove si opera per divenire sempre dipiù coscienza critica e profetica nella Chiesa e nel mondo. La specifi-cità del Movimento al riguardo.

Per il Movimento “Comunione e Liberazione”, il “laico” è l’uomoche prende coscienza del proprio destino, storicamente resosi presentenella persona di Gesù Cristo e si impegna nella consapevolezza di ciòche esso comporta:crescere nella vita di comunione e imparare a “nar-rare” la propria esperienza di fede. Laici, in questo senso, si possonochiamare tutti i cristiani. L’unica differenza tra gli uomini è nella vo-cazione che Dio dà a ciascuno.Il laico cristiano è colui che investe tut-ta la sua vita, tutti i suoi rapporti, tutto il suo lavoro “a lode e glo-ria di Cristo”, riconosciuto come il senso dell’esistenza e della storia

La formazione è l’elemento prioritario e fondamentale per unanuova interpretazione ed espressione della fede. Quali percorsi signi-ficativi sta vivendo in tal senso Comunione e Liberazione?

Nel metodo educativo di CL vi sono alcuni gesti che hanno un va-lore fondamentale: la preghiera comunitaria, la Scuola di Comunità,la caritativa, le vacanze, la lettura, il canto e il fondo comune. Lapreghiera, personale e comunitaria, è una delle caratteristiche pecu-liari del movimento. La partecipazione alla liturgia e ai sacramenti,la consuetudine alla recita dell’Angelus e del rosario tendono a gene-rare una familiarità con il senso più vero e semplice della preghiera.Essa, infatti, è l’origine della comunione e il primo frutto di una vi-ta di comunità autenticamente vissuta. La preghiera è l’espressionedella dipendenza da un Altro che ogni uomo ragionevole e realistaavverte.

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ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

La Scuola di Comunità è un gesto settimanale di catechesi, diconfronto e di giudizio. È una vera e propria scuola che, attraversola lettura e il paragone della propria esperienza con testi del Magi-stero o di don Giussani, genera una più chiara coscienza della natu-ra del fatto cristiano. La Scuola di Comunità, come ogni altro gestodel movimento, ha valore per tutti e viene pubblicamente proposta intutti gli ambienti. Inoltre, dallo scorso anno, ad Andria, presso laparrocchia Madonna della Grazia, molti sono i partecipanti ai video-collegamenti delle assemblee tenute a Milano da don Carron, re-sponsabile di tutto il Movimento. La caritativa, non è un dar corsoad azioni filantropiche o pretendere di offrire con varie iniziative ri-sposte esaurienti a necessità spesso vaste e complesse, bensì impa-rare, attraverso la fedeltà ad un gesto esemplare, che la legge ulti-ma dell’esistenza è la carità, la gratuità. Da tale “scuola”di gratuitàè nata in Italia e nel mondo, una serie fittissima di attività piccolee grandi a scopo caritativo, nei campi più disparati: dal catechismoai bambini, all’aiuto allo studio per studenti, al fare compagnia aglianziani, dall’accoglienza in famiglia di bambini o di persone in diffi-coltà alla creazione di vere e proprie case-famiglia per casi difficili,dalla creazione di imprese dedicate all’inserimento lavorativo dei por-tatori di handicap alla fondazione di organismi non governativi perprogetti di sviluppo e di assistenza nei Paesi poveri come AVSI inItalia, dalla costituzione di Fondazioni come il Banco Alimentare e ilBanco Farmaceutico che forniscono alimenti e farmaci a famiglie bi-sognose. Nella nostra Diocesi operano il Banco di Solidarietà di An-dria e, a Canosa, il Banco di Solidarietà “Ing. Carlo Di Muro”. Levacanze, vissute comunitariamente in località di montagna, sono unmomento privilegiato per scoprire il gusto della compagnia cristianae l’atteggiamento di stupore e di rispetto a cui essa educa dinanzialla realtà del creato.Don Giussani ci ha sempre invitati alla letturadi testi che potessero educare al senso critico, alla scoperta della di-gnità umana e al vero volto della Chiesa. Il canto ha segnato la na-scita e accompagnato lo sviluppo di CL. Con il canto, infatti, la co-munità esprime in modo sintetico e persuasivo la propria unità, ilgusto e la coscienza nuova che da tale unità discendono.Il fondo co-mune è uno dei gesti più educativi del Movimento. Si tratta di unfondo finalizzato alla costruzione dell’opera comune attraverso il so-stegno alle attività missionarie, caritative, culturali. A tale fondoognuno partecipa liberamente, versando mensilmente una quota libe-ra. Lo scopo di tale gesto è la testimonianza di una concezione co-munionale del proprio avere, l’incremento della coscienza della po-vertà come virtù evangelica.

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VITA DIOCESANA

Il laico è chiamato a vivere la novità evangelica nell’essere atten-to all’uomo e ai suoi bisogni In un contesto culturale frammentato ecomplesso, come servire la persona e la società oggi?

La vita del Movimento è stata sempre caratterizzata da una fe-conda attività culturale e missionaria. La vivacità culturale di CL na-sce dalla passione a verificare la capacità della fede cristiana di of-frire un criterio più fecondo e completo per leggere la realtà. In que-sti ultimi anni, la presenza di CL nella società, non solo italiana, siè venuta precisando nella sua natura di presenza educativa, cultura-le e sociale. In un momento in cui, per diverse cause, anche la poli-tica e la battaglia delle idee sembrano aver perso capacità di coin-volgimento popolare e in cui, non solo in Italia, si è presunto di farpassare come rivolta morale una lotta per il potere, il Movimentopunta alla radice di tutte le crisi sociali e politiche: la crisi dell’edu-cazione. Attraverso l’azione di tanti adulti impegnati nelle scuole enella guida dei gruppi giovanili, CL offre oggi il suo contributo per-ché permangano ipotesi positive di educazione in una società che pa-re a volte definitivamente fiaccata e svuotata di slancio ideale.

Maria Miracapillo

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Centenario della chiesa dell’Immacolatadi Andria

CRONACA DI VITA DIOCESANA

È davvero un altro anno fortunato per la comunità salesiana e par-rocchiale dell’Immacolata. Celebriamo, infatti, il 18 e 19 dicembre 2010il centenario dell’arrivo della statua della Vergine Maria che campeg-gia nell’abside e il centenario della dedicazione della chiesa.

A dire il vero, la statua in Andria era giunta il 26 aprile 1910 epoiché i lavori di costruzione dell’edificio si prolungavano fu ospitatanell’abitazione del defunto Vescovo Stefano Porro finché fosse necessa-rio. Il Vescovo, insigne benefattore, non arrivò a vedere coronato il suosogno. Le cronache dicono che si ammalò gravemente di polmonite il10 marzo del 1904 e il 23 marzo spirò, lasciando però nella disposizio-ne testamentaria l’obbligo di continuare i lavori della chiesa e lasciòper quest’opera una congrua somma.

La storia dell’origine della costruzione della chiesa dell’Immacolata ri-sale alla fine del 1800. Con atto pubblico del notaio Isacco Guglielmi, re-datto in Andria in data 11 dicembre 1881 il Vescovo Mons. Galdi acqui-stava per la somma di L. 8.500 lasciata da Salvatore Savarese, un suo-lo edificatorio dai Sigg. Nicola Giannone De Maioribus da Bitonto e Ric-cardo Guantario da Andria.

Con un altro atto dello stesso notaio Guglielmi, il Vescovo Mons.Galdi acquistava in data 20 ottobre 1882 un altro suolo del medesimoGiannone.

Il Vescovo Galdi nominò una commissione formata da diversi sa-cerdoti e signori, per far costruire una chiesa dedicata all’Immacolata.I lavori iniziavano, ma dopo pochi mesi, esaurite le offerte raccolte, ilavori furono sospesi e fu costruito un muro di cinta.

Nel 1889 Mons. Stefano Porro Canonico Priore del Capitolo Catte-drale, Vescovo titolare di Cesaropoli ed ausiliario di Andria, per asse-condare il desiderio vivissimo del suo carissimo nipote sacerdote Stefa-no Porro, proponeva di elargire da parte sua una cospicua somma per

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VITA DIOCESANA

la creazione di detta chiesa, nominando contemporaneamente una com-missione di sacerdoti per raccogliere le offerte.

Nel febbraio 1904 si dette inizio ai lavori, sospesi precedentemente,per mano della cooperativa muratori “Umberto I°”; direttore fu l’inge-gnere Zagaria Giuseppe. Bisogna tributare un merito all’ingegnere cava-lier Riccardo Ceci, il quale prestò gratuitamente l’opera sua per detta co-struzione e con zelo veramente ammirabile. La statua dell’Immacolatafu acquistata dalla Sig.na Antonia Porro fu Riccardo.

Il 18 dicembre 1910, domenica, ebbe luogo il trasporto della statuadella Vergine Immacolata dalla casa del defunto Vescovo alla chiesacon un’imponente processione e il 19 dicembre, lunedì, verso le ore 10,Mons. Staiti benediceva il tempio e dava incarico a Don Stefano Porrodi dirigere la chiesa.

Mons. Macchi, dato l’espandersi della città volle erigerla a parroc-chia e il 30 settembre 1930, nominò primo parroco Don Riccardo Losi-to. I Salesiani furono chiamati in Andria dal nuovo Vescovo Ferdinan-do Bernardi l’11 gennaio 1934. Il 23 settembre dello stesso anno il sa-lesiano Don Bernardo Savarè divenne parroco dell’Immacolata.

Il tempio dedicato all’Immacolata Concezione è di stile lombardo-ro-mano, lungo 40 metri, largo 24 metri e alto 25 metri. È diviso in trenavate. Il prospetto è maestoso. La grande porta che dà accesso alla na-vata centrale è adorna di colonne e frontone nel cui centro sono scolpi-te le iniziali dell’Immacolata. Le due porte che danno accesso alle na-vate laterali portano lesene e capitelli, simili alla porta centrale. Nellaparte superiore del prospetto si aprono due bifore e una trifora centra-le. Su quest’ultima si nota un rosone di gran valore. Tre finimenti acampanile completano il prospetto. Le volte sono a crociera.

Oggi la comunità parrocchiale non può dimenticare la sua origine.Il tesoro di fede, di impegno e di generosità ricevuto dalle generazionipassate è motivo di gioia e di santo orgoglio. Siamo grati al Signoreper il dono della sua presenza in mezzo a noi. La sua casa tra le ca-se degli uomini è segno di benedizione. La statua della Vergine Im-macolata, cara a tante generazioni di devoti andriesi, continua ad ac-cogliere quanti si inginocchiano in preghiera ai suoi piedi.

Celebrare il centenario non è sfogliare semplicemente l’album sbiadi-to dei ricordi ma rinnovare l’impegno di conservare integra la fede perdonarla, più limpida che mai, agli anni che verranno, per dire a tutti,con la stessa passione e con immutata devozione, che Dio è buono.

Umilmente, vogliamo rendere vera e attuale la decisione dell’apo-stolo Giovanni, quando, sotto la croce, si sentì affidare in custodia daGesù morente la Madre. “Da quel momento egli la prese con sé”. Ri-prendiamo con noi Maria perché sia, per tutti e per sempre, la Madre.

don Paolo ZamengoParroco B.V. Immacolata

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Il programma pastorale parrocchialedi Maria SS.ma Addolorata alle Croci di Andria

CRONACA DI VITA DIOCESANA

Il titolo del Progetto pastorale della parrocchia Santa Maria Ad-dolorata alle Croci è “Laici: ponti tra Vangelo e Mondo”; un pro-gramma, già dal titolo ardito, che pare cogliere appieno le direttiveindicate da S.E.R. Mons. Calabro nel Programma Pastorale 2010/2011“Andate anche voi nella mia vigna” (Mt 20,4); dedicato ai laici e alloro impegno attivo nelle proprie comunità, nella propria città e nel-la realtà lavorativa quotidiana, il programma si sviluppa in quattrotappe: la prima “Chiamati da sempre”, la seconda “I cristiani: tralcisecchi?”, la terza “Chiamati alla Santità mediante il battessimo” e laquarta ed ultima parte ancora da attuare dal tema “I ministeri”.

Ogni tappa prevede a sua volta quattro momenti e l’introduzionead ogni tappa. L’introduzione è curata dal parroco, dal viceparroco edal Consiglio pastorale parrocchiale; traggo un passo della introduzio-ne della prima tappa del programma: «Tutti insieme pensiamo che siaimportante cogliere che nostro Signore ci vuole bene e ci ha “chiamatida sempre” a lavorare nella sua vigna che è il mondo. Ripartire dalVangelo significa mettersi in cammino per riscoprire la propria iden-tità vocazionale senza la quale ci sentiremmo sempre dei subalterni,considereremmo la nostra vita un percorso da infelici e non saprem-mo gioire dei segni dei tempi che ci vengono donati per essere pie-namente corresponsabili della propria e altrui salvezza».

Il primo momento, dopo l’introduzione, è dedicato all’ASCOLTODELLA PAROLA: il Salmo 138 nella prima tappa, il Vangelo di Gio-vanni (Gv 15,1-17) nella seconda, il Vangelo di Matteo (Mt 3,13-17)nella terza che si concluderà a giugno. Ogni lettura è oggetto di com-mento per la riflessione personale e comunitaria.

Il secondo momento della tappa è dedicato alla STORIA DI UNSANTO del nostro tempo come Chiara Luce Badano, Pier Giorgio

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Frassati, San Pio da Pietrelcina ecc.. I santi sono i testimoni auten-tici dell’incarnazione del Vangelo, gli esempi trascinanti dell’Evangelonella quotidianità della vita di ogni laico continuamente teso tra mon-do vissuto e mondo sperato.

Il terzo momento è quello dell’incontro con il laico impegnato nel-la parrocchia: I LAICI RACCONTANO. Egli risponde alle domandeloro rivolte dai parrocchiani, dai sacerdoti, bambini, anziani che vivo-no nella comunità. Ha accolto l’invito al dialogo la responsabile par-rocchiale del gruppo Caritas, che ha spiegato come concretamenteopera la Caritas all’interno della parrocchia, il numero delle famiglieche usufruiscono del servizio, chi sono gli altri operatori Caritas, ledifficoltà che si vivono ordinariamente, le aumentate necessità per ri-spondere ai tanti in difficoltà, le speranze. Ha raccontato la propriaesperienza il rieletto Presidente dell’azione cattolica parrocchiale, cheha ricordato che impegnarsi è assumersi delle responsabilità, una re-sponsabilità che deve essere impregnata di preghiera che non devemai mancare, lo stesso ha ricordato che la missione di un presidentedi A.C. non è diventare “qualcuno” all’interno della parrocchia ma an-nunciare la Parola di Dio agli altri con il proprio esempio. Nel dialo-go coi laici ha riportato il proprio contributo il responsabile del Grup-po liturgico che ha indicato il percorso per divenire liturgista, la suaesperienza, come opera il gruppo liturgico e quali sono gli auspici egli strumenti per far crescere maggiormente la comunità alla parteci-pazione liturgica.

Il quarto ed ultimo momento è chiamato LA COMUNITÀ SIMUOVE ed è costituito dalle innumerevoli iniziative parrocchiali edoratoriani che si sviluppano all’interno della comunità che sono sia ditipo religioso che ludico-ricreative.

«Il programma pastorale con il suo tema: “I laici ponti tra Van-gelo e mondo”, ha consentito» dice il parroco Don Riccardo Agresti «dinon tralasciare nessuno dei figli affidati alla cura spirituale, invitan-do i fedeli a creare anche ponti tra il carcere e il mondo. L’esperien-za quadriennale della visita ai carcerati che svolgo con Don VincenzoGiannelli, ha portato a realizzare il progetto “Ponti tra il carcere e ilmondo”. Tale progetto, grazie al Vescovo e al direttore della Caritasdiocesana Don Mimmo Francavilla e Don Vincenzo Giannelli, è servi-to a sollecitare tutte le comunità della diocesi a sostenerlo. Il proget-to è stato poi» ha continuato Don Riccardo «approvato dalla CaritasNazionale e pertanto sarà attuato a partire da Aprile 2010 e si con-cluderà nel marzo 2012. Da qui la scelta di formare da sempre la co-munità ad uno stile di accoglienza, di solidarietà e di inserimentoperché la pastorale della comunità è rivolta alla formazione integraledella persona umana e di tutte le persone e quindi anche verso colo-

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ro che hanno sbagliato con reati e con comportamenti moralmente di-sdicevoli. “I laici ponti tra Vangelo e mondo” si è rivelato uno stru-mento straordinario di avvicinamento e di collaborazione tra coloroche sono nella vita della comunità semplicemente “spettatori” o “pas-seggeri” e coloro che quotidianamente vivono la realtà parrocchiale edoperano con impegno sincero e amorevole nella “Vigna del Signore”».

Michele Caldarola

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Il programma pastorale parrocchialenella parrocchia SS. Trinità di Andria

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Il Programma Pastorale Diocesano 2010-2011, che ha per tema“La vocazione dei laici nella Chiesa e nella società”, pone l’attenzionesull’importanza e sulla necessità oggi della viva testimonianza dei lai-ci nella vita della Chiesa e del mondo.

Esso vede la sua origine anche alla luce di un importante eventocui le Chiese di Puglia sono invitate a prepararsi, il 3° convegno Ec-clesiale Pugliese che sarà celebrato a San Giovanni Rotondo dal 29aprile al 1° Maggio 2011.

Nella lettera d’indizione del Convegno, così si esprimono i Vescovidi Puglia nel giustificare l’urgenza di una riflessione sulla vocazionedei laici: “È nostro vivo desiderio che i membri del popolo santo diDio (presbiteri, consacrati e laici) destinatari e protagonisti di questoimportante evento ecclesiale, riscoprano la grandezza della vocazionelaicale…vogliamo che nelle nostre chiese maturi un’ecclesiologia di co-munione più compiuta, rinvigorendo la corresponsabilità ecclesiale deilaici e potenziando la loro formazione”

In virtù di ciò, la nostra comunità parrocchiale ha sviluppato unprogramma pastorale in cui, oltre al cammino formativo dei singoligruppi (giovanissimi, giovani, famiglie, adulti di A.C.) ed alla parteci-pazione ai momenti diocesani, ha previsto, per la formazione dottri-nale, quattro incontri che presentassero in maniera approfondita il do-cumento di Giovanni Paolo II “Christifideles laici”.

Il primo, tenuto dal Prof. Leo Fasciano, su “Laicità e laicismo aconfronto”, ha posto l’attenzione sui paragrafi 11-17 del documento; ilsecondo, tenuto dall’Ins. Lucia Cavallo, ha approfondito i paragrafi18-31 sviluppando il tema della corresponsabilità; nel terzo, invece,tenuto dal Prof. Paolo Farina, ci si è soffermati sui paragrafi 32-44approfondendo l’aspetto della testimonianza e della missionarietà so-

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prattutto in famiglia; in ultimo, l’incontro con Don Mimmo Franca-villa, il quale, su suggerimento della Caritas parrocchiale e partendodai paragrafi 42-43, ha presentato alcuni progetti della Caritas dioce-sana: il Progetto Barnaba, il Progetto Policoro e la conoscenza dellaBanca Etica.

Per la formazione spirituale il programma vede come momenti im-portanti: l’adorazione eucaristica settimanale, ogni giovedì, vissuta co-munitariamente e come momento di preghiera personale, e quattroincontri di Lectio Divina sulla Prima Lettera di S. Paolo Apostolo aiCorinzi, durante i quali si approfondiranno alcuni passi per conosce-re più da vicino le dinamiche, i problemi e lo stile di vita di questaprimitiva comunità cristiana. Questi incontri saranno animati daMons. Michele Lenoci, don Peppino e don Riccardo. Tutti questi mo-menti certamente hanno aiutato e continueranno ad aiutare noi laicia gustare la preziosità della parola di Dio come straordinaria risorsaper rinvigorire la fede e dare ragione della speranza che è in noi.

Durante l’anno pastorale l’A.C. parrocchiale, prendendo spunto dalcammino formativo associativo, ha previsto di organizzare per la co-munità degli incontri in cui evidenziare la testimonianza di alcunilaici, come Vittorio Bachelet, Aldo Moro o persone presenti nella no-stra Chiesa locale. Certamente un’ambito in cui impegnarsi in primapersona, come laici (adulti e giovani), è quello dell’Oratorio, frequen-tato da diverse centinaia di ragazzi, giovani e famiglie: è il luogo incui ci si spende per a la formazione dei ragazzi.

Come ulteriore impegno di partecipazione e di corresponsabilità al-la vita della Chiesa, il Consiglio Pastorale Parrocchiale ha ritenutoopportuno di proporre ai genitori dei bambini del I anno di catechi-smo, all’atto delle iscrizioni, la scelta di tre percorsi diversi: il per-corso tradizionale, il percorso dell’A.C.R. (già in atto) ed il percorsodella catechesi familiare. Quest’ultimo percorso ha l’intento di farprendere coscienza ai genitori di essere i primi testimoni ed educato-ri alla fede per i propri figli.

L’obiettivo ultimo del nostro Programma è quello di far interagirei vari gruppi per una corresponsabilità maggiore nella vita della co-munità parrocchiale.

Luigia Vilella

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I laici tra fede, ricerca e preghieraa San Sabino - Canosa

VITA DIOCESANA

Questa volta, nel continuare il nostro viaggio avviato tra le diver-se Comunità Parrocchiali di Canosa di Puglia, la nostra attenzione siè focalizzata sulla Cattedrale di San Sabino. È il cuore della città, inquanto è situata nel centro storico ed è guidata da Don Felice Bacco.Parlando con lui, ci siamo soffermati sul programma pastorale propo-sto per questo anno dalla Diocesi, e perciò del ruolo che svolgono ilaici nella sua Comunità Parrocchiale.

Come obiettivo fondamentale, don Felice, propone la permanenteformazione dei laici affinchè ognuno prenda coscienza della sua par-ticolare vocazione all’interno della Chiesa, capendo così quale è il mi-nistero da vivere nella comunità. Ognuno non deve essere semplicecollaboratore della propria realtà parrocchiale, ma deve essere un cor-responsabile che si impegni ad edificare la comunità mettendo a di-sposizione degli altri i carismi ricevuti.

Tutto ciò può avvenire nel momento che l’impegno del laico siacontinuamente motivato e sostenuto da un cammino di fede, di ricer-ca e di preghiera. E questo cammino è stato definito all’interno delConsiglio Pastorale Parrocchiale, che durante le riunioni cerca dicreare momenti di dialogo e confronto con tutti i gruppi che operanoall’interno della comunità, sentendosi così un’unica Chiesa.

Don felice, ritiene che questi incontri sia opportuno estenderli atutta la città; ed è proprio per questo che in collaborazione con le al-tre comunità parrocchiali si è intrapreso un percorso mirato al raffor-zamento della nostra comunione, facendoci sentire una Chiesa che dàsapore con la sua testimonianza e coerenza. Si è venuto a formare unTavolo di Lavoro, dove si sono individuate tre problematiche partico-larmente avvertite sul territorio,che sono l’ambiente, il lavoro e la le-galità, dove si cerca una soluzione comune.

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In linea di massima, Don Felice sostiene che i rapporti tra i sa-cerdoti e i laici sono di grande fiducia e collaborazione, anche se ab-biamo sempre bisogno di convertirci ad una carità pastorale radicatanell’amore di Gesù Cristo, “perché il mondo creda”.

Paola Cecca

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Dieci anni nella parrocchia Maria SS. AssuntaCanosa

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La comunità parrocchiale Maria SS. Assunta si è ritrovata intor-no a Don Michele Malcangio per celebrare il primo decennio di vitainsieme. Una celebrazione eucaristica, un incontro formativo ed unafesta di comunità, hanno scandito i tre giorni dedicati a questa ricor-renza. Per amore della verità, in questa circostanza, non si deveomettere di ricordare che, in principio, questo luogo nasceva comeCentro Pastorale dedicato alla splendida figura del Redentorista Ser-vo di Dio Padre Antonio Maria Losito, per l’esempio di vita straordi-naria di servizio, di fede e di carità, per il quale, ricordiamo, sono an-cora in corso le attività per il processo di beatificazione. Il 13 gennaio2001, Sua Ecc. Mons. Raffaele Calabro, avendo destinato i locali aluogo di culto, e non potendo questi essere dedicati al Padre Antonionon ancora Beato, procedeva a dedicare la Chiesa alla Madonna As-sunta in cielo. La scelta di questo titolo non era casuale perché sel’edificio e la comunità parrocchiale sono ancora giovani, la tradizionedevozionale riservata alla Madonna Assunta nella zona si perde neltempo. Sotto il manto protettore, dunque, della Madonna, per quantoattiene la dimensione della fede e della devozione, e grazie ai fondidell’ “8 per mille” e della Diocesi per quello che riguarda gli aspettipiù materiali, la chiesa è sorta e la comunità ha preso vita. “I mo-menti di gioia sono stati tanti in questi anni” – dice Don Michele –“e ci hanno ripagato di quei momenti tristi che si succedono inevita-bilmente nel corso degli anni. Il mio primo pensiero va naturalmentea chi era con noi all’inizio ed ora non c’è più, ma anche alle centi-naia di bambini che ho battezzato e che vedo giù grandi, pronti perla cresima, o ai ragazzi di dieci anni fa che si sposano e mettono sufamiglia. L’alternarsi dei volti - aggiunge Don Michele - non mi fasentire più “vecchio”, anzi, è una piacevole conferma che ciò che re-

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sta immutabile, lo Spirito di Dio, prende forma ogni volta con linea-menti diversi. Senza dimenticare la costante presenza degli Scout,(Gruppo Canosa 1) che qui hanno trovato sede e che partecipano at-tivamente alla vita della parrocchia, affiorano tanti ricordi, soprattut-to legati ai momenti più belli; ma questa comunità - conclude DonMichele - pur non disdegnando di guardare alle cose fatte, sa che lecose da fare sono ancora tante, e penso alle situazioni di disagio, airagazzi a rischio ed alle famiglie in difficoltà, per finire all’ultimazio-ne dei campetti di calcio e di pallavolo-pallacanestro che speriamopresto possano diventare un ulteriore strumento di incontro e di ag-gregazione e per i quali sono convinto che la comunità non vorrà farmancare, come sempre, il suo appoggio”.

Dario Di Nunno

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Esperienze formative a Minervino Murge

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L’Associazione “L’Arca”, operante nella parrocchia di San MicheleArcangelo a Minervino Murge da diversi anni impegnata nella for-mazione cristiana di ragazzi, giovani e adulti, durante le festività na-talizie ha messo in scena un’esilarante commedia in vernacolo miner-vinese dal titolo “LA R-CONOSCE-N-Z D CANIUCC E ZEZZELL”.

Ideata e scritta da Antonio Gallucci nel 1992 la commedia ripro-pone “LA R-CONOSCE-N-Z” uno dei momenti di vita più radicati nel-la cultura minervinese nei primi anni sessanta.

Frizzante, simpatica e ironica la commedia ha riscosso, soprattut-to grazie alla bravura dei giovani attori tutti alla prima esperienza,grande approvazione e successo all’interno della comunità parrocchia-le e da parte degli spettatori, un po’ malinconici delle vecchie tradi-zioni perse, tanto da registrare ogni sera il tutto esaurito dei postidella palestra dell’ex liceo Fermi.

Inoltre - come spiega il regista e presidente dell’associazione, An-drea Elifani, - “il vernacolo, dal canto suo, ha amplificato il contestoironico e ci riconsegnati ad un quadro esistenziale tipico del secoloscorso e quindi del nostro caro bagaglio culturale”.

Per i giovani attori, che in soli tre mesi hanno realizzato l’impre-sa, è stata un’esperienza davvero esaltante e divertente, certamenteda ripetere. Che dire… aspettiamo la prossima commedia!!!!

Savio Scarpa

Da qualche anno, stimolati e guidati dall’ingegnoso don CinzioGiorgio, noi catechisti, con il gruppo dei giovanissimi, allestiamo emettiamo in scena il Presepe Vivente. Non è uno spettacolo, ma unmodo alternativo di fare catechesi sia ai bambini che agli adulti.

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L’obiettivo è quello di far comprendere il vero significato del Na-tale, che molti mettono in secondo piano perchè ormai quel che con-ta di più è l’organizzazione di grandi pranzi e cene, l’acquisto di re-gali da sistemare sotto l’albero....e il Presepe? Che fine ha fatto?

Il messaggio che abbiamo fatto nostro quest’anno è quello di Pao-lo VI che ci ha ripreso don Franco Leo in una omelia, e cioè: “Unbuon Natale vuol dire anche un bel Presepio”.

Il Presepe è una guida per le famiglie che si preparano a viverecristianamente il Natale.

I ragazzi, i bambini e i loro genitori hanno partecipato con entu-siasmo all’organizzazione, creando un ambiente fraterno in cui si con-cretizza il messaggio del Natale. La gioia della condivisione, del la-vorare insieme è quello che appaga ogni sacrificio e apre i nostri cuo-ri all’amore concreto verso ogni uomo che il Figlio di Dio ha conse-gnato alle nostre cure.

Nella Angiulo

Il 7 gennaio a Minervino si è svolta, presso la cripta della Chie-sa dell’Immacolata, la “Tombolata per Madrid”, organizzata dal Ser-vizio di Pastorale Giovanile Diocesano, a cui hanno partecipato circasessanta ragazzi delle comunità parrocchiali minervinesi.

Tra prove, ricchi premi e cotillons si è raccolto un bel gruzzolettoda destinare al fondo diocesano per la partecipazione dei giovani allaGMG che si terrà dal 16 al 21 Agosto prossimo a Madrid.

Alla GMG è prevista una delegazione di circa venti ragazzi mi-nervinesi.

Giacomo Cocola

Il 30 Dicembre si è svolta la Marcia della Pace sul tema “Libertàreligiosa, via della pace”, secondo quanto indicato dal Santo Padre nelsuo annuale Messaggio per la Giornata della Pace.

Organizzata dal Servizio di Pastorale Giovanile Diocesano, dallaFuci e dalle Comunità Parrocchiali Minervinesi, la marcia ha avutoinizio nell’atrio del Palazzo Comunale dove è stato presentato il temaattraverso un breve video “La libertà religiosa” ispirato all’art. 19 del-la nostra costituzione. Poi si è proseguito fino a raggiungere PiazzaBovio dove i giovani di Minervino hanno presentato i cinque simbolidelle religioni principali (la stella di David, la ruota del buddismo, loying-yang del taoismo, la mezzaluna con la stella dell’Islam, la Croceper il cristianesimo) a indicare l’apporto che ciascuna religione ha nel-la costruzione della pace. Nella Chiesa di San Michele abbiamo vis-suto il momento più intenso della Veglia di preghiera con la testimo-nianza Santa Porro sui possibili cammini di integrazione tra i cre-

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denti di varie religioni in Egitto messi in atto dalla nostra con-dioce-sana Suor Annamaria Sgaramella e sostenuti dalla Caritas diocesana.

Giacomo Cocola

Il 23 dicembre Il Centro “Emmaus”, la Caritas Diocesana e l’Am-ministrazione Comunale di Minervino Murge hanno organizzato unpranzo di solidarietà per i cittadini indigenti e gli extracomunitariche per festeggiare e vivere insieme la gioia del Natale. Inoltre a nu-merose famiglie bisognose è stato consegnato a domicilio, tramite leragazze dell’AVS, un ricco cesto contenente prodotti alimentari.

Come da anni, il 5 gennaio il centro ‘Emmaus’ ha organizzato lafesta della Befana per tutti i bambini delle famiglie che durante l’an-no si rivolgono alla struttura caritativa. È stata innanzitutto l’occa-sione d’incontro e di collaborazione tra i volontari e i giovani. L’ani-mazione con balli e giochi, curata dalle ragazze dell’AVS e dai giova-ni della parrocchia di S. Michele, ha reso il momento una festa.

Per noi che il più delle volte incontriamo le famiglie nella diffi-coltà e nella tristezza e che spesso sperimentiamo la delusione dovu-ta alle nostre limitate possibilità di aiuto e sostegno, riempie il cuo-re solamente vederli, anche se per una sera, gioiosi e ridenti.

Molto più toccante è leggere negli occhi dei bambini l’attesa dellaBefana con il suo sacco pieno di calze e di ricchi doni e la gioia delsentirsi chiamati per nome e ricevere dalla brutta, ma sorridente vec-china il regalo per sé.

Incontenibile la curiosità che ha portato ciascuno a scartare subi-to il pacco…

Sono dei momenti che devono costituire per tutti una “riserva digioia” a cui poter attingere per dare colore e luce ai giorni del nostroimpegno e speranza a chi vive nella difficoltà.

Antonio Bevilacqua

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L’antica storia della Madonna dei Miracolie della città di Andria in un’opera del secolo XVII

LA PAROLA DEL VESCOVO

L’avevano stampata a Napoli, presso la Stamperia storica di Tar-quinio Longo nel 1606, a soli circa trent’anni da quando l’antica Val-le di santa Margherita ad Andria era ritornata ad essere, dopo seco-li di abbandono, un luogo di fede e di vita. Ha visto una sua ri-stampa dopo circa quattro secoli, grazie alla concessione dei PadriAgostiniani, custodi del Santuario, e l’impegno del dottor Vincenzo Zi-to, andriese da sempre impegnato in serie ricerche storiche su varimonumenti della città. Stiamo parlando di una delle più antiche ope-re che riguarda Andria, il volume “Di Santa Maria de’ Miracoli d’An-dria. Libri Tre”, del canonico catanese don Giovanni di Franco, fra-tello di uno dei primi superiori- il “decano titolare” Valeriano- del mo-nastero benedettino sorto accanto all’antica grotta affrescata. La pre-senza di questi due fratelli catanesi ad Andria ha lasciato traccia an-che in uno degli affreschi della Capella del Crocifisso, vale a dire laraffigurazione della martire Agata, patrona della città siciliana.

Il libro “Di Santa Maria de’ Miracoli…”, consultato finora solo dapochi studiosi (a Zito risulta che ne sono rimaste nelle biblioteche so-lo cinque copie, compresa quella di Andria), conservato gelosamentedai Padri agostiniani, ora viene messo a disposizione di un maggiornumero di lettori e di studiosi. Sul frontespizio del volume risalta lostemma della famiglia Carafa, i feudatari della città, ed è proprio alDuca Antonio che è dedicato il testo. Facciamo parlare l’autore stes-so nell’introduzione e poi passiamo a descrivere brevemente le carat-teristiche di ciascuno dei “tre libri”. Il Di Franchi (così si firma nel-la presentazione, mentre sul frontespizio viene chiamato di Franco),scrive di voler “far palesi al mondo le opere meravigliose della Reina(=Regina) del Cielo, la cui immagine, (che tanti e tanti anni era sta-ta nel buio di una sì erma (= nascosta) e aspera grotta sepolta) am-

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mirabilmente si fè nota nella felicissima contrada d’Andria, Città delsuo Stato; e insieme rappresentando misi l’occasione di far conoscerea gli huomini (sic) ( benché non vi sia tal bisogno, essendo per sestessa chiara, e risplendente), l’Illustrissima, e Eccellentissima fami-glia Carafa…”(pag. 8). L’autore infatti non solo ci consegna una de-scrizione del Santuario mariano e della leggenda del ritrovamentodella sacra immagine, ma dedica parte del libro terzo a raccontare lastoria di Andria e della famiglia Carafa. Il suo interesse non è quin-di solo circoscritto alla Madonna dei Miracoli, ma si estende a rico-struire la storia della città, quella del suo santo patrono Riccardo,quello delle sorti del feudo, passato dai Del Balzo ai Cordova e ven-duto nel 1553 a Fabrizio Carafa. Possiamo quindi a ragione chiama-re il volume del di Franco il precursore della prima storia di Andria,certo meno completa di quella del Prevosto di san Nicola GiovanniPastore (sec. XVIII), poi confluita nell’opera dello storico don Riccar-do D’Urso (sec. XIX).

Il primo dei tre libri descrive il sito della chiesa della Madonnadei Miracoli, che aveva già ormai i tre livelli attuali, la storia di sanRiccardo (datata come si credeva allora erroneamente nei secoli V eVI), quella del ritrovamento della sacra immagine della Madonna, iprimi miracoli avvenuti attorno alla icona. Le descrizioni degli avve-nimenti sono accompagnate da digressioni molto erudite, con citazionibibliche e riferimenti ad opere religiose e classiche. Il secondo libro èuno straordinario documento che ci fa comprendere il perché del tito-lo attribuito alla Madonna di Andria, con una ricca testimonianza deimiracoli avvenuti per intercessione della Vergine dal 1576 al 1604,con il decreto del Vescovo Luca Antonio Resta attestante la veridicitàdelle testimonianze. Dal lungo elenco si può notare che il Santuarioandriese vedeva accorrere pellegrini da tutta la Puglia, ed aveva as-sunto in pochi anni una grande rinomanza. Il terzo libro, come giàdetto, riporta una breve storia di Andria, della famiglia Carafa, undocumento della corte spagnola sulla famiglia nobile andriese, altridocumenti, papali, episcopali e del governo della città, sulla primaconfraternita che si prendeva cura del culto mariano e poi del mona-stero voluto da Fabrizio Carafa.

Siamo grati a chi ha permesso la pubblicazione e la divulgazionedi questo testo, da interpretare, contestualizzare storicamente -distin-guendo, ad esempio, le antiche leggende sul santo patrono da ciò chela ricerca storica ha poi acclarato – studiare e far conoscere, per unasempre migliore comprensione delle fonti della storia religiosa e civi-le di Andria.

don Luigi RennaDirettore della Biblioteca Diocesana di Andria

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Ester e Giuditta:la Sapiente laicità delle donne di Israele

Vittoria D’Alario*

Ai fini del discorso sull’impegno dei laici nella Chiesa e nella so-cietà contemporanea la presentazione di figure femminili appartenen-ti all’ambito veterotestamentario può essere illuminante per compren-dere il ruolo che il laico oggi deve svolgere nel proprio contesto ec-clesiale e sociale. Ester e Giuditta sono particolarmente rappresenta-tive per l’importanza che esse rivestono nella storia del popolo eletto,ma anche per i valori religiosi e civili di cui si rendono interpreti eche sono ancora oggi attuali pur nella diversità della temperie stori-ca.

Prima di entrare nell’argomento è utile fare alcune precisazionisul concetto di laicità nell’Antico Testamento e sulla posizione che ladonna occupa nel popolo di Israele.

1. La laicità nell’Antico Testamento

Sembrerebbe vano ricercare nell’Antico Testamento la figura mo-derna del laico impegnato o della donna considerata come persona conpari dignità e diritti rispetto all’uomo. Eppure il concetto moderno dilaicità affonda le sue radici proprio nell’Antico Testamento. Non a ca-so il Concilio Vaticano II, nel presentare la chiesa nella storia dellasalvezza,considera il popolo ebraico ecclesia Dei: “Come già Israele se-condo la carne, peregrinante nel deserto, viene chiamato chiesa di Dio(2 Esd 13,1; cf. Nm 20,4; Dt 23,1ss), così il nuovo Israele dell’era pre-sente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (cf.

* Docente di Esegesi Biblica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meri-dionale di Napoli. Relazione tenuta alla Settimana biblica diocesana, Andria, 14marzo 2011

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Eb 13,14), si chiama pure chiesa di Cristo…”. È solo alla luce dellecategorie veterotestamentarie che si può comprendere il nuovo popolodi Dio, che è la Chiesa. La prima lettera di Pietro si serve infatti deiconcetti e delle immagini, che l’Antico Testamento utilizza in relazio-ne a Israele, per descrivere le caratteristiche del nuovo popolo di Dioche comprende non solo gli ebrei ma anche i pagani: “Ma voi sieteuna stirpe scelta, un organismo sacerdotale, regale, un popolo santo,un popolo destinato ad essere posseduto da Dio, così da annunziarepubblicamente le opere degne di colui che dalle tenebre vi chiamò al-la sua luce meravigliosa, voi che un tempo eravate non- popolo, orainvece siete popolo di Dio, eravate non beneficati dalla bontà divina,ora invece siete beneficati” (1 Pt 2,9-10)1. Ma anche la terminologiadei testi biblici può essere utile per illustrare il nostro tema.

Il termine “laico”, che deriva dal greco laós, è utilizzato dai LXXper tradurre la parola ebraica am, usata in riferimento al popolo elet-to soprattutto nei testi che trattano del suo particolare rapporto conDio2.

L’identità del popolo di Israele si basa principalmente sulla Leggeche regola i rapporti all’interno della comunità e costituisce il cuoredella vita del popolo. Ma non meno importanti sono i fattori di ordi-ne istituzionale, come pure l’unità di stirpe, il possesso della terrapromessa, una lingua comune che garantisce la trasmissione di unacultura e di una visione del mondo, in cui il primato dei valori reli-giosi non annulla ma anzi favorisce una concezione “laica” della vita.

1. Alla base di quest’affermazione si trova il testo di Es 19,1-6, che riguarda l’ au-tocomprensione di Israele in quanto popolo di Dio. Dopo aver ricordato i suoi in-terventi prodigiosi durante l’esodo dall’Egitto, Dio fonda sulla fedeltà all’alleanzala posizione speciale di Israele. A Jahvé appartiene tutta la terra, che comprendequindi tutti i popoli. Ma Israele deve essere la sua particolare proprietà (v.5) eperciò un popolo “santo”, al quale è affidata una missione universale. Al v. 6 sidice infatti che Israele deve costituire un “regno di sacerdoti”, un’organizzazionestatale simile a quella di altri popoli che assume però la funzione di membro sa-cerdotale. Deve svolgere dunque la missione che è propria dei sacerdoti, compierecioè un “servizio a Dio” per tutto il mondo (cfr anche Is 61, 5-6).Questo è infatti il suo destino fin dalla vocazione di Abramo (Gen 12, 2-3), nelquale si diranno benedette tutte le famiglie della terra. Cf. M. NOTH, Esodo (An-tico Testamento, 5), Paideia, Brescia 1977, 194-195.

2. Utilissimi per una comprensione generale del tema sono i seguenti contributi conrelativa bibliografia: M. CIMOSA, voce “Popolo/popoli”, in P. ROSSANO, G. RA-VASI, A. GHIRLANDA (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia biblica, Paoline,Cinisello Balsamo (Mi) 1988, 1189-1202; W. KRAUS, voce “Popolo di Dio”, in R.PENNA, G. PEREGO, G. RAVASI (a cura di), Temi teologici della Bibbia, SanPaolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2010, 1051-1060.

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Nell’Antico Testamento laicità significa appartenenza al popoloeletto. Questa appartenenza determina una profonda solidarietà tratutti i membri del popolo, al punto tale che l’individuo, anche se ri-veste importanti cariche politiche e religiose, si percepisce sempre nel-la sua unità indissolubile con la comunità. L’individualismo, triste re-taggio dell’età moderna, è inconcepibile nell’ottica biblica. Come os-serva M. Cimosa3, gli stessi profeti, oltre ad essere uomini di Dio, so-no anche uomini del popolo, capaci di rappresentare la volontà popo-lare, di portare avanti le sue istanze contribuendo così ad impedireogni assolutismo dispotico da parte del re. Il popolo ebreo partecipaattivamente alla vita politica e religiosa, non vive in un rapporto ditotale subordinazione rispetto alle autorità, ma ha il diritto di parla-re e di essere presente nelle decisioni che lo riguardano, come pureha diritto ad essere ascoltato e le sue opinioni sono tenute in consi-derazione.

Anche per quanto riguarda il ministero, coloro che hanno un com-pito particolare sono presi dal popolo, il profeta è preso in mezzo aisuoi fratelli (Dt 18, 15.18) e gli è affidata la missione di comunicareal popolo la volontà di Dio in ordine alla salvezza, il sacerdote e il revengono nominati dal popolo (Dt 17,15) con il compito di garantirel’osservanza dei comandamenti e la giustizia.

2. Le donne e il popolo di Israele

Qual era allora il ruolo della donna nel popolo di Israele?Pur vivendo nella situazione tipica della società patriarcale, in cui

la moglie è sottomessa al marito, la donna israelita non è una schia-va. È soprattutto il matrimonio che le conferisce particolare dignità eprestigio e la protegge nello stesso tempo da ogni forma di arbitrio.L’uomo può vendere il suo schiavo e perfino sua figlia (Es 21,7) manon può vendere la moglie anche se l’avesse acquistata come prigio-niera di guerra (Dt 21,14).

Non è consentito alla donna di divorziare, perché solo il maritopuò prendere tale iniziativa; la donna ha però il diritto di ottenere illibello del ripudio che le restituisce la libertà e conserva almeno laproprietà di una parte della dote e di quanto aveva ricevuto dai ge-nitori (Gs 15,19: Gdc 1,15).

In famiglia la donna è impegnata al massimo non solo nell’ambi-to domestico, perché tesse, fila e cucina, ma anche nel lavoro dei cam-pi e nella custodia del gregge. Il suo prestigio aumenta quando di-venta madre e le viene affidata l’educazione dei figli nei primi anni

3 CIMOSA, “Popolo/popoli”, cit., 1192.

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di vita; alla madre, come comanda Es 20,12, si deve lo stesso rispet-to che si nutre verso il padre (Lev 19,3)4.

I testi che dedicano maggiore spazio al vissuto familiare mostranocome la donna sia amata e ascoltata dal marito e da lei trattata co-me pari: la madre di Samuele (1 Sam 1,4-8; 22-23), la donna di Shu-nem (2 Re 4,8-24); le due vecchie famiglie del libro di Tobia.

Per quanto riguarda i ministeri, la donna è esclusa dal sacerdo-zio.

Mentre in Assiria e Fenicia vi erano delle sacerdotesse, in Israelele donne non potevano accedere al sacerdozio non solo per i ben noticondizionamenti sociali e familiari, ma anche per motivi strettamentereligiosi. Durante il periodo della monarchia, quando Israele era piùincline al sincretismo religioso, furono introdotti nel Tempio uomini edonne dediti alla pratica della prostituzione sacra, una pratica pro-pria dei santuari cananei, legata soprattutto ai culti della fertilità (Os4,14; 1 Re 14,24; 15,12; 22,47). In 2 Re 22,7 si parla di donne chetessevano i veli per Ashera e che abitavano nella casa dei prostitutisacri. Una condanna aperta di tale pratica si ritrova nei testi deute-ronomici e profetici:

Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra né visarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele(Dt 23,18);

Non punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono adulterio: poiché essi stessi si appartano con le prostitute e con le prostitute sacre offrono sacrifici” (Os 4,14) Fu Giosia, nel contesto della sua riforma, a demolire la casa dei

prostituti sacri al fine di purificare il culto jahvista. L’idea di un sa-cerdozio femminile era quindi impensabile e assurda. Nonostante ciòle donne non sono emarginate dalla comunità sacra d’Israele, mapartecipano alla sua vita religiosa e cultuale. Es 38,8 parla di don-ne che prestavano servizio all’ingresso della tenda del convegno e cheregalarono i loro specchi per la fusione del bacino di bronzo. Esd2,65 enumera cantori e cantatrici nelle carovane del ritorno. Donnecantanti e danzanti appaiono nelle feste religiose (Es 15,20-21); Gdc21,21; Sal 68,26) anche se non hanno un posto nel personale cultua-le.

4. Su questo insistono soprattutto i libri sapienziali (Prov 19,26; 20,20; 23,22;30,17:Sir 3,1-16). Sul tema della donna cf. V. D’ALARIO, “Le donne nei libri sapien-ziali”, in A. BONORA, M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti (Logos,4),LDC, Torino-Leumann 1997, 413-422.

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Alle donne è data anche la possibilità di praticare il nazireato checonsiste nel consacrarsi a Dio per un determinato periodo di tempo(Nm 6,1-21) 5.

Particolarmente importanti sono le donne che prendono parte aipubblici affari; prime tra tutte Debora, che è giudice e profetessa in-sieme (Gdc 4-5) e Atalia, che occupa il trono di Giuda (2 Re 11).

Profetesse sono pure Maria, sorella di Mosè (Es 15,20), la mogliedi Isaia (Is 8,4), Culda, che è la moglie del guardarobiere del tempioSallum e contemporanea di Geremia. Nell’Antico Testamento il cari-sma profetico riguarda uomini e donne, senza distinzione come av-verrà anche nell’era messianica (Gl 3,1-2).

Infine Rut, Ester e Giuditta sono donne del tutto straordinarie.Rut è una donna straniera, che diventerà antenata del re Davide,Ester e Giuditta sono due eroine nelle cui mani è riposto il destinodi Israele.

3. Ester e Giuditta: due figure paradigmatiche.

Prendendo in esame le figure femminili che hanno svolto un ruo-lo importante nella storia di Israele, emerge un tratto unificante. Sitratta di donne che incarnano gli ideali religiosi e politici ai quali fariferimento la comunità israelita soprattutto nei momenti critici dellasua storia.

La vicenda di Ester si svolge a Susa, una delle capitali dell’impe-ro persiano, al tempo del re Serse (chiamato Assuero). Il testo grecoparla già di Artaserse 6. In seguito a un gesto di disobbedienza il reripudia sua moglie Vasti (in greco, Astin) e sceglie come moglie Ester,un’orfana ebrea, che diventa regina al posto di Vasti.

Nel frattempo scoppia un conflitto tra il primo ministro Amàn el’ebreo Mardocheo, che rifiuta di inginocchiarsi davanti a lui.

Amàn decide di punire Mardocheo e di sterminare tutti gli ebreidel regno.

L’intervento di Ester presso il re smaschera il piano perverso diAmàn che viene impiccato e Mardocheo prende il suo posto. Gli ebreivengono autorizzati a difendersi e sconfiggono i loro nemici, ucciden-do 75.000 persone.

5. Il nazireato era un costume molto antico, che inizialmente consisteva in una con-sacrazione a vita.

6. Del libro di Ester esistono due versioni: la più antica, in ebraico, è stata compo-sta probabilmente intorno al 300 a. C. La più recente (II sec. a C.) è in greco edè quella recepita nel canone cattolico.

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Il libro di Giuditta, la “giudea” per eccellenza, è ambientatoall’epoca di Nabucodonosor, che, dopo aver sconfitto Arfacsad, sovra-no dell’impero Medo-Persiano, si propone di diventare re di tutta laterra e di sostituire ogni divinità. Egli sarà l’unico dio e impererà sututto l’universo (3,8). Conquista prima tutti i popoli dell’Oriente e poisi porta verso l’Occidente, terrorizzando con il suo potentissimo eser-cito tutte le popolazioni che incontra e riducendole in schiavitù. Unasola nazione resiste e si prepara alla difesa: il piccolo popolo di Giu-da. Ma le forze sono impari e la piccola città di Betulia, ormai pro-strata dalla fame, decide di arrendersi.

A questo punto si fa avanti Giuditta, una vedova ancora giovane,bella e ricca. Ella chiede alle autorità di lasciarla libera per operarela salvezza del popolo ed ottiene un salvacondotto. Viene introdottapresso Oloferne, il comandante in capo e, dopo essere rimasta pressodi lui per tre giorni, al terzo giorno lo uccide staccandogli la testa.Tornata a Betulia, con la testa del nemico come trofeo, ordina che lapopolazione esca in battaglia. I nemici, disorientati dalla morte del lo-ro comandante, fuggono e vengono uccisi.

Alla luce di quanto abbiamo detto a proposito della donna, comemai vengono scelte queste due figure femminili per trattare di argo-menti così “maschili” come la politica e la guerra? Tutto si spiega al-la luce dal particolare genere letterario dei due testi.

Il libro di Ester è una novella, in cui i personaggi e gli eventi sto-rici assumono un significato altamente simbolico in virtù di un pro-cesso di tipizzazione che è caratteristico dello stile sapienziale.

Il libro di Giuditta è un romanzo teologico, che è narrato con unevidente intento didattico sul quale occorre appunto soffermarsi. Estere Giuditta sono infatti due figure paradigmatiche che rappresentanosia gli ideali religiosi di Israele sia i valori laici ai quali si ispira ilpopolo eletto nel suo vivere quotidiano.

Esse appartengono a due categorie sociali che nella tradizione diIsraele sono annoverate tra gli ‘anawîm: Ester è orfana e povera(2,7), Giuditta è vedova e senza figli, due persone senza alcun pre-stigio sociale. La scelta di questi due personaggi femminili è già diper sé indicativa per comprendere il significato teologico dei due te-sti. Il disegno di Dio e la salvezza di Israele si realizzano attraversoi più deboli. L’Israele perseguitato viene salvato da Dio grazie a duedonne che nella loro fragilità e debolezza riescono a prevalere sui ne-mici arroganti e violenti.

La mediazione di donne che sono fuori dagli schemi tradizionali èuna costante della storia della salvezza. La protagonista del Canticodei Cantici è una donna dalla pelle scura (Ct 1,5); Susanna è unadonna indifesa e calunniata (Dan 13); Rut, che è vedova, straniera e

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povera (Rt 1,4ss) avrà il privilegio di diventare l'antenata di Davideed entrerà a far parte della genealogia di Gesù (Mt 1,5) ; infine Ma-ria, l’umile fanciulla di Nazaret, sarà la madre del Messia.

Ester e Giuditta sono il simbolo del popolo di Israele che si rico-nosce nei poveri e negli oppressi, perché sa che Dio è dalla parte deideboli e dei perseguitati. Come afferma giustamente S. Gallazzi, il po-polo dei poveri preferisce riconoscersi nella debolezza delle donne,“perché è proprio questa debolezza che le fa “belle” agli occhi di Dioe degli uomini. Dio non saprà mai resistere alla bellezza del debole edell’oppresso, al quale ha giurato eterno amore” 7. Il Magnificat e leBeatitudini evangeliche esprimono con la massima chiarezza questagrande verità che accomuna l’ebraismo e il cristianesimo e che nellostesso tempo costituisce il fondamento del nostro impegno di laici nel-la società contemporanea.

3.1. Una laicità ispirata ai valori della sapienza.

Ester e Giuditta hanno in comune la bellezza, come la donna delCantico dei cantici, come Rut e Susanna. Non si tratta dunque didonne rudi e mascoline, ma di due personaggi femminili che nono-stante le traversie della vita conservano la loro squisita femminilità.La bellezza delle donne conta più del potere e della forza.

Ciò non deve stupire se si considera che nella tradizione sapien-ziale la donna è assunta come metafora della sapienza, di cui si de-canta la bellezza e la superiorità sul male (Sap 7, 29-30):

29 Essa in realtà è più bella del sole e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta superiore; 30 a questa, infatti, succede la notte, ma contro la sapienza la malvagità non può prevalere.

Più volte sono stati sottolineati dai critici gli elementi sapienzialiche caratterizzano il libro di Ester. Come nota il Ravasi, “nel libro diEster si respira un’atmosfera sapienziale, Dio è quasi assente dallaribalta esteriore della storia. Al centro si muove l’uomo con la suaabilità e acutezza, anzi l’ebreo con le sue risorse umane, intellettualied estetiche. Si intravede quindi una dimensione secolare della nuo-va sapienza d’Israele, con una specie di “sionismo” ante litteram.. Es-sa, pur non accantonando il sacro né escludendo il soprannaturale,

7. S. GALLAZZI, Ester (Commentario biblico), Borla, Roma 1987, 46-47.

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privilegia il versante umano con le sue capacità personali, le sue ma-novre, le sue vendette, i suoi successi” 8.

Alla bellezza Ester e Giuditta associano l’astuzia femminile, checonsente loro di prevalere sull’arroganza degli empi e sul potere ot-tuso e irrazionale.

Ester riesce ad evitare lo sterminio degli ebrei facendo leva suisentimenti che il re nutre nei suoi confronti e sollecitando il suo or-goglio maschile. Ella riesce a dosare sapientemente l’emotività del re,perché imbandisce ben tre banchetti ai quali invita anche il suo av-versario, Aman , che per questo motivo si illude di essere nelle gra-zie del re e della regina. Soltanto al terzo banchetto, quando la vi-cenda è giunta al culmine del pathos, Ester fa la sua richiesta al ree ottiene la grazia per il suo popolo. Aman, invece, di cui il sovranoriconosce la colpevolezza, è condannato a morte. Il ribaltamento dellesituazioni e la rovina dell’empio sono caratteristiche della tematicasapienziale. Ester sfrutta il suo fascino femminile a favore del suo po-polo. Il “gioco”, come sottolinea il Bonora 9, comprende tutti gli accor-gimenti umani che però sono posti, in modo dignitoso e responsabile,al servizio di una grande causa.

Giuditta, al pari di Ester, è una donna “bella d’aspetto e molto av-venente nella persona….”; ricca e indipendente, ella unisce alla bel-lezza il timor di Dio (8,7-8) che nella tradizione sapienziale è indica-to come “principio della sapienza” (Pr 1,7). Fin dall’inizio, come affer-ma Ozia, tutto il popolo riconosce il suo discernimento (8,28 - 7,29),perché l’indole del suo cuore è retta. Anche queste qualità vanno com-prese alla luce delle categorie sapienziali; si pensi ad esempio a Giob-be che viene descritto come uomo integro e retto, timorato di Dio ealieno dal male (Gb 1, 1).

Ma Giuditta è soprattutto una donna dotata di straordinario co-raggio.

Contrariamente ai suoi connazionali, che vogliono arrendersi difronte alla potenza degli avversari, Giuditta nel suo lungo discorsodavanti agli anziani interpreta gli avvenimenti storici in una pro-spettiva teologica che non considera la distruzione come una realtàinevitabile ma interpreta il momento presente in termini di correzio-ne da parte del Signore. Egli si comporta così con coloro che ama(8,25-27); la sofferenza del popolo è così vista non come punizione fi-

8. G. RAVASI, “Ester”, in ROSSANO, RAVASI, GIRLANDA, Nuovo Dizionario diTeologia Biblica, cit., 520. Dello stesso avviso è A. BONORA, “Libro di Ester”, inBONORA, PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, cit., 183-193; spec. 190-191.

9. Ivi, 192.

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ne a se stessa ma come espressione d’amore 10. È una linea interpre-tativa presente nel dibattito sapienziale, che si sforza di superare ilmeccanismo del rapporto condotta- retribuzione e di fornire una let-tura positiva della sofferenza come momento di prova e occasione dipurificazione. È nei momenti più difficili della propria vita, che è pos-sibile comprendere se si ha veramente fede in Dio.

Giuditta rappresenta il popolo di Israele, che confida in Dio anchequando si trova nel più grande pericolo.

3.2. La forza debole della preghiera

Secolarità e religiosità si intrecciano sapientemente nei libri diEster e di Giuditta.

Prima di presentarsi al re, Ester si prepara alla grande impresacol digiuno e la preghiera (4, 17k-17z). Ella si rivolge al Dio unico, ri-conoscendo la sua assoluta sovranità:

Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me, che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perché un grande pericolo mi sovrasta.(4,17l)

Di fronte alla trascendente solitudine di Dio si leva il grido di chiè solo e per questo si sente debole e impotente. Ester ricorda ciò chela sua famiglia le ha insegnato fin dalla nascita, come il Signore ab-bia scelto Israele tra tutte le nazioni facendone la sua eredità peren-ne. Nella sua preghiera Ester ammette il peccato del suo popolo, cheha dato gloria alle divinità dei suoi nemici e per questa colpa è sta-to punito da Dio nella sua grande giustizia. Ma il nemico si è inor-goglito del suo potere al punto tale da farsi uguale a Dio e decideredi sterminare per sempre la sua eredità. Di qui la supplica di Ester,nella quale risuonano i motivi tipici dei salmi di lamentazione:

Non consegnare, Signore, il tuo scettro a dei che neppure esistono. Non abbiano a ridere della nostra caduta! Ma volgi contro di loro questi loro progetti e colpisci con un castigo esemplare il primo dei nostri persecutori. (4, 17q)

10. Si veda soprattutto il libro di Giobbe, in cui Elihu propsetta un’interpretazionedella sofferenza come occasione di crescita (Gb 36, 8-15).

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Consapevole della propria fragilità, Ester chiede a Dio il coraggiodi affrontare il sovrano, che appare ai suoi occhi come un leone; ellaè pronta a tutto perché ciò che le sta veramente a cuore è la salvez-za del suo popolo:

Metti nella mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone, e volgi il suo cuore all’odio contro colui che ci combatte, allo sterminio di lui e di coloro che sono d’accordo con lui. Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non ho altri che te Signore! (4,17t)

La preghiera di Ester si conclude come è iniziata, con un’accoratarichiesta di aiuto nel momento della solitudine in cui, come può ac-cadere a ognuno di noi, non ci rimane altri che il Signore.

A partire da questa preghiera Ester si mostra abile e decisa econduce il suo popolo verso la liberazione dal potere oppressivo. Av-viene in lei una vera e propria trasformazione, che scaturisce dallapotenza della fede: da debole orfana si trasforma in una vera regina,capace di dominare gli eventi determinando un ribaltamento delle si-tuazioni in cui l’empio viene punito per la sua superbia e l’Israeleperseguitato ottiene giustizia.

Bellezza, sapienza e devozione sono anche le qualità di cui è do-tata Giuditta.

Prima di intraprendere ciò che ha meditato nel suo cuore, ella sirivolge a Dio affinché ascolti la preghiera di una vedova (9, 1-14).Nella sua supplica Giuditta rivela una conoscenza profonda dell’onni-potenza divina, nel cui disegno tutti gli eventi sono preordinati, echiede l’intervento di Dio contro il popolo oppressore:

7Or ecco gli Assiri hanno aumentato la moltitudine dei loro eser-citi, vanno in superbia per i loro cavalli e cavalieri, si vantano dellaforza dei loro fanti, poggiano la loro speranza sugli scudi e sulle lan-ce, sugli archi e sulle fionde e ignorano che tu sei il Signore che di-sperde le guerre; 8Signore è il tuo nome. Abbatti la loro forza con latua potenza e rovescia la loro violenza con la tua ira: fanno conto diprofanare il tuo santuario, di contaminare la Dimora ove riposa il tuonome e la tua gloria, di abbattere con il ferro il corno del tuo altare.

(9, 7-8)

Alla violenza dell’uomo si contrappone la logica di Dio, la cui for-za non risiede nelle armi ma nella difesa degli oppressi.

Perché la tua forza non sta nel numero, né sugli armati si reggeil tuo regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei de-

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relitti, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati, il salvatoredei disperati. (9, 11)

Di fronte alla sopraffazione del più forte si può ricorrere ancheall’inganno, che nell’Antico Testamento non è considerato un atto mo-ralmente disdicevole perché è espressione di intelligenza e di astuzia,a condizione che rientri nella lotta contro il male. Alla preghiera e al-la devozione tradizionale Giuditta unisce la radicale intraprendenzaumana e un modo di agire che esula dalle convenzioni 11. Ma ella at-tinge forza dalla penitenza e dalla preghiera, che potenziano le suedoti naturali, la bellezza e l’astuzia, e le consentono di trionfare sulnemico del suo popolo. La preghiera diventa così l’arma più potentecontro la violenza e l’oppressione.

4. Il contesto storico dei libri di Ester e Giuditta.

Per comprendere il significato teologico dei testi che abbiamo pre-so in esame è importante considerare anche il contesto storico in cuisono stati redatti. Essi riflettono situazioni drammatiche per il popo-lo eletto che si sono purtroppo ripetute nel corso della storia fino al-la Shoah.

4.1. L’ellenismo e la globalizzazione del mondo antico.

I libri di Ester e di Giuditta sono stati composti durante l’epocamaccabaica, in un periodo di profonda crisi quando Israele si trovavasotto il dominio di potenze nemiche ostili a Dio e alle tradizioni delpopolo ebraico. Ci troviamo nella fase più recente di quel fenomenopolitico e culturale che va sotto il nome di ellenismo.

Il grande sogno di Alessandro Magno, con il quale iniziava l’epo-ca ellenistica, era stato quello di creare un impero universale che mi-rava ad unificare politicamente il regno macedone e quello persiano.Questo progetto politico era poi accompagnato da un ambizioso pro-getto culturale, che si proponeva la diffusione e l’affermazione dellacultura greca in tutto l’impero. Alla sua morte (323 a. C.) si verificòperò la frammentazione dell’impero in tre grandi regni: la Macedoniasotto i discendenti di Antigono; l’Egitto sotto i discendenti di Tolomeo;l’Asia Minore, la Mesopotamia e la Persia sotto i discendenti di Se-leuco.

11. Soprattutto l’esegesi femminista pone in evidenza l’anticonformismo di Giuditta.Cf. E. M. SCHULLER, “Scritti apocrifi o deuterocanonici”, in C. A. NEUSOM, SH.H. RINGE (a cura di), La Bibbia delle donne, vol. II, Claudiana, Torino 1998,272-278.

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Le lotte tra i successori di Alessandro, i diadochi, terminarono so-lo nel 281 a. C. , anno della battaglia di Corupedio, e tra i regni el-lenistici si instaurò un equilibrio che durò circa un secolo. Si modi-ficò l’organizzazione politica: si ebbero monarchie fortemente accen-trate intorno alla figura divinizzata del sovrano e con la trasforma-zione delle compagini sociali si verificò anche una grande evoluzioneeconomica e sociale. Sorsero imponenti centri cittadini, come Ales-sandria, Pergamo, Antiochia, Laodicea, che condussero ad un alto li-vello di benessere economico favorito dal rifiorire dell’artigianato edei commerci internazionali. Questo periodo della storia greca pre-senta singolari affinità con l’attuale civiltà della globalizzazione per-ché si assiste ad un incremento demografico senza precedenti e nel-lo stesso tempo al rafforzamento del ceto medio che divenne il de-stinatario della cultura ellenistica. Il tramonto della polis e l’esten-sione dei confini geografici e culturali comportava però anche il co-stituirsi di una società piuttosto omogenea nella quale il cittadinoaveva minori possibilità di partecipare attivamente alla vita politica; il suo stile di vita rientrava in forme piuttosto preordinate e con-suetudinarie lasciando ampio spazio all’individualismo e alla perditadei valori comunitari.

L’ellenizzazione dell’Oriente non poteva restare senza conseguenzeper la comunità di Gerusalemme, anche perché si era sviluppata nelMediterraneo orientale una diaspora di lingua greca. La Palestina eravenuta in contatto con l’ellenismo fin dal tempo della dominazione to-lemaica, quando nel territorio palestinese erano sorte città, quali Fi-ladelfia, eretta sull’area dell’antica capitale ammonita Rabbat-benê-Ammon (oggi Amman), Tolemaide (oggi Akka) situata all’estremitàmeridionale del Lago di Tiberiade, Nisa-Scitopoli (oggi Besan). Gliisraeliti rimanevano affascinati dalla vita libera e brillante che si con-duceva in queste città ellenistiche e, come narra il libro dei Macca-bei, anche alcuni sacerdoti di Gerusalemme si sentirono attratti dainuovi modelli culturali (2 Mac 4,14s.). Ma gli ebrei, che erano rima-sti fedeli alla tradizione, respingevano la cultura straniera e conside-ravano l’abbandono dei costumi aviti come una forma di idolatria 12.

Agli inizi del II secolo la situazione interna della comunità reli-giosa di Gerusalemme era molto tesa; i Seleucidi tentarono allora dirisolvere con la forza questo contrasto al fine di rendere stabile, perquanto possibile, la situazione nel paese.

12. Su questo periodo storico si veda M. NOTH, Storia di Israele, Paideia, Brescia1975, 437-486.

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4.2. L’antisemitismo dell’era precristiana. La resistenza di Israele.

La tensione raggiunse il culmine con Antioco IV Epifane , il qua-le salì sul trono di Siria nel 175 a. C. e iniziò il suo programma diellenizzazione forzata del regno, deliberando di annientare la comu-nità religiosa di Gerusalemme che egli considerava ribelle. Con uneditto (1 Mac 1, 41 ss) proibì tutte le principali cerimomie religiose,l’offerta dei tradizionali sacrifici, l’osservanza del sabato, la praticadella circoncisione; fece inoltre distruggere i libri sacri e stabilì la pe-na di morte per i trasgressori di questi divieti. Nel 167 a. C. si con-suma quella che la Bibbia definisce “abominio della desolazione”, cioèviene inaugurato nel Tempio il culto di Zeus Olimpio. Le violenze diAntioco e i numerosi martiri spinsero molti pii, fedeli alla Legge, al-la rivolta (168 a. C.), che nel 166 a. C. si organizzò intorno alla fa-miglia degli Asmonei, costituita dal sacerdote Mattatia e dai suoi cin-que figli. Il terzogenito di Mattatia, Giuda, soprannominato Maccabeo(martello), fu il primo capo del movimento. La rivolta, iniziata comeuna guerriglia, ebbe successo: Gerusalemme fu quasi interamente li-berata e il tempio riconsacrato (164 a. C.). In questo diffcile clima po-litico e religioso sono composti i libri di Ester e di Giuditta.

Il libro di Ester, redatto in greco nella seconda metà del II sec.,esprime la condanna decisa di ogni abuso da parte del potere politi-co, capace nella sua cecità e irrazionalità di arrivare fino all’oppres-sione e allo sterminio di un intero popolo. Al potere oppressivo Esteroppone la disobbedienza civile (4, 8.11); anche quando il sovrano legarantisce che le leggi razziali non mettono in pericolo la sua vita,Ester non pensa all’interesse personale ma al suo popolo e sfida quin-di il sistema restando nell’ambito della legalità. Sia Ester sia Mardo-cheo sono infatti cittadini leali verso lo stato, come lo erano anche gliebrei nel periodo del nazismo. Con l’ironia tipica dello stile sapien-ziale il libro di Ester mostra come l’arroganza del potere che si cre-de onnipotente finisca per naufragare in modo ridicolo perché Dioascolta la preghiera dei poveri.

Il libro di Giuditta, che è stato scritto probabilmente verso il 150a. C., dopo che la rivolta maccabaica aveva già raggiunto alcuni deisuoi obiettivi fondamentali, sostiene la rivolta maccabaica contro An-tioco IV e i collaborazionisti giudei. Nell’ambito della comunità giu-daica sussisteva ancora la divisione tra i fedeli jahvisti e coloro checollaboravano con il governo ellenista e intende incitare alla resisten-za contro tutti i tentativi di attentare alla religione dei padri. Il mes-saggio risulta chiaro. Il potere di Nabucodonosor, che rappresenta iltotalitarismo politico-religioso, viene abbattuto: Antioco IV subirà lostesso destino. Ciò che conta di più è la fede in Dio, che consentiràalla resistenza di perseguire i suoi fini, nonostante la povertà e la de-

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bolezza dei mezzi umani. Il libro di Giuditta è giustamente interpre-tato come una protesta antimilitarista e antimperialista. Questi duelibri, che si presentano a noi sotto la forma innocente della novella edel romanzo, hanno dunque un grosso spessore politico oltre che reli-gioso e ci comunicano un messaggio che può essere molto significati-vo per i tempi moderni.

5. Il messaggio teologico e la sua attualità.Una laicità impegnata nella storia del nostro tempo.

Come sappiamo, la secolarità è una delle dimensioni costitutivedella condizione del laico (LG, 31), che è chiamato a leggere e com-prendere la storia del proprio tempo. Questo fa parte del suo carismaprofetico, che lo costituisce come una persona profondamente radicatanella società in cui vive. Il laico non può avere un orizzonte mentaleristretto all’ambito particolare del suo ambiente familiare e sociale;ha il dovere di considerare i problemi in un’ottica globale, capace dicogliere profeticamente i segni dei tempi e individuare così la specifi-cità della sua missione nel XXI secolo.

a) Per una globalizzazione dal volto umano Se consideriamo il contesto storico nel quale viviamo non possia-

mo prescindere dal fenomeno della globalizzazione, che, iniziata neglianni ottanta del secolo scorso con grandi prospettive di crescita eco-nomica e culturale, ha subito un’involuzione simile a quella dell’elle-nismo trasformandosi in un sistema di sopraffazione nei confronti del-le nazioni e delle popolazioni più deboli. Alla sopraffazione economi-ca, che porta all’indebolimento dell’economia nazionale di molti paesi,si unisce la volontà di imporre con la forza il modello culturaledell’Occidente allo scopo di cancellare ogni diversità culturale e reli-giosa. È nostro dovere opporci nei limiti delle nostre possibilità adogni forma di intolleranza e di oppressione, e affermando con tenaciai valori del dialogo e della pace. È quanto ci propone il magistero del-la Chiesa a partire da Giovanni XXIII con l’ Enciclica Pacem in ter-ris, continuando con la Populorum Progressio di Paolo VI fino alle en-cicliche sociali di Giovanni Paolo II, il quale auspica una globalizza-zione dal volto umano che rispetti le diversità e tuteli nello stessotempo le popolazioni più deboli. Sarà sufficiente, a questo proposito,citare un passo dell’enciclica Sollicitudo rei socialis, 33: “Sul piano in-ternazionale, ossia dei rapporti tra gli Stati o, secondo il linguaggiocorrente, tra i vari “mondi”, è necessario il pieno rispetto dell’identitàdi ciascun popolo con le sue caratteristiche storiche e culturali. È in-dispensabile, altresì, come già auspicava l’Enciclica Populorum Pro-gressio, riconoscere ad ogni popolo l’eguale diritto «ad assidersi alla

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mensa del banchetto comune» 13, invece di giacere come Lazzaro fuoridella porta, mentre «i cani vengono a leccare le sue piaghe» (Lc16,21). Sia i popoli che le persone singole debbono godere dell’egua-glianza fondamentale, su cui si basa, per esempio, la Carta dell’Or-ganizzazione delle Nazioni Unite: eguaglianza che è il fondamento deldiritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno sviluppo”. Gio-vanni Paolo II ha poi ribadito la posizione della Chiesa nell’esorta-zione apostolica Christifideles laici, ribadendo la necessità dell’impe-gno dei laici per il bene comune: “Collaborando con tutti coloro checercano veramente la pace e servendosi degli specifici organismi eistituzioni nazionali e internazionali, i fedeli laici devono promuovereun’opera educativa capillare destinata a sconfiggere l’imperante cul-tura dell’egoismo, dell’odio, della vendetta e dell’inimicizia e a svilup-pare la cultura della solidarietà ad ogni livello” 14.

b) contro ogni forma di ingiustizia e di persecuzione.Il libro di Ester è di grande attualità “per mostrare l’assurdità e

la ferocia dell’antisemitismo e rilevare come esso abbia radici profon-de e lontane” 15. Èdavvero sconcertante che in epoca recente si pongain discussione la verità della Shoah e si pretenda di minimizzarne latragica portata. Questa forma di revisionismo è inaccettabile perché,oltre ad essere un grave errore dal punto di vista storiografico, minaalla base la dignità del popolo ebreo che continua ad essere per noiil simbolo di tutti i popoli perseguitati e oppressi dei poveri e deglioppressi. È importante non abbassare la guardia per non cadere inun pericoloso torpore della mente e dello spirito, che potrebbe favori-re un tragico ritorno al passato, come purtroppo già è accaduto e an-cora oggi accade in tutte le nuove forme di sterminio e di genocidio.

c) al servizio dei più deboli. Il 2010 è stato decretato dall’Unione Europea come l’anno della

lott0a alla povertà. Ci si era prefissi un obiettivo ambizioso, che eraquello della riduzione del debito dei paesi più poveri e un migliora-mento generalizzato della qualità della vita. Invece la povertà è di-ventata un fenomeno planetario e investe anche i paesi dell’Occiden-te colpendo le fasce più deboli della popolazione: i giovani, che a cau-sa della disoccupazione e del materialismo dilagante, vivono senza va-lori e senza prospettive per il futuro; gli anziani, che non hanno mez-

13. Cf Lett. Enc. Populorum progressio, 47, cit. nel testo.

14. GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, 42.

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zi sufficienti per far fronte alla solitudine e all’emarginazione; glistranieri, che non trovano accoglienza e ospitalità dignitosa nella no-stra terra; le famiglie che vivono in grosse difficoltà economiche. Aquesti nuovi poveri si aggiungono le masse di emarginati che già nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis Giovanni Paolo II segnalava all’at-tenzione della Chiesa, dopo aver ricordato l’amore preferenziale per ipoveri, che occupa un ruolo di primo piano nell’esercizio della carità:“Oggi poi attesa la dimensione mondiale che la questione sociale haassunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispi-ra, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, dimendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, sen-za speranza di un futuro migliore: non si può non prendere attodell’esistenza di queste realtà. L’ignorarle significherebbe assimilarcial «ricco epulone», che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico,giacente fuori della sua porta (Lc 16, 19-31)” 16. La pastorale dei lai-ci deve far fronte ai grandi problemi della società contemporanea nel-le singole diocesi, intensificando l’impegno nelle parrocchie e nelle as-sociazioni. Si tratta di fare tutto il possibile per rispondere al “grido”dei sofferenti, perché siamo chiamati ad essere “ imitatori di Dio”. Inche modo? Ester, Giuditta e infine Maria ci hanno indicato la strada.Dalla preghiera è possibile attingere la forza per contrastare il fata-lismo e la rassegnazione che si annidano nel nostro cuore, alimenta-ti dai fallimenti della politica e dell’economia. Anche se dotati di po-chi mezzi, con la fede possiamo spostare queste montagne; raddriz-zando i sentieri e pianificando le valli prepareremo la via all’affer-mazione del Regno di Dio.

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Un doppio testimoniale nel Vangelo di Giovanni:Giovanni Battista e il Discepolo amato

Roberto Vignolo*

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1. Preliminari

A titolo di premessa va detto che, allo stato attuale della ricerca,l’imponenza intrinseca del nostro tema – la testimonianza nel Quar-to Vangelo (d’ora in poi QV) –, come pure la sua preponderanza con-testuale all’interno del canone neotestamentario, non risultano certouna novità bisognosa di troppe dimostrazioni, essendo comunque ma-teria già largamente studiata. Il carattere spiccatamente testimonialedel QV, è del resto ben noto alla tradizione più antica, riconosciutofin dai tempi di I-reneo di Lione e di Policrate di Efeso 1. Va puredetto quanto questo topos sia pure prontamente ri-conoscibile fin dal-le prime battute del prologo poetico (1,1-18) e narrativo (1,19-2,12),dove ogni lettore è chiamato a misurarsi con Giovanni Battista, so-lenne testimone della luce (1,5ss.15ss.) e dell’agnello (1,29-34.36), lacui voce e figura testimoniale accompagnano Gesù lungo l’intera suamissione terrena (3,26; 5,33-36; 10,41). Quando poi effettivamenteGiovanni Battista, coerentemen-te con la propria definitiva consegna,«diminuisce» in ordine a lasciar «crescere» Gesù (3,30), ecco che allo

* Docente di Esegesi Biblica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale diMilano. Relazione tenuta alla Settimana biblica diocesana, Andria, 15 marzo 2011Apparso con il titolo: La dottrina della testimonianza in Giovanni, in: G. ANGE-LINI – S. UBBIALI (a cura di), La testimonianza cristiana e testimo-nianza di Ge-sù alla verità, (Quodlibet 22) Glossa ed. 2007, 171-206. L’excursus sul Discepoloche Gesù amava è tratto dal volume Personaggi del Quarto Vangelo. Figure dellefede nel Vangelo di San Giovanni, Glossa Milano 1998 (3° ed.), pp. 192-202.

1. Secondo IRENEO, Adv. Haer. III,3,4, «un testimone autentico della tradizione de-gli apostoli»; secondo POLICRATE «testimone e didascalo» (cit. da EUSEBIO, Hi-storia Ecclesiastica III,31,3; V,24,3).

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scoccare dell’ora di gloriosa passione (13,1ss.) gli subentra il Discepo-lo Amato, intimo a Gesù quanto Gesù al Padre (13,21ss; cf 1,18), conottima probabilità compagno di Andrea e disce-polo della primissimaora (1,35-37.40), presente all’interrogatorio di Gesù da parte del som-mo sa-cerdote (18,15ss.), veggente perspicace sotto la croce (19,35), co-me pure al sepolcro (20,9), e sul lago di Tiberiade (21,7.20ss.), da Ge-sù destinato a «rimanere», non perché immortalato biologica-mente(21,22-23), ma in quanto testimone-autore del libro e fondatore diquella propria comunità che se ne fa solenne garante: «questi è il di-scepolo che testimonia queste cose e che le ha scritte, e noi sappiamoche la sua testimonianza è vera» (21,24). Accompagnato da questi duespeciali super-testimoni, il lettore viene inoltrato lungo l’intero QV co-me all’ascolto di una vera e propria sinfonia testimoniale, raccoglien-done organicamente l’intera fitta rete di ulteriori attestazioni sulla lo-ro falsa-riga. Queste voci saranno talora non altrettanto imponenti efrequenti quanto il Battista e il Discepo-lo Amato, come p. es. quelledella Samaritana e della folla (4,39;12,17). Ma, in verità, più spessosi dimostreranno dotate di ben maggior spessore rivelativo. Sarà ap-punto questo il caso delle scritture d’Israele (5,39-47), che nella se-conda parte del vangelo entrano nel dinamismo del loro esplicito com-pimento (12,37-43;19,36-37); e più radicalmente ancora quello di Ge-sù in persona, testimone del Padre (3,11.32-33; 4,44; 5,31; 7,7; 8,13-14.18; 13,21; 18,37), nonché del Padre stesso testimone del proprio Fi-glio (5,32.37; 8,18). Il tema testimoniale aderisce tanto intimamentealla forma e al contenuto, come pure alla semantica, alla struttura,alla vis comunicativa e alla referenzialità del QV (19,35-37; 20,30-31;21,24-25), di cui qualunque lettore minimamente disponibile e compe-tente po-trà rendersene conto senza troppo sforzo. Queste poche pagi-ne cercano semplicemente fornirne una messa punto, ricavabile dauna lettura prevalentemente narrativa, centrata soprattutto sul dop-pio te-stimoniale costituito da Giovanni Battista (d’ora in poi GB) edal Discepolo Amato (d’ora in poi DA). Il loro auspicato guadagnoconsisterà nel potere (dovere) legittimamente parlare di una vera epropria poetica testimoniale giovannea, quale intentio recta e animapervasiva di questo libro, addi-tabile come analogatum princeps, ov-vero – insieme con il corpo di scritti giovannei, comprendenti soprat-tutto la 1Gv e l’Apocalisse – quale eccellente esecutore e promotoredi una teologia della ri-velazione e della scrittura, cioè della fede edella vita divina attingibili appunto attraverso l’autorivelazione vivifi-cante, essa stessa attestante e capace di farsi attestare nella conse-gna e ricon-segna di un libro, ad un livello davvero di rara e origi-naria potenza e unità.

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2. Terminologia, semantica, genere letterario testimoniale

Cominciamo quindi dalla terminologia e della semantica, esse stes-se già indicative circa il genere letterario del QV, dove, addiritturapreponderante rispetto all’intero NT risulta la frequenza del so-stan-tivo martyria (37x nel NT, 14x in Gv, 9x Ap, 6x 1Gv), e del verbomartyréw (76x nel NT, 33x in Gv, 10x in 1-3Gv, 11x in At). Per con-verso, invero un po’ curiosamente, del tutto ignorati restano i sostan-tivi martys (cf invece Ap 1,5; 2,13; 3,14; 11,3; 17,6, nonché l’uso fre-quente in At, con 13x), e martyrion. Nella maggioranza delle volte(19x) il verbo martyréw viene costruito con perì + gen., con lo scopodi focalizzare l’oggetto di una testimonianza complessiva «riguardo a».Nella stragrande maggioranza dei casi la testimonianza giovannea èdi contenuto cristologico, rife-rendosi più direttamente la sua persona(non tanto alla sua risurrezione, come invece in At 1,22; 2,23; 3,15;5,32). Nei discorsi e dialoghi frequentemente Gesù rivendica in primapersona le testi-monianza che lo riguardano (Gv 5,31-32.36-39;8,14.18; 10,25; 15,26). martyréw ricorre anche co-struito con il com-plemento oggetto diretto (all’acc., sempre riferito alla visione del Pa-dre attestata da Gesù, indicata con un generico pronome neutro sin-golare: «ciò che» 3,11.32). Ricorre pure la co-struzione con hoti («te-stimoniare che»: 1,34; 4,39.44), e con il dativus commodi («a vantag-gio di»: 3,26.28; 5,33; 18,37; 1Gv 5,9-10), piuttosto che con il verbo co-niugato in forma assoluta (nel senso di «dichiarare»: 13,21). C’è quidi mezzo una connotazione semantica giudiziale tipicamente gio-van-nea, per cui – quando ne va della verità della storia di Gesù man-dato dal Padre come luce e vita del mondo –, tutto procede come trat-tandosi di deporre solennemente e ufficialmente, come difronte ad untribunale (Gv 1,7-8.15; 2,25; 5,31-32.36-39; 7,7; 8,13-14.18; 10,25;15,26; 18,23.37; 21,24).

Fin dall’inizio del secolo scorso la critica ha ben percepito il carat-tere processuale del QV, percepi-bile dall’uso di vocabolario giuridico, 2

concomitante e omogeneo al campo semantico di martyria - martyréw).Sembra appunto questa una torsione specificamente forense che Gvconferisce al te-nore kerygmatico più tipicamente tradizionale (di At edei sinottici), di cui propriamente non condi-vide la terminologia clas-sica (mancando di paradigmi quali euaggelion, euaggelizomai, keryssw).In quanto azione parallela alla confessione cristologica (homologhéw:Gv 1,19-20; 9,22; 12,42), e ad ulteriori atti di solenne proclamazione –

2. elenchw (3,20; 8,46; 16,8); krinw (3,17-18; 5,22.30; 7,24.51; 8,15-16.26.50; 12,47-48;16,11; 18,31), krisis (3,19; 5,22-30; 7,24; 8,16; 12,31; 16,8.11), parakletos (14,16.26;15,26; 16,7); kathgoréw (5,45).

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quali il gridare (krazw: con soggetto Giovanni Battista in 1,15, men-tre in tutti gli altri casi è Gesù: 7,28.37; 12,44), l’annunciare (aggéllw:Gv 4,51; 20,18; anaggéllw: Gv 4,25; 5,15; 16,13-15; 1Gv 1,5; apaggél-lw: Gv 16,25; 1Gv 1,2-3), il parlare (laléw: 1,37; 3,11.31;34; 4,26; 6,63;7,17-18.26.46…12,36-50; 18,20)–, l’attestazione prende chiare conno-ta-zioni kerygmatiche di energica carica affettiva e comunicativa, tutteben compatibili con il campo semantico e con un’atmosfera di tipo pro-cessuale. Nel QV la rivelazione – al cui campo semantico va ricondot-to il linguaggio testimoniale – si attua come un grande processo ini-zialmente tutto inten-tato a spese di Gesù, mediatore della vita divi-na, durante il quale si produce la classica inversione di ruoli tra l’ac-cusato (Gesù), che in realtà diventa il giudice dei suoi accusatori (iGiudei e il mondo), che alla fine sono loro ad essere giudicati, insie-me al principe di questo mondo. Specifico del QV, che pure come i Si-nottici racconta la vita di Gesù quale evento escatologico e di rivela-zione salvifi-ca, è di appartenere tuttavia ad una letteratura testimo-niale di controversia, risultando effettivamente sintonico con l’ultimaimpresa di Giuseppe Flavio, il Contra Apionem, (databile tra il 93 e96 d.C.). Pur appartenendo al genere di un trattato storico-apologeti-co, e quindi discostandosi da quello pro-priamente narrativo del QV, ledue opere condividono la stessa epoca, lingua, e appartenenza a ungiudaismo fortemente ellenizzato, nonché, appunto, il profilo di un ge-nere letterario giuridico-testimoniale. In effetti anche il Contra Apio-nem altro non è che una «sinfonica» 3 e ben selezionata rassegna di te-stimonianze 4, universalmente accettabili 5, raccolte «per confutare colo-ro che hanno scritto ingiustamente su di noi, attaccando senza pudorela verità stessa» 6, nella fattispecie l’antigiudaismo del sacerdote egi-ziano Apione. In tal senso Giuseppe Flavio ribadisce l’antichità del suopopolo, la non discendenza egiziana, le vere condizioni della liberazio-ne esodica, l’eccellenza di Mosè, legislatore che «come testimone dellasua virtù trovò prima Dio, poi il tempo», nonché bontà, giustizia, edeffettiva praticabilità della sua legislazione 7. Chiude infine, in forma

3. CA, I, VIII,38; XXI,154.160; II, XIX,179-181.

4. Il vocabolario della testimonianza (martys, martyria, marturéw) scandisce con re-golare, e perfino noiosa ricorrenza l’intero libello, a recensire tutte le voci invoca-te a sostegno della propria tesi (dal Libro I: I,4; X,50-56; XIII,70; XV,93; XVII,106;XVIII,116.127.129; XXII,205; XXIII,217; XXVI,227. Dal Libro II: I,1; XV,151;XVI,168; XXX,218; XXXIX,279; L,288.290). 3

5. Cfr. I, XXII,161. Testimonianze vuoi estrinseche (voci diverse, barbare e greche)vuoi intrinseche, ricavabili dall’efficacia e dalla pratica della stessa legge ebraica:II, XVI,163ss.; XXXIX,284.

6. II, XL, 287

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di dedica e congedo, un appello diretto dell’autore al/ai lettore/i, in no-me dell’amore alla verità («a te, Epafro-dito, che più di tutto ami laverità, e a coloro che per opera tua vorranno anch’essi avere informa-zioni sulla nostra nazione, sia dedicato questo e il precedente libro») 8,che ha qualche analogia con Gv 21,24.

3. Figura fondamentale della testimonianza

Testimoniare per il QV implica comunque un articolato profilo, cheessenzialmente comporta: a. anzitutto un’esperienza diretta previa del testimone (consistente

soprattutto nel «vedere» e nell’«udire»), che acquisisce una fre-quentazione profonda, consapevole e assidua della «cosa» destina-ta alla successiva attestazione;

b. l’esperienza oculare–auricolare acquisita da parte del testimoneviene trasmessa in un contesto pubblico di Israele (1,31), così chechi ha potuto vedere e udire faccia a sua volta vedere e udire ipropri diretti destinatari mediante la propria testimonianza (vo-lentieri i verbi di visione/audizione e di attestazione sono coniuga-ti al perfetto resultativo, un tempo usato con grande maestria dalQV); domina in merito il processo di deissi, di ostensione.

c. il tutto viene trasmesso in forza di una presa di posizione relati-va a vantaggio di qualcuno, per cui ci si schiera pro o contro qual-cosa o qualcuno, come in una deposizione processuale (secondo ilco-stume forense dell’epoca).

d. Questo implica che il testimone sia a servizio personale e in fun-zione sociale dell’oggetto della propria testimonianza, escludendocosì a priori che essa sia autoreferenziale, a priori invalidando lapretesa di renderla a se stesso. Pur non nascondendosi, anzi do-vendo per ovvie ragioni uscire allo scoperto e quindi sottoporsi aduna pubblica (perfino rischiosa) mostrazione, il testimone ha unostatuto per definizione strutturalmente eteroreferenziale e sociale.Il testimone stesso è oggetto di sorprendente mostrazione, essastessa al servizio dell’ ancora più stupenda ostensione rivelatrice.

e. Decisiva e peculiare l’attestazione rivelatrice di Gesù, che dovràdifendersi dall’accusa di fornire una testimonianza a se stesso, au-toreferenziale, e quindi non vera (8,13). E lo farà prima respingen-do nettamente tale contestazione (5,31), e invocando la testimo-nianza del Padre. Poi però ammetterà che la propria testimonian-

7. Rispettivamente §§. 290 (cfr. II, XV,154-XVI,163) e 291-292.

8. § 296

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za a se stesso ha comunque valore, in quanto sostenuta dalla con-sapevo-lezza della propria provenienza e della propria destinazio-ne al Padre («se anche io rendo testimo-nianza a me stesso, lamia testimonianza è vera, perché io so da dove vengo e dove va-do»: 8,14). Nel suo secondo soggiorno a Gerusalemme (5,1ss.), inpolemica contro i suoi persecutori che non gli perdonano una gua-rigione di sabato (5,9.16), e tantomeno la giustificazione da lui ad-dotta («il Padre mio opera sempre, e anch’io opero»: 5,17), Gesùpropone un ragionato compendio delle te-stimonianze rivendicabilia proprio favore (5,31-47). Così, rispetto a GB e a qualunque uma-na te-stimonianza, invocherà in primo luogo un «altro» veritierotestimone (5,32) al meglio riconoscibile nel Padre stesso (5,37); se-condariamente la testimonianza delle opere affidate dal Padre al-la sua fe-dele esecuzione e compimento filiale (5,36); infine si ri-chiamerà a quella delle scritture dai suoi av-versari vanamentecompulsate (5,39-40), quella di Mosè in persona che di lui ha scrit-to (5,45-47). Decisivo è comunque che la reciproca testimonianzatra Gesù e il Padre produce un primo duplice mutuo visibile ac-cordo, più immediato,costituito appunto dall’esecuzione delle opere(segni) vivificanti, messe in atto da Gesù e rivendicabili all’agiresinergico di entrambi, e proprio così esse stesse attestazioni elo-quenti (5,36; 10,25; cf 17,4). La testimonianza di Gesù altro non èche la vita prodot-ta dai suoi segni e dalle sue opere appunto vi-vificanti, operate nell’obbedienza fedele e nell’interpretazione au-dace rispetto alla incondizionata volontà di vita del Padre.

f. Un ulteriore accordo, questo invece meno immediato e diretto e in-vece bisognoso di distensione e discontinuità temporale segnatadalla glorificazione e partenza di Gesù, sarà quello garantito dal-lo Spirito di verità, «l’altro Paraclito» rispetto a Gesù, mandato dalui e dal Padre (14,15-17), che ali-menterà la memoria cristologi-ca (14,25-26), e potenziando la testimonianza ulteriore dei disce-poli (15,26-27), sostenendoli nel conflitto con il mondo (16,1-4.5-11), e guidandoli all’intera verità cri-stologica (16,12-15). (Di pas-saggio va segnalato che testimonianza delle opere e quella delloSpirito hanno stretto nesso con la teologia della glorificazione ri-spetto a cui andrebbero approfondite).

g. È quindi chiaro come per Gv valga rigorosamente il principio percui mai e poi mai potrà esser valida una testimonianza isolata,unica e solitaria, ma solo la testimonianza di almeno due voci con-cordi (conformemente a Dt 19,15 citato in Gv 8,17) potrà legitti-mamente imporsi. Quello testimo-niale è un mondo sinfonicamen-te referenziale, di verità ostensivamente mostrata da prospettiveplu-rali, è spazio concesso alla vita originariamente condivisibile.

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4. Testimonianza come principio di prefigurazione,configurazione e rifigurazione del QV

Considerandone la consistenza qualitativa del tema, cioè la sua di-stribuzione e gestione interna al libro, ecco che la frequenza quanti-tativamente alta della terminologia testimoniale prende senso in ter-mini davvero decisivi, mostrando di presiedere alla strutturazioneconfigurante del QV e alla sua rifigurazione da parte del lettore (non-ché alla sua prefigurazione nel vissuto originariamente conflit-tuale diGesù e della comunità giovannea della fine del I° sec.) 9. Come si ve-de dal prospetto ivi schizzato sulla traccia dei lemmi martyria -martyréw caratterizzanti la figura della rivelazione co-me quella del-la fede, il tema trova regolare scansione lungo tutte le sezioni del Li-bro. 10 Pur prescin-dendo da un’analisi dettagliata, sarà agevole con-statare quanto coerentemente il genere testimoniale incida sul livellodi volta in volta compositivo, sostanziale e comunicativo del QV, de-terminandone rispettivamente: – sia la comunemente detta struttura letteraria (ovvero la forma

dell?espressione che presiede alla sua composizione); – sia l’intreccio sviluppato nel conflitto agonistico di un gruppo di

personaggi testimoniali, tutti coinvolti come coadiuvanti impegna-ti nel processo rivelativo credente, rispetto alle figure op-ponentidel mondo, dei farisei e dei sacerdoti, e di larga parte dei giudei(in merito al conflitto qualificante l’intreccio si tratta ovviamentedella forma del contenuto);

– sia la stessa comunicazione metanarrativa con i lettori, ripetuta-mente chiamati a decidersi in rapporto alla testimonianza del QV,accogliendo l’invito a credere (19,35; 20,31); qui è in gio-co ap-punto l’appello con cui il mondo del testo – attraverso i perso-naggi, quasi ad ogni episo-dio raffigurati per la loro opzione di fe-de o di incredulità 11– si collega al mondo del lettore.

9. In merito vedi M. NICOLACI, Egli diceva loro il Padre. I discorsi con i Giudei aGerusalemme in Giovanni 5-12 (Studia Biblica 6), Città Nuova Roma 2007, e L.KIERSPEL, The Jews and the World in the Fourth Gospel (WUNT 2.R 220), MohrSiebeck Tuebingen, 2006.

10. G. SEGALLA, Evangelo e Vangeli. Quattro Evangelisti, quattro Vangeli, quattrodestinatari, EDB Bologna, 1992, 287-291.

11. A livello intradiegetico in fine di pericope o di episodio, molto frequente ricorren-za di pistéuw (soprattutto all’aor). Al tempo finito: 2,11.22.23; 4,41; 4,53; 7,39(ptc);8,30; 10,42; 11,45; 12,11; 19,35(cong. svl); 20,31 (cong. svl). Inoltre: 3,36; 6,35; 6,40(ptc.pres.); 1,50; 9,38 (ind.pres.); 4,41-42 (aor.+ pres.indic.); 5,47 (pres.indic+fut.);6,29 (pres.cong.); 20,29 (pf+ptc aor.); 20,31 (aor + ptc.pres.). 6,69; 11,27 (pf.); 20,29(pf. + ptc aor). Più raramente all’inizio dell’episodio (7,31; 12,44; 14,1). L’invito ex-tradiegetico di 19,35 e 20,31 sollecita il lettore a misurarsi sui personaggi di cuisi è narrato.

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Prologo – prologo innico 1,1-18 GB 1,7-8.15 – prologo narrativo 1,19 - 2,12 GB 1,19.32.34 Crescendo(2,13 - 4,54) homo quidam 2,25 Gesù 3,11; 4,44 GB 3,26.32-33 Discepoli di GB 3,28 La Samaritana 4,39 Crisi e rifiuto(5,1 - 10,42) Gesù 5,31; 7,7; 8,13-14.18 Il Padre 5,32.37; 8,18 GB 5,33-36; cf. 10,41 Le opere 5,36; 10,25 Le scritture 5,39; cf 5,45-47: Mosè Intermezzo(11,1 - 12,50) Le folle 12,17

Testamento(13,1 - 17,26) Gesù 13,21 Lo Spirito… 15,26 …insieme ai Discepoli 15,27 Compimento(17,1 - 19,42) Gesù davanti a Pilato 18,37 Il DA sotto la croce 19,35 Riconoscimento(20,1 - 21,24.25) Il DA «autore» del QV, e fondatore della comunità 21,24

Insomma: l’architettura complessiva, nonché la cornice interna edesterna, come pure l’intrinseca sostanza del libro, il suo intreccio e isuoi personaggi principali, risultano infine aspetti perfettamen-teomogenei, tutti vivificati da una medesima indivisa anima (ovvero:poetica) testimoniale.

5. GB e DA – un doppio testimoniale

A questo punto sviluppiamo il nostro tema concentrandoci sulla te-stimonianza di GB e del DA, trattandole qui in chiave di doppio let-terario 12, secondo un approccio coerente con il metodo narrati-vo e inparticolare con i personaggi in questione, anzi, con l’opera giovannea

12 Per il doppio tra GB e DA, cfr. R. VIGNOLO, Personaggi, cit., 177-205. Tuttaviastimo oggi l’universo giovanneo pervaso dal doppio molto ben più profondamentedi quanto allora evidenziato.

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tout court, che al dop-pio letterario in effetti ricorre con intensità e fi-nezza non minori rispetto agli altri ben noti espedien-ti stilistici pre-feriti (quali il doppio significato, l’ironia, l’equivoco, l’inversione diruoli, il simboli-smo, il commento narrativo)13.

Coimplicato con il doppio psicologico14, il doppio letterario è feno-meno interpretabile secondo un’accezione più estesa, ovvero più circo-

13 Rispetto a questi l’espediente del doppio nel QV pare davvero poco trattato. Ec-cezion fatta per il vocabolario giovanneo, riconosciuto articolare volentieri sinoni-mi con doppio significato, non mi risulta sia stato trattato il fenomeno nel suocomplesso, tantomeno riconosciuta l’istanza antropolo-gica e teologica fondamenta-le da cui insorge, plausibilmente riconducibili al cruciale interesse giovanneo perla vita, e quindi, riconducibile ad un archetipo teologico e soteriologico di stampotrinitario, il cui nucleo originario è la singolare relazione di Gesù al Padre, e del-lo Spirito ad entrambi. Se lo Spirito, «il Paraclito postpasquale è in qualche mo-do il doppio del Gesù prepasquale» [J. ZUMSTEIN, Miettes exégètiques (Le Mon-de de la Bible, 25), Labor et Fides Genève 1991, 310], appunto in quanto comelui insegna (14,26), profetizza (16,13), giudica (16,8-117 e guida nella verità(16,13), ecco allora che, analogamente, Gesù, in quanto monogenes theos / hyiostou patros (1,14.18; 3,16.18) è il doppio del Padre, visibile attraverso la sua uma-nità (14,9). Osservazioni sparse nei commentari circa il parallelo tra l’infermo diBethesda (Gv 5) e il cieco nato (Gv 9), come pure circa i rappor-ti tra Lazzaro,Marta e Maria (Gv 11-12).

14 La scoperta del doppio psicologico risale al discepolo freudiano eterodosso O.RANK (1884-1939), Der Doppelgänger (Vienna/Lipsia 1914; trad. it. Il doppio. Ilsignificato del sosia nella letteratura e nel folklore [1994]), il cui merito stanell’avervi colto la duplice istanza di superare (o temperare) l’angoscia sempre in-combente della morte («l?idea della morte diventa sopportabile se c?è un Doppioche dopo questa vita ce ne assicura una secon-da»: op. cit. 1994, 102; sott. mia),ma, al tempo stesso, di esserne implacabile annunciatore (chi vede il suo doppio,muore!). Suo limite è l’averlo circoscritto all’ambito di un patologico e narcisisticoamore di sé, laddove invece sottende una dimensione antropologica più radicale.In questa linea vanno E. FUNARI, Fenomenologia, processualità e struttura sultema del «Doppio», in: E. FUNARI, (a cura di), Il doppio tra patologia e necessità,Raffaello Cortina ed. Milano, 1986. Idem, La chimera e il buon compagno. Storiee rappresentazioni del Doppio, Raffaello Cortina ed. Milano, 1998, e G. VADALÀ,Syzygos. Il Doppio, da Compagno Divino a Immagine del Sé, (Il Tridente 39), Mo-retti e Vitali, Bergamo 2003. Per il primo è la «risul-tante di un conflitto tra ten-denze di chiusura alla alterità, intrise di distruttività e di persecutorietà, e spin-te verso l’amore oggettuale: la sua figura met-te in scena una crisi in atto, unacrisi che mantiene in sé le condizioni per un potenziale cambiamento» (E. FU-NARI [1998] 86). Irriducibile ad un profi-lo patologico, il doppio oscilla così tradue poli estremi: uno persecutorio, distruttivo, mortifero, l?altro bonificato, inte-grato e perfino salvifico (ib. 62-63). In ogni caso, l?invariante della crisi di iden-tificazione è ritracciabile in tutte le sue forme. Analogamente, con dichiarato orien-tamento jun-ghiano, e con interesse mistico-religionistico, anche VADALÀ recupe-ra il doppio «come figura che rappresenta, media, favorisce un processo trasfor-mativo del soggetto, colto nel momento del trapasso da uno stato di individuazio-ne a un altro» (cit. 349). Il rapporto tra aspetto psicologico e letterario è di reci-proca coimplicazione (come suggerito dal sottotitolo di RANK), ma per limite dicompetenza, si privilegia qui quello più strettamente lettera-rio.

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scritta. Nel primo caso, definendolo come una caratterizzazione redu-plicata per contrapposizione o integrazione reciproca,15 più latente chenon esplicitata16. Nel secondo, invece, riferendolo esclusivamente alvero e proprio sdoppiamento di un soggetto nel suo sosia (due indivi-dui rivendicanti la stessa identità, lo stesso corpo e nominativo)17. PerGb e il DA ci atterremo qui in primo luogo all’applicazione più largadel concetto, ma recuperando, come vedremo, anche quella più radi-cale (precisamente a livello della condivisibilità di un unico nome).

Assai comune in ambito letterario e folklorico, il tema conosce lasua massima efflorescenza narrativa nel XIX sec.18, a ridosso dellaquale comincia ad essere focalizzato. Ma è arcinoto all’antichità grecae latina19, come pure alla tradizione biblica, dove ricorre anche nellapeculiare forma della tipologia (rivisitabile anche sotto questo segno).20

In ogni caso si tratta d’un fenomeno psicologico e letterario riccoe complesso, antropologicamente parlando focalizzabile nel problemadell’identità sdoppiata oppure reduplicata di un soggetto in un altrose stesso, alle prese con la propria limitazione, in gioco quindi tra dis-soluzione e sopravvivenza, tra fusione ed emarginazione, ovvero inte-grazione. Insomma, per dirla in linguaggio giovanneo, là dove c’è ildoppio, è sempre in gioco la questione di «avere la vita», e viceversa.

15. In merito M. RUTELLI, Il desiderio del diverso. Saggio sul doppio letterario, Li-guori ed., Napoli 1983, e M. FUSILLO, L?altro e lo stesso. Teoria e storia del dop-pio, (Biblioteca di Cultura, 236) La Nuova Italia Firenze 1998, che spazia com-paratisticamente dalla grecità ai nostri giorni, con la più ricca bibliografia at-tualmente disponibile (321-352), ma evitando d’interrogarsi in radice sul caratte-re «antropologicamente primario» (ib. 80) del doppio come tale.

16. FUSILLO, L?altro e lo stesso cit., 8-9, in controtendenza, opta per una definizio-ne più ristretta. In effetti la peculiarità del fenomeno chiede riscontri nella co-struzione letteraria dei personaggi. In ogni caso si può parlar di doppio quando ilraffronto dei punti di vista (verbale, spaziale, temporale, as-siologico), nonché deiruoli attanziali d’intreccio consenta di verificare una consistente correlazione (diqualunque segno essa sia) tra due (o più) per-sonaggi.

17. Connesso all’identità rubata, la somiglianza perturbante, e la duplicazione dell’io(le tre parti dello studio di FUSILLO).

18. Qualche riferimento trai più noti: T. GAUTIER, Le chevalier double (1840). F.DOSTOJEVSKIJ, Il Sosia (1845/1866), E. A. POE, The Fall of the House of Ush-er (18452). R.L. STEVENSON, Strano caso di Dr. Jekyll e Mr. Hyde (1885); H.JAMES, The Jolly Corner (1908); J. CONRAD, The Duel: a Mili-tary Tale (1908)e The Secret Sharer (1909).

19. Si pensi alla Elena di EURIPIDE e all’Amphitruo di PLAUTO (cfr. FUSILLO,L?altro e lo stesso, cit 37ss.; 59ss.).

20. Per Lc-At, J.-N. ALETTI, Il racconto come teologia. Studio narrativo del terzoVangelo e del libro degli Atti degli Apostoli, Edizioni Dehoniane Roma 1996, 54-86 parla di un parallelismo attoriale, riconducibile alle procedure della synkrisis(la comparazione dei destini su cui è costruito tutto il libro della Sapienza).

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6. Il doppio testimoniale tra consuetudine e novità

Un doppio straodinariamente emblematico costituiscono GB e DA,ancorchè si tratti di una novità solo parziale nell’ambito della tradi-zione evangelica. La tradizione sinottica, infatti, conosce il doppio pro-prio in riferimento a GB, presentandolo vuoi come nuovo Elia, vuoicome precursore del Messia Gesù, tale perfino nella sua stessa mor-te21, e riportando la credenza popolare – folklorica, appunto – di Ge-sù come GB, o addirittura Elia stesso redivivo (Mc 6,14-15; 8,28; 9,11-13 e par.). A propria volta il QV non manca, con speciali caratteri-stiche, di sviluppare quei tratti tipologicamente cristologici del suoGB22, come Gesù anche lui (sia pur a diverso titolo) mandato e venu-to da Dio, più per testimonianza alla verità (5,33;18,37) che non co-me precursore del Messia23.

Rispetto a Gesù, GB avanza come una sorta di suo adombramentoanticipato, una sua stupenda controfigura «concava». Il QV mostra tut-ta l’analogica differenza tra il testimone profetico del Messia, colui chebattezza con acqua, lampada-che-illumina da una parte, e dall’altra iltestimone-Logos, il Cristo rivelatore, che battezza nello Spirito Santo,la vera-luce-che-che viene-nel-mondo. L’analogia che accomuna questidue «testimoni della verità» è tuttavia attraversata da una maior dis-similitudo, dal momento che GB non produce segni (10,40-42), non puòcerto autoattestarsi (8,14) o autoidentificarsi nella verità (14,6) come faGesù; e nemmeno vantare una testimonianza il cui oggetto coincidetout court con quello della propria visione (3,11.32). Nondimeno, GB ri-schia di essere scambiato per il Cristo, e qualora non rifiutasse ener-gicamente l’identificazione messianica propostagli («e confessò, e nonnegò, e confessò: “non sono io il Cristo!”»: Gv 1,20), ecco che potrebbecostituire quel classico, più aggressivo caso di doppio nella formadell’«identità rubata» (quel fenomeno da R. Girard diffusamente de-scritto come «desiderio mimetico» capace di scatenare la violenza lega-ta al dominio del sacro). Proprio per sottrarsi ad ogni confusione/usur-

21. Cfr. Mc 1,14; 6,16-28: GB ha in sorte di «essere consegnato» al martirio, propriocome lo sarà Gesù stesso (10,33 ecc.). Lc 1-2 eleva il confronto tra GB e Gesù amolto elaborato dittico di vite parallele.

22. In merito al parallelo giovanneo tra Gesù e GB come testimoni della verità, cfr.I. DE LA POTTERIE Gesù verità. Studi di Cristologia giovannea, Marietti Tori-no, 1973, 167-178. Idem La Vérité dans Saint Jean, Tome I. Le Christ et la vé-rité. L?Esprit et la vérité. Tome II. Le croyant et la vérité (AnBib 73/74), BiblicalInstitute Press Rome, 1977, 89-116.

23. R. INFANTE, L?amico dello sposo. Giovanni Battista, (PBT 4) Dehoniane Napoli,1984. E. LUPIERI, Giovanni Battista tra storia e leggenda, (BCR 53) Paideia Bre-scia 1988.

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pazione d’identità e funzione messianica (3,29), la figura di GB subiscenel QV un elaborato trattamento da cui esce al tempo stesso ridimen-sionata e valorizzata, secondo un modello, fin dal Prologo poetico (Gv1,1-18), a completo servizio cristologico testimoniale. Nella versione ditestimone dell’Agnello di Dio, GB subisce nel QV una ulteriore cristia-nizzazione, per cui egli è per un verso il cavo della figura cristologica,(che non deruba Gesù della sua identità messianica, rinunciando a co-stituirsi come suo doppio alternativo), e nello stesso tempo per altroverso il prototipo del DA, del Testimone Veggente (che ne ricalcheràappunto la struttura fondamentale di testimone). Questa configurazio-ne del personaggio mira a produrre sul lettore di udienza autorialeeventualmente nostalgico di GB, l’effetto di sottrargli (o temperargli)ogni motivo di rimpianto per lui, proprio anche in forza della sua ul-teriore reduplicazione, che fa «sopravvivere» GB nel DA. Limitata aglialbori della storia di Gesù, la testimonianza di GB si comprende solocompletata e integrata da quella del DA, cui offre così la tipologia deltestimone più accreditato, il suo perfetto antitipo, deputato all’ora diGesù, capace di decifrare e trasmettere i segni della ri-velazione pa-squale (19,25-27.35; 20,8; 21,7.20-23.24) in profonda corrispondenza conquelli dell’iniziale manifestazione a Israele (1,5-8.15.19-28.29.34.35ss.).

Questo inedito parallelo testimoniale tra GB e la figura tutta gio-vannea del DA è costruito secondo un sapiente dittico strutturale enarrativo di reciproca, integrativa corrispondenza dei due personaggi,ben visibile tanto nella cornice quanto nel corpo stesso del QV,24 nel-la cui sinfonia testimoniale assumono specialissima funzione. Proprionella cornice narrativa GB e DA godono di una posizione paragona-bile a quella dei due pannelli laterali di un polittico convergenti sul-la rappresentazione cristologica centrale (come d’altronde felicementeintuito dalla tradizione iconografica d’oriente e d’occidente)25. Non acaso entrambi campeggiano in cornice come figure liminari deputatea custodire la soglia di comunicazione tra mondo dell’opera e mondodel lettore, letteralmente «indigitandogliela». Una nitida inclusio

24. Recentemente anche L. DEVILLERS, Les trois témoins: une structure pour le qua-trième évangile, «Révue Biblique» 104 (1997) 40-87, punta l’attenzione sul paralle-lismo GB/DA.

25. In oriente come pure in occidente GB è rappresentato sotto la croce (là dove ci siaspetterebbe il DA). Ma entrambi sono collocati simmetricamente ai lati del Cri-sto dal BEATO ANGELICO, Polittico di Cortona (Chiesa di S. Domenico); Tritti-co dei Linaioli (Museo di S. Marco-Firenze); da H. MEMLING, Trittico (1485)Vienna -Kunsthistorisches Museum; Trittico (London National Gallery); da G. DA-VID, Tryptique de la famille Scolano (Parigi-Louvre); e da M. GRÜNEWALD, Po-littico di Isenheim (Museo di Unterlinden, Colmar, 1515). Caso non raro in cui gliartisti si rivelano più perspicaci di molta esegesi.

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maior configurante l’intero Libro esibisce con studiata solennità que-sti due supertestimoni più accreditati della rivelazione, applicando, aloro come all’oggetto da loro attestato, semplici ed efficaci espressionideittiche, con cui vengono simultaneamente mostrati i due testimonie l’oggetto cristologico-pneumatico della loro attestazione. Ne sortiscecosì un effetto complessivo di ostensione reduplicata, per cui la lorotestimonianza di fede si coordina in cooriginaria e subalterna appar-tenenza al prodursi dell’autotestimonianza divina (testimonianza del-la divina autotestimonianza), come pure in reciproco gioco speculare:

GB DA 1,7 questi (GB) venne a testimonianza 21,24 questi è il discepolo, cheattesta intorno a queste cose, e le ha scritte, e noi sappiamo che 1,19 E questa è la testimonianza di Giovanni… la sua testimonianzaè vera!

Così GB interviene fin dal Prologo poetico (1,7.15-17) e narrativo(1,19-34.35-37)26, e quindi lungo la prima parte del Vangelo – in actuexercito non oltre 3,22-30[31-36; cfr. 4,1] ma in actu signato fino a10,4127, in tutto subordinato al ruolo di testimone per mandato divi-no del Logos/Agnello di Dio. A dargli il cambio in analoga funzioneper la fase pasquale della missione di Gesù subentrerà invece, espli-citamente, il DA (a partire dal cenacolo, fino alla cena sul lago di Ti-beriade: Gv 13,23-30; 21,1-24).

La sua testimonianza si collega quindi alla prima venuta del Lo-gos nel mondo per favorire accoglienza all’incarnazione, in funzionequindi della fede di tutti (1,9.11.15) cioè della manifestazione adIsraele (1,31) del Messia Gesù come «agnello di Dio, che toglie il pec-cato del mondo»: 1,29). Nella rievocazione della sola teofania battesi-male (1,29-34) molto evidenziato il triplice rapporto tra Gesù e lo Spi-rito28, a GB rivelato direttamente da Dio in una speciale visione. In

26. Nel prologo narrativo (1,19ss.) la testimonianza di GB è scandita in tre quadri: a/quella in negativo, attraverso il dialogo con i messi delle autorità di Gerusalem-me (1,19-28); b/ quella positiva prestata a Gesù, rievocante la teofania battesima-le (1,29-34); c/infine, quella più direttamente personale a due dei suoi discepoli,che seguono Gesù (1,35-37).

27. Con qualche esagerazione H. THYEN, Noch einmal: Johannes 21 und «der Jün-ger, den Jesus liebte», in: T. FORNBERG – D. HELLOLM, Texts and Contexts. Bi-blical Texts in Their Textual and Situational Context. Essais in Honour of L.HARTMAN, Scandinavian University Press Oslo-Copenhagen-Stockholm-Boston,147-190, 1995) parla di Gv 1,19-10,41 come das Buch der Taufermartyria. Strut-turante l’inclusione tra 1,28 e 10,40 («al di là del Giordano, nel luogo dove Gio-vanni battezzava») evidenziata da A. MARCHADOUR, Lazare, Du Cerf Paris,1988, 102, e da L. DEVILLERS Les trois témoins, cit. ivi 63.

28. Lo Spirito scende su Gesù e vi rimane, e Gesù ne disporrà per battezzare nelloSpirito Santo (1,33). Il battesimo per mano di GB è invece vistosa-mente taciuto.

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seguito la sua testimonianza sarà ancora menzionata dal narratore(1,40; 3,22-30 [36?]; 4,1-2; 10,40), dai suoi discepoli (3,26), da Gesùstesso (5,33-36), e infine dalla folla (10,41: «molti»), illuminando cosìquasi interamente la manifestazione di Gesù al mondo nella primaparte del Libro (capp. 1-10). In particolare, se subito stride il suo con-trasto con le autorità giudaiche gerosolimitane (rappresentate dai sa-cerdoti e leviti loro messi: 1,19-28), dopo la teofania (1,29-34), la suatestimonianza prestata ad Andrea accompagnato dall’altro anonimodiscepolo offre buon propellente per l’intreccio, innescando, con la lo-ro sequela del Messia Gesù (1,35ss.), una reazione a catena di me-diazioni testimoniali, molto caratteristica del QV rispetto ai raccontidi vocazione sinottici (mentre di nuovo problematico si dimostrerà in-vece il rapporto con il gruppo dei suoi stessi discepoli, preoccupatiperché «tutti vanno da Gesù» (3,22-30). Omogeneo, ben compatto ri-sulta quindi il racconto relativo alla sua testimonianza, accorpato en-tro la prima (1,18-2,12) e seconda (2,13-4,54) sezione del Vangelo. Inseguito la sua figura viene solo evocata in retrospettiva, con un’ana-lessi intradiegetica prima di Gesù stesso (5,33-36), e poi della folla(10,40-42; cfr. 4,1-2), dove propriamente però interviene un’inversionedi ruoli: infatti sarà piuttosto la missione di Gesù, testimone del Pa-dre, autore di segni messianici (assenti dall’opera del Battista), a farrisaltare la verità della testimonianza prestatagli in precedenza, enon più viceversa (10,41).

La testimonianza prodotta dal DA invece si concentra entro il piùristretto arco temporale della Pasqua e dell’«ora» di Gesù – scoccan-do la quale (13,1) viene non a caso, per la prima volta apertamentenominato e mostrato nel cenacolo recumbens in sinu Jesu: (13,23).Quest’episodio è richiamato con macroscopica inclusione (addiritturauna citazione comprendente anche il successivo gesto di 13,25, quan-do il DA «dunque, chinatosi così sul petto di Gesù gli dice: “Signore,chi è?”») quando, in 21,20, Pietro si gira e vede «il discepolo, quelloche Gesù amava, che li segue, quello che alla cena si era chinato sulsuo petto e gli aveva detto: “Signore, chi è che ti tradisce”»): ecco al-lora che – analogamente a GB nella prima parte del Vangelo(1,28;10,40) – a propria volta anche il DA arrotonda la sagoma testi-moniale dell’intero Libro, coprendone quindi a propria volta intera-mente la seconda parte (capp. 13-21). A partire dalla cena con la la-vanda dei piedi (13,1ss.), dove spicca per contrasto con Giuda Isca-riota, il traditore (13,21-30), eccolo stabilmente a fianco di Pietro (uni-ca eccezione 19,25-27), fino alla pesca notturna sul lago di Tiberiade(21,1-14) e al dialogo tra Gesù e Simon Pietro (21,15-21.22-24). Inmezzo contiamo tre tappe: l’ingresso nel cortile di Anna (18,15-18, do-ve il DA, che fa entrare anche Pietro, appare anch’egli, come GB in

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1,19ss., a contatto con gruppi sacerdotali), la stazione ai piedi dellacroce con Maria e le donne (19,25-27) con la sua testimonianza invo-cata assieme alle Scritture (19,35-37), e la corsa e l’ingresso al sepol-cro trovato vuoto (20,1-11, dove arriva per primo, ma entra per se-condo lasciando questa precedenza a Pietro). Nella terza manifesta-zione pasquale di Gesù come Signore glorioso (21,1-14), il suo inter-vento risulta determinante per la sua modalità specifica («Gesù per laterza volta si manifestò così ai discepoli»: 21,1; cfr. v.14), pilotatacom’è dal DA che annuncia a Pietro: «è il Signore!» (cfr. 21,7), unatestimonianza effettivamente propellente dell’ulteriore riconoscimentodi Gesù da parte di Pietro e dei discepoli (21,8-14).

Chiare le analogie con GB: come questi all’inizio, pure il DA èpreposto a custodia della cornice del Libro in posizione conclusiva, do-ve a propria volta è riferito alla venuta di Gesù – ma quella secon-da e definitiva («se io voglio che lui rimanga fino a che io venga, cheimporta a te?»: 21,22-23), come GB alla prima venuta della luce nelmondo (1,6-11), si tratta infatti dei due personaggi contemporanei al-la storia di Gesù che il lettore incontra rispettivamente per primo(GB) all’inizio del racconto, e per ultimo (DA), proprio nell’atto dellasua stessa conclusione (21,24). Pure la te-stimonianza del DA è fun-zionale alla fede dei lettori, però attraverso la mediazione scritta diun Libro, rivolta quindi ad una più larga cerchia di destinatari («af-finché crediate»: 19,35; 20,31; «e noi sappiamo» 21,24; cfr. 1,7), ben ol-tre i confini d’Israele (cfr. 1,31). Valicando i limiti spazio-temporali,un libro trascende anche quelli etnico-culturali.

La medesima struttura e un analogo contenuto testimoniale acco-munano quindi le due figure, così come si evince dal parallelismo con-testualizzato di 1,34 e 19,35, due pilastri su cui si distende l’interoarco narrativo giovanneo.

GB – al di là del Giordano DA – sotto la croce 1.34 e io ho visto e testimoniato… 19,35 e chi ha visto, ha testimo-niato… 1.35 Il giorno dopo Giovanni stava 19,26 Gesù dunque, vedendo lamadre ancora là, e c?erano due dei suoi e il discepolo che egli amava discepoli che stava lì vicino…

Condividendo l’identica forma d’esperienza testimoniale, entrambistanno/ vedono/ ascoltano/29attestano il Cristo in quanto datore delloSpirito. La loro contemplazione testimoniale (secondo la sequenza ho-

29. Per l’ascoltare (meno evidenziato) cfr. 3,29; 19,27.

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raw/martyréw entrambi al pf. durativo-resultativo, caratteristica delQV)30 ha valore fondativo e permanente. Pur specularmente modella-to sul Gv 1,34, tuttavia Gv 19,35 spicca rispetto al contesto narrati-vo per il sorprendente effetto sorpresa di una testimonianza più di-rettamente innestata sulla visione31, nonché per la sua saldatura alladuplice testimonianza scritturistica (le citazioni di compimento e latestimonianza del veggente si corroborano a vicenda: cfr. la citazionedi Sal 34,21; Es 12,46; Zc 12,10, in Gv 19,36-37).

In effetti, rispetto a quella di GB, la visione del DA subisce unasorta di espansione progressiva: mentre, infatti, la prima sta rigoro-samente circoscritta sull’epifania battesimale (1,29-34), quella del DAdiventa lo work in progress di una contempla-zione itinerante, scan-dita sulle sequenze dell’«ora» di Gesù, rispettivamente: – alla cena (13,23), unico destinatario della rivelazione sul traditore; – sotto la croce (19,26.35), come testimone dell’epifania messianica; – al sepolcro (20,8) come primo credente nel risorto; – sul lago (21,7), ancora il primo a riconoscere il Signore vivo nella

missione ecclesiale.

Per entrambi inoltre la visione rappresenta una conquista cogniti-va, con a monte, un dichiarato deficit di conoscenza cristologica comepunto di partenza:

GB DA 1,31.33 20,9 (cfr. v. 2); 21,4 e io non lo conoscevo (2x) infatti ancora non conoscevano la scrittura…Ma i discepoli non avevano riconosciuto che era Gesù.

A ridosso di questo «non sapere» incalza sempre la domanda cri-stologica (relativa all’identità di Gesù: «tu chi sei?») nella sua prima(1,19 ss.) e ultima ricorrenza (21,12)32, proprio ai bordi estremi dellacornice narrativa. La vittoria di entrambi questi personaggi che – perprimi nel mondo intradiegetico – superano l’ignoranza cristologica, ri-cade a vantaggio di una manifestazione universale di Gesù, fino arendere addirittura superflua la domanda cristologica («nessuno dei

30. Martyrew, in regolare coppia con horaw, descrive 1/sia l’esperienza di Gesù rive-latore (l’unico che vede il Padre: 3,11.32); 2/ sia la testimonianza di GB alla teo-fania battesimale (1,34), come quella del Discepolo Amato sotto la croce (19,35);3/ e in 1 Gv 1,2; 4,14 quella di testi in 1a pl.

31. «E colui che ha visto, rende testimonianza»: echeggia in questa visione, espressacol ptcp. pf., un molto solenne nomen actionis, un vero e proprio titolo d’onore, se-condo uno stile di costruzione spesso applicato al DA, volentieri presentato contempi durativi (ptcp. pres. o pf.: 13,23; 19,25.35; 21,20; 21,24), quasi dei «titoli»designanti un’attitudine permanente (all’aor.: 18,15-16; 21,24).

32. Pur in obliquo, la domanda del DA sul traditore di Gesù (13,25;21,20) è ancoracristologica.

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discepoli osava domandargli: “Tu, chi sei?”…»)– oltre che per gli altripersonaggi, anche per lo stesso lettore, guidando gli uni e l’altro amatura conoscenza del Signore («…poiché sapevano bene che era ilSignore»: 21,12).

7. Un unico pattern testimoniale condiviso

Un medesimo pattern vale per i due testimoni della manifestazio-ne cristologica. In ef-fetti GB e DA condividono un consistente pac-chetto di azioni qualificanti la loro posi-zione e attitudine speciale, sa-gomati quindi secondo tessere testimoniali comuni sog-giacenti alla lo-ro costruzione in doppio letterario, come qui schematizzato33:

azioni GB DA stare histemi 1,35;3,29; paristemi 19,26; cfr.13,23.25;21,2 vedere blépw 1,29; emblépw 1,36; blépw 20,5 theaomai 1,32; heoraka 1,34; heoraka19,35;cfr. 20,25 eidon 1,33 20,8.20 ascoltare akouw 3,29 1,37*.40*;cfr. 19,27 testimoniare martyréw 1,7-8.15.32.34;3,26.29 19,35;21,24 accogliere lambanw 1,16*;3,32* 19,27 non sapere ouk oida 1,31.33 20,8; 21,4.12 manifestare phanerow 1,31 21,1.14

Anche lo speciale rapporto amicale che lega i nostri due testimonia Gesù li assimila analogicamente. Mentre nei confronti di Gesù GBstesso si autodichiarara «l’amico dello sposo» (3,29),34 l’anonimo disce-polo (che mai parla di sé) viene designato «il (l’altro) discepolo, quel-lo che Gesù amava» (13,23; 19,26; 20,2; 21,7.20)35 sempre e solo dal-

33. L’asterisco (*) sta per quando il soggetto in questione è discusso.

34. L’autodesignazione di GB riprende l’istituzione giudaica dello shosbin, l’amico del-lo sposo custode della sposa (R. INFANTE, cit 106-110). Ma il simbolismo spon-sale è reperibile già a partire da Gv 1,27.30, testi passibili di un’interpretazionein chiave di diritto matrimoniale. In merito cfr. L. ALONSO SCHÖKEL – P.PROULX Las Sandalias del Mesias Esposo, «Biblica» 59 (1978) 1-37. In formabreviore L. ALONSO SCHÖKEL, La lettura sim-bolica del Nuovo Testamento, in:W. EGGER (a cura di), Per una lettura molteplice della Bibbia, EDB Bologna,1981 47-71. Per la discussa interpre-tazione della «voce dello sposo» cfr. anche E.LUPIERI, cit. 154 n. 47.

35. In 18,15-16 è designato solo come «un altro discepolo» (senza articolo). Stante ilparallelismo con 20,2-9 (analogo minuetto di precedenze d’ingresso, questa volta avantaggio di Pietro), non vedrei però ragione di pensare ad un altro personaggio.Alcuni tra i testimoni diretti (2 C L Q 054 f 1.13 M ac2) vanno – non a caso –proprio in questa direzione, inserendo l’articolo secondo una lettura sospettabilequanto ad autenticità testuale, ma ermeneuticamente affidabile.

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la voce narrante, che verbalizza così il senso intuitivo della sua sin-golare po-stura, che lo vede appoggiato al petto di Gesù.

Per il contenuto la loro testimonianza restituisce la figura cristo-logica nel suo pieno spessore messianico-soteriologico, additando Gesùcome l’agnello di Dio (il Servo e Messia del Signore, senza escluderel’agnello apocalittico: 1,29.35), ma pure come il vero giusto preserva-to intatto, analogamente all’agnello pasquale (19,36; cf Sl 34,20; Es12,46); come colui che battezza nello Spirito (1,32-33) nella sua stes-sa morte (19,30.34.37) e risurrezione (20,22), capace di liberare daipeccati (1,29), attirando a sé uno sguardo di conversione (19,37; Zc12,10). Questo risvolto soteriologico viene declinato nel dittico tra bat-tesimo e morte di Gesù – nella tradizione sinottica di Mc/Mt già as-sestato in ben configurata inclusione letteraria e teologica. Nel trat-tamento inclusivo delle due scene il QV si allinea a questa tradizio-ne, rincalzandola con l’attivazione, da ambo le parti, di due figure te-stimoniali in speculare parallelo.

Nessuna fatica quindi – se non quella dell’attenzione al testo – arinvenire la nitida simmetria di questi due testimoni per il loro ruo-lo intradiegetico e di cornice, de-terminanti nell’introdurre, accompa-gnare, e accommiatare il lettore, totalmente al-l’insegna di un’espe-rienza diretta del proprio oggetto da mostrare, ovvero del conoscereper far conoscere, del vedere per far vedere. Vivono in vista dell’acco-glienza alla rivelazione: la loro personale, di coattori della storia incui sono inseriti, e quella del lettore. L’effetto della loro testimonian-za è quindi perfettamente analogo quanto all?esito e al merito. En-trambi poi concludono la loro parabola avendo formato e consolidatoun gruppo di credenti attorno a Gesù – nel caso del DA, un gruppoperfino tradente del suo Libro (10,41; 21,24). Non a caso poi l’ultimamenzione intradiegetica di entrambi è supportata dall’accredito dellaverità della loro testimo-nianza complessiva, proveniente da una vocecorale. Così questa loro testimonianza non viene mai veicolata al let-tore come nuda istanza autoritaria, ma sempre in quanto già ricono-sciuta corrispondente al vero, e quindi ulteriormente riproposta nellasua già avvenuta accoglienza, pragmaticamente confermata nella suaverità ed efficacia.

Ma entrambi patiscono pure il ridimensionamento e la relativizza-zione costitutivi della figura del testimone.

Il ridimensionamento (con l’ausilio sintattico di un’avversativa) sioppone a qualsiasi confusione tra la figura del testimone con la rive-lazione da lui attestata: se Gesù «illumina, brilla» (1,5) – lo stesso faGB, da Gesù in persona definito «lampada che arde e brilla»: 5,35).Tuttavia ribadendo che non è lui stesso la luce, ma solo un mandatoa testimonianza alla luce (1,7). Imponente ridimensionamento: visto

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che GB rischia d’essere scambiato con la luce, eccogli allora negati,assieme all’identità messianica, anche molti altri attributi pur già ri-vendicatigli dalla tradizione (Elia, o il profeta: 1,21). Egli viene cosìridotto alla pura autoidentificazione con la voce del Deuteroisaia («iosono voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore!»:1,23; cfr. Is 40,3 – LXX), tutta in risonanza a quella del messia-spo-so (3,30), cioè alla Parola in persona. Questo ridimensionamento diGB, essenzializzato alla pura voce, corrisponde a 1,536.

Insieme al ridimensionamento, anche la relativizzazione: non soloGB (testimone precursore) non dev’essere confuso con Gesù (testimo-ne rivelatore), ma di fronte a lui dovrà diminuire la propria portatae rilevanza, perché quello possa «crescere» (3,30).

Pronunciata dallo stesso GB questa parola si dimostra perfetta-mente programma-tica e performativa sul suo personale destino (perla serie: «detto/fatto!»). Nel raccon-to successivo, infatti, sarà subitoverificabile come promessa pienamente mantenuta, visto che daquell’istante a tal punto egli diminuirà da non comparire né parlarpiù nell’ulteriore narrazione. A differenza di altri personaggi (Pietro,Tommaso) larga-mente deficitari quanto alla parola data, GB vi simantiene perfettamente fedele, con-formemente alla volontà divina(3,30; cfr. 3,27). Ecco il profilo del vero testimone, che, al momentodel rivelarsi cristologico, addita e grida, ma per sparire e togliersi,perché l’evento stesso parli da sé e per concorso di altre voci.

Relativizzazione comporta altresì rispetto della gerarchia che orga-nizza diverse te-stimonianze.

Per rilevante che sia, la testimonianza di GB risulta decisiva piùper i Giudei che non per Gesù stesso, il quale vanta per sé quellaben superiore del Padre, delle opere, e di Mosè (5,36-37.45-47;10,25),e perfino quella che egli può dare direttamente a se stes-so – semprein quanto unito al Padre (8,14-18), come portatore della verità incar-

36. Tanta circospezione nel ridimensionare GB, pur riconoscendolo testimone più al-tolocato, tradisce una polemica tra la comunità giovannea e i gruppi di battisti,che potevano facilmente rivendicare la superiorità del loro maestro, per l’ovvia ra-gione che Gesù si era sottoposto al suo battesimo. La memoria di Gesù, immersodal Precursore nelle acque del Giordano, doveva percepirsi nella comunità primi-tiva come un pudendum davvero imba-razzante da spiegare (come si evince giàdalla sequenza narrativa genuinamente kerygmatica di Mc 1,1-8 e 1,9-11, nonchépiù esplicitamente da Mt 3,14-15, dall’Ev. Ebion. riportato da EPIFANIO, Pana-rion haer. 30,13,7-8; e, inoltre, dall’Ev. sec. Hebraeos, citato da GIROLAMO, Con-tra Pelag. III,2. Testi in K. ALAND, Synopsis Quattuor Evangeliorum, DeutscheBibelgesellschaft Stuttgart 198813, p. 27 n. 18). Si capisce perché mai Gv ignoriil battesimo effettivamente ricevuto da Gesù dalle mani di GB, e al contempo tra-sformi quest’ultimo in testimone dell’epifania celeste (ruolo impensabi-le per iSin).

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nata dalla sua stessa esistenza (18,37). C’è inoltre quella che Gesùpresta al Padre (5,31-32), nonché quella dello Spirito (15,26), destina-to a succedere alla missione di Gesù. L’archetipo testimoniale giovan-neo è (assiologicamente parlando) cristologico, teolo-gico e pneumato-logico (in breve, trinitario). Il Padre, il Figlio e lo Spirito pongonoognuno la propria attestazione sempre a favore di quella dell’altro,per poi ritirarsi, e lasciare tutto lo spazio necessario perché sia l’al-tro a prestare la propria ulteriore te-stimonianza. Analogamente simuovono GB e DA. Mai sovrapponibili concorrenzial-mente, ma alter-nati in rispettosa successione di tempi e quindi facilmente intuibili inreciproca integrazione. Portato subito in primissimo piano fin dal pro-logo poetico (1,6ss.15ss.), GB finisce in rapida dissolvenza sullo sfon-do, permanendo nell’atto stesso di indicare e far spazio arretrando esparendo. Dal testimone dell’incarnazione la parola passa così a quel-lo pasquale (19,35; 20,8; 21,7. 20.24), anch’egli impegnato a additarel’Agnello (1,29.36; 19,35-37).

Una relativizzazione subisce anche il DA, anzitutto per il modo incui nel racconto viene ripetutamente trattato con l’espediente della re-ticenza narrativa (13,23; 19,25-27; 21,2-7), mediante il quale questopersonaggio – sempre ben radicato nel gruppo discepolare, e più stret-tamente relazionato a figure di prima grandezza –37 dallo sfondo vie-ne di colpo portato in primo piano (un trattamento narrativo mai ap-plicato a GB, e tuttavia per certi versi corrispettivo analogo dell’alto-locato ridimensionamento inflittogli). A differenza di quest’ultimo poi,il DA non rischia mai di essere confuso con Gesù Messia, quantopiuttosto di subire una mitizzazione circa la volontà di Gesù di farlo«rimanere» fino al suo ritorno, equivocata come promessa d’immorta-lità (21,22-23)38.

Questa destinazione di Gesù non riguarda propriamente la suapersona fisica, quanto piuttosto la testimonianza prodotta con il suoLibro (20,30-31) generatrice di una comunità che se ne fa garante ecustode in seno alla «grande Chiesa». Così egli resta come «il testi-mone intorno a queste cose» (21,24), dal punto di vista di Gesù, li-mitatamente a «finché io venga» (allora ogni libro diverrà superfluo).

La testimonianza di GB (1,7-8.19.32.34; 3,26.29) si dà invece cometrasmissione strettamente orale, nelle forme specifiche di predicazioneprofetica solenne (gridare: 1,15; 1,23; confessare: 1,20 bis), dichiararee dialogare: 1,15.21.22.26.29.30.31.32.36; 3,27.28; 10,41; rispondere:

37. Con Pietro (13,24;18,15-18;20,2-10;21,7.20-24); con la Madre di Gesù, sua sorella,Maria di Cleopa e Maria Maddalena (19,25-27); ancora con la Maddalena (20,1-2).

38. La morte del DA apre una crisi nella sua comunità, cui in 21,20-24 evidentementerisponde.

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3,27), accompagnata ad una energica ostensione (importante il ruolodei deittici: «ecco!» [1,29.36]; «questi è…» [1,30.33.34]). Parla spesso inprima persona con uso enfatico di «io» (1,20.31.33.34). Fa lunghi, so-lenni discorsi diretti (1,15.29-34;3,27ss.). Come Gesù, sostiene con-fronti dialettici piuttosto drammatici (1,19-28) con i propri antagoni-sti.

Taciturno e avaro di parole invece il DA, che dialoga molto bre-vemente, mai in prima persona, prestandosi per una testimonianzapiuttosto indiretta. Massimale e difficilmente esagerabile la sua valo-rizzazione testimoniale di veggente in quanto scritta, «canonica» eispirata, una tradizione, che presenta significative analogie con quel-la del qumraniano Maestro di Giustizia, almeno per tre aspetti: a. il richiamo all’autorità di un maestro anonimo; b. il richiamo ad una ispirazione nel processo di tradizione e di er-

meneutica (il Maestro di Giustizia e il DA giovanneo non sonoportatori di rivelazione, ma ermeneuti a capo di una tradizione);

c. la fissazione scritta della stessa tradizione, appunto sotto l’egidadi un’autorità ispirata.39

Di insostituibile rilevanza appare dunque il ruolo poetico composi-tivo (tanto sul piano strutturale quanto su quello narrativo) del dop-pio testimoniale costituito dalle figure di GB e DA, veri e propri mi-stagoghi della rivelazione a servizio del lettore. A riprova ultima os-serveremo ancora come la testimonianza di cui sono fatti carico ap-partenga originariamente alla rivelazione cristologico-trinitaria, costi-tuendone un risvolto storico e comunicativo intrinseco. Non deve sfug-gire, infatti, la capitale osservazione per cui lo stesso vocabolario te-stimoniale è molto scientemente applicato dal QV vuoi a GB e al DA,mistagoghi–custodi della rivelazione, vuoi al proprio genere letterariodi Libro testimoniale, vuoi ai portatori più diretti della rivelazionestessa (Gesù, il Padre, lo Spirito, oltre che a Mosè e alle Scritture).Abbiamo quindi una chiarissima corrispondenza tra forma e contenu-to, costituendo appunto la testimonianza sia il genere letterario sia lostesso tema intrinseco del QV – il suo oggetto formale più proprio co-stituito dalla correlazione rivelazione/fede, perfettamente coperta dalvocabolario testimoniale (riferibile appunto ad entrambi i poli dellacorrelazione stessa). Tale corrispondenza è verificabile – come già vi-sto – nella distribuzione del vocabolario testimoniale martyréw,

39. Cfr. J. ROLOFF, Der johanneische „Lieblingsjünger? und der Lehrer derGerechtigkeit, «New Testament Studies» 15 (1968/69) 129-151. A.R. CULPEPPER,The Johannine School: An Evaluation of the Johannine-School Hypotesis Basedon an Investigation of the Nature of Ancients School (SBLDS 26), Scholars PressMissoula MT, 1975.

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martyria rintracciabile lungo il Libro in ogni sua sezione, ma riparti-to secondo una precisa logica concentrica e inclusiva. Appunto così Gvtematizza infatti la rivelazione cristologico-trinitaria come testimo-nianza incorniciata appunto ai due estremi del Libro con il doppio te-stimoniale, quasi una siepe protettiva attorno al cuore della rivela-zione. Nello stesso tempo le radici di questo doppio testimoniale affon-dano nel terreno della rivelazione stessa rivendicata irriducibile e per-fino indipendente (2,25; 3,34; 5,34) ma sempre condiscendente fino adospitare al proprio interno quell’accoglienza originaria capace di co-stituirsi come fede testimoniale.

8. Due testimoni – uno stesso nome?

A differenza di GB (dal QV chiamato solo con il suo nome proprio«Giovanni») il DA resta invece anonimo, individuato solo per la suarelazione a Gesù descritta da quest’epiteto. Menzionato esplicitamen-te molto più di lui, e comunque personaggio se-condario dopo Pietronominato più di ogni altro40, GB non viene però mai (a differenza deiSin) definito per la sua funzione (appunto come «il battezzatore»41, masempre con il solo nome proprio – fatto questo singolare, tanto piùche il QV ricorda la sua prassi di battezzare.42

L’omissione sarà difficilmente insignificante, visto che Gv, oltre aconoscere la tradizione, ama non poco gli epiteti43, sicchè, se qui vi ri-nuncia, la cosa potrà avere un senso. Forse serve ad accentuarne ul-teriormente la funzione testimoniale, originale del QV, a spese diquella battesimale comune alla tradizione. Oppure tradisce un approc-cio «confidenziale», da cui trapelerebbe una speciale affinità dell’auto-re e dell’ambiente del QV a GB. Forti del doppio con il DA, azzar-diamo un passo ulterio-re: l’omissione dell’epiteto, in complicitàcoll’anonimia del DA, potrebbe pure -coerentemente e anche più radi-calmente rispetto alle altre caratteristiche di «doppio»- favorire un’al-lusiva identificazione di quest’ultimo con lo stesso nome del suo pro-to-tipo.

Alla luce del doppio letterario per cui un personaggio può carat-terizzarsi in tanta simbiosi con l’altro fino a condividerne corpo e no-me, le due omissioni del tradizionale epiteto «il battezzatore» per il

40. 1,6.15.19.26.28.32.35.40; 3,23.24.25.26.27; 4,1; 5,33.36; 10,40.41 (2x).

41. Cfr. Mc 6,25; 8,28; Mt 3,1; 11,11.12; 14,2.8; 16,14; 17,13; Lc 7,20.33; 8,19. ComeMc 1,4; 6,14.24 Gv ha il ptc.pres. baptizwn, ma sempre come predicato, mai co-me attributo (secondo l’uso di Mc).

42. ptc.pres. 1,25.26.28.33; 3,23a.23b; 4,1; 10,40; con acqua 1,26.33b.

43. Cfr. p.es. 1,42; 7,50 (cfr. 19,39); 9,13.24; 11,2.3.16; 20,24.

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Testimone precursore, e del nome proprio per il DA congiurano a for-mare un possibile intrigante indizio, un piccolo enigma, forse nem-meno troppo complicato, visto che ne lascerebbe presagire la risposta.L’omissione de «il battezzatore» consentirebbe un più agevole adatta-mento della sagoma di GB al DA suo doppio, alleggerita di un titoloforse un po’ ingombrante rispetto all’identificazione del DA. Così ilnome del DA, autore del QV, non sarebbe allora propriamente nega-to, ma solo trascritto con inchiostro simpatico, una casella vuota (unblank) lasciata da riempire alla perspicacia del lettore, un messaggioin codice, abbastanza agevole da decifrarsi con l’attribuzione al Testi-mone Veggente del medesimo nome del Testimone Precursore. Proprioin quanto personaggi costruiti in doppio, perché mai GB e DA, assie-me alla medesima costituzione testimoniale, non potrebbero condivi-dere perfino lo stesso nome, l’elemento per l’appunto più caratteriz-zante di un personaggio? Sotto questa luce l’anonimato del DA cam-bierebbe completamente di segno, suonando non più come argomentocontrario, bensì semmai a favore dell’attribuzione tradizionale del QVall’apostolo Giovanni44. L’omissione del nome per il DA autore delVangelo rientrerebbe nel gioco del doppio, che in ragione del sempli-ce buon gusto ne sconsiglierebbe l’esplicita denotazione (intelligenti,pauca).

L’identità del DA si nasconderebbe quindi sotto uno pseudo-anoni-mato destinato non tanto a costituire un rompicapo difficile, e forseperfino impossibile da sciogliere in sede storico-critica nei termini disufficiente e consensuale certezza45. Del resto, un problema più nostroche non dell’autore del Libro e dei suoi primi destinatari, cui l’iden-

44. Naturalmente qui non si vuole sostenere l’attribuzione del QV a Giovanni l’apo-stolo come suo autore sulla base di un semplice argomento narrati-vo-letterario (ènecessario rispettare la differenza dei metodi). Lasciamo quindi aperta la questio-ne storica, semplicemente guarnendone il dossier con una precisazione importan-te, che rimette in discussione l’opinio communis: quella per cui non è affatto co-sì sicuro – come invece troppo facilmente si sostiene - che il QV lasci in un per-fetto anonimato il proprio autore.

45. Da cui siamo certamente lontani. Senza entrare nel merito, la risposta più tradi-zionale che lo identifica con Giovanni, fratello di Giacomo, figlio di Zebedeo, unodei dodici apostoli, tra i primissimi chiamati da Gesù, non andrà troppo sbrigati-vamente snobbata. In proposito cfr. G. SEGALLA, «Il discepolo che Gesù amava»e la tradizione giovannea, «Teologia» XIV (1989), 217-244. Rielaborato in: «Ricer-che Storico Bibliche» III (1991), 11-36. Per una posizione alternativa M. L. RI-GATO, L’«apostolo ed evangelista Giovanni», «Sacerdote» levitico, «Rivista Biblica»38, (1990) 451-483 (che lo identifica con il Giovanni di stirpe sacerdotale di At4,6). V. MANNUCCI, Giovanni, il Vangelo narrante, EDB Bologna, 1993, 201-242– fa-vorevole all’identificazione con Giovanni il presbitero, recentemente ripropostada M. HENGEL, La questione giovannea (SB 120) Paideia Brescia 1998 (orig.1993).

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tità del DA doveva essere ben nota, e che non abbisognavano quindidi una in-formazione esplicita. Ricondotto alla corrispondenza armoni-ca tra le due figure, rientrerebbe come ulteriore contributo alla co-struzione dell’antimodello cristologico con cui GB viene ulteriormentecristianizzato non solo in quanto Testimone dell’Agnello, ma anche co-me prototipo del testimone Veggente.

Scopo ed effetto dell’anonimia del DA non sono in ogni caso quel-li di frustrare la curiosità dei destinatari del Libro, ma piuttosto diaffidare a questo (pseudo-)anoni-mato un messaggio particolarmenteprezioso per i lettori, se si tien conto che, in virtù di questo espe-diente, la figura corrispondente all’autore ideale (e da cui la voce nar-rante – coincidente con l’autore implicito – mutua autorevolezza), puòin effetti proporsi come modello del lettore implicito, o (se mai daqualche parte esiste) del lettore ideale. Talvolta meglio ancora diquello identificato con il nome proprio, il personaggio anonimo offreinfatti condizioni di più facile rispecchiamento per il lettore, rivesten-do quindi in tal senso per l’appunto una funzione pragmatica46.

9. Riassumendo

Come prodotti di un’efficace caratterizzazione integrativa che li co-struisce in doppio, GB e DA sono quindi configurati allo stesso tem-po quali: a. testimoni di speciale autorità al Messia Gesù, Servo del Signore –

agnello pasquale, fonte dello Spirito e del perdono dei peccati –contemplato in tutta la sua incidenza soteriologica;

b. a lui legati amicalmente; c. entrambi a contatto con ambienti sacerdotali; d. coralmente riconosciuti come testimoni, ma anche come tali ade-

guatamente demitizzati, ridimensionati, relativizzati; e. diversificati (almeno parzialmente) per il medium espressivo della

loro testimo-nianza (rispettivamente solo orale, e orale/scritto). f. coordinati tra loro in scrupolosa scansione diegetica di spazi e tem-

pi ben distinti; ma con tutta probabilità anche concatenati in suc-cessione discepolare oltre che temporale (se nel compagno di An-drea riconosciamo il DA, antico discepolo di GB, presente già fin«da principio» (15,27), a partire dal prologo narrativo)47.

46. Circa il ruolo pragmatico dell’anonimato nei personaggi giovannei (specie nel DA),cfr. D. R. BECK The Narrative Function of Anonymity in Fourth Gospel Charac-terization, «Semeia» 63 (1993) 143-158, (soprattutto 153-155). Più recentemente,THEOBALD, cit. 250.

47. Esercitando la propria funzione rispettivamente sulla prima e seconda parte delVangelo, questi due testimoni restano effettivamente intervallati dal-la figura si-

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Come tutti i personaggi del QV (e coerentemente con lo stessokerygma nelle sue più primitive formulazioni)48, anche il DA dipendedalla testimonianza di GB, mentre la prosegue, la integra e perfezio-na, perfino superandola a due livelli, e cioè: a. in quanto personaggio intradiegetico che, come suo doppio/discepo-

lo, occupa spazi e tempi inattingibili a GB, divenendo un testimo-ne cristologico meglio appostato e informato, e qualificato di lui.

b. Inoltre egli non solo offre un ottimo paradigma del discepolo (confunzione di lettore implicito/ideale), ma anche viene accreditato co-me «autore» responsabile ex-tradiegetico del QV, che sta all’origi-ne del Libro (come garante di una tradizione da lui fatta mettereper iscritto), e che con la sua scrittura si costituisce in certo qualmodo testimone collettore di tutti i testimoni, che complementa per-fettamente la testimonianza fin dal prologo inaugurata dal Batti-sta.

10. Concludendo

Il rilievo della teologia della testimonianza intrinseca al QV (eall’intero corpo giovanneo: 1Gv 1,2; 4,14; 5,6-10.11; Ap 1,1-3; 22,16-20)sarà difficilmente esagerabile. La sua adozione a livello fondamenta-le–sistematico da parte di una teologia uscita dalle secche manuali-stiche, che invero non s’è fatta attendere49, risulta quanto mai pro-mettente, proprio in forza della sua spendibilità su diversi fronti del

lenziosa e passiva di Lazzaro, anch’essa caratterizzata da forte relazione amicalecon Gesù, che con il bridge-passage degli episodi di Be-tania e dell’ingresso in Ge-rusalemme (11,1-44; 12,1-8.9-11.17) interviene a congiunzione dei loro rispettivi ci-cli testimoniali

48. At 10,37; 11,16; 13,24-25.

49. Il più perspicace interprete di questo theologoumenon giovanneo è certamente H.URS VON BALTHASAR, Gloria. Un?estetica teologica. La perce-zione della forma,Jaca Book Milano 1975 [ed. or. 1961]. In effetti, una lettura che si mantenga conlo sguardo attento all’indice di questo primo tomo della trilogia balthasariana con-sente di coglierne l’intera sua configurazione guadagnata in gran parte semplice-mente attraverso una ritrascrizione del-la teologia giovannea della testimonianza.Su questa scìa P.-A. SEQUERI, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamenta-le (BTC 85) Queriniana Bre-scia 1996, nonché G. ANGELINI (a cura di), La Ri-velazione attestata. Studi in onore del Card. Martini («Quodlibet» 7), Glossa Mi-lano 1997. Signifi-cativamente pure S.M. SCHNEIDERS, The Revelatory Text. In-terpreting New Testament as Sacred Scripture, Harper San Francisco, 1991 [tr.francese: Le Texte de la Rencontre (LD 161), Cerf/Fides, Paris 1995], oltre che P.RICOEUR, Testimonianza, Parola e Rivelazione (a cura di F. Franco), Edi-zioneDehoniane Roma 1997, valorizzano il concetto di testimonianza. Più recentementeG. ANGELINI, La testimonianza. Prima del “dialogo” e oltre, Centro Ambrosiano,Milano 2008.

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discorso teologico. Il suo valore risiede soprattutto nella sua effettivaforza poetica, cioè al tempo stesso articolata e sintetica, per cui que-sto theologoumenon giovanneo dimostra una straordinaria analogicaapplicabilità alla rivelazione come alla fede, al suo risvolto contenuti-stico, pratico e spirituale, alla sua mediazione orale e alla sua fissa-zione scritta (per una teologia della canonicità e dell’ispirazione bibli-ca), al suo uso in cristologia, pneumatologia e teologia trinitaria, co-me pure in sede di ecclesiologia. Per una teologia biblica e una teo-logia della Bibbia sarà davvero difficile trovare una categoria miglio-re o almeno altrettanto prestante50.

Excursus – «Il discepolo che Gesù amava»- senso e portata di un epiteto

E veniamo all’epiteto dell’anonimo Discepolo Amato - oJ ma-qhth;” oJn hjgavpa (ejfivlei) oJ jIhsou’” - sempre solo sulla boc-ca del narratore e di nessun altro personaggio.

Su di un punto le ricostruzioni degli studiosi, intorno al senso diquesto epiteto, sembrano concordare: non fu certo l’interessato a dar-selo, e nemmeno deve essere stato Gesù a conferirglielo, ma piuttostola Chiesa primitiva - o più precisamente la comunità giovannea - che,quasi “deducendolo dall’atteggiamento costante del Signore verso coluiche appariva come il privilegiato” 51 tra i discepoli, ne ha fattoun’espressione corrente.

Al narratore bastano tre rapide pennellate per dirci di chi si trat-ta, e schizzarne la figura in una efficacissima sintesi di elementi or-dinari e straordinari. 1. Anzitutto egli è semplicemente un membro di un gruppo, un ap-

partenente al gruppo del Maestro52, “uno dei suoi di-scepoli”(ei|”ejk tw’n maqhtw’n aujtou’).

2. E tuttavia certo non uno qualunque, se alla mensa occupa non unposto a caso, ma sta proprio a contatto più diretto e familiare conLui (ajnakeivmeno” ejn tw’/ kovlpw/ tou’ Ihsou’);

3. Non a caso trattasi appunto di colui per il quale Gesù nutrivaparticolare predilezione,”il discepolo che Gesù amava “ (oJn hj-gavpa oJ jIhsou’”: 13,23).

50. Promettente in ambito biblico il suo nesso con la memoria [in merito mi permet-to rimandare a R. VIGNOLO, Teologia biblica, teologia della Bibbia e dintorni,«Rivista Biblica» LVI (2008) 129-155].

51. C. SPICQ, Agape III, Gabalda 227

52. Volentieri Giovanni introduce i suoi personaggi indicando in primo luogo la loroappartenenza ad un gruppo 1,35 i discepoli del Battista; Nicodemo , uno dei fa-risei 3,1;

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Questi tre tocchi - che disegnano il Discepolo Amato entro la cer-chia dei discepoli, nel posto occupato a mensa durante la cena, e in-fine secondo l’apprezzamento mostrato dal Signore verso di lui - van-no tutti nel senso di una densa configurazione cristologica ed eccle-siale del nostro personaggio, unico in tutto il racconto ad essere defi-nito anonima-mente ed esclusivamente per una sua relazione a Gesùtanto sovradeterminata.

La prima sua caratteristica - quella di “uno dei discepoli” - sta adire che (anche se agli occhi di Gesù conta assai più degli altri) sitratta anzitutto di uno dei discepoli che hanno aderito alla sua chia-mata, e che, al pari degli altri, sulla spinta della grande testimo-nianza di Giovanni Battista (1,19-34.35-39), aveva avuto la propria vi-ta segnata dall’e-sperienza diretta di quelle “parole di vita “ che soloLui mostrava di possedere (6,68; 7,46). Qualcuno quindi impegnatonella fatica della sequela, nell’ ascoltarne e ricordarne la parola, allacui luce contemplare e interpretare i segni e le ope-re, nell’ andareda lui, rimanere presso di lui e in lui, obbedirgli, riconoscere in Luila rivelazione del Padre, divenirne testimone, accoglierne il comanda-mento nuovo dell’amore. Un discepolo infatti per definizione non puòessere altro che qualcuno impegnato ad adempiere in qualche modotutti questi atteggiamenti caratteristici del “credere” in Gesù.

Come personaggio - narrativamente parlando - egli ha quindi allesue spalle una lunga trafila percorsa come silenziosa comparsa, pri-ma di essere individuato per il suo speciale rapporto al Signore. Unafigura quindi di nessuna particolare appariscenza, stagliata su di unampio sfondo opaco, il cui tratto di base è appunto quello di avere co-me tanti altri, aderito alla sequela del Signore. Un discepolo tra co-loro che sono stati con lui “fin dal principio” (15,27). L’ordi-narietà didiscepolo è come lo zoccolo duro della condizione straordinaria di que-sto testimone unico e tanto autorevole.

Ma questa sua ordinaria configurazione cristologica e appartenen-za ecclesiale, si arricchisce di un elemento straordinario. La qualitàdi questo discepolo è intuibile dalla sua stessa posizione fisica, daquello spazio di intimità as-solutamente unico da lui occupato comecommensale a fianco di Gesù, che da lui può ricevere in tutta riser-vatezza la rivelazione del traditore. E questa posizione di commensa-le riceve una pronta spiegazione nel fatto di essere appunto “quel di-scepolo che Gesù amava” (JoJn hjgavpa oJ jIhsou’”: 13,23; 19,26;21,7.20, 53). Tutta la vicenda del Di-scepolo si manterrà immersa nelpiù stretto anonimato. Non interessa l’identità di questo discepolo,

53. In 20,2 si cambia il verbo con philéo.

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non è il suo nome a qualificarlo, ma la sua molteplice e stretta rela-zione al Maestro, e soprattutto il punto di vista del Maestro su di lui.Si tratta di “relazione”, e non di “funzione” (come talvolta più piatta-mente vien detto).

Laconico e solenne nello stesso tempo, l’epiteto ci suggerisce infattiun atteggiamento stabile di amore da parte di Gesù nei suoi confronti- come si può capire dal regolare uso dell’imperfetto (che esprimeun’azione continua nel pas-sato: “il discepolo che Gesù amava”). Unrapporto e atteggiamento stabile54,non puntuale, legato ad un episodi-co momento di grazia (il tempo è non a caso all’imperfetto - un tem-po durativo di continuità nel passato). Ma in che senso? “Il discepoloche Gesù ricambiava con il proprio amore”: così andrà meglio intesala nostra singolare e pregnante for-mula, dove il costante amore diGesù prende appunto una connotazione di ricambio, una sfumatura digratitudine 55.

Ma questo amore di gratitudine, nel caso del Discepolo Amato ,procede piuttosto dallo stesso Maestro nei suoi riguardi. Che cosa si-gnifica questo amore con cui Gesù gratificava proprio questo discepo-lo? Era semplice amicizia o amore teologale? E perché Gesù lo grati-ficava così? Propriamente il vangelo non ci fornisce un’esplicita spie-gazione, sicché non è facile rispondere (e, naturalmente, di nuovo leinterpretazioni divergono). L’espressione ha imbarazzato anche inter-preti autorevoli 56. L’imbarazzo viene superato da Agostino (sulla lineache più tardi Alberto Magno definirà “Quid est autem: quem diligebatIesus? Quasi alios non diligeret, de quibus idem ipse Iohannes supe-rius ait: ‘in finem dilexit eos’(13,1)? Et ipse Dominus: ‘maiorem haccaritate nemo habet, quam ut animam suam ponat pro amicis suis

54. Un rapporto quindi sensibilmente diverso da quello del ben noto episodio sinotti-co del “(giovane)ricco, dove Gesù, nel momento cruciale del colloquio, gli volge unosguardo e un gesto di singolare predilezione (unico in Mc), accompagnati dall’in-vito a seguirlo: “allora Gesù fissatolo lo amò...” (egapesen autòn: 10,21). Ma qui ilverbo è non a caso all’aoristo, e segna un momento di elezione, mentre in Gv èall’imperfetto. Propriamente è Mt 19,16-22 che fa di questo protagonista un gio-vane (v.20.22) - Mc 10,17-22 ne par-la più genericamente come di “un tale” (v.17).

55. Ci aiuta a capire questo “amare” nel senso di “ricambiare l’amore” la scena - an-ch’essa episodio di commensalità - del perdono del-la peccatrice di Lc 7,36-50 - do-ve l’espressione di 7,47 “le sono perdonati i suoi peccati perché ha molto amato(egapesen polù). A chi è perdonato poco, ama poco”, viene resa da J. JEREMIAS,Teologia del Nuovo Testamento, Paideia Brescia 1972, 249-250 ap-punto con que-sto senso di amore di riconoscenza: “poiché la sua riconoscenza è così grande. Co-lui al quale si perdona poco, ha poca riconoscenza”.

56. La preoccupazione era che questa predilezione di Gesù andasse a scapito dell’amo-re universale di Gesù per i suoi: forse che gli altri discepoli, contemporanei e po-steri, non sarebbero stati amati altrettanto? AGOSTINO, In Io.Ev. LXI,5 (PLXXXV,1800-1801);

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(15,13). Et quis enumeret omnia divinarum testimonia paginarum,quibus Dominus Iesus, non illius neque eorum quae tunc erat tantum,sed etiam post futu-rorum membrorum suorum, et totius Ecclesiaesuae ostenditur?”

secundum signum piuttosto che secundum dilectionem) nel sensodi una predilezione con valore di segno esemplare u-niversale: la pre-dilezione apparentemente esclusiva del Discepolo Amato serve a farcapire che tutti i discepoli possono così essere amati dal Signore 57.Tommaso accentua il tratto di un amore speciale, ancorché non esclu-sivo 58, sempre con valore di segno, motivandolo in ragione di tratti diparticolare familiarità59. Ruperto di Deutz ha una bella formula: “Di-lectus iste discipulus inter dilectos omnes dilectissimus!”; e per spie-gare questa condizione speciale non trova altra ragione che la gra-tuità dell’amore di Gesù60.

La specificità dell’amore di Gesù per questo suo discepolo va sen-za dubbio colta nella prospettiva dell’amore universale che Gesù hanon solo per i discepoli suoi contemporanei, ma per tutti i credenti inlui, contemporanei (“...dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, liamò sino alla fine” (13,1); “Non vi chiamo più servi,...ma vi ho chia-mato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto cono-scere a voi” (15,15) e posteri: “E io ho fatto co-noscere loro il tuo no-me e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato siain essi e io in loro” (17.26). Ma sulla base di questo riferimento piùuniversale non è ancora spiegata la specificità della relazione a Gesùdi questo discepolo.

Cercando una ragione più specifica, si ricorderà come propriamen-te anche di altri personaggi si dice che era-no oggetto di particolarepredilezione da parte di Gesù, che “voleva bene a Marta, a sua so-rella e a Lazzaro” (Gv 11,5; cfr. 11,3.35) 61. Anche sotto questo profi-lo allora l’amore per il Discepolo Amato sembra perdere i tratti diesclusività assoluta, visto che anche verso i propri abituali ospiti di

57. Così ancora AGOSTINO, op. cit. CXXIV,4 (PL XXXV,1971): “quasi solum diligeret,ut hoc signo discernetur a ceteris quos uti-que omnes diligeret “.

58. “Non quidem singulariter, sed quasi quodammodo excellentius prea aliis “ (In Io.ad loc.)

59. Ia q.20 art.4 ad 3m TOMMASO specifica lui pure il riferimento al segno “quan-tum ad quaedam famliaritatis indicia “. E nei mo-tivi di questa predilezione, in-dividua: 1) la perspicacia del suo intelletto; 2) la verginità; 3) la sua giovinezza.Cfr. commento ad loc.

60. RUPERTO di DEUTZ, In Ioh. Ev. XI,520.548-550: “nullam tantae dilectionis red-dit causam, videlicet solam volens intelligi ul-troneam diligentis gratiam “

61. In 11,3.35 con philew; in 11,5 con agapaw

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Betania (12,1-8) Gesù dimostra una predilezione del tutto simi-le 62.Tuttavia, a differenza di Lazzaro e delle sue sorelle, si tratta di unamore che caratterizza il nostro personaggio esplicitamente in quantodiscepolo. Si potrà rispondere allora che in tal modo egli è da rico-noscere addirittura come “il tipo, il modello esemplare del discepoloperfetto... il discepolo per eccellenza: questa è la ragione per cui èamato da Gesù”. Così M.- E. BOISMARD63, che trova la chiave in15,8-10 64: il discepolo Amato è colui che, in quanto osserva nell’obbe-dienza i comandamenti di Gesù,rimane nel suo amore, proprio comeGesù stesso osserva i comandi del Padre e rimane nel suo amore (nona caso in 19,25-27 il Discepolo obbedirà prontamente alla parola dal-la croce - “Ecco tua ma-dre!” - parola che tuttavia è ben qualcosa dipiù che semplice comando!).

Questa lettura, senza dubbio corretta, interpreta tuttavia la rela-zione di amore di Gesù al discepolo in termini puramente retrospet-tivi, cercando la ragion causale, la radice di questo amore. Ma è pos-sibile anche individuare una “ragion teleologica”, ovvero il senso e ilfrutto di questo amore, la prospettiva che esso dischiude? Proviamo achiederci cioè non “perché” Gesù amasse questo discepolo, ma: “checosa succede a questo discepolo in quanto amato da Gesù, qual è ilsuo destino?” In termini narratologici: questo amore del Maestro cheportata ha nella costruzione della sua fi-gura discepolare?

Si potrà dire che esso implica non un generico riconoscimento digratitudine, tantomeno un semplice affetto umano di predilezione 65,ma, ben più radicalmente, il contraccambio di quell’ ulteriore rivela-zione di Gesù e del Padre promessa al discepolo che presta amore eobbedienza a Gesù. In 14,21 abbiamo un passo illuminante al ri-guardo, dove Gesù dichiara: “chi mantiene i miei comandamenti e liosserva, questi veramente mi ama. Colui che mi ama sarà amato dal

62. Qualcuno ha voluto identificare il Discepolo Amato con lo stesso Lazzaro, ma13,23 mette in primo piano un riferimento generico “uno dei suoi discepoli” che(qualora la specificazione “quello che Gesù amava” dovesse essere riferita a Laz-zaro), avrebbe dovuto più specificamente essere espresso con un pronome relativo(“quello dei suoi discepoli”).

63. Synopse III, 343.

64. [15.8] In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiatemiei discepoli. [15.9] Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Ri-manete nel mio amore. [15.10] Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nelmio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nelsuo amore.

65. Come vorrebbe C.SPICQ 228-229 e quanti intendono l’amore di Gesù per il Di-scepolo nei termini di semplice amicizia umana, al di fuori di una prospettiva diamore divino.

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Padre mio, e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui). Il DiscepoloAmato, in quanto personificazione del discepolo esemplare, si ritrovacosì per due volte oggetto dell’amore di Gesù in due tempi diversi esuccessivi: – anzitutto oggetto dell’ amore universale rivolto a tutti i discepoli

(capp. 15 e 17), – e successivamente oggetto dell’ amore che Gesù elargisce ulterior-

mente a quanti lo amano mantenendosi fedeli al suo comanda-mento: una conferma e custodia nell’ amore, anzi una promessa diulteriore più profonda rivelazione e manife-stazione dell’amore giàelargito. La figura del Discepolo Amato ci dà la forma compiuta del disce-

polo credente, caratterizzata da un processo di scambio, di circolaritàdell’amore, dall’ evento di una comunicazione progressiva, di inces-sante e sempre fresca rivela-zione. Nel dinamismo della fede - con-trariamente ad un certo modo di pensare fondamentalmente ancoraoggettivistico - l’ultima parola non è antropologica (la nostra rispostaalla rivelazione del Signore che si è rivelato). Certamente: Dio parla,e poi tocca all’uomo rispondere. Ma tutto non finisce affatto con la ri-sposta dell’uomo, poiché a questa il Signore contraccambia con nuovarivelazione, o meglio con un’intelligenza ulteriore e più penetrante delsuo mistero. Solo in questo dinamismo circolare la fede è davvero vi-va, e non fa del suo oggetto un “dato” scontato, bensì una presenzasempre in atto di rivelarsi. Decisiva resta così l’iniziativa divina, nonsolo all’inizio, ma lungo tutto il percorso dell’espe-rienza di fede, di ri-sposta in risposta in una dinamica di sempre nuova circolarità, poi-ché nei confronti di chiunque cre-de all’amore di Dio manifestato inGesù, viene prevista una nuova manifestazione di Lui e del Padre. Inquesto senso il Discepolo Amato sta immerso “nella sfera dell’agape”(F.M.Braun), ovvero in quella sfera di corrispondenza reciproca e in-cessante di rivelazione e fede, promessa da Gesù a tutti i credenti(“chi mi ama” - ovvero “chiunque mi ama” - “sarà amato dal Padremio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” 14,21).

Possiamo verificare questa lettura osservando come in diversi epi-sodi del vangelo il Discepolo Amato anticipa paradigmaticamente que-sta condizione discepolare destinataria di nuova manifestazione pro-messa da Gesù a quanti ve-ramente lo amano: a. quando, ricevendo la rivelazione del traditore, per primo vede la

gloria dell’amore che accetta e affronta il tradimento (13,21-30.31-35),

b. quando sotto la croce per rivelazione di Gesù scopre nella Madresua la propria madre, e nella propria condizione di discepolo unanuova familiarità filiale con lei e fraterna con Gesù (19,25-27: “Ec-

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co tuo Figlio “...Ecco tua Madre!”. Accogliendo Maria come propriamadre il Discepolo amato viene introdotto in una nuova piùprofonda comunione con il Maestro: la fraternità con Gesù,che an-ticipa quella fraternità ecclesiale con cui Gesù vorrà gratificaretutti i discepoli all’indomani della sua risurrezione (“va’ dai miefratelli e dì loro...” 20,17);

c. quando questi, saprà per primo riconoscere i segni dell’avvenutarisurrezione di Gesù nelle enigmatiche tracce del sepolcro vuoto,quando, entrato dopo Pietro, “vide e credette” (20,8);

d. quando infine sul lago di Tiberiade (21,7) per primo coglierà efarà cogliere la terza manifestazione del Signore risor-to. In tutta la sua vicenda “il discepolo che Gesù amava” emerge al-

lora come il destinatario di una ripetuta e pro-gressiva manifestazio-ne pasquale che prefigura la rivelazione piena promessa a tutti i fu-turi discepoli 66. Il suo epiteto davvero prefigura il dramma successi-vo. Il suo segreto sta quindi più nella storia ulteriore dei suoi rap-porti pasquali con Gesù che non in quella precedente lungo la suamissione terrena. Così se il Quarto Vangelo non ci dice perché Gesùamasse questo discepolo (ma ce lo lascia intuire), ci mostra però inmodo assai efficace come questo suo amore abbia garantito a lui perprimo la sua ulteriore e più profonda rivelazione promessa a tutti idiscepoli.

Non è tuttavia il Quarto Vangelo ad inventare questa logica dicircolarità. Essa è già ben nota all’Antico Testa-mento, dove si ripeteinsistentemente che il Signore custodisce i suoi fedeli, e benedice chisi mantiene leale alla sua al-leanza, praticando la giustizia, corri-spondendo con tutte le forze alla sua volontà. Ma - più che nella lo-gica dell’alleanza - siamo probabilmente in quella della Sapienza chesi rivela ai suoi discepoli promettendo la stessa circolarità di amore :“Io amo coloro che mi amano” - proclama la Sapienza in persona in

66. Il verbo che in Gv 14,21 della rivelazione promessa ai discepoli che ameranno Ge-sù è ejmfanivzw (in tutto il vangelo solo in questo contesto; cfr anche 14,22).Nell’ Antico Testamento ricorre significativamente a proposito della rivelazioneche Mosè chiede a Dio della sua gloria ( Es 33,13.18), e che Dio concede a quan-ti non diffidano di lui (Sap 1,2). In At 10,40 una costruzione come “farsi manife-sto” (ejmfanh’ genevsqai) è usata a proposito delle apparizioni del risorto agliapostoli. Rispetto ad Atti degli A-postoli, Giovanni allarga il concetto, non limi-tandolo alle apparizioni, ma intendendo anzitutto la piena rivelazione di Gesù edel Pa-dre in quanto amano il credente che ama Gesù , e prendono dimora in lui(cfr. in merito TWNT IX,8 = GLNT XIV,848-849). Il verbo quindi abbraccia la ma-nifestazione ulteriore di Dio ai fedeli , tipica della fede di tutti i tempi, e non li-mitata all’esperienza dei testimoni della prima generazione, che tuttavia sono co-me il modello esemplare e la garanzia di tale esperienza universale.

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Prov 8,17(LXX) - “e coloro che mi cercano mi troveranno!”. A questomodello 67 Giovanni sembra essere stato particolarmente attento perdescrivere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli fin dal primo incon-tro con loro (1,35-51), caratterizzato dal dinamismo del cercare-trova-re(incontrare). Il Discepolo Amato è quindi il vero amico di Gesù ilquale - come Parola e Sapienza di Dio - gra-tifica di nuova rivelazio-ne, riconoscendolo un discepolo che, sapendo contraccambiare la rive-lazione dell’amore con il suo stesso linguaggio, ne viene sempre piùprofondamente iniziato.

Davvero vale per lui quel principio narrativo per cui nei racconti(biblici e non) lo stesso nome del personag-gio, o l’epiteto con cui vie-ne presentato prefigura tutto il dramma (M. STERNBERGER), pre-contenendo tutta la vicenda ulteriore che ne è come l’esplicitazione.Ma quella del Discepolo Amato è vicenda che precontiene quella ditutti i di-scepoli futuri discepoli, per i quali diventa una sorta di mo-dello esemplare. L’anonimato di questo personaggio (così ge-losamen-te mantenuto) è allora di grande aiuto per il lettore, per potersi iden-tificare più facilmente nella sua figura, de-stinata a diventare anchela sua. Restandosene un po’ più in ombra, diventa uno spazio più ac-cogliente per noi lettori, e può meglio illuminarci.

67. Che ha radici molto antiche, risalenti alla cultura egiziana Cfr. i testi citati daM.GILBERT in J.-N. ALETTI - M.GILBERT, J.N.ALETTI - M. GILBERT, La Sa-pienza e Gesù Cristo (Bibbia oggi) ed. Gribaudi.

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Dimensione laicale dei ministerinelle comunità Paoline

Antonio Pitta*

Ci soffermiamo sulla dimensione laicale dei ministri nelle letterepaoline. Il brano che abbiamo ascoltato durante il momento di pre-ghiera è tratto dalla Lettera ai Romani (cap. 12): una pericope chefunge da ponte tra due momenti della teologia dei ministeri nelle let-tere di Paolo, più esattamente tra il primo testo, 1 Cor 12, e il ter-zo, rappresentato da Ef 4.

In 1 Cor 12 per evitare nella comunità di Corinto situazioni di ar-rivismo e di tensione tra coloro i quali aspiravano ai carismi più al-ti – come la glossolalia, cioè il parlare le lingue – e coloro che si sen-tivano totalmente inadeguati o inadatti a qualsivoglia ministero, Pao-lo compone una pagina molto bella sui ministeri, elencandone diversie utilizzando, per la prima volta, quella che è più che una metafora:la categoria del corpo, su cui tornerò perché si trova proprio nel no-stro testo. Il secondo testo è proprio Rom, 12, quello che abbiamoascoltato ma con una differenza fondamentale: mentre in 1 Cor 12traspare la tensione tra i migliori e i peggiori o tra quelli che si ri-tengono deboli o forti nella comunità, in Romani la tensione manca.Lo stesso elenco dei ministeri è segnato dalla quotidianità e dalla lo-ro umanità, non v’è nulla di eccezionale. Il terzo testo è, invece, diuna teologia elevatissima in cui non è più lo Spirito che offre i di-versi carismi ai credenti, i ministeri e le attuazioni, né soltanto Dioma Cristo che, come capo della Chiesa, la irrora con vari carismi eministeri. Per cui si parla di unità. Ricordate quel testo stupendo del-la lettera agli Efesini in cui si parla di un solo corpo, di un solo bat-

* Docente di Esegesi Biblica presso la Pontificia Università Lateranense di Roma.Relazione tenuta alla Settimana biblica diocesana, Andria, 16 marzo 2011

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tesimo, di una sola fede, di un solo Signore e di un solo Dio da cuitutto ha origine ed è presente in tutti. Quindi a ognuno ha dato unadiversità di doni: gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i pastori e idottori.

Chiarito il contesto, cerchiamo di cogliere, a partire dalla temati-ca che mi è stata chiesta, la dimensione laicale del ministero. Per unostudioso delle lettere di Paolo il termine laicale dovrebbe essere inu-tile perché tutti i ministeri, nelle sue lettere, sono laicali. Chiunquepuò notare che S. Paolo, quando presenta i ministeri nella Chiesa enella comunità cristiana, non presenta mai ministeri che non sianolaicali e che non riguardano il credente.

Diremmo che sono ministeri che hanno a che fare con ogni perso-na che è inserita in Cristo mediante la fede e con il battesimo. Nonc’è nessuna preclusione, né esclusione. Questo non significa che tuttisaranno apostoli, dottori o profeti ma che lo Spirito offre a tutti di-versità di carismi e ministeri. Pertanto tutti i ministeri nelle comu-nità paoline non sono se non laicali. Con questo non vogliamo asso-lutamente escludere tutto ciò che poi sarà nel cammino dei Vangeli edel Nuovo Testamento e nella storia della Chiesa, quindi del sacer-dozio ministeriale. Sia ben chiaro! Questi ben s’inserisce nel sacerdo-zio comune e non può esistere se non a partire da quest’ultimo. Nonvi può essere una realtà di ministero presbiterale o episcopale se nonall’interno della Chiesa come corpo, in cui ognuno già riceve dei cari-smi in quanto battezzato.

Questo aspetto è molto importante e lo vediamo anzitutto dal ver-sante storico e sociologico delle comunità cristiane nel Nuovo Testa-mento. Ciò che intendo evidenziare è che le comunità paoline sono co-munità familiari: sono comunità prettamente familiari. Non vi sonocomunità in cui si prescinde dalla famiglia; questa rappresenta sem-pre il bacino della Chiesa, anzi, non è pensabile la Chiesa senza lafamiglia. C’è un’espressione bellissima, da questo versante, proprionella lettera ai Romani, al capitolo 16: e che tornerà in prima Corinzie altrove “La Chiesa che si raduna in casa di…” Aquila e Priscilla,Giunia e Andronico, Stefana…: tutte le persone che, all’inizio del cri-stianesimo hanno offerto la loro casa come luogo d’incontro.

Per questo i ministeri non possono non essere se non laicali, per-ché il luogo del contesto ministeriale non è il tempio! Vedremo come,nei ministeri elencati da Paolo, non c’è n’è uno sacerdotale o cultua-le. Questo dato ci meraviglia, ma non più di tanto perché il contestofondamentale in cui i ministeri si sono espressi è quello della domus,ossia la casa. Ed è proprio in tale contesto che sorgeranno quei mi-nisteri che poi chiameremo “ordinati”. Agli episcopi, ai diaconi e aipresbiteri verrà chiesto anzitutto di essere capaci di guidare la pro-

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pria casa, perché se non saranno capaci di governare la propria fa-miglia come faranno a governare la chiesa? Dunque, è questo il se-condo tratto, che è di grande attualità: la Chiesa che non può pre-scindere dalla famiglia, ma non perché deve difendere a tutti i costila famiglia istituzionale. La Chiesa deve sempre partire dalla fami-glia, come destinatario e come soggetto pastorale, perché è nata nel-la famiglia. Basti vedere gli Atti degli Apostoli, dove quest’aspetto èsottolineato in svariati modi. Questo testo di storia primitiva del cri-stianesimo inizia in una casa per terminare in una casa: nel capito-lo primo, dove si dice che tutti sono riuniti, dopo l’Ascensione in unacasa; al capitolo 28 ritroviamo Paolo in una casa – prigione. Dunquequesto secondo tratto ci fa comprendere che la chiesa dovrebbe – e senon lo è tradisce se stessa – essere una famiglia, in cui le relazionisono molto intessute e molto legate.

Passiamo al terzo momento: che cosa avviene quando la Chiesa sipensa come famiglia? Avviene che la Chiesa deve considerarsi comecorpo. Tutti i ministeri sono laicali perché ogni persona è membro delcorpo di Cristo che è la Chiesa. Sia in 1 Cor, 12 sia nelle lettere aiRomani, agli Efesini e ai Colossesi Paolo sottolinea sempre questoaspetto fondamentale della comunità ecclesiale: tutti i ministeri si in-seriscono in una Chiesa che non solo è famiglia, ma è corpo, di cuiognuno è parte viva. I ministeri che devono essere valorizzati nellaChiesa saranno tali soltanto quando in essa ci si sente corpo, mem-bra vive gli uni e degli altri. Questo significa che, in questa realtà di“Chiesa come corpo”, bisogna pensarsi in relazione costante rispettoagli altri. Abbiamo profeti, dottori, apostoli, maestri, governanti, con-solatori… avremo tutti questi ministeri soltanto quando sappiamo cre-scere come corpo, camminare come corpo.

Qui Paolo, di per sé, non è originale. La categoria “Corpo” è giàpresente nel Nuovo Testamento, come in Tito Livio o in filosofi comePlatone, Aristotele, Seneca.

Si tratta di una categoria molto diffusa. Quindi Paolo, apparente-mente, ci dice una cosa vecchia e nuova al contempo, alla luce dellaquale capiamo che la dimensione laicale del ministero non è un op-zionale, una concessione, ma è un’urgenza e una necessità.

In pratica, mentre altrove si parte dalla diversità delle membra,di origine, di cultura, di sessualità, dalla diversità culturale, per poi,infine, giungere alla unità, nella Chiesa si parte dall’unità per espri-mersi nella diversità.

Paolo lo dirà in maniera molto bella nella lettera agli Efesini: par-tire dall’uno, dall’unità. L’unità è l’aspetto più caratterizzante dellaChiesa. Direi, addirittura, l’unicità, l’unicità della fede in Cristo. Edè l’unicità della fede in Cristo che si esprime nella diversità. Vi sono

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una diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito. V’è una moltepli-cità di ministeri, ma uno solo è il Signore Gesù Cristo. Diversità diattuazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti.

Inoltre mentre nel corpo umano, e in qualsiasi altra tipologia dicorpo, soltanto le parti centrali determinano ripercussioni su tutte lealtre membra, mentre quelle periferiche no e dipendono fortemente efondamentalmente da essa. Paolo, invece, in 1 Cor 12 ci dice che nel-la chiesa avviene qualcosa di diverso, di misterioso: se un membrosoffre tutte le membra soffrono. Se un membro gioisce, tutte le mem-bra gioiscono.

Da un punto di vista anatomico tutto ciò non è vero, per fortuna;ma dal punto di vista ecclesiale, che noi lo vogliamo o meno, questoavviene, per cui la sofferenza di una parte, anche di un unghia, è sof-ferenza di tutto il corpo. Così come la gioia di una parte è gioia ditutto il corpo. Non è pensabile una relazione che possa prescindere dauna minima parte. Per questo Paolo ci dice che le parti più deboliDio ha scelto di curarle maggiormente. Egli se ne prende cura mag-giormente!

La terza notevole differenza sta nel fatto che la Chiesa come cor-po è irrorata dallo Spirito, che la potenzia e l’alimenta costantemen-te. Lo Spirito ne è la linfa vitale, il respiro. Per questo il soggettoprincipale dei ministeri è lo Spirito. Non è la Chiesa, bensì lo Spiri-to: da lui che nascono i carismi. Quando poi questi diventano mini-steri allora poi è necessaria la Chiesa.

Lo Spirito è libero di dare a chi vuole i carismi che desidera egrazie alla sua grande libertà e alla sua creatività, si vede esploderenella Chiesa una serie di carismi impensabili! Paolo, nella prima let-tera ai Tessalonicesi esorta a “Non spegnete lo Spirito”, perché i ca-rismi nascono dallo Spirito e ono doni dello Spirito.

Passiamo al quarto momento della riflessione: “Come può, ognunodi noi, imparare a scoprire qual è il suo ministero nella Chiesa. Co-me posso capire qual è il mio ministero, il mio ruolo laicale nellaChiesa? Quali sono le modalità? Me lo deve dire la Chiesa? Però sei carismi sono un dono dello Spirito, e non della Chiesa, vuol dire cheessa ha un altro ruolo.

La prima modalità per comprendere qual è il proprio ministeronella Chiesa è scoprire il proprio metro della fede, o la propria ana-logia della fede. Che cos’è il metro della fede? Che cos’è l’analogia del-la fede? Sono espressioni che sembrano strane a prima vista, ma chesono molto concrete. Il metro della fede è la capacità di misurarsi in-teriormente: la capacità che ognuno ha, la disponibilità che ognunopone nel conoscere la propria statura interiore.

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Corriamo due rischi: di pensarci superiori o inferiori agli altri. Lostesso Paolo lo dice: “Non valutatevi né troppo al di sopra né troppoal di sotto”. Quando una persona si valuta al di sopra degli altri av-viene che si è scontenti di ciò che si ha. Questo avviene quando nonsappiamo misurarci! Il rischio di considerarsi superiori e al di sopraagli altri è enorme!

Ma c’è anche un altro rischio. Ed è quello che Paolo sottolineamaggiormente per la comunità di Roma: sottovalutarsi, non conside-rarsi all’altezza e non pensarsi capaci di poter svolgere un ministeronella Chiesa.

Se ognuno è nella Chiesa questo vuol dire che ad ognuno è datauna manifestazione dello Spirito, per l’utilità della stessa. Dunque, èimportante non sopravvalutarsi, né sottovalutarsi ma cercare di capi-re la propria statura interiore, i propri limiti, la propria capacità direlazione con gli altri. E questo avviene solo nella Chiesa, non al difuori di essa!

Al di fuori della Chiesa posso al massimo conoscere me stesso.Però questo non basta! Per conoscere me stesso io, per analogia, de-vo rapportarmi alla comunità in cui devo operare. Devo capire qualeparte sono del corpo di Cristo che, come abbiamo visto e come bensappiamo, è la Chiesa. Capire il luogo in cui lo Spirito mi ha posto.Tutti, senza distinzione, abbiamo un ministero da svolgere, anche sela maggior parte dei credenti non è consapevole dei ministeri che èchiamata a svolgere nella Chiesa, perché non è aiutata o non è postanelle condizioni o perché c’è una forma di arrivismo verso i ministe-ri più eclatanti o ritenuti migliori, senza poi essere capaci di coglierela valenza e l’importanza dei ministeri della quotidianità, del giornoper giorno.

Ma perché esistono i ministeri laicali? Paolo lo dice bene sia in 1Corinzi come anche nella prima lettera ai Romani: per l’utilità. Èmolto interessante la traduzione del versetto seguente, 1Cor 12,7, per-ché, dopo il Vaticano II, la sua traduzione cambia la prospettiva mi-nisteriale all’interno della Chiesa. Nella prima Bibbia di Gerusalem-me, del 1974, era tradotto con l’espressione “utilità comune”. Ma ilverbo greco utilizzato, tradotto come si deve, significa, oltre che “uti-lità comune” anche “utilità personale”. Nel 1998 la nuova traduzionedella CEI ha preferito mettere, piuttosto che “per l’utilità comune”,“per il bene comune”. V’è una differenza notevole! Però la funzionedei ministeri è rivolta all’utilità! Finalmente si è andati a riscoprireil valore di quel verbo: “Per l’utilità, i ministeri sono dati nella Chie-sa a tutti e ad ognuno, nella varietà dei carismi, per l’utilità e nonper estetica. Per utilità personale e comune! Il primo destinatario diun ministero non è la Chiesa ma il soggetto che lo riceve! Avviene,

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non poche volte, che un carisma o ministero ricevuto sia capace di farcrescere di più la Chiesa che il singolo che lo ha ricevuto. Questa,però, è una disfunzione, una disfunzione terribile del corpo! È comese io ricevessi un dono senza valorizzarlo in alcun modo.

Il primo destinatario dei ministeri è il singolo all’interno della co-munità! San Girolamo lo aveva ben capito che traduce semplicemen-te con “Ad utilitatem”: l’utilità è personale e di tutta la Chiesa. Eccoperché tutte le persone che compongono la comunità cristiana comecorpo hanno un carisma che deve diventare ministero per l’utilità per-sonale e di tutti.

Adesso vediamo come questi ministeri si delineano, in quanto lai-cali, nelle comunità paoline. A prima vista, non abbiamo ministeri ca-ratterizzati dal culto, dal sacerdozio in queste comunità, anche perchi aspira all’episcopato! Per tutti i ministeri: apostoli, profeti, dotto-ri, pastori, guaritori, assistenza, governo, lingue – così in 1 Cor - ,profezia, ministero, insegnamento, esortazione (o consolazione, cioè ilministero del farsi prossimo), in Romani. Siamo passati dai ministeripiù eclatanti e più normali a quelli più quotidiani in quest’ultima let-tera. Spesso pensiamo che non sia un ministero il farsi prossimodell’altro e consolarlo o compiere un’opera di misericordia oppureesortare l’altro. Lo stesso dedicarsi all’insegnamento è ritenuto un la-voro. No, questi sono veri e propri ministeri!

Ecco cosa intende Paolo con la dimensione laicale del ministero.Queste liste hanno tre orizzonti di relazione: il primo è la Parola diDio. Per Paolo gli apostoli non sono soltanto i Dodici. Questi si di-stinguono, ciò non va negato, ma apostoli sono tutti coloro che hannoun messaggio da dare, un’evangelizzazione da portare nella famigliae nella Chiesa; chiunque è apostolo. In Romani capitolo 16 Paolo cidice che una coppia di credenti è fatta di apostoli e che essi sono apo-stoli prima di lui: Giunia e Andronico – è interessante notare comein Padri della Chiesa hanno avuto problemi con la figura di Giunia.Essi pensavano che Giunia fosse il diminutivo di Giunianus, Giunia-no, ma, nel mondo antico non esiste alcuna epigrafe riportante talenome. Esiste soltanto Giunia, che è un nome di donna. Giunia è unadonna apostolo! Dunque, questi ministeri sono prevalentemente carat-terizzati dall’orizzonte della Parola di Dio. È questa che suscita apo-stoli, maestri, evangelizzatori, persone che sanno trasmettere la fede.

Il secondo orizzonte è quello della carità nella Chiesa: l’assisten-za, la consolazione, la misericordia l’esortazione…tutto questo è mini-stero!

Infine: il governo. Questo orizzonte viene appena accennato daPaolo. Per questo si parla di coloro che governano, che presiedonol’assemblea, definiti nella Lettera agli Efesini come pastori.

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Evitiamo di fare sociologizzazioni della Chiesa. Quando diciamoche tutti abbiamo dei carismi, quindi dei ministeri da svolgere nellaChiesa, non intendiamo fare un socialismo delle comunità del I seco-lo.

Ma con questi carismi e ministeri, come facciamo ad evitare i ri-schi che Paolo individua nella comunità cristiana? I rischi fondamen-tali sono questi: arrivismo e disfattismo. Nel primo caso troviamo unacomunità monopolizzata da pochi: per esempio il prete, attorniato dapochi collaboratori… e il resto rimane fuori. Il secondo rischio sta nelconsiderasi superiori o inferiori agli altri. Come facciamo ad evitarequesti rischi? Sia in Romani sia in prima Corinzi Paolo ci da un va-lido criterio, il quale deve aggiungersi a quanto detto poc’anzi circa lamisura interiore di ognuno di noi.

In 1 Cor Paolo lo chiama l’odòs, la via, mentre in Romani - uti-lizzando una immagine molto bella, cioè quella dell’edera che si at-tacca al muro senza staccarsi mai – lo chiama l’agape, l’amore, il cri-terio che deve guidarci tutti, presbiteri e laici in quanto credenti.Senza di esso non saremmo nulla.

L’amore, qualcosa che diviene col tempo superiore alla fede e allasperanza, poiché queste due categorie appartengono all’orizzonte deltempo e del mondo, l’amore va al di la di tutto.

Di quest’ultimo criterio sembra che noi ce ne siamo dimenticati.Dappertutto, dai seminari agli istituti di formazione, dalle famiglie al-le scuole alle parrocchie, nella formazione matrimoniale, nella forma-zione dei sacramenti, di tutto parliamo al di fuori che dell’amore.

Allora come farò a capire chi sono e quindi qual è il mio ruolonella Chiesa, il mio ministero se mi manca questa cartina di torna-sole. Di fronte ad essa io devo essere capace di capire che se non rie-sco a perdonare, se non sono abile a sopportare è chiaro che non saròcapace di governare la mia famiglia.

Concludo invitando a porre domande e cercando di mostrare ilrapporto tra ministeri, carismi e la loro attuazione, così da avere unquadro chiaro di ciò che questa sera abbiamo detto. Che ce ne accor-giamo o meno, tutti riceviamo dei carismi dallo Spirito. Il soggettoprincipale è sempre lo Spirito. La Chiesa, la comunità non è la ge-rarchia! Non confondete la Chiesa con la gerarchia – la Chiesa, di cuila gerarchia fa parte, ha il compito di rendere questi carismi mini-steri, di trasformarli in ministeri.

Di fronte alla potente azione dello Spirito la Chiesa ha questaenorme responsabilità. Infine, la comunità concreta: la parrocchia di…la casa di… la famiglia di… diventano luoghi in cui i ministeri si tra-sformano in attuazioni all’interno della Chiesa.

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Allora, che rapporto c’è tra i carismi che tutti noi abbiamo, ognu-no diverso dall’altro, e questa capacità di trasformarli in ministero?La risposta sta nell’attività pastorale. I pastori devono aiutarci a far-ci capire come i carismi possono trasformarsi in ministeri. E qualespazio dare ai ministeri nelle comunità, affinché questi non diventiuna mera etichetta?

Non dipende dall’inventiva di un parroco o dell’altro, non sono unaconcessione della gerarchia al laicato i ministeri, ma sono un dirittonaturale, addirittura una necessità!

Infine, badiamo che nessun ministero è dato per estetica o perbellezza. Lo Spirito li fa sorgere affinché siano utili. Non li fa sorge-re affinché qualcuno dica che è migliore di un altro o più capace. Lifa sorgere per l’utilità, mai per semplice estetica. Non è la bellezzache determina un ministero, ma l’utilità ovvero il fatto che sono unaforma di servizio. I vari ministeri quanto più sono capaci di esprime-re la loro funzione di servizio verso il prossimo, tanto più esprimonola bellezza della Chiesa. Affido alla vostra attenzione una riflessioneche una delle più grandi mistiche, Teresina del Bambin Gesù, s’è po-sta di fronte a queste pagine. Nella sua “notte oscura” – così come èstata definita dai suoi biografi – Teresina si chiede: “Sono molti isanti che si chiedono: chi sono nella Chiesa? Qual è il mio ruolo nel-la Chiesa?”. Questa è una domanda molto importante, che prima opoi tutti noi dobbiamo porci, poiché il quesito ci fa capire che noi nonstiamo “di fronte” alla Chiesa, ma in essa, che facciamo parte del suocorpo.

Alla fine della ricerca Santa Teresina comprende: “Della Chiesa iosarò il cuore, perché senza questo cuore i profeti non potrebbero evan-gelizzare, i missionari non potrebbero donare la loro vita e non ci sa-rebbe nessun missione e nessun servizio nella carità. Nella Chiesa iosarò l’amore”. Ciò è illuminante, poiché ci fa ben comprendere comeindividuare il nostro metro interiore, a come rispondere alla doman-da che s’è posta Teresina del Bambin Gesù. È affrontare e risponde-re a questa domanda è un’esigenza quanto mai urgente e attuale.

Domande

Anna Maria Di Leo: Lei non pensa che per noi laici il primo mi-nistero da assumere è quello di stare dentro la storia, nella realtà ter-rena, da persone competenti che, insieme con gli altri, annunciano efanno crescere il Regno lì, dove il Signore ci ha posti? A mio avviso,questo è il primo ministero specifico dei laici! Poi nella Chiesa vi so-no tanti altri ministeri da svolgere ma guai se venisse meno questo!

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Don Sabino: Qual è il rapporto tra i carismi e la liturgia, vistoche, come si dice, essa è la manifestazione piena della Chiesa?

Don Peppino: Come mai nelle lettere paoline si insiste molto suministeri quali quello episcopale, quello presbiterale e quello diacona-le e come mai non è stata mai colta questa dimensione laicale dagliautori nelle lettere pastorali?.

Risposta del professor Pitta Il primo compito dei laici è stare nella storia, nella realtà laicale

e politica del mondo contemporaneo. Su questo non c’è dubbio. Maguai - attenzione, è questo è stato il più grande errore commesso, so-prattutto per quanto riguarda la formazione dei laici in fatto di poli-tica contemporanea – se viene a mancare loro un contesto ecclesialesolido. I grandi laici italiani del passato impegnati nella politica, co-me G. Lazzati e A. Moro, erano persone che vivevano in comunità cri-stiane.

Noi abbiamo pensato che formare i laici nella politica significa tro-vare un cristiano che la domenica viene a messa e dirgli semplice-mente: candidati in un partito!

La formazione laicale deve avvenire dentro la Chiesa, perché èquesta poi che permette di sostenere un’etica politica degna e senzacompromessi.

Invece questo non c’è, per cui è verissimo che è necessario un im-pegno laicale nella realtà secolare. È prioritario appunto perché pro-viene dalla Chiesa, dalla comunità in cui si è operato.

Per quanto concerne la questione del rapporto tra Liturgia e cari-smi rimando a 1Cor 14 in cui Paolo sottolinea che l’assemblea litur-gica deve essere caratterizzata non dal disordine e dalla confusione,ma dalla capacità di esprimere la Chiesa come corpo. Questo avvienenella Liturgia. In essa la Chiesa si manifesta come corpo perché sinutre del corpo di Cristo e si esprime come corpo. E come in un cor-po – nel mio corpo – tutte le parti sono funzionali e sono ordinate,così avviene nell’assemblea. Per cui è sbagliato, da una parte, far ri-saltare una sola parte del corpo durante la Liturgia, come il capo, peresempio, delegando al solo sacerdote ogni funzione. Dall’altra parte citroviamo innanzi ad assemblee liturgiche ove ognuno fa ciò che vuo-le. La liturgia deve esprimere la “Sinfonia della Chiesa”. Paolo, nelversetto citato e solo in esso, attraverso una metafore molto bella,parla di sinfonia di strumenti.

Come mai “episcopi, presbiteri e diaconi” nelle lettere pastorali...come nascono? Dunque – attenzione a quanto sto per dire – episcopi,diaconi e presbiteri non nascono con le pastorali. In Filippesi 1,1bPaolo saluta i cristiani di Filippi con gli episcopi e i diaconi. Che co-

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sa è avvenuto con questa definizione di episcopi e diaconi? Innanzi-tutto nelle lettere pastorali non vi sono solo episcopi e diaconi: ci so-no vedove, ragazze giovani, anziani, diaconi e diaconesse – la figuradi quest’ultima è confermata altrove, basti vedere la diaconessa di Co-rinto, citata in Rm 16,1.

Questi ministeri non li ha inventati la tradizione paolina, faccia-mo attenzione, ma nascono dal sedimentarsi della Chiesa nella co-munità domestica. Ho detto poc’anzi che il criterio fondamentale, perdiaconi, episcopi e presbiteri è sempre la casa, la famiglia, la cui con-dizione di governo è anche quella fondamentale per governare laChiesa. Il fatto che i diaconi e gli episkopi delle prime comunità sia-no sposati, una sola volta, e che sappiano educare i figli è determi-nante.

Questo ci fa capire che non sono gli stessi preti, vescovi e diaco-ni di oggi, perché attualmente abbiamo un codice differente. Ma cosaresta pur nella diversità? Semplice: la dimensione umana e familiareche deve caratterizzare gli episcopi di allora e i vescovi di oggi, i pre-sbiteri di allora e i preti di oggi, i diaconi di allora e i diaconi di og-gi, cioè essere nella condizione non tanto di sposarsi o meno ma dinon essere considerati dei vitelloni singoli, di essere persone che den-tro hanno un carisma che li permette di gestire una famiglia. Senzadi questo non si è nelle condizioni di governare una comunità. Il pre-te, il pastore, il parroco non è un single. Egli è il padre di una fa-miglia, un genitore.

“La casa è il mio corpo”. Questa è la motivazione di questo svi-luppo categoriale nelle lettere pastorali di Paolo. Ma mi raccomandoa non considerarle esclusive in quanto si differenziano in sacerdozioministeriale e sacerdozio comune. Entrambe si fondano su di un’altradimensione, quella riportata da Paolo in Rom, 12, per la misericordiadi Dio offrite i vostri corpi come sacrificio santo e gradito a Dio. Que-sto è il culto! Per questo non ci sono ministeri cultuali o templari! Ilprimo culto è il nostro corpo. Questo è il sacerdozio comune. Ed è sudi esso che si innesta per poi divenire sacerdozio ministeriale e sen-za il quale non è pensabile né concepibile!

Nessun prete è di fronte alla Chiesa – attenzione alla traduzionedella Pastores dabo vobis. Il testo originale non dice che il prete è difronte alla Chiesa, bensì ergam ecclesiam, “a favore della Chiesa”. Ètutta un’altra cosa. Dietro di me, prete, non c’è il vuoto, non possogestire la Chiesa come voglio, C’è la Chiesa come corpo. Quindi fac-ciamo attenzione a non intendere quei ministeri in maniera staccatada tutta la dimensione laicale dei ministeri.

Anna: Quale spazio ha oggi l’agape nella comunità Cristiana?

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Angela Moschetta: In 1 Cor, 12 Paolo dice che c’è un conferi-mento di onori maggiori alle membra del corpo che sembrano esserele più deboli. Questo come si realizza oggi nella Chiesa?

Giuseppe: Lei ha detto che è indispensabile calcolare la propriastatura interiore. Ci dice come si fa, se ci sono degli strumenti con-creti che può suggerirci?

Don Pitta: Quale spazio ha oggi l’agape nella comunità Cristia-na? In una realtà sociale così frenetica complessa e difficile da gesti-re? Direi che quel testo (1 Cor 12 – 13, ma anche in Romani) sotto-linea una dimensione imprescindibile dell’agape, che va coltivata: ladimensione della gratuità. Del donare senza ricevere nulla in cambio.Questo è uno dei segreti più importanti della vita cristiana. Perchél’Agape non si differenzia dall’eros o dalla filia (cioè dall’amicizia). Liporta entrambe in sé e li potenzia con la capacità di donarsi, di faredella propria vita il dono di sé.

In quel testo di letteratura universale che è appunto 1 Cor, 13Paolo non ci parla del soggetto e del destinatario dell’amore madell’amore come persona. E qual è l’elemento che accomuna tutto l’elo-gio dell’amore? Proprio questa gratuità senza fine, questo sopportaretutto, questo credere tutto, l’avere la capacità di guardare con spe-ranza. Credo che questa dimensione della gratuità, soprattutto in unasocietà così segnata dallo stress, dalla mancanza di tempo, sia quellada coltivare di più. Troviamoci dello spazio nella famiglia e nella co-munità, dove poter operare con la gratuità, senza che qualcuno deb-ba dirci grazie. Solo così potremo fare nostro questo testo e renderlovivo e concreto, altrimenti diventerebbe un puro mito.

Le membra più deboli: dove, nella Chiesa, oggi? Difficile rispon-dere a questa domanda. Credo che si trovino nelle realtà più perife-riche della Chiesa. Purtroppo siamo abituati a pensare la Chiesa condue distorsioni: o che s’identifica con la gerarchia o che s’identificacon il centro. Sono due errori, ma la Chiesa non è solo questo. Dob-biamo abbandonare questa visione, perché è fallimentare pensare chela Chiesa s’identifica solo con una parte di essa, fosse anche la piùimportante, cioè il capo. La Chiesa s’identifica anche nelle parti peri-feriche, ove si trovano parti estremamente deboli. E non si identificaneanche con il centro, perché tante volte lo Spirito, con enorme li-bertà, fa riconoscere la Chiesa non nel centro ma nelle periferie. Mo-stra “l’azione bella della Chiesa” non soltanto nella gerarchia, ma neipadri di famiglia, nelle coppie di sposi! Permettetemi di aggiungereche i primi apostoli, i primi evangelizzatori della Chiesa erano schia-vi e coppie cristiane. A Roma, a Pozzuoli il Cristianesimo non è sta-to portato da Pietro, né da Paolo bensì schiavi, famiglie, coppie! Ec-

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co la mia risposta alla domanda posta circa le membra più deboli: cisono dei luoghi non appariscenti della Chiesa in cui essa cresce e sisviluppa, dove è possibile vedere un’esplosione di carismi e di mini-steri! Posti dove non si vede una Chiesa, per usare una metafora, co-me un elefante che faticosamente cammina in una cristalleria!

Come identificare la propria statura interiore, Paolo ce lo dice:nella Chiesa, nella comunità, in quanto membra del corpo. Per cono-scere la nostra statura interiore il mondo greco-romano ci da questicriteri, che poi Paolo farà suoi, ai quali ne aggiungerà un altro. Il pri-mo è: conosci te stesso, comprenditi, cerca di capire quali sono le tuequalità, i tuoi difetti, le tue virtù e le tue potenzialità. Anche se nonè necessario essere cristiani per attuare questo principio, per noi ri-mane una cosa imprescindibile! È come se volessimo costruire un pa-lazzo senza gettare solide fondamenta! Il secondo criterio, anche que-sto molto importante; nella comunità – così com’è e non come la vor-rei – nella quale si è posti bisogna misurare la propria fede! Il terzocriterio che Paolo offre ai suoi credenti si trova anche in Seneca, co-mune al suo pensiero. “Scegli – dice il filosofo in una Lettera a Lu-cillo – una persona che tu possa imitare perché possa sentirne i pen-sieri, le parole, le opere e possa imparare a diventare uomo perfetto,uomo sapiente”. Paolo, nell’intimità delle sue comunità, sottolineaspesso: “Fatevi miei imitatori”. E lo dice a persone che conosce bene.Imitare l’altro è una delle funzioni più naturali dell’uomo. Questi cri-teri offrono la giusta misura di se stessi, la comprensione della pro-pria proporzione.

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La parabola degli operai mandati nella Vigna (Mt 20,1-16):una salvezza per i primi e una salvezza per gli ultimi1

Santi Grasso*

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1. Articolazione del testo

Le parabole del padrone e degli operai, del padre e dei due figli(Mt 21,28-32) e quella dei contadini ribelli (Mt 22,33-41) costituisco-no una trilogia che ha come tematica fondamentale la vigna.

Il racconto degli operai mandati a lavorare dal padrone nella suavigna è inquadrato da un duplice ritornello ripetuto all’inizio e allafine del testo, ma costruito in maniera incrociata: «Molti dei primi sa-ranno ultimi…» (v. 30)/ «Gli ultimi saranno i primi…» (v. 16). Queste

* Docente di Esegesi Biblica presso la facoltà Teologica del Triveneto di Padova.Re-lazione tenuta alla Settimana biblica diocesana, Andria, 17 marzo 2011.

1. I. BROER, Die Gleichnisexegese und die neuere Literaturwissenschaft. Ein Diskus-sionsbeitrag zur Exegese von Mt 20,1-16, BibNot 5 (1978) pp. 13-27; I.R. CÓBRE-CES, «Los obreros de la viÀa». Elementos midráschicos en la parábola de Mt 20,1-16, Stud 30 (1990) pp. 485-505; J.D.M. DERRETT , Workers in the Wineyard. A Pa-rable of Jesus, in: Studies in the New Testament, Leiden 1977, pp. 48-75; C. DIETZ-FELBINGER, Das Gleichnis von den Arbeitern im Weinberg als Jesuswort, EvT 43(1983) pp. 126-37; A. FEUILLET, Les ouvriers envoyés à la vigne. (Mt XX, 1-16),RThom 79 (1979) pp. 5-24; J.-C. GIROUD – L. PANIER, La parabole des ouvriersde la vigne (Matthieu 20,1-15), CahÉv 59 (1987) pp. 9-25 ; F.C. GLOVER, Workersfor the Vineyard, ExpTim 86 (1974-75) pp. 310-11; W. HAUBECK, Zum Verständ-nis der Parabel von den Arbeitern im Weinberg (Mt 20,1-15), in: W. HAUBECK –M. BACHMANN (hrsg.), Wort in der Zeit, (Fs. K.H. Rengstorf), Leiden 1980, pp.95-107; D.A. NELSON, Matthew 20:1-16, Int 29 (1975 pp. 288-92; D. PATTE, Brin-ging Out of the Gospel-Treasure What is New and What is Old: Two Parables inMatthew 18,23, QR 10 (1990) pp. 93-108; F. SCHNIDER, Von der Gerechtigkeit Got-tes. Beobachtungen zum Gleichnis von den Arbeitern im Weinberg (Mt 20,1-16), Kair23 (1981) pp. 88-95; L. SCHENKE, Die Interpretation der Parabel von den «Arbei-tern im Weinberg» (Mt 20,1-15) durch Matthäus, in: Id. (ed.), Studien zum Matthäu-sevangelium, (Fs. W. Pesch), (SBS), Stuttgart, 1988, pp. 245-68.

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due frasi a forma di slogan, la cui terminologia «primo» e «ultimo»viene ripresa all’interno della parabola nella direttiva del padrone sulpagamento agli operai, costituiscono il motivo guida del racconto (cfr.v. 8.10.12.14).

La vicenda si svolge in due fasi che coprono tutta la giornata esono introdotte da due espressioni temporali: «all’alba» (v. 1), «venu-ta la sera» (v. 8). La prima parte (vv. 1-7) è ritmata da cinque usci-te del padrone che, coprendo l’intero arco della giornata, corrispondo-no a cinque scaglioni di operi assunti; all’alba (v. 1), alle nove (v. 3),alle dodici, alle quindici (v. 5) e alle diciassette (v. 6). Unicamentenella prima chiamata viene concordato il salario (v. 2) e soltanto congli operai dell’ultima ora è riportato un breve dialogo con il padrone,senza far parola di un eventuale compenso (vv. 6-7).

Il calare della sera introduce la seconda fase (vv. 8-15) la quale,incentrata sul pagamento degli operai incominciando dagli «ultimi» fi-no ai «primi», si conclude con una discussione tra i lavoratori convo-cati all’alba e il padrone che ha l’ultima parola. Il padrone incaricadel pagamento il fattore e stabilisce anche l’ordine con cui gli operaidevono essere retribuiti (v. 8). Viene menzionato soltanto il paga-mento degli ultimi (v. 9) e dei primi che, vedendosi trattati allo stes-so modo degli ultimi (v. 10), iniziano a protestare (vv. 11-12) provo-cando la risposta del padrone (vv. 13-15). Essa che è costruita me-diante tre interrogativi, si basa su due argomentazioni: gli operai del-la prima ora sono stati pagati secondo l’accordo stipulato; il padroneha diritto di fare del proprio denaro l’uso che vuole.

2. Interpretazione del testo

La duplice sentenza che fa da cornice superiore e inferiore alla pa-rabola degli operai inviati nella vigna è una parola di avvertimentoper «i primi» e di consolazione per «gli ultimi» (Mt 20,16). L’afferma-zione costruita su un parallelismo antitetico, può avere diverse appli-cazioni basti pensare a quelle che derivano dai diversi contesti evan-gelici. Se nel vangeli di Marco, il detto si trova nello stessa colloca-zione di Matteo (Mc 10,31), in Luca invece è posto a conclusione dialcune parole di Gesù sulla salvezza (Lc 13,30). Per capire il signifi-cato di questa frase di carattere proverbiale, che annuncia un capo-volgimento degli assetti umani si deve tener conto del messaggio delracconto parabolico.

Soltanto il primo vangelo, tra i sinottici, riporta la parabola delpadrone che invia gli operai nella vigna. La parabola introdotta dal-la particella gar assume il valore di spiegazione o motivazione dellafrase precedente. L’autore di Matteo risulta un buon interprete dellatradizione profetica, dove il simbolo della vigna serve a descrivere la

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STUDI ED INTERVENTI

situazione del popolo che da una parte appartiene a Dio, e dall’altrane trasgredisce l’alleanza (Sal 80/79,9-17; Is 5,1-7; 7,23; 16,8; 27,2-5;32,10-12; Ger 2,21; 5,10; 6.9; 8,13; 12,10; Ez 19,10-14, Os 2,14.17;10,1). Questa proprietà di Dio, che nell’Antico Testamento corrispon-de a Israele ad esclusione degli altri popoli, con la missione di Gesùe della comunità credente, banditori del regno di Dio, si estende uni-versalmente (Mt 28,16-20), Che Matteo voglia descrivere, attraversola vicenda del padrone che ingaggia durante tutta la giornata operaiper la sua vigna, la dinamica dell’azione di Dio, si comprendedall’introduzione: «il regno di Dio è simile al caso», spesso usatanel suo vangelo per cominciare a raccontare una parabola (Mt13,31.33.44.45.47; cfr anche 13,24; 18,23; 22,2; 25,1). Il racconto è im-perniato sul rapporto di lavoro tra il padrone della vigna e i diversigruppi di operai. La figura del «padrone»/anthrÿpos oikodespotês, èspesso protagonista delle parabole matteane (Mt 13,27.52; 21,33;24,43); mentre quella dell’«operaio»/ergatês, compare ancora soltantonel discorso di missione per indicare gli inviati (Mt 9,37.38; 10,10). Ilverbo misthoÿ alla forma media con il significato di “assumere a gior-nata” stabilisce la funzione del proprietario della vigna (cfr. v.7). Ilprimo reclutamento avviene all’alba (prÿi), inizio della giornata lavo-rativa, la quale, cominciando alle sei della mattina, dura all’incircadodici ore.

Soltanto con questi primi operai il padrone concorda (=symphÿneÿ)espressamente il salario di un denaro (dïnarion) al giorno che, secon-do l’abitudine del tempo, veniva pagato alla sera (Lv 19,13; Dt 24,15;Tb 4,14).

La giornata è scandita dalle uscite del padrone per assumere al-tri operai. Con quelli che alle nove del mattino trova nella piazza di-soccupati egli non si accorda sul pagamento, ma promette di dare«quello che è giusto». Il vocabolario della giustizia è molto importan-te per la teologia del primo vangelo canonico. Di solito l’aggettivodikaios ricorre per indicare chi attua quella giustizia che deriva dalvangelo (vedi Mt 1,19), ma in questo caso ricorre al neutro per indi-care non una persona, ma ciò che sarà il comportamento salvifico diDio che viene realizzato dal padrone della vigna nei confronti deglioperai.

Alla fine della pattuizione viene registrato l’effettiva partenza deisalariati per andare a lavorare. Le uscite del padrone vengono anco-ra descritte secondo una scadenza regolare sia a mezzogiorno che ver-so le quindici e le diciassette. Sebbene si sia tentato di identificarenella storia biblica le diverse convocazioni dei salariati, esse, nella lo-ro regolarità, più che indicare dei momenti precisi alludono alla con-tinua chiamata da parte di Dio del suo popolo. Mentre le assunzioni

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STUDI ED INTERVENTI

tra le nove e le quindici sono descritte sinteticamente, l’ultima quel-la delle diciassette, viene messa particolarmente in rilievo da un dia-logo tra il padrone e quegli operai dell’ultima ora. Il primo li inter-roga sulla ragione della loro disoccupazione e i salariati rispondonoche nessuno li aveva chiamati a lavorare. Allora il proprietario dellavigna manda anche loro a lavorare.

La conclusione della giornata che ha luogo di sera, indicata dalgenitivo assoluto opsisias de geneomenïs (Mt 8,16; 14,15.23; 16,2;26,20; 27,57) segna l’inizio della seconda parte del racconto occupatadal pagamento del salario. Non è il padrone direttamente come ave-va fatto in precedenza con le assunzioni a retribuire gli operai, maquesti incarica il fattore di incominciare «dagli ultimi fino ai primi».La disposizione ricorda la frase di introduzione e conclusione (Mt19,30; 20,16), ed ha non solo la funzione narrativa molto importantedi permettere agli operai assunti all’alba di presenziare al pagamen-to di quelli chiamati al termine della giornata. Ma anche di indicarela scelta di privilegiare nell’ordine del pagamento proprio quelli cheerano stati gli ultimi. Sono infatti questi i due gruppi di lavoratoriche hanno un ruolo principale, riscontrabile nel dialogo conclusivo del-la parabola.

Coloro che avevano cominciato a lavorare alla cinque del pome-riggio ricevono un denaro. La stessa somma viene pagata anche a co-loro che erano stati ingaggiati all’alba. Questi che vengono denomi-nati esplicitamente prÿtoi/”primi” pensavano che avrebbero ricevuto dipiù. Qui per indicare la loro falsa aspettativa ricorre il verbo nomizÿche significa “credere, ritenere, stimare” e che nel vangelo di Matteoindica sempre una opinione sbagliata (Mt 5,17; 10,34).

La presa di coscienza di aver ricevuto il medesimo trattamentodi coloro che hanno lavorato un’ora soltanto provoca la protesta daparte di quelli convocati al mattino presto. Le loro rimostranze fan-no leva su un duplice aspetto: hanno dovuto lavorare per l’interagiornata e per di più sotto la calura. Nelle loro parole essi vengonodenominati come eschatoi richiamando così alla memoria la duplicesentenza finale e iniziale che fornisce la chiave dell’interpretazionedella parabola (Mt 19,30; 20,16). Il verbo goggyzÿ che descrive la lo-ro reazione, significa “brontolare, protestare” ricorda la mormorazio-ne del popolo d’Israele contro Dio nel deserto (Es 16,7; 17,3). La re-criminazione da parte degli operai che hanno lavorato tutta la gior-nata ha, tra l’altro, lo scopo di attirare il consenso dei lettori, i qua-li sarebbero portati a valutare la vicenda in termini di giustizia so-ciale. Ma il punto di vista del padrone, reso noto nel suo interven-to finale, fa capire come il suo comportamento sia mosso da un’al-tra logica.

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STUDI ED INTERVENTI

Il proprietario della vigna risponde alla protesta di uno di questimediante un triplice interrogativo. Nel primo egli rievoca l’accordo sulsalario di un denaro al giorno. L’appellativo hetaire che qui in Mat-teo compare per la prima volta, letteralmente significa “amico, com-pagno”, ma in realtà denota sempre un certo conflitto da parte di chilo usa nei confronti di chi viene diretto (Mt 22,12; 26,50). Il verboadikeÿ che ricorre soltanto qui nel primo vangelo mentre è più fre-quentemente nell’opera lucana (Lc 10,19; At 7,24.26.27; 25,10.11), èmolto usato nella letteratura paolina. Esso ha il significato di “faretorto, essere ingiusto, iniquo, trattare ingiustamente”. Sebbene sia unhapax questo termine assume un particolare valore dal contesto delvangelo di Matteo nel quale l’uso del vocabolario della giustizia èpiuttosto cospicuo. Il padrone della vigna è a posto non solo da unpunto di vista della giustizia contrattuale, ma anche da quello dellagiustizia evangelica. Egli infatti ha ricompensato gli operai della pri-ma ora secondo ciò che aveva pattuito (cfr. v. 2), ma nulla toglie chepossa ripagare con longanimità i lavoranti assunti in seguito, con iquali non si era messo d’accordo sul compenso.

Il datore di lavoro invita il salariato, rappresentante dei lavorato-ri della prima ora a ritirare il proprio denaro e ad andarsene, men-tre sostiene la volontà di retribuire nella stessa misura anche gli ope-rai dell’ultima ora. Essi vengono richiamati nelle parole del padronesempre attraverso l’aggettivo sostantivato eschatos. Il secondo interro-gativo verte sul verbo exestin con il significato di “essere lecito, per-messo”, usato di solito nel vangelo di Matteo in riferimento alla leg-ge (Mt 12,2). Con questa terminologia il proprietario della vigna in-tende mostrare che anche secondo una prospettiva legale egli è a po-sto quando usa dei suoi beni come vuole. L’ultimo interrogativo concui si chiude la parabola, ripropone il conflitto tra la benevolenza delpadrone e la malignità degli operai che vengono accusati di averel’«occhio malvagio». L’espressione che ha le sue radici nella tradizionebiblica (Pro 23,6-7; 28,22), è ripresa da Matteo per indicare la mal-vagità umana che porta a una distorta interpretazione dell’azione diDio (Mt 6,22-23). La loro empietà emerge proprio a confronto con labontà gratuita del padrone nei confronti dei lavoratori dell’ultima ora.Inoltre il ricorso all’aggettivo agathos/“buono”, con il quale il padronesi definisce in realtà rimanda alla figura di Dio (Mt 19,17).

La sentenza che viene ripetuta alla fine è costruita sul paralleli-smo antitetico tra “ultimi” e “primi” per proporre un ribaltamento traqueste due categorie di persone. La parola viene a interpretare il rac-conto parabolico in cui ricorrono i due gruppi di personaggi: gli ope-rai della prima ora prÿtoi/”primi” (vv.8.10) e quelli dell’ultima escha-toi/”ultimi” (vv.8.12.14). Con tutta probabilità la parabola, che rispon-

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STUDI ED INTERVENTI

de alla critica dei pii osservanti e integristi, drammatizza l’esperien-za della missione di Gesù, inviato a Israele. Egli, venendo rifiutatocome messia dal popolo della promessa, chiama coloro che sono rite-nuti esclusi dalla salvezza, come i peccatori e il popolo ignorante, iquali adesso diventano i primi destinatari dell’azione salvifica e gra-tuita di Dio. La parabola così mette in crisi il giudaismo, e in parti-colare i movimenti religiosi impegnati che avevano sviluppato una so-teriologia imperniata interamente sull’impegno umano. Al contrario,Gesù afferma la salvezza gratuita di Dio. Soltanto la sua azione sal-vifica rende possibile al discepolo la sequela di Gesù libera, indivisae senza compromessi (Mt 19,26), così come l’unità indissolubile dellacoppia (Mt 19,10) e la scelta del celibato (Mt 19,12). La parabola inol-tre assume un nuovo significato nel contesto della missione universa-le della chiesa (Mt 28,16-20), dove gli ultimi chiamati – i pagani –sono invitati a godere dell’azione salvifica di Dio allo stesso modo delpopolo d’Israele. A livello narrativo si può individuare un’altra spie-gazione della sentenza in relazione al racconto parabolico. Si deve no-tare che in realtà non ci sono due tipi di retribuzione come lascereb-bero intendere la classificazione di ultimi e di primi, ma soltanto unaricompensa uguale per tutti. I primi sono da identificarsi con i dodi-ci (Mt 19,28) e con coloro che hanno compiuto una scelta radicale neiconfronti di Gesù (Mt 19,29), gli ultimi sono quei discepoli che inve-ce non sono stati capaci di lasciare le loro ricchezze. Nonostante laloro inadempienza alla parola evangelica essi sono quegli ultimi chericeveranno per l’azione salvifica gratuita di Dio la stessa ricompensadei primi.

Con la parabola del padrone e degli operai si descrive lo stile diDio, che si rivela ora nella missione di Gesù tesa alla ricerca degli«ultimi». Matteo con il racconto parabolico offre un’interpretazionedella sentenza enigmatica secondo la quale gli «ultimi» diventeranno«i primi». La parabola ha lo scopo di smantellare quella logica così co-mune di prestazione-retribuzione che, mutuata dai rapporti economi-ci, viene utilizzata per interpretare anche il rapporto con Dio. La sal-vezza che Gesù annuncia non è soltanto il frutto dello sforzo umano,bensì dono generoso e gratuito di Dio.

R I V I S T A D I O C E S A N A A N D R I E S EAnno LIV - n. 2 Maggio - Agosto 2011

SOMMARIO

LA PAROLA DEL PAPA

007 Messaggio ai partecipanti alla XIV assemblea generale dell’Azio-

ne Cattolica Italiana (6 maggio 2011).

011 Omelia alla Veglia di preghiera per i giovani durante la XXVI

Giornata Mondiale della Gioventù (Base aerea dei Quattro Ven-

ti, Madrid - sabato, 20 agosto 2011).

014 Omelia alla Celebrazione Eucaristica per i giovani durante la

XXVI Giornata Mondiale della Gioventù (Base aerea dei Quat-

tro Venti, Madrid - domenica, 21 agosto 2011).

017 Omelia per la Celebrazione Eucaristica a conclusione del XXV

Congresso Eucaristico Nazionale Italiano (Cantiere Navale di

Ancona - Domenica, 11 settembre 2011).

SANTA SEDE

022 Telegramma per il 60° anniversario di Ordinazione sacerdotale

del Santo Padre.

023 Risposta della Segreteria di Stato.

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

024 Messaggio per l’87ª Giornata per l’Università Cattolica del Sa-

cro Cuore (8 maggio 2011).

027 Comunicato finale della 63ª assemblea generale della CEI (27

maggio 2011).

Ufficiale per gli atti della Curia VescovileOrgano di comunicazione e di promozione della vita e della pastorale della Diocesi di Andria

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033 Messaggio per la 6ª Giornata per la salvaguardia del creato (1°

settembre 2011).

038 Calendario delle Giornata mondiali e nazionali del 2012.

CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE

040 “I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi”. Dal terzo

Convegno ecclesiale regionale.

VITA DIOCESANA

* LA PAROLA DEL VESCOVO

044 Messaggio alla comunità parrocchiale S. Giovanni Battista in

Canosa di Puglia.

046 Presentazione al volume C. Gelao - L. Renna, Minervino Mur-

ge. Testimonianze su un’antica diocesi.

049 Lettera di Comunione in occasione del 60° anniversario dell’Or-

dinazione sacerdotale di Sua Santità Benedetto XVI.

050 Presentazione del Programma Pastorale Diocesano (2011-2013).

“Dio educa il suo popolo. Discepoli di Cristo animati da un

grande passione educativa”.

* ATTI DEL VESCOVO

053 Decreto di istituzione della sezione UCID di Andria.

054 Decreto di riconoscimento dell’Associazione “Amici del Servo di

Dio padre Antonio Maria Losito CSSR”.

055 Decreto di nomina per l’Associazione Madonna dei Miracoli.

* ATTI DI CURIA

056 Verbale del consiglio pastorale diocesano (Andria, 6 aprile 2011).

060 Resoconto degli incontri degli organismi pastorali a conclusione

di un anno pastorale.

064 Erogazioni delle Somme derivanti dall’8‰ dell’IRPEF per l’eser-

cizio 2010.

5

066 Nomine.

067 Necrologio.

* UFFICI DIOCESANI PASTORALI

UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

069 Il convegno catechistico diocesano.

SERVIZIO DI PASTORALE GIOVANILE

071 “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”. Giornata Dioce-sana della Gioventù 2011.

073 La partecipazione dei giovani della diocesi alla Giornata Mon-diale della Gioventù.

CENTRO DIOCESANO VOCAZIONI

077 La Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni 2011.

079 Iniziative proposte dal CDV.

UFFICIO DI PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO,

GIUSTIZIA, PACE E SALVAGUARDIA DEL CREATO

081 Forum di formazione all’impegno Sociale e Politico.

083 “La Chiesa, i giovani e il lavoro”. Palermo, 10-15 Maggio 201115° anniversario del Progetto Policoro.

UFFICIO PER LO SPORT, TURISMO,

TEMPO LIBERO, PELLEGRINAGGI

085 Pellegrinaggio a Lourdes.

CARITAS

087 Il progetto della Caritas per i detenuti della Diocesi.

090 Analisi dell’utenza e dell’attività dei Centri di Ascolto Caritasdella Diocesi di Andria.

* ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI LAICALI

AZIONE CATTOLICA

106 Il XIV Convegno Regionale Elettivo di Azione Cattolica.

109 Riflessioni in margine al XXXI Convegno Bachelet a Roma.

6

* CRONACA DI VITA DIOCESANA

112 Celebrazione di saluto di due Suore Orsoline della comunità

parrocchiale di san Riccardo ad Andria.

115 Un nuovo mosaico per la comunità di Gesù Liberatore a Canosa.

118 La Giornata della Concordia e del bene comune a Canosa.

120 Esperienze pastorali estive a Minervino.

NOTIZIE

* SEGNALAZIONI

122 Un volume sulla Chiesa Madre di Minervino. C. Gelao - L. Ren-

na, Minervino Murge. Testimonianze su un’antica diocesi, Et/Et,

Andria 2011.

STUDI ed INTERVENITI

125 don LUIGI RENNA - Un vescovo andriese e l’Unità d’Italia:

mons. Felice Regano, pastore di Catania.

128 N. MONTEPULCIANO - V. ZITO, Nuove ricerche sul santuario

della Madonna d’Andria.

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7LA PAROLA DEL PAPA

Messaggio ai partecipantialla XIV assemblea generale dell’Azione Cattolica Italiana

(6 maggio 2011)

Cari amici dell’Azione Cattolica Italiana!

Siete riuniti nella vostra Assemblea generale sul tema: Vivere lafede, amare la vita. L’impegno educativo dell’Azione Cattolica, per ri-badire il vostro amore a Cristo e alla Chiesa e rinnovare il camminodella vostra Associazione, con l’impegno di assumervi pienamente lavostra responsabilità laicale a servizio del Vangelo. Siete ragazzi, gio-vani e adulti che si mettono a disposizione del Signore nella Chiesacon un impegno solenne, pubblico, in comunione con i Pastori, per da-re buona testimonianza in ogni ambito della vita. La vostra presenzaè capillare nelle parrocchie, nelle famiglie, nei quartieri, negli am-bienti sociali: una presenza che vivete nella quotidianità e nell’aspi-razione alla santità. I vostri bambini e ragazzi, adolescenti e giovanivogliono essere vivaci e felici, generosi e coraggiosi, come il beato PierGiorgio Frassati. Avete slancio di dedizione alla costruzione della cittàdi tutti e coraggio di servizio nelle istituzioni, come Vittorio Bachelet,come il beato Alberto Marvelli, come Giuseppe Toniolo, che prestosarà proclamato beato. Nel vostro progetto di formazione umana e cri-stiana volete essere amici fedeli di Cristo, come le beate Pierina Mo-rosini e Antonia Mesina, come la venerabile Armida Barelli. Voleteravvivare le nostre comunità con bambini affascinanti per la purezzadel loro cuore, come Antonietta Meo, capaci di attirare anche i geni-tori a Gesù. Quando accolgo i vostri ragazzi in occasione del Nataleo del mese della pace resto sempre ammirato della genuinità con cuicomunicano la gioia del Signore.

Ho incontrato l’anno scorso in ottobre i vostri adolescenti e giova-ni, impegnati e festosi, amanti della libertà vera che li orienta a unavita generosa, a un apostolato diretto. Essi hanno davanti a sél’esempio di uomini e donne contenti della loro fede, che vogliono ac-

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LA PAROLA DEL PAPA

compagnare le nuove generazioni con amore, con saggezza e con lapreghiera, che intendono costruire con pazienza tessuti di vita comu-nitaria e affrontare i problemi più scottanti della vita quotidiana del-la famiglia: la difesa della vita, la sofferenza delle separazioni edell’abbandono, la solidarietà nelle disgrazie, l’accoglienza dei poveri edei senza patria. Vi seguono presbiteri assistenti che sanno bene checosa significa educare alla santità. Nelle diocesi siete chiamati a col-laborare con i vostri Vescovi, in maniera costante, fedele e diretta, al-la vita e alla missione della Chiesa. Tutto questo non nasce sponta-neamente, ma con una risposta generosa alla chiamata di Dio a vi-vere con piena responsabilità il Battesimo, la dignità dell’essere cri-stiani. Perciò vi stabilite in associazione con ideali e qualità precisicome li indica il Concilio Ecumenico Vaticano II: un’associazione cheha il fine apostolico della Chiesa, che collabora con la gerarchia, chesi manifesta come corpo organico e che dalla Chiesa riceve un man-dato esplicito (cfr Decr. Apostolicam actuositatem, 20). Sulla base diciò che voi siete vorrei, cari amici, sulla scia dei miei venerati Pre-decessori, affidarvi alcune indicazioni di impegno.

1. La prospettiva educativa

Nella linea tracciata dai Vescovi per le Chiese che sono in Italia,siete particolarmente chiamati a valorizzare la vostra vocazione edu-cativa. L’Azione Cattolica è una forza educativa qualificata, sostenutada buoni strumenti, da una tradizione più che centenaria. Sapeteeducare bambini e ragazzi con l’ACR, sapete realizzare percorsi edu-cativi con adolescenti e giovani, siete capaci di una formazione per-manente per gli adulti. La vostra azione sarà maggiormente incisivase, come già fate, lavorerete ancor più fra di voi in un’ottica profon-damente unitaria e favorirete collaborazioni con le altre forze educa-tive sia ecclesiali che civili. Per educare occorre andare oltre l’occa-sione, il momento immediato, e costruire con la collaborazione di tut-ti un progetto di vita cristiana fondato sul Vangelo e sul magisterodella Chiesa, mettendo al centro una visione integrale della persona.Il vostro Progetto Formativo è valido per tanti cristiani e uomini dibuona volontà, soprattutto se possono vedere in voi modelli di vitacristiana, di impegno generoso e gioioso, di interiorità profonda e dicomunione ecclesiale.

2. La proposta della santità

Le vostre associazioni siano palestre di santità, in cui ci si allenaad una dedizione piena alla causa del Regno di Dio, ad una impo-stazione di vita profondamente evangelica che vi caratterizza come

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LA PAROLA DEL PAPA

laici credenti nei luoghi del vivere quotidiano. Questo esige intensapreghiera sia comunitaria che personale, ascolto continuato della Pa-rola di Dio, assidua vita sacramentale. Occorre rendere il termine“santità” una parola comune, non eccezionale, che non designa sol-tanto stati eroici di vita cristiana, ma che indica nella realtà di tut-ti i giorni una decisa risposta e disponibilità all’azione dello SpiritoSanto.

3. La formazione all’impegno culturale e politico

Santità significa per voi anche spendersi al servizio del bene co-mune secondo i principi cristiani offrendo nella vita della città pre-senze qualificate, gratuite, rigorose nei comportamenti, fedeli al ma-gistero ecclesiale e orientate al bene di tutti. La formazione all’impe-gno culturale e politico rappresenta dunque per voi un compito im-portante, che richiede un pensiero plasmato dal Vangelo, capace diargomentare idee e proposte valide per i laici. È questo un impegnoche si attua anzitutto a partire dalla vita quotidiana, di mamme epapà alle prese con le nuove sfide dell’educazione dei figli, di lavora-tori e di studenti, di centri di cultura orientati al servizio della cre-scita di tutti. L’Italia ha attraversato periodi storici difficili e ne èuscita rinvigorita anche per la dedizione incondizionata di laici catto-lici, impegnati nella politica e nelle istituzioni. Oggi la vita pubblicadel Paese richiede un’ulteriore generosa risposta da parte dei creden-ti, affinché mettano a disposizione di tutti le proprie capacità e leproprie forze spirituali, intellettuali e morali.

4. Una dedizione di ampio respironel grande sconvolgimento del mondo e del Mediterraneo

Vi chiedo infine di essere generosi, accoglienti, solidali, e soprat-tutto comunicatori della bellezza della fede. Tanti uomini, donne egiovani vengono a contatto con il nostro mondo, che conoscono super-ficialmente, abbagliati da immagini illusorie, e hanno bisogno di nonperdere la speranza, di non barattare la loro dignità. Hanno bisognodi pane, di lavoro, di libertà, di giustizia, di pace, di veder ricono-sciuti i propri inderogabili diritti di figli di Dio. Hanno bisogno di fe-de, e noi possiamo aiutarli, nel rispetto delle loro convinzioni religio-se, in uno scambio libero e sereno, offrendo con semplicità, franchez-za e zelo la nostra fede in Gesù Cristo. Nella costruzione della storiadell’Italia l’Azione Cattolica – come ho già avuto modo di scrivere alPresidente della Repubblica in occasione del 150° dell’Unità d’Italia –ha avuto una grande parte, sforzandosi di tenere assieme amore dipatria e fede in Dio. Radicata in tutto il territorio nazionale, essa può

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LA PAROLA DEL PAPA

contribuire anche oggi a creare una cultura popolare, diffusa, positi-va, e formare persone responsabili capaci di mettersi al servizio delPaese, proprio come nella stagione in cui fu elaborata la Carta costi-tuzionale e si ricostruì il Paese dopo la seconda guerra mondiale.L’Azione Cattolica può aiutare l’Italia a rispondere alla sua vocazionepeculiare, collocata nel Mediterraneo, crocevia di culture, di aspira-zioni, di tensioni che esigono una grande forza di comunione, di soli-darietà e di generosità. L’Italia ha sempre offerto ai popoli vicini elontani la ricchezza della sua cultura e della sua fede, della sua ar-te e del suo pensiero. Oggi voi laici cristiani siete chiamati ad offri-re con convinzione la bellezza della vostra cultura e le ragioni dellavostra fede, oltre che la solidarietà fraterna, affinché l’Europa siaall’altezza della presente sfida epocale.

Nel rivolgere all’intera Assemblea il mio augurio più cordiale, sa-luto il Presidente, prof. Franco Miano, l’Assistente generale, Mons.Domenico Sigalini, e tutti i delegati, ed a ciascuno e alla grande fa-miglia dell’Azione Cattolica Italiana invio una speciale BenedizioneApostolica.

Dal Vaticano, 6 maggio 2011

Benedetto XVI

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Omelia alla Veglia di preghiera per i giovanidurante la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù

(Base aerea dei Quattro Venti, Madrid - Sabato, 20 agosto 2011)

LA PAROLA DEL PAPA

Cari giovani,

vi saluto tutti, in particolare i giovani che mi hanno formulato le lo-ro domande, e li ringrazio per la sincerità con la quale hanno pro-spettato le loro inquietudini, che esprimono, in un certo modo, l’ane-lito di tutti voi per giungere a qualcosa di grande nella vita, qualco-sa che vi dia pienezza e felicità.

Però, come può un giovane essere fedele alla fede cristiana e con-tinuare ad aspirare a grandi ideali nella società attuale? Nel Vange-lo che abbiamo ascoltato, Gesù ci dà una risposta a questa impor-tante questione: «Come il Padre mi ha amato, così io ho amato voi;rimanete nel mio amore» (Gv 15,9).

Sì, cari amici, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostravita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso odell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progettod’amore di Dio. Rimanere nel suo amore significa quindi vivere radi-cati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcu-ne verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo che ci portaad aprire il nostro cuore a questo mistero di amore e a vivere comepersone che si riconoscono amate da Dio.

Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete,anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia edell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al con-trario, li eleva e li perfeziona. Cari giovani, non conformatevi conqualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevicon qualcuno che sia meno di Cristo.

Precisamente oggi, in cui la cultura relativista dominante rinunciaalla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è

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LA PAROLA DEL PAPA

l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con co-raggio e umiltà il valore universale di Cristo, come salvatore di tuttigli uomini e fonte di speranza per la nostra vita. Egli, che prese sudi sé le nostre afflizioni, conosce bene il mistero del dolore umano emostra la sua presenza piena di amore in tutti coloro che soffrono. Equesti, a loro volta, uniti alla passione di Cristo, partecipano moltoda vicino alla sua opera di redenzione. Inoltre, la nostra attenzionedisinteressata agli ammalati e ai bisognosi sarà sempre una testimo-nianza umile e silenziosa del volto compassionevole di Dio.

Cari amici, che nessuna avversità vi paralizzi! Non abbiate pauradel mondo, né del futuro, né della vostra debolezza. Il Signore vi haconcesso di vivere in questo momento della storia, perché grazie allavostra fede continui a risuonare il suo Nome in tutta la terra.

In questa veglia di preghiera, vi invito a chiedere a Dio che viaiuti a riscoprire la vostra vocazione nella società e nella Chiesa e aperseverare in essa con allegria e fedeltà. Vale la pena accogliere nelnostro intimo la chiamata di Cristo e seguire con coraggio e genero-sità il cammino che ci propone!

Molti sono chiamati dal Signore al matrimonio, nel quale un uo-mo e una donna, formando una sola carne (cfr Gn 2,24), si realizza-no in una profonda vita di comunione. È un orizzonte luminoso edesigente al tempo stesso. Un progetto di amore vero che si rinnova esi approfondisce ogni giorno condividendo gioie e difficoltà, e che sicaratterizza per un dono della totalità della persona. Per questo, ri-conoscere la bellezza e la bontà del matrimonio, significa essere co-scienti che solo un contesto di fedeltà e indissolubilità, come pure diapertura al dono divino della vita, è quello adeguato alla grandezzae dignità dell’amore matrimoniale.

Cristo chiama altri, invece, a seguirlo più da vicino nel sacerdozioe nella vita consacrata. Che bello è sapere che Gesù ti cerca, fissa ilsuo sguardo su di te, e con la sua voce inconfondibile dice anche ate: «Seguimi!» (cfr Mc 2,14).

Cari giovani, per scoprire e seguire fedelmente la forma di vita al-la quale il Signore chiama ciascuno di voi, è indispensabile rimanerenel suo amore come amici. E come si mantiene l’amicizia se non at-traverso il contatto frequente, la conversazione, lo stare uniti e il con-dividere speranze o angosce? Santa Teresa di Gesù diceva che la pre-ghiera è «conversare con amicizia, stando molte volte in contatto dasoli con chi sappiamo che ci ama» (cfr Libro della vita, 8).

Vi invito, quindi, a rimanere ora in adorazione di Cristo, real-mente presente nell’Eucarestia. A dialogare con Lui, a porre davantia Lui le vostre domande e ad ascoltarlo. Cari amici, prego per voi contutta l’anima. Vi supplico di pregare anche per me. Chiediamo al Si-

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LA PAROLA DEL PAPA

gnore, in questa notte, attratti dalla bellezza del suo amore, di vive-re sempre fedelmente come suoi discepoli. Amen!

Cari amici, grazie per la vostra gioia e per la vostra resistenza!La vostra forza è più grande della pioggia. Grazie! Il Signore, con lapioggia, ci ha mandato molte benedizioni. Anche con questo siete unesempio.

Saluto in italiano

Mi rivolgo ora ai giovani di lingua italiana. Cari amici, questa Ve-glia rimarrà come un’esperienza indimenticabile della vostra vita. Cu-stodite la fiamma che Dio ha acceso nei vostri cuori in questa notte:fate in modo che non si spenga, alimentatela ogni giorno, condivide-tela con i vostri coetanei che vivono nel buio e cercano una luce peril loro cammino. Grazie! Arrivederci a domani mattina!

Cari giovani!

abbiamo vissuto un’avventura insieme. Saldi nella fede in Cristo,avete resistito alla pioggia! Prima di lasciarvi, desidero augurare atutti la buona notte. Riposate bene. Grazie per il sacrificio che statefacendo e che, non ho dubbi, offrirete generosamente al Signore. Civediamo domani, a Dio piacendo. Vi attendo tutti. Vi ringrazio per ilmeraviglioso esempio che avete dato. Come questa notte, con Cristopotrete sempre affrontare le prove della vita. Non lo dimenticate!Grazie a tutti!

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Omelia alla Celebrazione Eucaristica per i giovanidurante la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù

(Base aerea dei Quattro Venti, Madrid - Domenica, 21 agosto 2011)

LA PAROLA DEL PAPA

Cari giovani,

con la celebrazione dell’Eucaristia giungiamo al momento culminantedi questa Giornata Mondiale della Gioventù. Nel vedervi qui, venuti ingran numero da ogni parte, il mio cuore si riempie di gioia pensandoall’affetto speciale con il quale Gesù vi guarda. Sì, il Signore vi vuolebene e vi chiama suoi amici (cfr Gv 15,15). Egli vi viene incontro e de-sidera accompagnarvi nel vostro cammino, per aprirvi le porte di unavita piena e farvi partecipi della sua relazione intima con il Padre.Noi, da parte nostra, coscienti della grandezza del suo amore, deside-riamo corrispondere con ogni generosità a questo segno di predilezionecon il proposito di condividere anche con gli altri la gioia che abbiamoricevuto. Certamente, sono molti attualmente coloro che si sentono at-tratti dalla figura di Cristo e desiderano conoscerlo meglio. Percepisco-no che Egli è la risposta a molte delle loro inquietudini personali. Machi è Lui veramente? Come è possibile che qualcuno che ha vissutosulla terra tanti anni fa abbia qualcosa a che fare con me, oggi?

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Mt 16,13-20) vediamo de-scritti due modi distinti di conoscere Cristo. Il primo consisterebbe inuna conoscenza esterna, caratterizzata dall’opinione corrente. Alla do-manda di Gesù: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?», i di-scepoli rispondono: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, al-tri Geremia o qualcuno dei profeti». Vale a dire, si considera Cristocome un personaggio religioso in più di quelli già conosciuti. Poi, ri-volgendosi personalmente ai discepoli, Gesù chiede loro: «Ma voi, chidite che io sia?». Pietro risponde con quella che è la prima confessio-ne di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». La fede va aldi là dei semplici dati empirici o storici, ed è capace di cogliere il mi-stero della persona di Cristo nella sua profondità.

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LA PAROLA DEL PAPA

Però la fede non è frutto dello sforzo umano, della sua ragione,bensì è un dono di Dio: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perchéné carne, né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è neicieli». Ha la sua origine nell’iniziativa di Dio, che ci rivela la sua in-timità e ci invita a partecipare della sua stessa vita divina. La fedenon dà solo alcune informazioni sull’identità di Cristo, bensì supponeuna relazione personale con Lui, l’adesione di tutta la persona, con lapropria intelligenza, volontà e sentimenti alla manifestazione che Diofa di se stesso. Così, la domanda «Ma voi, chi dite che io sia?», in fon-do sta provocando i discepoli a prendere una decisione personale in re-lazione a Lui. Fede e sequela di Cristo sono in stretto rapporto. E, da-to che suppone la sequela del Maestro, la fede deve consolidarsi e cre-scere, farsi più profonda e matura, nella misura in cui si intensifica erafforza la relazione con Gesù, la intimità con Lui. Anche Pietro e glialtri apostoli dovettero avanzare per questo cammino, fino a che l’in-contro con il Signore risorto aprì loro gli occhi a una fede piena.

Cari giovani, anche oggi Cristo si rivolge a voi con la stessa do-manda che fece agli apostoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispon-detegli con generosità e audacia, come corrisponde a un cuore giova-ne qual è il vostro. Ditegli: Gesù, io so che Tu sei il Figlio di Dio,che hai dato la tua vita per me. Voglio seguirti con fedeltà e lasciar-mi guidare dalla tua parola. Tu mi conosci e mi ami. Io mi fido di tee metto la mia intera vita nelle tue mani. Voglio che Tu sia la forzache mi sostiene, la gioia che mai mi abbandona.

Nella sua risposta alla confessione di Pietro, Gesù parla dellaChiesa: «E io a te dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò lamia Chiesa». Che significa ciò? Gesù costruisce la Chiesa sopra la roc-cia della fede di Pietro, che confessa la divinità di Cristo.

Sì, la Chiesa non è una semplice istituzione umana, come qual-siasi altra, ma è strettamente unita a Dio. Lo stesso Cristo si riferi-sce ad essa come alla «sua» Chiesa. Non è possibile separare Cristodalla Chiesa, come non si può separare la testa dal corpo (cfr 1Cor12,12). La Chiesa non vive di se stessa, bensì del Signore. Egli è pre-sente in mezzo ad essa, e le dà vita, alimento e forza.

Cari giovani, permettetemi che, come Successore di Pietro, vi in-viti a rafforzare questa fede che ci è stata trasmessa dagli Apostoli,a porre Cristo, il Figlio di Dio, al centro della vostra vita. Però per-mettetemi anche che vi ricordi che seguire Gesù nella fede è cammi-nare con Lui nella comunione della Chiesa. Non si può seguire Gesùda soli. Chi cede alla tentazione di andare «per conto suo» o di vive-re la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella so-cietà, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finireseguendo un’immagine falsa di Lui.

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LA PAROLA DEL PAPA

Aver fede significa appoggiarsi sulla fede dei tuoi fratelli, e che latua fede serva allo stesso modo da appoggio per quella degli altri. Vichiedo, cari amici, di amare la Chiesa, che vi ha generati alla fede,che vi ha aiutato a conoscere meglio Cristo, che vi ha fatto scoprirela bellezza del suo amore. Per la crescita della vostra amicizia conCristo è fondamentale riconoscere l’importanza del vostro gioioso in-serimento nelle parrocchie, comunità e movimenti, così come la par-tecipazione all’Eucarestia di ogni domenica, il frequente accostarsi alsacramento della riconciliazione e il coltivare la preghiera e la medi-tazione della Parola di Dio.

Da questa amicizia con Gesù nascerà anche la spinta che condu-ce a dare testimonianza della fede negli ambienti più diversi, inclusodove vi è rifiuto o indifferenza. Non è possibile incontrare Cristo enon farlo conoscere agli altri. Quindi, non conservate Cristo per voistessi! Comunicate agli altri la gioia della vostra fede. Il mondo habisogno della testimonianza della vostra fede, ha bisogno certamentedi Dio. Penso che la vostra presenza qui, giovani venuti dai cinquecontinenti, sia una meravigliosa prova della fecondità del mandato diCristo alla Chiesa: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vange-lo a ogni creatura» (Mc 16,15). Anche a voi spetta lo straordinariocompito di essere discepoli e missionari di Cristo in altre terre e pae-si dove vi è una moltitudine di giovani che aspirano a cose più gran-di e, scorgendo nei propri cuori la possibilità di valori più autentici,non si lasciano sedurre dalle false promesse di uno stile di vita sen-za Dio.

Cari giovani, prego per voi con tutto l’affetto del mio cuore. Viraccomando alla Vergine Maria, perché vi accompagni sempre con lasua intercessione materna e vi insegni la fedeltà alla Parola di Dio.Vi chiedo anche di pregare per il Papa, perché come Successore diPietro, possa proseguire confermando i suoi fratelli nella fede. Chetutti nella Chiesa, pastori e fedeli, ci avviciniamo ogni giorno di piùal Signore, per crescere nella santità della vita e dare così testimo-nianza efficace che Gesù Cristo è veramente il Figlio di Dio, il Sal-vatore di tutti gli uomini e la fonte viva della loro speranza. Amen.

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Omelia per la Celebrazione Eucaristicaa conclusione

del XXV Congresso Eucaristico Nazionale Italiano

(Cantiere Navale di Ancona - Domenica, 11 settembre 2011)

LA PAROLA DEL PAPA

Carissimi fratelli e sorelle!

Sei anni fa, il primo viaggio apostolico in Italia del mio pontifica-to mi condusse a Bari, per il 24° Congresso Eucaristico Nazionale.Oggi sono venuto a concludere solennemente il 25°, qui ad Ancona.Ringrazio il Signore per questi intensi momenti ecclesiali che raffor-zano il nostro amore all’Eucaristia e ci vedono uniti attorno all’Euca-ristia! Bari e Ancona, due città affacciate sul mare Adriatico; duecittà ricche di storia e di vita cristiana; due città aperte all’Oriente,alla sua cultura e alla sua spiritualità; due città che i temi dei Con-gressi Eucaristici hanno contribuito ad avvicinare: a Bari abbiamofatto memoria di come “senza la Domenica non possiamo vivere”; og-gi il nostro ritrovarci è all’insegna dell’“Eucaristia per la vita quoti-diana”.

Prima di offrivi qualche pensiero, vorrei ringraziarvi per questavostra corale partecipazione: in voi abbraccio spiritualmente tutta laChiesa che è in Italia. Rivolgo un saluto riconoscente al Presidentedella Conferenza Episcopale, Cardinale Angelo Bagnasco, per le cor-diali parole che mi ha rivolto anche a nome di tutti voi; al mio Le-gato a questo Congresso, Cardinale Giovanni Battista Re; all’Arcive-scovo di Ancona-Osimo, Mons. Edoardo Menichelli, ai Vescovi dellaMetropolìa, delle Marche e a quelli convenuti numerosi da ogni par-te del Paese. Insieme con loro, saluto i sacerdoti, i diaconi, i consa-crati e le consacrate, e i fedeli laici, fra i quali vedo molte famiglie emolti giovani. La mia gratitudine va anche alle Autorità civili e mi-litari e a quanti, a vario titolo, hanno contribuito al buon esito diquesto evento.

“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60). Davanti aldiscorso di Gesù sul pane della vita, nella Sinagoga di Cafarnao, la

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LA PAROLA DEL PAPA

reazione dei discepoli, molti dei quali abbandonarono Gesù, non èmolto lontana dalle nostre resistenze davanti al dono totale che Eglifa di se stesso. Perché accogliere veramente questo dono vuol direperdere se stessi, lasciarsi coinvolgere e trasformare, fino a vivere diLui, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda Lettura: “Senoi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per ilSignore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signo-re” (Rm 14,8).

“Questa parola è dura!”; è dura perché spesso confondiamo la li-bertà con l’assenza di vincoli, con la convinzione di poter fare da so-li, senza Dio, visto come un limite alla libertà. È questa un’illusioneche non tarda a volgersi in delusione, generando inquietudine e pau-ra e portando, paradossalmente, a rimpiangere le catene del passato:“Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto…” – dice-vano gli ebrei nel deserto (Es 16,3), come abbiamo ascoltato. Inrealtà, solo nell’apertura a Dio, nell’accoglienza del suo dono, diven-tiamo veramente liberi, liberi dalla schiavitù del peccato che sfigurail volto dell’uomo e capaci di servire al vero bene dei fratelli.

“Questa parola è dura!”; è dura perché l’uomo cade spesso nell’il-lusione di poter “trasformare le pietre in pane”. Dopo aver messo daparte Dio, o averlo tollerato come una scelta privata che non deveinterferire con la vita pubblica, certe ideologie hanno puntato a or-ganizzare la società con la forza del potere e dell’economia. La sto-ria ci dimostra, drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare atutti sviluppo, benessere materiale e pace prescindendo da Dio edalla sua rivelazione si sia risolto in un dare agli uomini pietre alposto del pane. Il pane, cari fratelli e sorelle, è “frutto del lavorodell’uomo”, e in questa verità è racchiusa tutta la responsabilità af-fidata alle nostre mani e alla nostra ingegnosità; ma il pane è an-che, e prima ancora, “frutto della terra”, che riceve dall’alto sole epioggia: è dono da chiedere, che ci toglie ogni superbia e ci fa in-vocare con la fiducia degli umili: “Padre (…), dacci oggi il nostro pa-ne quotidiano” (Mt 6,11).

L’uomo è incapace di darsi la vita da se stesso, egli si comprendesolo a partire da Dio: è la relazione con Lui a dare consistenza allanostra umanità e a rendere buona e giusta la nostra vita. Nel Padrenostro chiediamo che sia santificato il Suo nome, che venga il Suo re-gno, che si compia la Sua volontà. È anzitutto il primato di Dio chedobbiamo recuperare nel nostro mondo e nella nostra vita, perché èquesto primato a permetterci di ritrovare la verità di ciò che siamo,ed è nel conoscere e seguire la volontà di Dio che troviamo il nostrovero bene. Dare tempo e spazio a Dio, perché sia il centro vitale del-la nostra esistenza.

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LA PAROLA DEL PAPA

Da dove partire, come dalla sorgente, per recuperare e riafferma-re il primato di Dio? Dall’Eucaristia: qui Dio si fa così vicino da far-si nostro cibo, qui Egli si fa forza nel cammino spesso difficile, qui sifa presenza amica che trasforma. Già la Legge data per mezzo di Mo-sè veniva considerata come “pane del cielo”, grazie al quale Israele di-venne il popolo di Dio, ma in Gesù la parola ultima e definitiva diDio si fa carne, ci viene incontro come Persona. Egli, Parola eterna,è la vera manna, è il pane della vita (cfr Gv 6,32-35) e compiere leopere di Dio è credere in Lui (cfr Gv 6,28-29). Nell’Ultima Cena Ge-sù riassume tutta la sua esistenza in un gesto che si inscrive nellagrande benedizione pasquale a Dio, gesto che Egli vive da Figlio co-me rendimento di grazie al Padre per il suo immenso amore. Gesùspezza il pane e lo condivide, ma con una profondità nuova, perchéEgli dona se stesso. Prende il calice e lo condivide perché tutti nepossano bere, ma con questo gesto Egli dona la “nuova alleanza nelsuo sangue”, dona se stesso. Gesù anticipa l’atto di amore supremo,in obbedienza alla volontà del Padre: il sacrificio della Croce. La vi-ta gli sarà tolta sulla Croce, ma già ora Egli la offre da se stesso.Così la morte di Cristo non è ridotta ad un’esecuzione violenta, ma ètrasformata da Lui in un libero atto d’amore, in un atto di auto-do-nazione, che attraversa vittoriosamente la stessa morte e ribadisce labontà della creazione uscita dalle mani di Dio, umiliata dal peccato efinalmente redenta. Questo immenso dono è a noi accessibile nel Sa-cramento dell’Eucaristia: Dio si dona a noi, per aprire la nostra esi-stenza a Lui, per coinvolgerla nel mistero di amore della Croce, perrenderla partecipe del mistero eterno da cui proveniamo e per antici-pare la nuova condizione della vita piena in Dio, in attesa della qua-le viviamo.

Ma che cosa comporta per la nostra vita quotidiana questo parti-re dall’Eucaristia per riaffermare il primato di Dio? La comunione eu-caristica, cari amici, ci strappa dal nostro individualismo, ci comuni-ca lo spirito del Cristo morto e risorto, e ci conforma a Lui; ci unisceintimamente ai fratelli in quel mistero di comunione che è la Chiesa,dove l’unico Pane fa dei molti un solo corpo (cfr 1 Cor 10,17), realiz-zando la preghiera della comunità cristiana delle origini riportata nellibro della Didaché: “Come questo pane spezzato era sparso sui collie raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini dellaterra venga radunata nel tuo Regno” (IX, 4). L’Eucaristia sostiene etrasforma l’intera vita quotidiana. Come ricordavo nella mia primaEnciclica, “nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati el’amare a propria volta gli altri”, per cui “un’Eucaristia che non sitraduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammenta-ta” (Deus caritas est, 14).

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LA PAROLA DEL PAPA

La bimillenaria storia della Chiesa è costellata di santi e sante, lacui esistenza è segno eloquente di come proprio dalla comunione conil Signore, dall’Eucaristia nasca una nuova e intensa assunzione diresponsabilità a tutti i livelli della vita comunitaria, nasca quindi unosviluppo sociale positivo, che ha al centro la persona, specie quellapovera, malata o disagiata. Nutrirsi di Cristo è la via per non resta-re estranei o indifferenti alle sorti dei fratelli, ma entrare nella stes-sa logica di amore e di dono del sacrificio della Croce; chi sa ingi-nocchiarsi davanti all’Eucaristia, chi riceve il corpo del Signore nonpuò non essere attento, nella trama ordinaria dei giorni, alle situa-zioni indegne dell’uomo, e sa piegarsi in prima persona sul bisogno-so, sa spezzare il proprio pane con l’affamato, condividere l’acqua conl’assetato, rivestire chi è nudo, visitare l’ammalato e il carcerato (cfrMt 25,34-36). In ogni persona saprà vedere quello stesso Signore chenon ha esitato a dare tutto se stesso per noi e per la nostra salvez-za. Una spiritualità eucaristica, allora, è vero antidoto all’individuali-smo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana, portaalla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a parti-re dalla famiglia, con particolare attenzione a lenire le ferite di quel-le disgregate. Una spiritualità eucaristica è anima di una comunitàecclesiale che supera divisioni e contrapposizioni e valorizza le diver-sità di carismi e ministeri ponendoli a servizio dell’unità della Chie-sa, della sua vitalità e della sua missione. Una spiritualità eucaristi-ca è via per restituire dignità ai giorni dell’uomo e quindi al suo la-voro, nella ricerca della sua conciliazione con i tempi della festa edella famiglia e nell’impegno a superare l’incertezza del precariato eil problema della disoccupazione. Una spiritualità eucaristica ci aiu-terà anche ad accostare le diverse forme di fragilità umana consape-voli che esse non offuscano il valore della persona, ma richiedonoprossimità, accoglienza e aiuto. Dal Pane della vita trarrà vigore unarinnovata capacità educativa, attenta a testimoniare i valori fonda-mentali dell’esistenza, del sapere, del patrimonio spirituale e cultura-le; la sua vitalità ci farà abitare la città degli uomini con la disponi-bilità a spenderci nell’orizzonte del bene comune per la costruzione diuna società più equa e fraterna.

Cari amici, ripartiamo da questa terra marchigiana con la forzadell’Eucaristia in una costante osmosi tra il mistero che celebriamo egli ambiti del nostro quotidiano. Non c’è nulla di autenticamenteumano che non trovi nell’Eucaristia la forma adeguata per essere vis-suto in pienezza: la vita quotidiana diventi dunque luogo del cultospirituale, per vivere in tutte le circostanze il primato di Dio, all’in-terno del rapporto con Cristo e come offerta al Padre (cfr Esort. ap.postsin. Sacramentum caritatis, 71). Sì, “non di solo pane vivrà l’uo-

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LA PAROLA DEL PAPA

mo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): noi vi-viamo dell’obbedienza a questa parola, che è pane vivo, fino a conse-gnarci, come Pietro, con l’intelligenza dell’amore: “Signore, da chi an-dremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e cono-sciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).

Come la Vergine Maria, diventiamo anche noi “grembo” disponibi-le ad offrire Gesù all’uomo del nostro tempo, risvegliando il desiderioprofondo di quella salvezza che viene soltanto da Lui. Buon cammi-no, con Cristo Pane di vita, a tutta la Chiesa che è in Italia! Amen.

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22SANTA SEDE

Telegramma per il 60° anniversariodi Ordinazione sacerdotale del Santo Padre

Prot. n. 44/11 E

Santo Padre occasione 60° anniversario Vostra Ordinazione sacer-dotale anche at nome fedeli et clero questa diocesi formulo voti au-gurali uniti at preghiera per fecondità Vostro ministero pastore uni-versale. Assicuro fedeltà et devozione Vostro magistero et indicazionipreziose di vita spirituale et dedizione generosa et gioiosa at Cristoet Chiesa. Ci benedica.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

A Sua SantitàBenedetto XVI00120 Città del Vaticano

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23SANTA SEDE

Risposta della Segreteria di Stato

Dal Vaticano, 2 luglio 2011

Eccellenza Reverendissima,

il Santo Padre ha accolto con vivo compiacimento le espressioni difervido augurio, che Ella, anche a nome di codesta Comunità dioce-sana, ha voluto farGli pervenire in occasione del 60° anniversario del-la Sua Ordinazione sacerdotale, assicurando speciali preghiere per laSua persona.

Il Sommo Pontefice ringrazia cordialmente per tale premuroso at-testato di spirituale vicinanza e di comunione col Suo universale Mi-nistero e, mentre invoca da Cristo Sommo Sacerdote abbondanza digrazie per Lei e per quanti si sono uniti nel devoto pensiero, volen-tieri imparte l’implorata Benedizione Apostolica.

Profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto os-sequio

dell’Eccellenza Vostra Rev.madev.mo nel Signore

mons. Peter B. WellsAssessore

A Sua Eccellenza Rev.mamons. RAFFAELE CALABROVescovo di AndriaVescovado - Piazza Vittorio Emanuele II, 2376123 ANDRIA

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24CONFERENZA EPISCOLAPE ITALIANA

Messaggioper l’87ª Giornata per l’Università Cattolica

del Sacro Cuore(8 maggio 2011)

“L’università svolge un ruolo determinante per la formazione dellenuove generazioni, garantendo una preparazione che consente di orien-tarsi nella complessità culturale odierna” (Educare alla vita buona delVangelo, n. 49).

Il motto scelto per l’87a Giornata per l’Università Cattolica è dav-vero incisivo. Si tratta di un’espressione di Padre Agostino Gemelli,pubblicata nel 1932 nel capitolo dedicato all’azione del saggio Il fran-cescanesimo. Letta integralmente, suona: “agire soprannaturalmentenel cuore della realtà”. Padre Gemelli attribuisce al Santo di Assisi ilmerito di aver saputo vedere “l’azione sotto un aspetto, per i suoitempi, nuovissimo”, mettendo in evidenza “il valore religioso della vi-ta attiva”. Per giungere al cuore della realtà bisogna, infatti, imboc-care la via in cui la dimensione fattiva, cioè l’agire, si determina al-la luce della dimensione contemplativa.

È facile collegare questa pregnante formulazione con il tema edu-cativo, al centro dell’attenzione della Chiesa in Italia nel decenniocorrente, se l’educazione è intesa come introduzione alla realtà totalee la cultura è vista come l’ampio e concreto orizzonte di senso entroil quale il soggetto inscrive la propria interpretazione, progettazione epratica di vita, in una parola, la propria forma di civiltà. Allora l’uni-versità, luogo di elaborazione e comunicazione qualificata del sapere,si pone certamente come istituzione educativa di primo rilievo.

Ciò chiama immediatamente in causa la responsabilità ecclesiale.La pastorale dell’educazione, infatti, non è un corollario marginale,ma un compito costitutivo della comunità cristiana. Come ci ricordacon singolare efficacia il Beato Giovanni Paolo II, “una fede che nondiventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamentepensata, non fedelmente vissuta” (Discorso ai partecipanti al Con-

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

gresso nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale, 16gennaio 1982). Espressione di umanesimo integrale e trascendente,essa è passione originaria e servizio alla salvezza dell’uomo.

Proprio nell’università la fede cristiana è chiamata a dire se stes-sa in maniera credibile, come parola della verità che salva, perché saindicare la via della vita. Questa convinzione di fondo assumenell’università forma culturale, rispettosa della peculiare fisonomia ditale istituzione, caratterizzata dal libero dibattito delle idee, manell’orizzonte di un’indomita ricerca del vero.

In un tempo di marcata frammentazione e dispersione educativa,è necessario dilatare gli spazi dove la persona e la società trovinopercorsi idonei di formazione. L’asserita neutralità di ogni propostaaccademica snerva il potenziale educativo dell’università in nome diun rispetto astratto delle diversità. In realtà, la cultura e la sua co-municazione implica sempre una determinata – anche se talora nondichiarata – concezione dell’uomo e della vita; ogni impostazione edu-cativa, lo si voglia o no, ha sempre una valenza positiva o negativa.Il prevalere della pretesa di neutralità copre di fatto posizioni ideolo-gicamente determinate, sullo sfondo delle quali si coglie l’influsso pro-dotto dalla persistente emarginazione della questione antropologicadalla cultura pubblica e dal suo confinamento nel privato.

Nei suoi novant’anni di vita, l’Università Cattolica del Sacro Cuo-re ha perseguito con tenacia ed efficacia l’obiettivo di mostrare chenon è mera utopia la convinzione che proprio all’interno di un’istitu-zione universitaria la Parola della fede si muove a suo agio e può co-stituire l’orizzonte entro il quale trova unità e coerenza la differen-ziata coltivazione del sapere delle molteplici discipline accademiche.Si fa chiaro così come proprio all’interno di un’università sia possibi-le mostrare che la luce del Vangelo è sorgente di cultura autentica,capace di superare la frammentazione e il pragmatismo funzionale,per sprigionare energie di nuovo umanesimo.

Per questo va ribadito e incrementato il legame originario tra“l’Ateneo dei cattolici italiani” e le Chiese locali: l’Università Cattoli-ca è posta al servizio di questa responsabilità ecclesiale, sulla fron-tiera di quella nuova evangelizzazione su cui il Papa Benedetto XVIha ripetutamente posto l’accento. Essa è, per natura propria, il “cor-tile dei gentili dove gli uomini possano in una qualche maniera ag-ganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’acces-so al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa” (Di-scorso alla Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi,21 dicembre 2009). Nella sua origine e per la sua storia, l’UniversitàCattolica è frutto di quell’impulso insopprimibile per cui la fede cri-stiana proietta i propri valori nel vissuto storico dell’uomo, facendosi

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

generatrice di cultura, con un’intelligenza del reale che illumina lesingole realtà e le diverse situazioni nelle quali è in questione la per-sona umana. Tutto questo ne esalta il ruolo a servizio delle diocesiitaliane e chiede il contributo di educatori competenti, convinti e coe-renti, maestri di sapere e di vita, formati alla scuola dell’unico Mae-stro.

Su questo sentiero, l’Università Cattolica sa di essere chiamata acompiere un’opera di autentica umanizzazione. Dal canto loro, leChiese che sono in Italia sono invitate a valorizzare questa Giornata,occasione preziosa per sensibilizzare le comunità sull’importanza e suibisogni concreti di un’istituzione tanto preziosa e peculiare.

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Comunicato finaledella 63ª assemblea generale della CEI

(27 maggio 2011)

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“La comunione nello Spirito Santo è la condizione del giusto di-scernimento”. Queste parole, pronunciate dal Card. Marc Ouellet, Pre-fetto della Congregazione per i Vescovi, nell’omelia della Concelebra-zione eucaristica in San Pietro, individuano con efficacia i tratti ca-ratterizzanti la 63ª Assemblea Generale della CEI (Roma, 23-27 mag-gio 2011). A essa hanno preso parte 231 membri e 18 Vescovi emeri-ti, a cui si sono aggiunti 22 rappresentanti di Conferenze Episcopalieuropee, i delegati dei religiosi, delle religiose, degli Istituti secolari,della Commissione Presbiterale Italiana e della Consulta Nazionaledelle aggregazioni laicali, nonché alcuni esperti, in ragione degli ar-gomenti trattati.

Uno spirito di comunione ha contraddistinto anzitutto la prolusionedel Presidente, il Card. Angelo Bagnasco, che ha riletto, a partire dal-la recente beatificazione, la figura e il magistero di Giovanni Paolo II,riproponendo la forza rigenerante dell’originalità cristiana, anche in unclima culturale segnato dal dilagare del secolarismo e del relativismo.Con fermezza, esprimendo “dolore e incondizionata solidarietà” alle vit-time e alle loro famiglie, ha ribadito il dovere di affrontare l’infamepiaga degli abusi sessuali perpetrati da sacerdoti; la preoccupazione perla crisi della vita pubblica e per l’individualismo indiscriminato cheporta a ignorare le urgenze sociali; il bisogno di tutelare la persona inogni momento della vita e la famiglia, come nucleo primario della so-cietà; la necessità di qualificare la scuola e di una politica del lavoroche abbia a cuore il futuro dei giovani. L’anelito alla comunione ha in-dotto a varcare i confini del nostro Paese, per soffermarsi sullo situa-zione del Medio Oriente e del Nordafrica, con particolare attenzione al-la Libia, chiedendo un “cessate il fuoco” che apra la strada alla diplo-mazia e a un diverso coinvolgimento dell’Unione europea.

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La comunione si è manifestata visibilmente nella celebrazione ma-riana del 26 maggio nella Basilica di S. Maria Maggiore, nella qua-le i Vescovi, riuniti in preghiera intorno al Santo Padre, hanno rin-novato l’affidamento dell’Italia alla Vergine Madre, nell’anno in cui ri-corre il centocinquantesimo anniversario dell’unità politica.

L’Assemblea Generale ha esercitato il suo discernimento in parti-colare riflettendo sulle modalità secondo cui articolare nel decenniocorrente gli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Van-gelo, approvati nel 2010. In quest’opera i Vescovi sono stati guidati dadue relazioni magistrali, l’una volta ad approfondire cosa significhiintrodurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ec-clesiale, e l’altra imperniata sulla sfida che il secolarismo pone all’uni-versalità cristiana.

Continuando l’opera iniziata nella precedente Assemblea Generale,tenuta ad Assisi nel novembre scorso, i Vescovi hanno esaminato e ap-provato la seconda parte dei materiali della terza edizione italiana delMessale Romano. Fra gli adempimenti di natura amministrativa, spic-ca l’approvazione della ripartizione e dell’assegnazione delle sommederivanti dall’otto per mille.

A integrazione dei lavori, sono state svolte comunicazioni e dateinformazioni su alcune esperienze ecclesiali di rilevanza nazionale esui prossimi eventi che coinvolgeranno le Chiese in Italia.

1. L’esperienza cristiana, via della bellezza

L’educazione è il fulcro prospettico e l’impegno prioritario delle dio-cesi italiane nel decennio corrente: ciò impone un’attenta analisi delledinamiche culturali in cui essa è chiamata a vivere. È fondamentaleaffrontare il discorso culturale per giungere a una proposta di fede, inuna società nella quale il pensiero individualistico trasforma la libertàin privilegio del più forte e conduce alla deriva dell’indifferenza.

Oggi la secolarizzazione costituisce la condizione normale per cia-scuno. L’approfondimento dedicato al tema ha aiutato a recuperare lagenesi storica di questa situazione, che ha visto anzitutto venire me-no la fiducia che la singolarità di Cristo conferisca unità e senso atutto ciò che è umano. Questa frattura ha aperto la strada alla pri-vatizzazione della fede e alla costruzione di alternative culturaliall’universalismo cristiano, sfociate nelle ideologie del Novecento. Lacritica radicale all’Assoluto ha portato con sé anche la negazione de-gli assoluti antropologici, con l’avvento dei particolarismi, della fram-mentarietà e della solitudine, fino alla deriva nichilista.

Per non restare succubi e inerti, è indispensabile riproporre l’espe-rienza cristiana quale sintesi forte e bella, che individua nel Cristo ilprincipio che ridona respira a tutto l’umano. Educare alla fede di-

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venta così la prima urgenza e il primo servizio a cui la Chiesa è chia-mata, dando respiro e profondità all’impegno culturale e alla testimo-nianza della carità.

2. Con la forza di un incontro

L’orizzonte della fede non muove da una dottrina o da un’etica,ma da un incontro personale. Nel dibattito in aula è emersa con for-za la necessità di contestualizzare l’opera educativa della Chiesa nelpanorama culturale, consapevoli del fatto che è questo il momento perindicare strade che introducano e accompagnino all’incontro con Cri-sto. In tale ottica, il lavoro in gruppi di studio – finalizzato a indivi-duare soggetti e metodi dell’educazione alla fede – ha evidenziato an-zitutto l’imprescindibilità, per la trasmissione della fede, di relazioniprofonde di prossimità e di accompagnamento, nella linea dell’iconaevangelica dei discepoli di Emmaus.

Molti hanno sottolineato come non manchino nelle nostre comu-nità sperimentazioni stimolanti e buone prassi, soprattutto nell’ambi-to dell’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi: un primo obiet-tivo operativo sarà quello di una mappatura delle esperienze, che neconsenta una conoscenza più diffusa in vista del discernimento.

La famiglia – spesso integrata dall’apporto dei nonni – resta ilsoggetto educativo primario, nonostante le fragilità che la segnano.Un nuovo rilievo può essere assunto dai padrini, se scelti in quantopersone disponibili e idonee a favorire la formazione cristiana dellenuove generazioni.

Accanto alla famiglia, rimane fondamentale il ruolo della parroc-chia. Associazioni laicali, gruppi e movimenti vanno a loro volta va-lorizzati, verificandone con puntualità esperienze e proposte educati-ve. Molto ci si attende dai sacerdoti: ribadendo la stima nei loro con-fronti, per la dedizione di cui danno prova, si chiede loro un salto diqualità, le cui basi devono essere poste sin dalla formazione in semi-nario. Educatore per eccellenza, il sacerdote non può a sua volta esi-mersi dal dovere della formazione permanente, antidoto al rischio dilasciarsi travolgere dalle esigenze del fare, perdendo i riferimenticomplessivi del quadro culturale ed ecclesiologico, senza i quali l’atti-vità pastorale si condanna alla sterilità.

I Vescovi hanno condiviso l’importanza di offrire una risposta ac-cogliente e vitale in particolare ai cosiddetti “ricomincianti”: quanti,cioè, dopo un tempo di indifferenza o di distacco, maturano la volontàdi riavvicinarsi alla pratica religiosa e di sentirsi parte della Chiesa.Un’attenzione specifica deve essere rivolta agli immigrati – special-mente alle giovani generazioni –, destinati a diventare parte inte-grante delle comunità ecclesiali e del Paese.

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3. La carità politica nasce dalla santità

La prolusione del Cardinale Presidente è stata apprezzata perl’impostazione, l’equilibrio e l’ampiezza di sguardo. In particolare, iVescovi hanno condiviso la preoccupazione per la situazione di preca-riato lavorativo che mette a dura prova soprattutto i giovani, e perla contrazione dei servizi sociali – a partire dall’offerta sanitaria. Ildoveroso contenimento della spesa pubblica non può, infatti, avvenirepenalizzando il livello delle prestazioni sociali, che è segno di civiltàgarantire a tutti.

Unanime è l’impegno a investire energie per formare una nuovagenerazione di amministratori e di politici appassionata al bene co-mune. C’è bisogno in questo campo di luoghi, metodi e figure signifi-cative: tra esse, spicca per la sua esemplarità il Servo di Dio Giu-seppe Toniolo, la cui prossima beatificazione costituirà un’opportunitàper rilanciare un modello di fedele laico capace di vivere la misuraalta della santità.

Gli abusi sessuali compiuti da ministri ordinati sono una piaga in-fame, che “causa danni incalcolabili a giovani vite e alle loro famiglie,cui non cessiamo di presentare il nostro dolore e la nostra incondi-zionata solidarietà”: stringendosi intorno al Cardinale Presidente e fa-cendone proprie le parole ferme, i Vescovi hanno ribadito che sull’in-tegrità dei sacerdoti non si può transigere. Condivisa è la certezzache chiarezza, trasparenza e decisione, unite a pazienza e carità, so-no la via della perenne riforma della Chiesa.

Profonda sintonia è emersa anche nella valutazione della dram-matica situazione libica: i Vescovi hanno chiesto con fermezza che learmi cedano il posto alla diplomazia; che l’Europa avverta come ilNordafrica rappresenti oggi un appuntamento a cui è essa convocatadalla storia; che l’impegno di accoglienza dei profughi sia condiviso alivello comunitario. Particolare riconoscenza va alle Caritas diocesanee alle associazioni di volontariato che si stanno spendendo per farefronte all’emergenza, forti di un’esperienza di integrazione da tempoquotidianamente condotta.

4. Sotto il manto della Vergine

L’Assemblea Generale ha vissuto il suo momento più alto e toc-cante giovedì 26 maggio, stingendosi in preghiera intorno al SantoPadre per la recita del Rosario nella Basilica di S. Maria Maggiore.

In questo modo – come ha ricordato il Cardinale Presidentenell’indirizzo di saluto – si è voluto affidare l’Italia a Maria nel cen-tocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale, richiamando i tas-selli di una memoria condivisa e additando gli elementi di una pro-spettiva futura per il Paese.

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Papa Benedetto XVI, osservando che a ragione l’Italia può essereorgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa, ha esortato i Ve-scovi a essere coraggiosi nel porgere a tutti ciò che è peculiaredell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte,quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. In par-ticolare, ha incoraggiato le iniziative di formazione ispirate alla dot-trina sociale della Chiesa e ha sostenuto gli sforzi di quanti si impe-gnano a contrastare il precariato lavorativo, che compromette nei gio-vani la serenità di un progetto di vita familiare.

5. Liturgia, fulcro dell’educazione

La liturgia costituisce il cuore dell’azione educativa della Chiesa.Continuando il lavoro intrapreso nella precedente Assemblea Genera-le (Assisi, 8-11 novembre 2010), i Vescovi hanno esaminato i mate-riali della seconda parte della terza edizione italiana del Messale Ro-mano. Per completare l’opera, restano da affrontare gli adattamentipropri della versione italiana: essi saranno esaminati nella prossimaAssemblea Generale, che si terrà a Roma nel maggio 2012.

6 Adempimenti amministrativi, comunicazioni e informazioni

Come ogni anno, i Vescovi hanno provveduto ad alcuni adempi-menti amministrativi, fra cui spicca l’approvazione dell’assegnazione edella ripartizione delle somme provenienti dall’otto per mille per il2011. I dati, come sempre riferiti alle dichiarazioni dei redditi effet-tuate tre anni fa, cioè nel 2008, confermano l’ottima tenuta del mec-canismo dell’otto per mille: all’aumento complessivo del numero deifirmatari, è corrisposta la perfetta tenuta della percentuale di quantihanno espresso la propria preferenza per la Chiesa cattolica. Ciò in-duce a perseverare nell’impegno di trasparenza quanto all’utilizzazio-ne e alla rendicontazione di queste somme.

Si è data comunicazione degli esiti della rilevazione delle opere sa-nitarie e sociali ecclesiali presenti in Italia. È stato presentato il li-bro bianco informatico sulle opere realizzate grazie ai fondi dell’ottoper mille, nonché il portale internet www.chiesacattolica.it. Si sonoforniti ragguagli sul seminario di studio per i Vescovi sul tema deirapporti fra Chiesa, confessioni religiose e Unione europea (Roma, 14-16 novembre 2011). Altre informazioni hanno riguardato la Giornataper la Carità del Papa, la Giornata Mondiale della Gioventù di Ma-drid, il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona e l’Incontro Mon-diale delle Famiglie di Milano.

Infine, è stato approvato il calendario delle attività della CEI perl’anno pastorale 2011-2012.

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7. Nomine

La Presidenza della CEI, riunitasi il 23 maggio, ha nominato donPaolo Morocutti (Siena – Colle di Val d’Elsa – Montalcino) Assisten-te Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Ro-ma.

Il Consiglio Episcopale Permanente, riunitosi il 25 maggio, haprovveduto alle seguenti nomine:– Padre Michele Pischedda, Oratoriano, Assistente Ecclesiastico Na-

zionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).– S.E. Mons. Luigi Marrucci, Vescovo di Civitavecchia – Tarquinia,

Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’UNITALSI. – Don Danilo Priori (L’Aquila), Vice Assistente Ecclesiastico Nazio-

nale dell’UNITALSI. – Prof. Francesco Miano, Presidente Nazionale dell’Azione Cattolica

Italiana.– Dott.ssa Francesca Simeoni, Presidente Nazionale Femminile del-

la Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

Ha inoltre confermato:– Avv. Salvatore Pagliuca, Presidente dell’UNITALSI.– Mons. Antonio Donghi (Bergamo), Assistente Spirituale Nazionale

dell’Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cri-sto.

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Messaggioper la 6ª Giornata per la salvaguardia del creato

(1° settembre 2011)

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“In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza”

Il tema della 6ª Giornata per la salvaguardia del creato è assai si-gnificativo nel contesto del dibattito ecclesiale e culturale odierno. Es-so si articola in quattro punti, in continuità con l’argomento trattatol’anno passato, Custodire il creato, per coltivare la pace, nella lineadegli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decenniocorrente: “La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecitaquello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevo-le all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosidei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona,educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, allasolidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia delcreato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilitàetica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie” (Educare alla vi-ta buona del Vangelo, n. 50).

La Giornata diventa così occasione di un’ulteriore immersione nel-la storia, per ritrovare le radici della solidarietà, partendo da Dio, checreò l’uomo a sua immagine e somiglianza, con il mandato di fare del-la terra un giardino accogliente, che rispecchi il cielo e prolunghil’opera della creazione (cfr Gen 2,8-15).

1. L’uomo, creatura responsabile e ospitale

La Sacra Scrittura, infatti, narra che l’uomo venne posto da Dionel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Affidando-gli la terra, Dio gli consegnò, in qualche modo, tutta la sua gratuità.L’uomo diventa così la creatura chiamata a realizzare il disegno divi-

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no di governare il mondo nello stile della gratuità, con santità e giu-stizia (cfr Sap 9,2-3), fino a giungere alla meta di riconoscersi, pergrazia, figlio adottivo in Gesù Cristo (cfr Ef 1,5).

Accogliendo l’intero creato come dono gratuito di Dio e agendo inesso nello stile della gratuità, l’uomo diviene egli stesso autentico spa-zio di ospitalità: finalmente idoneo e capace di accogliere ogni altroessere umano come un fratello, perché l’amore di Dio effuso dallo Spi-rito nel suo cuore lo rende capace di amore e di perdono, di rinunciaa se stesso, “di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace” (Be-nedetto XVI, Caritas in veritate, n. 79).

È il cuore dell’uomo, infatti, che deve essere formato all’accoglien-za, anzitutto della vita in se stessa, fino all’incontro e all’accoglienzadi ogni esistenza concreta, senza mai respingere qualcuno dei proprifratelli. Il Santo Padre ci ricorda che: “se si perde la sensibilità per-sonale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre for-me di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienzadella vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco”(Caritas in veritate, n. 28).

L’ospitalità diventa così, in un certo senso, la misura concreta del-lo sviluppo umano, la virtù che getta il seme della solidarietà nel tes-suto della società, il parametro interiore ed esteriore del disegnodell’amore che rivela il volto di Dio Padre. Diventando ospitale, l’uo-mo riconosce con i fatti a ogni persona il diritto a sentirsi di casa nelcuore stesso di Dio.

2. Il problema dei rifugiati ambientali

In questa delicata stagione del mondo il tema dell’ospitalità ri-chiama con drammatica urgenza le dinamiche delle migrazioni inter-nazionali, nel loro legame con la questione ambientale. Sono semprepiù numerosi, oggi, gli uomini e le donne costretti ad abbandonare laloro terra d’origine per motivi legati, più o meno direttamente, al de-grado dell’ambiente. È la terra stessa, infatti, che – divenuta inospi-tale a motivo del mancato accesso all’acqua, al cibo, alle foreste eall’energia, come pure dell’inquinamento e dei disastri naturali – ge-nera i cosiddetti “rifugiati ambientali”. Si tratta di un fenomeno chepuò avere una dimensione nazionale, laddove gli spostamenti avven-gano all’interno di un Paese o di una regione; ma che si caratterizzasempre più spesso per la portata globale, con migrazioni che interes-sano talvolta popoli interi, sospinti dagli eventi a spostarsi in terrelontane.

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In questo processo gioca un ruolo non trascurabile il mutamentodel clima, che attraverso la variazione repentina e non sempre pre-vedibile delle sue fasce, rischia di intaccare l’abitabilità di intere areedel pianeta e di incrementare, di conseguenza, i flussi migratori.

Per quanto sia possibile prevedere, non si è lontani dal vero im-maginando che entro la metà di questo secolo il numero dei profughiambientali potrà raggiungere i duecento milioni.

Si comprende bene, allora, il senso dell’accorato richiamo del Pa-pa nel Messaggio per la giornata della pace dell’anno 2010: “Come ri-manere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fe-nomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado ela perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento deifiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumentodi eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali etropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti ‘profu-ghi ambientali’: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cuivivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affron-tare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato?” (n. 4).

3. Educare all’accoglienza

È questo lo scenario cosmico e umano dentro il quale la Chiesa èchiamata oggi a rendere presente il mistero della presenza di Cristo,via, verità e vita, riproponendone con forza il messaggio di solidarietàe di pace. Attraverso la sua opera educativa, “la Chiesa intende esse-re testimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienzadel povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pa-cifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e dei di-ritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero,immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nellasalvaguardia del creato” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 24).

Ecco perché educare all’accoglienza a partire dalla custodia delcreato significa condurre gli uomini lungo un triplice sentiero: quello,anzitutto, di coltivare un atteggiamento di gratitudine a Dio per il do-no del creato; quello, poi, di vivere personalmente la responsabilità direndere sempre più bella la creazione; quello, infine, di essere,sull’esempio di Cristo, testimoni autentici di gratuità e di servizio neiconfronti di ogni persona umana. È così che la custodia del creato,autentica scuola dell’accoglienza, permette l’incontro tra le diverseculture, fra i diversi popoli e perfino, nel rispetto della identità di cia-scuno, fra le diverse religioni, e conduce tutti a crescere nella reci-proca conoscenza, nel dialogo fraterno, nella collaborazione più piena.

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Ciò può realizzarsi senza mai dimenticare la necessità che laChiesa, con il coraggio della parola e l’umiltà della testimonianza,continui a proclamare che è proprio Gesù Cristo, il Verbo di Diofatto carne, la presenza profonda che permette il disvelarsi del di-segno di Dio sull’uomo e sul cosmo, perché “tutto è stato fatto permezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv1,3). È in Cristo che la solidarietà diventa reciprocità, esercizio diamore fraterno, gara nella stima vicendevole, custodia dell’identitàe della dignità di ciascuno, stimolo al cambiamento nel vivere so-ciale.

È consolante rilevare come, sull’insieme di questi temi, le diverseChiese e comunità cristiane abbiano raggiunto una significativa sin-tonia: il mondo ortodosso, a partire dal Patriarcato ecumenico, ha de-dicato al problema della salvaguardia responsabile del creato docu-menti, momenti di riflessione ed iniziative; le diverse denominazionievangeliche condividono la preoccupazione per l’uso equo e solidaledelle risorse della terra, in un impegno concreto e fattivo. Tutte con-vergono nella sollecitudine verso i più poveri, verso le vittime delleguerre, dei disastri ambientali e della ingiusta distribuzione dei frut-ti della terra.

La Giornata per la salvaguardia del creato si conferma, così, an-che una felice occasione di incontro ecumenico, che mostra come ildialogo fra i credenti in Cristo salvatore non si limiti al confronto teo-logico, ma tocchi il comune impegno per le sorti dell’umanità.

Tutti siamo chiamati a cooperare perché le risorse ambientali sia-no preservate dallo spreco, dall’inquinamento, dalla mercificazione edall’appropriazione da parte di pochi. Il fatto che, in questo sforzocondiviso, le Chiese riescano a parlare con una voce sola, rappresen-ta una grande testimonianza cristiana, che rende di sicuro più credi-bile l’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi.

4. I miti, eredi di questo mondo

“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra” (Mt 5,5). Sentir-si custodi gli uni degli altri è l’effetto dinamico dell’essere dononell’accoglienza. Sappiamo, però, che la mitezza coincide con la pu-rezza del cuore: è uno stile di vita e di relazioni a cui il cristianoaspira, perché in esso arde la pienezza dell’umiltà contro la prevari-cazione e l’egoismo. Sono i miti i veri difensori del creato, perchéamano quanto il Padre ha creato per la loro sussistenza e la loro fe-licità.

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Dio infatti “ha creato il mondo per manifestare e per comunicarela sua gloria, in modo che le sue creature abbiano parte alla sua ve-rità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Diole ha create” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 319).

Tutti abbiamo bisogno di Dio: riconoscendoci opera delle sue ma-ni, sue creature, siamo invitati a custodire il mondo che ci ha affida-to, perché, condividendo le risorse della terra, esse si moltiplichino,consentendo a ogni persona di condurre un’esistenza dignitosa.

Roma, 12 giugno 2011, Solennità di Pentecoste

La Commissione Episcopale La Commissione Episcopaleper il problemi sociali e il lavoro, per l’ecumenismo e il dialogo

la Giustizia e la pace

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Calendariodelle Giornate mondiali e nazionali del 2012

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Le Giornate mondiali sono riportate in neretto;le Giornate nazionali in corsivo

GENNAIO

- 1° gennaio: 45a Giornata della pace

- 6 gennaio: Giornata dell’infanzia missionaria

- 15 gennaio: 98ª Giornata delle migrazioni (colletta obbligatoria)

- 17 gennaio: 23ª Giornata per l’approfondimentoe lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei

- 18-25 gennaio: Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani- 29 gennaio: 59ª Giornata dei malati di lebbra

FEBBRAIO

- 2 febbraio: 16ª Giornata della vita consacrata

- 5 febbraio: 34ª Giornata per la vita

- 11 febbraio: 20ª Giornata del malato

MARZO

- 24 marzo: Giornata di preghiera e digiunoin memoria dei missionari martiri

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

APRILE

- 1° aprile: 27ª Giornata della gioventù (celebrazione nelle diocesi)- 6 aprile: Venerdì santo

(o altro giorno determinato dal Vescovo diocesano) Giornata per le opere della Terra Santa(colletta obbligatoria)

- 22 aprile: 88ª Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore(colletta obbligatoria)

- 29 aprile: 49ª Giornata di preghiera per le vocazioni

MAGGIO

- 6 maggio: Giornata di sensibilizzazioneper il sostegno economico alla Chiesa Cattolica

- 20 maggio: 46ª Giornata per le comunicazioni sociali

GIUGNO

- 15 giugno: Solennità del Sacratissimo Cuore di GesùGiornata di santificazione sacerdotale

- 24 giugno: Giornata per la carità del Papa(colletta obbligatoria)

SETTEMBRE

- 1° settembre: 7ª Giornata per la salvaguardia del creato

OTTOBRE

- 21 ottobre: Giornata missionaria (colletta obbligatoria)

NOVEMBRE

- 1° novembre: Giornata della santificazione universale - 11 novembre: Giornata del ringraziamento

- 21 novembre: Giornata delle claustrali - 25 novembre: Giornata di sensibilizzazione

per il sostentamento del clero

* Domenica variabile: Giornata del quotidiano cattolico

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40CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE

“I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi”.Dal terzo Convegno ecclesiale regionale

Dal 27 al 30 Aprile si è tenuto il III Convegno Ecclesiale Regio-nale promosso dalla Conferenza Episcopale Pugliese “I laici nellaChiesa e nella società pugliese, oggi”. Laici, Vescovi, Sacerdoti, Reli-giosi, provenienti dalle diocesi della regione, si sono incontrati pressoil Centro di Spiritualità Padre Pio a San Giovanni Rotondo. La dio-cesi di Andria - rappresentata dal nostro Pastore S. Ecc.za Mons. Raf-faele Calabro, dai delegati Anna Maria Basile e Don Francesco DiTria, dal Presidente diocesano di Azione Cattolica, Silvana Campani-le, dai rappresentanti delle zone pastorali Giuseppe Coratella, Vin-cenzo Caricati, Giuseppe Sciascia, Rosa Cascella, da Don Paolo Za-mengo per i Religiosi e Annamaria Di Leo per le aggregazioni laica-li - ha partecipato al Convegno contribuendo allo svolgimento dellostesso.

All’introduzione di S. Ecc.za Mons. Pietro Maria Fragnelli, Vesco-vo di Castellaneta e Presidente dell’Istituto Pastorale Pugliese e allarelazione della prof.ssa Annalisa Caputo, docente all’Università di Ba-ri e alla Facoltà Teologica Pugliese sono seguite tre sessioni di lavo-ro articolate in tre aree “Educazione”, “Corresponsabilità”, “Testimo-nianza”, sul tema “Coltivare la speranza in Puglia”. Gli orientamentiindicati sono stati approfonditi nella seconda giornata all’interno deinove gruppi di lavoro. I partecipanti si sono confrontati sulla traccia“Laici per un nuovo protagonismo della società civile e della comunitàecclesiale”.

Nella sua relazione la prof.ssa Caputo prova a tracciare l’identitàdel laico nel pensiero contemporaneo che «intende per laico il non cre-dente, l’agnostico, chi prescinde dalla religione, o chi crede nella se-parazione della sfera del religioso dalla sfera del pubblico». Invece«essere laici – afferma la relatrice – significa desiderare di essere fe-

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CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE

lici, vivendo una vita compiuta in tre dimensioni: il rapporto con sestessi, con gli altri e con le istituzioni». Il laico, «uomo del presenteche non rinuncia a scrivere l’utopia del futuro», è uomo di speranza.Il laico cristiano non è chiamato a pensare un altro orizzonte, ma adamare questo orizzonte. Fondamentale per il laico cristiano è il sensodel cammino, non nella solitudine delle proprie certezze, ma nellacompagnia delle opinioni altrui, rinunciando alla tentazione del “ più”(più uomo, più bravo, più giusto, più laico). La preghiera, i sacra-menti e la direzione spirituale assicurano il “minimo comune” nellamolteplicità dei carismi, considerando che non esiste un unico model-lo di laico.

Quest’ora in cui i laici di Puglia si incontrano intorno ad un pro-getto comune può diventare “tempo favorevole” nella misura in cui di-viene anche l’ora dei Vescovi, dei Sacerdoti, dei Religiosi, l’ora in cuioccorre stare “insieme di fronte”. La Chiesa di Puglia ha una sua vo-cazione: il dialogo con culture differenti, dialogo favorito dalla collo-cazione geografica del nostro territorio, configurazione ideale per es-sere costruttori di ponti.

Il discernimento operato all’interno dei gruppi di lavoro ha gene-rato 12 proposizioni finali che riporto qui di seguito in sintesi.1. Laici educatori: la difficoltà di educare nella società contempora-

nea è superabile solo all’interno di un progetto educativo in rete.2. Alleanza educativa e scuola: la comunità cristiana deve guardare

con rinnovata attenzione e fiducia alla scuola e all’università sta-tale. I laici cristiani possono contribuire a renderle luoghi di for-mazione integrale e non di mero accumulo di informazioni e com-petenze operative.

3. Parrocchia, famiglia, giovani: fondamentale è il recupero dell’amo-re come metodologia comune e la promozione di un’apertura intermini di ricerca di significati, di ascolto e narrazione di espe-rienze.

4. Trasmissione della fede: occorre rimettere al centro la Sacra Scrit-tura; riconoscere i singoli carismi, perché la comunità cristiana siasempre una comunità plurale; valorizzare le competenze e condi-videre la responsabilità, per operare un consapevole discernimen-to.

5. Laici corresponsabili: si compia un cammino sinodale del laicatopugliese, al fine di vivere in maniera corresponsabile la comunepassione evangelica.

6. I luoghi della corresponsabilità: è necessario allargare gli orizzon-ti verso una pastorale d’ambiente aperta al territorio e alle istan-ze della storia in fedeltà a Dio e all’uomo.

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CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE

7. Aggregazioni laicali: per una vera e profonda conoscenza recipro-ca ogni aggregazione, pur nella sua propria identità, sia aperta al-le altre per creare comunione, al fine del servizio a Cristo e allaChiesa.

8. Itinerari di formazione condivisi fra presbiteri, religiosi e laici: sipropone la costituzione di una commissione diocesana per la for-mazione, composta da ministri ordinati, religiosi e laici, che possaprogettare e realizzare ordinariamente itinerari formativi comuni.

9. Laici testimoni: si avverte l’esigenza del riconoscimento dei dirittiinviolabili della persona e la necessità di sviluppare una letturaculturale e sociopolitica delle problematiche del territorio.

10. Cittadinanza e interculturalità: si auspica il superamento dellacultura dell’autosufficienza, dell’autoreferenzialità e il recupero delsenso delle radici del nostro popolo.

11. Etica ed economia: è l’ambito nel quale i laici possono operare intermini più diretti e immediati rispetto a quanto le irrinunciabiliesigenze di una “prudenza politica” non consentano di fare alle au-torità ecclesiastiche.

12. Impegno socio-politico: è necessario elaborare percorsi educativi ra-dicati nella Parola e capaci di intercettare la vita concreta dellepersone, valorizzando al meglio il patrimonio di cui dispongono.

Il percorso tracciato fin qui e consegnato ad una Chiesa che in-tende “coltivare la speranza” impegna ad una ulteriore “manutenzio-ne spirituale e morale straordinaria” - ha commentato Mons. Fra-gnelli.

Il passaggio dalla logica della collaborazione a quella, più alta, delservizio che favorisce la comunione, è stato per me motivo di profon-da riflessione; l’accettare di vivere il mondo in una logica di amoreche escluda il giudizio, affinché possa trasparire, attraverso di me, labellezza dell’amore di Dio, dono gratuito.

* * *

Numero delegati: 350 di cui 250 laici rappresentanti le 19 diocesidi Puglia.

Aree di approfondimento: n. 3(Educazione, Corresponsabilità, Testimonianza)

Ogni area sviluppa n. 4 temi

• Educazione:Laici educatori Alleanza educativa e scuola

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CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE

Parrocchia, famiglia e giovaniTrasmissione della fede

• Corresponsabilità:Laici corresponsabiliI luoghi della corresponsabilitàAggregazioni laicaliItinerari di formazione condivisi fra presbiteri, religiosi e laici

• Testimonianza:Laici testimoniCittadinanza e interculturalitàEtica ed economiaImpegno socio-politico

LA PAROLA DEL VESCOVO

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44VITA DIOCESANA

Messaggio alla comunità parrocchialeS. Giovanni Battista in Canosa di Puglia

Prot. n. 35/11 E

Carissimo Parroco e carissimi fedeli,

Il prossimo 29 maggio sarò con voi per amministrare la Cresimaad un gruppo di ragazzi della vostra parrocchia.

Per l’occasione, credo opportuno rivolgere un caro saluto ai cresi-mandi, ai loro genitori ed amici e a tutti i fedeli della parrocchia.

La Cresima, infatti, è un sacramento che coinvolge tutta la comu-nità parrocchiale, dalla quale questi ragazzi sono stati accolti nel Bat-tesimo, della quale sono divenuti membri e che ha contribuito a farcrescere nella fede con la testimonianza di una vita cristiana auten-tica.

Sui Confermandi sarà invocato lo Spirito Santo, che verrà ad essielargito con l’imposizione delle mani del Vescovo e l’unzione sullafronte con il Crisma.

Nelle mie omelie in occasione delle cresime, faccio spesso notareche il rito della Confermazione è molto simile a quello dell’Ordina-zione dei presbiteri, dei quali vengono unte le mani.

Dalla Cresima, oltre che dal Battesimo, trae origine l’apostolatodei laici, non inferiore, per importanza, a quello dei presbiteri e, conquesto, complementare.

È a voi noto il programma pastorale della Conferenza EpiscopaleItaliana “Educare alla vita buona del Vangelo”, che intende risponde-re all’emergenza educativa, che è sotto gli occhi di tutti. I nostri ado-lescenti e giovani risentono di questa grave lacuna soprattutto nellerelazioni con gli adulti e coetanei, con conseguenti squilibri in camposociale e politico.

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LA PAROLA DEL VESCOVO

Grazie all’impegno generoso delle nostre comunità parrocchiali(presbiteri, famiglie, catechisti, fedeli in generale) la situazione è me-no drammatica tra le nostre popolazioni.

Il lavoro, tuttavia, deve continuare ad accrescersi per dare rispo-sta alla voglia di credere dei giovani, che emerge da recenti sondag-gi, non solo ecclesiastici ma anche civili.

Voglia di credere si traduce nel cercare, insieme con loro, chi eche cosa può servire loro come punto di riferimento e come fonda-mento di una speranza credibile.

La Chiesa, nel suo insieme: sacramenti, catechesi, testimonianzadella carità, indica Cristo Risorto, che riempie la comunità e i singo-li fedeli di autentica gioia, come stiamo esperimentando in questi cin-quanta giorni, dalla Veglia di Pasqua alla Pentecoste.

Molte volte la morale è considerata in maniera angusta, come uninsieme di precetti e di norme, che si tratterebbe di inculcare se nonaddirittura di sanzionare con punizioni e castighi.

Questa non è la via della Chiesa, che invece educa alla vita buo-na del Vangelo, cioè ad uno stile di vita che, riempiendo il singolo,trasborda sugli altri e cioè sull’apostolato, come dicevo prima.

Perché si invoca e si comunica lo Spirito Santo? Perché senza diLui l’apostolato scade in propaganda, che solletica la superficie, manon scende in profondità, non appaga quel bisogno di credere, cheanima adolescenti, giovani e adulti.

Gli scritti del Nuovo Testamento attestano che la presenza delloSpirito veniva sentita ed esperimentata con potenza e segni straordi-nari, quali il dono delle lingue ed estasi, tanto che il rito della Cre-sima appariva come la logica conseguenza (v. At 8,14-15).

Son certo, pertanto, che l’intera comunità parrocchiale scorgerànella Cresima dei nostri ragazzi come il soffio potente dello SpiritoSanto che investe tutti: adulti, giovani e famiglie, per operare un rin-novamento profondo nella nostra vita e nel nostro operare, per por-tare frutti di opere e non soltanto belle parole.

Con affetto, vi saluto e vi benedico.

Andria, dalla Sede Vescovile, 14 maggio 2011,festa di San Mattia, apostolo.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

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Presentazione al volume C. Gelao - L. RennaMinervino Murge

Testimonianze su un’antica diocesi

VITA DIOCESANA

Prot. n. 39/11 E

Presentazione

Mi è grato presentare questa pubblicazione che raccoglie gli attidi due Convegni: il primo celebrato il 24 maggio 2008, il secondo il19-20 settembre 2008, dal titolo “La Chiesa Madre di Minervino, sto-ria ed arte di un’antica Cattedrale”

L’occasione è stata quella del IV centenario della Dedicazione del-la Chiesa Matrice, già Cattedrale di Minervino Murge, avvenuta il 30agosto 1608, celebrato con varie iniziative di natura liturgica e pa-storale, e con iniziative di carattere culturale, come appunto i dueConvegni già menzionati.

Per ben intendere l’arte (architettura, quadri, oggetti artistici, etc.)è necessario tener presente il suo contesto storico. Mons. Luigi DePalma, dopo aver fatto il punto della situazione odierna, conclude op-portunamente: “In conclusione, sebbene la storiografia tradizionale mi-nervinese possa essere giudicata datata e perciò inadeguata a corri-spondere alle moderne esigenze della disciplina storica, una nuova sto-ria della Chiesa di Minervino, rigorosa e valida sotto l’aspetto scien-tifico, può rappresentare un serio contributo della comunità ecclesialelocale all’evangelizzazione del nuovo millennio, in cui da alcuni annisono coinvolte le Chiese italiane” (pag. 232).

A tal riguardo, si può osservare che gli studi pregevoli delladott.ssa Clara Gelao “Osservazioni sulla cattedrale rinascimentale diMinervino Murge”, con appendice iconografica di ottima fattura, comepure quello della dott.ssa Teresa D’Avanzo “”sui segni lasciati dallanuova costruzione e dei restauri ottocenteschi”, e del prof. Vincenzo Zi-

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LA PAROLA DEL VESCOVO

to sull’Episcopio e di tanti altri, si muovono sulla direzione indicatada Mons. Luigi De Palma: rigore scientifico, sì da colmare le lacunedella storiografia locale ed integrarla in essa.

Quanto poi alla valutazione della storiografia locale precedente co-me datata, va pur rilevato che la prospettiva di Chiesa e, soprattut-to, di Chiesa locale tracciata dal Concilio Vaticano II, ha spiazzato esuperato non solo l’opera dei trattatisti minervinesi o pugliesi, ma an-che quella di altre regioni italiane ed europee.

A proposito della storia delle Chiese locali in Italia, non sonomancate , nell’ultimo ventennio, impegnate riflessioni. Ne segnalo so-lo qualcuna. Una quindicina di anni fa, in occasione di un seminariosu Storia locale e storia regionale. Il caso Veneto, il prof. Bruno Ber-toli intitolava il suo contributo: “La storia delle chiese locali: una nuo-va storiografia ecclesiastica?” (Atti del Convegno di studi, Neri Pozza1994, pp. 95-107). Nel 1995 uscirono gli atti di un importante Con-vegno di studi, dal titolo “Ricerca storica e chiesa locale in Italia. Ri-sultati e prospettive” (Dehoniane, Roma 1995).

In tale Convegno, Severino Dianich, reputato specialista di storiadell’ecclesiologia, constata il sostanziale disinteresse della storiografiaecclesiastica sino al Vaticano II, per talune elaborazioni ottocenteschedel concetto di chiesa locale, molto anguste e vaghe.

L’adozione di coppie semantiche come gerarchia e laicato, i riferi-menti espliciti alla pastoralità sono significativi a riguardo. Terminicome “famiglie religiose”, ”popolo di Dio”, mai e poi mai potremmo ri-trovarli in una ricerca ecclesiastica locale preconciliare.

Tale testimonianza e le concettualizzazioni che stanno dietro sono ilfrutto di un rinnovamento profondo di metodologie e di impostazioni.

Come non va scartata o svalutata totalmente o pregiudizialmentela tradizione complessa di studi e di ricerche in ambito locale, a par-tire dalla fine dell’ottocento, alimentata da diverse componenti. Quel-la civico-municipale, ad esempio, ha una forza ed una vitalità sor-prendente ed attuale.

Non va lasciato cadere l’invito o il suggerimento di Mons. LuigiDe Palma di ampliare e di meglio fondare scientificamente e con ri-gore critico le acquisizioni storiche in nostro possesso, sia in chiavesincronica (collegandole con le varie pratiche della pastorale, centrodiocesano-parrocchie, associazioni laicali, pietà popolare, etc.) sia inchiave diacronica, senza la quale difficilmente si coglie lo sviluppostorico.

Mons. De Palma indica lo scopo condivisibile di tale rivisitazioneed aggiornamento storico: la nuova evangelizzazione ed, io aggiunge-rei, la prospettiva di un maggiore radicamento della comunità eccle-siale nel territorio.

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VITA DIOCESANA

Pubblicazioni come questa in oggetto contribuiscono, senza ombradi dubbio, a ravvivare il senso di appartenenza della popolazione al-la propria terra, senza provincialismi o arroccamenti campanilistici, inun intreccio fecondo della storia della Chiesa con quella civile e so-ciale di tutto un popolo.

Riprendendo il concetto di Benedetto Croce, rilevo che la storianon è solo rievocatrice del passato, ma è anche quella che fluisceininterrotta nel presente verso il futuro.

Ed è proprio l’interesse per la palpitante attualità dell’ora presen-te lo stimolo e la motivazione più profonda che alimenta la ricercastorica di epoche e di tempi passati, rovistando i documenti di archi-vio, la produzione artistica, al peculiarità geofisiche, etc.

Minervino Murge, appollaiata in alto sul colle con la sua Catte-drale ed il Palazzo vescovile, spaziando verso la pianura sottostantespiega forse il carattere dei cittadini consapevoli della loro forza e delloro coraggio, fiduciosi in se stessi, ma soprattutto in Dio.

Andria, 31 maggio 2011, festa della Visitazione della B.V. Maria.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

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Lettera di Comunionein occasione del 60° anniversario

dell’Ordinazione sacerdotaledi Sua Santità Benedetto XVI

LA PAROLA DEL VESCOVO

Prot. n. 41/11 E

Il prossimo 29 giugno ricorrerà il sessantesimo anniversariodell’Ordinazione sacerdotale dell’amato Papa Benedetto XVI, avvenu-ta nella solennità dei Santi Pietro e Paolo del 1951. L’occasione è par-ticolarmente propizia per stringerci intorno al Sommo Pontefice, pertestimonarGli tutta la nostra gratitudine, il nostro affetto, la nostracomunione per il servizio che sta offrendo a Dio e alla Sua Chiesa e,soprattutto, per quel “risplendere della Verità sul mondo”, a cui il Suoalto magistero continuamente richiama.

Per questa fausta circostanza, la nostra Diocesi si unisce al San-to Padre nella preghiera, offrendoGli sessanta Ore di Adorazione Eu-caristica, continuative o distribuite fino alla fine di questo mese digiugno, nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nelle associazioni enei movimenti, invocando la santificazione del clero e per ottenere daDio il dono di nuove e sante vocazioni al presbiterato.

Certo di incontrare la collaborazione di tutti, colgo l’occasione perporgere cordiali saluti.

Andria, 20 giugno 2011

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

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Presentazionedel Programma Pastorale Diocesano (2011-2013)

“Dio educa il suo popolo.Discepoli di Cristo animati da una grande passione educativa”.

VITA DIOCESANA

Prot. n. 53/11 E

Ringrazio la Presidenza del Consiglio Pastorale Diocesano per leproposte avanzate ed argomentate per i prossimi due anni di pro-grammazione pastorale 2011-2012 e 2012-2013, una novità che vienespiegata con l’esigenza di “un lavoro pastorale svolto con gradualità elungimiranza per conseguire più proficuamente gli obiettivi prefissi”.

Appare logico basare il lavoro da svolgere negli anni successivi suirisultati effettivamente raggiunti e non solo sperati.

Compito di un programma pastorale è infatti il da farsi (aspettoperformativo) che suppone ovviamente l’altro aspetto basilare, di tipoinformativo, nel documento che presento.

Ritengo opportuno ribadire qualche concetto-chiave che ho giàesposto al Consiglio Pastorale diocesano nello scorso mese di giugno.

1. La CEI chiede alle comunità diocesane, nel loro complesso, diprendere coscienza della gravità e complessità del compito educativonelle attuali circostanze. Il che significa che le istituzioni o agenziepreposte all’educazione e formazione di adolescenti e giovani non com-piono affatto, o solo parzialmente, le attività dell’educare. Parliamodelle famiglie, cui compete il ruolo primario, tanto che il Concilio af-ferma: “Quod munus educationis tanti ponderis est ut, ubi desit, ae-gre suppleri possit” – che se manca, difficilmente si potrà supplire(GE 3).

Accanto alla famiglia vi è la scuola e la parrocchia. Sarebbe mol-to utile svolgere dei sondaggi a livello parrocchiale, non solo per ac-quisire dati oggettivi, quanto per “coscientizzare” (come si dice in Bra-sile) gli operatori pastorali sulle diverse situazioni.

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LA PAROLA DEL VESCOVO

2. L’itinerario proposto dalla CEI supera ed oltrepassa il consuetopercorso pedagogico di tipo semplicemente umanistico o laico, saltan-do a piè pari tutte le obbiezioni e le controversie provenienti dal re-lativismo, soggettivismo, nichilismo, pensiero debole, etc. E ciò nonperché la CEI ignori i “trabocchetti” dell’attuale cultura post-moder-na, ma perché ritiene che occorre sfidare la contemporaneità con co-raggio e speranza, ravvisando in tali lacune una delle principali cau-se e la sorgente dell’attuale crisi (o emergenza) educativa.

D’altronde, vale la pena giocare a carte scoperte lasciando agliesperti il compito di gestire le schermaglie culturali, facendo appelloalla fede ed alla speranza della comunità cristiana, che, da sempre,poggia su Cristo paziente e risorto la base e il fondamento del suoesistere e costruirsi nel tempo sotto la guida e l’azione dello SpiritoSanto.

In Cristo, infatti, come insegna il Concilio, trova risposta il pro-blema dell’uomo e possono trovare soluzione i problemi angosciosidell’uomo e della storia umana: il male, la sofferenza e la morte, pro-blemi ai quali la cultura laica e laicista può solo opporre silenzio eimbarazzo.

“Nell’assolvere il suo compito educativo – leggiamo nella Gravissi-mum Educationis del Concilio - la Chiesa utilizza tutti i mezzi idonei,ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i mezzi suoi propri. Pri-mo tra questi è l’istruzione catechistica […], la Liturgia e la Testimo-nianza della Carità” (n. 4).

Fulcro di ogni programma pastorale è l’Anno Liturgico, celebrato,vissuto e, quindi, preparato con grande cura, perché divenga real-mente sorgente di vita.

3. Raccomando l’impegno di ogni parrocchia per tenere in vita ed ali-mentare le nostre due scuole diocesane: a) per gli operatori pastora-li, b) per l’impegno sociale e politico; infine, curare gli oratori anchea livello interparrocchiale.

Non dimentichiamo, inoltre, l’importanza e l’utilità di portare laSacra Scrittura a conoscenza dei giovani, ma anche agli adulti, e diorganizzare, ove possibile, scuole di preghiera in tempi come i nostrinei quali si privilegia l’attivismo spesso fine a se stesso, e si trascu-ra sempre più la preghiera, che è il polmone vitale che assicura l’os-sigenazione spirituale e soprannaturale di singoli e delle comunità ec-clesiali.

Si dà così una risposta a livello parrocchiale a tendenze che stan-no prendendo sempre più piede e che potremmo definire “supermer-cato spirituale”, tipo usa e getta.

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VITA DIOCESANA

Raccomando la vigilanza soprattutto dei parroci verso queste for-me spurie, che sembrano colmare vuoti di autentica spiritualità cri-stiana.

Concludo, rivolgendo a tutti, presbiteri e laici, i miei saluti piùcordiali, invocando su tutti la benedizione del Signore.

Andria, 9 agosto 2011, festa di S. Teresa Benedetta della Croce,vergine e martire, patrona d’Europa.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

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Decretodi istituzione della sezione UCID di Andria

ATTI DEL VESCOVO

ATTI DEL VESCOVO

Prot. n. 13/11 C

Decreto

– Accogliendo la richiesta dell’Unione Cristiana Imprenditori Diri-genti (U.C.I.D.) – sezione di Andria;

– Ritenendo pienamente legittimi e conformi alla disciplina ecclesia-stica gli scopi che essa persegue;

– Visto lo Statuto della predetta Associazione;

con questo Nostro Atto, a norma dei cann. 298 e 299 del Codicedi Diritto Canonico,

Riconosciamol’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (U.C.I.D.)

sezione di Andriaquale Associazione privata di fedeli.

Tanto si stabilisce per opportuna conoscenza e norma.

Dato in Andria, dalla Nostra Sede Vescovile, il 20 maggio 2011,memoria di S. Bernardino da Siena.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

Il Cancelliere VescovileSac. Ettore Lestingi

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Decreto di riconoscimento dell’Associazione“Amici del Servo di Dio

padre Antonio Maria Losito CSSR”

VITA DIOCESANA

Prot. n. 17/11 C

Decreto

Vista l’istanza del 25 giugno 2011 presentata dal Rev.mo Sacer-dote Don Mario Porro, Vicepostulatore della Causa di canonizzazionedel Servo di Dio Padre Antonio Maria Losito CSSR, con la quale chie-de il Nostro riconoscimento dell’Associazione “Amici del Servo di DioPadre Antonio Maria Losito CSSR”;

Ritenendo che gli scopi che essa persegue sono pienamente legit-timi e conformi alla disciplina ecclesiastica;

Con questo nostro Atto

Riconosciamo la neo costituita Associazione“Amici del Servo di Dio Padre Antonio Maria Losito CSSR”

quale associazione privata di fedeli laici.

Le conferiamo la personalità giuridica nel diritto ecclesiastico, anorma del can. 322 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Nello stesso tempo approviamo lo Statuto della stessa Associazio-ne che, munito nel testo originale della Nostra firma e sigillo, alle-ghiamo al presente atto e ne forma parte integrante di esso.

Tanto si stabilisce per opportuna conoscenza e norma.

Dato in Andria, dalla Nostra Sede, il 29 giugno dell’anno 2011,nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, apostoli.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

Il Cancelliere VescovileSac. Ettore Lestingi

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Decreto di nominaper l’Associazione Madonna dei Miracoli

ATTI DEL VESCOVO

Prot. n. 19/11 C

DecretoIl 28 giugno 2011 l’Associazione Madonna dei Miracoli di Andria, in

ossequio alla norme del Codice di Diritto Canonico e al proprio Statuto,ha proceduto al rinnovo delle cariche sociali della stessa Associazione.

Constatata, pertanto, la regolarità della procedura adottata, ga-rante il Direttore Spirituale, Padre Giuseppe Tesse, OSA,

Letto il Verbale delle votazioni e preso atto dei suffragi consegui-ti dai singoli candidati;

Intendiamo confermare, come di fatto con questo Nostro Atto

Confermiamoi nominativi del Consiglio Direttivo

dell’Associazione Madonna dei Miracoli di Andriaper il triennio 2011-2013

Presidente: Domenico MassaroVice Presidente: Saverio ZagariaTesoriere: Giuseppe ConfaloneSegretario: Filippo IevaConsiglieri: Giuseppe Fornelli

Antonio Manuto

Nonostante qualsiasi altra disposizione contraria.Dato in Andria, il 9 agosto 2011,festa di S. Teresa Benedetta della Croce, vergine e martire, patrona d’Europa.

† Raffaele CalabroVescovo di Andria

Il Cancelliere VescovileSac. Ettore Lestingi

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Verbale del Consiglio Pastorale diocesano

(Andria, 6 aprile 2011)

VITA DIOCESANA

ATTI DI CURIA

Oggi, 6 Aprile 2011, alle 19,30 presso l’Opera Diocesana “Giovan-ni Paolo II”, si è riunito il C.P.D. con il seguente ordine del giorno:– Orientamenti pastorali per il prossimo decennio.– Comunicazioni sul cammino preparatorio diocesano al Con-

vegno Ecclesiale Regionale.– Varie ed eventuali.

I lavori sono introdotti dalla preghiera del Vescovo, S. Ecc.Rev.ma Mons. Calabro che invoca sui presenti la Luce e l’aiuto delloSpirito Santo.

Dopo l’approvazione da parte di tutti i presenti del verbale del Con-siglio Pastorale precedente (26-11-2010), riprende la parola il Vescovo.

Mons. R. Calabro - commenta il documento” Educare alla vitabuona del Vangelo”, sottolineando l’articolazione logica dei vari capi-toli. Nell’introduzione la citazione di Clemente Alessandrino, svela ilruolo pedagogico di Cristo. È Lui il maestro e il redentore dell’uma-nità. Nel corso dei secoli Dio ha educato il suo popolo, trasformandola nostra storia, con tutti i suoi limiti, in storia della salvezza.

La chiesa da sempre è particolarmente attenta all’educativo, seb-bene nel mondo si assiste a un declino veramente preoccupante. AVerona, nel IV Convegno ecclesiale nazionale, Benedetto XVI, ha ri-proposto il grande Sì che in Gesù Cristo, DIO ha detto all’uomo e al-la sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelli-genza, e ha indicato alcune scelte di fondo:– Primato di Dio nella vita e nell’azione delle nostre Chiese;– La testimonianza quale forma dell’esistenza cristiana;– Impegno in una pastorale, in grado di rinnovarsi per abbracciare

tutto l’umano;

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ATTI DI CURIA

Nel primo cap. Educare in un mondo che cambia”, l’operaeducativa della chiesa è inserita in un rapporto dialettico con il mon-do, con le sue urgenze e opportunità, provocandoci e richiedendogrande fede e responsabilità. Il Signore stesso ci chiede di interpre-tare e valutare il tempo, cogliendo le domande e i desideri dell’uomo,(Lc 12,54-57). Le persone fanno sempre più fatica a dare un sensoprofondo all’esistenza. Si diffonde oltre al disorientamento, il ripiega-mento su se stessi e il narcisismo, desideri insaziabili ed egoistici, in-capacità di sperare, infelicità e depressione.

Nel secondo cap. ”Gesù, il Maestro”, fa riflettere la prima azio-ne di Gesù: “si mise a insegnare loro molte cose”. Notevole il para-grafo 19, dove partendo dall’esodo, attraverso i profeti, Dio educa ilsuo popolo con teneri accenti. Completa il cap. l’indicazione a Gesù,Via, Verità e Vita, e la Chiesa, luogo e segno della permanenza diGesù Cristo nella storia.

Nel terzo cap. “Educare, cammino di relazione e di fiducia”,la citazione di Giovanni Battista, che indica Cristo ai suoi discepoli,invitandoli alla sequela di Gesù, ci fa entrare nella dimensione mis-sionaria della chiesa.

Lo schema utilizzato è valido sotto l’aspetto pastorale:

– Che cosa cercate? (Gv 1,38) suscitare e riconoscere un desiderio.– Venite e vedrete (1,39) il coraggio della proposta.– Rimasero con Lui (1,39) accettare la sfida.– Signore, da chi andremo? (6,68) perseverare nell’impresa.– Signore, tu lavi i piedi a me? (13,6) accettare di essere amato.– Come io ho amato voi, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri

(13,34) vivere la relazione nell’amore.

Nel quarto cap. “La Chiesa, comunità educante”, tutti i cri-stiani sono chiamati ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizziun’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in que-sto delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale. È necessario chefede, cultura ed educazione interagiscano, ponendo in rapporto dina-mico e costruttivo le varie dimensioni della vita. La separazione deivari cammini formativi, sia all’interno della comunità cristiana sia inrapporto alle istituzioni civili, indebolisce l’efficacia dell’azione educa-tiva fino a renderla sterile. Nella comunità cristiana, la famiglia re-sta la prima e indispensabile comunità educante. La catechesi ha ilcompito non solo di trasmettere i contenuti della fede, ma di educa-re la mentalità di fede, di iniziare alla vita ecclesiale, di integrare fe-de e vita. La liturgia è scuola permanente di formazione attorno alSignore risorto, “luogo educativo e rivelativo” in cui la fede si formae viene trasmessa.

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VITA DIOCESANA

Nel quinto cap. il documento si conclude con “Indicazioni per laprogettazione pastorale” suggerendo alcune linee di fondo, affinchéogni Chiesa particolare possa progettare il proprio cammino pastora-le in sintonia con gli orientamenti nazionali.

È opportuno, conclude il Vescovo, finalizzare il prossimo program-ma pastorale diocesano alla presa di coscienza dell’urgenza della que-stione educativa e dell’impegno che ne scaturisce per la nostra comu-nità diocesana.

Don Gianni Massaro – Dopo aver ringraziato il Vescovo perl’esaustiva presentazione e per le indicazioni offerte, apre il dibattito,invitando i presenti ad intervenire.

Leo Fasciano – Partendo dalle indicazioni del Vescovo, che sot-tolinea l’emergenza educativa e la necessità di coinvolgere i laici, sug-gerisce un anno di riflessione e transizione, per rilanciare progettual-mente il tutto.

Esprime rammarico per l’assenza di una posizione di pubblica con-danna da parte della Chiesa locale per gli atti intimidatori che neigiorni scorsi hanno colpito la città di Andria.

Mons. R. Calabro – La commissione per la Pastorale Sociale vo-leva intervenire in merito al conflitto scoppiato in Libia ma è statabloccata perché nel clima generale di incertezza, un intervento dellaChiesa poteva essere prematuro. Bisogna essere cauti ed è ciò chesuggerisco anche per Minervino dove ritengo opportuno, a causa del-le imminenti elezioni rimandare la giornata per la concordia, fissataper il cinque maggio. Si può, invece, affidare alla Consulta di Pasto-rale Sociale il compito di redigere un documento di unanime condan-na degli atti intimidatori che ultimamente hanno interessato la cittàdi Andria.

Don P. Gallucci – Organizzare e vivere la giornata della concor-dia anche se ci sono le elezioni potrebbe servire per testimoniare unostile diverso.

Don F. Di Tria – Nel I incontro del tavolo di lavoro preparato-rio alla giornata della concordia sono emersi tre nuclei fondamentali:la giustizia come legalità, la sicurezza da sviluppare a Minervino, ele famiglie come soggetto da curare. Nel secondo incontro, dove erapresente anche Don Vito Miracapillo, si è invece riscontrata una cer-ta fatica ed abbiamo concluso l’incontro, esortando ad evitare gli at-tacchi diretti l’uno contro l’altro.

Don V. Miracapillo - A Minervino si sta realizzando un buon cli-ma collaborativo con la politica e il tessuto sociale della città. È ve-ro che noi facciamo riferimento al Vangelo, ma la gente lo conosce?

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ATTI DI CURIA

Anna M. Di Leo – Il consiglio pastorale non può essere disat-tento alla realtà educativa in cui la Chiesa diocesana opera. Per cuiritiene di non poter tacere di fronte ad eventi mondiali che interpel-lano la nostra coscienza di membri della società civile. Esprime il pro-prio sconcerto per il ripetersi di atti di violenza denunciando compor-tamenti che ignorano il bene comune.

Don F. Bacco – Il tema del documento “educare alla vita buonadel vangelo” è molto significativo. Dobbiamo sottolineare la bellezzadella vita cristiana, piuttosto che i sacrifici di una osservanza a vol-te ritenuta mortificante. Partendo da una analisi della situazione, cheoccuperebbe il primo anno, nel secondo anno si parlerebbe della bel-lezza della vita sacramentale; nel terzo anno la bellezza della vita cri-stiana dal punto di vista etico, nel quarto la bellezza nella SacraScrittura, nel quinto anno la bellezza del cristianesimo nell’arte.

Don G. Acri – condivide ciò che dice il Vescovo. Nelle situazioniche sono successe in Libia è meglio aspettare per non rischiare digiudicare prematuramente.

P. Quagliarella – Si potrebbero organizzare come diocesi dei mo-menti particolari da dedicare alla preghiera per affrontare queste sfi-de del male. Se ci si affida all’azione divina si dovrebbe riconoscere ilprimato della Sua iniziativa, lasciandoLo operare in noi attraversoun’azione che deriva dalla preghiera.

G. Piccolo – A prescindere dall’azione del ventitre aprile, si do-vrebbe pubblicizzare la giornata della concordia. Dobbiamo riprenderequesto dialogo che per il centro Igino Giordano corrisponde alla nonagiornata, mentre dal punto di vista diocesano corrisponde alla quarta.

Don Paolo Zamengo – L’emergenza educativa dobbiamo affron-tarla con scientificità. I punti vanno approfonditi per avere una foto-grafia corretta della situazione. Avere degli obiettivi è entusiasmantema bisogna organizzarli anche dal punto di vista sociologico.

G. Pistillo – Occorre rieducare i ragazzi al bello, al vero e al giusto.

Don G. Massaro – La commissione regionale per il convegno chesi svolgerà a San Giovanni Rotondo, ha invitato alla celebrazione con-clusiva anche i fedeli delle diocesi di Puglia. Si affida quindi ai coor-dinatori zonali il compito di raccogliere le adesioni, qualora dovesse-ro esserci, per partecipare con 50 fedeli alla Celebrazione Eucaristicaconclusiva del Convegno.

La seduta è chiusa alle ore 21 e 30 con la preghiera del Vescovo.

SegretariaPorzia Quagliarella

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Resoconto degli incontridegli organismi pastorali

a conclusione di un anno pastorale

VITA DIOCESANA

“Nel solco del Concilio Vaticano II e dell’Esortazione ApostolicaChristi-fideles laici vogliamo che nelle nostre chiese maturi un’eccle-siologia di comunione più compiuta, rinvigorendo la corresponsabilitàecclesiale e potenziando la formazione e la partecipazione dei laici”.Questo è uno dei passaggi significativi della lettera di indizione che iVescovi pugliesi hanno inviato a tutti i fedeli della regione, il merco-ledì delle ceneri, in preparazione al 3° Convegno Ecclesiale Regionaleche si è celebrato a San Giovanni Rotondo dal 28 aprile al 1 maggio.

L’organismo diocesano chiamato ad esprimere la corresponsabilitàdel popolo di Dio, in piena comunione con il Vescovo, in ordine allapastorale della Chiesa locale, è il Consiglio Pastorale Diocesano. Invi-tato a partecipare sia alla consegna del programma pastorale, avve-nuta il 17 Settembre presso la Chiesa Cattedrale di Andria, sia alConvegno Ecclesiale Diocesano vissuto nei giorni 21 e 22 ottobre, nelcorso di questo anno, è stato convocato dal nostro Vescovo il 26 No-vembre per la presentazione e discussione delle sintesi del Convegno,il 6 aprile per la presentazione degli Orientamenti pastorali dell’Epi-scopato Italiano “Educare alla vita buona del Vangelo”, ed è stato an-cora convocato il 15 e 16 giugno per la verifica pastorale e la pro-grammazione del prossimo anno.

Gli strumenti con cui l’azione pastorale viene promossa e sostenu-ta sono gli Uffici Pastorali Diocesani. Nell’anno 2010-2011 i direttorie i vice-direttori si sono incontrati il 10 settembre per illustrare daparte di ogni direttore il programma annuale definito con l’equipedell’ufficio di propria competenza e redigere il calendario pastoralediocesano consegnato alle comunità parrocchiali e aggregazioni laicaliil 15 ottobre 2010. I responsabili degli uffici pastorali sono stati con-vocati ancora il 29 novembre, il 25 febbraio e il 14 giugno. Gli in-

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ATTI DI CURIA

contri sono stati finalizzati alla crescita nell’esercizio della pastoraleintegrata, individuando le possibili interazioni tra i diversi uffici dio-cesani.

A promuovere, invece, un’azione pastorale omogenea tra le diver-se parrocchie ci hanno pensato le Zone Pastorali. I coordinatori dellecinque zone pastorali presenti in diocesi sono stati convocati il 10 no-vembre, il 30 marzo e il prossimo 15 giugno.

Invitati a condividere le principali attenzioni poste dalla propriazona, durante il corrente anno pastorale, il coordinatore (Mons. Feli-ce Bacco) della zona pastorale di Canosa ha comunicato che “la scel-ta di dedicare quest’anno alla riflessione sui laici, la loro identità emissione è stata sicuramente opportuna e accolta favorevolmente daglistessi laici. I diversi incontri formativi zonali hanno privilegiato lo sti-le della testimonianza: laici impegnati nel sociale, nel mondo accade-mico e dell’informazione. Interessante e partecipato è stato il camminodi preparazione alla Giornata della Concordia e la sua celebrazione.Da evidenziare, in ultimo, il cammino interparrocchiale fatto dall’azio-ne cattolica e la costituzione del gruppo liturgico cittadino per l’ani-mazione delle liturgie comunitarie”.

La zona pastorale di Minervino, ha affermato don Francesco DiTria, ha dedicato tutto l’anno pastorale all’attenzione al laicato, se-condo le indicazioni del programma pastorale diocesano e in vista delTerzo Convegno Ecclesiale. Gli appuntamenti comunitari hanno costi-tuito un approfondimento dell’identità, comunione e missione del laiconella realtà ecclesiale e civile di Minervino. Negli itinerari formativiabbiamo letto la realtà ecclesiale minervinese, anche nel suo recentepassato, analizzato la difficoltà maggiore del laicato a conciliare lasua appartenenza ecclesiale e la sua cittadinanza e ci siamo esercita-ti nel discernimento comunitario su problematiche attuali (accoglienzadello straniero e privatizzazione dell’acqua). Abbiamo concluso l’itine-rario con un pellegrinaggio zonale a Napoli alla scoperta della figuralaicale di Giuseppe Moscati. Inoltre il tavolo di lavoro per la giorna-ta della Concordia ha riflettuto sulla vivibilità a Minervino concen-trandoci su “giustizia e legalità” in quanto orizzonte dentro cui ritro-vare l’unità di intenti e di azione educativa dei vari soggetti sociali,su “sicurezza” quale condizione essenziale per lo sviluppo economico,sulla “famiglia” intorno a cui ricomporre e dar vita ad un nuovo pat-to sociale. Il Consiglio Pastorale è stato convocato il 22 settembre, 25febbraio e 14 giugno. Il Consiglio Presbiterale si è ritrovato l’8 set-tembre, il 17 gennaio, il 19 e il 25 maggio.

Per la terza zona pastorale di Andria, coordinata da don AdrianoCaricati, numerosi e proficui sono risultati i consigli presbiterai zonaliconvocati il 24 settembre, 7 ottobre, 11 e 14 gennaio, 15 febbraio, 18

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VITA DIOCESANA

marzo e 4 maggio. Il Consiglio Pastorale zonale è stato, invece, con-vocato il 5 novembre, 25 febbraio e 8 giugno.

In quest'anno pastorale 2010 - 2011, la nostra zona pastorale - haaffermato don Adriano - in continuità con il programma pastoralediocesano e in linea con il tema del convegno ecclesiale regionale havolto la propria attenzione sulla identità e missione dei laici nellachiesa. A seguito dell’avvicendamento del coordinatore della zona si èproceduto al rinnovo dell’intero Consiglio Pastorale Zonale, rilancian-do il ruolo di questo organismo quale concreto strumento di parteci-pazione e corresponsabilità ecclesiale.

Il termine "Corresponsabilità", infatti, ha accompagnato la rifles-sione svolta in ciascuna delle comunità parrocchiali che compongonola nostra zona. Alla luce della situazione di crescente disagio di tan-te famiglie del nostro territorio molto spazio di riflessione è stato oc-cupato dal ripensamento e rilancio della funzione del centro "Naza-reth" quale punto di riferimento imprescindibile nell’azione di sostegnoe monitoraggio delle situazioni di disagio e di povertà presenti nellanostra zona. Tale funzione, che non intende sostituire in toto il com-pito di animazione della carità nelle singole comunità parrocchiali,compito specifico delle Caritas parrocchiali, sarà ulteriormente ripresaall’inizio del prossimo anno pastorale con una più adeguata sistema-zione logistica del Centro ed un suo nuovo inquadramento giuridicoche sia indipendente dalla Parrocchia S. Cuore. Durante i diversi in-contri del Consiglio presbiterale zonale ci si è soffermati a condivide-re alcune riflessioni interessanti sulla cura delle famiglie che vivonol’esperienza del lutto, confrontandoci su alcuni criteri condivisi per lacelebrazione delle Esequie da suggerire alla riflessione dell’intero pre-sbiterio diocesano, nella prospettiva di nuovi orientamenti diocesanida emanare.

Mons. Giuseppe Ruotolo ha comunicato che la II zona pastorale diAndria ha sviluppato il suo piano annuale 2010-2011 in diversi in-contri zonali (30/09/2010; 10/01/2011; 07/02/2011; 18/04/2011)sempre con la presenza dei laici durante i quali oltre la iniziale pro-grammazione annuale si è impostato il dialogo sui laici nella chiesaoggi con particolare riferimento al documento della CEI “Educare al-la vita buona del Vangelo” e le iniziative concrete per i vari periodidell’anno. Tutte le parrocchie della zona hanno vissuto la fase prepa-ratoria al Convegno Regionale relazionando sul lavoro svolto. Il grup-po di lavoro sui problemi giovanili si è incontrato il 15 novembre e il17 gennaio affrontando il tema del futuro per i giovani.

Il Consiglio Presbiterale della I zona di Andria si è incontrato,convocato da don Vincenzo Giannelli, l’8 settembre, il 25 marzo e il29 aprile. Il Consiglio Pastorale zonale si è ritrovato il 5 ottobre, il

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ATTI DI CURIA

15 novembre il 28 febbraio e il 6 giugno e ha dedicato tutto l’annopastorale all’attenzione al laicato con la proposta di pellegrinaggi zo-nali in luoghi dove hanno operato laici con un vissuto esemplare e si-gnificativo.

Il quadro che, pertanto, ne vien fuori è quello di una chiesa im-pegnata a crescere nella corresponsabilità ecclesiale valorizzando erendendo effettivamente partecipativi i diversi organismi pastorali. Ilrisultato reale, quello che resta, è il modo di relazionarsi all’internodella Chiesa, una nuova abitudine ad ascoltare, comunicare, parteci-pare e progettare insieme.

don Giovanni MassaroVicario Generale

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Erogazioni delle Somme derivanti dall’8‰dell’IRPEF per l’esercizio 2010

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I. Per esigenze di culto e pastorale

A. ESERCIZIO DEL CULTO EROGAZIONE

Conservazione o restauro edifici di culto esistentio di altri beni ecclesiastici 58.330,00Scuola di formazione operatori pastorali 5.000,00Scuola di formazione all’impegno politico e sociale 1.500,00

B. ESERCIZIO DELLA CURA D’ANIME

Uffici diocesani e Opera Diocesana Giovanni Paolo II 101.150,86Mezzi di comunicazione sociale a finalità pastorale 29.652,07Istituto Pastorale Pugliese 1.600,00Archivio, biblioteca e museo diocesani 143.910,00Contributo per case del clero e case canoniche 12.634,81Consultorio familiare diocesano 12.000,00Convegno ecclesiastico diocesano 3.290,40

C. FORMAZIONE DEL CLERO

Pontificio Seminario Regionale di Molfetta 63.270,38Pastorale vocazionale (C.D.V.) 5.000,00

E. CATECHESI ED EDUCAZIONE CRISTIANA

Servizio di pastorale giovanile 4.500,00Azione Cattolica diocesana 13.000,00MSAC, FUCI, MEIC 4.500,00Contributo partecipanti convegno regionale 2.250,00

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F. CONTRIBUTO AL SERVIZIO DIOCESANOPER LA PROMOZIONE DEL SOSTEGNO ECONOMICOALLA CHIESA 1.162,03

H. SOMME IMPEGNATEPER INIZIATIVE PLURIENNALI ANNI PRECEDENTI

Fondo diocesano di garanzia 50.000,00Fondo Diocesano di garanzia relativo agli anni precedenti 50.000,00

TOTALE 562.750.55

Altre somme assegnate nell’esercizio 2010e non erogate al 31/03/2011 51.408,69

TOTALE 614.159,24

II. Per interventi caritativi

A. DISTRIBUZIONE A PERSONE BISOGNOSE EROGAZIONI

Da parte della diocesi 4.900,00Da parte delle parrocchie 58.720,00

B. OPERE CARITATIVE DIOCESANE

In favore della comunità Giovanni XXIII 83.055,92In favore di tossicodipendenti 695,08

E. ALTRE ASSEGNAZIONI

Casa Accoglienza “S. M. Goretti” 53.005,13Caritas Diocesana 47.500,00Centri di accoglienza “Emmaus” 3.000,00Centro di accoglienza “Mamre” 6.000,00

F. SOMME IMPEGNATE PER INIZIATIVE PLURIENNALI

Somme impegnate per nuove iniziative pluriennali 37.500,00Somme impegnate per iniziative pluriennalinegli esercizi precedenti 92.500,00

TOTALE 386.876,13Altre somme assegnate nell’esercizio 2010e non erogate al 31/03/2011 90.765,11

TOTALE 477.641,24

Andria, 28 maggio 2011

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Nomine

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S.E. mons. Raffaele Calabro, vescovo di Andria, ha nominato:

– il rev. Sac. Salvatore Sciannamea, Vicario parrocchiale della par-rocchia San Paolo Apostolo in Andria, il 28 giugno 2011 (prot. n.15/11 C);

– il rev. Sac. Michele Pace, Vicario parrocchiale della parrocchiaMaria SS. dell’Altomare in Andria il 28 giugno 2011 (prot. n.16/11 C);

– il sig. Domenico Massaro, Presidente dell’Associazione Madonnadei Miracoli in Andria il 9 agosto 2011 (prot. n. 19 /11 C).

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Necrologio

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Il 23 maggio, dopo un lungo periodo di sofferenza, vissuta con fe-de ed edificazione di tutti, è deceduto nella RSA “Madonna della Pa-ce” ad Andria mons. Salvatore Simone. Nato a Minervino Murge il24 dicembre 1943 da Luigi e Loiodice Isabella, fu avviato al Semina-rio Vescovile di Andria dal parroco della B.V. Immacolata di Miner-vino mons. Giuseppe Zaccagni. Dopo gli anni ginnasiali in diocesi, sot-to la guida di validi educatori, passò al Pontificio Seminario Regio-nale di Molfetta, dove completò la formazione. Fu ordinato presbiteroda S.E. mons. Francesco Brustia il 29 giugno 1968 nella Cattedraledi Andria. Donò la freschezza dei suoi primi anni di sacerdozio al Se-minario diocesano, dove fu educatore dal luglio del 1968 all’ottobre1972, allorquando il vescovo mons. Giuseppe Lanave lo destinò a gui-dare l’oratorio della parrocchia Sant’ Agostino in Andria. Nel 1973succedette al parroco di Sant’ Agostino, il sacerdote di v.m. mons.Riccardo Losito. In questi anni rese fiorente con la sua attività e conla attiva collaborazione di altri sacerdoti, come don Franco Santovito,l’oratorio voluto dal suo predecessore. Il suo impegno si segnalò an-che nel rinnovamento liturgico, sulla scia del Concilio Vaticano II. Il1° settembre 1980 fu nominato parroco della SS. Trinità in Andria ein questa parrocchia profuse le energie di un sacerdozio divenuto ma-turo e capace di formare i laici ad una testimonianza efficace in ogniambito, e di coinvolgere gli altri confratelli in numerose iniziative chehanno lascito il segno nella pastorale diocesana, come ad esempiol’oratorio estivo. Nel 1988 viene nominato Direttore della Caritas enel 1989 S.E. mons. Raffaele Calabro lo nomina Moderator Curiae; il10 maggio dell’anno successivo sarà nominato vicario generale e man-terrà questo incarico fino al 26 agosto 1994. Durante questi anni,senza abbandonare il suo ufficio di parroco, collabora con il Vescovo

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per il rinnovamento della vita pastorale e per la qualificazione degliuffici di curia. Lasciato l’incarico di vicario, viene nello stesso anno1994 nominato direttore della Caritas e vicario episcopale per le atti-vità caritative. In questi anni si fa promotore di numerose iniziativecaritative di largo respiro, dell’attenzione alle periferie della sua par-rocchia con l’istituzione del Centro Madonna di Fatima. Lascia l’inca-rico di parroco nel 2004 e, nonostante la malattia, assistito amore-volmente dalla sorella Antonietta e dagli altri familiari, continua daessere punto di riferimento per l’ascolto e per le confessioni. Quasitrasfigurato dalla sofferenza, in un atteggiamento costante di pre-ghiera e di gratitudine verso tutti, ha portato a termine la sua testi-monianza sacerdotale nella Chiesa locale che ha amato e servito conamore. Ai funerali celebrati in Cattedrale da S.E. mons. Calabro han-no preso parte numerosissimi fedeli e la quasi totalità dei presbiteri.

Il 19 agosto è deceduto presso l’Oasi di Nazareth in Corato, dopolunga malattia, don Luigi di Tria. Nato il 26 luglio 1928 a Miner-vino Murge in una famiglia di agiati agricoltori, da Vincenzo e An-gela Rascia, fu avviato al Seminario di Andria dal parroco di MariaSS. Incoronata don Luigi di Canosa. Dopo la prima formazione gin-nasiale nel Seminario diocesano, passò per gli studi liceali nel Ponti-ficio Seminario Regionale di Molfetta e quindi per gli studi teologicifu alunno del Pontificio Seminario Lateranense in Roma. Ordinato sa-cerdote il 3 agosto 1952, fu destinato al ministero di vice-rettore e didocente di francese nel Seminario di Andria. Contemporaneamente, apartire dal 1957, fu segretario di S. E. mons. Francesco Brustia, ve-scovo di Andria. Laureatosi in lingue e letteratura straniera, fu do-cente di francese nei licei e nel 1970 assistente dell’AMIC di Andria.Dopo una brevissima esperienza di assistente spirituale della chiesadi san Domenico ad Andria, venne pienamente coinvolto nell’attivitàdella parrocchia della SS. Trinità dal parroco don Salvatore Simone.Di questa parrocchia sarà vicario cooperatore dal 12 aprile 1983 e sispenderà con la sua presenza affabile e gioiosa in ogni ambito dellapastorale, soprattutto in oratorio e nelle attività estive dei gruppi fa-miglia. Si è fatto promotore, insieme ad altri sacerdoti, della realiz-zazione della fraternità sacerdotale del Cenacolo in Andria. Ha vissu-to gli ultimi anni nella sofferenza e nell’abbandono al Signore, ab-bracciando la croce che è stata il compimento del suo sacerdozio.

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Il convegno catechistico diocesano

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

Oltre cinquecento i catechisti provenienti dalle comunità parroc-chiali di Andria, Canosa e Minervino che hanno partecipato al Con-vegno diocesano svoltosi il 10 e l’11 maggio scorsi presso l’IstitutoProfessionale “G. Colasanto” di Andria.

Il tema “Educare in famiglia, educare nella Chiesa: quale dialogopossibile?” è scaturito dagli incontri vissuti precedentemente nelle di-verse zone pastorali, offrendo la preziosa opportunità di mettersi inascolto gli uni gli altri e condividere, in merito alla catechesi, espe-rienze positive ma anche difficoltà e bisogni. In particolare è emersala fatica del dialogo e coinvolgimento dei genitori nell’educazione deiragazzi. Il Convegno ha così voluto offrire una prima risposta a talebisogno.

Nella prima serata è intervenuto don Luciano Meddi, professoredi catechetica missionaria presso l’Università Urbaniana, che ha svi-luppato il suo intervento secondo quattro diversi aspetti.

È partito dal nuovo bisogno di educazione. Educare- ha affermatoil relatore- appartiene alla natura delle persone e delle società, avvie-ne dentro la tradizione dei gruppi umani, tra bisogno, desiderio di li-bertà, interesse della società. La socializzazione contemporanea nonsembra però riuscire a dare una forma autentica alla libertà delle per-sone. La società non ha più legami comuni e la Chiesa non sempreriesce a trasmettere il Vangelo. Da qui la considerazione –ha prose-guito il professore- che educare è oggi più che mai una parola plura-le come cammino fatto di molti aspetti tra di loro interagenti. LaChiesa è chiamata allora ad educare attraverso molti soggetti, agenziee itinerari. L’educazione cristiana è un fatto che coinvolge tutti e por-ta a rendere idonei i fratelli (Ef 4) ma deriva anche dalla generazio-ne dello Spirito (Rom 5). La famiglia in particolare deve essere aiu-

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VITA DIOCESANA

tata- ha concluso don Luciano Meddi- a recuperare il ruolo generati-vo della educazione, a ridare regole di vita, a fare educazione comecammino ai valori, a introdurre le nuove generazioni al linguaggio re-ligioso.

Nella seconda serata i partecipanti sono stati suddivisi in tredicigruppi per approfondire la tematica e vivere il Convegno come oppor-tunità di discernimento per far sì che mentre si sperimenta la diffi-coltà in cui si dibatte l’opera educativa, vengano messe in luce le po-tenzialità nascoste. Tre le domande alle quali i partecipanti sono sta-ti invitati a rispondere. La prima chiedeva di individuare le compe-tenze da acquisire per poter svolgere con efficacia educativa il compi-to di catechisti dell’iniziazione cristiana. La seconda invitava a for-mulare una lista di valori umani importanti a cui educare fanciulli eragazzi per renderli capaci di scelte autentiche e la terza chiedeva dipreparare una lista di temi principali e necessari per una formazioneadeguata dei genitori in occasione della richiesta dei sacramenti deifigli.

Il Convegno si è concluso con la preghiera comunitaria di lode eringraziamento a Dio per la la bella e arricchente esperienza vissuta.

Don Gianni Massaro, direttore diocesano dell’Ufficio catechistico, aconclusione del Convegno ha rivolto ai presenti il saluto del Vescovoe ringraziato i catechisti per la generosità e dedizione. “Senza il vo-stro servizio - ha affermato – tutti noi saremmo, come Chiesa, più po-veri di doni. Conosco le difficoltà che incontrate nell’esercizio concre-to del ministero della catechesi. Conosco- ha proseguito don Gianni-quanto risulti difficile realizzare una significativa, corretta e necessa-ria alleanza educativa con la famiglia e in particolare con i genitoriche rimangono pur sempre i primi educatori dei loro figli anche nel-la fede. Ma come afferma il Cantico dei Cantici, le molte difficoltànon possono spegnere il fuoco del vero amore. Le molte difficoltà de-vono in realtà -ha concluso don Gianni- renderci sempre più poveri difronte a Dio, umili e abbandonati totalmente a Lui. E la nostra po-vertà avrà come risposta sempre sorprendente ed eccedente ogni no-stro desiderio, l’elargizione della ricchezza e dell’amore di Dio che maici abbandona e che ci chiede di annunciare ai nostri fratelli”.

a cura dell’Ufficio Catechistico Diocesano

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“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”.Giornata Diocesana della Gioventù 2011

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

SERVIZIO DI PASTORALE GIOVANILE

L’appuntamento della Giornata Diocesana della Gioventù è, senzadubbio, per i Giovanissimi e i Giovani della Diocesi, uno dei momen-ti di incontro e confronto più importanti dell’intero Anno Pastorale.Rappresenta, infatti, l’occasione per potersi fermare a riflettere a par-tire dalle parole che il Santo Padre dona ogni anno, in occasione diquesta Giornata, ma anche per fare attenzione al programma pasto-rale diocesano (per quest’anno “Andate anche voi nella mia vigna” -Mt 20,4).

In questa occasione, nell’organizzazione della Giornata, che è sta-ta vissuta ad Andria nel pomeriggio di sabato 16 aprile, don PasqualeGallucci e i membri equipe del Servizio Diocesano di Pastorale Gio-vanile hanno potuto contare sull’aiuto dei laici e dei sacerdoti delleParrocchie della seconda zona pastorale, all’interno della quale si stamostrando un particolare interesse alla pastorale giovanile, il qualemira a dar vita ad un percorso comunemente pensato di pastoralegiovanile zonale.

I Giovanissimi ed i Giovani, delle tre città della Diocesi, che han-no partecipato alla giornata sono stati quasi cinquecento.

Così come gli altri anni, ed assolutamente in linea con ciò che laPastorale Giovanile è e con gli ambiti all’interno della quale è chia-mata ad agire, i Giovanissimi ed i Giovani hanno vissuto dapprimaun momento di formazione e catechesi, poi un momento di liturgia. Aquesti due momenti se ne sarebbe dovuto aggiungere un terzo: il mo-mento festa e testimonianza della carità, a cui però, purtroppo, si èdovuto rinunciare a causa della pioggia insistente.

All’arrivo, i partecipanti sono stati accolti in Cattedrale, dove èstato proiettato filmato “GMG Story”, curato dal Servizio Nazionale diPastorale Giovanile.

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Successivamente, i giovani sono stati divisi in 12 gruppi. A cia-scun gruppo era legato uno dei quattro simboli scelti: la casa, l’albe-ro, la croce, la vigna.

Nel momento di riflessione, laddove ciascun gruppo era guidato daun sacerdote e uno o più laici, a ciascun simbolo erano legati duepersonaggi su cui puntare l’attenzione:- la croce, all’interno dei cui gruppi si è riflettuto sul tema della sof-

ferenza, con testimoni il Centurione e Giovanni Paolo II.- La casa, nei cui gruppi ci si è soffermati sul tema della costru-

zione della propria vita alla luce delle figure dell’Apostolo Pietro edi San Francesco.

- L’albero, che rimandava alle proprie radici e all’essere saldi nellafede e che aveva come testimoni Abramo e Pier Giorgio Frassati.

- La vigna, che riconduceva, evidentemente, all’impegno come laici edove si è riflettuto a partire dalle figure degli Operai della Vignadel Vangelo e di Madre Teresa di Calcutta.

Al rientro in Cattedrale Giovani e Giovanissimi hanno vissuto laVia Crucis “… I giovani e gli inCROCI della vita”, composta da set-te stazioni:1. La condanna: precarietà, disoccupazione, incertezza del futuro;2. La Croce: la sofferenza e la malattia;3. La Caduta: alcool, droga, vita spericolata;4. La Madre: affettività negata;5. La Spogliazione: emigrazione dalla propria dignità;6. La Morte: lo sballo e le stragi del sabato sera;7. La Risurrezione: la vera giovinezza.

Il momento liturgico ha coinvolto molto i Giovanissimi ed i Gio-vani, i quali hanno pregato con estremo interesse e raccoglimento pertutto il tempo della celebrazione stessa.

Come ogni anno, la Giornata Diocesana della Gioventù è stata unbel momento di comunione dei giovani della Chiesa Diocesana: un mo-mento in cui conoscersi e confrontarsi a partire dalla Parola. Peccatodavvero per la pioggia e per l’impossibilità di far festa assieme… Spe-riamo vada meglio il prossimo anno!

a cura del Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile

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La partecipazione dei giovani della diocesialla Giornata Mondiale della Gioventù

UFFICI DIOCESANI PASTORALI

Ciò che più rimane è la GIOIA, che permea tutta l’esperienza. Mi-lioni di ragazzi nelle strade di una città, in questo caso Madrid, cheabbattono le loro diversità, quali possono essere il colore, la lingua oil paese di provenienza, tutti parlano, ridono, pregano, a proprio mo-do, lo stesso Dio, la stessa Croce, parlando l’universale linguadell’AMORE. I giovani chiamati dal Santo Padre a riunirsi in pre-ghiera con lui, danno la misura della ricchezza del credere, ognunonella propria vita e secondo la propria vocazione, e sanno trasmette-re un grande esempio di tolleranza e fraternità. Il filo conduttore del-la Giornata è Cristo, che si fa vivo e presente, non si ferma nei ta-bernacoli o rimane ad aspettarci solo la Domenica, ma che è Parolaviva e presente in ciascuno di noi.

Alberto PomoParrocchia SS. Sacramento

E quel 9 agosto è arrivato velocemente… i saluti, gli abbracci, imille “mi raccomando” e poi tutti in viaggio per quella che solo doposi sarebbe rivelata un’esperienza di crescita totale. Ognuno di noi, inquell’autobus, che lo portava all’incontro con Dio e con la gioventù delmondo, ha portato un proposito, un desiderio, un’aspettativa … nonsapremo mai se sono state soddisfatte e realizzate, ma ciò che pos-siamo fare è testimoniare: testimoniare che non siamo soli nel crede-re in Dio; testimoniare che esiste un’altra faccia dei giovani, oltre aquella proposta e tanto pubblicizzata; testimoniare che i giovani san-no mettersi in discussione; testimoniare che i giovani sono ancora ca-paci di sorprendere positivamente; testimoniare che i giovani deside-rano un mondo non diverso, ma nuovo, basato sull’Amore. È l’Amorefraterno che dovrebbe animare i nostri gesti quotidiani; è l’Amore di-

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VITA DIOCESANA

sinteressato che deve invadere le nostre case, i nostri rapporti, le no-stre aule scolastiche, i nostri posti di lavoro; è l’Amore di Dio che ab-biamo respirato in quei giorni a Madrid che ci ha fatto sentire partedi uno stesso progetto.

Ognuno di noi è tornato a casa con un VALIGIA IN PIU’: quelladei ricordi, delle esperienze, dei volti, dei sorrisi, dei saluti, delle ban-diere, dei dialoghi… E ora, riaprendola nelle nostre case, tra i nostriamici, nella nostra quotidianità, abbiamo voglia di concretizzare le pa-role che il Santo Padre ci ha detto:

“Non è possibile incontrare Cristo e non farlo conoscere agli altri.Quindi, non conservate Cristo per voi stessi! Comunicate agli altri lagioia della vostra fede. Il mondo ha bisogno della testimonianza del-la vostra fede, ha bisogno certamente di Dio.”

I giovani e giovanissimi della SS. Trinità

Sono partito per questa JMJ con la sicurezza di chi avrebbe do-vuto raggiungere la Spagna; sono tornato con gli occhi di chi ha sco-perto il mondo. Sono più o meno una decina le parole che abbiamoripetuto fino alla nausea in questa JMJ: “hola!”, “where are youfrom?”, “do you have something to change?”, sperando che poi il mal-capitato di turno potesse capire il nostro inglese maccheronico. Trefrasi, forse banali, ma indispensabili per creare un legame (fugace oduraturo che fosse) con la gente delle più svariate culture. La JMJ tiporta in contatto con migliaia di persone provenienti da ogni partedel mondo, lì per testimoniare la propria fede in Gesù Cristo. E poi,se è vero che durante la JMJ ti senti portatore della cultura del tuopaese, c’è sempre la certezza che per quella settimana siamo tutti unouguale all’altro, figli di un unico Padre.

Davide Montrone Parrocchia S. Andrea Apostolo

L’emozione è tanta, l’ansia, le attese e le speranze si affollano: due-cento giovani pronti ad iniziare una nuova avventura, pronti all’in-contro con Cristo. Prima tappa di queste due settimane è la diocesidi Albenga. Dopo un giorno intero di viaggio, fatto di canti, allegria,conoscenze e preghiera, la Liguria ci aspetta. Ciascuno dei quattropullman è indirizzato nella struttura in cui trascorrerà la notte. Edè qui che inizia la fase di adattamento a due settimane di sacco apelo, file e bagni in comune. La diocesi di Tarragona ci attende perospitarci in questa prima settimana di gemellaggio. Una settimanaintensissima, ricca di emozioni, incontri all’insegna della condivisione.Alloggiamo tutti assieme all’interno di un centro sportivo da poco

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inaugurato nel paesino di El Vendrel. Tra gli indimenticabili paninial salame spagnolo ed il “gustoso” Don Simon, diventa facile fare co-noscenza dei tipici piatti spagnoli. Ma l’avventura è da tutt’altra par-te. La diocesi di Tarragona si rivela magica ed accogliente. Seratefolkloristiche e celebrazioni eucaristiche riempiono le infinite giornatetrascorse in questa parte della Catalogna.

Un insolito ferragosto, trascorso in pullman tra dormite collettivee sveglie improvvise, ci conduce fino a Getafe, la città che ci ospiteràdurante la settimana a Madrid. La vera avventura ha inizio qui! El’adattamento risulta essere l’arma vincente. In fondo anche questa èGMG. Giorni ricchi di incontri ed emozioni, di cultura e divertimentoci aspettano. La messa di apertura, in Piazza di Cibeles, martedì 16agosto, avvia ufficialmente l’incontro dei giovani. Mercoledì, giovedì evenerdì mattina ci aspettano le catechesi con tre diversi Vescovi dellediocesi italiane. Mons. Paglia, Mons. Seccia e Mons. Giusti ci accom-pagnano in un viaggio alla scoperta di Cristo e dell’amore, all’insegnadella parola di Paolo: “RADICATI E FONDATI IN CRISTO, SALDINELLA FEDE”. Giovedì è anche il giorno dell’arrivo del Papa a Ma-drid. Siamo in tanti ad accoglierlo ed in tanti partecipiamo alla ViaCrucis di venerdì 19 agosto in Piazza di Cibeles. Ogni stazione dellaVia Crucis è rappresentata da un “Paso” della Settimana Santa spa-gnola mentre vengono trasportate in processione antiche sculture pro-venienti da diverse diocesi della Spagna. Tutto è pronto per l’incon-tro vero, per la veglia e la celebrazione con il Santo Padre nella spia-nata di Cuatro Vientos.

Angela ZicolellaParrocchia San Paolo Apostolo

Le Giornate Mondiali della Gioventù hanno un sapore tutto parti-colare, ingredienti che riconosci subito e le rendono impareggiabili:Momenti di festa e di incontro, spazi di dialogo e di preghiera, l’esul-tanza nell’incontro e la fatica nel cammino.

Partecipare alla GMG da religiose è stata una grande gioia.Gioia per l’esperienza di incontro, di accoglienza reciproca e di con-divisione vissuta. Al trascorrere delle giornate si accompagnava l’im-primersi, nella memoria e nel cuore, di volti e di nomi, l’ascolto distorie di vita e di cammini di fede, la condivisione di cose semplicie quotidiane.

Nell’incontro e nell’amicizia vissuti durante la GMG si è realizza-to anche l’incontro con Gesù nostro fratello, amico e Signore, è stataun’occasione per radicarsi e fondarsi in Cristo, per rimanere saldi nel-la fede, che nella vita consacrata, ha detto il Papa nell’incontro conle giovani religiose a Madrid, “significa andare alla radice dell’amorea Gesù Cristo con cuore indiviso, senza anteporre nulla a tale amore

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(cfr S. Benedetto, Regola, IV, 21), con una appartenenza sponsale, co-me l’hanno vissuta i Santi,” e si esprime “nella comunione filiale conla Chiesa” e “nella missione”.

La GMG deve continuare nella vita di ogni giorno, non solo at-traverso i bei ricordi, ma soprattutto nella fede, una fede che come hadetto il Papa “deve consolidarsi e crescere, farsi più profonda e ma-tura”, fede che ci permette di incontrare Cristo, non un’idea ma unapersona a cui poter dire: “Io mi fido di te e metto la mia intera vitanelle tue mani”.

Sr Milena, betlemita

Martedì 9 Agosto, ore 17,00: è QUASI TUTTO PRONTO. Sacco apelo, materassino, amuchina, salviettine idratanti, camice e stola, bre-viario…tutto sistemato e “incastrato” nello zaino! Mi mancava peròqualcosa: la risposta alla domanda “qual è l’anima di Madrid?”. Unospot pubblicitario diceva: «l’anima di Madrid sta nella GMG». Ma,qual era il senso della mia presenza alla GMG? Incontrare altra gen-te? Solo accompagnare i giovani della mia parrocchia? Vivere un’espe-rienza diversa nell’incontro con Cristo?... Tutte domande che non po-tevano essere “incastrate” nel mio zaino ma dovevano essere “libere”nel mio cuore! Solo così - mi dicevo - potevano avere una risposta.

Le difficoltà e i disagi mi hanno aiutato a vivere in modo pienola dimensione vera del pellegrinaggio simbolo del cammino di noi cri-stiani verso il paradiso.

Lo stare insieme ai confratelli e ai giovani della diocesi mi ha fat-to riflettere sulla bellezza di essere prete diocesano e ho ringraziatoil Signore per questo grande dono.

Con i responsabili diocesani e i volontari spagnoli ho fatto espe-rienza del servizio e della gratuità, dimensioni indispensabili nellaChiesa. I volti dei tanti giovani, incontrati per le strade o in metro-politana, immortalati non solo con la macchina fotografica ma nelcuore e nella mente, mi hanno fatto respirare aria di comunione: noicristiani, qualunque sia la nazionalità, siamo fratelli, figli dello stes-so Padre. Il cuore di tutti i giovani si è riempito di gioia nel sentireche il Papa era orgoglioso di tutti noi che non c’eravamo lasciati spa-ventare dai vari disagi. Il silenzio creatosi durante l’adorazione al SS.Sacramento sapeva di miracolo: duemilioni di persone che pregavanoe si lasciavano coinvolgere dall’invito del Papa a riscoprire la propriavocazione nella società e nella Chiesa e a mantenerla con “allegria efedeltà”.

Don Riccardo TaccardiParrocchia S.G. Artigiano - Andria

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La Giornata mondiale di preghieraper le vocazioni 2011

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CENTRO DIOCESANO VOCAZIONI

Nella quarta domenica di Pasqua, si è celebrata la 48° GiornataMondiale di Preghiera per le vocazioni. Il tema che Benedetto XVI haproposto alla nostra riflessione e preghiera, è quanto mai stimolantee incisivo: “l’annuncio-proposta vocazionale nella Chiesa locale”. Ciò si-gnifica riscoprire la comunità cristiana come “focolare”, in cui la fiam-ma arde donando luce e calore e non soltanto fuoco ricoperto da vec-chia cenere... Vogliamo pensare alla nostra comunità cristiana dioce-sana e alle singole parrocchie come reali scintille di fuoco o piuttostoad esperienze di Chiesa assopita, priva di vitalità e coerenza di vita,di fatto sepolta sotto una “pioggia di cenere”? Lo slogan della GMPV2011 prende lo spunto dal Vangelo di Marco 6,33-34, dove l’evangeli-sta racconta il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.Commentando questo brano, padre Ermes Ronchi propone una sotto-lineatura molto interessante: “all’umanità il cristiano non garantiscedei beni, ma un lievito, un fermento particolare per un pane di cui giàabbonda la terra. È la forza che mosse quel ragazzo che aveva cinquepani d’orzo e due pesciolini, che li mostra ad Andrea e Andrea lo di-ce a Gesù e Gesù li prende. E rende grazie: a Dio, origine di ogni be-ne, ma certamente anche a quel ragazzino, capace di fornire il lievitodella moltiplicazione, capace lui del primo miracolo: dare tutto ciò cheaveva, fidarsi completamente, rischiare la propria fame”. È un invitorivolto a ciascuno di noi e insieme a tutta la comunità cristiana perverificare i pani (cioè i doni!), che in ciascuno di noi sono presenti, vi-vendo un personale e comunitario cammino di discernimento, per po-terli condividere con gli altri, in un servizio disponibile e fecondo. Ilvero problema del nostro mondo non è solo la povertà del pane (checomunque esiste!), ma anche la povertà di quel lievito che possa es-sere reale fermento di Dio, capace di sollevare ogni vita.

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Uno scrittore del nostro tempo, Jacques Le Goff, ha scritto un sag-gio molto interessante dal titolo “Dal tempo del campanile al tempodel mercante”. Il tempo del campanile lo potremmo identificare quan-do le vocazioni maturavano quasi in maniera spontanea e immediatanelle nostre comunità cristiane. Si è passati poi, in maniera non sem-pre riflessa, al tempo del mercante, che ha un prodotto da mettere sulmercato, cercando di studiare le migliori strategie per fare della Pa-storale vocazionale un valido marketing; ma non sempre questa si èrivelata una via efficace. Crediamo sia giunto il momento che po-tremmo definire come il tempo dei lampionaio: è antico il ricordo diquei lampionai che sul far della sera andavano per paesi e città adaccendere i lampioni a gas lungo le strade: quelle piccole e caldefiammelle, chiuse nei lampioni, divenivano luce e calore per illumina-re la via e i passanti che la percorrevano. Per questo vogliamo insie-me chiedere al Signore, per ciascuno e per le nostre comunità par-rocchiali, che doni il pane a chi ha fame, ma che accenda anche lafame di Lui, una fame di cose grandi e belle, in chi è sazio di solopane. Il Signore doni alla nostra Chiesa diocesana uomini e donneappassionati della bellezza di Gesù, che accendano i cuori di passio-ne e di speranza. Forse è proprio di questo che l’uomo del nostro tem-po, che si ritiene l’unico artefice del proprio destino e pertanto “sen-za vocazione” (CEI - Educare alla vita buona del Vangelo, 23), haprofondamente bisogno.

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Iniziative proposte dal CDV

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Forum di formazione all’impegno Sociale e Politico

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UFFICIO DI PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO,GIUSTIZIA, PACE E SALVAGUARDIA DEL CREATO

Il Forum di formazione all’impegno Sociale e Politico ha conclusoil secondo anno del secondo ciclo. In tempi confusi e di crisi, non so-lo economica, educare all’impegno sociale e politico, porsi l’obiettivoalto di concorrere alla formazione di coscienze responsabili, stimolarediscussioni, confronti e spirito critico può rappresentare un servizioper la comunità. Appassionarsi ai temi trattati vuol dire avere a cuo-re ciascun uomo, perché non c’è niente e nessuno che non ci riguar-di. Questa sfida è stata colta da 39 persone iscritte al Forum, quasitutte regolarmente frequentanti, che hanno scelto di dedicare ogniquindici giorni tre ore del loro prezioso tempo ad una opportunità dicrescita personale da condividere.

L’esperienza, che si ripete da anni in più realtà aderenti al cir-cuito di scuole di Cercasi un Fine, l’associazione promotrice e coordi-natrice dell’iniziativa, ha permesso di vivere 14 sessioni, tenute dadocenti universitari e da esperti del mondo istituzionale, culturale epolitico, che rispondevano alla traccia di quest’anno “Partecipare nelpiccolo”. Si sono affrontate le questioni legate al territorio passandodai contenuti e dalla storia delle autonomie locali (provando, nel det-taglio, a comprendere il funzionamento di enti quali Comune, Provin-cia, Regione), al confronto tra amministratori locali, all’approfondi-mento di nodi problematici monografici relativi all’organizzazione so-ciale (stato sociale, sanità, ambiente, cultura, come strutture e biso-gni al servizio delle persone e come contenuti da conoscere adeguata-mente per compiere una seria programmazione).

Dieci momenti formativi si sono svolti presso il Seminario vesco-vile, mentre altri quattro presso il Polo Universitario di Acquavivadelle Fonti (Ba) con la concomitante partecipazione di tutte le scuoledel circuito. In questo ambito sono stati analizzati i contenuti della

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cittadinanza attiva, la figura di don Milani e la comunicazione in po-litica.

Tra le note positive: la presenza di una buona percentuale di gio-vani, una risposta a chi ancora parla insistentemente di un massic-cio disinteresse di questa fascia generazionale rispetto ai temi politi-ci e sociali; un soddisfacente indice di gradimento; una volontà di im-pegno e partecipazione.

L’ultimo incontro si è tenuto ad Acquaviva il 22 maggio 2011 inoccasione dell’assemblea annuale dell’Associazione. In questa giornatasono stati anche consegnati gli attestati e presentati i progetti in can-tiere. Inoltre segnaliamo la presentazione dell’ultimo lavoro editorialedi mons. Rocco D’Ambrosio il 3 giugno 2011 ad Andria.

Alla conclusione di questo corso, non possiamo non volgere un sa-luto e un pensiero a Nicola Occhiofino, un uomo impegnato, esempiodi rettitudine morale e professionale, che ha sostenuto le scuole e l’as-sociazione e che aspettavamo a dicembre per ragionare sul funziona-mento della Provincia...

Raffaella ArditoSegretaria Forum di formazione

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“La Chiesa, i giovani e il lavoro”

Palermo, 10-15 Maggio 201115° anniversario del Progetto Policoro

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Fermarsi a riflettere sul cammino percorso in quindici anni, più cheil sapore di una celebrazione, invita a ritrovare il gusto di una espe-rienza già ampiamente avviata e bisognosa di rinnovarsi e di crescere.Il Progetto Policoro non fa fatica a riconoscersi in questa prospettivaaperta sul futuro, forte di una storia breve ma intensa e promettente.

Mons. Angelo Casile, in occasione dell’ apertura dei lavori del Con-vegno per i 15 anni del Progetto Policoro, ha ricordato la figura didon Mario Operti, un sacerdote “sempre pronto a incontrare l’altro,soprattutto se giovane e del Sud”.

“Questo Progetto è un grande dono che il Signore ha fatto allaChiesa italiana, che ha fiducia nei giovani”: sono le parole del diret-tore nazionale per la Pastorale Giovanile, don Nicolò Anselmi, secon-do il quale il Progetto ha successo perché “viene toccato un bisognovero del mondo giovanile, la richiesta di felicità, che poi è lo scopo ul-timo dell’educazione”.

“Il Progetto Policoro rappresenta la possibilità concreta di non la-sciarsi andare alla sfiducia”: queste le parole del segretario generaledella CEI, mons. Mariano Crociata, che ha sottolineato la dimensioneeducativa del Progetto, una dimensione articolata su tre poli: “la per-sona, la responsabilità educativa delle comunità ecclesiastiche e ilcoinvolgimento di altri organismi”.

È l’amore dei giovani per la propria terra, la voglia di riscatto sce-gliendo percorsi di legalità e giustizia, che descrive al meglio i «cam-mini» che in tanti hanno compiuto all’interno del Progetto Policoro.Così interviene l’arcivescovo di Palermo, card. Paolo Romeo, sugliobiettivi raggiunti finora dal Progetto Policoro: 500 imprese concrete e4.000 ragazzi occupati provenienti da oltre 90 diocesi prevalentementedel Sud.

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L’impresa di dare speranza al Sud è stata definita Coraggiosa dalvicedirettore della Caritas Italiana, Francesco Marsico, e per questooccorre “avere fiducia perché c’è qualcuno che soccorre e dà una spin-ta in più, anche quando si è invece spinti a rinunciare. Sognare, da-re speranza e sognare insieme vuol dire cominciare a cambiare que-sto Sud e con esso cambia anche noi stessi”.

È una questione di coraggio, di certezza che si può cambiare e cheil male, qualunque male può essere fermato. Mons. Giancarlo Bre-gantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano ha richiamato le radici diquesti anni, oltre il convegno delle Chiese d’Italia del 1995 a Paler-mo: «il 27 maggio 1993 nella Valle dei Templi ad Agrigento, quandoil Papa gridò “verrà un giorno il giudizio di Dio” e nel settembre del-lo stesso anno venne ucciso a Palermo don Pino Puglisi».

Questo dolore e questa amarezza, si chiede con passione Bregan-tini, potranno divenire dolcezza? «Sì - dice l’Arcivescovo di Campo-basso - ma non basta la presenza affettiva. Ci vuole anche una pre-senza effettiva delle banche, del credito cooperativo, che danno fiduciaalle idee dei giovani imprenditori».

Nella nostra diocesi il Progetto Policoro nasce nel 2001, è presen-te attraverso il lavoro degli AdC presso il Centro Servizi “Polincon-tro”

Il C.S. offre ai giovani informazioni sulla stesura di CurriculumVitae, sulle opportunità offerte delle politiche attive del lavoro, orga-nizza corsi di formazione di 1° Livello, raccoglie le istanze di quantivogliono accedere al progetto diocesano di Microcredito “Progetto Bar-naba”, che si prefigge di favorire l’accesso al micro-credito alle fascepiù deboli della popolazione giovanile della nostra Diocesi nell’otticadi contribuire alla creazione di occupazione.

Gli animatori sono reperibili per incontri e attività legate al pro-getto ai recapiti sotto indicati.

Centro Servizi “Polincontro” via Bòttego 36 - Andria.email: [email protected] / [email protected] -www.progettopolicoro.it AdC Vito Chieppa cell 380.4618659 AdC Rosa Pellegrino cell. 329.4062753

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Pellegrinaggio a Lourdes

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UFFICIO PER LO SPORT, TURISMO,TEMPO LIBERO, PELLEGRINAGGI

La Diocesi di Andria si è recata a Lourdes dal 4 al 10 Settembre.Ha effettuato questo Pellegrinaggio con l’UNITALSI insieme alle Sot-tosezioni di Trani, S. Severo e Margherita di Savoia.

Una scelta di tanti sacerdoti e volontari di vivere il Pellegrinag-gio con la consapevolezza di testimoniare la vocazione ad “Amore eServire” condividendo il viaggio, il soggiorno, le funzioni con tutti insintonia con circa settecentocinquanta persone.

Guardando i pellegrini che sono venuti per la prima volta , si no-tava in loro lo stupore per quanto si stava vivendo, apprezzando an-che le cose più semplici.

È stato il pellegrinaggio della gioia, che traspariva dai volti dellepersone.

Che dire dell’applauso che si è levato sotto la Grotta di Massa-bielle quando Luca ha ricevuto la prima comunione, lui che era sta-to a Lourdes quando aveva due anni e che… una settimana primaera in grave pericolo di vita? Quante emozioni! Quanta bellezza tra-spariva sui volti dei tanti ragazzi che avevano deciso di andare inPellegrinaggio come volontari. Una ragazza, ci ha detto: “La cosa chesto apprezzando di più è il fare questa esperienza in completa gra-tuità, anzi avendo pagato una quota di partecipazione”.

Un ragazzo scout, ha aggiunto: “L’aiutare stando al fianco di co-loro che non camminano, non vedono, non sentono è veramenteun’emozione che Ti prende completamente e nonostante la stanchez-za Ti fa sorridere alla vita… perché riesco a dire: «Grazie Signore perquello che mi hai dato!».

Volti che si sono incontrati a Lourdes, storie ascoltate nel lungoviaggio, amicizie nate tra i genitori di bambini che forse non diranno

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mai mamma e papà, che non scriveranno, che non andranno loro in-contro abbracciandoli, ma che sono la bellezza del volto di Dio!

Ogni giorno del nostro Pellegrinaggio è stato un dono per quantosi è vissuto. Come non ricordare la visita ai luoghi dove la piccolaBernardette visse. Che dire del “Cachot” umile abitazione, dove peròsi sentiva l’amore di una famiglia unita che ogni sera, nonostante tut-to, recitava il Santo Rosario, affidandosi completamente alla S.Vergi-ne.

Un Pellegrinaggio vissuto come esperienza di figli di Dio, che civuole bene, che non ci abbandona nel tempo della prova, ci sostiene eci accompagna.

La presenza del Vicario Generale della Diocesi di Andria, DonGianni Massaro, ci ha fatti sentire veramente un’unica famiglia, Chie-sa Viva, in cammino verso la Grotta di Lourdes dove la Santa Ver-gine apparve alla piccola e umile, Bernardette Soubirous per portareal mondo il messaggio dell’Amore e della Misericordia di Dio.

Mariangela CannonePresidente Regionale Unitalsi

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Il progetto della Caritasper i detenuti della Diocesi

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Con la conferenza stampa di mercoledì 13 aprile è stato presen-tato ufficialmente il progetto “Ponti tra carcere e mondo”, frutto del-la progettazione della Caritas diocesana, con il sostegno delle comu-nità con la colletta dell’Avvento di fraternità e dei conntributidell’8xmille della Caritas Italiana.

Non è un progetto del tutto nuovo. Sarà semplicemente un poten-ziamento di ciò che già è esistente; infatti da circa tre anni i parrocidelle comunità parrocchiali S. Maria Addolorata alle Croci e S. An-drea Apostolo prestano il servizio da volontari presso la Casa Circon-dariale di Trani per sostenere moralmente e spiritualmente coloro chehanno incontrato la devianza nel corso della propria vita. Animatidallo spirito del Vangelo di Matteo che invita tutti a confrontarsi conil giudizio universale: “…Quando ti abbamo visto affamato, assetato,in carcere…ogni volta che avete fatto questo a uno di miei fratelli, loavete fatto a me” (Mt 25). L’esperienza pastorale che le due comunitàsvolgono ha permesso di evidenziare una piaga nota: la micro e macrocriminalità presente da decenni e le relative famiglie martoriale dascelte sbagliate e dal disagio che la detenzione procura ad esse e al-la comunità. Da qui la scelta di non tralasciare nessuno delle personeaffidate alla cura spirituale, invitando i fedeli a creare “ponti tra ilcarcere e il mondo”. Il progetto, però, ed è qui la novità, mira a for-mare le comunità ad uno stile di accoglienza, di solidarietà e di in-serimento mediante il servizio gratuito verso coloro che hanno sbaglia-to con reati e con comportamenti moralmente disdicevoli. L’assistenzadi prima accoglienza nel carcere, quando i detenuti sono introdotti esprovvisti degli indumenti personali, è fondamentale da parte deivolontari perchè permette di instaurare un rapporto di prima necessitàe sostenere coloro che la detenzione la vivono in modo traumatico. La

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richiesta di incontrare il Signore attraverso la Parola di Dio diventaun’esigenza che i detenuti manifestano spesso. Si evidenzia che unavolta creato il ponte in carcere non viene interrotto quando la deten-zione è terminata, continua nel “Mondo” il percorso di formazione edi inserimento nelle attività educative delle parrocchie.

I dati relativi ai Centri di Ascolto per l’anno 2009 ci dicono chesono 25 gli utenti, pari al 3,07%, che si rivolgono alle nostre strut-ture e presentano tra i bisogni quello della detenzione di uno deimembri della famiglia, mentre a livello del Comune di Andria l’85%di coloro che si rivolgono ai Servizi Sociali hanno problemi con lagiustizia.

Il problema dell’emergenza carceri è molto sentito e in Italia nelsettembre scorso erano 68.749 i detenuti arrivando al 53,3% il sovraf-follamento dei detenuti. Anche in Puglia e in particolare presso ilcarcere di Trani la situazione è alquanto drammatica: ben 250 su 170posti disponibili (fonte CISL).

In una emergenza strutturale sicuramente le dinamiche chesi stabiliscono all’interno del penitenziario possono creare qualcheproblema ai detenuti, soprattutto ai più fragili e deboli.

Dal lavoro di questi anni, i sacerdoti volontari hanno incontratonel carcere circa 200 detenuti provenienti dai tre comuni della nostraDiocesi, mentre nelle due parrocchie hanno svolto la pena alternativain 45 circa (dal 2005).

Tutto ciò fa comprendere come la situazione si presenta come unvero luogo di testimonianza della carità.

È necessario individuare con più precisione il numero della popo-lazione carceraria e le famiglie degli ex detenuti appartenenti al ter-ritorio della nostra Diocesi per avviare una forma di coscientizzazionea non delinquere più, sostenuti dall’azione della comunità ecclesialecon interventi mirati. Non è mai stato compiuto in passato un prog-etto che avesse a cuore il carcerato e i suoi familiari. Il sostegno dipiccole somme economiche nelle estreme necessità diventa un segno diprossimità e di sollievo dalle inquietudini esistenziali.

L’apertura delle comunità all’accoglienza di coloro che per il reatocommesso sono considerati come persone da tenere lontano e non in-vece da integrare. Le parrocchie hanno puntato sul recupero della per-sona, condannando il reato ma non squalificando la persona. Fonda-mentale è anche il sostegno alle famiglie che si rivela di fondamen-tale importanza per mantenere vivo il dialogo e una relazione con lacomunità.

Quest’anno il programma pastorale diocesano, sulla vocazione emissione dei laici, alla sezione fragilità umana ha aggiunto: “Alcunidetenuti, in virtù della legge 207/03 sulla sospensione condizionata

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della pena, vivono un’esperienza di volontariato in alcune strutture ec-clesiali, dove hanno la possibilità di reinserirsi nella vita civile e re-cuperare i valori importanti attraverso educatori e guide spirituali. Lacomunità ecclesiale è chiamata ad intervenire nelle situazioni difficili,ad aiutare i fedeli a maturare una fede autentica, perché i momentidi fragilità siano vissuti alla luce di Dio, e a prendere coscienza cheil contatto con le persone sofferenti porta ad apprezzare il valore del-la vita”. Il progetto vuole cercare di attuare tutto questo.

Simona Inchingolo

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Analisi dell’utenzae dell’attività dei Centri di Ascolto Caritas

della Diocesi di Andria 1

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1. Premessa

Il Rapporto Annuale Caritas 2010 della Diocesi di Andria fotogra-fa l’utenza e il lavoro svolto dai Centri di Ascolto (CdA) che operanoad Andria, Canosa di Puglia e Minervino Murge. I dati e le riflessio-ni che esso contiene devono essere collocate nello scenario dell’attua-le crisi economica internazionale che si è sovrapposta e ha potenzia-to le preesistenti povertà locali.

La crisi che in questi mesi sta mettendo a dura prova l’Europa èuna crisi di sistema. Alberto Melloni, storico della Chiesa, propone diutilizzare la categoria evangelica di “krisis” per comprenderla. Non èla “fine del mondo” ma la fine di un mondo, un “giudizio” su uno sti-le di vita tenuto dall’Occidente nel quale il debito dei paesi ricchi, ali-mentato dalle risorse provenienti dal resto del mondo, agiva come si-stema di dominio.

In particolare, dobbiamo essere consapevoli che, come scrive il so-ciologo Marco Revelli in “Povero noi” (Einaudi, 2010), “l’Italia non ècome ce la raccontano: abbiamo creduto di crescere e stiamo decli-nando, la nostra presunta modernizzazione è un piano inclinato versola fragilità e l’arretratezza”. La dimensione locale ci consente di per-cepire più chiaramente e drammaticamente il processo in atto: l’Ita-

1. I dati qui presentati sono stati oggetto di discussione e approfondimento nelle sin-gole sedi interessate all’accoglienza (Parrocchie, Zone Pastorali, Centri di Ascolto,Equipe diocesana) e comunicati alla Comunità ecclesiale attraverso il mensile dio-cesano “Insieme” nel numero Settembre – Ottobre 2011. Questa relazione, inoltre,è stata pubblicata integralmente sulla Rivista Diocesana Andriese.

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lia è un paese che vive un ciclo di progressivo impoverimento del ce-to medio e di crescenti disuguaglianze della popolazione, un paesefragile in cui è grande la sfiducia nella possibilità di migliorare lapropria condizione di vita. Non è un caso che il X Rapporto di Cari-tas Italiana e della Fondazione Zancan si intitoli “In caduta libera”.Tale documento bene illustra come siano fuorviati i dati Istat 2010sulla povertà in Italia. Non è vero che essa sia sostanzialmente sta-bile rispetto al 2008, si tratta di una “illusione ottica”. I ricercatoridella Fondazione Zancan calcolano un incremento dei poveri del 3,7%rispetto al 2008 (per le argomentazioni tecniche si rimanda al X Rap-porto Caritas). Lo studio conferma, inoltre, che la povertà riguardasoprattutto il Sud Italia, le famiglie numerose (3 o più figli specie seminori), i nuclei con un solo genitore e chi ha un livello basso diistruzione.

Questo è il contesto in cui collocare l’analisi e le riflessioni che na-scono a partire dall’incontro quotidiano dei volontari Caritas con lepovertà e i bisogni delle nostre città. I Centri di Ascolto sono un os-servatorio privilegiato per avere il “polso” della situazione. Ma atten-zione i dati dicono anche dei Centri, dei volontari che prestano il lo-ro servizio, delle peculiarità delle città in cui operano: quale l’ “orien-tamento” dato all’offerta, quale la concezione che si ha della povertà.

Il rapporto diocesano è composto da una analisi-riflessione sui da-ti raccolti (chi sono le persone che si sono rivolti ai CdA, quali i bi-sogni e le richieste fatte e gli interventi offerti) e da tabelle e grafi-ci relativi.

I Centri Caritas raccolgono sistematicamente dati statistici checonsentono di conoscere le caratteristiche degli utenti. Sono tre le di-mensione che vengono rappresentate: la prima riguarda alcune ca-ratteristiche socio-demografiche (sesso, classe d’età, cittadinanza, sta-to civile, condizione professionale, grado di istruzione), la seconda ri-manda al contesto delle relazioni (dimora, caratteristiche del nucleodi convivenza, presenza di figli minori), la terza al rapporto di aiutoattivato (bisogni rilevati dagli operatori, richieste di aiuto formulate,interventi forniti). Queste informazioni confluiscono nel sistema infor-mativo di Caritas Italiana e sono alla base dei rapporti da questastilati. I valori assoluti di riferimento e le percentuali delle modalitàassunte dalle variabili sono riportati integralmente nella sezione Ta-belle e Grafici. Le informazioni provengono dai Centri di Ascolto edalle parrocchie partecipanti al Progetto Rete della Caritas Diocesa-na, il cui elenco, organizzato per Zone Pastorali, è di seguito ripor-tato: – Zona Pastorale Andria 1 = Centro interparrocchiale prima acco-

glienza “Mamre”;

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– Zona Pastorale Andria 2 = Parrocchia M. SS. dell’Altomare; Par-rocchia San Riccardo; Parrocchia San Francesco d’Assisi; Parroc-chia M. SS. Annunziata; Parrocchia San Nicola di Myra; Parroc-chia Santa Maria dei Miracoli; Parrocchia Santa Maria Addolora-ta alle Croci;

– Zona Pastorale Andria 3 = Centro interparrocchiale per le famiglie“Nazaret”;

– Canosa di Puglia = Parrocchia M. SS. del Rosario; Parrocchia S.Maria Assunta; Parrocchia San Sabino; Parrocchia Gesù, Giusep-pe, Maria; Parrocchia Santa Teresa;

– Minervino Murge = Centro Interparrocchiale di prima accoglienza“Emmaus”;

– Caritas Diocesana di Andria = Progetto Barnaba e Fondo Fiduciae Solidarietà.

2. Analisi e commento

Il rapporto 2010 pone una particolare attenzione alle caratteristi-che dell’utenza e delle attività dei Centri di Ascolto dei tre comunidella Diocesi al fine di meglio capire le peculiarità di chi riceve assi-stenza e di chi la offre.

Lo scorso anno è cresciuto il numero di persone che si sono rivol-te ai Centri di Ascolto: da 596 del 2009 a 716 del 2010, con un in-cremento del 20,1%. In particolare, ai Centri di Ascolto di Andria sisono rivolti 448 individui, a Canosa 195 e a Minervino Murge 73[Grafico 1 e Tabella 1].

La crisi continua a far sentire i suoi effetti. Cresce la povertà, cre-scono i bisogni di chi vive nel territorio della Diocesi di Andria, cre-sce la domanda di aiuto. La Caritas ha risposto con l’apertura di nuo-vi centri di ascolto. In questi ultimi anni il loro numero è passato da-gli 8 del 2008 ai 15 del 2009 arrivando ai 16 del 2010 [Grafico 2].

Gli utenti sono stati quasi esclusivamente cittadini Italiani, glistranieri solo 36 di cui 27 seguiti a Minervino. È necessario precisa-re che gran parte degli interventi a favore dei cittadini non Italiani(anche se Comunitari) sono concentrati presso il Centro di Accoglien-za “S. M. Goretti” di Andria e non sono oggetto di questo rapporto.

Proviamo a costruire un identikit dell’utente 2010 di cittadinanzaitaliana. Lo faremo sottolineando le specificità che emergono nei di-versi comuni.

Andria (433 utenti). Agli sportelli di ascolto si sono rivolte princi-palmente donne (56,0%), gli utenti avevano in prevalenza un’età com-presa tra i 35 ed 54 anni (51,6%), coniugati (60,5%), con un livello diistruzione basso (il 49,1 % non ha conseguito la licenza di scuola me-

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dia di 1° grado e il 14, 3% è analfabeta o senza alcun titolo di stu-dio), disoccupati (38,2%) o casalinghe (30,4%) [Grafici 3- 7].

Canosa di Puglia (195 utenti). Diversa la situazione per quanto ri-guarda il sesso prevalente tra gli utenti: in questo caso il 54% sonouomini. Più alta l’incidenza di coloro che hanno un’età compresa trai 35 e 54 anni (61,0%). Anche a Canosa prevalgono i coniugati(57,95%), il livello di istruzione è basso, mentre elevato appare quel-lo dei disoccupati (39,0%) e delle casalinghe (20,0%) [Grafici 8 – 12].

Minervino Murge (46 utenti). Tra i cittadini italiani che si sono ri-volti al Centro di Ascolto le donne sono state in leggera prevalenza:23 rispetto a 21 uomini (per 2 utenti il dato non è stato rilevato). Lamaggioranza ha un’età compresa tra i 35 ed i 54 anni (36 su 46 uten-ti complessivi), è coniugato (25 su 46 individui), con un basso livellodi istruzione (25 su 46 non hanno conseguito il diploma di scuola me-dia di 1° grado), la condizione lavorativa maggioritaria è quella di di-soccupato (21 persone) seguita da quella di casalinga (13 donne) [Gra-fici 13 – 17].

Da questi dati emerge come la composizione socio-demograficadell’utenza si differenzi nei tre comuni sostanzialmente per età, sessoe stato civile. In tutti i comuni è la fascia di età “centrale” ad essereprevalente. Esaminiamo le diversità. Ad Andria gli over 65 sono unacomponente consistente pari al 13,6% a differenza di Canosa (5,6%) edi Minervino. In particolare è a Canosa che la classe d’età centrale 35– 54 anni ha maggiore consistenza (61,0%) rispetto agli altri due co-muni. Canosa inoltre si differenzia per la prevalenza dell’utenza ma-schile. A Minervino la presenza di coniugati, pur essendo maggiorita-ria è meno significativa rispetto ad Andria e Canosa.

Un breve inciso per quanto riguarda gli stranieri rivoltisi al Cen-tro di ascolto di Minervino. A differenza di Andria e Canosa, qui glistranieri sono stati in numero consistente (27 su un totale di 76 in-dividui). Quasi uguale il numero degli uomini e delle donne (14 gliuni 13 le altre), di età decisamente minore degli italiani (11 su 24 dietà compresa tra i 19 e i 34 anni), in maggioranza coniugati, con li-vello di istruzione medio - basso (superiore però a quello degli italia-ni) e con una consistente componente di disoccupati [Grafici 18 – 22].

Essere disoccupato è la condizione largamente maggioritaria di chichiede aiuto. Disoccupazione e mancato adempimento degli obblighiscolastici sono la condizione comune alla maggioranza assoluta dellepersone rivoltesi alla Caritas. La relazione tra povertà e basso livel-lo di istruzione viene ampiamente confermata. Da qui la consapevo-lezza che la lotta alle povertà non può prescindere da un forte impe-gno per la crescita del livello d’istruzione in termini di quantità equalità.

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Chi si è rivolto ai Centri di Ascolto per circa l’80% (con piccole va-riazioni percentuali nei diversi comuni) vive all’interno di un nucleofamiliare e ha una dimora fissa. Chi vive da solo rappresenta un per-centuale minoritaria (un dato medio che oscilla intorno al 10%). Qua-si inesistente la presenza di senza fissa dimora (unico dato è quellodi Canosa con 4 persone). Si conferma ancora che i Centri sono fre-quentati prevalentemente da persone che vivono in famiglia, non im-porta se “tradizionale” o di fatto. Gli interventi sono stati rivolti so-prattutto a nuclei familiari, molti dei quali con figli minori. Ad An-dria i figli minori delle persone rivoltesi agli sportelli di ascolto sono366, a Canosa 173 e a Minervino 61. Ai Centri di Ascolto si rivolgo-no singoli individui, bisogna però evitare l’errore di considerali fuoridal sistema di relazioni famigliari nel quale sono collocati [Grafico 23e Tabella 2].

L’analisi dei bisogni dell’utenza mostra alcune specificità che ca-ratterizzano i Centri di Ascolto dei tre comuni. Si tratta di una ana-lisi che passa attraverso la valutazione della domanda effettuatadall’operatore e che quindi risente della sua capacità di interpreta-zione e classificazione. Ciò nonostante le differenze che emergono me-ritano attenzione. Comune a tutte le realtà locali è la prevalenza didue categorie di bisogni: quelli riconducibili ai problemi economici(59,7% a Canosa, 47,5% ad Andria e 30,6% a Minervino) e quelli ri-guardanti l’occupazione e il lavoro (25,8% ad Andria, 22,2% a Cano-sa 22,4% a Minervino) [Tabella 3 – 5]. Ma già qui emergono le pri-me differenze. La “forbice” percentuale riguardante i problemi econo-mici appare estremamente ampia tra Canosa e Minervino. Se si ana-lizzano poi le altre voci è evidente come a Minervino i bisogni emer-si dai colloqui con gli operatori Caritas riguardino una molteplicità ditematiche praticamente assenti a Canosa mentre Andria si pone inuna posizione intermedia. Esaminiamole in dettaglio: innanzituttoemergono le problematiche familiari (15,7%) seguite da quelle relati-ve ai problemi di salute (10,5%) e dalle problematiche abitative(8,2%). Ciò non significa che gli utenti di Canosa non abbiano ancheloro bisogni riconducibili a queste aree. È probabile, in questo caso,che sia l’offerta ad orientare la domanda.

Questa ipotesi può trovare una ulteriore conferma considerando larichiesta di intervento rivolta ai Centri di Ascolto. La domanda ri-guarda nella quasi totalità dei casi beni e servizi materiali (98,2% aCanosa, 87,8% a Minervino e 79,7% ad Andria). Nulla di strano con-siderata la natura di questi Centri che hanno tra i loro obiettivi an-che quello di fornire alimenti, vestiario, ecc.. Pur consapevoli di que-sta caratteristica dai dati emergono alcune differenze degne di nota.Ad Andria ben il 20,1% delle richieste di intervento sono state di

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ascolto. Si tratta di una domanda di aiuto relazionale esplicito. È im-portante ricordare che qualunque richiesta di tipo materiale porta im-plicita una dimensione relazionale ma in questo caso il dato ci se-gnala, probabilmente, un maggiore orientamento dei Centri di Ascol-to della città in questa dimensione. Una tale differenziazione, anchese di più modeste dimensioni, appare anche a Minervino dove assu-mono una qualche consistenza richieste di tipo sanitario (4,6%) e diascolto (3,9%) [Tabelle 6 – 8].

Queste considerazioni sono confermate dai dati riguardanti gli in-terventi effettuati presso i centri di ascolto dei tre comuni della Dio-cesi. Le percentuali relative alle richieste degli utenti coincidono so-stanzialmente con quelle degli interventi effettuati dagli operatori[Tabelle 9 – 11].

Si può formulare l’ipotesi, meritevole di ulteriori approfondimentie verifiche, che i Centri di Ascolto di Canosa siano meno “orientati”verso una offerta di tipo relazionale, ovvero che minore sia la perce-zione di tale componente. È altresì vero la distribuzione di cibo e divestiario sono un servizio che a livello locale non trova altre agenziee il suo venir meno avrebbe un impatto molto pesante su chi vive si-tuazioni di disagio.

Il quadro che emerge dal rapporto chiede di pensare gli interven-ti di assistenza non come rivolti ad individualità decontestualizzatema a persone portatrici di bisogni riconducibili al proprio nucleo fa-miliare. La famiglia e le sue povertà richiede una particolare atten-zione. Ciò non significa trascurare altre tipologie di utenza (personesole, senza fissa dimora, ecc.) quanto piuttosto cercare di personaliz-zare gli interventi sulla base della diversità dei bisogni.

In conclusione, questo tempo di crisi chiede alla Chiesa locale, in-tesa come “communio”, di leggere attentamente i segni dei tempi, diavere la capacità di cogliere il tempo favorevole offerto dalla “krisis”per un profondo cambiamento degli stili di vita, di proporne altri im-prontati alla giustizia e alla fraternità. È questo il servizio grandeche essa può offrire partendo dai suoi Centri di Ascolto.

dr. Natale Pepe

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Il XIV Convegno Regionale Elettivodi Azione Cattolica

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Recentemente si è tenuto a Monopoli il XIV Consiglio Regionaleelettivo AC dal titolo “Educare la fede, educare la vita. I laici nellaChiesa e nella società pugliese, oggi”. È intervenuta Chiara Finoc-chietti, Vice presidente nazionale per il Settore Giovani, che ci ha of-ferto una riflessione sulla nostra associazione a servizio della Chiesae del Paese.

Offriamo una sintesi del suo intervento.Questo Anno Associativo si è aperto con le Settimane Sociali e si

chiuderà con il Congresso Eucaristico Nazionale: il segno del nostroimpegno da laici nella città, radicato nell’eucarestia.

È l’anno un cui festeggiamo il 150° compleanno del Paese: l’AC inquesta storia ci sta da 143 anni, sempre con l’amore e il servizio al-le istituzioni e al Paese (tra l’altro quando nacque si chiamò societàdella Gioventù Cattolica Italiana, aveva già questo elemento unitarioal suo interno).

È, ancora, il primo anno del decennio che i nostri Pastori dedicanoal tema dell’educazione: l’AC è anche espressamente ricordata nel do-cumento “Educare alla vita buona del Vangelo”. Al capitolo 4, dedicatoalla “Chiesa comunità educante”, quando si parla della Parrocchia edella aggregazioni laicali nella comunità cristiana, al n. 43 si dice che:

«Nelle diocesi e nelle parrocchie sono attive tante aggregazioni ec-clesiali: associazioni e movimenti, gruppi e confraternite. […] Tra que-ste realtà, occupa un posto specifico e singolare l’Azione Cattolica, cheda sempre coltiva uno stretto legame con i pastori della Chiesa, assu-mendo come proprio il programma pastorale della Chiesa locale e co-stituendo per i soci una scuola di formazione cristiana. Le figure digrandi laici che ne hanno segnato la storia sono un richiamo alla vo-cazione alla santità, meta di ogni battezzato».

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Il decennio sull’educazione ci chiama, allora, a mettere la nostragrande tradizione educativa a servizio della Chiesa e del Paese, comefacciamo da sempre.

L’educare in AC implica la presenza di “virtù laiche”. Perchévirtù? Perché sono qualcosa che non possiamo procurarci da soli: so-no un dono (si pensi alle virtù teologali); sono, poi, doni non acquisi-ti per sempre, ma che vanno continuamente esercitati. Tali virtù so-no:

1. Gratuità. È una delle più grandi virtù dell’AC, che insegna adonare gratuitamente il proprio tempo, l’intelligenza, la passione, sen-za chiedere nulla in cambio, e anzi, spesso e volentieri, rimettendocidel proprio. È qualcosa che dà scandalo e che fa nascere interrogati-vi in chi ci sta intorno, interrogativi che siamo chiamati ad accom-pagnare, perché da essi può nascere anche un percorso di ricerca spi-rituale.

2. Democraticità. L’AC è scuola di partecipazione, di democrazia.Si impara a costruire un progetto comune, a fare discernimento co-munitario: democraticità in Ac non significa che vince l’idea ella mag-gioranza sulla minoranza, ma che se si partecipa ad una riunione condue idee diverse molto spesso se ne esce con una terza che prende ilmeglio delle due.

3. Unitarietà. L’unitarietà è una scelta della nostra associazione,una scelta tutt’altro che scontata: intanto è una scelta relativamentegiovane, che ha poco più di 40 anni.

Unitarietà significa anche avere uno stile: cercare sempre quelloche unisce piuttosto che quello che divide, non solo dentro l’associa-zione ma anche fuori: si pensi al legame e all’impegno per la comu-nione con le altre associazioni.

4. Organicità. In AC si fa formazione globale, umana e cristiana;e inoltre è un percorso di formazione graduale e continuo.

5. Popolarità. La scelta della parrocchia è la scelta di essere ra-dicati dove le persone vivono, nei nostri quartieri, vicino alla case. Celo dice l’etimologia stessa della parola Parrocchia: parà-oikia, pressole case; ma è un verbo che indica anche un dinamismo, viene infattiutilizzato per indicare lo “stare” del popolo d’Israele presso gli Egi-ziani, un dimorare “mobile”, proprio di chi è sempre in pellegrinaggio.

Quali, allora, gli snodi associativi?

1. Cura della vita spirituale. È il cuore di tutto il nostro impegno.Ma la cura della vita spirituale passa soprattutto attraverso la rela-zione con un assistente o una figura che sia di riferimento.

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2. Attenzione alla formazione di educatori e responsabili. È il pa-trimonio più prezioso della nostra associazione: tanti giovani e adultiche si spendono con generosità, dedizione e sacrificio per aiutare i piùpiccoli e i loro coetanei nel loro percorso di crescita e di formazione.Per questo è centrale aiutarli a vivere al meglio questo loro servizio,a inserirlo nel loro percorso più ampio di formazione.

3. Attenzione e impegno per il bene comune.La nostra forza, allora, è il nostro essere insieme, il nostro essere

comunità, realtà che aggrega e che sta nel cammino della Chiesa.

Gabriella CalvanoSegretaria Diocesana di A.C.

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Riflessioni in margineal XXXI Convegno Bachelet a Roma

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Celebrare una ricorrenza storica importante, se non è solo rifugionel già avvenuto, può rappresentare un modo di essere e di crescere.In una fase in cui anche l’Italia si trova in una condizione di risor-gente popolarità tra apertura all’Europa e al mondo e radicamentoidentitario, diviene pressante il bisogno di riconoscersi come comunitànazionale, come italiani d’Europa e come cittadini di ogni più piccolaparte del Paese e di chiedersi che cosa ci unisce pur nelle distinzio-ni della pluralità.

Questo e molto altro è stato oggetto di studio e di riflessione nelcorso del XXXI Convegno Bachelet dal titolo “L’unità della Repub-blica oggi. Tra solidarietà nazionale, autonomie e dinamiche inter-nazionali”, tenutosi recentemente a Roma, a cui ho avuto la fortu-na di partecipare per diletto, oltre che per motivi di studio e di ri-cerca.

Il programma del Convegno è stato estremamente nutrito di in-terventi particolarmente interessanti e significativi, divisi in due ses-sioni. La prima dal titolo “La memoria e le ragioni da condividere”ha visto gli interventi di Roberto Gatti, dell’Università di Perugia, edi Albero Monticone, già Presidente Nazionale di AC e direttoredell’Istituto Toniolo. A questi interventi, sempre all’interno di talesessione, è seguita una tavola rotonda, nell’ambito della quale ci si èinterrogati sul senso dell’unità per gli italiani di oggi. Nella secondasessione, dal titolo “L’unità alla prova delle autonomie e dei processisovranazionali”, dopo gli interventi di Marco Olivetti dell’Universitàdi Foggia e di Ugo Villani, professore alla LUISS “Guido Carli”, si èinsieme riflettuto nella tavola rotonda intorno a “L’unità nell’orizzon-te del bene comune”.

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Se scrivessi un sunto di tutti gli interventi al Convegno, probabil-mente rischierei di dir tutto e non dir nulla. Mi preme, tuttavia, poi-ché lo ritengo opportuno, soffermarmi sul senso dell’unità nazionaleoggi, in quanto riconosco che, ancora, per dirla con Massimo D’Aze-glio, «Fatta l’Italia, dobbiamo fare gli italiani».

La costruzione di una comune, per quanto articolata e pluralisti-ca, consapevolezza storica rappresenta il passaggio indispensabile dacui prendere le mosse per pensare il futuro del nostro Paese. Il chenon significa, ovviamente, tacere le ombre, i limiti, i nodi irrisolti diun percorso storico difficile e complesso. Quel che preoccupa non so-no le analisi, anche impietose, che possono emergere dal sempre ne-cessario lavoro di riesame critico del passato. «È giusto», ha sottoli-neato anche Napolitano, «ricordare i vizi d’origine e gli alti e bassi diquella costruzione, mettere a fuoco le incompiutezze dell’unificazioneitaliana e innanzitutto la più grave tra esse che resta quella del man-cato superamento del divario tra Nord e Sud». Quel che preoccupa,invece, è che sempre più diffusamente, nel nostro Paese, si faccia ri-corso a modi di raccontare il passato tutt’altro che rigorosamentescientifici e che sembrano soprattutto funzionali a piegare la vicendastorica alle esigenze ideologiche o agli interessi politici ed economicidell’oggi.

In questi centocinquanta anni, la costruzione della consapevolezzadel significato dell’unità nazionale è passata attraverso canali diversi.Non solo le istituzioni, infatti, hanno giocato un ruolo nel processo diformazione della coscienza nazionale degli italiani, il cui senso di ap-partenenza alla nazione è stato formato, sia in senso positivo che insenso negativo, da una molteplicità di attori: innanzitutto, le diffe-renti culture politiche, ma non solo: anche la scuola e la letteratura,gli organi di informazione, il cinema, la televisione hanno inciso inmaniera significativa.

Insieme a questi, anche l’associazionismo ecclesiale, in particolarmodo quello giovanile, ha contribuito alla maturazione di una cultu-ra di attaccamento alla Patria.

Siamo, dunque, chiamati come cattolici, oltre che come italiani, aguardare con amore all’Italia e al percorso compiuto dal 1861 ad og-gi, mossi solo dalla ricerca del bene comune e dalla individuazione diciò che ci fa sentire ed essere parte integrante della comunità nazio-nale. È questa una occasione propizia per rispondere all’interrogativocirca il nostro modo di esercitare la duplice cittadinanza, secondo lechiare ed impegnative linee dettate dal Concilio Vaticano II, non inmaniera astratta né meramente risolta nell’intimo della coscienza,quanto piuttosto nella specificità della condizione storica.

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Riflettere e valorizzare l’unità del Paese comporta pertanto dareuna nuova risposta alla perenne domanda di senso dell’essere italia-ni, domanda che ogni generazione di cristiani si deve porre, nei mo-menti felici, nei quali è quasi naturale rispondere positivamente, enei periodi di crisi, di difficoltà o di perdita di orizzonte, ben consciche il profilo dell’italianità non è un dato tracciato una volta per tut-te, né la somma di approssimazioni successive nel tempo, ma unobiettivo ed una scoperta da rinnovare continuamente.

Gabriella CalvanoSegretaria Diocesana di A.C.

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Celebrazione di saluto di due Suore Orsolinedella comunità parrocchiale di san Riccardo ad Andria

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La comunità di San Riccardo, il 28 agosto scorso, ha salutato, ab-bracciato e ringraziato sr. Delfina e sr. Annamaria della Famigliadelle Suore Orsoline, figlie di Maria Immacolata, operanti dal 2003,per la preziosissima e significativa presenza manifestate in questi an-ni di vita pastorale. I gesti d’amore, la singolarità della vita, a voltesilenziosa e a volte ben visibile, comunque forte e concreta, sono sta-ti vissuti e testimoniati nella verità e carità da queste nostre sorelle,che ci lasciano per altri incarichi e in contesti diversi. Che dire di lo-ro? Due donne speciali per i tratti che le hanno caratterizzato nellavita della comunità: servire l’Amore nell’ ordinarietà della vita.

Per sr. Delfina, che oserei definire donna della carità, i poveri, ibisognosi sono stati la sua passione, hanno trovato ospitalità nella ca-sa senza porta del suo cuore, ravvivando in lei i pensieri di donazio-ne e di preferenza per queste persone, che sempre ha manifestato atutti. La Comunità di San Riccardo l’ha ringraziata di cuore per il la-voro svolto in questi 8 anni, e a tale scopo ha pregato il Signore per-ché sr. Delfina continui, nella semplicità e nell’umiltà, atteggiamentie qualità con cui si è presentata sin dal primo giorno, a spendersisenza risparmio sull’esempio che viene da Cristo e dal dono del suoSpirito, che è Amore, l’amore con cui Dio si ama e ci ama. La vitacristiana è una vita bella ma nella compagnia degli altri. È stato for-temente sottolineato da sr Delfina quando rivolgendosi all’assembleaha esclamato: “ il tempo trascorso con voi è stato il periodo più bellodella mia vita. Anzi da quando sono venuta in Andria mi sono sen-tita sempre attratta da voi. Quando don Vito Miracapillo, che è statoun padre per questo quartiere, questa comunità, venne a chiederel’aiuto di noi Orsoline, io l’ho ritenuto un segno della provvidenza.Avrei voluto darvi, come dice S. Paolo, la mia stessa vita, tanto mi

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siete diventati cari. Ma vi assicuro che è molto di più di quello cheho ricevuto da voi: una sincera accoglienza, un grande insegnamentodi fede, di amore vero e generoso per la chiesa, di gioiosa e fraternacollaborazione. Vi sono immensamente grata e i vostri volti, i vostrinomi sono scritti ad uno ad uno nel mio cuore….A don Giuseppe lamia gratitudine e ammirazione per come ha amato e servito nella suagiovane età, con dedizione ed entusiasmo, questa carissima parrocchiae quartiere; a don Sabino il mio affetto per la sua presenza, il suoaiuto e il dono illuminante della sua parola. Quello che vi raccoman-do è di conservare la fede, di stare uniti, di accogliere con cuore gran-de i nuovi figli che verranno a popolare questo bellissimo quartiere ead accrescere la comunità”.

La Comunità di San Riccardo è grata al Signore anche per quan-to ha operato nella vita di sr. Annamaria, che con la sua preziosapresenza e tenacia, ha assicurato, in questi cinque anni, la formazio-ne dei bambini e dei ragazzi e con la sua disponibilità ha accompa-gnato i catechisti e le famiglie dei bambini a sviluppare e rafforzareil senso di appartenenza alla comunità con consapevolezza e respon-sabilità, collaborando con tutti in maniera significativa e propositiva.Possa il Signore alimentare in lei questo desiderio di Lui e farla cre-scere alla Sua scuola in cui il dialogo, il confronto e l’amore crocifis-so siano per lei fondamenta privilegiate. Cinque anni…sono passati,harilevato sr. Annamaria giusto il tempo di intessere rapporti significa-tivi, di scoprirci gli uni gli altri dono di Dio. Il tempo, a volte, puòsembrare ingrato nel suo mettere fretta, nel suo irrompere inatteso, nelsuo spezzare legami improvvisamente. In questi 5 anni ho vissutol’amara esperienza di perdere mia mamma e mio papà, Nunzia, Ro-sa, il piccolo Francesco, Vincenzo, Sabina… per ricordare solo alcunedelle persone che la vita si è portata via e che hanno segnato la miaesistenza. Ma la vita stessa ci parla di speranza, di rinnovamento,ogni nuovo giorno ci invita a rinascere, a sorridere, a ricominciare. Eci si trova cambiati. E così, ripensando al giorno in cui sono venutain mezzo a voi e vi ho conosciuti, i ricordi si caricano non solo di tri-stezza per dovervi lasciare, ma anche di gratitudine. Il passare deltempo imprime in me una nuova consapevolezza: la mia vita si im-preziosisce grazie a ciò che mi lascio alle spalle e grazie a ciò che mista di fronte; è così per la forza dell’amore. È l’amore che mi/ci per-mette di trasformare la realtà e di crescere rigenerandoci continua-mente: “E fu sera e fu mattina”; questa espressione biblica segna an-che per noi una nuova genesi, un nuovo inizio perché ci riconsegna igiorni diventati i nostri e i volti: chi eravamo, chi abbiamo conosciu-to e amato. È come sfogliare un album di foto di famiglia: ci ritro-viamo dentro tutti. In questo mosaico di vita, come filtrato attraverso

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le lacrime, il passato viene assunto, rinnovato, interiorizzato come par-te di me stessa: io sono diventata ciò che ho vissuto. E un senso diprofonda gratitudine mi attraversa l’anima.… “Grazie a te don Giu-seppe, nostro carissimo parroco, che nel tuo ministero presbiterale eguida della comunità di San Riccardo hai accolto il carisma del Bea-to Zefirino Agostini e hai fatto spazio all’azione dello Spirito e allasua opera; ringrazio te, don Sabino che con saggezza e paziente caritàhai seguito i passi di tutti noi orientandoli verso Dio. La bellezza del-la fraternità che ho sperimentato sia custodita da ciascuno di voi e co-stantemente esercitata: prendetevi cura ognuno del proprio fratello-so-rella così come il Signore Gesù si è preso cura di noi.

Non possiamo che lodare e benedire il Signore per le grandi me-raviglie che compie nella vita dei suoi figli. A sr Delfina e a sr An-namaria diciamo grazie per aver saputo coniugare nella loro vita spi-rituale e attività pastorale competenza, simpatia e umanità.

Maria Miracapillo

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Un nuovo mosaicoper la comunità di Gesù Liberatore a Canosa

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La sera del 9 Aprile, presso la Parrocchia “Gesù Liberatore” di Ca-nosa di Puglia, è stato reso pubblico il mosaico del “GESÙ RISORTOE LIBERATORE”, a cui è dedicata la Chiesa Parrocchiale e che fa ri-ferimento alla 15ª stazione della Via Crucis e mistero centrale e vivodell’anno liturgico: la morte e risurrezione di Gesù.

È un’opera maestosa, e monumentale che impreziosisce la nostrachiesa, e che al tempo stesso rende la nostra città testimone di un’ar-te religiosa moderna.

Osservando questa splendida opera, tutta la comunità parrocchia-le non può fare a meno di ripercorrere tutto il camino fatto: da quellontano Giugno 1991 quando veniva posta la Prima Pietra della fu-tura chiesa (su quel terreno che era un uliveto) fino ad oggi.

La gioia, la soddisfazione, lo stupore e la meraviglia che si leggo-no sui volti dei membri della comunità nel vedere tutti i progetti pianpiano realizzarsi, bastano a ripagare tutti i sacrifici, gli sforzi e l’im-pegno che giorno dopo giorno i sacerdoti, sostenuti da catechisti, ani-matori, mettono a disposizione della Parrocchia per renderla semprepiù una meravigliosa realtà nell’intero quartiere e non solo.

Paola Cecca,Redazione “Insieme”

Impegno, sacrificio e fiducia sono le chiavi di lettura per contem-plare la bellezza del nuovo mosaico che domina la parete presbiteria-le della nostra chiesa. Impegno e sacrificio da parte dei realizzatoridel mosaico, Sabino Detto e sua moglie Lucia, e della parrocchia chein mille modi ha trovato e si sforza ancora di trovare tutti i fondi ne-cessari per la realizzazione di questo progetto. Fiducia da parte di

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chiunque ha creduto nel completamento dei lavori, nonostante perio-di di difficoltà che a volte hanno generato anche dei ritardi. Un’ope-ra attesa da anni, parla chiaramente di ogni singolo componente del-la comunità che ora, guardandola, rivive i momenti in cui l’aula li-turgica era solo un grande cantiere. Parlano chiaramente le lacrimedi chi, tornando in parrocchia dopo diverso tempo, si sente chiamatoda Gesù Risorto ad entrare nel cenacolo. Sono undici gli apostoli riu-niti che contemplano la realtà della resurrezione, ne manca uno, Giu-da, che non è stato in grado di accogliere la propria fragilità e la mi-sericordia di Dio. Ciascuno di noi, nella preghiera e nella contempla-zione, può prendere quel posto vuoto, perché Gesù, nel suo atteggia-mento benedicente sembra invitarci ad entrare in quel luogo santo,perché anche noi possiamo contemplare quelle piaghe che la resurre-zione ha trasformato e vivificato.

È l’insieme dei colori, delle forme, dei contorni, delle sfumatureche rende la bellezza di quest’opera i cui tratti parlano fedelmente illinguaggio del famoso salesiano Guerrino Pera, co-ideatore dell’opera.Gli occhi della fede ci aiutano a scoprirne tutti i significati impliciti:la grandezza della sola figura di Gesù - siamo intorno ai sei metri dialtezza- ci dice quanto siamo piccoli al suo cospetto, ma allo stessotempo la sua voglia di “imporsi” nella nostra comunità con il Suo mo-do di agire, con il Suo modo di amare, con il Suo Vangelo, tenutostretto nella sua mano sinistra. È come se ancora di più, ora, conquesta raffigurazione, tutto sia posto sotto i suoi occhi, che, per la lo-ro forma, sembrano fissare da qualsiasi punto della chiesa.

Tutta la scena, concentrata sull’immagine del Cristo che emergechiaramente per lo spessore del suo contorno, è racchiusa in un se-micerchio le cui estremità sono occupate da due capisaldi della nostrafede: san Pietro e san Giovanni Apostolo, entrambi raffigurati con lestesse tonalità di colore rosso, il primo al lato destro di Gesù, il se-condo sulla sinistra. Si intravedono le braccia alzate di un apostolo:è Tommaso, che, dopo essersi realmente reso conto di stare alla pre-senza del Maestro, non può contenere la sua gioia e la manifesta pie-namente. Da notare il particolare della porta chiusa: è la porta dellapaura, la porta della fuga dal giudizio de Giudei, la porta della no-stra paura nei confronti di un Dio che vuole parlarci e trasformarci.La forza di Gesù, però, è più grande, perché vuole “imporsi” anchenella nostra vita, vuole impossessarsi di ciò che siamo per trasfor-marci, e donarci quella luce di cui egli stesso è avvolto. La stessa lu-ce che si può notare sui volti di tutti gli apostoli e diffusa nello stes-so cenacolo. Contempliamo allora la scena del Risorto, la scena dellagioia oltre alla scena della paura: luce, gioia e stupore sono tutti do-ni che derivano da colui che entrando ha esclamato: “Pace a voi!”.

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La nostra comunità non poteva non prepararsi con diverse inizia-tive all’accoglienza di questa opera: un oratorio sacro di meditazionerealizzato da alcuni membri della comunità; la presentazione artisti-ca del mosaico tenuta dallo stesso progettista e realizzatore, SabinoDetto; la riflessione biblico-teologica guidata dal nostro concittadinomons. Michele Lenoci.

Siamo contenti di poter godere ogni giorno della visione di questagrandezza, che vale la pena gustare di persona: sarà l’occasione an-che da una parte di fermarsi a riflettere sul mistero del Risorto,dall’altro di contemplare la realizzazione di un alto esempio di artemoderna.

don Vincenzo ChieppaRedazione Insieme

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La Giornata della Concordia e del bene comunea Canosa

VITA DIOCESANA

Il 24 marzo scorso nel salone di Gesù Liberatore si è celebrata laterza Giornata della Concordia e del Bene Comune, istituita dal no-stro Vescovo per aiutare tutti a “stare nella storia con amore”, al fi-ne di sviluppare, in sintonia con il programma pastorale diocesano,una maggiore testimonianza del nostro credere e una più attenta eincisiva capacità di dialogo e di costruzione del bene comune con tut-te le persone di buona volontà presenti sul nostro territorio, nelle isti-tuzioni, nel mondo culturale, lavorativo, del volontariato e dell’asso-ciazionismo in generale.

Le tematiche su cui abbiamo fermato l’attenzione e abbiamo inte-so confrontarci e individuare passi anche piccoli da fare insieme, nel-la presa di coscienza delle criticità e nella comune responsabilità del-le soluzioni, hanno riguardato l’ambiente, il lavoro, la sicurezza e lalegalità, realtà di più ampia discussione e preoccupazione nel nostroPaese, in Europa e nel Mondo, che coinvolgono profondamente anchenoi nella ricerca della qualità e della solidarietà della vita, di una vi-ta dignitosa per i singoli e le famiglie, di una vita collettiva avverti-ta e costruita secondo onestà, giustizia e scevra da fenomeni malavi-tosi e delinquenziali, da irreponsabilità formative e di comportamentiquotidiani, da ipocrisie e costrizioni di ogni tipo, da sfruttamenti eusura.

Il succedersi delle relazioni e degli stacchi musicali e visivi brevied efficaci ha contribuito a vivere con attenzione e partecipazione laserata, durata quasi tre ore, dalle due previste, e ha registrato la pre-senza della quasi totalità delle persone sino alla conclusione.

La Giornata, certo non è la soluzione dei problemi cittadini, macostituisce un momento e un luogo privilegiato di incontro delle di-verse componenti cittadine: istituzionali, sociali ed ecclesiali, come ri-

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conosciuto dai diversi relatori e dal sindaco, rag. Francesco Ventola,nei loro interventi, come pure di ascolto reciproco e riflessione, di di-scernimento di cammini da percorrere per attuare il bene comune eimprescindibile della persona umana e dell’intera collettività.

Abbiamo cercato nella preparazione e nell’esposizione delle tema-tiche di guardare con oggettività alla realtà che ci riguarda, di chie-dere a tutte le parti impegno serio e costruttivo, agli adulti coerenzae capacità formativa verso le nuove generazioni, agli amministratorie politici autorevolezza fatta di convinzioni profonde, servizio costan-te e autentico, dedizione al bene comune e allo sviluppo della citta-dinanza e delle risorse del territorio.

I punti evidenziati con più forza nelle relazioni e che devono co-stituire il vademecum dell’impegno da vivere sono stati:- Informazione più puntuale e a tappeto- Consapevolezza maggiore negli ambienti formativi- Riorientare paradigmi di riferimento- Pensare globale e agire localmente- Responsabilità e cura dei territori- Inclusione- Sostenibilità e apprendimento permanente- Soggettività individuale e sociale- Pianificare il futuro- Creare lavoro a partire dalla vocazione del territorio e dalle com-

petenze- Nuova coscienza di condivisione- Condividere gli obiettivi e lavorare insieme- Sviluppo nella legalità e contrasto alla paura e all’isolamento- Avamposti di legalità

Un ringraziamento è stato espresso da tutti gli intervenuti al Ve-scovo e alla Diocesi per questa opportunità di ripensamento e verifi-ca della vita cittadina. A nome del Vescovo, il vicario generale donGianni Massaro ha porto i saluti all’assemblea e ha tenuto a sottoli-neare, in chiusura, la bontà di una alleanza vissuta a tutti i livelli edella responsabilità sociale nell’affermazione del bene comune. Allacittadinanza, ora, la coerenza di vita con i buoni propositi e le buoneintenzioni.

don Vito MiracapilloDirettore dell’Ufficio di Pastorale Sociale

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Esperienze pastorali estivea Minervino

VITA DIOCESANA

Mentre lentamente riprendiamo i nostri consueti ritmi lavorativi,mentre anticipiamo di “qualche ora” le nostre sveglie per andare ascuola, mentre ci proiettiamo a vivere un nuovo anno pastorale… congrande piacere ricordiamo e vogliamo raccontarvi come la chiesa mi-nervinese ha vissuto questa stagione estiva!

È sicuramente il GREST “Sotto questo sole” a costituire, a finegiugno, il fischio d’inizio di questa calda estate …sotto il grande So-le che ha riscaldato e fatto crescere tutti noi, piccoli acini nella vignadella Chiesa, abbiamo fatto un raccolto abbondante per il “vino piùdolce che c’è”. Bella anche la giornata interatoriana che ha visto i ra-gazzi di tutte le comunità parrocchiali accendere le vie del paese conil loro contagioso entusiasmo.

Ricorderemo questa estate anche per le tante “partenze”: la SET-TIMANA MARINA per i più piccoli, i due campiscuola per i ragazzidi scuola media e per i giovanissimi a POLICORO, le particolarissi-me esperienze degli SCOUT in Basilicata e in Salento, la GMG diMadrid, il camposcuola per le famiglie a cura della parrocchia Inco-ronata ed infine nei primi giorni di settembre il pellegrinaggio dioce-sano a Lourdes partecipato da un bel gruppo di pellegrini e soprat-tutto di volontari.

Sul treno della nostra estate minervinese non poteva mancarenessuno; infatti sostenuti dal Piano di Zona anche i ragazzi economi-camente disagiati e i ragazzi della Bielorussia, ospiti presso alcunefamiglie, sono stati dei nostri.

Un’attenzione particolare abbiamo riservato ai nostri cari emigra-ti che nel periodo estivo tornano numerosi in paese: la festa dell’emi-grato, organizzata dalla parrocchia Madonna del Sabato, è stata l’oc-casione per ritrovarsi e ravvivare il comune senso di appartenenza e

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soprattutto la fede. E per combattere la calura estiva abbiamo trova-to sollievo a 20 metri sotto terra nella Grotta di San Michele, apertaquotidianamente ai visitatori per tutto il mese di agosto e dove il 12agosto, si è ripetuto l’atteso appuntamento di “Nottingrotta”, giuntoalla sua IV edizione: un momento di spiritualità e di festa favoritodalla suggestiva visita notturna della grotta.

Dopo anni le nostre parrocchie hanno riscoperto la gioia della con-divisione del tempo e delle amicizie e il piacere di camminare insie-me verso la stessa Meta.

Che ne dite: “È lo spirito giusto per iniziare un nuovo anno pa-storale?”

don Angelo CastrovilliParrocchia S. Michele Arcangelo - Minervino

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Un volume sulla Chiesa Madre di Minervino

C. GELAO - L. RENNA, Minervino Murge.Testimonianze su un’antica diocesi, Et/Et, Andria 2011

L’11 luglio, nella sacrestia Capitolare di Minervino, il prof. Cosi-mo Damiano Fonseca, accademico dei Lincei, ha presentato il volumeche raccoglie gli atti dei convegni del 2008 sull’antica cattedrale mur-giana. Sono interventi il presidente della Provincia BAT FrancescoVentola, il vicario generale della Diocesi don Gianni Massaro, l’asses-sore alla cultura del Comune dott.ssa Alessia Carozza, il vicepresi-dente dell’Archeoclub Luigi Chieppa. Ha moderato la professoressaEnza d’Aloja dell’Archeoclub di Minervino. Riportiamo di seguito lapresentazione del volume.

“Nel cuore di ogni città europea di qualche importanza, vi è unaCattedrale, segno della presenza- in un arco di secoli o meno lungo-di una comunità cristiana operosa. Tipicamente grande, questa strut-tura s’impone sulla coscienza del cittadino come del turista, costi-tuendosi come un tratto significativo dl luogo. Depositaria d’innume-revoli cimeli del passato, invita a cogliere l’identità storica degli abi-tanti del posto,e a collegarla allo slancio creativo ingenerato dalla fe-de; la bellezza dell’edificio e dell’arte che l’arricchisce infatti fornisceuna chiave di lettura della vita interiore di coloro che l’hanno voluta,costruita e mantenuta, cifra sicura dei valori collettivi che da duemillenni plasmano l’esperienza spirituale d’Europa.”1 Con queste frasicosì dense, don Timothy Verdon, sintetizza il senso della Cattedralenello spazio e nel tempo di qualunque centro, metropoli o paese chesia, dell’Europa. La cosiddetta età delle Cattedrali, dal XII al XV se-colo, riguarda anche Minervino, con la sua prima antica cattedrale (

1. T. VERDON, Bellezza e identità. L’Europa e le sue Cattedrali, FMR, Milano 2007, 15

SEGNALAZIONI

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SEGNALAZIONI

probabilmente un’antica chiesa divenuta Cattedrale nel secolo XI), de-molita per fare spazio all’attuale nel corso di tutto il 1500. L’occasio-ne delle celebrazioni del IV centenario della dedicazione da parte delvescovo mons. Giacomo Antonio Caporali, ci ha dato la possibilità dicelebrare un anno giubilare particolare e di tornare sugli studi stori-ci di Giuseppe d’ Aloja, e di approfondirli, alla luce di una documen-tazione più ampia e di una critica artistica particolarmente attenta aleggere le trasformazioni che questo luogo di culto e di vita cristianaha avuto.

Un grazie particolare va al nostro Vescovo mons. Raffaele Calabro,che con cura di Pastore, non solo nel 2000 ha voluto dare un voltonuovo alla nostra Chiesa Madre con i lavori di restauro dell’interno,amorevolmente seguiti dall’Economo generale e nostro concittadinomons. Nicola de Ruvo, ma ha voluto con un suo decreto dare lustroe significato alla celebrazione del IV centenario.

Un grazie dobbiamo tutti a don Vincenzo Giorgio, parroco della co-munità e solerte custode della Cattedrale, e dal comitato da lui isti-tuito, che hanno voluto richiamare la comunità cittadina al valore diquesto antico tempio della nostra fede e della nostra storia.

Nel volume vengono raccolti gli atti di due convegni: il primo, ce-lebrato il 24 maggio 2008, dal titolo “Le associazioni laicali nella Cat-tedrale di Minervino, secc. XVIII-XX”, organizzato con l’aiuto delladott.ssa Liana Bertoldi Lenoci, esperta in Confraternite e solerte or-ganizzatrice degli studi che hanno contribuito ad approfondire la sto-ria della vicina Canosa, antica madre della nostra fede; il secondo,del 19-20 settembre 2008, dal titolo: “La Chiesa Madre di Minervino:storia ed arte di un’antica Cattedrale”, con un programma aperto adulteriori ricerche elaborato con mons. Luigi Michele De Palma dellaFacoltà Teologica Pugliese.

Gli atti di questi convegno si aprono con gli studi sulla strutturaarchitettonica della Cattedrale, con interventi della dottoressa ClaraGelao, direttice della Pinacoteca Provinciale di Bari, della professo-ressa Teresa D’Avanzo sui restauri ottocenteschi, del dottor VincenzoZito sull’antico episcopio dei Vescovi di Minervino. Non è stato possi-bili e studiare le tele e gli arredi liturgici della nostra Chiesa Madre,ma solo gli argenti, con un competente studio dell’esperto GiovanniBoraccesi. La seconda parte della pubblicazione raccoglie studi sullavita di cui è stata protagonista questa antica chiesa: anzitutto la cro-notassi dei Vescovi di Minervino, una riflessione sullo “status quo” de-gli studi su Minervino del professor mons. Luigi De Palma della Fa-coltà Teologica Pugliese, poi due studi del dottor Francesco Di Palo,uno sulla Visita pastorale di mons. Pacecco nel 1728, che ci dà unospaccato della vita ecclesiale e civile di quel tempo, e uno sulle Con-

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NOTIZIE

fraternite della cattedrale in età moderna. Seguono uno studio dellaprofessoressa Liana Bertoldi Lenoci sulle confraternite in età moder-na ed uno di don Vincenzo Turturro sull’antica Confraternita del SS.Sacramento. Il professor Guido Barbera ci illustra il ruolo e il pesoeconomico delle proprietà del Capitolo nella realtà di Minervino. Infi-ne un breve studio del sottoscritto sull’evoluzione della funzione li-turgico-pastorale della Cattedrale tra Ottocento e Novecento. L’ultimaparte degli atti raccoglie le memorie dei programmi svolti durante ilCentenario, curate dal Parroco don Vincenzo Giorgio. Un altro studiodel dottor Antonio Franco sulla devozione all’Addolorata e la Confra-ternita del SS. Sacramento troverà posto nelle successive pubblicazio-ni in programma per approfondire la storia minervinese..

Dietro il convegno del 2008 e gli atti raccolti c’è un disegno etico,quello di voler edificare la nostra coscienza anche con la lettura del-la storia, della nostra storia. Alla nostra coscienza parla di identità edi radici cristiane, ma parla anche di cura dei valori che da essa pro-manano. L’augurio è che questi atti possano risvegliare in noi il de-siderio di edificare con le pietre della nostra cultura e del nostro agi-re il presente e il futuro della Chiesa e della società, con la stessacura con cui il passato ci ha consegnato le sue semplici, ma solide ve-stigia.

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Un vescovo andriese e l’Unità d’Italia:mons. Felice Regano, pastore di Catania

di don Luigi Renna

Il rapporto tra la Chiesa e il nuovo governo italiano fu per de-cenni molto problematico e costituisce una pagina di storia locale in-teressante da studiare o semplicemente da ricordare: soprattutto ivescovi, che avevano giurato fedeltà ai sovrani borbonici, furono restiiad accettare il nuovo stato di cose, ma tra di essi ci furono delle ec-cezioni che, senza strumentalizzazioni retoriche, vanno ricordati. Dalprofessor Antonino Blandini ricevo delle interessanti notizie, che inparte vengono riportate in questo articolo, sull’andriese mons. FeliceRegano, vescovo di Catania proprio durante il periodo dell’Unità d’Ita-lia. Mons. Regano è sepolto a Catania, ma la sua famiglia fece eri-gere in suo ricordo, nella cattedrale di Andria un monumento fune-bre, a sinistra dell’ingresso.

Nato ad Andria, il 5 giugno 1786, compiuti gli studi a Napoli, fuordinato presbitero il 16 giugno 1816. Docente nel nostro seminariovescovile, esaminatore prosinodale e vicario capitolare di Andria nel1830, il 15 maggio 1839 era stato presentato da Ferdinando II allaSanta Sede vescovo per la diocesi etnea, in ossequio all’indirizzo poli-tico dei Borboni di sistemare anche ai vertici dell’amministrazione ec-clesiastica in Sicilia prelati delle province napoletane del “continente”.Il 1 settembre fu consacrato vescovo a Roma dal cardinale EmanueleDe Gregorio e fece il suo ingresso a Catania il 12 novembre.

Il nuovo vescovo in quanto “napoletano”, anche se poco favorevoleal tribunale della monarchia, non fu bene accolto dal clero e si rivelòenergico, e rigoroso riformatore per la dignità del sacerdozio e “padredei poveri” come recita il semplice epitaffio funebre nel Duomo di Ca-tania. Non mancarono denigratori e detrattori, che ricorrevano an-che a libelli calunniatori gratuiti e privi di fondamento, nonostantefosse amato dal popolo, al quale come “unico parroco della città” so-

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leva tenere lezioni di catechismo. Nel 1844 il vescovo aveva approva-to il testo di un catechismo in dialetto scritto dal can. Martino Ursi-no. Ventimiglia. Mite ed umilissimo, severo e circospetto, si rifiutò disvolgere attività politica di connivenza al regime poliziesco che oppri-meva Catania, e durante i moti rivoluzionari del 1848-1849 per l’in-dipendenza dell’Isola, palesò apertamente, con convinzione e senza in-dugio, le sue simpatie liberali verso i patrioti siciliani, benedicendo il7 febbraio 1848 solennemente il vessillo tricolore. Partecipò al Parla-mento generale “per adattare ai tempi la costituzione del 1812 e prov-vedere a tutti bisogni della Sicilia”. Regano nel 1854 nominò profes-sore in seminario, il palermitano Melchiorre Galeotti, sacerdote delleScuole Pie, in esilio a Catania perché aveva partecipato alla rivolu-zione del 1848. “Io sono il pastore dei catanesi, non il poliziotto delgoverno!” avrebbe risposto coraggiosamente al ministro di Polizia,marchese Francesco Del Carretto, che lo invitava ad essere suo “infor-matore e confidente” circa i catanesi presunti “sovversivi” e soprat-tutto in merito alle idee politiche dei singoli sacerdoti della sua dio-cesi verso la Corona del Regno delle Due Sicilie ..

La mattina del 31 maggio 1860 le campane di Catania annuncia-rono l’insurrezione sulla scia dell’avanzare dei Mille di Garibaldi aPalermo. Il mattino del 4 giugno le campane annunziarono l’evacua-zione delle truppe napoletane dopo un ennesimo saccheggio e direttea Messina nel timore che arrivasse Garibaldi.

I catanesi furono grati al loro vescovo riconoscendogli, nel 1848 enel settembre 1860, attraverso la stampa cittadina, la grande carità,il carattere di uomo giusto, forte, nemico dei tiranni e dell’ingiustizia,amante della vera libertà, i meriti risorgimentali. “E quando la Si-cilia conobbe il coraggio civile dell’attuale eminente Vescovo di Cata-nia, che osava respingere qualunque proposta di informazione delLuogotenente Generale e del Direttore di Polizia che riguardava lacondotta dei candidati agli impieghi, i di cui coraggiosi rapporti sipossono leggere in questa segretaria di Stato, fummo lieti di rinveni-re nell’episcopato un prelato così zelante che avesse potuto rendersimodello dei suoi servili colleghi”. Così si esprimeva in modo lusin-ghiero il periodico palermitano “L’Italia per gli Italiani” il 29 giugno1860 nell’articolo “Il Clericato in Sicilia” nei confronti dell’arcivescovoFelice Regano. Il giornale catanese “L’Unità e l’Indipendenza” il 13settembre successivo ne elogiava l’atteggiamento favorevole all’unitàitaliana: “L’Arcivescovo di questa città hassi attirato la attenzione ditutti per le sue pietose opere…se mai venisse meno la fama del cle-ro siciliano, basterebbe a mantenerla; in lui alla pietà si accoppia ladottrina vera di Cristo, che non è serva dei potenti, e contraria algiusto e onesto”.

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Ammalato da tempo, il giovedì santo 28 marzo 1861 si aggravò egli vennero amministrati i sacramenti. Il venerdì santo rivolto ai sa-cerdoti disse “Si avvicina la mercede!”; mentre in Duomo si celebravala funzione della Passione il vescovo Felice spirò. La salma fu espo-sta in episcopio il 1° aprile, lunedì di Pasqua; mercoledì 3 venne por-tata in Duomo, dove furono celebrate le esequie e fu sepolto. Lo sto-rico della Chiesa catanese mons. G. Zito, riconosce che la figura delRegano rimane ancor oggi in attesa di essere collocata dalla storio-grafia nel quadro degli avvenimenti che precedettero l’Unità. Anche ilsuo “periodo andriese” andrebbe studiato, per comprendere non solo lapersonalità di questo prete del nostro clero, ma anche il tenore dellavita ecclesiale e civile della nostra diocesi nell’ottocento, secolo digrandi trasformazioni ideologiche e politiche.

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Nuove ricerche sul santuariodella Madonna d’Andria

di Nicola Montepulciano e Vincenzo Zito

Le ricerche svolte in occasione delle celebrazioni giubilari nel cen-tenario dell’elevazione a basilica minore del santuario della Madonnadei Miracoli in Andria (2006-2007) hanno permesso di far luce sumolti aspetti del santuario stesso e costituiscono senz’altro un puntofermo per la sua conoscenza. Tuttavia con la pubblicazione degli attidi tali ricerche1 non si può dire che queste siano terminate. Perun’opera dalla storia così complessa, come il nostro santuario, le ri-cerche e le scoperte, a volte anche casuali, non hanno termine. La re-cente ristampa anastatica del libro di Giovanni di Franco Di SantaMaria dei Miracoli2, ha dato a queste un novello impulso.

Si presentano quindi i risultati di alcune di queste ricerche.

1. Note integrative su Giovanni e Valeriano di Franco,con riflessi sul santuario3

Il libro Di Santa Maria dei Miracoli di Giovanni di Franco da Ca-tania costituisce l’unica fonte degli avvenimenti che vanno dalla sco-perta della sacra Immagine sino al 1606. Clara Gelao, nel suo lavorosull’architettura del santuario (Gelao 2008), al fine di verificare l’at-tendibilità della fonte, solleva il problema della necessità di dover ac-

1 Bertoldi Lenoci L., Renna L. (a cura), La Madonna d’Andria, ivi (2008);2 di Franco G., Di Santa Maria dei Miracoli libri tre, Napoli 1606. Ristampa ana-

statica Bari 2009.3 di Vincenzo Zito. Preferisco usare il termine italiano “di Franco” in luogo delle

equivalenti forme latinizzate (de Franchis, Franchus) o italiane (di Franchi) per-ché questa forma compare nel frontespizio del volume Di Santa Maria dei Mira-coli (1606) e, quindi, sotto il profilo bibliografico appare il più corretto.

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quisire maggiori conoscenze su Giovanni di Franco e sul fratello Va-leriano, “decano titolare” di un non meglio precisato monastero, ed aquesti personaggi dedica gran parte del proprio lavoro.

Le notizie raccolte e le conclusioni cui giunge la Gelao sono sin-tetizzabili come segue.

Giovanni di Franco (latinizzato in de Franchis nei testi dell’epoca4

o reso al plurale di Franchi da Giovanni medesimo5) é stato dottorein Sacra teologia, Protonotario apostolico, canonico della cattedrale diCatania e, per un breve periodo, vicario generale del vescovo di que-sta città.

Valeriano di Franco (latinizzato, a seconda gli Autori, in de Fran-chis e in Franchus) è stato priore del cenobio benedettino di San Sal-vatore a Cerami e si è distinto all’interno del suo Ordine per la suaprofonda cultura nelle scienze religiose, umanistiche e matematiche.Per la sua erudizione nelle scienze religiose ed umanistiche è statoautore di una Corona benedettina della SS.ma Trinità e della B.V. e,in tarda età, della rielaborazione della Istoria delle cose insigni e fa-mose successe di Catania clarissima città della Sicilia […], meglio no-ta col nome di Cataneide, opera manoscritta di O. D’Arcangelo e rior-dinata da Valeriano dopo la morte dell’Autore6. Per la sua culturanelle scienze matematiche il Nostro sarebbe stato autore del progettodel monastero benedettino S. Nicolò all’Arena di Catania che, salvatodalla lava dell’eruzione dell’Etna del 1669 che distrusse la chiesa an-nessa, crollò nel 1693 a seguito del violento terremoto che distrussegran parte di Catania. Inoltre nel 1615 sarebbe stato autore del pro-getto del monastero di Militello Val di Noto.

Dall’esame delle notizie riferibili ai due fratelli di Franco, la Ge-lao (2008, pp.103-104) ipotizza che il rapporto tra Giovanni ed il con-vento benedettino di Andria non sia stato particolarmente stretto eche, tutt’al più, sia consistito in una breve visita al seguito del fra-tello Valeriano. Secondo questa ipotesi, quindi, i due fratelli sareb-bero stati ad Andria solamente “di passaggio” nel periodo in cui ve-scovo della città era un Antonio Franco, appartenente al ramo napo-letano della famiglia, forse provenienti dal monastero benedettino deiSS. Severino e Sossio di Napoli. Per questi motivi non esclude chela descrizione del santuario contenuta nel libro Di Santa Maria deiMiracoli, redatto da Giovanni, possa contenere qualche imprecisione

4 Vedasi la nutrita bibliografia riportata da Gelao 2008, pp.98-103.5 Di Franco 1606, p. 11 della ristampa anastatica del 2009.6 Copie conservate nell’Archivio Capitolare e nella Biblioteca Civica Ursino-Recupe-

ro di Catania.

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o omissione in quanto l’Autore si sarebbe servito di appunti frettolo-si, forse neppure di sua mano, oppure di disegni eseguiti, forse, daValeriano, il quale avrebbe “suggerito” la descrizione. Imprecisionie/o omissioni che, comunque, non inficierebbero la validità e l’inte-resse della fonte ma che, sembra di capire, la renderebbero meno af-fidabile.

Alle notizie fornite dalla Gelao, ed alle conclusioni cui giunge, sipossono aggiungere le seguenti note.

I fratelli di Franco appartenevano certamente ad una famiglia del-la nobiltà catanese, il cui stemma nobiliare Giovanni riproduce all’ini-zio del Libro Secondo del suo lavoro. Questa famiglia, il cui patroni-mico, come rilevato anche dalla Gelao, denuncerebbe una origine d’ol-tralpe (de Franchis = dei franchi), risalente forse al tempo della do-minazione angioina, proveniva dalla Liguria e si era ramificato in Si-cilia, a Napoli e in altre zone del centro-sud. In Sicilia, in particola-re, troviamo dei “di Franco” anche a Palermo e Messina7. I vari “ra-mi” nei quali si era diversificata la famiglia in Sicilia avevano in co-mune nel blasone una o tre corone d’oro integrate, eventualmente,con altri elementi (fig.1). I due fratelli sarebbero stati i “cadetti” del-la famiglia, destinati, secondo la legge del maggiorascato8, alla vitareligiosa o alla carriera delle armi, dove avrebbero potuto far valerela posizione influente della famiglia di provenienza. Gli alti “gradi”raggiunti nei rispettivi ambiti di vita si devono attribuire anche aquest’ultima possibilità.

Su Valeriano, in particolare, si può aggiungere quanto è riportatodalla Matricula monachorum del Bossi9, dalla quale risulta che il No-stro, professo nel 1565 presso il monastero di Catania, «in senectute

7 A Palermo si ha notizia di un senatore “Antonio de Franchis”, di un patrizio “Ja-cobo Franchi” e di un notaio “Giovanni di Franco” (Villabianca, Della Sicilia no-bile, Palermo 1757, pp. 102-103 e 526) mentre a Messina sono accertati alcuni“Franchi” originari di Genova (Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, Palermo1871, p.185).

8 Questa “legge”, che è stata applicata sino agli inizi del XX secolo, era finalizzataalla conservazione del patrimonio della famiglia. In base ad essa l’erede del pa-trimonio familiare doveva essere il solo figlio maschio primogenito. Tutti gli altrisuccessivi erano destinati alla carriera religiosa o militare. Le femmine, se nonera possibile collocarle in un matrimonio di convenienza, spesso anche tra cugini,per non disperdere le doti, erano destinate al convento. Si ricorda in Andria ilconvento delle Benedettine che ospitava la maggior parte di queste fanciulle.

9 Bossi A., Matricula monachorum Congregationis Casinensis Ordini S. Benedicti,vol. I 1409-1699, Cesena 1983, p.533. Devo la notizia a D. Faustino Avagliano,priore claustrale del monastero di Montecassino. A proposito del patronimico si faosservare che il Bossi a pag. 524 usa il termine “Francus” mentre a pag. 533, do-ve riporta notizie della sua vita, usa il termine “de Franchis”.

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bona defunctus est anno 1635». La data della morte del Valeriano,posticipata di dieci anni rispetto a quella indicata dagli Autori citatida Gelao (2008), è perfettamente compatibile con la sua rielaborazio-ne della Cataneide del D’Arcangelo che si sarebbe conclusa nel 1633e appare, quindi, la più attendibile10. Difatti gli Autori moderni ri-portano la data del 163511. Inoltre Valeriano ha redatto, come allega-to alla già citata Cataneide del D’Arcangelo, una serie di disegni del-le opere di epoca romana che ai primi del ‘600 sarebbero state anco-ra visibili a Catania12. A proposito di questi disegni, al Valeriano sirivolge l’accusa di aver peccato un pò di fantasia e, in sostanza, diaver eseguito delle ricostruzioni più o meno fantasiose dei monumen-ti romani superstiti13.

Per quanto riguarda il rapporto che i due fratelli ebbero col san-tuario andriese, la lettura del libro dello stesso Giovanni appare ri-solutiva.

In primo luogo occorre precisare che il rapporto di consanguineitàdei due sacerdoti, che la Gelao trae da cronisti del tempo, è esplici-tamente affermato da Giovanni stesso più volte nel suo libro, a co-minciare dalla lettera di dedica iniziale al duca Carafa nella quale,quando parla di Valeriano, lo qualifica sempre come suo “fratello car-nale”.

In secondo luogo la questione della posizione di Valeriano quale“decano titolare”14 di un non meglio precisato monastero viene defini-tivamente risolta dallo stesso Giovanni il quale, in numerosi passi delsuo lavoro, qualifica il fratello “decano titolare” del santuario andrie-se, la cui presenza in Andria è esplicitamente attestata nel 1592,1604 e 1605 (di Franco 1606, pp. 220; 317; 319 e 335).

Infine per quanto riguarda la permanenza di Giovanni in Andria,la stessa si deve essere protratta certamente per lungo tempo. Lostesso, tra l’altro, riferisce di avvenimenti di cui è stato testimone di-

10 Ferrara F., Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania 1829, p.V.11 Cfr. Naselli C., «Letteratura e scienza nel Convento Benedettino», in Archivio Sto-

rico per la Sicilia Orientale, XXV, II, III (1929), Catania 1930, p.267.12 Pagnano G., «I disegni di Valeriano Di Franchi per la Cataneide di Ottaviano

D’Arcangelo», in Il Disegno di Architettura, A. II, n. 4, 1991, pp.50-54.13 Tortorici E., «Osservazioni e ipotesi sulla topografia di Catania antica» in Quilici

L., Gigli S. (a cura), Edilizia pubblica e privata nelle città romane, Roma 2008,pp.91-124.

14 Quella del decano era la terza carica all’interno di un monastero, dopo l’abate eil priore. In particolare la nomina a “titolare” avveniva quando la persona nonesercitava più l’ufficio. Semplificando, l’attributo “titolare” corrisponderebbeall’odierno “emerito” (vescovo emerito, rettore emerito, ecc.). Ringrazio d. FaustinoAvagliano, priore di Montecassino, per le sue delucidazioni.

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retto, dopo aver assolto al suo ministero sacerdotale (di Franco 1606,pp. 93-94).

Alla luce di queste inconfutabili notizie occorre parzialmente mo-dificare alcune delle conclusioni cui giunge la Gelao.

I due fratelli di Franco non sarebbero stati in Andria solo “di pas-saggio”. Valeriano, quale decano titolare del monastero, è stato pre-sente in Andria quanto meno dal 1592 al 1605, forse senza soluzionedi continuità. Giovanni, invece, sarebbe venuto su esplicito invito delfratello, verosimilmente con il preciso incarico di redigere un libro ce-lebrativo del santuario, che i benedettini vollero affidare ad una per-sona estranea all’Ordine, probabilmente per evitare l’accusa di essereautocelebrativi15.

Accertata la lunga permanenza in Andria di Giovanni (e non po-teva essere diversamente, considerata la notevole massa di documen-tazione dallo stesso acquisita per la redazione del libro16) occorre con-cludere che la descrizione del santuario, anche se non è il fine prin-cipale dell’opera, deve essere stata fatta in base alla diretta osserva-zione dell’Autore e, quindi, deve necessariamente corrispondere allostato dei luoghi del tempo. Alla luce di queste considerazioni alcunedelle affermazioni fatte dalla Gelao nel suo lavoro sull’architetturadella chiesa (Gelao 2008) risultano non condivisibili per le ragioni cheseguono.

Per quanto riguarda il vestibolo della chiesa inferiore, la struttu-ra attuale sicuramente risale alla fase fondativa dell’edificio, come di-mostrano gli archi ogivali e le volte a crociera di copertura, struttu-re tipicamente medievaleggianti e che, secondo un’analisi svolta in unprecedente lavoro (Zito 1999, pp. 76-79) e dalle considerazioni che sisvolgeranno nel paragrafo successivo, devono essere state realizzateprima della venuta dei benedettini in Andria. Dubbia potrebbe esse-re la questione relativa alla presenza della cupola, che secondo la Ge-lao potrebbe essere stata sottaciuta dal di Franco, ma consideratal’affidabilità della fonte è da ritenere più probabile la circostanza cheal tempo del di Franco la cupola non esistesse ancora17.

15 Della stessa opinione de Palma L.M., «Origini medievali di un santuario mariano.L’inventio di S. Maria dei Miracoli di Andria» in Bertoldi L., Renna L., La Ma-donna d’Andria, ivi 2008, p.19. Stando così le cose appare del tutto ininfluente lacircostanza, evidenziata dalla Gelao, che all’epoca vescovo di Andria fosse unFranco appartenente (forse) al ramo napoletano della casata.

16 Lo stesso Giovanni, sia nella lettera di dedica al duca Carafa (di Franco 1606, ri-stampa 2009, p.10) e sia nella nota ai lettori nel congedarsi da Andria (di Fran-co 1606, p.528), lascia intendere di essersi trattenuto a lungo.

17 Vedasi anche l’analisi in Zito 1999, pp.88-89, ed in particolare la nota 37.

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Per quanto riguarda la chiesa superiore la questione appare piùcomplessa. La Gelao afferma che, a suo avviso, questa doveva avereun aspetto sostanzialmente non dissimile dall’attuale, attribuendo adaltri Autori l’opinione secondo la quale la chiesa fosse ad aula uni-ca18. Anche quest’affermazione non è condivisibile. In un precedentelavoro sulla chiesa (Zito 1999, p.79 e segg.) si è già dimostrato chel’impianto della chiesa superiore, costruita prima della venuta dei be-nedettini, è tipicamente medievale, a tre navate senza transetto e concappelle terminali, ciò vuol dire che sotto l’aspetto strutturale corri-sponde alla situazione attuale. Diversa sarebbe stata la situazioneall’interno dell’edificio dove i benedettini avrebbero adattato la chiesaa tre navate esistente, ereditata dalla confraternita, al tipo della chie-sa ad una navata con cappelle laterali trasformando, è solo un’ipote-si, le navate laterali in cappelle. Che l’intento dei benedettini sia sta-to quello di porre in particolare rilievo la navata centrale rispetto al-le navate laterali si desume da un’attenta lettura del di Franco e peralmeno due motivi. Per prima cosa si noti come lo stesso scrive «Lanave poi di detta chiesa superiore (…)», invece di scrivere “la navecentrale o principale”, come sarebbe dovuto essere se la chiesa aves-se denunciato apertamente una struttura a tre navate. Evidentemen-te il di Franco aveva sotto gli occhi una chiesa a navata unica o nel-la quale la navata centrale obliterava letteralmente quelle laterali, ri-dotte al rango di semplici “ale”. A conferma di quanto sopra si osservila descrizione delle scale che portano alla chiesa superiore, che sonocomposte «di cinquanta scalini indiritto per ciascuna, e cinque nellelor parti superiori di rimpetto l’una a l’altra, dove si terminano det-te scale nel piano della Chiesa maggior di sopra avante l’altare delsantissimo Sacramento» (di Franco 1606, p.4). Risulta evidente, quin-di, che le scale non erano rettilinee, come sono ora, ma avevano for-ma di “L” terminando con gli ultimi cinque gradini nella navata cen-trale, davanti l’altare. Da questi particolari si comprende come l’at-tenzione dei fedeli era stata concentrata nella navata centrale, dallaquale bisognava necessariamente passare per scendere nella chiesainferiore. Ne consegue che le navate laterali, che certamente esiste-vano, come denuncia anche la struttura muraria, erano state messein secondo piano, anche se non è ben chiaro come. Forse le navatelaterali erano state trasformate nelle “cappelle” citate nella relazionemediante la costruzione di setti murari secondo il tipo della chiesadei SS. Severino e Sossio di Napoli, dalla quale provenivano i bene-

18 Attribuzione, questa, molto “semplificata”, che non corrisponde alle analisi svolte,come si riferisce nel seguito.

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dettini di Andria19. Questa sarebbe una soluzione “estrema”, che si po-ne in contrasto con la facciata, pensata per un edificio a tre navate.O forse la separazione tra le “cappelle” era stata resa più diafana condei varchi aperti nei setti, come nella chiesa di S. Gaetano a Biton-to20, quasi coeva con la basilica di Andria. Oppure, ancora, le navatelaterali erano rimaste aperte e libere e le “cappelle” delimitate sem-plicemente da balaustre. Comunque sia, bisogna dire che tutto questoè di secondaria importanza. Quello che risulta evidente è che la na-vata centrale era quella che dominava la chiesa e dalla quale parti-vano le scale per scendere nella chiesa inferiore e che all’epoca anco-ra non esistevano le cappelle laterali esterne del Crocifisso e di S. Be-nedetto: questo è il senso del termine “stravolto” usato in Zito (1999,p.80) quando si confronta la descrizione del 1606 con quella del 1650,termine che Gelao (2008) interpreta in maniera del tutto arbitraria.

Infine occorre ri-affrontare sinteticamente la questione dell’Autoredel santuario, che la storiografia locale ha attribuito a Cosimo Fan-zago, nome che risulta decisamente improponibile21.

Si è visto che Valeriano si è distinto anche in opere di architet-tura, sebbene queste notizie non sono ricavate da documenti ma dacronache e testimonianze successive. Sembrerebbe pertanto logico pen-sare che possa aver avuto un ruolo nell’adattamento della chiesa su-periore in forme rinascimentali, ipotesi non esclusa dalla Gelao (2008,p.118). Alla luce del testo del di Franco quest’ipotesi non risulta con-divisibile perché, qualora ciò fosse avvenuto, Giovanni avrebbe certa-mente riportato, e con rilievo, la notizia nel suo libro, cosa che nonfa22. L’unico dato certo di cui al momento si dispone è il nome di un«mastro Paolo dell’Abbate, capo mastro della fabbrica di detta chiesa»,testimone in una “grazia” il 10 marzo 1605 (di Franco 1606, p.324).Non sappiamo se la qualifica di “capo mastro della fabbrica dellachiesa” sia indicativa del fatto che i lavori della chiesa superiore fos-sero ancora in corso oppure, forse la più verosimile, che il medesimofosse inserito stabilmente in una struttura tecnico-amministrativa de-

19 Vedasi l’ipotesi ricostruttiva in Zito (1999), p.84, fig.15.20 Vedi Cazzato V. et alii (a cura), Atlante del barocco in Italia. Terra di Bari e Ca-

pitanata, Roma 1996, p.73, fig.16.21 Vedasi la bibliografia citata da ultimo in Gelao 2008, p.113. Bisogna segnalare

che il nome del Fanzago è stato anacronisticamente riproposto in Melillo M., Il10 Marzo 1576 e le vicende del Santuario di Andria, ivi 2011.

22 Si fa per inciso notare che, per ben due volte, Giovanni evidenzia il ruolo svoltoda Valeriano nel monastero: una prima volta nel 1592 per la liberazione di un in-demoniato e una seconda volta nel 1604 per redigere il rapporto del primo furtosacrilego verificatosi nel santuario (di Franco 1606, rispettivamente p.220 e p.335).

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dicata alla manutenzione dell’edificio, sul modello delle medievali “fa-bricerie” create per la costruzione delle cattedrali. Il nome dell’Auto-re dell’impianto originario della chiesa, quindi, è una questione cheresta ancora aperta, mentre è probabile che l’adattamento in forme ri-nascimentali dell’interno della chiesa superiore, effettuato dai bene-dettini, possa essere opera di una persona tutt’ora ignota, apparte-nente all’Ordine.

2. Le epigrafi sulla facciata della grotta23

La chiesa inferiore del santuario si compone di due parti: quellarelativa alla grotta, che contiene la sacra Immagine in una nicchiacavata nel tufo, sovrastante un altare, e quella relativa al “vestibolo”,cioè un corpo di fabbrica a tre navate addossato alla facciata dellagrotta. Quest’ultima si presenta in una veste cinquecentesca, artico-lata in tre livelli coronati da un timpano triangolare. Sul fregio so-vrastante il secondo livello è incisa un’iscrizione il cui testo, a parti-re dal di Franco (1606, p.4) e accreditato da tutta la storiografia lo-cale successiva, sarebbe il seguente:

PARVM IN ABSCONDITO SACRVM OBLIVIONI RELICTVM,MEMORI PIETATIS VIRGINI:

PIORVM AVXILIO MAGNVM REPONITVR, ET PATENS.DIE PRIMI SABBATHI IVNII. ANNO SALVTIS M. D. LXXVI

La forma dubitativa è d’obbligo dal momento che l’epigrafe non éinteramente leggibile a causa della mancanza di alcuni pezzi media-ni, rimossi verso il 1849 per far posto ad un organo installato in oc-casione del rivestimento della facciata con una nuova sovrastruttura24.

Con l’ausilio delle moderne tecnologie digitali è stata condotta unacampagna fotografica che ha reso possibile proporre un restauro vir-tuale della facciata (Fig. 2), ottenuto ricollocando al posto originale ipezzi dell’epigrafe a suo tempo rimossi per l’installazione dell’organo

23 di Vincenzo Zito.24 Il rivestimento della facciata con sovrastrutture barocche non sarebbe opera del

‘700, come afferma la Gelao, ma sarebbe stata realizzata nel 1849, come attesta-va un’epigrafe a suo tempo esistente che si concludeva con la frase “Abbellito piùdegnamente con opera scultorea nell’anno del Signore 1849” (Zito 1999, p.90, no-ta 42). L’organo è opera dell’organaio napoletano Michele Sessa, autore anchedell’organo collocato nell’orchestra del 1644 nel coro della chiesa superiore, in so-stituzione di quello distrutto a seguito della confisca operata nel 1806. La faccia-ta del 1849 è stata poi rimossa nel 1911 restituendo alla vista, mutila, la primi-tiva ed attuale facciata (Zito 1999, p.95).

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e che, fortunatamente, non sono andati perduti. Da questa operazio-ne il testo dell’epigrafe risulta inequivocabilmente essere il seguente:

PARVVM IN ABSCONDITO SACRVM OBLIVIONI RELICTVMMEMORI PIETATIS VIRGINI PIORVM

AVXILIO MAGNVM REPONITVR ET PATENSDIE. I. SABBATI. IVNII. ANNO SALVTIS M D LXXVII

È facile rilevare come, tra l’epigrafe riportata dal di Franco equella realmente esistente, ci siano delle differenze. Preliminarmen-te occorre far presente che, all’epoca, le lettere “U” e “V”, sia maiu-scole che minuscole, erano usate e interscambiate in maniera indif-ferente. Nelle epigrafi in lettere maiuscole, in particolare, la “V” so-stituiva sempre la “U”. Si tratta di differenze solo formali che nonincidono, per chi sa leggere il testo del ‘600, nella sua sostanza. Pa-rimenti occorre segnalare che l’abbreviazione apportata alla parola“ABSCONDITO”dal lapicida che ha inciso l’epigrafe, per la verità po-co visibile, nella quale ha fuso insieme le lettere della sillaba “AB”,è stata sciolta sia nel di Franco e sia in questa trascrizione permancanza del corrispondente carattere tipografico. Venendo alle dif-ferenze, una prima riguarda la soppressione di una “V” nella primaparola (PARVM in luogo di PARVVM) che forse è un errore tipo-grafico. Una seconda riguarda l’esplicitazione del giorno della data,scritto in forma estesa dal di Franco (PRIMI) mentre in situ è ri-portato il semplice carattere “I”. Anche questa non è rilevante. Unaterza differenza consiste nell’aggiunta da parte del Nostro di una“H” alla parola “SABBATI” che diventa “SABBATHI”. Infine un’ulti-ma differenza, che sinora nessuno ha rilevato, è di natura più so-stanziale e riguarda l’anno inciso in numeri romani al terminedell’epigrafe: nel testo del di Franco è riportato M.D.LXXVI, cioè1576, anno ripetuto da tutta la storiografia successiva, ma in situl’anno inciso è inequivocabilmente M D LXXVII, cioè 1577, l’annosuccessivo (Fig. 3)25. Il testo dell’epigrafe è scarsamente leggibile adocchio nudo, e questo potrebbe giustificare in parte la sua letturanon corretta. In particolare l’ultimo carattere a destra è il meno leg-gibile del testo, poco percettibile da terra ma chiaramente visibilecon un binocolo o, meglio ancora, in una fotografia digitale opportu-namente ingrandita. Tuttavia questo doveva essere ben leggibile nel1606 e la sua errata trascrizione pone dei quesiti che in seguito sicercherà di risolvere.

25 Devo la sollecitazione per una lettura corretta dell’anno all’attenta osservazionedell’amico Nicola Milella.

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Questa data, la cui corretta lettura si presenta particolarmentestraordinaria perché, pur essendo stata per secoli sotto gli occhi ditutti è passata regolarmente inosservata, nello sconvolgere la tradi-zione consolidata permette di puntualizzare meglio una parte delle fa-si costruttive del santuario. In un precedente lavoro si è dimostratocome l’intera basilica sia caratterizzata da impianto e da particolariarchitettonici medievali, il che porta ad attribuirne la costruzione alperiodo in cui il santuario era gestito da una confraternita (Zito 1999,p.79). Non mancano, tuttavia, Autori contemporanei che attribuisconola costruzione della basilica, chiesa inferiore compresa, ai benedetti-ni26. La corretta lettura dell’anno effettivamente esistente nell’epigra-fe permette, quindi, di dare un contributo, si spera risolutivo, allaquestione.

Secondo la storiografia locale, avviata dal di Franco (1606, p.4) eproseguita ininterrottamente sino ai nostri giorni, l’epigrafe di chetrattasi è un semplice “epitaffio dell’invenzione”, cioè un semplice te-sto commemorativo posto a ricordare l’evento della scoperta dell’Im-magine sacra, privo quindi di relazione alcuna con l’opera architetto-nica nella quale è inserita. Prova ne sia che tutti gli Autori si sonosempre limitati a trascriverne il testo, omettendo stranamente sia diriportarne la traduzione dal latino e sia di svolgere una doverosa, siapur sintetica, analisi semantica.

La traduzione del testo dell’epigrafe è la seguente:

Piccolo luogo sacro abbandonato nell’oblio,dedicato alla Vergine della pietà,

restaurato con l’aiuto dei pii (devoti) è restituito grande.Giorno del primo sabato di giugno. Anno della salvezza 157727

Analizzando il testo è facile rilevare come lo stesso si riferisca alsito della grotta, che da essere un “piccolo luogo sacro abbandonatonell’oblio” adesso è divenuto “grande” perché “restaurato con l’aiutodei devoti”. Risulta quindi di tutta evidenza come il testo dell’epigra-fe faccia riferimento ai lavori eseguiti per rendere adeguatamentefruibile il luogo che contiene l’immagine, per cui è da ritenere che ladata del 1577 indica che in quell’anno i lavori per la costruzione del-la chiesa inferiore e di quella intermedia, se non ultimati, erano al-meno giunti ad uno stadio notevolmente avanzato.

26 Da ultimi Gelao (2008, p.107) e Melillo M., Il 10 Marzo 1576 e le vicende del San-tuario di Andria, cit.

27 Ringrazio mia figlia Mariateresa per la traduzione dal latino.

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Pertanto, alla luce di quanto innanzi, risulta ulteriormente raffor-zata l’ipotesi a suo tempo avanzata in Zito (1999, p.79) secondo laquale la chiesa inferiore, la chiesa intermedia e le principali parti diquella superiore, siano state eseguite nei primi quattro anni in cui lagestione del santuario era affidato alla confraternita.

Chiarito il senso dell’epigrafe della facciata, si pone il problema diindividuare perché il di Franco ha riportato nel suo lavoro una datasbagliata, influenzando così tutta la letteratura successiva. Le ragio-ni di una così vistosa mancanza possono essere due.

Una prima può essere individuata nel fatto che il Nostro sarebbestato solo di passaggio ad Andria, come ipotizza la Gelao (2008,p.101-102), per cui sembra naturale che la data sia stata letta in ma-niera sbagliata, anche perché la sua posizione in alto la rende di dif-ficile lettura. Questa ipotesi, tuttavia non è accettabile in quanto, co-me si è visto sopra, il Nostro ha dimorato stabilmente per lungo tem-po in Andria, ospite dei benedettini, presso i quali esercitava rego-larmente anche il suo ministero sacerdotale. Sembra quindi impossi-bile che sia incorso nell’errore marchiano di sbagliare l’anno dell’epi-grafe, quando questo doveva essere ben visibile e leggibile ad occhionudo, anche dal basso.

Esclusa questa ipotesi, una seconda, un pò più intrigante, può es-sere individuata nell’evolversi degli eventi durante i primi anni di vi-ta del santuario. Come si è visto, i benedettini sono subentrati nellagestione del santuario nel 1582, quando la chiesa inferiore e la rela-tiva epigrafe dovevano essere già esistenti. Gli stessi potrebbero nonavere ben compreso il senso dell’epigrafe e, conseguentemente, avreb-bero coperto l’ultima cifra romana che indica l’anno, facendolo diven-tare quindi 1576, coincidente con l’anno del rinvenimento dell’Imma-gine sacra, data che a loro deve essere sembrata la più logica. Per-tanto il di Franco avrebbe trascritto l’anno che effettivamente si leg-geva ai suoi giorni non rilevando, anch’egli, la contraddizione esi-stente tra il testo dell’epigrafe e l’anno riportato. A conferma di quan-to sostenuto, si fa presente che nella relazione del 165028 é trascrittal’epigrafe senza gli errori del di Franco ma aggiungendone altri, tran-ne l’anno che è sempre 1576. Questo vuol dire che il testo non è sta-to copiato dal di Franco ma è stato letto in loco, sia pure con altrelievi differenze di trascrizione, e che, pertanto, nel 1650 l’anno che sileggeva era sempre MDLXXVI. A fronte di eventuali accuse di forza-ture su questa interpretazione si fa rilevare che proprio l’ultimo ca-

28 Leccisotti T., «I monasteri di S. Maria dei Miracoli di Andria ecc.», in ArchivioStorico Pugliese, 1951, p.149.

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rattere, come si è già notato, è il meno visibile dell’intero testo, comese sia stato per lungo tempo obliterato, ricoprendolo con dello stucco.

Assodato che l’epigrafe non rappresenta la memoria dello scopri-mento dell’immagine sacra ma indica la data del completamento,quanto meno nelle parti principali, della chiesa inferiore e di quellaintermedia, è possibile sciogliere alcuni dubbi sulla originaria formadella facciata della grotta che oggi si presenta mutila. Clara Gelao(2005, p.174) ipotizza che “un tempo”, non altrimenti meglio precisa-to, dove ora ci sono i bassorilievi dell’Annunciata e dell’Angelo an-nunciante dovevano esserci altre due finestre, tesi ripetuta anche suc-cessivamente (Gelao 2008, p.109). Questa tesi, oltre che gratuita, nonè condivisibile per almeno tre motivi.

Il di Franco (1606, p.3) afferma che la facciata è bucata da quat-tro finestre, dove sono collocati i calici e le altre argenterie offerte daifedeli al santuario. Il numero delle finestre è confermato nella de-scrizione della chiesa intermedia dove riferisce che «nella parte occi-dentale, dove sono le suddette quattro fenestre, che corrispondono al-la sopradetta facciata da basso, dalle quali riceve il lume la capanna,& avanti a quella di mezzo alquanto maggiore, vi è una statua diGiesù Signor nostro…» (di Franco 1606, p. 6). Si rileva, quindi, chele finestre sono sempre quattro ma che quella di mezzo è più grandedelle altre29. Essendo le finestre in numero pari, tenuto conto delle de-scrizioni e del contesto, la loro disposizione più ragionevole non puòche essere quella proposta nella ricostruzione virtuale di fig. 2).

In aggiunta a quanto già esposto si fa presente che alle spalle deibassorilievi dell’annunciazione esistono due pilastri inglobati nellastruttura muraria della facciata, opere che sostengono la struttura del-la chiesa intermedia e del coro di quella superiore (Fig. 4). Risultaquindi materialmente impossibile, per motivi meramente strutturali, lapresenza di ulteriori finestre in luogo dei citati bassorilievi. Del resto,seguendo la tesi della Gelao, le finestre sarebbero state fino a otto (lequattro finestre a giorno dei calici più la finestra centrale più largadelle altre più le tre finestre del livello superiore, due delle quali sa-rebbero state tompagnate per dipingervi le immagini di santi bene-dettini (Gelao 2008, p. 109), ragion per cui alla fine i conti non tor-nano. Infine non si può fare a meno di rilevare che, qualora le quat-tro finestre e quella centrale fossero state allineate sullo stesso pianoorizzontale, ciò avrebbe comportato il pressoché totale annullamentodella struttura muraria creando seri problemi di stabilità.

29 Quindi al centro della facciata non esisteva una nicchia, come afferma Gelao2008, p.109, ma una finestra.

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Oltre all’epigrafe principale di cui si è discusso, sarebbe indivi-duabile una seconda epigrafe alla base del timpano sull’ultimo livel-lo. Infatti dall’ingrandimento delle foto digitali é chiaramente visibileuna lettera “E” color “terra di Siena naturale” nonché i resti di quel-le che potrebbero essere una lettera “A”, una “V”, una “F” ed una “S”(Fig. 5)30. Sono altresì visibili, in ordine sparso, altri piccoli frammenticolorati dai quali non è assolutamente possibile individuare le letterealle quali appartenevano. A differenza dell’epigrafe del livello inferio-re, di cui si è ampiamente discusso, quest’ultima è semplicemente di-pinta e questa è stata, senza dubbio, la causa della sua pressoché to-tale distruzione, avvenuta probabilmente nel 1911 con la rimozionedell’incamiciatura di stucchi del 1849.

Quello che lascia perplessi è la constatazione che di quest’ultimaepigrafe non si conoscono trascrizioni. Nessuno degli storici del san-tuario ne ha fatto cenno. È pur vero che dal 1650 sino alla primametà dell’800 non si conoscono descrizioni dettagliate del santuario, ilche porterebbe ad ipotizzare che l’epigrafe possa essere stata appostaproprio in questo periodo. Tuttavia, stante l’assoluta mancanza di no-tizie in merito, su questo argomento occorre sospendere ogni valuta-zione.

3. L’affresco del miracolo di S. Placido31

Quando, nel Gennaio 1998, dalla parete che fronteggia la grottacon l’immagine della Vergine fu rimossa la tela raffigurante la Regi-na di Saba alla corte di Re Salomone, per essere sottoposta a re-stauro, venne alla luce un affresco del quale s’ignorava l’esistenza(Fig. 6). Il dipinto, di chiara impronta secentesca, raffigura l’episodiodel salvataggio di San Placido dall’annegamento, derivante dall’agio-grafia del santo, e costituisce la conferma che le pareti della chiesainferiore, verso la fine del XVII secolo erano tutte dipinte32. L’affresco,che è racchiuso in una cornice dipinta ed é inquadrato in un’archi-tettura, anch’essa dipinta, formata da una balaustra sorretta da co-lonne con capitelli ai due lati, si presenta parzialmente mutilo sia peri danni subiti dal supporto sia perché in parte coperto dalla cornicedi gesso curvilinea che conteneva la tela rimossa.

Al momento resta ignoto l’autore del dipinto per la mancanza didocumentazione dovuta alla distruzione dell’archivio del santuario, av-venuta dopo la confisca effettuata nel 1806.

30 Anche della “scoperta” di questa seconda epigrafe sono debitore di Nicola Milella.31 di Nicola Montepulciano.32 Zito 1999, pag. 88, nota 34.

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L’affresco presenta alla base un’estesa didascalia latina, distribui-ta su tre righi, che descrive la scena rappresentata nel dipinto (Fig.7). Si tratta di una particolarità piuttosto inconsueta nella nostracittà, dal momento che l’unico altro caso di affresco con epigrafe sitrova nel Cristo Pantocratore presente nella cripta della Cattedrale diAndria, dove sul libro che Cristo regge con la mano sinistra si leggela frase “Lux ego sum”, Io sono la luce, ovvero la salvezza.

Purtroppo l’epigrafe è mutila sia perché in parte coperta dalla cor-nice in gesso e sia perché alcune lettere sono scolorite e, quindi, po-co visibili. Addirittura il terzo rigo è quasi integralmente ricopertodalla cornice di gesso. Le parole integre che si possono leggere ad oc-chio nudo sono soltanto sei: DVM, PLACIDVS, IN, IMPETV, JVSSV,AQVAS. Altre quattro parole sono incomplete: RAPERET, VPER, IN-CEDF, ATTRAY. Le lacune sono quindi talmente gravi da renderel’epigrafe quasi incomprensibile.

Con l’aiuto di un binocolo si leggono meglio altre lettere ma perla soluzione del testo è stata determinante la decisione di effettuaredelle foto digitali da esaminare, opportunamente ingrandite, al com-puter33. Dall’esame delle foto si possono leggere più chiaramente leparole RAPERETVR, (che da terra si legge “RAPERET”), parola “IN-CEDENS”, (che da terra si legge “INCEDF”). Quindi, le parole intel-ligibili diventano 8, alle quali si possono aggiungere tracce di altrelettere che, successivamente, risultano molto utili alla comprensionedel testo.

Tutto questo, però, non é sufficiente per comprendere la didasca-lia. Poiché le ricerche sui testi nelle varie biblioteche non hanno da-to alcun esito, si è pensato di eseguire una ricerca su Internet di unaestrapolazione certa del testo34. Inserite quindi alcune parole della di-dascalia e precisamente “Dum Placidus monachus”, è venuto fuoril’intero testo originario dal quale era stata estratta l’epigrafe.

La didascalia è un adattamento di una frase tratta dal Divinumofficium matutinum S. Pauli primi Eremitae et Confessoris scriptura:feria VI (sexta) infra Hebdomadam I post Epiphaniam (lectio 9) –Commemoratio St. Mauri, Abbati., cioè dalla nona lettura dell’Ufficiodivino mattutino di S. Paolo, primo eremita e confessore, venerdì del-la I settimana dopo l’epifania - commemorazione di S. Mauro Abate.

Viene qui riportata quella parte della commemorazione della vitadi S. Mauro, nel testo originale in latino e relativa traduzione, che

33 Devo l’esecuzione delle foto a Michele Monterisi il cui contributo in questa ricer-ca è stato determinante.

34 Anche questa intuizione la devo a Michele Monterisi.

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più ci interessa, perché da questa l’autore dell’affresco ha tratto la di-dascalia:

Maurus nobilis Romanus puer a patre Eutichio Deo sub sancti Be-nedicti disciplina oblatus, brevi tantum divina gratia profecit, utipsi magistro admirationi esset: qui illum saepe veluti regularis ob-servantiae, et virtutem omnium specimen, ceteris discipulis ad imi-tandum proponebat. Cujus adhuc adolescentis illud admirabilisobedentiae exemplum a sancto Gregorio Papa commemoratur. Namcum Placidus monachus in lacum prolapsus, aquarum impetu ra-peretur, sancti Patris jussu accurrens Maurus, et super aquas in-cedens, socium capillis apprehensum, ad terram attraxit35.

TraduzioneMauro nobile fanciullo romano, consacrato a Dio dal padre Eutichiosotto la guida di San Benedetto, in breve tempo crebbe tanto in di-vina grazia, da essere ammirato dallo stesso maestro, che spesso loproponeva (lo indicava) agli altri discepoli come esempio di costan-te (zelante) obbedienza, e modello di ogni virtù da imitare. L’esem-pio di ammirabile obbedienza di quel giovane viene anche ricorda-to da San Gregorio Papa. Infatti quando il monaco Placido cadutonel lago, stava per essere portato via dall’impeto delle acque, Mau-ro accorrendo su comando del santo Padre e camminando sulle ac-que, preso il confratello per capelli, lo trasse a riva.

La didascalia è stata ricavata dall’ultimo periodo del brano, quel-lo, cioè, sottolineato. Il periodo non fu riportato fedelmente, ma adat-tato con alcune varianti per renderlo autonomo dal contesto e com-prensibile. Qui si riporta l’intero periodo variato e la relativa tradu-zione (Fig. 8).

Dum Placidus in lacum prolapsus, aquarum impetu raperetur,sancti Benedicti jussu accurrens Maurvs, et super aquas incedens,socium capillis apprehensum, ad terram attraxit.

Mentre Placido, caduto nel lago, veniva travolto dall’impeto delleacque, accorrendo Mauro su comando di San Benedetto, cammi-nando sulle acque, preso il confratello per capelli, lo trasse a riva.

La frase originale è quindi composta da 25 parole, mentre la di-dascalia si compone di 23. Perché? Perché eliminando ma anche sosti-tuendo alcune parole se ne ricava un brevissimo racconto. Però a ren-dere difficile la comprensione, oltre alle eliminazioni e sostituzioni, cisono i danneggiamenti e occultamenti, questi ultimi dovuti alla corni-ce in stucco. Per quest’ultimo motivo il terzo rigo quasi non esiste più.

35 La sottolineatura è nostra.

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Altre tre parole recano scarsissime tracce di poche, singole lettere, magrazie alla loro conformazione si é potuto ricostruire, con l’ausilio delcomputer, esattamente le lettere e da queste risalire alle parole cuiappartengono. Di queste, inoltre, due sono del testo originale mentreuna è sostituzione. Un’altra indicazione utile si é avuta dal modo concui il pittore scrisse le iniziali maiuscole dei nomi dei santi. Quasisempre sulle epigrafi le parole sono scritte interamente con letteremaiuscole ed in alcune poche altre si può osservare che le parole so-no inserite nei righi. Anche il nostro Autore si è servito dei righi, masi nota che per scrivere i nomi di persona la lettera iniziale supera ilrigo. Così di una parola si é potuto riconoscere con certezza, insiemead alcune piccole tracce di 4 lettere e una sola completa, il nome “Be-nedicti” (genitivo latino), non presente nel testo originale.

Pertanto, rispetto al testo originario, due sono le parole eliminate:NAM, con cui inizia la frase originale, e MONACHVS, mentre duequelle sostituite: DVM al posto di CVM e BENEDICTI al posto diPATRIS. Perchè l’eliminazione di NAM? Evidentemente, dovendosi ri-portare una frase ad uso didascalico e fuori dal suo contesto, non hasenso iniziare la frase con NAM che in latino vuol dire “INFATTI”,quindi una congiunzione coordinante che conferma o richiama una af-fermazione precedente contenuta in un’altra frase del contesto. Natu-ralmente nell’affresco non si poteva riportare il contesto per brevità.Anche la seconda eliminazione “MONACHVS” è fatta per brevità. Perle parole sostituite, la prima parola è “CVM” da tradursi con “QUAN-DO” per far posto a “DVM” (MENTRE), per spiegare cosa avveniva inquel momento, quando S. Placido cadde nel lago. La seconda è “BE-NEDICTI” al posto di “PATRIS”, questo perché le parole “SANCTIPATRIS” nel testo originario si riferiscono S. Benedetto, ma questo sicomprende solo se si legge tutto il testo che precede la frase. Chi in-vece si trova a leggere la sola didascalia è indotto a tradurre “SANC-TI PATRIS” con “Santo Padre”, appellativo col quale si designa il Pa-pa, che col miracolo non c’entra. Così con poche variazioni si diede ilsenso voluto: appartenenza all’Ordine, virtù dell’obbedienza, miracolo.

L’affresco trova una giusta collocazione nella chiesa inferiore dovevi sono le immagini affrescate di S. Margherita e S. Nicola, che sonodue santi “sauroctoni”, capaci, cioè, di sconfiggere ed esorcizzare ildiavolo sotto forma di drago, al pari di S. Silvestro, di S. Giorgio, diS. Michele36. Il de Palma ci fa di seguito osservare come Mario Sen-

36 de Palma L.M., «Origini medievali di un santuario mariano. L’inventio di S. Ma-ria dei Miracoli di Andria» in Bertoldi L., Renna L., La Madonna d’Andria, ivi2008, p. 33.

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si «ha posto in evidenza quanto il culto e la devozione per i numero-si santi sauroctoni sia da porre in relazione con il problema rappre-sentato dall’impaludamento delle acque e con i danni provocati sullapopolazione dei territori interessati dalle epidemie malariche». Ma,ancora, i santi sauroctoni sono invocati anche per altre forme di di-fesa dalle forze delle acque. S. Silvestro è venerato a Roma come ilsanto che protegge anche dallo straripamento del Tevere, a VeneziaS. Giorgio è invocato per la difesa dall’acqua alta, S. Michele dalle ac-que malariche. Infatti «richiamandosi alle scene descritte dall’Apoca-lisse (12,12-16), la forza delle esondazioni viene configurata con il vo-mito del drago, mentre l’impeto del mare dal drago precipitato negliabissi. Perciò San Nicola, che secondo la leggenda dirada la tempestae salva i naufraghi, può considerarsi -per estensione- un santo sau-roctono». E questo miracolo è rappresentato nella nostra grotta, dovevi è l’icona di S. Nicola. L’affresco è affiancato da sei scene relativealla vita del santo, due delle quali illustrano le fasi del miracolo delsalvataggio di alcuni marinai: nella prima scena S. Nicola appare aimarinai di una nave sorpresa dalla tempesta, nell’altra i marinai, ri-conosciuto il santo salvatore, si prostrano per ringraziarlo. Anche S.Margherita, il cui affresco è pure nella grotta, è una santa saurocto-na che nel Medioevo era invocata o contro la furia di piena delle ac-que torrentizie oppure per il ristagno in momenti di secca, pericolosoper la formazione di acquitrini che potevano favorire l’insorgenza del-la malaria. La martire antiochena è una santa sauroctona anche per-ché capace di sconfiggere il drago durante la sua prigionia e, nellostesso tempo, capace di dominare con la preghiera la potenza delleacque. La santa uscì indenne dal tormento dell’acqua fredda in cui fuimmersa per essersi rifiutata di sposare il governatore pagano Oli-brio.

A questo punto viene naturale chiedersi il perché sia stato sceltoquesto soggetto per decorare l’aula della chiesa inferiore. Si possonofare due ipotesi che non si escludono a vicenda.

Prima ipotesi. Il santuario era retto dai monaci benedettini e lastoria dell’affresco aveva come protagonisti due monaci, San Mauro eSan Placido che appartenevano all’Ordine.

Seconda ipotesi. Dato l’enorme afflusso di pellegrini nel nostrosantuario, provenienti da ogni parte della Italia Meridionale, si vole-va dare grande risalto all’Ordine dei Benedettini. Per far questo iCassinesi fecero dipingere l’affresco di fronte alla grotta, in modo dacolpire il pellegrino, che scendeva verso questa. Era come un manife-sto dell’Ordine. In base alle mie ricerche, sebbene non approfondite,non risulta in nessuna chiesa o monastero benedettino della provin-cia di Bari un dipinto raffigurante il salvataggio di San Placido che,

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probabilmente, era ritenuto in tempi passati uno dei miracoli più sen-sazionali di San Benedetto.

4. Sacello della grotta precedente a quello attuale

Nella grotta, ai piedi dell’Immagine sacra, trovasi un altare pre-ceduto da un sacello (tempietto), dono di Francesco II di Borbone, exre del regno delle Due Sicilie, fatto per sciogliere un voto compiutodal defunto genitore Ferdinando II il quale non ebbe il tempo mate-riale per adempiervi37.

Del vecchio sacello con altare che, precedentemente, era posto da-vanti l’Immagine, non si hanno notizie da parte degli Autori moder-ni che hanno descritto il santuario. Una descrizione, sia pure som-maria, è stata ritrovata nell’opuscolo di Mons. Merra E., La Madon-na dei Miracoli d’Andria (Bologna 1872, pp.48-49)38. Si trascrive, per-ché non se ne perda la memoria, la descrizione del Merra.

In fondo della sacra grotta vi sono tre altari, dei quali il medio èposto sotto la sacra Immagine, e funziona da altare maggiore. Ilpiano di detto altare è sollevato su quello degli altri due di metriuno e venti, e vi si accede da due rampe laterali di cinque gradi-ni ognuna. Questo piano sollevato forma un tutto a sé, ed è cir-condato da una fortissima cancellata in ferro con fregi di ottone.Le sue pareti sono adorne di cristalli colorati che nell’insieme pre-sentano un disegno svariatissimo; anche l’altare è così costruito.

La descrizione del Merra conferma l’ipotesi avanzata da G. Lepo-re secondo la quale il primitivo pavimento della grotta doveva tro-varsi ad una quota di poco più di un metro più alta dell’attuale39. Danotare, inoltre, che al tempo del Merra c’erano anche altri due alta-ri, uno sotto l’affresco di S. Margherita e l’altro dal lato opposto, sot-to un quadro dedicato all’Annunziata donato da Vincenzo Carafa.

Analoga descrizione è riportata da P. Cosma Lojodice nel Manua-le di pratiche divote in onore di S. Maria dei Miracoli in Andria40. Al-

37 Per la descrizione vedasi Petrarolo P., Il santuario di Santa Maria dei Miracoli,Andria 1996, pp.45-46.

38 Si tratta della prima edizione del Merra sul nostro santuario, poi riproposta inuna seconda edizione nel 1876 ed infine, ampliata, inserita nella raccolta Mono-grafie andriesi, Bologna 1906.

39 Cfr. Bertelli G., Lepore G., «La lama di Santa Margherita e la grotta di S. Ma-ria dei Miracoli ad Andria», in Bertoldi Lenoci L., Renna L. (a cura), La Madon-na d’Andria, ivi 2008, pp.55-56.

40 Lojodice Cosma P., Manuale di pratiche divote in onore di S. Maria dei Miracolidi Andria, Bologna 1899, p.12, nota 1.

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la descrizione del Merra il Lojodice aggiunge la notizia che la deco-razione in cristalli è stata opera del P. Tommaso Tasca, agostiniano41.Aggiunge, inoltre, che

(…) nell’abbassare il pavimento all’odierna altezza fu scoperto unoscheletro. Si vuole fosse d’uno dei primi monaci Benedettini, ve-nuti a prendere possesso del Santuario; certamente d’un divotodella Madonna dei Miracoli.Il P. Francesco Saverio Jafanti, allora Priore, curò di raccoglierequelle ossa, le chiuse in una cassetta, che venne fabbricata in unvano aperto appositamente nel masso tufaceo della grotta.Ora che scrivo questa nota (9 Marzo 1899) ho fatto murare sopraquel vano una lapide con la seguente epigrafe:

DEIPARAE . A . MIRACULIS . CULTORSUB EJUS . PRISCO . SACELLO

JACEBAMNUNC . HIC

ALIO . NE . TRANSFERARADPRECOR

AVE . MARIA

che tradotto significa:

Devoto della Madonna dei Miracoli,ero ancora sepolto sotto il suo originario sacello (tempietto),

perciò ora supplico di non essere traslato in altro luogo.Ave Maria.42

È davvero singolare il fatto che tutti coloro che, a partire dal1899, si sono occupati del santuario43 abbiano totalmente ignoratoquesta epigrafe. Fa eccezione soltanto G. Lepore che nel suo lavorosulla grotta pone dei quesiti sul significato dell’epigrafe in relazionead eventuali depositi sepolcrali nei pressi della laura44.

I quesiti sollevati da Lojodice e da Lepore possono essere risoltida una notizia fornita dal Merra. Probabilmente le ossa ritrovate ap-

41 P. Tasca faceva parte del gruppo di agostiniani che nel 1839 aveva preso posses-so del santuario in sostituzione dei benedettini (Merra E., «La Madonna dei Mi-racoli d’Andria», in Monografie andriesi, Bologna 1906, pp.402-403).

42 Traduzione di N. Montepulciano.43 Da ultimo Melillo M., Il 10 Marzo 1576 e le vicende del Santuario di Andria, ivi

2011.44 Cfr. Bertelli G., Lepore G., «La lama di Santa Margherita e la grotta di S. Ma-

ria dei Miracoli ad Andria», cit., p.52.

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partenevano al benedettino Oliviero Carafa, figlio “cadetto” del ducad’Andria, dove morì nel 1771 e fu sepolto in una tomba ai piedi del-la cripta45.

Di questo benedettino andriese si sa che è stato abate di S. Lo-renzo di Aversa46, poi di S. Benedetto in Chiaia a Napoli47, poi nuo-vamente di S. Lorenzo di Aversa48.

5. Facciata della chiesa superiore49

La facciata della chiesa superiore del santuario si presenta con treporte di accesso e sovrastanti tre finestroni, il tutto coerentemente al-la distribuzione interna a tre navate della chiesa. Un portico su seipilastri quadrangolari, quattro dei quali compositi con colonne, coper-to con volte a crociera precede le tre porte d’ingresso.

I finestroni della parte superiore hanno una sagoma esternastrombata che si profila a leggero sesto acuto, molto simile alle mo-nofore medievaleggianti che si vedono sul fianco della chiesa superio-re e sulle pareti di quella inferiore (Fig. 9). In un momento non an-cora meglio identificato, forse durante il settecento, nella parte inter-na superiore dei finestroni venne inserito un architrave in modo datrasformarli in sagoma rettangolare, lasciando però intatta la sagomaesterna, come ancora oggi è visibilmente verificabile.

In un precedente lavoro (Zito 1999, p. 77 fig. 6) si è accennatoall’ipotesi che le finestre laterali sarebbero state anche accorciate perottenere l’altezza necessaria alla costruzione del portico attuale, rea-lizzato in sostituzione del portico su quattro colonne menzionato dal diFranco (1606, p. 7). Questa ipotesi è stata confermata dall’esame di-retto delle suddette finestre, possibile soltanto accedendo al terrazzo dicopertura del portico attraverso l’ex monastero. Si è rilevato che men-

45 Merra E., cit., pp. 386-387. Il Merra trae la notizia da una «Storia Mss. di An-dria» del prevosto Pastore (XVIII sec.), P.II, Cap. XVI, documento tutt’ora intro-vabile (vedasi Zito V., La guerra dei 200 anni, Andria 2010, pp.22-25). Lo stessoMerra, forse senza rendersene conto, riferisce che alla morte del P. Oliviero, chesarebbe avvenuta all’età di 67 anni, avrebbe pianto la madre la quale, vista l’etàdel defunto, probabilmente non era più in vita.

46 Archivio del monastero di Montecassino, Atti dei Capitoli della CongregazioneCassinese anni 1750; 1751; 1753 e 1754.

47 Archivio del monastero di Montecassino, Atti dei Capitoli della CongregazioneCassinese anni 1756; 1757; 1759 e 1760.

48 Archivio del monastero di Montecassino, Atti dei Capitoli della CongregazioneCassinese anni 1768 e 1769. Si devono le notizie sugli atti dei capitoli che inte-ressano “D. Oliviero Caraffa” a D. Faustino Avagliano, Priore del monastero diMontecassino.

49 di Vincenzo Zito.

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tre nel finestrone centrale il davanzale sostiene gli stipiti (Fig. 10), co-me normalmente deve essere per una corretta esecuzione di quest’ele-mento architettonico, nelle finestre laterali il davanzale è compresotra gli stipiti, fatto questo del tutto anomalo (Fig.11). Unica spiega-zione possibile sta proprio nel fatto che le finestre laterali siano sta-te “accorciate” mediante la sovrapposizione, sul vecchio, di un nuovodavanzale il quale, ovviamente, non poteva che essere inserito tra glistipiti esistenti.

Questa constatazione, associata al fatto che gli archi traversi delportico sono visibilmente “innestati” nella muratura della facciata50

forniscono la prova che l’attuale portico è stato aggiunto alla facciatae che quindi non si può assolutamente confondere con il «portico fon-dato sopra quattro colonne di pietra viva» descritto dal di Franco51.

Anche l’ipotesi a suo tempo avanzata da Cusmano Livrea52 secon-do la quale le colonne attualmente presenti nei quattro pilastri com-positi centrali potrebbero essere un reimpiego delle colonne del vec-chio portico non sembra più condivisibile. Infatti recentemente, nelletto della lama, sono state rinvenute due colonne in pietra calcarea,che sono state recuperate ed attualmente collocate nel vicino mona-stero agostiniano di Santa Monica, che per altezza e dimensione pos-sono aver fatto parte del vecchio portico menzionato dal di Franco.

6. Aggiunte alla cronotassi degli Abati53

Nella cronotassi abbaziale compilata da F. Avagliano54 resta inso-luto il quesito se D. Severino da Montella sia stato il primo Abate delmonastero andriese o se sia stato semplicemente un amministratore.Il quesito viene sciolto da Giovanni di Franco che in appendice al suolibro pubblica l’elenco degli abati fino al 160655. Secondo il suddettoelenco D. Severino è stato un amministratore del santuario. La qua-lifica di amministratore di D. Severino è ulteriormente confermata inalcuni atti notarili conservati presso la sezione di Archivio di Stato di

50 Cfr. Zito 1999, p.78 fig.9.51 Diversamente la Gelao (2008, p.112) sostiene, senza motivarlo, che il portico at-

tuale è lo stesso di quello descritto dal di Franco.52 Cusmano Livrea L., «S. Maria dei Miracoli. Andria», in Calò Mariani M.S. (a cu-

ra), Insediamenti benedettini in Puglia, Cavallino di Lecce, Vol.II, Tomo I, p.364.53 di Vincenzo Zito.54 Avagliano F., «Contributo alla cronotassi abbaziale del monastero di S. Maria dei

Miracoli di Andria», in Bertoldi Lenoci L., Renna L., La Madonna d’Andria, ivi2008, pp.197-246.

55 Di Franco 1606, p.530. Evidentemente l’elenco degli Abati del Merra, di cui si ser-ve Avagliano, fino al 1606 è tratto dal libro del di Franco.

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Trani, nei quali il Nostro è qualificato come “Administrator” del mo-nastero e del santuario di “S. Marie Miraculorum in lamis”56. Conse-guentemente il primo Abate di Andria è stato D. Arsenio da Padova,professo di S. Giustina di Padova ed eletto Abate nel 1584.

Alla cronotassi degli abati occorre aggiungerne uno che sino a que-sto momento era ignoto. Si tratta di D. Costantino dé Notari, profes-so a Nola nel 1584, a proposito del quale la Matricula del Bossi57 re-cita:

D. Constantino de Notariis a Nola 21 Martii 1584Vir tum religiosa probitate tum eminenti doctrina praedictus etvere illustris. Plura et sane egregia edidit et: 1°. Il duellodell’ignoranza e della scienza fatto principalmente nel campo filo-sofico, diviso in due parti sceptica e dogmatica. Mediolani an.1607. in 4. et Venetiis 1610. 2° Compendium clavis regiae S. Gre-gorii Sayri. 3° Eiusdem compedii pars. 2.da, ambo Venetiis an.1613. 4°. Del mondo piccolo ammirevole, discorsi curiosi dell’uma-na perfezione ecc. Venetiis 1617. 5°. Il mondo grande, Venetiis1617. 6° Il cittadino del cielo: ritratto del Salmo: Domine quis ha-bitabit ecc. Neapoli an. 1622. Doctrinae eius fama permota Cong.Nostra illum priorem deinde abbatem costituit in qua dignitateper aliquos annos probe versatus, tandem an. 1624 ex hac vitamigravit non sine magnum liberatorum maerore.

La Matricula Della Torre è al riguardo più sintetica e leggermen-te diversa58:

D. Constantinus de Notariis a Nola, professus Neapoli (monasterodi S. Severino) 21 martii 1584, Fuit abbas. Plura scripsit. Vide Bi-bliothecam Armellini sub Litera C. folio, 136 et 137:

Come si vede nessuna delle due Matricule riporta la notizia dellasua carica di abate avuta in Andria, carica che, però, lo stesso “D.Constantinus” dichiara di ricoprire nel frontespizio del suo ultimo li-bro che si riporta integralmente:

Il cittadino del cielo ritratto dal Salmo Domine quis habitabit inTabernacolo tuo. Opera del R. P. D. Costantino dé Notari Nolano

56 Archivio di Stato di Trani, Fondo notarile, Notaio Giovanni Vincenzo Tota, Proto-collo n.16, anno 1582, ff. 34 v; 103 r; 117 r; 156 r.

57 Bossi A., Matricula monachorum Congregationis Casinensis cit., p.289.58 Archivio di Montecassino, «Matricola sive Series cronologica monachorum omnium

Congregationis Casinensis» del p.d. Giovanni Battista della Torre, manoscritto,p.488. Devo questa notizia a D. Faustino Avagliano, Priore del monastero di Mon-tecassino.

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Abbate di S. Maria de’ Miracoli d’Andria della Congregatione Ca-sinense (…) – in Napoli: per Domenico di Ferrante Maccarano,162259.

Pertanto questo Abate va collocato tra D. Venanzio Agazzini daRoma, che nel 1621 era Abate in Andria, e D. Vittorino Schirilli daNapoli, Abate dal 13 maggio 162960. Essendo il dé Notari deceduto nel1624, al momento non si conoscono i nomi degli abati nel periodo1624-1629.

Bibliografia essenziale

Bertoldi Lenoci L., Renna L. (a cura) (2008), La Madonna d’Andria, ivi;

di Franco G., (1606), Di Santa Maria dé Miracoli d’Andria. Libri Tre,Napoli, ristampa anastatica, Bari 2009;

Gelao C. (2005), Puglia rinascimentale, Milano;

Gelao C. (2008), «La chiesa di Santa Maria dei Miracoli ad Andria.L’Architettura», in Bertoldi Lenoci L., Renna L. (a cura), La Madon-na d’Andria, ivi, pp.93-140;

Zito V. (1999), «Da laura cenobitica a basilica», in Montepulciano N,Zito V. (a cura), La lama di Santa Margherita e il santuario dellaMadonna dei Miracoli, S. Ferdinando di Puglia.

59 L’opuscolo è stato casualmente individuato da chi scrive presso la biblioteca delDipartimento di Studi Classici e Cristiani dell’Università degli Studi di Bari.

60 Avagliano F., «Contributo alla cronotassi abbaziale del monastero di S. Maria deiMiracoli di Andria», cit.

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Fig. 1) Stemmi nobiliari di alcuni rami dei “di Franco” in Sicilia. Dall’alto in basso:Francorum Familiae insigne di Catania (da di Franco, Di Santa Maria deiMiracoli, 1606, p. 95), Franchis (de) di Palermo e Franchi di Messina (da Pa-lizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, Palermo 1871, p. 185).

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Fig. 2) Ricostruzione virtuale della facciata della grotta (Zito 1999, p.96).

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Fig. 3) Particolare dell’epigrafe sul frontone della facciata della grotta, nella quale silegge chiaramente l’ultima cifra, in caratteri romani, dell’anno 1577.

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Fig. 4) Vista della facciata della grotta dall’interno della cappella intermedia. Parti-colare. Si nota a sinistra la muratura d’ambito della cappella e, a destra, unpilastro che fa corpo con la facciata, retrostante il bassorilievo dell’Annuncia-zione.

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Fig. 5) Resti dell’epigrafe alla base del timpano di coronamento.

Fig. 6) Affresco sulla parete di fondo della chiesa inferiore raffigurante l’episodio delmiracolo di S. Placido.

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Fig. 7) Didascalia dell’affresco di fig. 6).

Fig. 8) Didascalia dell’affresco di fig. 6) integrato delle parti mancanti.

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Fig. 9) Finestra monofora laterale della chiesa inferiore.

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