Anno 12, n. 1(115) - Gennaio 2015 Curia e pastorale per la vita della Diocesi ... - Segni · 2015....

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 12, n. 1(115) - Gennaio 2015

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22 GennaioGennaio20152015

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pen-siero degli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampaa propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anchese non pubblicati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc.senza esplicita autorizzazione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Cesare Chialastri,mons. Franco Risi, don Antonio Galati, don AlessandroTordeschi, don Gaetano Zaralli, p. Antonio Scardella, donMarco Nemesi, p. Vincenzo Molinaro, Costantino Coros,Marta Pietroni, Antonio Venditti, Sara Gilotta, GaetanoSabetta, Giovanni Zicarelli, Sara Calì, Laura Dalfollo, FrancescoCipollini, Vincenza Calenne, Gilberto Borghi, GiovannaAbbate.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

“Autogoal”di Giuliano Tamburini, 2004,

acrilico e argento in foglia su tavola.

- La costante tentazione di considerare l’altro

come un oggetto,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- “Non più schiavi, ma fratelli”. Messaggio

del Santo Padre per la celebrazione della

XLVIII Giornata Mondiale della Pace,

Stanislao Fioramonti p. 4

- La parola di Papa Francesco al

parlamento europeo, S. Fioramonti p. 7

- Le parole di Papa Francesco sulle

donne, Sara Gilotta p. 9

- Utero in affitto. L’illusione dell’altruismo,Marta Pietroni p. 10

- Andare, incontrare, donarsi,Gaetano Sabetta p. 11

- Paesi in guerra e altri sotto pressione: sguardo sulle crisi in corso in Medio Oriente,

don Cesare Chialastri p. 12- Colleferro solidale: le attività delle Caritas

parrocchiali, Giovanni Zicarelli p. 13- Caritas diocesana: iniziato il corso di formazione dei volontari e degli operatori,

Giovanni Zicarelli p. 14

- Liturgia: la Preghiera Eucaristica,don Alessandro Tordeschi p. 15

- Anno dei religiosi / 3: L’Albero delle famiglie religiose, don Antonio Galati p. 17

- 2015, Anno della Vita consacrata e 500° dalla nascita di S. Teresa d’Avila,

Laura Dalfollo p. 18- La presenza in diocesi delle comunità religioseValmontone: Suore Figlie dell’Immacolata,

Stanislao Fioramonti p. 20Artena: Convento Frati Minori Francescani / 1,

Sara Calì p. 21

- Per chi ha voglia di credere:

Un sacrilegio evitato,

don Gaetano Zaralli p. 22

- La reciproca conoscenza tra tutte le Religioni

è la via per la pace,

mons. Franco Risi p. 23

- I Fidanzati e il cammino sinodale della chiesa,p. Vincenzo Molinaro p. 24

- Mattone sopra mattone. Il Bene comune comeprospettiva educativa di un agire civico responsabile e solidale,

Costantino Coros p. 25

- Mons. Andrea M. Erba in udienza privata da Benedetto XVI p. 27

- Un nuovo scritto di S. E. mons. A. M. Erba:“Le mie Memorie”,

Tonino Parmeggiani p. 27- Colleferro: 50° della Consacrazione della Parrocchia Maria Ss.ma Immacolata,

p. Antonio Scardella p. 28- Segni, 27 gennaio ricorda Papa Vitaliano, santo,

Francesco Cipollini p. 30

- Il sacro intorno a noi / 9: Il Sacro Ritiro di Bellegra (RM) e il sentiero di p. Sales,

Stanislao Fioramonti p. 32- NATALE 2014, Vincenza Calenne p. 33- La speranza che educa,

Antonio Venditti p. 34- La lezione del corridoio,

Gilberto Borghi p. 35- La conoscenza del patrimonio naturale per una sua corretta gestione e salvaguardia / 2:Le invasioni biologiche,

Giovanna Abbate p. 36- Presentazione libri:

“Introduzione al Pentateuco” di L. Lepore“La Misericordia e...” di C. Capretti,

a cura di don Antonio Galati p. 38- Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto / 1,

don Marco Nemesi p. 39

p. 39

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33GennaioGennaio20152015

� Vincenzo Apicella,vescovo

“Nessun individuo potrà esse-re tenuto in stato di schiavitùo di servitù. La schiavitù e latratta degli schiavi saranno proi-bite sotto qualsiasi forma”:così dice l’articolo 4 dellaDichiarazione Universale dei DirittiUmani, promulgata dall’ONU il10 dicembre del 1948.Il tempo al futuro era d’obbli-go e suona alquanto triste se,a distanza di 56 anni, PapaFrancesco ha avvertito lanecessità di intitolare il suoMessaggio per la Giornata del-la Pace del 1° gennaio 2015:“Non più schiavi, ma fratelli”.“Malgrado la comunità inter-nazionale abbia adottato nume-rosi accordi al fine di porre untermine alla schiavitù in tuttele sue forme e avviato diver-se strategie per combattere que-sto fenomeno, ancora oggi milio-ni di persone - bambini, uomi-ni e donne di ogni età - ven-gono private della libertà e costret-te a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù” (n.3). Il Papaenumera i tanti lavoratori e lavoratrici del settore industriale, agricolo ominerario di molti Paesi, i migranti, quelli spinti alla clandestinità e “quel-li che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in con-dizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentonouna dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore dilavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contrattodi lavoro…” , le persone costrette a prostituirsi, i minori e gli adulti fattioggetto di traffico per l’espianto di organi, per essere utilizzati come sol-dati, per l’accattonaggio, per tante attività illegali, per forme mascheratedi adozione internazionale, infine alle vittime dei gruppi terroristici, comeavvenuto di recente in Nigeria e in Siria.Non si può pensare che questi problemi non ci riguardino e che appar-tengano soltanto a lontane regioni sconosciute; nell’elenco ci sono feno-meni che avvengono quotidianamente sotto i nostri occhi, anche se disolito preferiamo ignorarli se non, in qualche caso, addirittura giustificarli.La causa radicale di tutto questo, afferma Papa Francesco, è la costan-te tentazione di considerare l’altro come un oggetto, uno dei tanti mezzida usare per il proprio vantaggio o la soddisfazione dei propri bisogni,una “cosa” da utilizzare e su cui esercitare un assurdo diritto di proprie-tà, un altro prodotto “usa e getta”.Tante altre condizioni favoriscono la schiavitù o concorrono a spiegarla:la povertà, l’esclusione, il mancato accesso all’educazione, la mancan-za di opportunità di lavoro, la corruzione, che pone al centro il dio dena-ro, poi i conflitti armati, le violenze, la criminalità, il terrorismo. Come rea-gire di fronte a tutto questo? Il primo impulso è quello di scaricare la que-stione, delegandola agli “organi competenti”: gli Stati, le istituzioni legis-lative e quelle di controllo internazionale. Ma il Messaggio ci ricorda chetutti siamo chiamati in causa: le imprese e qualunque datore di lavoro,ma anche i consumatori, cioè ognuno di noi, in quanto “ciascuna perso-na dovrebbe avere la consapevolezza che acquistare è sempre un atto

morale, oltre che eco-nomico”, come già ave-va scritto Papa Benedettonella enciclica Caritas inVeritate.Soprattutto sono coinvoltele organizzazioni dellasocietà civile: la scuola,le associazioni di qua-lunque tipo, i sindacatie, in ultima analisi, la fami-glia stessa; tutti costo-ro “hanno il compito disensibilizzare e stimolarele coscienze sui passinecessari a contrastaree sradicare la cultura del-l’asservimento” (n.5).E’ necessario ricordare,infatti, che per molti mil-lenni la schiavitù è sta-ta considerata come unfatto normale e sconta-to, che non poneva nes-sun problema, fino a quan-do l’annuncio cristiano noncominciò ad entrare in pro-

fondità nella coscienza degli uomini e fu proprio in ragione di questo len-to processo, durato anch’esso dei secoli e non ancora completamentecompiuto, che la schiavitù è apparsa assurda e inaccettabile.Il Messaggio inizia precisamente da quella pagina della Scrittura che cono-sciamo come Lettera di san Paolo a Filemone, in cui l’Apostolo scrive alpadrone dello schiavo Onesimo una raccomandazione affinché questi pos-sa essere riaccolto, dopo la sua ribellione e la sua fuga: “E’ stato sepa-rato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più peròcome schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo” (Flm15-16). Tra cristiani, infatti, “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavoné libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in CristoGesù” (Gal.3,28) e poiché per ogni uomo Cristo ha versato il suo Sangue,tutti ai suoi occhi abbiamo uguale dignità e valore. E, visto che siamo nel decennio dedicato al tema dell’educazione, unodei principali obiettivi dei nostri itinerari educativi dovrebbe essere pro-prio quello di “mostrare a tutti il cammino verso la conversione, che indu-ca a cambiare lo sguardo verso il prossimo, a riconoscere nell’altro, chiun-que sia, un fratello e una sorella in umanità, a riconoscerne la dignità intrin-seca nella verità e nella libertà” (n.6).E’ un compito che riguarda tutti, ciascuno nel ruolo e nelle responsabili-tà particolari, da svolgere quotidianamente, magari solo offrendo una paro-la o un sorriso a chi vive nell’esclusione o quando “dobbiamo sceglierese acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati rea-lizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone” (n.6).“La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorel-le e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazio-ne della solidarietà e della fraternità”: sono le parole conclusive di PapaFrancesco, che ci chiede di non voltare lo sguardo di fronte a queste dram-matiche realtà, ma di “avere il coraggio di toccare la carne sofferente diCristo, che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro cheEgli stesso chiama ‘questi miei fratelli più piccoli’ (Mt.25,40.45)”.

Opera pittorica di Mircea Suciu.

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44 GennaioGennaio20152015

a cura di StanislaoFioramonti

“Non più schiavi, ma fratelli”1. All’inizio di un nuovoanno, che accogliamocome una grazia e un donodi Dio all’umanità, desi-dero rivolgere, ad ogniuomo e donna, cosìcome ad ogni popolo enazione del mondo, ai capidi Stato e di Governo eai responsabili delle diver-se religioni, i miei fervi-di auguri di pace, cheaccompagno con la miapreghiera affinché cessinole guerre, i conflitti e letante sofferenze provocatesia dalla mano dell’uomosia da vecchie e nuoveepidemie e dagli effettidevastanti delle calami-tà naturali. rego in modoparticolare perché, rispondendo alla nostra comu-ne vocazione di collaborare con Dio e con tut-ti gli uomini di buona volontà per la promozio-ne della concordia e della pace nel mondo, sap-piamo resistere alla tentazione di comportarciin modo non degno della nostra umanità.Nel messaggio per il 1° gennaio scorso, ave-vo osservato che al «desiderio di una vita pie-na … appartiene un anelito insopprimibile allafraternità, che sospinge verso la comunione congli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti,ma fratelli da accogliere ed abbracciare».1 Essendol’uomo un essere relazionale, destinato a rea-lizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali ispi-rati a giustizia e carità, è fondamentale per il suosviluppo che siano riconosciute e rispettate lasua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, lasempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomoda parte dell’uomo ferisce gravemente la vitadi comunione e la vocazione a tessere relazio-ni interpersonali improntate a rispetto, giustiziae carità. Tale abominevole fenomeno, che con-duce a calpestare i diritti fondamentali dell’al-tro e ad annientarne la libertà e dignità, assu-me molteplici forme sulle quali desidero brevementeriflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio,possiamo considerare tutti gli uomini “non piùschiavi, ma fratelli”.In ascolto del progetto di Dio sull’umanità2. Il tema che ho scelto per il presente messaggiorichiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nel-la quale l’Apostolo chiede al suo collaboratoredi accogliere Onesimo, già schiavo dello stes-so Filemone e ora diventato cristiano e, quin-di, secondo Paolo, meritevole di essere consi-derato un fratello. Così scrive l’Apostolo dellegenti: «E’ stato separato da te per un momen-to: perché tu lo riavessi per sempre; non più peròcome schiavo, ma molto più che schiavo, comefratello carissimo» (Fm 15-16). Onesimo è diven-tato fratello di Filemone diventando cristiano. Così

la conversione a Cristo, l’inizio di una vita di disce-polato in Cristo, costituisce una nuova nascita(cfr 2 Cor 5,17; 1 Pt 1,3) che rigenera la fraternitàquale vincolo fondante della vita familiare e basa-mento della vita sociale.Nel Libro della Genesi (cfr 1,27-28) leggiamoche Dio creò l’uomo maschio e femmina e li bene-disse, affinché crescessero e si moltiplicasse-ro: Egli fece di Adamo ed Eva dei genitori, i qua-li, realizzando la benedizione di Dio di esserefecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fra-ternità, quella di Caino e Abele. Caino e Abelesono fratelli, perché provengono dallo stesso grem-bo, e perciò hanno la stessa origine, natura edignità dei loro genitori creati ad immagine e somi-glianza di Dio. Ma la fraternità esprime anchela molteplicità e la differenza che esiste tra i fra-telli, pur legati per nascita e aventi la stessa natu-ra e la stessa dignità. In quanto fratelli e sorel-le, quindi, tutte le persone sono per natura inrelazione con le altre, dalle quali si differenzia-no ma con cui condividono la stessa origine, natu-ra e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternitàcostituisce la rete di relazioni fondamentali perla costruzione della famiglia umana creata daDio. Purtroppo, tra la prima creazione narratanel Libro della Genesi e la nuova nascita in Cristo,che rende i credenti fratelli e sorelle del «pri-mogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), vi è la real-tà negativa del peccato, che più volte interrompela fraternità creaturale e continuamente defor-ma la bellezza e la nobiltà dell’essere fratelli esorelle della stessa famiglia umana. Non soltantoCaino non sopporta suo fratello Abele, ma lo ucci-de per invidia commettendo il primo fratricidio.«L’uccisione di Abele da parte di Caino attestatragicamente il rigetto radicale della vocazionead essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomi-ni sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cural’uno dell’altro».2

Anche nella storia dellafamiglia di Noè e dei suoifigli (cfr Gen 9,18-27), èl’empietà di Cam nei con-fronti del padre Noè chespinge quest’ultimo amaledire il figlio irriverentee a benedire gli altri, quel-li che lo avevano onorato,dando luogo così a unadisuguaglianza tra fratellinati dallo stesso grem-bo. Nel racconto delle ori-gini della famiglia uma-na, il peccato di allonta-namento da Dio, dalla figu-ra del padre e dal fratellodiventa un’espressionedel rifiuto della comunionee si traduce nella cultu-ra dell’asservimento (cfrGen 9,25-27), con le con-seguenze che ciò impli-ca e che si protraggonodi generazione in gene-razione: rifiuto dell’al-

tro, maltrattamento delle persone, violazione del-la dignità e dei diritti fondamentali, istituziona-lizzazione di diseguaglianze. Di qui, la neces-sità di una conversione continua all’Alleanza, com-piuta dall’oblazione di Cristo sulla croce, fidu-ciosi che «dove abbondò il peccato, sovrabbondòla grazia … per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 5,20.21). Egli, il Figlio amato (cfr Mt 3,17), è venuto perrivelare l’amore del Padre per l’umanità.Chiunque ascolta il Vangelo e risponde all’ap-pello alla conversione diventa per Gesù «fratello,sorella e madre» (Mt 12,50), e pertanto figlio adot-tivo di suo Padre (cfr Ef 1,5). Non si diventa peròcristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, peruna disposizione divina autoritativa, senza l’e-sercizio della libertà personale, cioè senza con-vertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Diosegue l’imperativo della conversione: «Convertitevie ciascuno di voi si faccia battezzare nel nomedi Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati,e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38).Tutti quelli che hanno risposto con la fede e lavita a questa predicazione di Pietro sono entra-ti nella fraternità della prima comunità cristiana(cfr 1 Pt 2,17; At 1,15.16; 6,3; 15,23): ebrei edellenisti, schiavi e uomini liberi (cfr 1 Cor 12,13;Gal 3,28), la cui diversità di origine e stato socia-le non sminuisce la dignità di ciascuno né esclu-de alcuno dall’appartenenza al popolo di Dio.La comunità cristiana è quindi il luogo della comu-nione vissuta nell’amore tra i fratelli (cfr Rm 12,10;1 Ts 4,9; Eb 13,1; 1 Pt 1,22; 2 Pt 1,7).Tutto ciò dimostra come la Buona Novella di GesùCristo, mediante il quale Dio fa «nuove tutte lecose» (Ap 21,5)3, sia anche capace di redime-re le relazioni tra gli uomini, compresa quellatra uno schiavo e il suo padrone, mettendo inluce ciò che entrambi hanno in comune: la filia-zione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo.Gesù stesso disse ai suoi discepoli: «Non vi chia-mo più servi, perché il servo non sa quello che

continua nella pag. accanto

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fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, per-ché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fat-to conoscere a voi» (Gv 15,15).I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi3. Fin da tempi immemorabili, le diverse socie-tà umane conoscono il fenomeno dell’asservi-mento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono sta-te epoche nella storia dell’umanità in cui l’isti-tuto della schiavitù era generalmente accetta-to e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasce-va libero e chi, invece, nasceva schiavo, non-ché in quali condizioni la persona, nata libera,poteva perdere la propria libertà, o riacquistar-la. In altri termini, il diritto stesso ammetteva chealcune persone potevano o dovevano essereconsiderate proprietà di un’altra persona, la qua-le poteva liberamente disporre di esse; lo schia-vo poteva essere venduto e comprato, cedutoe acquistato come se fosse una merce.Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva dellacoscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesaumanità4, è stata formalmente abolita nel mon-do. Il diritto di ogni persona a non essere tenu-ta in stato di schiavitù o servitù è stato ricono-sciuto nel diritto internazionale comenorma inderogabile. Eppure, mal-grado la comunità internazionaleabbia adottato numerosi accordial fine di porre un termine alla schia-vitù in tutte le sue forme e avvia-to diverse strategie per combat-tere questo fenomeno, ancora oggimilioni di persone - bambini,uomini e donne di ogni età - ven-gono private della libertà e costret-te a vivere in condizioni assimi-labili a quelle della schiavitù.Penso a tanti lavoratori e lavora-trici, anche minori, asserviti nei diver-si settori, a livello formale e infor-male, dal lavoro domestico a quel-lo agricolo, da quello nell’industriamanifatturiera a quello minerario,tanto nei Paesi in cui la legisla-zione del lavoro non è conforme alle norme eagli standard minimi internazionali, quanto, siapure illegalmente, in quelli la cui legislazione tute-la il lavoratore. Penso anche alle condizioni divita di molti migranti che, nel loro drammaticotragitto, soffrono la fame, vengono privati del-la libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisi-camente e sessualmente. Penso a quelli tra diloro che, giunti a destinazione dopo un viaggiodurissimo e dominato dalla paura e dall’insicu-rezza, sono detenuti in condizioni a volte dis-umane. Penso a quelli tra loro che le diversecircostanze sociali, politiche ed economiche spin-gono alla clandestinità, e a quelli che, per rima-nere nella legalità, accettano di vivere e lavo-rare in condizioni indegne, specie quando le legis-lazioni nazionali creano o consentono una dipen-denza strutturale del lavoratore migrante rispet-to al datore di lavoro, ad esempio condizionandola legalità del soggiorno al contratto di lavoro…Sì, penso al “lavoro schiavo”. Penso alle per-sone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono mol-ti minori, ed alle schiave e agli schiavi sessua-

li; alle donne forzate a sposarsi, a quelle ven-dute in vista del matrimonio o a quelle trasmessein successione ad un familiare alla morte del mari-to senza che abbiano il diritto di dare o non dareil proprio consenso.Non posso non pensare a quanti, minori e adul-ti, sono fatti oggetto di traffico e di mercimonioper l’espianto di organi, per essere arruolati comesoldati, per l’accattonaggio, per attività illegalicome la produzione o vendita di stupefacenti,o per forme mascherate di adozione internazionale.Penso infine a tutti coloro che vengono rapiti etenuti in cattività da gruppi terroristici, asservi-ti ai loro scopi come combattenti o, soprattuttoper quanto riguarda le ragazze e le donne, comeschiave sessuali. Tanti di loro spariscono,alcuni vengono venduti più volte, seviziati, muti-lati, o uccisi.Alcune cause profonde della schiavitù4. Oggi come ieri, alla radice della schiavitù sitrova una concezione della persona umana cheammette la possibilità di trattarla come un ogget-to. Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomoe lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simi-

li, questi ultimi non sono più percepiti come esse-ri di pari dignità, come fratelli e sorelle in uma-nità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata ad immagine e somi-glianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costri-zione fisica o psicologica viene privata della liber-tà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno;viene trattata come un mezzo e non come unfine. Accanto a questa causa ontologica - rifiu-to dell’umanità nell’altro -, altre cause concor-rono a spiegare le forme contemporanee di schia-vitù. Tra queste, penso anzitutto alla povertà,al sottosviluppo e all’esclusione, specialmentequando essi si combinano con il mancato acces-so all’educazione o con una realtà caratterizzatada scarse, se non inesistenti, opportunità di lavo-ro. Non di rado, le vittime di traffico e di asser-vimento sono persone che hanno cercato un modoper uscire da una condizione di povertà estre-ma, spesso credendo a false promesse di lavo-ro, e che invece sono cadute nelle mani dellereti criminali che gestiscono il traffico di esseriumani. Queste reti utilizzano abilmente le

moderne tecnologie informatiche per adesca-re giovani e giovanissimi in ogni parte del mon-do. Anche la corruzione di coloro che sono dis-posti a tutto per arricchirsi va annoverata tra lecause della schiavitù. Infatti, l’asservimento edil traffico delle persone umane richiedono unacomplicità che spesso passa attraverso la cor-ruzione degli intermediari, di alcuni membri del-le forze dell’ordine o di altri attori statali o di isti-tuzioni diverse, civili e militari.“Questo succede quando al centro di un siste-ma economico c’è il dio denaro e non l’uomo,la persona umana. Sì, al centro di ogni siste-ma sociale o economico deve esserci la persona,immagine di Dio, creata perché fosse il domi-natore dell’universo. Quando la persona vienespostata e arriva il dio denaro si produce que-sto sconvolgimento di valori”.5 Altre cause del-la schiavitù sono i conflitti armati, le violenze,la criminalità e il terrorismo. Numerose perso-ne vengono rapite per essere vendute, oppurearruolate come combattenti, oppure sfruttate ses-sualmente, mentre altre si trovano costrette aemigrare, lasciando tutto ciò che possiedono:

terra, casa, proprietà, e anche i fami-liari. Queste ultime sono spinte a cer-care un’alternativa a tali condizio-ni terribili anche a rischio della pro-pria dignità e sopravvivenza, rischian-do di entrare, in tal modo, in quelcircolo vizioso che le rende predadella miseria, della corruzione e del-le loro perniciose conseguenze.Un impegno comune per sconfiggere la schiavitù5. Spesso, osservando il fenome-no della tratta delle persone, del traf-fico illegale dei migranti e di altri vol-ti conosciuti e sconosciuti della schia-vitù, si ha l’impressione che essoabbia luogo nell’indifferenza gene-rale. Se questo è, purtroppo, in granparte vero, vorrei ricordare l’enor-me lavoro silenzioso che molte con-

gregazioni religiose, specialmente femminili, por-tano avanti da tanti anni in favore delle vittime. Tali istituti operano in contesti difficili, domina-ti talvolta dalla violenza, cercando di spezzarele catene invisibili che tengono legate le vittimeai loro trafficanti e sfruttatori; catene le cui magliesono fatte sia di sottili meccanismi psicologici,che rendono le vittime dipendenti dai loro aguz-zini, tramite il ricatto e la minaccia ad essi e ailoro cari, ma anche attraverso mezzi materiali,come la confisca dei documenti di identità e laviolenza fisica. L’azione delle congregazioni reli-giose si articola principalmente intorno a tre ope-re: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazionesotto il profilo psicologico e formativo e la lororeintegrazione nella società di destinazione odi origine. Questo immenso lavoro, che richiede coraggio,pazienza e perseveranza, merita apprezzamentoda parte di tutta la Chiesa e della società. Maesso da solo non può naturalmente bastare perporre un termine alla piaga dello sfruttamentodella persona umana. Occorre anche un tripli-

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66 GennaioGennaio20152015

ce impegno a livello istituzionale di prevenzio-ne, di protezione delle vittime e di azione giu-diziaria nei confronti dei responsabili. Inoltre, comele organizzazioni criminali utilizzano reti globa-li per raggiungere i loro scopi, così l’azione persconfiggere questo fenomeno richiede uno sfor-zo comune e altrettanto globale da parte dei diver-si attori che compongono la società.Gli Stati dovrebbero vigilare affinché le proprielegislazioni nazionali sulle migrazioni, sul lavo-ro, sulle adozioni, sulla delocalizzazione delleimprese e sulla commercializzazione di prodottirealizzati mediante lo sfruttamento del lavoro sia-no realmente rispettose della digni-tà della persona. Sono necessarieleggi giuste, incentrate sulla personaumana, che difendano i suoi dirit-ti fondamentali e li ripristinino se vio-lati, riabilitando chi è vittima e assi-curandone l’incolumità, nonchémeccanismi efficaci di controllo del-la corretta applicazione di tali nor-me, che non lascino spazio alla cor-ruzione e all’impunità. E’ necessarioanche che venga riconosciuto il ruo-lo della donna nella società, ope-rando anche sul piano culturale edella comunicazione per ottenerei risultati sperati.Le organizzazioni intergovernative,conformemente al principio di sus-sidiarietà, sono chiamate ad attua-re iniziative coordinate per combatterele reti transnazionali del crimine organizzato chegestiscono la tratta delle persone umane ed iltraffico illegale dei migranti. Si rende necessa-ria una cooperazione a diversi livelli, che inclu-da cioè le istituzioni nazionali ed internaziona-li, così come le organizzazioni della società civi-le ed il mondo imprenditoriale. Le imprese6, infat-ti, hanno il dovere di garantire ai loro impiega-ti condizioni di lavoro dignitose e stipendi ade-guati, ma anche di vigilare affinché forme di asser-vimento o traffico di persone umane nonabbiano luogo nelle catene di distribuzione. Allaresponsabilità sociale dell’impresa si accompagnapoi la responsabilità sociale del consumatore.Infatti, ciascuna persona dovrebbe avere la con-sapevolezza che «acquistare è sempre un attomorale, oltre che economico».7

Le organizzazioni della società civile, dal can-to loro, hanno il compito di sensibilizzare e sti-molare le coscienze sui passi necessari a con-trastare e sradicare la cultura dell’asservimen-to. Negli ultimi anni, la Santa Sede, accoglien-do il grido di dolore delle vittime della tratta ela voce delle congregazioni religiose che le accom-pagnano verso la liberazione, ha moltiplicato gliappelli alla comunità internazionale affinché i diver-si attori uniscano gli sforzi e cooperino per por-re termine a questa piaga.8 Inoltre, sono statiorganizzati alcuni incontri allo scopo di dare visi-bilità al fenomeno della tratta delle persone edi agevolare la collaborazione tra diversi atto-ri, tra cui esperti del mondo accademico e del-le organizzazioni internazionali, forze dell’ordi-

ne di diversi Paesi di provenienza, di transito edi destinazione dei migranti, e rappresentanti deigruppi ecclesiali impegnati in favore delle vitti-me. Mi auguro che questo impegno continui esi rafforzi nei prossimi anni.Globalizzare la fraternità, non la schiavitù né l’indifferenza6. Nella sua opera di «annuncio della verità del-l’amore di Cristo nella società»9, la Chiesa si impe-gna costantemente nelle azioni di carattere cari-tativo a partire dalla verità sull’uomo. Essa hail compito di mostrare a tutti il cammino versola conversione, che induca a cambiare lo sguar-do verso il prossimo, a riconoscere nell’altro, chiun-

que sia, un fratello e una sorella in umanità, ariconoscerne la dignità intrinseca nella verità enella libertà, come ci illustra la storia diGiuseppina Bakhita, la santa originaria della regio-ne del Darfur in Sudan, rapita da trafficanti dischiavi e venduta a padroni feroci fin dall’età dinove anni, e diventata poi, attraverso dolorosevicende, “libera figlia di Dio” mediante la fedevissuta nella consacrazione religiosa e nel ser-vizio agli altri, specialmente i piccoli e i deboli.Questa Santa, vissuta fra il XIX e il XX secolo,è anche oggi testimone esemplare di speran-za10 per le numerose vittime della schiavitù e puòsostenere gli sforzi di tutti coloro che si dedi-cano alla lotta contro questa «piaga nel corpodell’umanità contemporanea, una piaga nella car-ne di Cristo».11

In questa prospettiva, desidero invitare ciascu-no, nel proprio ruolo e nelle proprie responsa-bilità particolari, a operare gesti di fraternità neiconfronti di coloro che sono tenuti in stato di asser-vimento. Chiediamoci come noi, in quanto comu-nità o in quanto singoli, ci sentiamo interpella-ti quando, nella quotidianità, incontriamo o abbia-mo a che fare con persone che potrebbero esse-re vittime del traffico di esseri umani, o quan-do dobbiamo scegliere se acquistare prodotti chepotrebbero ragionevolmente essere stati realizzatiattraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distrattidalle preoccupazioni quotidiane, o per ragionieconomiche, chiudono un occhio. Altri, invece,scelgono di fare qualcosa di positivo, di impe-

gnarsi nelle associazioni della società civile odi compiere piccoli gesti quotidiani - questi gestihanno tanto valore!- come rivolgere una paro-la, un saluto, un “buongiorno” o un sorriso, chenon ci costano niente ma che possono dare spe-ranza, aprire strade, cambiare la vita ad una per-sona che vive nell’invisibilità, e anche cambia-re la nostra vita nel confronto con questa real-tà. Dobbiamo riconoscere che siamo di frontead un fenomeno mondiale che supera le com-petenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una mobilitazione didimensioni comparabili a quelle del fenomenostesso. Per questo motivo lancio un pressante

appello a tutti gli uomini e le donnedi buona volontà, e a tutti coloro che,da vicino o da lontano, anche ai piùalti livelli delle istituzioni, sono testi-moni della piaga della schiavitù con-temporanea, di non rendersi compli-ci di questo male, di non voltare lo sguar-do di fronte alle sofferenze dei lorofratelli e sorelle in umanità, privati del-la libertà e della dignità, ma di ave-re il coraggio di toccare la carne sof-ferente di Cristo12, che si rende visi-bile attraverso i volti innumerevoli dicoloro che Egli stesso chiama «que-sti miei fratelli più piccoli» (Mt25,40.45). Sappiamo che Dio chiederàa ciascuno di noi: “Che cosa hai fat-to del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10).La globalizzazione dell’indifferenza,che oggi pesa sulle vite di tante sorel-

le e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci arte-fici di una globalizzazione della solidarietà e del-la fraternità, che possa ridare loro la speranzae far loro riprendere con coraggio il camminoattraverso i problemi del nostro tempo e le pro-spettive nuove che esso porta con sé e che Diopone nelle nostre mani.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2014FRANCISCUS

1 N. 1.2 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2014, 2.3 Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 11.4 Cfr Discorso alla Delegazione internazionale dell’Associazionedi Diritto Penale, 23 ottobre 2014: L’Osservatore Romano, 24 otto-bre 2014, p. 4.5 Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei Movimenti popo-lari, 28 ottobre 2014: L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2014, p. 7.6 Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, La vocazio-ne del leader d’impresa. Una riflessione, Milano e Roma, 2013.7 Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 66.8 Cfr Messaggio al Sig. Guy Ryder, Direttore Generaledell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in occasione della103ª sessione della Conferenza dell’O.I.L., 22 maggio 2014: L’OsservatoreRomano, 29 maggio 2014, p. 7.9 Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 5.10 «Mediante la conoscenza di questa speranza lei era “redenta”,non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio. Capiva ciò chePaolo intendeva quando ricordava agli Efesini che prima erano sen-za speranza e senza Dio nel mondo – senza speranza perché sen-za Dio» (Benedetto XVI, Lett.enc. Spe salvi, 3). 11 Discorso ai partecipanti alla II Conferenza Internazionale CombatingHuman Trafficking: Church and Law Enforcement in partnership,10 aprile 2014: L’Osservatore Romano, 11 aprile 2014, p. 7; cfr Esort.ap. Evangelii gaudium, 270.12 Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24; 270.

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77GennaioGennaio20152015

sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

Strasburgo, 25 novembre 2014La mia visita avviene dopo oltre unquarto di secolo da quella compiu-ta da Papa Giovanni Paolo II. Moltoè cambiato da quei giorni in Europae in tutto il mondo. Non esistono piùi blocchi contrapposti che allora divi-devano il continente in due e si stalentamente compiendo il desiderioche «l’Europa, dandosi sovranamentelibere istituzioni, possa un giorno esten-dersi alle dimensioni che le sono sta-te date dalla geografia e più anco-ra dalla storia». Accanto a un’Unione Europea piùampia, vi è anche un mondo più com-plesso e fortemente in movimento,sempre più interconnesso e globa-le e perciò sempre meno “eurocentrico”.A un’Unione più estesa, più influen-te, sembra però affiancarsi l’immagine di un’Europaun po’ invecchiata e compressa, che tende a sen-tirsi meno protagonista in un contesto che la guar-da spesso con distacco, diffidenza e talvolta consospetto. Nel rivolgermi a voi quest’oggi, a partiredalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzarea tutti i cittadini europei un messaggio di speran-za e di incoraggiamento. Un messaggio di speranza basato sulla fiducia chele difficoltà possano diventare promotrici potenti diunità, per vincere tutte le paure che l’Europa - insie-me a tutto il mondo - sta attraversando. Speranzanel Signore che trasforma il male in bene e la mor-te in vita. Incoraggiamento di tornare alla ferma con-vinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea,i quali desideravano un futuro basato sulla capa-cità di lavorare insieme per superare le divisioni eper favorire la pace e la comunione fra tutti i popo-li del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico viera la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto citta-dino, né in quanto soggetto economico, ma in quan-to persona dotata di una dignità trascendente. La“dignità” è una parola-chiave che ha caratterizza-to la ripresa del secondo dopo guerra. Oggi la pro-mozione dei diritti umani occupa un ruolo centra-le nell’impegno dell’Unione Europea a favorire ladignità della persona. Si tratta di un impegno impor-tante e ammirevole, poiché persistono fin troppesituazioni in cui gli esseri umani sono trattati comeoggetti, dei quali si può programmare la concezione,la configurazione e l’utilità, e che poi possono esse-re buttati via quando non servono più, perché diven-tati deboli, malati o vecchi. Promuovere la dignità della persona significa rico-noscere che essa possiede diritti inalienabili di cuinon può essere privata ad arbitrio di alcuno e tan-to meno a beneficio di interessi economici. Occorreperò attenzione per non cadere in alcuni equivociche possono nascere da un fraintendimento del con-cetto di diritti umani e da un loro paradossale abu-so. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendi-cazione sempre più ampia di diritti individuali - sonotentato di dire individualistici -, che cela una con-cezione di persona umana staccata da ogni con-testo sociale e antropologico, quasi come una “mona-de”, sempre più insensibile alle altre “monadi” intor-

no a sé. Al concetto di diritto non sembra più asso-ciato quello altrettanto essenziale e complemen-tare di dovere, così che si finisce per affermare idiritti del singolo senza tenere conto che ogni esse-re umano è legato a un contesto sociale, in cui isuoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altrie al bene comune della società stessa. Parlare del-la dignità trascendente dell’uomo significa dunquefare appello alla sua natura, alla sua innata capa-cità di distinguere il bene dal male, a quella “bus-sola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impres-so nell’universo creato; soprattutto significa guar-dare all’uomo non come a un assoluto, ma comea un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europaè la solitudine, propria di chi è privo di legami. Lasi vede particolarmente negli anziani, spesso abban-donati al loro destino, come pure nei giovani prividi punti di riferimento e di opportunità per il futu-ro; nei numerosi poveri che popolano le nostre cit-tà; negli occhi smarriti dei migranti che sono venu-ti qui in cerca di un futuro migliore. Tale solitudineè stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effet-ti perdurano ancora con conseguenze drammati-che dal punto di vista sociale.Nel corso degli ultimi anni, accanto al processo diallargamento dell’Unione Europea, è andata cre-scendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confrontidi istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabili-re regole percepite come lontane dalla sensibilitàdei singoli popoli, se non addirittura dannose. Dapiù parti si ricava un’impressione generale di stan-chezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna enon più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali chehanno ispirato l’Europa sembrano aver perso for-za attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici del-le sue istituzioni. A ciò si associano alcuni stili divita un po’ egoisti, caratterizzati da un’opulenza ormaiinsostenibile e spesso indifferente nei confronti delmondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle que-stioni tecniche ed economiche al centro del dibat-tito politico, a scapito di un autentico orientamen-to antropologico. L’essere umano rischia di esse-re ridotto a semplice ingranaggio di un meccani-smo che lo tratta alla stregua di un bene di con-sumo da utilizzare, così che quando la vita non è

funzionale a tale mec-canismo viene scartatasenza troppe remore,come nel caso dei mala-ti, dei malati terminali, deglianziani abbandonati e sen-za cura, o dei bambini ucci-si prima di nascere. È il grande equivoco cheavviene «quando prevalel’assolutizzazione dellatecnica», che finisceper realizzare «una con-fusione fra fini e mezzi».Risultato inevitabile del-la “cultura dello scarto”e del “consumismo esa-sperato”. Al contrario, affermare ladignità della personasignifica riconoscere lapreziosità della vita uma-na, che ci è donata

gratuitamente e non può perciò essere oggetto discambio o di smercio. Come dunque ridare spe-ranza al futuro, così che, a partire dalle giovani gene-razioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il gran-de ideale di un’Europa unita e in pace, creativa eintraprendente, rispettosa dei diritti e consapevo-le dei propri doveri?Uno dei più celebri affreschi di Raffaello inVaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Alsuo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo conil dito che punta verso l’alto, verso il mondo delleidee, potremmo dire verso il cielo; il secondo ten-de la mano in avanti, verso chi guarda, verso laterra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine cheben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del con-tinuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indical’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sem-pre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rap-presenta la sua capacità pratica e concreta di affron-tare le situazioni e i problemi. Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nes-so vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europanon più capace di aprirsi alla dimensione trascen-dente della vita rischia di perdere la propria ani-ma e quello “spirito umanistico” che pure ama edifende. Proprio a partire dalla necessità di un’a-pertura al trascendente, intendo affermare la cen-tralità della persona umana, altrimenti in balia del-le mode e dei poteri del momento. In questo sen-so ritengo fondamentale non solo il patrimonio cheil cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazionesocioculturale del continente, bensì soprattutto ilcontributo che intende dare oggi e nel futuro allasua crescita. Tale contributo non costituisce un peri-colo per la laicità degli Stati e per l’indipendenzadelle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimen-to. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata findal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la soli-darietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispet-to della dignità della persona.Sono convinto che un’Europa che sia in grado difare tesoro delle proprie radici religiose possa esse-re anche più facilmente immune dai tanti estremi-smi che dilagano nel mondo odierno, anche per ilgrande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddettoOccidente, perché «è proprio l’oblio di Dio, e nonla sua glorificazione, a generare la violenza». Il mot-

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88 GennaioGennaio20152015

to dell’Unione Europea è Unità nella diversità, mal’unità non significa uniformità politica, economica,culturale, o di pensiero. Ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, iquali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unionese esse sapranno sapientemente coniugare l’idealedell’unità cui si anela, alla diversità propria di cia-scuno. Mettere al centro la persona umana signi-fica anzitutto lasciare che essa esprima liberamenteil proprio volto e la propria creatività, sia a livellodi singolo che di popolo. Mantenere viva la realtà delle democrazie è unasfida di questo momento storico, evitando che laloro forza reale - forza politica espressiva dei popo-li - sia rimossa davanti alla pressione di interessimultinazionali non universali, che le indebolisca-no e le trasformino in sistemi uniformanti di pote-re finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone. Daresperanza all’Europa non significa solo riconosce-re la centralità della persona umana, ma anche favo-rirne le doti, di investire su di essa e sugli ambitiin cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Ilprimo ambito è sicuramente quello dell’educazio-ne, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale edelemento prezioso di ogni società. Accanto alla fami-glia vi sono le istituzioni educative: scuole e uni-versità. L’educazione non può limitarsi a fornire uninsieme di conoscenze tecniche, bensì deve favo-rire il più complesso processo di crescita della per-sona umana nella sua totalità.Ciascuno ha una personale responsabilità nel custo-dire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nel-le mani degli uomini. Rispettare l’ambiente signi-fica però non solo evitare di deturparlo, ma ancheutilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settoreagricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimentoall’uomo. Non si può tollerare che milioni di per-sone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnel-late di derrate alimentari vengono scartate ogni gior-no dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la naturaci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamenta-le di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, ser-ve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispettodella persona. Il secondo ambito in cui fiorisconoi talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, masoprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garan-tendo anche adeguate condizioni per il suo svol-gimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modiper coniugare la flessibilità del mercato con le neces-sità di stabilità e certezza delle prospettive lavo-rative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavo-ratori; d’altra parte, significa favorire un adeguatocontesto sociale che non punti allo sfruttamento del-le persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, lapossibilità di costruire una famiglia e di educare ifigli. Parimenti è necessario affrontare insieme laquestione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diven-ti un grande cimitero! Sui barconi che giungono quo-tidianamente sulle coste europee ci sono uominie donne che necessitano di accoglienza e di aiu-to. L’assenza di un sostegno reciproco all’internodell’Unione Europea rischia di incentivare soluzioniparticolaristiche al problema, che non tengono con-to della dignità umana degli immigrati, favorendoil lavoro schiavo e continue tensioni sociali. È neces-sario agire sulle cause e non solo sugli effetti. La coscienza della propria identità è necessaria anche

per dialogare in modo propositivo con gli Stati chehanno chiesto di entrare a far parte dell’Unione infuturo, soprattutto a quelli dell’area balcanica; edè indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vici-ni, particolarmente con quelli che si affacciano sulMediterraneo, molti dei quali soffrono a causa diconflitti interni e per la pressione del fondamenta-lismo religioso e del terrorismo internazionale. Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cri-stiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima ènel corpo». Il compito dell’anima è quello di soste-nere il corpo, di esserne la coscienza e la memo-ria storica. E una storia bimillenaria lega l’Europae il cristianesimo. Una storia non priva di conflittie di errori, anche di peccati, ma sempre animatadal desiderio di costruire per il bene. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere.Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro.Essa è la nostra identità. Cari Eurodeputati, è giun-ta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota nonintorno all’economia, ma intorno alla sacralità del-la persona umana, dei valori inalienabili; l’Europache abbraccia con coraggio il suo passato e guar-da con fiducia il futuro per vivere pienamente e consperanza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europaimpaurita e piegata su sé stessa per suscitare epromuovere l’Europa protagonista, portatrice di scien-za, di arte, di musica, di valori umani e anche difede. L’Europa che contempla il cielo e perseguedegli ideali; l’Europa che guarda e difende e tute-la l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicu-ra e salda, prezioso punto di riferimento per tuttal’umanità!

CONFERENZA STAMPA DI PAPA FRANCESCONEL RITORNO DA STRASBURGO

Renaud Bernard, France Télévision: Sua Santità,buona sera. Sono lieto di fare questa domanda anome dei giornalisti francesi. Questa mattina, davan-ti al Parlamento Europeo, Lei ha tenuto un discorsocon parole pastorali ma con parole che si posso-no sentire come parole politiche, e che si posso-no accostare – secondo me – a un sentimento social-democratico. Posso prendere un esempio breve,quando Lei dice che si deve evitare che la forzareale espressiva dei popoli sia rimossa davanti aipoteri multinazionali. Possiamo dire che Lei potreb-be essere un Papa socialdemocratico?Caro, questo è un riduzionismo! Io lì mi sento inuna collezione di insetti: “Questo è un insetto social-democratico…”. No, io direi di no: non so se è unPapa socialdemocratico o no… Io non oso quali-ficarmi di una o di un’altra parte. Io oso dire chequesto viene dal Vangelo: questo è il messaggiodel Vangelo, assunto dalla Dottrina sociale della Chiesa.Io in questo, in concreto, e in altre cose – socialio politiche – che ho detto, non mi sono staccatodalla Dottrina sociale della Chiesa. La Dottrina socia-le della Chiesa viene dal Vangelo e dalla tradizio-ne cristiana. Questo che ho detto – l’identità deipopoli – è un valore evangelico, no? In questo sen-so lo dico. Ma mi hai fatto ridere, grazie!Jean-Marie Guénois, Le Figaro: Santità, quasi nes-suno questa mattina nelle strade di Strasburgo. Lagente si diceva delusa. Lei si pente di non essereandato alla cattedrale di Strasburgo, che festeg-giava quest’anno il millenario? E quando farà il Suoprimo viaggio in Francia, e dove? Forse a Lisieux?

No, non è programmato ancora, ma si deve anda-re a Parigi certamente, no? Poi, c’è una propostadi andare a Lourdes… Io ho chiesto una città dovenon sia andato mai alcun Papa, per salutare queicittadini. Ma il piano non è stato fatto. No, per Strasburgo,si è pensata la cosa, ma andare alla cattedrale sareb-be stato già fare una visita in Francia, e questo èstato il problema. Giacomo Galeazzi, La Stampa: Santità, buona sera.Mi aveva colpito nel discorso al Consiglio d’Europail concetto di trasversalità, che Lei ha richiamato,e in particolare ha fatto riferimento agli incontri cheLei ha avuto con giovani politici dei diversi Paesi,e ha appunto parlato anche della necessità di unasorta di patto tra le generazioni, di un accordo inter-generazionale a margine di questa trasversalità. Poi,se mi consente, una curiosità personale: è vero cheLei è devoto di San Giuseppe?Sì! Sempre, quando ho chiesto una cosa a san Giuseppe,me l’ha data. Il fatto della “trasversalità” è impor-tante. Io ho visto nei dialoghi con i giovani politici,in Vaticano, soprattutto di diversi partiti e nazioni,che loro parlano con una musica diversa che è ten-dente alla trasversalità: è un valore! Loro non han-no paura di uscire dalla propria appartenenza, sen-za negarla, ma uscire per dialogare. E sono corag-giosi! Credo che questo dobbiamo imitarlo; e ancheil dialogo intergenerazionale. Questo uscire per tro-vare persone di altre appartenenze e dialogare: l’Europaha bisogno di questo, oggi.Alonso Martínez Javier Maria, giornalista spa-gnolo: Buona sera, Santità. Questa è una doman-da da parte dei giornalisti spagnoli, che sono inte-ressati. Nel suo secondo discorso, quello alConsiglio d’Europa, Lei ha parlato dei peccati deifigli della Chiesa. Vorrei sapere come ha ricevutole notizie su questa vicenda di Granada, che Leiin qualche modo ha portato alla luce… Io l’ho rice-vuta inviata a me, ho letto, ho chiamato la perso-na e ho detto: “Tu domani vai dal vescovo”; e hoscritto al vescovo di incominciare il lavoro, di farel’indagine e di andare avanti. Come l’ho ricevuta?Con grande dolore, con grandissimo dolore. Ma laverità è la verità, e non dobbiamo nasconderla.Andreas Englisch: Santità, ho l’onore di fare ladomanda per il gruppo dei giornalisti internazionali.Lei ha parlato spesso, nei discorsi adesso a Strasburgo,sia della minaccia terroristica sia della minaccia del-la schiavitù: questi sono atteggiamenti tipici anchedello Stato islamico, che minaccia gran parte delMediterraneo, minacciano pure Roma e anche Lei,nella Sua persona. Lei crede che anche con que-sti estremisti si possa avere un dialogo, o Lei cre-de che questo sia una cosa persa?Io mai do per persa una cosa, mai. Forse non sipuò avere un dialogo, ma mai chiudere una por-ta. E’ difficile, puoi dire ‘quasi impossibile’, ma laporta sempre aperta. Lei ha usato due volte la paro-la ‘minaccia’: è vero, il terrorismo è una realtà cheminaccia… Ma la schiavitù è una realtà inserita neltessuto sociale di oggi, ma da tempo! Il lavoro schia-vo, la tratta delle persone, il commercio dei bam-bini… è un dramma! Non chiudiamo gli occhi davan-ti a questo! La schiavitù, oggi, è una realtà, lo sfrut-tamento delle persone… E poi c’è la minaccia diquesti terroristi. Ma anche un’altra minaccia, ed èil terrorismo di Stato. Quando le cose salgono, sal-gono, salgono e ogni Stato per conto suo si sen-te di avere il diritto di massacrare i terroristi, e coni terroristi cadono tanti che sono innocenti. E que-

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99GennaioGennaio20152015

sta è un’anarchia di alto livello che è molto peri-colosa. Con il terrorismo si deve lottare, ma ripe-to quello che ho detto nel viaggio precedente: quan-do si deve fermare l’aggressore ingiusto, si devefare con il consenso internazionale.Caroline Pigozzi: Santità, buongiorno. Volevo sape-re se Lei quando viaggia a Strasburgo viaggia, nel

suo cuore, come Successore di Pietro, come Vescovodi Roma, o come arcivescovo di Buenos Aires…Caroline è molto acuta… Non so, davvero non so.Mah… viaggio, credo, con tutte e tre le cose, per-ché mai mi sono posto questa domanda. Lei mi obbli-ga a pensare un po’! No, ma davvero… La memo-ria è di arcivescovo di Buenos Aires, ma questo non

c’è più. Adesso sono Vescovo di Roma eSuccessore di Pietro, e credo che viaggio con quel-la memoria ma con questa realtà: viaggio con que-ste cose. Per me, l’Europa, in questo momento, mipreoccupa; è bene per aiutare che io vada avan-ti, e questo come Vescovo di Roma e Successoredi Pietro: lì sono romano.

Sara Gilotta

“La Chiesa senza le donne è comeil collegio apostolico senza Maria.Il ruolo della donna nella Chiesa nonè soltanto maternità , la mamma difamiglia, ma è più forte : è propriol’icona della Vergine, della Madonna,quella che aiuta a crescere laChiesa!”

QQueste parole furono pro-nunciate dal Papa duran-te il volo di ritorno dal Brasile,

dove si era recato in occasione del-la G. M.G. Ma solo qualche giornofa il Papa è tornato a parlare delledonne e del loro ruolo nella socie-tà ,riferendosi anche all’ambito dellavoro, oltre che a quello più con-sueto della famiglia. Dunque anche questo pontefice sen-te la necessità di riconoscere e, soprat-tutto, di far riconoscere che la don-na ha ancora bisogno di vedere valo-rizzato il suo ruolo affinché essofinalmente sia posto al centro del dibat-tito religioso, sociale e persino teo-logico . Tutti i mass- media, come era facil-mente comprensibile hanno dato ampiospazio alle affermazioni del ponte-fice, ma non so se ci sia stato un inter-vento che riconoscesse ad esse dav-vero l’importanza che meritavano perla loro capacità di cambiare real-mente qualcosa nella visione del mon-do sia maschile che femminile. Sì, perché, superata l’occasione, tut-ti tornano ad pensare e ad agire seguen-do i soliti modelli , i cliché abituali,mentre sarebbe necessario chel’insegnamento di Francesco pene-trasse nelle coscienze, le scuotesse profondamente e finalmente fosse capa-ce di trasformare i tanti aspetti della realtà che ancora risentono e, talora,in modo drammatico, di problemi e squilibri diversi e di diversa natura. E’però importante che siano per prime le donne ad accogliere e a elabora-re in uno spirito nuovo le parole del Papa. Perché è innegabile che le donne , forse loro malgrado, sono state fago-citate dal mondo maschile ora per desiderio di carriera, ora per necessi-tà di avere un lavoro , quale che sia, pur di poter sopravvivere. Così è muta-to radicalmente il loro modo di essere, le peculiarità del saper essere don-na sono state messe da parte e la figura femminile spesso è scomparsanella imitazione pedissequa di atteggiamenti maschili che non possono gio-vare né al mondo femminile, né a quello maschile, producendo , invece,confusioni dannose anche ad una reale parità tra i sessi. E, se negli anni in cui, per necessità, le donne che andarono a lavorarenelle fabbriche, furono in una certo senso costrette ad assumere atteggiamentimascolini, oggi , soprattutto per le ultime generazioni, uniformarsi al mon-do maschile è diventata una abitudine, per la quale il linguaggio è pari-

menti e troppo spesso volgare, cosìcome ubriacarsi e drogarsi è con-siderato lecito ed innocuo dai gio-vani sia maschi che femmine.Potrebbe sembrare che queste mieconsiderazioni siano assolutamenteestranee al mondo prospettatodal Papa, ma non è così, se nonaltro perché gli insegnamenti socia-li e religiosi del Pontefice , per rea-lizzarsi e cambiare davvero la socie-tà devono incontrarsi e scenderenelle coscienze di individui liberi nelcuore e nell’animo, consapevoli cciascuno del ruolo che desidera rico-prire nella società, prima, e poi nel-la Chiesa. Del resto già agli albo-ri del Cristianesimo si pose la que-stione del ruolo delle donne nellecomunità religiose, dove, purtrop-po, gli insegnamenti di Cristo stes-so furono ben presto accantonatio del tutto dimenticati. Ciononostante una vera rivoluzio-ne in senso egalitario si verificò nel-le prime comunità cristiane, dovealle donne fu riconosciuto innanzituttonella famiglia un ruolo rinnovato-re dovuto anche al fatto che le pri-me a convertirsi furono le donne aqualunque realtà sociale apparte-nessero. Pertanto si può affermare che fu ilCristianesimo a modificare pro-fondamente la struttura fortemen-te maschilista della società antica,anche se già nei primi anni dopoCristo i Suoi insegnamenti e soprat-tutto il Suo modo di comportarsi neiriguardi delle donne, mostrò delledifficoltà e delle contraddizionicertamente derivanti dal costumepagano ed ebraico, in cui la don-

na aveva ricoperto sempre ruoli secondari e, comunque, di sottomissio-ne all’uomo. Quel accadde nei secoli successivi fu certamente non favo-revole alle donne troppo spesso considerate solo causa di tentazione edi peccato. Fino ai nostri giorni, in cui il Papa stesso sente il dovere di guardare almondo femminile con occhi diversi e finalmente veramente cristiani. Conuna differenza rispetto al passato: ora alle donne che lo vogliano davve-ro è possibile uscire dall’impasse. Come? Il primo passo non può non con-sistere nel costruire per sé un ethos , cioè un ordinamento di valori atto afar riconoscere la propria identità personale e morale, che nulla tolga alprincipio del giusto dovuto a tutti, perché, senza tale criterio fondamenta-le, si finisce facilmente nello scetticismo ed in certe forme di fondamenta-lismo, di cui, purtroppo, le nostre società sembrano soffrire sempre di più.Favorite da una ignoranza e da una indifferenza ormai acuite da instabi-lità ed incertezza che ha investito ogni campo, erodendo fin nel profondoi principi morali tradizionali senza la capacità o, forse nemmeno il deside-rio di giungere a diversi principi del vivere civile.

segue da pag. 8

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1010 GennaioGennaio20152015

Marta Pietroni

QQuando il desiderio di maternità sitrasforma in accanimento e l’a-more verso il prezioso dono del-

la nuova vita cancella il rispetto stesso,si giunge alla giustificazione di pratichepossibili grazie agli sviluppi delle nuove biotec-nologie. Tali pratiche sono sì il segno di un’ac-cresciuta capacità tecnica dell’uomo, ma allo stes-so tempo sono la manifestazione della manca-ta capacità di molti di autocontrollo e di ricercadi senso. Affianco alla fecondazione assistita, alladiagnosi preimpianto, all’ uso di materiale biolo-gico diverso dal proprio per la procreazione, unapratica estremamente discussa e problematicaè quella della maternità surrogata. Lo stesso acco-stamento tra i due termini crea un istintivo fasti-dio e un’intima repulsione; l’idea della materni-tà suscita amore, dedizione, accettazione, sacri-ficio e tutto questo non nei confronti di un desi-derio, ma nei confronti di una vita alla quale vie-ne riconosciuto massima dignità. Quando la mater-nità diventa strumento mercificato per procura-re ad altri un figlio, vuol dire che il senso stessodi maternità è perduto. Maternità surrogata significa considerare comemero processo fisiologico, irrilevante, quel pro-cesso mediante il quale il corpo materno custo-disce e prepara la vita del figlio. Importanti rap-porti si stabiliscono durante i mesi di gestazio-ne e chi è madre sa bene quanto forte sia il lega-me che si crea con la vita che si porta in grem-bo. In diversi stati è oggi possibile commissionareun figlio: si può trasferire il proprio materiale gene-tico nel corpo di una donna che porterà avantila gravidanza per conto nostro. Il corpo della don-na diventa puro strumento, i corrispettivi in dena-ro variano significativamente da stato a stato ei danni conseguenti sono umanamente non pen-sabili. In India sono state create delle struttureapposite dove le “donne utero” soggiornano peri nove mesi, in una sorta di isolamento per e evi-tare contaminazioni, sotto controllo medico. In questi luoghi si dedicano alla “cura” del figliodi coppie provenienti nella maggior parte dei casidal ricco mondo occidentale. I danni morali e psi-cologici derivanti poi dal distacco con la vita por-tata in grembo sono immaginabili e lo sfondo dimiseria nel quale vive la maggior parte delle don-ne che si prestano a tale “servizio” rende anco-ra più miserabile tutta questa assurda realtà. Loscorso agosto la vicenda del piccolo Gammy hacommosso e fatto discutere: una coppia austra-liana paga 15.000 dollari affinché una ragazzatailandese di 21 anni diventi la madre surrogatadei loro figli. La giovane donna partorisce due gemel-li, uno dei quali affetto dalla sindrome di Down.La coppia australiana decide di portare via solola sorellina sana, lasciando il fratellino Gammycon la ragazza tailandese. Ora, di fronte ad un immediato giudizio negati-vo circa il comportamento della coppia austra-liana, bisogna ammettere che ad essere aber-rante non è il loro comportamento dopo la nasci-ta dei due gemelli, bensì la logica di mercifica-zione con la quale tutti i coinvolti hanno trattato

il corpo e la vita umana. I due bambini sono sta-ti trattati e valutati come se fossero merce ordi-nata, e questo in perfetta linea con la logica, oggimolto affermata, del diritto al figlio, del diritto allamaternità. Ma non si può avere diritto su una vitaumana, questo tipo di atteggiamento si può ave-re sulle cose ed inevitabilmente, in quest’ottica,il figlio diventa cosa, oggetto di desiderio e quin-di, oggetto che deve soddisfare una certa ideadi figlio perfetto, sano e bello. Se si accetta la pra-tica dell’utero in affitto, la procreazione e la vitastessa diventano oggetto di transazioni commerciali,diventano un mero prodotto e questo gravissimoerrore resta, anche se a causarlo è il bellissimodesiderio di avere un figlio o il nobilissimo inten-to di aiutare una coppia ad avere figli.

Il business della maternità surrogata.L’ Italia non riconosce la maternità surrogata, madreè chi partorisce. Negli Stati Uniti, alcuni paesi sonoinvece stati tra i primi a legalizzare tale pratica,così come in Canada, dove si trovano agenziespecializzate non solo nella pratica ma anche nel-la stesura dei contratti. India, Russia e Ucrainasi sono affacciate da poco a questa pratica. InEuropa Gran Bretagna, Spagna, Paesi Bassi, Romaniae Grecia ammettono le mamme in affitto. Le cifreche si pagano variano dai 15mila euro fino a 120mila.Un vero e proprio turismo della procreazione chevede il movimento di ingenti somme di denaro.Nel dossier intitolato “Surrogate Motherhood - Ethical

or Comercial?” del “Center for Social Research”in India redatto dalla dottoressa Ranjana Kumari,quello che si legge delinea il quadro di una real-tà umanamente inaccettabile. Il dossier fa riferimento al dramma dell’utero inaffitto che in India ha mosso fino ad oggi alme-no 2 miliardi di dollari, un business che nascon-de un’ orripilante realtà. Studiando 100 madri sur-rogate e 50 coppie committenti, l’inchiesta fa emer-gere dei particolari scioccanti, a partire dalla con-dizione nella quale viene a trovarsi la madre sur-rogata, alla quale in genere arriva meno del 2%della somma versata dalla coppia committente.Queste donne vengono sottoposte a fecondazioneextracorporea. In caso di malformazioni del feto(cosa non rara nel caso di fecondazioni artificiali)o nel caso in cui il sesso non sia quello deside-rato dalla coppia committente si procede con un’in-terruzione di gravidanza senza che sia chiestoil consenso alla donna indiana, che, in tal caso,non riceverà alcuna commissione in denaro. Nel caso in cui la coppia resti delusa dal bam-bino partorito il destino del neonato risulta incer-to e non chiaro. Nel dossier si fa inoltre riferimentoad un ulteriore dato allarmante, si denuncia il ricor-so alla maternità surrogata per produrre bambi-ni utilizzabili come fornitori di organi per i trapianti.L’inchiesta non denuncia che un accenno di orro-re di una pratica diventata industria ma che findalle prime presunte sane intenzioni mostrava lasua contraddittorietà e problematicità.

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1111GennaioGennaio20152015

Gaetano Sabetta*

AAndare, incontrare, donarsisono i tre verbi di movimen-to, i tre stimoli che hanno ani-

mato i giorni del Convegno MissionarioNazionale - il quarto dal 1990 - tenu-tosi a Sacrofano dal 20 al 23 novem-bre 2014. Si tratta di punti di partenzaper costruire una nuova grammati-ca della missione nella quale riaccenderela passione e rilanciare la dedizionedei singoli e delle comunità cristia-ne per la missio ad gentes e inter gen-tes (missioni lontane) e per elaborarenuovi stili di presenza missionaria nel-le nostre realtà (missione ai lontani),nella consapevolezza che la missionenon è uno degli impegni della pasto-rale, ma il suo costante orizzonte e il suo para-digma per eccellenza. La figura di Giona, cosìcome raccontata nell’omonimo libro, è stata scel-ta quale icona dell’intero convegno. Solo quan-do Giona accetta di uscire dal suo mondo - nonsenza scetticismo e finanche manifesta ostili-tà, stemprate solo attraverso la tempesta mari-na e i tre giorni nel ventre della balena, può incon-trare gli abitanti di Ninive - città ostile e terribi-le, o presunta tale - per donare la “parola” cheegli stesso ha ricevuto dal Signore; parola chedenuncia le nefandezze - “ancora quaranta gior-ni e la città sarà distrutta”- e annuncia la giu-stizia di Dio, immediatamente accolta dai figlidi Ninive. Eppure Giona non è contento, non èpronto ad accettare il miracolo, non è dispostoa cambiare come Dio ha fatto e si rifugia sottouna pianta di ricino; è infastidito, frastornato, qua-si scandalizzato, dalla troppa misericordia di Dio!In questa storia c’è davvero raffigurata la dimen-sione della missione ad gentes, con le sue lucied ombre, quale paradigma della presenza del-la Chiesa nel mondo odierno. Come ci ricorda papa Francesco: “La missio-ne non è una parte della mia vita, […]. È qual-cosa che non posso sradicare dal mio esserese non voglio distruggermi. Io sono una missionesu questa terra, e per questo mi trovo in que-sto mondo” (EG 273). Giona, come ogni cristianoche si dice missione, è chiamato a riconosce-re il male che alberga dentro e fuori di noi, maspesso è spaventato, ostile ad uscire per anda-re verso le periferie così da denunciare il malee annunciare il perdono. Nelle conclusioni delconvegno si legge a tal proposito: “Noi siamoin un mondo, dove il male è forte. Il male e laviolenza sono il vero dramma di Ninive e del mon-do. Lo abbiamo detto in questi giorni: la guer-ra, la violenza, la povertà, l’abbandono dei vec-chi, i profughi, le persecuzioni [ …]. Potremmo dire in una parola che la missio adgentes è una missio ad pauperes”; eppure, sen-za andare a Ninive, senza andare nelle perife-rie più ostili, non c’è missione. I poveri ci evan-gelizzano innanzitutto perché ci trascinano là doveil dramma del male è più forte. Questa è la doman-da della missione. Bisogna imparare a guardare

con compassione, entrando nella lotta per il bene,anche se spesso facciamo fatica a seguire il pathosdi Dio: come Giona ci appare esagerato! Il mon-do dunque ha bisogno non di una Chiesa die-tro le barricate, ma di una Chiesa che esce eincontra perché la gioia del Vangelo raggiungatutti, a cominciare dalle periferie più lontane. Chequesto non sia sempre vero ha trovato alber-go nelle risposte dei Centri Missionari Diocesaniraccolte e commentate, nel corso del convegno,dal filosofo Aluisi Tosoloni.Eccone alcune abbastanza eloquenti: “le nostrecomunità sono spesso imprigionate da una pasto-rale di conservazione e di distribuzione di ser-vizi religiosi”; “la formazione inadeguata nei semi-nari, da cui escono pastori adatti per una chie-sa piramidale chiamata a dirigere più che peruna chiesa tutta ministeriale e corresponsabi-le nel servizio”; “la missione - al di là delle paro-le - è considerata una dimensione marginale”;“non siamo riusciti a comprendere che è finital’epoca del cristianesimo nel quale cristiano ecittadino coincidevano (fede ereditata, dovuta,scontata, obbligata..)”; “spesso si tratta di unapastorale semplicistica basata sulla strumentalizzazionee sacramentalizzazione della parola”; “Le peri-ferie sono viste ancora come luoghi per atti dibontà piuttosto che come parte integrate dellachiesa”; “all’interno del mondo multiculturale eplurireligioso la geografia stessa della missio-ne è costretta a cambiare (ad gentes; ad intra;ad altera; ad extra)”. Se prendere coscienza dei propri limiti è il pri-mo passo per superarli è anche vero che il tem-po stringe e che la sfida missionaria che la paro-la di Dio ci chiama a svolgere non è per nien-te facile. A tale proposito, una riflessione sullanatura antropologica e culturale del sistema tec-no-economico planetario e sullo spirito che loanima sono stati al centro dell’intervento del socio-logo Mauro Magatti. Riprendendo l’intuizione pro-fetica di Walter Benjamin, che già nel 1921 scris-se del capitalismo come religione, Magatti hapresentato lo spirito del capitalismo odierno comeun circuito di tipo teologico perché capace di coniu-gare la domanda di vita, la richiesta di piena rea-lizzazione di ognuno di noi (volontà di potenza

soggettiva), all’offerta (volontà di potenzaoggettiva), espressa dal sistema tecno-econo-mico. Tale circuito, con i suoi corollari del con-sumerismo, del nichilismo pratico, dell’individualismoe della disuguaglianza, economica, culturale, socia-le, ha appunto un fondo nichilista, perché distrug-ge il senso, crea solo velocità ed insiste sola-mente sulla quantità. Bisognerebbe, secondo Chiara Giaccardi, ripen-sare la missione come azione transitiva e depo-nente, né tracotante, perchè tesa al soloingrossamento del sé, né rassegnata, perchèpreda della disperazione. Transitiva perché indi-vidua il suo termine oltre il soggetto agente, nonautoreferenziale, ma dialogica, capace cioè diarrivare ad un “Noi”. Deponente perchè consapevole del proprio limi-te, alimentata anche dall’altrove, mossa dallagratitudine e dal desiderio di dare e non sola-mente dalla rivendicazione e dalla spinta a pren-dere. Tutto questo sentire ha poi trovato un inqua-dramento finale nell’intervento di padre GustavoGutiérrez. Il padre della teologia della liberazioneha prima riflettuto sulla nozione di evangelizzazione,definita come: “rendere presente nel mondo ilRegno di Dio” (EG 178); si è poi soffermato sulsignificato della povertà, legata non solo agli aspet-ti economici ma anche a quelli culturali, razzialie di genere, per poi parlare delle cause dellapovertà, poiché non si tratta di un fenomeno natu-rale, ma di qualcosa di creato dall’uomo.Infine, dopo aver evidenziato i tre livelli di pover-tà presenti nella Bibbia: materiale, spirituale evolontaria, il sacerdote peruviano ha ricordato“il fare memoria della prassi di Gesù” quale viamaestra per una Chiesa che nella sua attivitàd’evangelizzazione voglia seguire la strada delregno, attraverso un’opzione preferenziale,ovvero non esclusiva, per i poveri. Senza dubbio si tratta di una sequela alla ricer-ca del Dio che in Gesù si fa povero per i pove-ri e con i poveri, richiamando con ciò la Chiesaad abbassarsi per curare le ferite del mondo.Senza dubbio un compito arduo e affascinan-te allo stesso tempo.

*Membro dell’Ufficio Missionario Diocesano

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1212 GennaioGennaio20152015

don Cesare Chialastri

CCi sono troppi focolai di tensione e di vio-lenze accesi nel mondo, così gravi dafar dire a Papa Francesco che siamo

già in una specie di terza guerra mondiale. Quellipiù importanti per numero di vittime e possibilipeggioramenti, restano in Medio Oriente, un veroe proprio ginepraio, e la Libia che sembra cam-minare spedita verso l’anarchia.Non vanno dimenticati altri focolai di violenza,come la crisi russo-ucraina, in Nigeria, in RepubblicaCentrafricana, in Somalia e neppure la perse-cuzione di molti cristiani in Asia, una deriva preoc-cupante dell’incapacità di vivere insieme tra fedidiverse. Lo scopo del presente articolo è quel-lo di passare in rassegna le situazioni del MedioOriente dove c’è la guerra e osservare quantola Caritas Italiana sta facendo dentro di esse:questo non solo per non dimenticare i conflitti,ma per guardare i fatti e le conseguenze di essida angolature vere, più corrispondenti alla real-tà. Uno sguardo approssimativo e parziale, gene-ra pressapochismo e atteggiamenti non apertialla solidarietà e fraternità.Israele-PalestinaIl conflitto è dentro un’esclation fortemente peri-colosa, nazionalistica, etnica e religiosa, riac-cesa con la crisi di Gaza nell’agosto scorso eche continua in questi giorni a Gerusalemme.Non è solo un conflitto tra due entità statali, maormai è guerra di popolo: dove la convivenzain uno spazio ristretto fa diventare ogni perso-na che si incontra un possibile e potenziale nemi-co. Provocazioni continue e montate ad arte, ritor-sioni ad ogni azione anche piccola, vendette reci-proche e leader che sembrano capaci solo disostenere e alimentare le violenze della propriaparte politica. Nulla ad oggi sembra in grado difermare la catastrofe. Si stimano circa 50.000 abitazioni distrutte o gra-vemente danneggiate. Si ipotizzano circa 7/8 anninecessari per la ricostruzione. Molti aiuti arrivanodalle gente che vive in Israele e perfino dalleorganizzazioni umanitarie israeliane. Occorre lavo-

rare molto sulle cause che hanno generato que-sto conflitto che va avanti da tanto tempo.A settembre scorso Caritas Gerusalemme halanciato un appello per la richiesta di oltre 1.200.000€ necessari per i viveri, medicinali, carburante,ecc. Caritas Italiana ha contribuito con € 100.000.SiriaResta l’emergenza più grave al mondo, senzache si intraveda una via di uscita. Con la guer-ra in Siria ci sono solo perdenti. Le vittime han-no superato quota 200.000. i rifugiati all’esterosono più di 1.600.00, ma diversi non sono regi-strati. Sono circa 4.800.000 i siriani sfollati perpaura delle violenze o perché le abitazioni sonostate distrutte. Nel complesso, 7.000.000 persone, quasi un ter-zo dell’intera popolazione della Siria, hanno urgen-te bisogno di assistenza umanitaria. Nel frattemposi moltiplicano torture, brutalità, crimini di guer-ra contro i civili innocenti, persecuzioni etnico-religiose, distruzione di luoghi di culto, saccheggi,rapimenti a scopi politici o estorsivi, che hannovisto coinvolti Vescovo ortodossi, giornalisti, pre-ti ed imam. Sempre più cresce il terrore per lelenta affermazione dei terroristi dell’ISIS, a caval-lo tra Siria e Iraq.Se la guerra siriana cessasse oggi, almeno 80-90 miliardi di dollari sarebbero necessari per rico-struire il Paese. E la comunità internazionale sidovrebbe far carico di una parte consistente diquest’onere. Ma, forse, soltanto in 20 anni si potreb-be ricostruire il tessuto sociale e collaborativonel Paese, se restasse l’unità dello Stato e deisuoi confini e iniziasse un deciso processo diriconciliazione nazionale. In Siria “la strada daseguire non è una intensificazione militare delconflitto armato, ma il dialogo e la riconciliazione”,ha dichiarato l’arcivescovo Silvano MariaTomasi, osservatore della Santa Sede pressol’ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra. Ed ha aggiun-to: che <un cessate il fuoco immediato ferme-rà lo spargimento di sangue, una tragedia inu-tile e distruttiva che ipoteca il futuro della Siriae del Medio Oriente>. È fondamentale che fini-scano gli scontri armati sia per evitare la deri-

va confessionale del con-flitto (sunniti contro scii-ti), che avrebbe molteconseguenze negati-ve, in particolare controle minoranze (cristiani,drusi, curdi, ecc), sia perscongiurare l’estensio-ne del conflitto.Nonostante la situa-zione drammatica CaritasSiria riesce a lavorarein sei zone dove ha lesue basi, sostenendo dalmarzo 2011, oltre 50.000famiglie. Si è aperto un

settore di attività a soste-gno delle scuole ad Aleppocon 5.000 studenti in mag-gioranza musulmani; sipropone così di superarela mentalità “tribale”, tipi-

ca del paese e di presentare la Chiesa non comeuna minaccia per l’islam, come purtroppo si ten-de a pensare. Caritas Italiana ha contribuito a vari progetti diCaritas Siria e in generale a favore dei profu-ghi nella regione per 1.312.860 €.IraqIl peggioramento della già precaria situazioneirachena è dato dall’esodo di oltre 1.800.000 ira-cheni, fra i quali molti cristiani, che fuggono difronte all’avanzata dell’ISIS nel nord dell’Iraq esi rifugiano nella regione del Kurdistan. Dalla zonadi Mossul e dalla vicina Piana di Ninive sonopraticamente fuggiti tutti i cristiani (almeno 1000.00)insieme al gruppo dei Yazidi. La fuga è stata rapi-dissima e le condizioni di migliaia di sfollati, chesono i più poveri, è letteralmente disperata. MoltiVescovi e sacerdoti sono fuggiti con la gente.Tutte le strutture della piccola Chiesa locale Caldeasono oggi occupate da sfollati cristiani, che nonsanno dove andare e non sanno se mai potran-no ritornare nelle loro case. nel Kurdistan era-no già presenti oltre 220.000 rifugiati siriani.Presente già in tutto il Paese, Caritas Iraq haintensificato la sua attività in Kurdistan a metàottobre. Ha aperto una sede a Erbil, capoluo-go del Kurdistan, in appoggio alla Chiesa loca-le che per tre mesi ha dovuto fronteggiare pra-ticamente da sola e in pochi giorni l’arrivo mas-siccio di sfollati. Caritas Iraq ha denunciato più volte il commerciodelle armi e ha sottolineato la necessità del lavo-ro insieme ai musulmani come elemento di paci-ficazione. Dopo la visita di una delegazione del-la Conferenza Episcopale Italiana a Erbil, è natala proposta di costruire gemellaggi fra comuni-tà cristiane italiane e comunità cristiane del Kurdistan.Sono nate anche tre attività: acquisto di viveriper le famiglie (circa 20.000); la preparazionedi 150 contaneir in grado di accogliere altrettantefamiglie; l’acquisto di 6 minibus per portare ascuola centinaia di bambini dispersi in varie loca-lità. Caritas Italiana ha stanziato fino ad oggi €200.000.Altri Paesi della Regione: Giordania, Libano, Turchia* Libano: piccolo paese sommerso da almenoun milione e mezzo di profughi, senza una lea-dership politica riconosciuta e teatro di scontrinel nord del paese con milizie affiliate all’ISIS.Caritas Italiana ha contribuito ai vari progetti inloco con 205.000 €.* Giordania: ugualmente sommersa da oltre1.400.000 profughi siriani e iracheni (Caritas Italianaha contribuito ai progetti in loco con 166.811 €.* Turchia: con circa 600.00 profughi e più vici-na a una possibile estensione del conflitto conla vicina Siria (Caritas Italiana ha contribuito aiprogetti in loco con 50.000 €.

*Direttore Caritas diocesana

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1313GennaioGennaio20152015

Giovanni Zicarelli

LLa povertà, atavico fenomeno socia-le che non ci abbandona.Lasciare indietro il proprio simi-

le in difficoltà è una costante nella sto-ria dell’Umanità.Nella Bibbia quel “simile” viene definitonostro “prossimo”, ovvero colui con il qua-le, il susseguirsi delle epoche passate,ha fatto sì che, per un periodo relativa-mente breve, condividessimo contem-poraneamente l’esistenza sulla Terra. Questacomune origine dimostra ciò che Gesùha sempre asserito ovvero che siamotutti fratelli. Un’affermazione questache trova fondamento tanto religioso quan-to scientifico poiché, se la religione ci diceche la nostra origine comune è terra iner-te prelevata dal Creato e animata dal-l’alito divino, parimenti la scienza ipotizzal’inizio di tutto con un’esplosione, il “BigBang”, da cui avrebbe avuto origine l’Universonel quale, nel tempo, si sarebbe generata la mate-ria viva da cui tutti discenderemmo. Il principio di fratellanza è dunque inconfutabi-le e corre come un filo, legandol’un l’altro tutto ciò che esiste edè esistito ovvero noi e tutto ciòche abbiamo intorno: Creato oUniverso che dir si voglia.Siamo pertanto ognuno qualco-sa dell’altro e la felicità piena, quin-di, non potrà mai prescindere daciò che ci circonda, tanto menodal benessere del “prossimo”. Sipuò possedere tutto ciò che si desi-dera ed imbandire la propria tavo-la con quanto di più appetitosovi possa essere ma non ci saràmai vera gioia in una casasapendo che fuori dall’uscio c’èqualcuno che mendica cibo,calore e conforto. Capita, per qualcuno, che la coscien-za urli troppo, e allora si metteuna moneta in un piattino credendodi aver comprato il diritto, per unpo’, a non sentire scrupolo. Male coscienze di alcuni non taccionocon così poco e inducono a dedi-carsi disinteressatamente inmodo continuativo, per ciò chegli impegni personali consento-no o anche senza risparmio, aibisognosi presso ricoveri o perstrada, fosse per abbandono socia-le, guerre o calamità naturali.Purtroppo, benché subisca fles-sioni, il fenomeno della povertàè comunque sempre molto dif-fuso. In questa nostra epoca, gli anni2000, che nell’immaginario col-lettivo dello scorso secolo avreb-be dovuto essere futuristica, ci si

ritrova a vivere uno dei periodi più bui dell’oc-cidente che, da un’opulenza consumisticavotata allo spreco, è precipitato in una sorta diepoca in cui si fondono Medio Evo, Rivoluzione

industriale e post-modernità, con autentiche ordemultirazziali di poveri che elemosinano, dormonoper strada o occupano abusivamente case. Poveri creati da un disagio crescente in modo

esponenziale che vede acco-munati individui che non han-no mai trovato lavoro a lavo-ratori sottopagati o rimastidisoccupati a pensionati dal red-dito ben al di sotto della sogliadi sopravvivenza. Ciò per via di Stati che, a cau-sa di politiche dissennate e affat-to lungimiranti, si sono ritrovaticon economie sul lastrico, purcontinuando per taluni grandiguadagni e privilegi, e che cer-cano di risparmiare sul sosten-tamento al popolo, creando iso-le dorate in un mare di degra-do per il venir meno dei quat-tro pilastri della Civiltà: Lavoro,Sanità, Istruzione, Sicurezza.Un fenomeno tanto esteso, lapovertà, da far nascere la neces-sità che l’altruismo dei “più for-tunati” debba essere pianificato,così che l’aiuto ai “più sfortu-nati” possa guadagnarci in effi-cienza ed efficacia. Oggi esistono varie organizzazioniumanitarie (FAO, UNICEF,Medici senza frontiere,Emergency sono solo alcuniesempi), tra queste forse la piùnota nonché la più capillare èindubbiamente la Caritas,un’organizzazione nata adopera di Giovanni Nervo (1918- 2013), un prete a suo tem-po anche partigiano. Approvatada Papa Paolo VI nel 1971 comeorganismo pastorale della CEI

Distribuzione dei generi di sostentamento presso la parrocchia di San Bruno. continua a pag. 14

Allestimento della pesca di beneficenza presso la parrocchia di San Bruno.

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1414 GennaioGennaio20152015

(Conferenza Episcopale Italiana) col nome di Caritasitaliana, permise che la Chiesa precorresse anco-ra una volta i tempi sui bisogni della società, inanni in cui infatti la parola “crisi”, in Occidente,aveva ancora un significato davvero molto vago.La sua rapida diffusione capillare nel mondo èdovuta alla conseguente nascita delle Caritasdiocesane, oggi 220, e parrocchiali, tutte collegatetra loro. La Caritas interviene a sostegno di chiha più bisogno, operando ovunque nel mondoci sia guerra, fame, miseria. A Colleferro operano quattro Caritas parrocchiali:Santa Barbara, San Gioacchino, Immacolata eSan Bruno che provvedono all’ascolto, all’as-sistenza di vario genere e alla distribuire gene-ri di conforto e non solo a coloro che vi si rivol-gono. Queste derrate alimentari sono frutto dipiù partecipazioni: innanzitutto ogni parrocchiadella Diocesi riceve dal vescovo una somma didenaro proveniente dall’8xmille in relazione alnumero degli abitanti con la quale i parroci acqui-stano i prodotti necessari, dalla Comunità

europea tramite l’AGEA (Agenzia perl’Erogazione in Agricoltura) arrivanodiversi generi alimentari che attualmen-te sono sempre di meno frequenti e menoconsistenti. Ad integrare quanto sopra concorre la gene-rosità dei fedeli che spontaneamente con-segnano ai parroci i prodotti e dei citta-dini partecipando alle raccolte organiz-zate presso supermercati con grande dis-pendio di lavoro da parte dei volontari.Le “Caritas”, con le offerte in denaro dibenefattori, non mancano neppure di soste-nere la spese per le bollette delle fami-glie più bisognose. Un lavoro di solidarietà e sussidiarietà com-piuto a Colleferro da circa venti volon-tari, in Diocesi da tanti altri volontari alpari di migliaia di altri operatori Caritasnel mondo, persone le cui coscienze nongli consentono di voltare le spalle ai biso-gni della società. La quattro parrocchie

di Colleferro,in collabo-razione con la com-pagnia teatrale degli“OrAttori” di MarianoPanella, di cui si èscritto compiuta-mente su questepagine nel numerodi settembre 2014,hanno messo incampo una meritoriainiziativa di raccol-ta fondi con la ven-dita di biglietti perla divertente com-

media grottesca con risvolti da giallo, “Delittoal castello”, di Aldo Cirri, in scena il 20 e il 21dicembre nel Teatro Vittorio Veneto di Colleferro,col ricavato (al netto di IVA e diritti SIAE) inte-ramente devoluto alle Caritas parrocchiali col-leferrine. Per la scenografia hanno provveduto alcuni spon-sor dimostratisi sensibili all’iniziativa mentre peri costumi si sono “autotassati” gli stessi com-ponenti della compagnia teatrale. Inoltre, nelleparrocchie, si organizzano, per il periodo nata-lizio, alcune pesche di beneficenza e mercati-ni di oggettistica varia sempre a favore delle quat-tro Caritas parrocchiali.

segue da pag. 13

Volontari della Caritas raccolgono offerte in viveri in un supermercato.

Giovanni Zicarelli

IIl 27 novembre, S. E. mons. Vincenzo Apicella ha celebrato, pres-so la chiesa di Santa Maria del Rosario di Artena, la solenne Messadi apertura dell’“Itinerario diocesano di formazione per i volontari

e gli operatori Caritas” della Diocesi Velletri-Segni, coadiuvato da donCesare Chialastri, direttore della Caritas diocesana, dal parroco don Daniele

Valenzi. «La Caritas non esiste per far passare del tempo libe-ro a delle persone», ha detto mons. Apicella nell’omelia, «non èun club ne’ un circolo, essa è parte della Chiesa ed esiste per-ché la Chiesa non può non essere presente dove vi sono per-sone che hanno bisogno di sostegno materiale e spirituale».Certo è che se ancora oggi nel Mondo necessita l’esistenza diorganizzazioni umanitarie per aiuti di prima necessità, l’Umanitàha ben poco da esserne fiera, poiché esse rappresentano segna-li fallimentari di una società malata in cui si continua immutabil-mente a lasciare indietro il proprio fratello.

Nella foto del titolo: La Messa di apertura nella chiesa di Santa Maria del Rosario ad Artena.

Discorso di don Cesare aivolontari della Caritas in

presenza del Vescovo.

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1515GennaioGennaio20152015

don Alessandro Tordeschi

DDopo aver presentato i doni per il sacri-ficio ora inizia la preghiera eucaristica,la quale comincia con il dialogo del pre-

fazio e si estende fino al grande Amen. È la pre-ghiera più grande che la Chiesa possiede; la Chiesaesiste per pregarla e diviene Chiesa nelmomento in cui la prega. Uno dei principali elementi ricorrenti nella pre-ghiera è l’elemento narrativo. Ciò che abbiamovisto con le Scritture, dove le parole richiama-no i grandi eventi della salvezza, così il testodella preghiera eucaristica richiama i grandi even-ti. Ma ora la narrazione è completamente indi-rizzata al centro. Ricordiamo la morte e la risur-rezione di Gesù Cristo. Una narrazione in cui le parole sono circonda-te da gesti e segni e addirittura un intero pastoconsumato in un luogo particolare con gente par-ticolare. Le parole e i gesti di questa preghie-ra sono misteri. Per cui come qualcosa di con-creto, essi possono essere detti e fatti solo l’u-no dopo l’altro. Ma, nella realtà divina a cui siriferiscono e con cui ci mettono in contatto, nonesiste una successione in momenti diversi, masolo tutto contemporaneo. Entriamo nell’ora diCristo. Entriamo nel tutto contemporaneo del-la sua risurrezione, dove il passato che ha vis-suto è ancora presente a lui ora, e reso dispo-nibile a noi come evento a cui stiamo parteci-pando. Ma noi entriamo similmente in un futu-ro che lui ha già raggiunto e instaurato, dovetutte le cose in cielo e sulla terra sono ricapi-tolate in lui, dove noi siamo già per sempre insie-me agli angeli e ai santi in cielo. Ci troviamo intes-suti nella realtà divina in Dio Padre, in Gesù CristoFiglio e nello Spirito Santo. Ci ritroviamo in que-sta realtà divina concretamente attraverso i gestie le parole che si susseguono una dopo l’altra:intessuti per mezzo di questi misteri. Il dialogo del prefazio“Il Signore sia con Voi” il popolo risponde “E conil tuo spirito”. Quale è la ragione per ripetere que-

sto saluto già fatto in precedenza più volte? Vieneripetuto perché ora stiamo per iniziare a pregarecon maggiore intensità, e se vogliamo riuscirciabbiamo bisogno dell’aiuto divino. Il sacerdoteaugura al popolo questa assistenza divina. Il suosaluto è come una benedizione che ricorda alpopolo che, insieme a lui, sta per offrire la piùgrande preghiera della chiesa.Se l’assemblea ha bisogno dell’aiuto per il pro-prio ruolo in ciò che sta per accadere, essa èconsapevole che tale aiuto sarà più necessa-rio al sacerdote stesso, che in questa preghie-ra svolgerà un ruolo centrale e unico. La rispo-sta “E con il tuo spirito” il popolo si sta rivolgendoallo spirito del sacerdote: cioè a quella parte piùprofonda del suo essere che è il ministero in cuiè stato consacrato proprio per guidare il popo-lo in questa sacra azione. Il popolo in effetti stadicendo: “Sii sacerdote per noi”, consapevoleche c’è un solo sacerdote Cristo stesso, di cuilui è sacramento, segno della sua presenza. Seil saluto del sacerdote è come una benedizio-

ne sul popolo, il popolo benedice a suavolta il sacerdote. Il popolo sa che, il sacer-dote sarà in questa preghiera con tuttoil suo cuore, con tutta la sua mente, contutta la sua anima, questa sarà un van-taggio anche per il popolo stesso; poi-ché in ogni punto della preghiera egli èla guida e il popolo non può procederesenza di lui. Il ruolo guida del sacerdo-te nel corso della preghiera eucaristicavuole rendere concreta all’assemblea unarealtà fondamentale di tutta la preghie-ra, che consiste nel fatto che la chiesasi rivolge al Padre solo attraverso Cristo,suo capo. “In alto i vostri cuori”. Il sacerdote è già completamente den-tro il ruolo di Cristo, capo del suo corpo,per questo ordina al suo popolo, con voceautorevole e piena di amore: “In alto i vostricuori”. In latino “sursum corda” letteral-mente “Cuori in alto!”. È Cristo il capo chedice al suo corpo dove stiamo andandoe che ci stiamo andando in fretta, quin-

di sveglia e avanti. Stiamo andando in cielo, doveCristo è seduto alla destra del Padre. Tutto quel-lo che sta per accadere, accade li. In rispostaa questo il popolo dice: “Sono rivolti al Signore”;cioè i nostri cuori sono dove hai detto che devo-no essere. Siamo chiamati in alto. Portati nel tutto contemporaneo della risurrezionedi Cristo, nella sua ora, dove passato e futurosono fatti presenti a noi, dove noi possiamo giàessere nel luogo in cui siamo destinati a esse-re per tutta l’eternità. Avere i nostri cuori in altoci sottrae alle ansie e alle preoccupazioni quo-tidiane, proprio perché possiamo raggiungereuna prospettiva che ci permettere di vedere ilsignificato ultimo anche di esse. Non facciamoaltro che obbedire a quello che San Paolo scri-ve ai Colossesi: “Se dunque siete risorti con Cristo,cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assi-so alla destra di Dio; pensate alle cose di las-sù, non a quelle della terra. Voi infatti siete mor-ti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristoin Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostravita, allora anche voi sarete manifestati con luinella gloria”. Quando poniamo in alto i nostri cuori, vediamola nostra vita, cioè qualcosa di concreto, è nasco-sta con Cristo in Dio. Cioè siamo già in cielo,dove Cristo siede alla destra del Padre. Cristoci ha portato in cielo e questo è il motivo percui dobbiamo rendere grazie a Dio. Il sacerdo-te annuncia: “Rendiamo grazie al Signore, nostroDio”. L’assemblea immediatamente acconsen-te: “è cosa buona e giusta”. In un senso imme-diato, ciò di cui dobbiamo ringraziare è che i nostricuori ora sono in alto; e questo è possibile solocon la grazia di Dio. I nostri cuori sono dentrol’ora di Cristo come vertice di tutte le potenti ope-re che Dio ha fatto per la nostra salvezza. Questeopere hanno un centro: la morte e la risurrezionedi Gesù Cristo. È per questo che noi ora ren-diamo grazie a Dio. Cristo stesso ringrazia il Padreper la sua risurrezione, un ringraziamento in cuiè compresa la sua gioia per il fatto che noi pos-siamo essere membra del corpo risorto. Nientepuò essere più adatto, più giusto.

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1616 GennaioGennaio20152015

Il sacerdote comincia a parlare con dio – ilprefazioAppena l’assemblea acconsente a ciò che la gui-da propone, la guida lascia l’assemblea e diri-ge l’attenzione a colui al quale la preghiera diringraziamento è diretta. Ogni parola, da ora inpoi, è rivolta a Dio Padre e ogni gesto è fattoin sua presenza. La preghiera che ora il sacer-dote rivolge a Dio Padre con le braccia aperteè chiamata prefazio. È chiamata così fin dall’antichitàe non perché è considerata una sorta di intro-duzione alla parte principale della preghiera. Prae– fari, in latino, significa “fare in fronte a “e “pro-clamare in presenza di”: proclamare e fare davan-ti a Dio Padre la preghiera della Chiesa. È unapreghiera che varia da domenica a domenica,da festa a festa e da stagione a stagione. Cisono tre parti.1. La prima parte comincia a parlare con il Padrecon le parole: “E’ veramente cosa buona e giu-sta renderti grazie, Padre…” il Padre è citato invari modi nei diversi prefazi con altri appellati-vi a noi noti attraverso le Scritture: Signore, Dioonnipotente ed eterno. Ci si rivolge al Padre inmaniera diretta. Questo mostra la direzione della nostra preghierain questo movimento: va dalla Chiesa verso DioPadre. In questa prima parte del prefazio chedice che è giusto rendere grazie al Padre spes-so anche se non sempre, dice che è fatto “PerCristo nostro Signore”. Comincia a delinearsi laforma trinitaria di questo movimento. 2. La seconda parte del prefazio riprende la fra-se “per Cristo nostro Signore” e lo sviluppa inmodo unico per ogni prefazio, ed esprime la par-ticolarità della festa o del tempo che si sta viven-do. È quindi preghiera di ringraziamento.Ringraziare il Padre è molto più che una que-stione di buona educazione, molto più che unringraziamento a qualcuno per averci fatto unservizio o un favore. Ringraziare, nel modo bibli-co, consiste in un profondo riconoscimento diciò che Dio ha realmente fatto in ciò per cui loringraziamo. Questo riconoscimento è espres-

so attraverso il racconto di quello che Dio hacompiuto. Raccontare quello che Dio ha fattoviene chiamato “confessare Dio” e comporta lasua lode, sia implicitamente che espressamente.La grandezza di Dio nelle sue opere implica, daparte nostra, il riconoscimento delle nostre debo-lezze e, peggio ancora, della nostra infedeltà.Possiamo notare qui l’elemento narrativo chesarà centrale in tutta la preghiera eucaristica.Qui stiamo proclamando a voce alta, stiamo con-fessando gli eventi di Dio. È questo il nostro mododi ringraziare.3. La terza parte del prefazio si collega alla pre-cedente dicendo “Per questo…” in latino “Etideo…quapropter o unde”. Con ciò si presentail nostro desiderio e la nostra richiesta a Dio chele nostre voci possano unirsi a quelle degli ange-li e dei santi nel canto di lode a Dio. Vogliamo cantare con gli angeli e i santi perchéconsapevoli che i nostri cuori sono in alto. Sappiamoche siamo dove essi sono e stiamo per fare comeloro, cantando il loro canto. Il loro canto è di lode.Dalle nostre preoccupazioni e ansie quotidia-ne, con i cuori in alto dove sono gli angeli e isanti, condividiamo la loro lode perenne.Quando questa liturgia sarà finita e dovremo tor-nare a vivere “quaggiù”, potremo rimanere in cie-lo grazie a questo canto a cui abbiamo parte-cipato, un inno che non finisce mai.Santo, santo, santoLe parole dell’inno che cantiamo, “Santo, san-to, santo…”, ci sono rivelate come inno celesteda molti testi biblici, i quali ci rivelano le realtàinvisibili in cui ora siamo coinvolti.C’è prima di tutto la visione di Dio del profetaIsaia: “io vidi il Signore seduto su un trono altoed elevato; i lembi del suo manto riempivano iltempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognu-no aveva sei ali; con due si copriva la faccia,con due si copriva i piedi e con due volava.Proclamavano l’uno all’altro: «Santo, santo, san-to è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è pie-na della sua gloria». Vibravano gli stipiti delleporte alla voce di colui che gridava, mentre il

tempio si riempiva di fumo”. Cosa vede il pro-feta intorno al trono del Signore? Vede i sera-fini con le sei ali che coprivano la faccia, i pie-di e volavano intorno al Signore, ma Isaia sen-te soprattutto il canto alto e potente tanto da farvibrare gli stipiti delle porte: “Santo, santo, san-to è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è pie-na della sua gloria”. Anche il profeta Ezechieleha una esperienza simile. Egli racconta: “Allorauno spirito mi sollevò e dietro a me udii un gran-de fragore: «Benedetta la gloria del Signore dalluogo della sua dimora!». Era il rumore delle alidegli esseri viventi che le battevano l’una con-tro l’altra e contemporaneamente il rumore del-le ruote e il rumore di un grande frastuono”. In breve, potremmo dire che i loro cuori eranoin alto, dove anche noi siamo portati da Cristo.Anche per noi cristiani è descritto il canto deiserafini nel libro dell’Apocalisse, dove l’apostoloGiovanni è “rapito in estasi nel giorno del Signore”e “scrive in un libro” le visioni che vede dellaliturgia celeste. Ad un certo punto anche lui vedela stessa visione di Isaia e Ezechiele, il tronodi Dio circondato da creature alate. Giovanni ciriporta le parole dell’inno senza fine. Racconta: “I quattro esseri viventi hanno cia-scuno sei ali, intorno e dentro sono costellati diocchi; giorno e notte non cessano di ripetere:Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente,Colui che era, che è e che viene!” Anche il cuo-re di Giovanni è in alto, là dove Cristo lo ha por-tato. Queste visioni dei santi profeti e dell’apo-stolo Giovanni ci aiutano a prendere coscien-za di ciò che sta accadendo nella messa. L’attostesso di cantare ci insegna che stiamo davan-ti al trono di Dio in cielo.Nelle sue visioni Giovanni scorge “l’Agnello” sipotrebbe dire che questo è il nome liturgico delCristo crocifisso. Giovanni chiama quello che vede“il trono di Dio e dell’Agnello” . Significa che l’e-vento terreno della croce è diventato un pezzopermanente del cielo. La croce è la visione sul-la terra del trono di Dio. Il resto delle parole del-l’inno che cantiamo ci riporta nei fatti della cro-

ce terrena. “Osanna nell’alto dei cieli.Benedetto colui che viene nel nome delSignore. Osanna nell’alto dei cieli”,sono le parole del Salmo 118,26, ci par-lano di Cristo, poiché furono cantate nelmomento in cui Gesù entra trionfalmentein Gerusalemme, sul dorso di un asino,andando verso la sua passione. Nel resto della preghiera eucaristica, con-tinuiamo a essere davanti al trono di Dioin cielo; e davanti al trono di Dio è sem-pre presente il sacrificio dell’Agnello, l’o-ra che non passa mai. Davanti al trono cantiamo: “Santo, san-to, santo”. Ricordando il suo ingresso aGerusalemme per compiere la sua ora,noi cantiamo:“ Benedetto colui che viene nel nome

del Signore!” poiché siamo dentro a quel-la medesima ora, e ci siamo perché luista venendo da noi proprio adesso. Benedettocolui che viene!

segue da pag. 15

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1717GennaioGennaio20152015

don Antonio Galati

CContinuando il commento al pri-mo dei cinque paragrafi del capi-tolo della Lumen gentium sui reli-

giosi si incontra un’immagine che si puòdefinire come una descrizione figurata del-la vita religiosa nella Chiesa: «a partiredal germe iniziale che Dio aveva pian-tato in terra, l’albero è cresciuto nel cam-po del Signore, ramificandosi in molte-plici modi meravigliosi» (LG 43).Volendo provare a commentare e descri-vere il senso di questa metafora utiliz-zata dal concilio si può dire, anche for-se ampliando il senso originale dato daipadri conciliari:- l’unico seme piantato da Dio in terra puòessere identificato con il Signore Gesù che, con le sue parole e la sua vita,ha fondato e mostrato le virtù dei tre consigli evangelici i quali, vissuti nel-la carità, sono la manifestazione della santità dello Spirito;- il seme, sviluppandosi nella storia, ha prodotto nel campo del Signore,

che è la Chiesa (cfr. LG 6), l’albero della vita religiosa, le cui radici, affon-dando nel terreno del campo, assumono e assorbono la tradizione eccle-siale, che diventa il nutrimento e il sostegno degli stessi religiosi; - la stessa tradizione della vita religiosa può essere rappresentata dal tron-co dell’albero, che sviluppandosi nel tempo, si accresce rielaborando la lin-fa originale che proviene in continuazione dal suo Fondatore;- i rami vengono, così, a rappresentare la diversità degli ordini e delle tra-dizioni religiose, collegati tutti insieme allo stesso tronco, cioè alla tradi-zione ecclesiale, ma diramati nello spazio, in varie forme e dimensioni, cioècon delle loro caratteristiche che, comunque partecipanti dello stesso tron-co, lo “rielaborano” secondo le loro peculiarità;- le foglie possono essere identificate con i singoli religiosi. Infatti, come

le prime, ricevendo la luce del sole, permettono la fotosintesi clorofilliana,e quindi la vita dell’albero, i secondi ricevono da Dio il suo Spirito, per “tra-sformare” la linfa dell’unica tradizione della vita religiosa e, con la loro spe-cificità di individui, incarnano e arricchiscono ulteriormente sia i consigli evan-gelici che stanno alla base dalla tradizione della vita consacrata, sia i cari-smi specifici della propria famiglia religiosa, nonché sostenendo la vita ditutta la Chiesa;- i fiori e i frutti dell’albero, in questo modo, sono rappresentativi della bel-lezza e della fecondità della santità dello Spirito manifestata e vissuta daireligiosi stessi.Sintetizzando, quindi, è possibile affermare che la tradizione religiosa, ori-ginata dalla volontà del Padre, è inserita nella vita della Chiesa, dalla qua-le riceve il sostegno e il sostentamento, attraverso la partecipazione allastessa tradizione ecclesiale, che ha in Cristo la sorgente, specificando, attra-verso le peculiarità delle famiglie religiose dei singoli consacrati, le impli-cazioni e la varietà delle conseguenze dell’accoglimento dei consigli evan-gelici, per poter manifestare la varietà e la bellezza della santità, cioè del-la presenza dello Spirito e dei suoi molteplici doni.La vita religiosa, in ultima analisi, è caratterizzata da questa duplice dimen-sione, una verticale-trinitaria - cioè teologica, cristologica e pneumatologi-

ca - e una orizzontale-ecclesiologica.Mancando una delle due non si potràmai avere un albero completamente svi-luppato, ma esisterà uno stelo che sisviluppa solo in altezza, ma senza spa-zialità, oppure un arbusto che si allar-gherà orizzontalmente, ma a cui man-ca lo slancio verso l’alto. Inoltre, restando sempre nell’orizzontedella metafora dell’albero, ci si può con-centrare sulla varietà e la diversità deirami di quest’ultimo e, per esperienzacomune, evidenziare il fatto che esistonorami più grandi e sviluppati, oltre chepiù vecchi, e rami più giovani e menosviluppati che, a loro volta, si sviluppanocome ramificazione a partire dai ramipiù grandi, oppure nascono direttamentedal tronco. Fuor di metafora, allo stesso tempo, que-st’immagine permette di concentrare l’at-tenzione sull’esistenza di diverse fami-glie religiose, alcune con una lunga econsolidata tradizione, altre di forma-zione più recente, che si sviluppano apartire da quelle più tradizionali, oppu-re nascono direttamente attingendo allatradizione religiosa dei tre consiglievangelici. In tutti i casi, comunque, lavita religiosa è uno sviluppo e una con-cretizzazione della povertà, della casti-tà e dell’obbedienza vissute nella cari-tà (cfr. LG 43).

In ultima analisi, quindi, l’esistenza di molteplici ramificazioni all’interno del-la vita religiosa, più che una frammentazione, sta a significare una speci-ficazione, contestualizzata nel tempo e nello spazio, dell’unica tradizionedei tre consigli evangelici, di modo che questi siano riattualizzati e, di vol-ta in volta, specificati, anche grazie all’affiancamento di altri voti e carismispecifici, che non vogliono essere altro che il modo concreto con cui la cari-tà, che è la via con cui i consigli evangelici vengono condotti al loro fine(cfr. LG 42), viene praticata storicamente. Ciò comporta, tra le altre cose, che qualunque forma o famiglia religiosagià esistente e qualunque altra verrà fondata in seguito, per dirsi veramentetale, dovranno essere, pur nella novità e specificità, riconducibili a quellatradizione religiosa costante nella vita della Chiesa, che trova fondamen-to e nutrimento nella pratica dei tre consigli evangelici di povertà, castitàe obbedienza.Quindi, in forza di questo dinamismo di concretizzazione storica dei con-sigli evangelici, guidati dalla carità, «si sono così sviluppate varie forme divita solitaria e comunitaria, sono sorte varie famiglie che promuovono il pro-gresso spirituale dei loro membri e il bene di tutto il corpo di Cristo» (LG 43).In altre parole, il compito delle forme di vita e delle famiglie religiose deveessere quello di uno sviluppo spirituale dei singoli religiosi e del bene ditutta la Chiesa. Infatti, di fronte alla necessità, e al tempo stesso difficoltà,di dover comprendere il modo di concretizzare i carismi specifici della vitareligiosa insieme ai tre consigli evangelici, le famiglie religiose e le prati-che di vita consacrata, nei confronti dei singoli consacrati, si configuranocome il modello e l’assicurazione di stare progredendo sulla giusta via trac-ciata dalla carità e di stare custodendo e realizzando correttamente la loroprofessione religiosa (cfr. LG 43). A conclusione di questo primo paragrafo del capitolo sui religiosi, i padriconciliari hanno cercato di precisare il rapporto tra lo stato di vita religio-so e quelli dei chierici e dei laici. In negativo, «lo stato religioso non sta inmezzo tra la condizione dei chierici e quella dei laici» (LG 43). In positivo,invece, questo attinge, per volontà e libera chiamata di Dio, da entrambigli stati, affinché i vocati aiutino, nel modo a loro proprio, la missione sal-vifica della Chiesa (cfr. LG 43).

Nell’immagine del titolo: L’albero della croce, Taddeo Gaddi, 1330.

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1818 GennaioGennaio20152015

Laura Dalfollo

Gennaio 2015, apre alle “gioie e speranze” che vengono riposte in unnuovo anno, ai progetti e agli obiettivi che animano il nostro vivere inuna tensione misto eccitazione per il futuro che speriamo pieno di “bel-le soprese”. Non è sempre facile, anzi molto spesso questo entusiasmosi va spegnendo e con esso i nostri buoni propositi. Le prime delusioniabbattono il morale, si dimenticano gli obiettivi e gli impegni presi connoi stessi e con il Signore. Il 2015 si offre, però, alla nostra riflessione,come anno particolare e ricco di spunti per poter progettare un itinera-rio di piccoli impegni, che possano essere appuntamenti con la storia ela vita della Chiesa.Il 30 novembre, prima domenica di Avvento, non è stata solo l’inizio del-l’anno liturgico, bensì anche l’apertura dell’anno della Vita Consacrata,già annunciato da papa Francesco il 29 novembre 2015. Al contempo,in questo stesso anno, la chiesa ricorda il cinquecentesimo anniversa-rio della nascita di Santa Teresa d’Ávila, avvenuta il 28 marzo 1515.Il cammino con la Chiesa ci chiama ad una riflessione sulla consisten-za e sul senso stesso dei consigli evangelici abbracciati come proprioradicale stile di vita, una riflessione sulla vita consacrata oggi, a cui lacoincidenza o una non dichiarata intenzione, pone di fronte l’esempiosanto di Teresa con la sua vita consacrata a Dio e la sua storia pienadella ricchezza di grazia che la caratterizza. Diamo inizio ai nostri pen-sieri con una premessa che ci accompagnerà fino al termine dello scrit-to, necessaria per la comprensione profonda e l’unità, non evidente, frai diversi stati di vita, le diverse forme di vivere, amando e lodando Dio.Vita consacrata; cosa indica precisamente questa espressione? Non siamo forse tutti consacrati nel battesimo, rigenerati nello SpiritoSanto e chiamati ad essere noi stessi “tempio dello Spirito” e di con-seguenza fare del mondo dimora di Dio? La vita consacrata diviene espressione di una condivisione del-la comunione nello Spirito nei diversi stati di vita, fra cui la vitareligiosa, alla quale la denominazione di “vita consacrata”viene sottolineata in modo particolare, ma non esclusi-vo. Tutti noi possiamo cogliere elementi di aiuto perintendere sempre più profondamente la nostra esi-stenza come cristiana, espressione della rispo-sta alla chiamata personale, riconosciuta nelcuore ed espressa nella vita di tutti giorni.Diviene allora importante riflettere sul pro-prium della consacrazione vissutanella pienezza dello “stato di vita reli-giosa” come donazione integra-le e esclusiva a Dio nella seque-la del Cristo secondo i con-sigli evangelici.La famosa poesia di S.Teresa “Nulla ti tur-bi”, che tutti cono-sciamo, capa-ce di scal-darci il cuore,permette diintravvederela totalità del-l’amore cheogni necessitàsa colmare. “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi: tutto passa. Dio non muta.Tutto ottiene la pazienza; a chi Dio possiede nulla manca. Dio solo basta”Dio da solo, nel suo abbraccio, nella sua vicinanza, ricolma tutti gli spa-zi dell’anima, ogni necessità è nelle sue mani, nella sua forza, la sua

fedeltà è per sempre e non cambia.La vita consacrata però non ha un Dioparticolare, bensì un modo partico-lare di vivere il rapporto con Dio: nel-la dimenticanza totale di sé per un amo-re esclusivo, espresso nella castità,l’abbandono dei beni terreni per unapurificazione e libertà spirituale, vis-suto nella povertà, e la filiale fiduciasperimentata e accolta, nell’obbedienza.La sequela di Cristo così vissuta, nel-l’abbraccio del “consigli evangelici” anti-cipa la vita eterna di piena e totalecomunione con Dio. Solo Dio basta,come diceva S. Teresa, solo Dio, fon-te, centro e culmine dell’esistenza. Allora ecco che ritorna la domanda iniziale: non è forse per tutti così?Sì, Dio chiama tutti a una vita santa, in povertà, in castità e obbedien-za, ma non tutti sono chiamati a rispondere allo stesso modo.Ogni persona è chiamata alla sequela di Cristo in modalità che realiz-zano i consigli evangelici, incarnandoli nel concreto di un rapporto per-sonale su cui si fonda la fede nel Dio di Gesù Cristo. Ecco perché valela pena iniziare un percorso di approfondimento della realtà della vitaconsacrata. La riflessione deve portarci a comprendere che non esisteun noi e voi, un loro che cerca di identificare una fumosa categoria. Esistono modalità diverse di rispondere a una unica Grazia, ad un uni-co amore, che irrompe nella vita dei singoli, e in quella di alcuni in modoche possano giungere a dire: Vivo ma non vivo in me e attendo una

tal vita da morirne se non muoio. Vivo fuori di me e muoio d’a-more perché vivo nel Signore che mi volle tutta sua. Quando

gli donai il cuore lui vi incise la frase muoio se non muoio.Questa prigione divina, l’amore in cui vivo, ha reso Dio

la mia preda e libero il mio cuore.Consacrare la vita a Dio secondo la radicalità dei con-

sigli evangelici è direttamente proporzionale alla for-za con la quale percepiamo la sua chiamata, al desi-

derio di vivere nell’amore, quell’Amore che è Diostesso e che si fa preda, irraggiungibile, per

una corsa di intensità verso una libertà sem-pre più piena.

S. Teresa qui ci parla di un amore incon-tenibile per il Signore, da qualificarne

la vita intera che ormai nulla con-ta. Teresa è come Paolo,

quando ai Filippesi dice: “Perme infatti il vivere è

Cristo e morire unguadagno”.

Niente ha sensoe lo sguardo è

solo rivoltoalla vita inDio, propriocome fu perCristo, in unaradicalità chediviene sta-

to di vita. La decisione di un anno dedicato alla vita consacrata si sof-ferma su questo peculiare stato di vita, come ha esortato Papa Francesco,oggi servono tre parole gioia, coraggio e comunione, proprio perché oggipiù che mai, una vita così offerta al Signore diviene testimonianza di auto-

Santa Teresa de Jesus,Jose de Ribera.

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1919GennaioGennaio20152015

donazione a Dio in Cristo e, di conseguenza logica, dono ai fratelli nel-l’amore. Tale testimonianza per risultare credibile deve essere testimo-nianza della gioia di vita con Cristo, affinché sia contagioso, coinvolgente,deve essere coraggiosa, perché non è semplice andare ad annunciareCristo in un mondo che pare lo abbia dimenticato e deve essere segnoinconfondibile della comunione profonda con Dio nell’amore per poteressere amore al prossimo.Il desiderio di vivere una vita in Dio può essere concretamente speri-mentato nell’amore ai fratelli, nella reale e sincera risposta alla sua gra-zia, non in una passiva attesa, ma in un’attiva presenza nel mondo, secon-do ciò di cui il mondo oggi necessità: credibile pratica di vita e non ari-da teoria. L’approfondimento dei consigli evangelici, con l’aiuto di unatestimone della carica di S. Teresa d’Ávila, è un cammino a noi possi-bile come presenza in questo anno dalle particolari attenzioni e ricor-renze, per ritrovarci sulle strade del mondo in comunione con la Chiesae con tutti i consacrati che nelle loro diverse forme vivono radicalmen-te i consigli evangelici, così radicalmente da desiderare nel cuore di poterdire “muoio se non muoio”, da poter sentire lo strazio della lontanan-za, pur nell’estrema vicinanza, ed essere oggi ispiratori, affascinanti lucidella fiamma che mai si spegne, del fuoco che brucia e non consuma,di quella vita già riconsegnata al suo amante creatore e per questo pos-seduta nella sua pienezza dell’oggi per il di più del domani.

Nell’immagine: dalle Allegorie francescane affreschi della volta a crociera del-l'altare maggiore della Basilica inferiore di Assisi. Attribuiti a Giotto e alla suabottega (in particolare al Parente di Giotto e al Maestro delle Vele), sono data-bili al 1334 circa.

Allegoria della Povertà

La figura della Povertà ("S.[ancta] Paupe[ri]tas") sta al centro, coi piedi tra rovi, sim-bolo delle difficoltà della vita, che però alle sue spalle si trasformano in rose. Cristole tiene la mano destra avvicinandola allo sposo, san Francesco, che le porge l'a-nello. Essa a sua volta lo passa poi a destra a due virtù teologali, riconoscibili dal-le iscrizioni e dai colori delle vesti: la Speranza in verde e la Carità col mantellorosso, che ha il capo cinto di rose e offre in cambio un cuore agli sposi. Ai lati riem-piono la scena due gruppi di angeli.Agli angoli inferiori si trovano altre scene simboliche: a sinistra un giovane offre ilsuo mantello a un povero, prendendo ad esempio quello che Francesco fece in gio-ventù, mentre a destra tre giovani rifiutano l'invito di un angelo a seguire l'esempiofrancescano, voltando le spalle: essi simboleggiano i peccati capitali della Superbia,dell'Invidia e dell'Avarizia. Il primo è un giovane ricco, con un falcone al braccio,che indirizza un gesto osceno alla Povertà (il gesto delle fiche, ricordato anche daDante, ottenuto infilando il pollice tra l'indice e il medio); l'Invidia è l'uomo incap-picciato che porta la mano al petto, mentre l'Avarizia è un uomo che tiene ben stret-to al petto un gruzzolo di denaro in una borsa. Al centro in basso si trovano altrefigure che disprezzano la povertà: un cane che abbaia, un bambino che tira un sas-so e un altro che con un bastone molesta la Povertà, la quale però li ignora.In alto infine due angeli offrono a Dio, apparso di scorcio nel nimbo nell'angolo supe-riore della vela, un modellino di un palazzo con giardino e una veste con ornamentie galloni dorati, simboli dei beni terreni. La figura di Dio che si protende in avantimostrando la parte superiore della nuca è dei bracci è un'invenzione giottesca digrande efficacia, il cui prototipo viene fatto risalire alla scena del Battesimo di Cristonella Cappella degli Scrovegni.La scena mostra scioltezza nella rappresentazione narrativa e una grande perizianella caratterizzazione individuale dei personaggi, nella cura dei dettagli e nella descri-zione dell'ambiente.

Decreto della Penitenzieria apostolica col quale si stabilisce l’opera da compiersi

per poter conseguire l’indulgenza nel corso dell’Anno della Vita Card. Mauro Piacenza*

Decreto:

Avendo l’Em.mo Cardinal Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica testé richie-sto a questa Penitenzieria Apostolica che fosse debitamente determinato il requisito per poter conseguire il dono delle Indulgenze,che il Santo padre Francesco, in occasione dell’imminente Anno della vita consacrata, intende elargire per il rinnovamento degliIstituti religiosi, sempre con la massima fedeltà verso il carisma del fondatore e, per offrire ai fedeli di tutto il mondo una feliceoccasione di corroborare la Fede, la Speranza e la Carità, in comunione con la Santa Romana Chiesa, su specialissimo mandato delRomano Pontefice, questa Penitenzieria Apostolica volentieri concede Indulgenza plenaria, alle consuete condizioni (confessionesacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre) a tutti i singoli membri degli istituti di vitaconsacrata e agli altri fedeli veramente pentiti e mossi da spirito di carità, da lucrarsi dalla prima Domenica di Avvento del corren-te anno fino al 2 febbraio 2016, giorno in cui l’Anno della vita consacrata solennemente si chiude, da potersi applicare a mo’ di suf-fragio anche per le anime del Purgatorio: a)A Roma, ogni volta che parteciperanno ad Incontri internazionali e celebrazioni determinate nell’apposito calendario della Congregazioneper gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e per un congruo lasso di tempo si applicheranno in pie considera-zioni, concludendo con il Padre Nostro, la Professione di fede in qualsiasi forma legittimamente approvata e pie invocazioni allaVergine Maria; b) In tutte le chiese particolari, ogni volta che, nei giorni diocesani dedicati alla vita consacrata e nelle celebrazioni diocesane indet-te per l’Anno della vita consacrata, piamente visiteranno la cattedrale o un altro luogo sacro designato col consenso dell’Ordinariodel luogo, o una chiesa conventuale o l’oratorio di un Monastero di clausura e ivi reciteranno pubblicamente la Liturgia delle Oreo per un congruo lasso di tempo si applicheranno in pie considerazioni, concludendo con il Padre Nostro, la Professione di fede inqualsiasi forma legittimamente approvata e pie invocazioni alla Beatissima Vergine Maria. I membri degli Istituti di vita consacrata che, per malattia o altra grave causa siano impossibilitati a visitare quei luoghi sacri, potran-no ugualmente conseguire l’Indulgenza plenaria se, col completo distacco da qualsiasi peccato e con l’intenzione di poter adem-piere quanto prima le tre consuete condizioni, compiano la visita spirituale con desiderio profondo e offrano le malattie e i fastididella propria vita a Dio misericordioso attraverso Maria, con l’aggiunta delle preghiere come sopra. Affinché quindi questo accesso al conseguimento della grazia divina attraverso le chiavi della Chiesa, più facilmente si compia permezzo della carità pastorale, questa Penitenzieria prega assiduamente che i canonici penitenzieri, i capitolari, i sacerdoti degli Istitutidi vita consacrata e tutti gli altri provvisti delle opportune facoltà per ascoltare le confessioni, si offrano con animo disponibile egeneroso alla celebrazione del sacramento della Penitenza e amministrino spesso la Santa Comunione agli infermi. Il presente Decreto ha validità per l’Anno della vita consacrata. Nonostante qualsiasi disposizione contraria. Emesso a Roma, dalla sede Penitenzieria Apostolica, il 23 Novembre 2014, nella solennità di Cristo Re.

*Penitenziere maggiore

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2020 GennaioGennaio20152015

Stanislao Fioramonti

LL’8 dicembre, solennità dell’ImmacolataConcezione, non è festa solo diValmontone, che alla “Concetta” riser-

va da circa tre secoli una devozione speciale,ma anche delle religiose pugliesi Figliedell’Immacolata - suor Margherita e suor Carla- che da più di mezzo secolo (52 anni per laprecisione) operano in mez-zo a noi a vantaggio delle per-sone più semplici e bisognose.Esse appartengono a un Istitutoreligioso femminile di dirittodiocesano, cioè non fanno par-te di un ordine o congrega-zione religiosa, approvate dalpapa, ma di una istituzionereligiosa più piccola appro-vata da un vescovo locale.Il loro Istituto fu fondato il 2febbraio 1940 ad Andria(Bari) da suor Maria Aloisiadell’Immacolata (MichelinaAddamiano), nata a Cerignola(Foggia) il 3 febbraio 1900;nacque come Istituto Figliedell’Immacolata per l’Infanziaderelitta, con lo scopo pre-cipuo di educare, istruire e assi-stere l’infanzia provata dal-la sventura dell’abbandono o della morte dei geni-tori. Unita alla concittadina Maristella Conte, nataanch’essa a Cerignola il 17 marzo 1897 e dive-nuta suora di Maria Immacolata nel febbraio 1940,le due amiche presero in locazione due stan-zette in via Boemondo a Bari e diedero vita alprimo nucleo dell’Opera per l’infanzia derelitta.Con aiuti vari l’Istituto poteva in seguito pren-dere più idonea sede sempre a Bari in via Napoli.Questa diveniva la Casa Madre dell’Opera, con40 suore e 100 bambine. Sorsero in seguito suc-cursali nella medesima Bari, in Andria, aPutignano, a Roma, a Valmontone. Deceduta il 21 agosto 1955 suor Aloisia, che fula prima Madre Generale dell’Istituto, il peso del-la direzione generale veniva a cadere su suor

Maria Stella dell’Immacolata (Maria Conte), natanel 1896, la quale infondeva all’istituzione nuo-vo slancio e nuovo impulso; a lei successe suorRosa Cafà. La Regola e le Costituzioni della comunità furo-no approvate da Mons. Giuseppe Di Donna (1901-1952), dell’Ordine Trinitario, venerabile, vesco-vo di Andria dal 1940 alla morte, che il 2 mag-gio 1943 consacrò l’istituto al Cuore Immacolato

di Maria. Sorto all’inizio del-la II Guerra Mondiale, alla qua-le sono seguiti tempi discarse vocazioni religiose,l’Istituto ha trovato difficoltàad incrementarsi e a diffon-dersi. Oggi ha come attivitàl’accoglienza agli anziani, l’as-sistenza agli infermi e ilservizio Caritas. E’ formatoda 8 sorelle in tutto, due nel-la casa di Valmontone e seia Bari (dove la responsabi-le è suor Giuseppina DiCuonzo, ottantenne).Nel 1962 fu aperta la casadi Valmontone, una delle nuo-ve villette costruite a ColleTocciarello, e un bel gruppodi Figlie dell’Immacolata ini-ziavano a svolgere la loro atti-vità nel locale ospedale civi-

le “Vittorio Emanuele III”, che aveva aperto i bat-tenti il 20 agosto di quell’anno. Due di esse erano diplomate infermiere: suorMargherita (Laura) Scattarelli, entrata nell’Istitutonel 1944 come orfanella e divenuta religiosa il16 luglio 1951, e la foggiana suor Carla (Elvira)Lauriola, entrata come religiosa il 16 ottobre 1956.La prima era incaricata della Sala Parto, dellaSala Gessi, della Sala Operatoria, dell’Ambulatorio, della Farmacia e della sorveglianzadel personale inserviente infermieristico; la secon-da faceva funzione di caposala del reparto Donne.Ad esse si associarono suor Sofia Mola (9 novem-bre 1913 – Valmontone 14 marzo 1992), primasuperiora di Villa Immacolata e dell’ospedale;suor Albina Romano, facente funzione di capo-

sala del reparto Uomini (rimasea Valmontone solo due anni); esuor Antonina Angelillis, addet-ta alla cucina e al guardaroba. Il servizio delle suore infermiere,che erano state reperite dal chi-rurgo prof. Giuseppe Mazzoni tra-mite un’agenzia di Bari, eraregolato da una convenzione sti-pulata tra l’Amministrazionecomunale di Valmontone e la CasaMadre dell’Istituto. Essa preve-deva tra l’altro un orario di ser-vizio ordinario nei reparti dalle 8alle 13 e dalle 16 alle 20, con ripo-

so settimanale la domenica; la suo-ra addetta ai servizi di ProntoSoccorso, Sala Operatoria eSala Parto poteva essere chia-mata in caso di effettiva neces-

sità anche fuori orario; la Madre superiora pre-siedeva all’armonia dei servizi, sorvegliando ilconsumo dei generi alimentari, la tenuta dei regi-stri degli introiti quotidiani dell’Ospedale, l’as-sistenza religiosa dei malati, insomma il coor-dinamento di tutti i servizi, in collaborazione conil Direttore sanitario. Della vita dell’ospedale di Valmontone le suo-re conservano un ricordo nitidissimo; tantissi-mi gli episodi belli, tragici o curiosi da esse vis-suti. Raccontano della donna di Roma opera-ta di cancro dello stomaco che per morire vol-le la presenza di suor Carla; della ragazza rico-verata da suor Margherita con i dolori di pan-cia come per un’appendicite, e invece era unagravidanza arrivata al momento del parto sen-za che nessuno se ne accorgesse; dellanecessità nei primi tempi di riportare i morti acasa loro (una salma fu accompagnata fin sul-la parte più alta di Artena vecchia!) per la man-canza della camera mortuaria. Ma il ricordo più bello per le due suore è forsequello del bimbo prematuro partorito da una don-na in eclampsia gravidica; pesava solo 600 gram-mi e fu dimesso in perfetta salute dopo un anno,durante il quale fu quotidianamente curato, nutri-to e accudito da tutto il personale dell’ospeda-le. Nell’assiduo impegno lavorativo e religiosodelle due suore, durato decenni, pochissime sonostate le giornate particolari; una fu quella del 17settembre 2006, quando ad esse fu consegnatoun diploma con l’Encomio Solenne della Cittàdi Valmontone, riconoscente per l’opera da loroprestata nell’ospedale civile. Una domenica di novembre del 1981 venne aValmontone il cardinale Giuseppe Paupini(1907-1991), Penitenziere Maggiore, in visita pri-vata alle Figlie dell’Immacolata nella loro casadi colle Tocciarello; due religiose, compagne diquelle di Valmontone, lo assistevano in casa.Un altro cardinale amico e protettore dell’Istituto

Foto 3.

Foto 2.

Foto 1.

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2121GennaioGennaio20152015

è stato Corrado Ursi, nato ad Andria il 29 luglio1908, ordinato sacerdote a Molfetta il 25 luglio1931, vescovo di Nardò nel1951 e di Acerenza dal 1961,il 23 maggio 1966 nomi-nato Arcivescovo di Napolie cardinale il 26 giugno 1967,deceduto il 29 agosto2003. Le suore conservanouna sua foto, datata 10 ago-sto 1982, con questa dedi-ca: “Pace a Villa Immacolata!Benedico le benemeriteSuore Figlie dell’Immacolata.Auspico per loro perfezionereligiosa e apostolica. Laloro casa sia fonte digioia cristiana”. Il 19 luglio 1987 egli tra-scorse un giorno a VillaImmacolata per festeggiarecon tanti invitati valmontonesi

il 25° anniversario della presenza di suor Carlae compagne in paese. Nel 2012 si è festeggiato

il loro 50° anno tra noi.Suor Carla e suor Margheritanon sono più in servizionell’ospedale (hanno smes-so rispettivamente nel1970 e nel 1990) ma sonorimaste a Valmontone, laprima come superioradella casa, la seconda anco-ra ricercata come infermierama purtroppo bloccatain casa da una brutta frat-tura a una gamba.Continuano a offrire gra-tuitamente i loro servizi pro-fessionali (e non solo) aquanti li richiedono e a col-laborare con le parrocchiedel paese, esercitando ilministero straordinario

della Comunione e coadiuvando nelle funzionireligiose e nelle celebrazioni eucaristiche. La lorocappella privata, che custodisce il SS. Mo Sacramentodai tempi del vescovo Dante Bernini che lo con-cesse, tre volte a settimana (il martedì, giove-dì e sabato) viene aperta agli abitanti del quar-tiere che, lontani dalla chiesa parrocchiale, pos-sono agevolmente partecipare alla Messa offi-ciata dai Frati Minori del Convento S. Angelo,p. Giulio e p. Rocco. L’indirizzo delle Figlie dell’Immacolata diValmontone è: Casa “Villa Immacolata”, ColleTocciarello 29 - Tel. 069598380.

Didascalie delle foto: 1) Suor Carla e suor Margherita con il card. Ursi il19 luglio 1987. 2) Suor Sofia Mola (a sinistra) e un’altra consorellanella casa di Bari tra le ragazze postulanti. 3) Suor Sofia e il prof. Giuseppe Mazzoni, chirurgodell’Ospedale di Valmontone. 4) Il vescovo di Segni Luigi Carli con il parroco donPaolo Cocchia visita l’ospedale di Valmontone.

Sara Calì

SSarebbe impossibile parlare della chiesa del Convento senza accen-nare a quel secolo austero e rigoroso che attraverso il mece-natismo del Cardinale Scipione Borghese diede ad Artena l’as-

setto artistico e urbanistico che ancora oggi sembra identificarla. Acquistatacome feudo nel 1614, conobbe poco dopo un periodo di prosperità e dipace in concomitanza con un piano di ristrutturazione del paese che die-de vita all’attuale Piazza della Vittoria, all’Arco Borghese,alla strada del borgo sospesa su una doppia fila di caver-ne artificiali. Risale a quel periodo anche la costruzio-ne della strada che dalla piazza conduce fino al Conventoe l’Osteria, in seguito sede delle Suore di San Vincenzo,deputata all’accoglienza di quanti erano diretti a Napoli.Altre opere rilevanti furono la sistemazione del Palazzoe la costruzione, iniziata nel 1629, della chiesa di SantaMaria di Gesù, su disegno del celebre architetto roma-no Giovan Battista Sorìa con annesso il Convento peri Frati Minori che già del XIII secolo erano presenti adArtena, nel conventino dell’Arcangelo, isolato nella mon-tagna e che, secondo la tradizione artenese, lo stessoS. Francesco aveva onorato della propria presenza.«Trovandosi il Cardinale gravemente ammalato fece chia-mare il servo di Dio Fra Innocenzo da Chiusi, france-scano, di cui era assai devoto, per raccomandarsi allesue preghiere. Lo pregò anche di intercedere per DonnaCamilla Orsini, moglie di Marcantonio Borghese che nonaveva prole. A cui il servo di Dio, rispose con quella fidu-cia che è propria dei Santi. Disponendosi egli ad edifi-care un convento e lo dedicasse a S. Maria di Gesù,sperava, per l’intercessione di S. Anna, che il Cielo, avreb-be esauditi i suoi voti, concedendo a lui la salute e la sospirata prole aDonna Camilla. Difatti, il Cardinale da quel momento cominciò a miglio-rare, e la principessa ottenne il desiderato figliolo» (B. Spila, Memoriestoriche della Provincia Riformata Romana, Roma t. I, 200). Il Convento e la chiesa vennero edificati alle radici del Monte Foresta,detto anche Torrione della Guardia perché al tempo del Papa Paolo IVi soldati vi montavano di guardia. La chiesa, con i suoi cinque altari e isuoi numerosi quadri, tra i quali spicca quello posto sull’altare maggio-

re che rappresenta il SS. Nome di Gesù, susci-ta ancora oggi profonda commozione al ricor-do dei meravigliosi canti in latino, sulle note del-

l’organo ottocentesco, da cui si levavano solenni le voci cristalline deifratini miste a quelle più poderose dei frati più grandi, durante le SS. Messee le funzioni religiose. L’anima sembrava davvero innalzarsi e avvicinarsi alle beatitudini divi-ne. Vi erano anche dei magnifici corali miniati, in pergamena. Per il viag-giatore che arriva a piedi dalla via Latina, dopo Colle dei Fiori, appareall’improvviso il panorama del Paese con la Chiesa che svetta in mez-zo al verde, imponente ma slanciata ed elegante nelle linee strutturali

sulla cui facciata si legge: SCIP. EPISCOPUS SABIN. S.R.E. CARDI-NALIS BURGHESIUS M. POENITENTIAR. ANNO DOMINI MDCXXXIII.La torre campanaria fatta innalzare da P. Antonio da Montefortino nel1742 fu terminata due anni dopo la chiesa. Costruito sempre dal Soria,il Convento fin dal sec. XVII divenne sede di due importanti scuole, unadi teologia per i religiosi e una di filosofia per i secolari dando così l’op-portunità ai giovani artenesi di istruirsi, ma di questo parleremo più appro-fonditamente nel prossimo numero.

Foto 4.

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2222 GennaioGennaio20152015

don Gaetano Zaralli

QQuella mattinac’era in parroc-chia un matri-

monio. Al momento del-la comunione i due spo-si erano sull’altare al miofianco, il papà teneva inbraccio il bambino nato cin-que mesi prima. Ho spezzato la mia ostiain tre parti, due di questele ho affidate ai coniugi per-ché se le donasserovicendevolmente. Il bam-bino ancora non mangiavala pappa, purtroppo… Incaso contrario avrei datovolentieri anche a lui un frammento di quell’ostia, perché provasse anchelui con mamma e papà il sapore dell’amore… Il solo pensare possibi-le la partecipazione familiare al banchetto eucaristico, ha suscitato nel-l’animo dei fedeli presenti un fremito di emozione. Era bello anche dalpunto di vista estetico il fatto che stava accadendo sull’altare: la spo-sa, pienotta nel suo abito bianco, lo sposo orgoglioso di essere già padree il bimbetto serio e composto con i suoi bei cinque mesi di vita… La gente non è sciocca; se ben guidata, afferra con immediatezza ilsignificato dei segni e con altrettanta immediatezza traduce quei segniin esperienza autentica di vita comunitaria. Questa è la Chiesa. Ci fuun afflusso particolare al momento della comunione: mi si è svuotatala pisside e ho dovuto attingere altre particole dalle riserve. Ora sonoa casa e, mentre consumo il pranzo, un dubbio viene a farmi da con-torno: se avessi avuto la possibilità di dare al bambino quel frammen-to d’ostia, e se l’avessi fatto, quell’atto poteva costituire sacrilegio percaso? Certo, mi son detto, se si considera profanazione dare l’euca-restia a un neonato… sì, sì… avrei compiuto un sacrilegio!…Col dubbio risolto solo a metà tastai il polso dei miei amici su Facebook,postando il problema allo stesso modo di come l’ho raccontato ora. Nonvi dico i consensi per l’idea avuta sull’altare… Solo in un secondo momen-to qualcuno, indottrinato nella maniera giusta, scrisse che il sacerdotecol suo comportamento avrebbe compiuto un atto non giusto, perché“non si può concedere la prima comunione a un bimbetto di pochi mesi”…Sullo scenario di Facebook, dove si è aperto il confronto, tutti stannolì pronti ora a scandalizzarsi, semmai una qualche autorità ecclesia-stica dovesse intervenire nel dialogo per riportare ordine sull’altare, maga-ri negando il pezzettino di ostia al bimbetto… Nell’aria frullava una cer-tezza: c’è forse anima più innocente di quella di un bambino in gradodi accogliere l’amore di Cristo? Sono momenti importanti questi per infor-mare i fedeli su come stanno realmente le cose.

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica2120. Il sacrilegio consiste nel profanare o nel trattare indegnamentei sacramenti e le altre azioni liturgiche, come pure le persone, gli ogget-ti e i luoghi consacrati a Dio. Il sacrilegio è un peccato grave soprat-tutto quando è commesso contro l’Eucarestia, poiché, in questo sacra-mento, ci è reso presente sostanzialmente il Corpo stesso di Cristo.

Dal Codice di Diritto CanonicoCan. 914 – E’ dovere anzitutto dei genitori e di coloro che ne hanno leveci, come pure dei parroci, provvedere affinché i fanciulli che hanno

raggiunto l’uso di ragio-ne siano debitamentepreparati e quanto prima,premessa la confessionesacramentale, alimenta-ti di questo divino cibo; spet-ta anche al parroco chenon si accostino allasacra Sinassi (Riunione)fanciulli che non hanno rag-giunto l’uso di ragione oavrà giudicati non suffi-cientemente disposti.

Ora sono più tranquillo: aicattolici che si interessa-no all’argomento ho datogli strumenti idonei pergiudicare il comporta-

mento di quel prete che voleva rifilare la comunione ad un bimbetto dicinque mesi… Il buonsenso, purtroppo, non è sufficiente a risolvere ilproblema, quando le leggi sono senza cuore e certe conclusioni teo-logiche sembrano voler fare a meno dell’intelligenza. Qualcuno mi chiede se è il Vangelo a vietare la comunione a chi nonha ancora raggiunto l’uso di ragione (compresi i malati di mente), e altridicono: perché mai la chiesa che fa tante storie per l’Eucarestia, obbli-ga poi i genitori a battezzare i bambini appena nati a dispetto della loroincoscienza?… Non sono tutti e due i sacramenti portatori di Grazia?E se la FEDE dei genitori è supporto di altra fede che crescerà col tem-po nell’animo del bimbo battezzato, perché l’AMORE degli stessi geni-tori, alimentato dall’eucarestia non può da subito essere altro Amoreper il figlio che mangia già la minestrina?Attorno al sacramento dell’Eucarestia si sono create delle barriere cosìfitte e talmente incomprensibili da renderlo disumano. E’ il colmo: ciòche doveva essere “banchetto” attorno al quale accogliere i peccatori,è diventato un tavolo immaginario occupato da una lobby di privilegia-ti “innocenti”; di ciò che doveva mantenere il profumo di una “cena”,dove i bambini fanno un tutt’uno con la famiglia, hanno fatto un bun-ker con divieti incomprensibili… Il CENACOLO, che era un luogo di ritro-vo per mangiare insieme una pizza o per celebrare la Pasqua con gliamici, è diventato TEMPIO, BASILICA, CATTEDRALE dove continua-no a incontrarsi i fedeli, non per una pizza, ma per una messa, il piùdelle volte stanca e noiosa… non per un rito che si rifà all’AGAPE fra-terna, ma per un insieme di cerimonie grandiose, spettacolari che alprofumo di cose buone preferiscono il fumo dell’incenso.

Si informa che l’unica condizione essenziale per dare la comu-nione eucaristica è che la persona sia battezzata (una volta dove-va essere anche confermata). Per questo i nostri fratelli cattolici di rito orientale, seguendouna prassi comune anche alla Chiesa Ortodossa danno la comu-nione al neonato appena battezzato.La disposizione del Diritto Canonico riguarda una prassi par-ticolare della Chiesa Cattolica Latina e la citazione del Catechismonon è applicabile in questa circostanza.

ndr

Nella foto del titolo: La comunione ad una neonata nella Chiesa Ortodossa.

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mons. Franco Risi

II l Concilio Vaticano II ha dedicato al rap-porto tra la Chiesa e le altre Religioni non-cristiane una dichiarazione, la Nostra Aetate,

che invita gli uomini di buona volontà ad ope-rarsi per la realizzazione della pace e il rispet-to per il creato. Nell’introduzione leggiamo il motivo di fondo cheispira questa tema: «I vari popoli costituisconouna sola comunità. Essi hanno una sola origi-ne, e poiché Dio ha fatto abitare l’intero gene-re umano su tutta la faccia della terra, hannoun solo fine ultimo, Dio, la cui provvidenza, testi-monianza di bontà e disegno di salvezza si esten-dono a tutti, finché gli eletti saranno riuniti nel-la città santa, che la gloria di Dio illuminerà edove i popoli cammineranno nella sua luce». Questo insegnamento ci può aiutare a capirela verità fondamentale riguardante il rapporto traChiesa e Religioni non-cristiane. Infatti leggia-mo ai numeri 2, 3 e 4 le caratteristiche che uni-ficano tutte le grandi Religioni, come l’Induismo,il Buddismo, l’Islam e l’Ebraismo, offrendo di ognu-na di queste una breve presentazione e sotto-lineando una verità molto importante nei riguar-di di tutte, cioè che «La Chiesa Cattolica nullarigetta di quanto in queste Religioni è vero e san-to. Essa, con sincero rispetto, considera queimodi di agire e di vivere, quei precetti e quelledottrine che, quantunque in molti punti differi-scano da quanto essa crede e propone, tutta-via non raramente riflettono un raggio di quel-la Verità che illumina tutti gli uomini. Essa peròannuncia, ed è tenuta ad annunziare incessantemente,Cristo che è «la Via, la verità e la vita» (Gv 14,6), nel quale gli uomini trovano la pienezza del-la vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliatoa sé tutte le cose». Da questo principio scaturisce il fatto che nonsi può negare che questa dichiarazione abbiaavuto un carattere profetico nell’aprire la men-te ed il cuore dei cristiani al dialogo con le altreReligioni. Inoltre, tanti altri fattori hanno avutotale riscontro: la liberazione dal potere colonialee l’immigrazione progressiva che hanno porta-to in tutto il mondo diverse personalità cristia-ne a cercare uno scambio religioso, di caratte-re spirituale ed a volte teologico, tra Cristianesimoed Induismo-Buddismo, e contemporanea-mente favorendo l’incontro con l’Islam. La dichiarazione Nostra Aetate, al numero 3, riguar-dante la Religione musulmana, mette in evidenzache «La Chiesa guarda con stima anche i musul-mani, che adorano un unico Dio, vivente e sus-sistente, misericordioso ed onnipotente, crea-tore del cielo e della terra, che ha parlato agliuomini. Essi cercano di sottomettersi con tuttoil cuore ai decreti nascosti di Dio, come si è sot-tomesso Abramo, al quale la fede islamica volen-tieri si riferisce. Benché essi non riconoscanoGesù come Dio, lo venerano però come profe-ta, onorano Maria, la sua madre verginale, e tal-volta la invocano con devozione. Inoltre atten-dono il giorno del Giudizio quando Dio retribui-rà tutti gli uomini resuscitati […]». La Chiesa esorta a dimenticare il passato met-

tendo da parte tutti i dissensi sorti tra cristianie musulmani e cercando con loro la mutua com-prensione ed a promuovere insieme, per tutti gliuomini, la giustizia sociale, i valori morali e ladignità della persona umana, la pace, la liber-tà ed il rispetto del creato. Ciò ce lo ha ricor-dato lo stesso papa Francesco facendo una sin-tesi del suo viaggio in Turchia: «è l’oblio di Dioe non la sua glorificazione, a generare la vio-lenza. Per questo ho insistito sull’importanza chei cristiani e i musulmani si impegnino insiemeper la solidarietà, per la pace e la giustizia, affer-mando che ogni Stato deve assicurare ai citta-dini e alle comunità religiose una reale libertàdi culto».Per quanto riguarda il rapporto tra cristiani edEbrei, in questi ultimi tempi si va diffondendouna mentalità molto favorevole al dialogo ed allareciproca conoscenza. Troviamo riscontro di que-sto nella dichiarazione Nostra Aetate, dove siafferma che «La Chiesa di Cristo infatti ricono-sce che gli inizia della sua fede e della sua ele-zione si trovano già, secondo il disegno divinodella salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei pro-feti. Essa riconosce che tutti i fedeli cristiani, figlidi Abramo secondo la fede, sono inclusi nellavocazione di questo patriarca e che la salvez-za della Chiesa è misticamente raffigurata nell’Esododel popolo eletto dalla terra di schiavitù. […] LaChiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace,ha riconciliato i Giudei ed i pagani per mezzodella sua croce e che dei due ha fatto un popo-lo in se stesso». Le radici della fede cristianascaturiscono dal popolo ebraico: Gesù, nato daMaria vergine per opera dello Spirito Santo, face-va parte di questo popolo, ed anche gliApostoli, le colonne su cui si fonda la Chiesa,vennero scelti tra gli Ebrei. Anche gran parte deiprimi discepoli che hanno accolto e annuncia-to il Vangelo al mondo provenivano dalla fedegiudaica. San Giovanni Paolo II, a conferma diquanto detto, suggellerà questa espressione con-

ciliare: «se è vero che la Chiesa è il nuovo popo-lo di Dio, gli Ebrei non devono essere presen-tati come rigettati da Dio», infatti con una cele-bre frase pronunciata in Germania così disse:«Dio ha contratto con Israele un’alleanza maiirrevocata». In questa prospettiva la dichiara-zione Nostra aetate afferma che: «La Chiesa con-danna tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo,memore del patrimonio che essa ha in comu-ne con i Giudei, e spinta non da motivi politicima da religiosa carità evangelica, deplora gli odi,le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’anti-semitismo dirette contro i Giudei in ogni tempoe da chiunque». Infine, l’ultimo punto della Dichiarazione al n. 5ha come titolo LA FRATERNITA’ UNIVERSALE:«Non possiamo invocare Dio come Padre di tut-ti gli uomini se ci rifiutiamo di comportarci da fra-telli verso alcuni fra gli uomini che sono creatia immagine di Dio […]. Di conseguenza, la Chiesacondanna, come contraria alla volontà di Cristo,ogni discriminazione tra gli uomini e ogni per-secuzione perpetrata per motivi di razza o di colo-re, di condizione sociale o di religione». Ogni uomo e donna di buona volontà è chia-mato a realizzare un mondo nuovo adoperan-dosi per la pace, per la pace vera e autenticache nasce solo da una reciproca conoscenzae rispetto per le diversità di religione, di pensiero,di ideologie, di sesso, di razza e di cultura. La pace, quella vera, quella di Cristo, promuo-ve relazioni di fratellanza, alla luce della comu-ne paternità divina. L’augurio che questo nuovo anno sia vissuto datutti e da ciascuno all’insegna di una reciprocaconoscenza che metta in risalto episodi di soli-darietà, di generosità, di riconciliazione e di rispet-to di tutto il creato, salvaguardando la dignitàdi ogni persona.

Nell’immagine del titolo: il Mufti illustra la moschea a PapaFrancesco nel recente viaggio in Turchia, foto AFP.

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2424 GennaioGennaio20152015

p. Vincenzo Molinaro

NNel giorno di santa Luciaavvio un po’ in sordina del-l’attività di formazione di

questo nuovo anno pastorale. Il pic-colo teatro di S. Maria Intemeratain Lariano in larga parte non era occu-pato. La concomitanza con le mol-te iniziative natalizie ha colluso conil programma diocesano. Questo non ha davvero abbassa-to il livello della relazione tenuta daDon Paolo Gentili, responsabile del-l’ufficio di pastorale della famigliapresso la CEI. Il tema era allettante,il passaggio dalla attenzione alla fami-glia tradizionale alle realtà nuoveche la società sta evidenziando contutte le contraddizioni che sono sot-to gli occhi nostri. Ecco il tema: Il cammino di speranzadel Sinodo: sui passi di EvangeliiGaudium. L’impulso che viene daPapa Francesco è quello di aprir-si alle nuove situazioni, di non chiu-dersi al sicuro dentro le sacrestie,al contrario la chiesa “in uscita” è una delle qua-lità più care al Papa. Essa sintetizza la manieradi porsi dei missionari cristiani nei confronti di unasocietà e di tanti cattolici che a parole così si defi-niscono mentre nei fatti sono lontani da ogni con-tatto con la fede. Il cammino sinodale, come sap-piamo, si è aperto con un questionario in cui tut-ti i credenti sono stati chiamati a partecipare allaindividuazione della strada maestra che la fami-glia cristiana potrà percorrere, offrendo a tutti laricchezza del Vangelo e superando gli scogli dellegalismo come pure quelli della riduzione del van-gelo a pura tradizione umana. Altrettanto avverrà, forse con più tempo a disposizione,per il prossimo sinodo che si terrà a Ottobre 2015.Coloro che vorranno far giungere la loro voce aiPadri Sinodali potranno prendere visione del que-

stionario che sarà reso pubblico a breve e, attra-verso le diocesi, inviare le loro riflessioni.Nell’incontro del 13 dicembre, la diocesi era rap-presentata da alcune coppie di fidanzati e dal Gruppofamiglie di Lariano, poi c’erano varie coppie di Colleferro,una di Segni, una di Artena e una di Velletri. Speriamoche al prossimo incontro del 25 gennaio, sare-mo più numerosi da tutte le parrocchie.

La teoria del genderQuello che ha suscitato scalpore e una reazio-ne violenta è stato il cenno fatto da don Paoloalla mentalità dominante che rischia di diventa-re fattore culturale. Il relatore manifestava la preoc-cupazione che l’atteggiamento così diffuso di dife-sa e protezione delle teorie legate al gender pos-sa danneggiare la concezione millenaria di una

famiglia fondata sulla differenzasessuale aperta alla procreazio-ne. Evidente che non si possa par-lare di famiglia quando non esi-ste possibilità alcuna di procrearecome nel caso di unioni di per-sone dello stesso sesso. Forsea causa di una imperfetta com-prensione delle parole del rela-tore c’è stata una interruzione conuna durissima affermazione di rifiu-to di ogni contatto o ascolto ver-so la condizione degli omoses-suali che ha preoccupato gli astan-ti. Sono stati citati articoli edocumenti sempre con una vio-lenza verbale che è segno di unaintransigenza e di una durezzache non corrisponde a nessunadelle qualità della Chiesa volutada Papa Francesco. Nella circostanza, è stato concessoil tempo sufficiente per l’intervento,anche se estemporaneo, poi almomento della discussione è sta-to riproposto il medesimo argo-mento con altrettanta virulenza.

A questo punto è stato necessario troncare pernon correre il rischio di monopolizzare l’incontro.Riflessione: non possiamo immaginare unachiesa che propone il Vangelo con nuovi crocia-ti. Se questi parlassero in piazza, verrebbero zit-titi dall’indifferenza. Parlare dentro un contesto formativo di personeche vogliono approfondire l’insegnamento del Sinodo,con un tono e con parole che sono all’antitesi del-lo stile sinodale, vuol dire non avere ragioni vali-de e coprire questa carenza solo con la durez-za del linguaggio. Non saranno queste le paro-le da dire in ambito familiare o scolastico ma nem-meno nel cammino dei nostri fidanzati.

La convivenza, segno dei tempiAltro tema affrontato nella relazione è stato quel-lo del fidanzamento, un tempo di grazia e di sco-perta di sé e dell’altro, quindi grande risorsa nel-la preparazione al matrimonio. Oggi, a causa delle storture della società, que-sto tempo diventa indefinito, favorendo il calo del-la tensione affettiva e progettuale a causa dellacondizione di incertezza da un lato e dalla faci-le assuefazione a quel minimo che al momentosembra appagante. La mancanza di lavoro, o unlavoro volatile e poco remunerato, impedisce aigiovani di guardare con serenità al domani e aprogettare nei tempi giusti. Così l’apparente starbene insieme è privato della esperienza della fati-ca del cammino a due e mentre ci si illude di fareun cammino di coppia si rimane single alla ricer-ca di compagnia.Questo è confermato dalla facilità delle separa-zioni di coppie che fanno lunghi fidanzamenti eanche lunghe convivenze, sentendosi però cia-scuno a casa propria. Nel momento invece di assumersi delle respon-sabilità comuni, sono impreparati ad affrontarle.Così il sì pronunciato anche davanti all’altare nonregge alla valanga di preoccupazioni, distrazio-

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2525GennaioGennaio20152015

Costantino Coros

CCostruire uno “spazio-relazio-nale” che accompagni lungoun cammino di discerni-

mento verso una prospettiva di aiu-to alla scoperta dei talenti, propri e comu-ni, che spinge al servizio e all’aiutoreciproco, in vista di una società dalvolto umano1. Questo è l’obiettivo dell’iniziativa“Itinerari di educazione al BeneComune”, ideata e promossa dall’AzioneCattolica diocesana con la partecipazionedel Servizio diocesano per la Pastoralegiovanile, il progetto Policoro e la col-laborazione del Servizio DiocesanoFormazione Permanente. Si tratta diun percorso triennale che prevede treo quattro incontri per ciascun anno,su temi riguardanti la politica, l’eco-nomia, il sociale e la società, la cit-tadinanza, le comunicazioni sociali. Sivuole proporre un ambito nel quale con-tribuire a far crescere spazi di parte-cipazione e dibattito, fornendo nel contempo, alcu-ni strumenti per rendere possibile una presa incarico dei compiti civici e della convivenza socia-le. Tali strumenti di esercizio alla ‘partecipazio-ne civica’ possono essere concepiti in forma dicompetenze che si traducono a loro volta nellacapacità di mettere in atto comportamenti a par-tire da una coscienza; un fare a partire da un esse-re. Discutere e argomentare, così come la capa-cità riflessiva di riesaminare le azioni alla lucedei principi della Dottrina Sociale della Chiesa,divengono i mezzi per deliberare e agire su inte-ressi collettivi, secondo un orizzonte orientato alperseguimento del Bene comune. Il lavoro per il Bene comune è apporto genero-so all’interesse collettivo, sostegno all’equità ealla valorizzazione di tutti. Ne deriva che edu-care al Bene comune non significa semplicementeinsegnare o trasmettere un contenuto, ma vuoldire accompagnare alla riscoperta di relazioni auten-tiche. Nella tradizione del pensiero cristiano il Benecomune è l’equilibrio fra quello di tutti e di cia-scuno, così come definito dal personalismo di JacquesMaritain. Papa Giovanni XXIII lo identifica come

“l’insieme delle condizioni sociali che consento-no e favoriscono negli esseri umani lo sviluppointegrale della loro persona” (Mater et magistrap. 51; citazione ripresa in Pacem in terris p. 35,mentre al p. 54 vi si trova l’espressione più ampiadi “bene comune universale”). Papa Paolo VI, sot-tolinea ancora in modo più esplicito il rimandoalla integralità della persona umana (Populorumprogressio). In questi ultimi tempi si sente spesso pronunciarela parola/concetto ‘Bene comune’. Politici, ammi-nistratori, opinion leaders, conduttori televisivi,editorialisti, nei loro interventi e discorsi fanno fre-quentemente riferimento a questo termine, tan-t’è che appare abusato. Così tanto utilizzato chesi è perso di vista il suo significato più vero. IlBene comune è elemento decisivo e qualificantedi una democrazia fondata sulla partecipazionevolta a realizzare il bene di tutti e di ciascuno2.Appartiene alla sfera dell’etica, non a quella deldiritto o dell’amministrazione, come si vuol far cre-dere. In quest’ultima accezione perde di senso,diventa impersonale, si ‘burocratizza’. Il Bene comune, al contrario è “essenzialmente

umano”. E’ una categoria appartenente “al tut-to sociale e si misura anzitutto in rapporto ai finidella persona. Interessa i costumi dell’uomo, inquanto essere libero che deve usare della liber-tà per la propria ed altrui crescita globale”3. Il Bene comune è l’insieme delle condizioni socia-li che consentono ai singoli e ai gruppi di rag-giungere la loro pienezza umana (Costituzioneconciliare Gaudium et spes). Aristotele e San Tommasodicevano che il Bene comune è la vita retta del-la moltitudine. Ciò implica un’educazione mora-le e civile della persona al fine di determinareuno sviluppo umano integrale, solidale e trascendente.Questa è la prospettiva di riferimento rispetto all’in-segnamento sociale della Chiesa.La vita personale e sociale non può essere ridot-ta al solo sviluppo materiale, ignorando la dimen-sione etica e religiosa. La crescita del senso diDio e della conoscenza di sé, e cioè, la cresci-ta di fede, speranza e carità e la purificazionedella vita personale e sociale da tutto quanto con-trasta uno sviluppo integrale, sono componentiessenziali di un autentico sviluppo umano.4

ni, difficoltà che sono pane quotidiano per ognicoppia. E’ come se arrivare al matrimonio dopotanti anni di fidanzamento o di convivenza aves-se tolto ai giovani lo smalto, e la determinazio-ne ad affrontare con spirito costruttivo le provequotidiane.

Parrocchia, diocesi e famigliaSi delinea così il ruolo della comunità cristianain questo scenario. E’ un ruolo innovativo, di pro-posta, di servizio. A tutti i livelli. Si comincia conla conoscenza e l’amicizia costruite intorno agliincontri in cui ci si apre a una fraternità non piùoccasionale o strumentale ma di testimonianza. La figura dell’équipe sacerdote e famiglia concreta,con i problemi e con i limiti dovuti ai tempi, alle

esigenze dei figli, apre nuove prospettive.L’amicizia, lo scambio, l’ascolto. L’équipe deve dareil messaggio che la comunità parrocchiale è il luo-go adatto dell’incontro, della conoscenza e quin-di dell’accoglienza e del perdono. Se riesce a tra-durre il messaggio in testimonianza sarà l’occa-sione buona per fare di un gruppo di giovani fidan-zati un gruppo di amici e di famiglie di credentiritrovati. Questo, e non prima, sarà anche il momen-to della liturgia condivisa.La famiglia di origine a questo punto va valoriz-zata. Quindi bisogna tornare indietro al momen-to del battesimo, ossia alla scelta fatta dai geni-tori che sta per essere confermata dal matrimonio-sacramento dei figli. I genitori che sono ripetu-tamente invitati a non immischiarsi, vanno anchericonosciuti non solo nel ruolo di finanziatori.

Favorire quindi gli incontri con i genitori dei fidan-zati, sia nella liturgia che nella formazione e nel-la condivisione, può risultare elemento preziosoper costruire una rete di contatti e di sostegno sem-pre più solida. Il rilancio fatto da don Paolo al docu-mento dei vescovi italiani, Educare alla vita buo-na del vangelo, rimanda al prossimo incontro diret-to esplicitamente ai fidanzati. Sarà don Enzo Bottacini, vice direttore dell’uffi-cio di pastorale della famiglia presso la CEI a pro-porlo. Rinnovo pertanto l’invito a tutti i fidanzatidella diocesi, per Domenica 25 gennaio 2015 aLariano, presso il teatro della parrocchia, sul tema:“Dacci oggi il nostro amore quotidiano”. La gioiadel sì per sempre.

*Delegato vescovile per la Pastorale Famigliare

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2626 GennaioGennaio20152015

Lo sviluppo non può essere quindi ridotto al soloprogresso economico. Esistono anche beni trascendenti che appartengonoai fini ultimi della persona. Di questi fanno par-te diritti fondamentali come la libertà, l’uguaglianza,la fraternità e il divieto ad ogni tipo di discrimi-nazione. Da ciò deriva che un’azione educativae culturale è fondamentale per formare coscien-ze che aspirano al Bene comune.Il Bene comune è annunciato e realizzato nel donoche Gesù risorto ha fatto all’umanità (Gv 20, 19-23 e 14,17). Il Figlio ha indicato la concretezzadi questa prospettiva, realizzabile nel vivere socia-le, quando si è mantenuto fedele all’amore neiconfronti del Padre, nel momento in cui il maleinfuriava. Facendo così, ha reso inutile il male;l’ha piegato e vinto. E’ questa la prospettiva diriferimento che si deve tenere sempre fissa nel-l’agire per il Bene comune. Vero è che lo speci-fico del laico è l’indole secolare, ma ha il com-pito di trattare le cose del mondo ordinandole secon-do la parola di Dio.Come si è accennato in precedenza il principiodi Bene comune si trova esplicitato nei documentiche compongono la Dottrina Sociale dellaChiesa (DSC). Quest’ultima rappresenta il pas-saggio ministeriale dal Vangelo all’ambito doveesso deve essere applicato. La DSC sta dentroe non dopo il Vangelo.L’enciclica Sollicitudo rei socialis di PapaGiovanni Paolo II al punto 41 afferma che: “[...]la dottrina sociale della Chiesa non è una «ter-za via» tra capitalismo liberista e collettivismo mar-xista, e neppure una possibile alternativa per altresoluzioni meno radicalmente contrapposte: essacostituisce una categoria a sé. Non è neppureun’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risul-tati di un’attenta riflessione sulle complesse real-tà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel con-testo internazionale, alla luce della fede e dellatradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di

interpretare tali realtà, esaminandone la confor-mità o difformità con le linee dell’insegnamentodel Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione ter-rena e insieme trascendente; per orientare, quin-di, il comportamento cristiano. Essa appartiene,perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teo-logia e specialmente della teologia morale.L’insegnamento e la diffusione della dottrina socia-le fanno parte della missione evangelizzatrice del-la Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indiriz-zata a guidare la condotta delle persone, ne deri-va di conseguenza l’«impegno per la giustizia»secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni diciascuno. All’esercizio del ministero dell’e-vangelizzazione in campo sociale, che è un aspet-to della funzione profetica della Chiesa, appar-tiene pure la denuncia dei mali e delle ingiusti-zie. Ma, conviene chiarire che l’annuncio è sem-pre più importante della denuncia, e questa nonpuò prescindere da quello, che le offre la verasolidità e la forza della motivazione più alta”. Snodo essenziale è porre al centro la personae la sua dignità. Quando però la giustizia e il benecomune sono intesi nel loro aspetto formale, ossiacome insieme d’istituzioni e strutture sociali chepermettono di coordinare la libera azione dei cit-tadini in favore delle proprie concezioni partico-lari di bene, la democrazia è ridotta a un sem-plice sistema di regole, posto a servizio di unasupposta libertà. Senza riferimento alla verità del bene umano, acca-de che si determina un ordine vuoto di morali-tà, governato da poteri antidemocratici, come quel-li delle concentrazioni mediatiche e finanziarie.5

Tutti - individui, stati, comunità - sono tenuti a por-tare il proprio specifico contributo alla realizza-zione del Bene Comune e della pace. “Un dono di Dio affidato all’impegno umano”, secon-do Benedetto XVI. Tutti sono egualmente impe-gnati a regolare i reciproci rapporti nella verità,nella giustizia, nella solidarietà operante e nel-la libertà. “La riflessione sull’universalità dei dirit-

ti fondamentali e quella sulla loro sinergiacon i doveri inderogabili, sono importanti, par-ticolarmente oggi, di fronte a una crisi checoinvolge tutti, comunità internazionali, sta-ti e individui; che colpisce soprattutto i piùdeboli, sia fra le comunità e gli stati, sia fragli individui; che segnala la carenza e il biso-gno di valori e regole. Quei valori - secondo un’indicazione forte,di matrice tanto laica, quanto cristiana, richia-mata dal magistero di Benedetto XVI - sonoespressi dalla dignità, la quale raccoglie esintetizza la universalità, la indivisibilità e l’ef-fettività dei diritti umani: ‘la dignità di ogniuomo è garantita veramente soltanto quan-do tutti i suoi diritti fondamentali vengono rico-nosciuti, tutelati e promossi... I diritti fondamentali, al di la della differen-te formulazione e del diverso peso che pos-sono rivestire nell’ambito delle varie cultu-re, sono un dato universale, perché insiti nel-la stessa natura dell’uomo’. E non v’è modo più efficace - per conclu-dere anche laicamente una riflessione sul-le nuove prospettive per quei diritti oggi, di

fronte alla crisi globale - dell’augurio formulatoda Benedetto XVI: “costruire un mondo dove ogniessere umano si senta accolto con piena digni-tà e dove i rapporti tra gli individui e i popoli sia-no regolati dal rispetto, dal dialogo e dalla soli-darietà”.6

L’uomo è anteriore allo Stato (principio personalista- J. Maritain). La conseguenza di ciò porta ad accet-tare realmente che al centro del sistema vi siala persona umana con diritti e doveri, a comin-ciare dal diritto alla vita; base di tutte le libertàfondamentali, che si qualificano anche in liber-tà di pensiero, educazione, associazione, com-presi il diritto al lavoro e tutti gli altri diritti civili.7

L’uomo è il centro di tutta la vita economico-socia-le e porta con sé la responsabilità verso gli altri.Infatti, affinché ci sia vera e autentica giustiziasociale tutti devono essere responsabili di tutti,considerando però, che oltre ai diritti, vi sono anchedoveri d’assolvere. A questo punto del discorso appare utile richia-mare la definizione di Bene comune contenutanel punto 167 del Compendio della DSC, dovesi dice che: “il bene comune impegna tutti i mem-bri della società: nessuno è esentato dal colla-borare, a seconda delle proprie capacità, al suoraggiungimento e al suo sviluppo. Il bene comune esige di essere servito pienamente,non secondo visioni riduttive subordinate ai van-taggi di parte che se ne possono ricavare, ma,in base ad una logica che tende alla più largaassunzione di responsabilità. Il bene comune èconseguente alle più elevate inclinazioni dell’uomo,ma è un bene arduo da raggiungere, perché richie-de la capacità e la ricerca costante del bene altruicome se fosse proprio. Tutti hanno anche il dirit-to di fruire delle condizioni di vita sociale che risul-tano dalla ricerca del bene comune”. A tal proposito, suona ancora attuale l’insegna-mento di Pio XI. Il Santo Padre ricordava a tut-ti che: “bisogna procurare che la distribuzione deibeni creati, dei quali ognuno vede quanto ora siacausa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochistraricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricon-dotta alla conformità con le norme del bene comu-ne e della giustizia sociale”.8

Nell’immagine del titolo: Una foto di bambini afghani di Epasayed Mustafa.

1 AA.VV., Alla Ricerca del Bene Comune, a cura di G. Quinzi,U. Montisci, M. Toso, LAS, Roma 2008, p.170. 2 AA.VV., Alla Ricerca del Bene Comune, a cura di G. Quinzi,U. Montisci, M. Toso, LAS, Roma 2008, p.11. 3 J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Torino 1962,p.241 in AA.VV., Alla Ricerca del Bene Comune, a curadi G. Quinzi, U. Montisci, M. Toso, LAS, Roma 2008, p.11.4 AA.VV., Alla Ricerca del Bene Comune, a cura di G. Quinzi,U. Montisci, M. Toso, LAS, Roma 2008, p.114.5 AA.VV., Alla Ricerca del Bene Comune, a cura di G. Quinzi,U. Montisci, M. Toso, LAS, Roma 2008, p. 114.6 Nuove prospettive per i diritti fondamentali. Relazionedel presidente emerito della Corte Costituzionale, GiovanniMaria Flick, alla Pontificia Università Gregoriana, Roma,venerdì 12 giugno 2009.7 B. Sorge, Introduzione alla Dottrina Sociale della Chiesa,Queriniana editrice, Brescia, 2006, p.147.8 PIO XI, Quadragesimo anno, 15 maggio 1931.

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2727GennaioGennaio20152015

LLunedì 15 dicembre u.s. S.E. mons. Andrea Maria Erba Vescovo

emerito di Velletri-Segni è stato ricevuto in udienza privata

da Benedetto XVI papa emerito. Ad accompagnare mons. Erba

c’era anche fratel Gianfranco Vicini e p. Gonzalo.

Nell’incontro cordiale dal clima quasi familiare il papa Ratzinger

e mons. Erba hanno ricordato momenti particolari, iniziative ed

eventi riguardanti la nostra Diocesi.

Al termine del colloquio durato circa 25 minuti il Santo Padre

ha benedetto i presenti e la Diocesi tutta.

Tonino Parmeggiani

Nel testo, edito nella circostan-za del 25° di Episcopato, vengo-no ripercorsi i momenti salientidella sua vita di religioso, studiosoe pastore.

IIn occasione del 25° anni-versario del suo Episcopato,(6 gennaio 1989 – 2014),

Mons. Andrea Maria Erba,Vescovo Emerito della nostra dio-cesi di Velletri-Segni, ha steso unnuovo testo dal titolo «Le mie Memorie»: si trat-ta di un agile volumetto di 46 pagine che rico-struisce la sua vita da religioso, da parroco, dastudioso, da professore ed infine da Vescovo. I vari temi sono stati svolti per lo più nella for-ma dell’ intervista e vanno a ripercorrere, in ordi-ne cronologico, tutti i momenti della sua vita,rivelando altri aspetti che non potevano esse-re noti se non a chi gli era vicino e vogliamocitare qui Fratel Gianfranco Vicini, dello stes-so ordine barnabita, che per tanti anni gli è sta-to vicino raccogliendo di continuo notizie rela-tive agli avvenimenti che lo hanno interessato.

Veniamo così a conoscere i variperiodi percorsi nel suo camminoformativo, dall’ entrata nel semi-nario minore a Cremona all’e-tà di 12 anni (a 9 anni aveva rice-vuto la cresima dal cardinalSchuster), vocazione promos-sa sì dal suo parroco ma che ave-va le radici profonde nella vitacristiana della sua famiglia, al suc-cessivo noviziato a Monza, cit-tà vicina al suo paese nataleBiassono ed, infine, il semina-rio maggiore e gli studi classi-

ci a Firenze. Poi si trasferì a Roma dove, pres-so l’Università Urbaniana studiò Teologia e, nel-la chiesa di S. Antonio Maria Zaccaria, venneordinato sacerdote il 17 marzo 1956 dalCardinal Confalonieri; numerosi poi gli incari-chi all’interno del suo ordine, fino ad arrivarealla nomina a Parroco di san Carlo ai Catinari,nell’anno 1982 e di qui, nemmeno dopo sei anni,giunse inaspettata la nomina a nostro Vescovodiocesano. Come studioso ricordiamo l’insegnamento,tenuto per ben 19 anni, fino alla sua nomina aVescovo, presso l’Università Urbaniana di

Roma nella cattedradi Storia della Chiesa;per la competenzastorica e teologicaacquisita, nonchè laperizia nel discerne-re le virtù eroiche e imiracoli, gli valsero lanomina a Consultoree poi a Membro del-la Congregazione perle Cause dei Santi,compito che ha svol-to per 15 anni, perio-do in cui furono trat-tate ben 373 cause. Come relatore curòimportanti casi, uno pertutt i S. Pio daPietrelcina; i volumi,

rilegati in rosso, che raccoglievano i processidelle singole cause (arrivavano mensilmente pri-ma di ogni seduta della Congregazione), i qua-li spesso erano dell’ordine di diverse centinaiadi pagìne ognuno (a volte anche di più di un volu-me!), nel suo studio riempivano una parete inte-ra, per cui viene spontaneo domandarsi dovetrovava il tempo di leggerli.“Dio mi ha dato il dono di essere uno scritto-re”, scrive Mons. Erba, e questo carisma lui loha sempre messo a servizio degli altri, scrivendomolti articoli sulla storia dell’ordine barnabiti-co, un testo “Storia della Chiesa” di riferimen-to per il corso universitario che tenevaall’Urbaniana, una collaborazione con l’OsservatoreRomano durata ben 46 anni! pubblicando 212tra articoli e recensioni, oltrechè la direzione del-le riviste “Euntes Docete” dell’Urbaniana e del“Eco dei Barnabiti” ed, in ultimo, ci piace ricor-darlo, collaborando con il nostro ‘Ecclesia in cam-mino’ che vide la luce proprio durante il suo epi-scopato. L’Editrice del Verbo Incarnato ha pub-blicato inoltre, fin dall’anno 2006, più volumi degliscritti del Vescovo Erba, per un totale di oltre1.000 pagine, opere che abbiamo sempre recen-sito su Ecclesia. Alcune pagine delle Memorieinfine, ricostruiscono gli eventi legati alla nomi-na a Vescovo, alla sua Ordinazione Episcopaleed alla presa di possesso della diocesi.Il libro, edito dall’Editrice del Verbo Incarnato,è stato nel contempo anche il motivo per ricor-dare il 10° anniversario dell’erezione canonicadiocesana dell’ Istituto del Verbo Incarnato (IVE),il 24 maggio 2004, e del ramo femminile delle”Serve del Signore e della Vergine di Matarà”(SSVM) il 24 marzo 2004, entrambi gli IstitutiReligiosi erano presenti in diocesi con propriecase già da cinque anni; pertanto è ovvio chesiano stati evidenziati nel testo i rapporti tra Mons.Erba e gli Istituti suddetti. Una notizia forse daguinness dei primati: nel 2001 Mons. Erba ordi-nò ben 49 sacerdoti dell’IVE in una sola cele-brazione nella cattedrale di La Plata inArgentina! Il 1 gennaio cade anche il suo compleannoper cui vogliamo associarci anche noinegli auguri.

Un nuovo scritto di S. E. Mons. Andrea M. Erba:

«Le mie Memorie»

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p. Antonio Scardella ofm conv., parroco

IIl rapido sviluppo demografico della città diColleferro nella seconda metà degli anni cin-quanta fece nascere la necessità di costrui-

re una nuova Chiesa parrocchiale. Chiamati dalvescovo diocesano di allora Mons. PietroSeveri, i Frati Minori Conventuali acquistaronoun terreno al lato della via Consolare Latina eil 13 maggio del 1956 veniva posta la prima pie-tra di quella che sarebbe diventata la ChiesaParrocchiale di Maria SS. Immacolata. I lavorieffettivi iniziarono il 29 novembre dell’anno seguen-te; la nuova Chiesa venne consacrata Il primomaggio del 1964 da mons. Luigi Carli, vesco-vo di Segni ed affidata alla cura pastorale di P.Gaetano Gizzi. La Chiesa è a pianta centrale (croce gre-ca) e la facciata è movimentata da un gran-de arco trionfale. Un aereo campanile siinnalza sul lato sinistro della struttura. Annodopo anno, con la collaborazione dei fede-li, la Chiesa è stata abbellita con prege-voli opere d’arte tra cui il grandioso mosai-co centrale dell’abside raffigurantel’Immacolata, opera dell’Istituto del mosai-co del Vaticano.In occasione del 25° dell’istituzione del-la Parrocchia, venne eseguito un artisti-co tabernacolo riproducente la facciata del-la Chiesa. Sotto l’impulso dei parroci suc-cedutesi e con il sostegno economico dialcuni benefattori, soprattutto la famigliaFagiolo, furono costruite nuove sale par-rocchiali. Da segnalare la costruzione del-la Cappellina interna dedicata a S.Massimiliano M. Kolbe.La nostra provincia per voce e per inte-ressamento dell’allora p. provinciale P.Luigi Cefaloni ha voluto fortemente la rea-lizzazione di questo complesso (convento

e parrocchia) e i vari parroci che si sono sus-seguiti hanno portato questa comunità parroc-chiale ad essere una vera comunità di fede. Molti sacerdoti hanno contribuito con la loro ope-ra e con i loro sacrifici a questa realizzazione,basti ricordare: P. Gaetano, P. Quintino, P. Fernando,P. Ercole, P. Antonio e tanti collaboratori e vice-parroci; molti di loro hanno già raggiunto la casadel Padre e ha visto la presenza di religiosi del-la Romania, del Brasile. Quindi con gioia chequesta comunità ha voluto festeggiare questicinquanta anni di storia e di fede. Certo chi l’havista nascere, si sarà accorto del suo cambia-mento attraverso gli anni, specialmente in que-sto ultimo decennio. Celebrare il 50° di una par-rocchia, non significa solo preparare grandi even-ti e grandi manifestazioni, ma soprattutto con-

vertirsi. Per questo motivo, abbia-mo chiesto al Signore di darci ildono della conversione, del per-dono reciproco, e della pace, pernoi e per la nostra chiesa. Il nostropensiero e ringraziamento va tut-ti coloro che nell’arco degli anni,hanno contribuito alla realizzazionedella nostra realtà parrocchiale.Ricordiamo ancora la bellezza cheman man ha acquisito la nostraChiesa: proprio ultimamente è sta-ta portata ad uno splendorenotevole. Ricordiamo i tre porto-ni di bronzo, opere uniche nel suogenere e che narrano la vita di Gesùe di S. Francesco; quattro gran-di mosaici in armonia con l’immaginedella Madonna esistente tenen-do presente il taglio francescanocon le figure di Francesco e Chiara,inoltre il rifacimento dell’impian-to di riscaldamento e di illumina-zione, il rifacimento totale del tet-to e della tinteggiatura interna, e

la lucidatura del pavimento. In occasione del 50°è stato inaugurato un organo a canne di note-vole bellezza.Il giorno sette nella messa della Domenica, congrande afflusso di fedeli, il nostro vescovo Mons.Vincenzo Apicella assistito dal parroco PadreAntonio Scardella, dal provinciale dell’O.F.S. PadreTrani e da altri sacerdoti, ha conferito l’accoli-tato a tre nostri parrocchiani: Alberto, Sante eVincenzo; il lettorato ad altri due Maurizio e Lorenzo.A fine messa il parroco ha ringraziato e salu-tato Padre Paolo, che torna nel suo Brasile eha dato il benvenuto a P. Teofilo.La Santa Messa vespertina con una partecipazionestraordinaria presenza di fedeli è stata anima-ta della corale Polifonica”G.B.Martini”, sotto la

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direzione artistica del maestro Massimo Di Biagio. La serata si è conclusa, con una processionedella Madonna Pellegrina, con grande parteci-pazione di fedeli, del sindaco e di tutte le auto-rità cittadine. Il giorno otto, festa dell’Immacolata,patrona della nostra parrocchia, Il parroco, assi-stito per la prima volta dai nuovi accoliti e dainuovi lettori, ha celebrato solennemente la san-ta messa; grandissima è stata la partecipazio-ne di fedeli e di bambini che recavano in manoun fiore da offrire alla statua della Madonna. La corale Butterfly ha eseguito per la primavolta l’inno del 50’ della parrocchia(parole delparroco, musica di Buccitti). Al termine della SantaMessa, alla presenza dell’autorità cittadine cona capo il sindaco Cacciotti, si è svolto il rito del-l’offerta del cesto di fiori alla Madonna, sita sul-l’alto del campanile.L’anno del 50° della parrocchia è stato imper-niato alla riscoperta dei sacramenti.Si è iniziato a gennaio con la “ FESTA DELLAMESSA e della Comunità” che si celebra ognianno la domenica dopo la festa di S. Antonioabate. Nello stesso giorno le note del nuovo orga-no, inaugurato per l’occasione, hanno accom-pagnato il canto della corale “G.B. Martini”. Ildue febbraio festa de” La presentazione di Gesùal tempio” nella S. Messa c’è stato il “ Rinnovodelle promesse battesimali” da parti di tutti i par-tecipanti.Il 22 e 23 di marzo, terza domenica di quare-sima, abbiamo celebrato la “festa degli Sposi”con il rinnovo delle promesse nuziali di tutte lecoppie presenti (con relativo pranzo).Il giorno 11 maggio il coro gospel di Ponte Mammolodi Roma (ex-nostra parrocchia), ha allietato laserata. Il giorno 18 maggio in serata, il concertodella corale Butterfly di Colleferro.Nel mese di maggio la comunità ha riscopertoil valore della cresima e della comunione, in occa-sione dei sacramenti che hanno ricevuto i bam-bini e i ragazzi.Il 31 maggio e il 1° giugno “Festa della nostraparrocchia”, in serata solenne processione perle vie della città, con grande partecipazione dipubblico e delle autorità cittadine.

Il 5 giugno pellegrinaggio maria-no nella città di Itri, preso ilsantuario della Madonna del-la Civita.Il giorno 11 ottobre con il concerto polifonico delcoro “G. B.Martini”, e il coro nazionale unghe-rese sono ripresi i festeggiamenti . Il giorno 18ottobre messa solenne con la partecipazionedi tutti i sacerdoti che hanno svolto mansionedi parroco o viceparroco nella nostra parrocchia.Il primo novembre messa in suffragio per tuttii frati defunti della nostra parrocchia, mentre ilgiorno 8 è stata celebrata una messa solen-ne di tutti i defunti della parrocchia dal 1964 adoggi. Il giorno 15 novembre l’O.F.S. di Colleferroha festeggiato la sua patrona santa Elisabettanell’occasione è stato scoperto un quadro gigan-

te raffigurante Gesù” Divina Misericordia” ope-ra della nostra concittadina Fernanda Molle,immagine che i fedeli aspettavano da tempo.Il 29 novembre quasi a conclusione dell’annodel cinquantesimo, nella santa Messa serale mol-to frequentata dai fedeli, si è svolta”l’Unzionedegli infermi”, con la partecipazione dei fedeli.Molti sono stati gli anziani a ricevere il sacra-mento.La corale G.B.Martini chiuderà l’anno 2014 ,pri-ma con il concerto di Natale il giorno 19 , e poiil 31 a fine anno nella messa vespertina con l’in-no di ringraziamento del “TE DEUM”, corale eorchestra.

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Francesco Cipollini

“Poche città al mondo hanno l’invidiabile sorte di aver dato i natali aun papa; pochissime di averli dati ad un papa santo. La nostra città etra queste ultime. […] Festeggiare san Vitaliano nella sua patria ter-rena ora che Egli trionfa coronato di gloria nella comune patria cele-ste non deve essere per noi occasione di sterile vanto, di soddisfattacompiacenza, di puerile campanilismo. Deve essere piuttosto un for-te richiamo a quella autentica cattolicità di cui san Vitaliano, come papae come santo, fu campione ed esponente”.

CCon queste parole il 27 gennaio 1958, a qualche mese dal suo ingres-so in diocesi, Mons. Luigi Maria Carli apriva, con le celebrazioni perla festa di san Vitaliano, la sua prima visita pastorale alla diocesi.

Per seguire il suo invito ancora oggi a più di cinquanta anni di distanza, nonprivo di attualità e urgenza, cerchiamo di riscoprire la vicenda umana e cri-stiana di Vitaliano nell’esercizio del suo servizio petrino. Lo facciamo seguen-do ciò che del papa segnino dice Umberto Longo che sintetizza efficace-mente attorno a tre aspetti fondamentali la sua vita.

Papa Vitaliano e l’imperatore CostanteSecondo il biografo del Liber pontificalis, Vitaliano era originario di Segni efiglio di un certo Anastasio. Non si possiedono notizie che lo riguardino pre-cedenti alla sua ascesa al soglio pontificio. Dopo la morte del predecesso-re, avvenuta il 2 giugno 657, la Sede romana rimase vacante solo per cir-ca due mesi: Vitaliano fu consacrato il 30 luglio. Subito dopo il suo inse-diamento egli inviò a Costantinopoli per mezzo degli apocrisari1 la sua let-tera sinodica, indirizzandola non solo al patriarca Pietro (654-656), ma anchea Costante II (641-668), ripristinando l’antica consuetudine di comunicarealla corte imperiale la consacrazione del nuovo papa. Si possiede la rispo-sta del patriarca, che fu letta nel corso della XIII sessione del VI concilioecumenico (Costantinopoli, 7 novembre 680-16 settembre 681). L’iniziativa diplomatica del neoeletto pontefice produsse il primo cauto riav-vicinamento tra la Sede romana e Bisanzio, dopo la brusca rottura in segui-to all’emanazione del Typos2 da parte di Costante II e la solenne condan-na delle posizioni monotelite da parte di papa Martino. Nelle missive invia-te a Bisanzio, Vitaliano non entrò in alcun modo nel merito di questioni dot-trinali, ma le reazioni della corte imperiale e del patriarcato dovettero esse-re positive, poiché fu inviato a Roma un rescritto di conferma dei privilegidella Sede romana unitamente a ricchi doni, tra i quali il Liber pontificalisricorda un evangeliario ornato di gemme e preziosi. Il clima di distensione che accompagnò l’insediamento di Vitaliano è testi-moniato anche dal fatto che il suo nome fu inserito nei dittici3 della Chiesacostantinopolitana: era la prima volta dai tempi di papa Onorio e sarebbestata l’unica fino a papa Agatone (678-681). Dopo il periodo di aspro con-flitto si avviò così una cauta ripresa dei rapporti tra Bisanzio e la Sede roma-na, caratterizzati, in realtà, da un atteggiamento ambiguo da parte dell’im-peratore Costante II, mentre Vitaliano era ispirato dall’imperativo di non farriesplodere la controversia dottrinale, conscio com’era della necessità di nontagliare i ponti con Bisanzio in funzione antilongobarda. In questo clima direlativo riavvicinamento l’imperatore partì alla volta dell’Italia. La spedizione di Costante II non può essere spiegata solo con la volontàdell’imperatore di contrastare i Longobardi, secondo la versione sostenutanell’Historia Langobardorum da Paolo Diacono, ma presenta motivazioni poli-tico-militari più complesse. Va sottolineato che la permanenza italiana di CostanteII occupò un numero non esiguo di anni del suo regno e ne segnò anchela fine. L’imperatore, infatti, morì assassinato in Sicilia il 15 settembre 668.La biografia di Vitaliano nel Liber pontificalis, pur non soffermandosi sullecause di esso, è incentrata sul lungo soggiorno di Costante II in Italia e suirapporti tra Vitaliano e l’imperatore. Dopo essere sbarcato a Taranto e averassediato invano Benevento, Costante II giunse a Roma nel luglio del 663.La venuta dell’imperatore dovette suscitare enorme impressione nella cit-tà, poiché era la prima volta che un imperatore veniva a Roma dal tempo

di Valentiniano III (450). Il Liber pontificalis narra che Vitaliano mise in atto il solennecerimoniale di accoglienza, andando incontro all’imperatorecon tutto il suo clero, al VI miliario della via Appia (altezzadell’odierno Ippodromo delle Capannelle). La visita imperia-le sembrava essere foriera di pace e avrebbe potuto attenuare

lo sgomento suscitato a Roma dalle sanzioni adottate dall’imperatore con-tro papa Martino I e i rappresentanti della Sede romana, all’acme della cri-si monotelita. Ma lo stesso soggiorno di Costante II a Roma fu il sintoma-tico riflesso degli ambigui rapporti tra la corte bizantina e Roma.L’imperatore, infatti, nei dodici giorni nei quali si fermò a Roma, visitò tuttele basiliche principali e presenziò a numerose cerimonie religiose, inaugu-rando “il cerimoniale medievale [...] dell’imperatore pellegrino” (Girolamo Arnaldi). Si recò in solenne processione alla tomba di Pietro e si intrattenne con Vitalianoal Palazzo Lateranense, dove fu dato un banchetto in suo onore nella saladetta “basilica di Vigilio”. Compì, inoltre, varie donazioni in onore dei santititolari delle chiese visitate. Tale condotta non gli impedì però di ordinare alsuo esercito la spoliazione dei rivestimenti bronzei di tutti i vetusti monu-menti della città, non risparmiando neanche le lastre che ricoprivano il tet-to di S. Maria ad Martyres, l’antico Pantheon. La partenza dell’imperatoredalla città fu salutata con una gioia pari a quella che aveva accompagna-to il suo arrivo. Anche se la visita a Roma di Costante II comportò l’episo-dio della requisizione del bronzo, essa nondimeno sancì il riavvicinamentotra papato e autorità imperiale, costituendo una verifica diretta della politi-ca di compromesso ricercata da entrambi gli interlocutori. Il soggiorno romano non si risolse solo in un cedimento di Vitaliano alle pre-tese dell’imperatore, ma costituì un momento importante della politica di equi-librio e compromesso attuata dal papa lungo tut-to il corso del suo pontificato.

Papa Vitaliano e l’autocefalia della chiesa di RavennaPreoccupato di arginare l’autorità spiri-tuale e politica di cui godeva in Italia lafigura del pontefice romano, il 1° mar-zo del 666 l’imperatore concesse allaChiesa ravennate nella persona del-l’arcivescovo Mauro la cosiddetta“autocefalia”, ossia l’indipendenza dal-l’autorità dellaSede di Roma. Senza dubbiouna tale riso-luzione fu det-tata a CostanteII anche dallavolontà di sventarele potenziali insidie cheun’eventuale alleanza tral’esarca d’Italia, residentea Ravenna, e il paparappresentava perl’autorità imperialein Italia, come eraaccaduto al tempo del-l’esarca Olimpio e dipapa Martino. Vitaliano non replicò conveemenza alla decisionedell’imperatore, chepoteva esser interpre-tata come un attenta-to alla sua autorità spi-rituale. Egli assunseun atteggiamento cau-to e prudente per non per-dere i risultati, indi-spensabili per la Sederomana, che una politica

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di distensione con Bisanzio avrebbe garantito. Dopo l’as-sassinio di Costante II nel 668, Vitaliano agì con riso-lutezza contro l’autocefalia della Chiesa di Ravennafino alla sua morte avvenuta nel 672, anche se nonsi schierò mai contro il potere imperiale. Il pontefi-ce convocò a Roma l’arcivescovo ravennate unaprima e una seconda volta sotto pena di scomu-nica e destituzione. Mauro non si presentò, ma a sua volta minacciò discomunica Vitaliano, ciò che comportò l’immediatarottura dei rapporti tra le due sedi. Di fatto l’autonomiaravennate non sopravvisse a lungo e si concluse pocodopo la scomparsa dell’arcivescovo Mauro nel 673, con lasottomissione del vescovo di Ravenna e la successiva riconci-liazione tra le due sedi; ma è stato tuttavia notato che la vicenda lasciò neirapporti tra le due sedi un segno profondo, gravido di conseguenze ancheper il futuro Stato della Chiesa. Vitaliano non abbandonò mai il propositodi evitare la riapertura di un pericoloso conflitto con l’Impero e intervennecon una netta presa di posizione a favore del figlio di Costante II, CostantinoIV (668-685), la cui assunzione al potere era stata minacciata dalla rivoltadell’armeno Megezio. Tale atteggiamento di lealtà fece guadagnare al pontefice la riconoscenzadel giovane imperatore, che, infatti, non assunse atteggiamenti di favore perl’autocefalia ravennate e si sarebbe opposto alla decisione del patriarca costan-tinopolitano Teodoro (677-679) di espungere il nome di Vitaliano dai ditticicome reazione al suo rifiuto di accogliere la lettera sinodale del suo pre-decessore, Giovanni V (669-675), ritenuta dal pontefice inficiata da posi-zioni monotelite. Ma il risultato più duraturo dei rapporti cordiali tra Vitalianoe Costantino IV fu la decisione di quest’ultimo di indire una grande assem-blea religiosa che avrebbe dovuto risolvere la controversia dottrinale minan-te l’unità della Chiesa. La conferenza indetta dall’imperatore si sarebbe evoluta nel VI concilio ecu-menico, nel cui corso venne solennemente condannato il monotelismo. L’importanteconcilio si svolse a Bisanzio quando Vitaliano era già morto da tempo, maè innegabile che il pontefice con la sua azione costante lungo tutto il cor-so del pontificato creò le basi per la sua realizzazione.

Papa Vitaliano e l’evangelizzazione degli AnglosassoniIl terzo ed ultimo aspetto in cui l’attività di Vitaliano si profuse fu proprio l’e-vangelizzazione degli Anglosassoni. L’azione di Vitaliano, infatti, non si rivol-se solo a Oriente, ma si esplicò anche a favore della Chiesa anglosasso-ne, la cui giovane storia, come è testimoniato dalla Historia ecclesiasticagentis Anglorum di Beda, era intessuta di contrasti tra le tradizioni e gli usiimportati dai diversi gruppi che avevano presieduto all’evangelizzazione del-l’isola. In particolare si registravano divergenze tra gli usi importati dai mis-sionari romani e quelli degli antichi abitanti cristiani della Britannia e, soprat-tutto, quelli dei missionari Scoti4 venuti dal nord. I contrasti non afferivano al piano dottrinale, ma vertevano su quello disci-plinare. Si trattava di differenze in alcuni riti liturgici e nel calcolo della dataper la celebrazione della Pasqua, oltre che su aspetti più marginali comela forma della tonsura. Il pontificato di Vitaliano risultò di fondamentale impor-tanza nella storia della Chiesa inglese. Nel sinodo di Whitby del 664 fu san-cita l’adozione dell’uso romano nella Chiesa anglosassone grazie soprat-tutto all’azione del re Oswy di Northumbria (655-670), che coltivava una spe-ciale devozione per s. Pietro. La devozione per il principe degli apostoli e,quindi, per la Sede romana prese rapidamente piede nella Chiesa anglo-sassone ed è testimoniata dai frequenti viaggi a Roma di numerosi mona-ci ed ecclesiastici insulari, che al ritorno in patria organizzarono la Chiesalocale prendendo a modello ciò che si praticava a Roma. Durante il pontificato di Vitaliano, Benedetto Biscop († 689-690) vi si recòa più riprese. I suoi viaggi erano motivati dalla volontà di compiere un pel-legrinaggio alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo, dall’esigenza di studiarel’ordinamento monastico e di acquistare codici per il monastero di S. Pietroa Wearmouth, da lui fondato e diretto. Il re Oswy di Northumbria e il re Egbertdi Kent inviarono a Roma il presbitero Wighard per ricevere da Vitaliano laconsacrazione ad arcivescovo di Canterbury. Essendo Wighard morto a Romaprima della celebrazione della cerimonia, Vitaliano ordinò al suo posto e inviòalla sede di Canterbury il monaco Teodoro di Tarso (668-690) affiancando-gli l’abate del monastero di Nisida Adriano. La scelta dei dotti monaci e la

loro pluriennale attività si rivelarono assai proficui per la Chiesainsulare. I due monaci inviati da Vitaliano contribuirono in

maniera determinante a dotare la Chiesa anglosassonedi una struttura gerarchica salda e a legarla strettamentealla Sede romana. L’avvento di Teodoro e Adriano in Inghilterraè ricordato da Beda come un fatto essenziale per lo svi-luppo culturale dell’isola, che mai aveva conosciuto un’e-tà così felice come quella che si aprì con l’arrivo dei duemonaci istruiti tanto nelle lettere profane che in quelle

cristiane. Teodoro riorganizzò la scuola cattedrale di Canterbury e

Adriano fondò scuole monastiche sul modello romano, dovesi studiava anche il greco. Durante il pontificato di Vitaliano non

solo si radicarono nella comunità ecclesiastica anglosassone i riti litur-gici romani, ma si gettarono le basi di una salda presenza culturale e spi-rituale romana in una Chiesa che presto avrebbe dato i suoi frutti miglioricontribuendo in maniera sostanziale a creare i presupposti della rinascitacarolingia con personalità del calibro di Bonifacio5 e Alcuino6. A Roma Vitaliano,sulle orme del suo illustre predecessore Gregorio Magno, arricchì le ceri-monie liturgiche, promuovendo in particolare lo sviluppo della “schola can-torum” del Laterano. Morì il 27 gennaio 672 e fu sepolto a S. Pietro. Il suo nome fu inserito nelMartyrologium Romanum alla data del 27 gennaio. Il culto a san Vitalianoè attestato nella sua città natale almeno dalla fine del 1600 come ben argo-menta mons. Navarra nel suo studio del 1972 sul papa segnino. Mons. PietroCorbelli nella sua Relatio ad limina apostolorum del primo gennaio 1705così si esprime in merito al nostro pontefice: “La città di Segni donò il con-cittadino S. Vitaliano alla Cattedra di Pietro e con lui S. Bruno Astense, suovescovo, al cielo”7. Ancora oggi i segnini, sembrano seguire questo esem-pio di oltre 300 anni fa, quando continuano a rivolgersi ai loro celesti patro-ni uniti nell’intercessione: “Ggrazia san bruno co san Mitagliano ‘zuno”8. Cheil Signore ascolti la preghiera dei due suoi servi fedeli a conceda alla cittàdi Segni e alla diocesi tutta la Grazia di mettere in pratica gli insegnamen-ti del Vangelo nella quotidiana esperienza di vita.1 Erano una sorta di ambasciatori del papa; precursori dei moderni Nunzi Apostolici.2 Typos o Tipo è un editto emanato nel 648 dall’imperatore bizantino Costante II per porre finealle conseguenze dell’editto monotelita Ekthesis, emanato dal nonno Eraclio. Con essoil Basileus ribadiva l’ordine contenuto nell’editto di Eraclio a porre fine per sempre a tutte le diatri-be cristologiche, ma al contempo proibiva tassativamente, sotto minaccia di pene severissime, didiscutere ancora della dottrina monotelita, indifferentemente se per sostenerla o per condannarla.Il Typos non riuscì però a porre fine alla principale conseguenza dell’editto di Eraclio: lo scontrocon la Chiesa romana. Papa Martino I rispose infatti all’imperatore Costante convocando a Roma unconcilio nel quale vennero condannati sia l’Ektesis sia il Typos. Ne nacque un contrasto che si con-cluse solo nel 654 con l’arresto da parte dei soldati bizantini del Pontefice, che venne condottoa Costantinopoli, dove fu processato, torturato e condannato a morte per tradimento. Il Papa ven-ne infine graziato e relegato a Chersoneso [odierna Sebastopoli in Crimea penisola sul mar Nero],dove morì di patimenti e fame l’anno successivo.3 Nella liturgia antica i dittici contengono l’elenco degli alti dignitarî ecclesiastici, cominciando dalpapa, che vengono proclamati dal diacono durante la messa: in Oriente tali commemorazioni sifanno oggi generalmente dal sacerdote al cosiddetto “Grande ingresso” della messa. Per il con-tenuto si possono distinguere i dittici dei vivi da quelli dei morti, contenenti i nomi delle personeper le quali si prega. Talvolta nei dittici dei morti venivano enumerati tutti i vescovi che avevanooccupato una determinata sede, e così ci sono state conservate molte serie episcopali. Troviamoparticolarmente usati i dittici anche per elencare i candidati al battesimo (dittici battesimali). Degliapostati ed eretici era proibito fare il nome nei dittici. Il loro uso, che sembra rimonti alle origini cri-stiane, non è attestato con tutta evidenza prima dei secoli III e IV.4 Gli Scoti o Scotti erano una popolazione celtica cristianizzata proveniente dall’Irlanda e inse-diata nel VI secolo in Scozia. Formò uno dei cinque regni in cui si divise la regione. L’indebolimento,sotto gli attacchi vichinghi, del forte regno dei Pitti, condusse alla riunione di ampi territori sotto ilnome di Regno di Scozia, in cui in breve tempo Pitti e Scoti si unirono etnicamente in un unicopopolo.5 Al secolo Wynfrith (o anche Wynfreth o Winfrid o Winfried) sarà apostolo della Germania: dall’Inghilterrail Cristianesimo passò in Germania6 Alcuino di York (Alhwin, Alchoin o, in lingua latina, Albinus o Flaccus; Regno di Northumbria, 735 -Tours, 19 maggio 804) è stato un filosofo, teologo e beato anglosassone. Alcuino fu uno dei prin-cipali artefici del Rinascimento carolingio: insegnò soprattutto grammatica e arti liberali, impron-tando il suo magistero a una pedagogia di tipo dialettico. La Chiesa d’Inghilterra lo venera comesanto mentre la Chiesa cattolica lo venera come beato.7 Questo il testo originale: Signina civitas, sine aliis omissis, S. Vitalianum concivem Petri Cathedrae,simulaque cum eo, S. Brunum Astensem suum episcupum Coelo donavit.8 San Bruno insieme con San Vitaliano concedetemi la Grazia!

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Stanislao Fioramonti

IIl Sacro Ritiro di San Francesco, immer-so nel verde dei castagni e dei faggi, sor-ge sulla strada che unisce Bellegra (l’an-

tica Belecre degli Equi, Vitellia dei Romani e CivitellaS. Sisto del medioevo) a Rocca SantoStefano. E’ tradizione che fosse proprio SanFrancesco, durante il soggiorno a Subiaco del1223, a sperimentarne la suggestione. Pochi annidopo, i suoi frati lì residenti trasformarono in cap-pella la celletta abitata dal santo.Nei secoli successivi il complesso conventua-le crebbe e nel 1683 venne eretto a RitiroFrancescano; accolse perciò una lunga schie-ra di santi frati, desiderosi di dedicarsi ad unavita di preghiera e di penitenza: ricordiamo sanTommaso da Cori e i beati Mariano daRoccacasale e DiegoOddi.Il ritiro oggi ospita, oltreal convento, un inte-ressante museo fran-cescano, che docu-menta non solo la vitadi raccoglimento e dimeditazione dei fratiminori, ma anche le colo-rite testimonianze direligiosità popolare suc-cedutesi dei secoli. Trai religiosi che hanno illu-strato questo luogofrancescano è il p.Filippo (Nazzareno )Sales (foto n. 1).Nacque a Roiate, dio-

cesi di Subiaco, il 30 marzo 1898 da Rocco eAnnunziata Rossi. Fece la vestizione col saiofrancescano il 14 luglio 1915, la professione sem-plice il 16 luglio 1916, quella solenne il 6 gen-naio 1922; fu ordinato sacerdote il 12 luglio 1925.Visse per un cinquantennio nel S. Ritiro di Bellegra,di cui fu pure guardiano dal 13 ottobre 1954 al13 luglio 1957. Vi morì il 13 gennaio 1981, a83 anni, ed è sepolto nel “Calvario” del Ritiro,insieme ad altri confratelli che vi avevano abi-tato. Nel settembre 2011, in occasione del 30° anni-versario della sua morte, il p. Lorenzo Conti OFM,guardiano del Sacro Ritiro francescano, lo haricordato con queste parole:“Nei nostri conventi tutte le sere prima di con-sumare la cena si legge il necrologio, si ricor-dano cioè i frati morti in quel giorno. In data 13

gennaio si trova questanota: “Il 13 gennaio1981 (quindi 30 anni fa)nel Sacro ritiro di Bellegraè morto piamente nelSignore p. Filippo Sales,83 anni di età, 65 annidi consacrazione a Diocon la professione reli-giosa e 56 anni di mini-stero sacerdotale. Hadimorato ininterrotta-mente in questo ritiro diBellegra per oltre un cin-quantennio, consacrandol’intera sua esistenza allapreghiera, al ministerosacerdotale e al lavoromanuale”.

Chi di noi lo ha conosciu-to trova in questa nota lafotografia autentica del p.Filippo, che per qualche tem-po ha ricoperto anche il deli-cato ufficio di Maestro deiNovizi. Del nostro p. Filippovengono evidenziate tre carat-teristiche: preghiera, mini-stero sacerdotale, lavoromanuale.Ha dedicato l’intera sua esi-stenza alla preghiera. Il con-vento di Bellegra è cono-sciuto e definito “Nido di san-ti”. Non si raggiunge l’ar-dua vetta della perfezionesenza le ali della preghie-ra e del continuo contattocon Dio. Al tempo del p. Filippo aBellegra venivano osservatescrupolosamente le rego-le tracciate da san Tommasoda Cori, che stabilivano diver-se ore della giornata dedi-cate esclusivamente alla pre-ghiera e alla meditazionepersonale. Per oltre 50 anni

p. Filippo le ha vissute in pienezza. Ha dedi-cato la sua vita al ministero sacerdotale, svol-to in questa chiesa e nei paesi limitrofi.Pisoniano ha voluto intitolare una via al p. FilippoSales perché resti in testimonianza alle nuovegenerazioni chi è stato e quanto ha operato comeministro dell’altare in quella comunità ecclesiale.Sappiamo anche che a San Vito Romano, oltreall’aiuto ordinario prestato al parroco, Padre Filippoper anni è stato Assistente Spirituale del loca-le Terz’Ordine Francescano, oggi denominatoOrdine Francescano Secolare.Ha dedicato la sua vita al lavoro manuale. Oraet labora, diceva il grande Padre Benedetto. FraFilippo ha brillato anche nel lavoro: è stato unesperto apicoltore. I confratelli del Ritiro sotto-lineano che aveva una vera arte di allevare leapi in modo che rendessero il maggior profittopossibile. P. Renato, novizio del p. Filippo, e fra-tel Mariano, che ha vissuto 10 anni con lui quia Bellegra, affermano che al convento non è maimancato il miele... Sapete che la tradizione delmiele resiste. Numerose sono le persone cheancora vengono ad acquistarlo e lo trovano otti-mo, come allora”.Tra gli impegni sacerdotali di padre Filippo c’e-ra quello di andare a celebrare la messa e aconfessare nei paesi vicini; per recarsi dal SacroRitiro all’antico borgo di Pisciano (Pisoniano),nella valle Empolitana, egli percorreva a piediuna scorciatoia che attraversava completamenteil bosco che separa i due centri. Quel percorso è stato ripristinato nel 1994-95da uomini di Pisoniano su impulso del nuovoparroco, p. Rocco Rita OFM che, trasferito nelconvento di Valmontone, nel 2006 “inventò” leGiornate Francescane. Esse di solito si svol-

Foto 1.

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3333GennaioGennaio20152015

gono all’inizio di settembre e si conclu-dono con la Messa e il pranzo al sacco;in esse è inserita questa camminata, chedura circa 3 ore, supera un dislivello dicirca 500 metri ed è stata chiamata il Sentierodi padre Filippo Sales.Dal centro di Pisoniano (m.532) (foto n.2) - il luogo della romana Villa dei Pisonie del successivo Vicus Piscanum, postosotto la roccia dove si trova il santuariodella Mentorella (raggiungibile dal pae-se tramite il suggestivo sentiero Karol Woityla)- si raggiunge il cimitero (m. 500c.); qual-che decina di metri dopo, a destra del-la strada provinciale, inizia il sentiero, chesi inoltra sulla carrareccia seguendo i segna-via bianco-rossi e scendendo verso il Fossodella Valle (Giovenzano, 410 m). Superatoil fosso, si raggiunge dopo una ventinadi metri la deviazione sulla destra, da doveuno stretto percorso risale un ruscello(Fiumicino) nel Bosco di Monte Casale,lasciando sulla sinistra i ruderi della moladi Ciavattino. Abbandonato il ruscello, iltracciato prosegue verso destra salendo con inin-terrotti tornanti fino a raggiungere una ormai fati-scente area attrezzata per la sosta, nei pressidi una piccola risorgiva in località Le tre zitelle(allusione a tre grossi e isolati alberi di casta-gno ora scomparsi). Dall’area attrezzata si prosegue ancora in sali-ta all’interno del bosco fino a raggiungere la ster-rata dell’Imposto del Marchese, che si attraversarientrando subito nel bosco a sinistra. Seguendo

i rari segnavia lungo una traccia di sentiero chesale nel bosco lungo il versante meridionale delmonte Castellone (m. 812), si raggiungono alcu-ni bottini di un acquedotto (800m). Dopo un cinquantina di metri il sentiero comin-cia a scendere e con percorso tortuoso ma evi-dente passa sopra l’abitato di Case Rozzone eraggiunge la provinciale San Vito-Bellegra allafontana di Vado Canale (639 m), frazione di Bellegra.Meno di 100 metri dopo la curva a gomito del-

la strada asfaltata, si risale asinistra nel bosco nel traccia-to che porta sulla carrarecciadel sentiero natura Fonte del-la Nocchietta, la quale ritor-na sulla provinciale all’altezzadell’albergo Sancamillo. Siamo ormai prossimi alla meta:al bivio dov’è un giardinettocon una Madonnina, la via Nidodi Santi porta al Sacro Ritirodi San Francesco (m. 625)(foto n. 3).Ho partecipato alla escursio-ne nel 2013. In una giornatadavvero “strappata” alla piog-gia, giunto alla meta sono sali-to ancora sulla ripida scalinatafiancheggiata da una ViaCrucis che dal monumento aS. Francesco del p. AndreaMartini OFM (foto n. 4) giun-ge al Calvario (m. 700 c.), cap-pella e sepoltura di tanti reli-giosi francescani vissuti nel vici-no eremitaggio, per una pre-ghiera al frate cui è dedicatoil sentiero. Sulla facciata della cappella,una targa dedicata a un altrovenerato religioso del Ritiro:

“A pia memoria del p. Giacinto Bracci OFM, conanimo grato e devoto, Giovanna PellicciaPistoia negli anni 1968 e 1973 fece sistemarea sue spese la strada d’accesso a questa cap-pella cemeteriale, ove i corpi del caro padre edei suoi confratelli riposano nell’attesa della resur-rezione”. Accanto alla cappella una grande cro-ce metallica con targa: “In memoria del p. GiacintoBracci una pia persona di Subiaco offre. Luglio1982”.

Le foto dell’articolo sonodi Francesco Fioramonti.

NATALE 2014

E’ una notte di gaudio

E’ una notte stellata

È una notte di pace.

Sorride quel Bimboche giace nella culla

riscaldato

dal bue e dall’asinello

sotto

il premuroso sguardo

di Mamma e Papàche meravigliati

invitano

tutte le genti ad adorarlo.

Il NATALE: è rinascita!

Vincenza CalenneAccademica Tiberina

Foto 2.segue da pag. 32

Foto 3.

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3434 GennaioGennaio20152015

Antonio Venditti

NNon c’è educazione senza una conce-zione positiva della vita e quindi sen-za speranza. La società ha un complesso

di valori che trasmette di generazione in gene-razione, riformulandoli secondo le novità dei tem-pi e le conseguenti esigenze. Questo nella teo-ria, perché nella pratica possono determinarsidelle pericolose deviazioni oppure può venir menol’interpretazione autentica dei basilari principi ossiala loro coerente applicazione. Discorso analogo si deve fare per la famiglia ela scuola. Non si dubita che nella maggior par-te delle famiglie esista un piano educativo dasviluppare lungo l’arco della crescita dei figli, perportarli alla completa maturazione della loro per-sonalità e renderli capaci di inserirsi come sog-getti autonomi nella società. Perché allora le nuove generazioni crescono sten-tatamente, senza capacità di affrontare la vitapresente e di proiettarsi nel futuro? Perché lascuola, che ha la funzione di rinforzo dell’azio-ne educativa familiare e deve fornire gli idoneimezzi conoscitivi con le connesse abilità, rag-giunge obiettivi limitati ed insoddisfacenti? A taliinterrogativi non è facile rispondere, perché sonoprima necessarie analisi approfondite dei diver-si aspetti della poliedrica realtà. Però, limitan-doci a prendere atto del sistema di vita in cuisiamo inseriti, dove prevalgono inerzia, assue-fazione, scoraggiamento, egoismo e noia, è evi-dente che manca lo slancio, la forza propulsi-va dell’esistenza: appunto la speranza.L’attuale condizione del mondo giovanile è nebu-losa per vari motivi. Gli effetti sono sotto gli occhidi tutti, ma le cause sono trascurate e spessorestano occulte. Indifferenza e paura domina-no la vita dei giovani e degli ambienti in cui vivo-no. Sono in molti a restare indifferenti di fronteallo scorrere di eventi gravi, spesso inquietan-

ti ed anche funesti dei nostri tempi difficili. Masono sicuramente di più tutti coloro che reagi-scono con la paura, che mette in ansia, in pro-fonda agitazione nel quotidiano, rendendonebbioso, se non addirittura inconsistente il futu-ro. La paura è dominatrice e genera disagio edinsicurezza, depauperando gli animi delle ener-gie necessarie ad affrontare la vita. I nuclei familiari sono immersi in questa palu-de, dove si sopravvive ma non si costruisce unavita solida con un chiaro orizzonte. Hanno pau-ra i genitori ed hanno paura i figli, nel vivere allagiornata ed al rimorchio delle mode, nell’ansiadell’imprevedibile che non dà pace. Molti giovani sono allo sbando e spesso si abban-donano ai “vizi” imperversanti che sono ritenu-ti privi di negatività, anzi come segni di “liber-tà” ed addirittura di “felicità”. Convinzioni dav-vero strane per chi perde il raziocinio, divenendoincapace di scegliere tra i veri beni della vita e,dopo brevi momenti di euforia allucinante, spro-fonda nella più cupa depressione. Anche colo-ro che non entrano subito nel circuito inesora-bilmente mortale, restandone ai margini con limi-tate esperienze, ne respirano voluttuosamentel’aria ammorbata e perdono coscienza della real-tà. Si spiegano così le funebri ritualità del finesettimana: le strazianti morti di ragazzi eragazze, in genere all’alba - dopo notti trascorsenel frastuono delle discoteche - negli sconvol-genti incidenti stradali, le cui dinamiche mostra-no che giovani e preziose vite sono state dav-vero buttate nel nulla, come se fossero inutili. I genitori, che non hanno voluto o potuto ado-perarsi per prevenire gli eventi, dormienti o nel-la veglia di attesa, non possono poi far altro checonstatare lo scempio dei corpi fiorenti e pian-tare angosciosamente un’altra delle innumere-voli croci ai bordi delle strade. Sono tanti, anzitroppi, tali pietosi simboli, che purtroppo non com-muovono più e non fermano la continua carneficina!

I tentativi di ridurre almeno, se non eliminareil grave fenomeno, con nuove norme e con l’i-nasprimento delle sanzioni previste dal codicestradale, sono falliti perché sono stati presi inconsiderazione gli effetti e non le cause che lihanno determinato. Bisogna avere il coraggio di affrontare il problemaalla radice e domandarsi se è giusto che i gio-vani, liberi da ogni controllo, si ammassino per“divertimento” nelle discoteche, dove trascorronotante ore notturne in uno stato di evasione checomporta varie forme e gradi di trasgressione,anche con assunzione di droghe e consumo dialcolici. Se, quindi, ci domandiamo quale fun-zione abbiano tali luoghi, dobbiamo risponde-re, senza infingimenti e senza evocare impro-priamente la “libertà di scelta”, che hanno unafunzione deleteria per i giovani, sconvolgendola loro vita, quando non ne causano direttamentela morte. Ed allora, se alla società civile devepremere la conservazione della vita, prima anco-ra della sua qualità che ovviamente non è tra-scurabile, si deve intervenire efficacemente, perrestituire serenità a tutti, ai genitori in partico-lare che, quando perdono tragicamente un figlioo una figlia, sopravvivono in condizioni di indi-cibile angoscia. Se la notte venisse restituita al riposo, dopo unagiornata impegnata mentalmente e fisicamen-te, scomparirebbero d’incanto tanti pericoli esi recupererebbero grandi energie da spende-re utilmente, per risolvere i problemi attuali.Si devono riscoprire i termini di una vita reale,come bene da proteggere e da sviluppare razio-nalmente in attività finalizzate a valorizzarla, comelo studio ed il lavoro, svolti con impegno ed entu-siasmo, per sentirsi realizzati personalmente eper contribuire al potenziamento del bene comu-ne. I giovani hanno diritto a divertirsi, ma in for-me valide e sicure. Ed anche su questo devo-no poter influire la famiglia e la scuola, per pro-

muovere il sano e libero divertimento.Infatti si tratta di una questioneeducativa che deve essere inse-rita nel contesto della formazioneintegrale della persona. In un tem-po di crisi come l’attuale, si devo-no subito creare le condizioni perun rinnovamento totale, stabilen-do un clima di serenità nel qualerivitalizzare i principi basilari del pro-getto di vita, finalizzato a garan-tire il presente ed il futuro delle gio-vani generazioni. La speranza, antidoto della pau-ra, è la grande forza educatrice chedeve dare slancio a tale proget-to. Non si tratta di illusioni e vaghipropositi, ma di chiare idee da tra-dursi in coerenti pratiche educa-tive, mirate a mettere in atto ed aconsolidare condotte virtuose di miglio-ramento personale e sociale.

Nell’immagine del titolo:“Siamo fritti fuori di qui”, scultura di Andrew

Hankin, foto AFP William West.

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3535GennaioGennaio20152015

Gilberto Borghi*

NNel corridoio, come spesso accadde, suc-cedono le cose migliori, alla fine del-la lezione. È una quarta, troppo deci-

mata negli anni precedenti, che perciò insolitamentepermette un lavoro quasi personalizzato. Volevomostrare loro come la dimensione etica delle per-sone stia in piedi su principi che sono tra lorodi valore molto diverso, da una morale della pau-ra fino anche a una della gratuità fondata nelrapporto con la divinità. Di solito per fare que-sto utilizzo uno strumento vecchiotto, la scaladi Kolberg, opportunamente “potato” dal mec-canicismo stadiale di origine piagetiana. Dopo aver passato i livelli dall’uno al cinque del-la scala, provo a spiegare il sesto. “In questolivello le persone agiscono sulla base di princi-pi universali che essi ritengono veri e giusti, inogni condizione e situazione. Il più famoso è lacosiddetta regola d’oro: fai agli altri quello chevorresti fosse fatto a te, regola che ritroviamoin circa un centinaio tra religioni e culture, checoprono il 95% della popolazione mondiale. Perciò davvero la possiamo considerare uni-versalmente accettata”. E poi faccio loro l’esempio,realmente accaduto, della ricercatrice ingleseche dopo aver lavorato per anni alla costruzio-ne di un farmaco nuovo, decide di non fare lasperimentazione umana su pazienti in coma, per-ché non possono dare il loro assenso. Facendocosì si fa “soffiare” il risultato della sua fatica daun altro centro di ricerca, che arriva prima di leia poter brevettare lo stesso farmaco. A questo punto Francesca interviene: “Prof, cioèlei vuol farmi credere che esistono persone chesono capaci di rimetterci solo per rispettare unprincipio etico? Cioè non ci guadagnano nien-te e anzi ci rimettono?”. “Eh, si Francesca, esistono eccome. E forse nehai conosciuto qualcuno anche tu. Chiedi a tuamadre cosa ci guadagnava ad alzarsi la nottequando tu piangevi, invece di lasciarti da sola?”. “Ma cosa centra prof, mia madre lo faceva per-ché mi vuole bene, e ci guadagnava il piaceredi vedermi stare bene. Ma questa qua del far-maco mica ci ha guadagnato niente, ci ha solorimesso”. Interviene Ludmilla: “Ma Franci a te non ti è maicapitato di fare qualcosa per qualcuno che telo chiede, che magari nemmeno conosci bene,solo perché così lo puoi aiutare?”. “No - ribat-te Francesca -, a me non è mai capitato”. “Cioèvuoi dire che - salta su Loris - non hai fatto qual-cosa per un altro a gratis?”. “No, non mi è capi-tato, ma scusa, perché dovrei farlo, cosa ci gua-dagno io?”. “Il bello sta proprio lì - le dico - che non ci gua-dagni nulla. E forse in questo potresti provareun piacere strano, quasi una felicità, nel sape-re che ami senza che ti torni niente in cambio.Capisco che se non l’hai mai provato non lo cono-sci, ma davvero mi sembra strano che mai ti siacapitato”. Allora mi è balenata un’idea. “Se volete ho un piccolissimo filmato, tre minu-ti, che vi mostra la bellezza del fare qualcosa

a gratis per un altro”. E quasi come un coro: “Siprof. dai lo vediamo!”. Così ho proiettato la sto-ria del dott. Prajak Arunthong. E quando ho riac-ceso la luce la classe era ammutolita. Presa tral’emozione di una bontà bella e attraente e lostupore un po’ strano di come queste cose nel-la loro vita siano poche, rare e a volte, comeper Francesca, forse davvero inestinti. Poi Ludmilla ha rotto il ghiaccio: “Bello prof. misono commossa. Ecco sì è vero arriva quasi unasensazioni di felicità strana. Che mi rende sere-na e contenta”. Poi altre due condividono Ludmilla.E poi Tommaso: “Certo che ci vuole una granforza a vivere così. Cioè una roba che non ticambia la vita, però ti fa fare dei gesti belli cheti riempiono di senso, quando sei alla fine”.E allora la butto là: “Ma vi sembra così difficilescegliere di vivere così?”. E Tommaso: “Eh sì, prof. perché devi aver giàdato per scontato che tu vivi comunque, che puoinon preoccuparti troppo di te. E invece siamospesso tutti presi da questo”. “Sono d’accordo - rispondo - siamo preoccupatidel controllo sulla nostra vita, della sicurezza,dell’ordine, di garantirci che abbiamo soldi abba-

stanza, di poter dare spazio infinito a tutti i nostridesideri, come se questo poi fosse davvero capa-ce di renderci felici e non più frustrati invece,perché pochi di questi desideri davvero si rea-lizzano. Insomma abbiamo troppe cose da per-dere, per pensare di regalare qualcosa agli altri.Eppure chi lo fa, ha una felicità in più, e si vede”. Francesca tace. Il suo viso fa trapelare una dis-approvazione più di facciata che di sostanza.Ma forse il coraggio di ascoltare quello che leè arrivato dentro non c’è ancora. La capisco. Ela campana arriva a togliermi dal dubbio su comebuttare lì un seme. Ho solo il tempo di dirle: “Loso che ci pensi, va bene così.” Esco e penso che sia stata una buona lezione.Ma non ho messo nel conto il corridoio. Lorismi rincorre e mi fulmina quasi alle spalle: “Prof.,prof.” “Che c’è?”. “Voglio dirle che se Dio sareb-be così, mi interessa!”. Due errori di sintassi! Dovròfargli ripassare i verbi!

*da Vino Nuovo, 09 dicembre 2014

Nell’immagine del titolo:un’opera pittorica di Elena Montull.

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3636 GennaioGennaio20152015

Giovanna Abbate*

NNelle Scienzedella Naturaper “Invasioni

biologiche” si intende l’e-spansione incontrollatadi organismi viventi di tut-ti i gruppi tassonomici(piante, animali, fun-ghi, microrganismi) in areegeografiche estraneea quella di origine. Talefenomeno non è con-seguente ai naturalimeccanismi di dispersionedelle specie, ma è pro-vocato dall’uomo inmodo diretto o indiret-to; non si tratta quindidi un fenomeno recen-te, essendo iniziato congli spostamenti umani alcune migliaia di anni fa; ha avuto poi un incre-mento notevole con i grandi viaggi e le esplorazioni nelle Americhe diCristoforo Colombo e dei conquistadores spagnoli. Si sono così avuteper gli organismi viventi nuove occasioni di dispersione; pensiamo aglianimali da cortile, alle numerose piante di interesse agronomico (ad es.mais, pomodoro, peperoni, melanzane) e ornamentale (ad es. bella dinotte, passiflora, fitolacca) attivamente portate dall’uomo. Moltissime altre specie sono invece arrivate casualmente con i mezzidi trasporto, in gran parte via nave e più recentemente con il traspor-to aereo; ricordiamo gli organismi incrostanti le imbarcazioni o elimi-nati attraverso le acque di zavorra, gli insetti e i microrganismi presentinelle piante e nel legname, nelle derrate alimentari, i semi delle spe-cie infestanti le colture mischiati alle sementi. Altre cause sono rappresentate dalla fuga di esemplari da orti e giar-dini, da animali in cattività, acquari o allevamenti ittici, nonché il ripo-polamento di specie alloctone d’acqua dolce per la pesca.Dopo più di 500 anni il ritmo delle invasioni biologiche è divenuto preoc-cupante, rappresentando una grave minaccia per la conservazione del-la biodiversità locale, seconda solo alla distruzione e alla frammenta-zione degli habitat. Tra gli ambienti più forte-mente minacciati vi sono quel-li costieri e fluviali, le aree diorigine antropica, come i ter-ritori agricoli e urbani. Di con-tro, il grado di invasività si ridu-ce in ambienti con condizioniclimatiche difficili e poveri dinutrienti, fra cui montagne, sco-gliere, torbiere e foreste di coni-fere.Parlando del patrimonio natu-rale di un luogo, bisognaquindi distinguere:- specie autoctone, ovvero

quelle la cui area di distribu-zione naturale comprende il luo-go in oggetto, aventi pregio natu-ralistico; molte sono comuni,altre rare e/o a rischio di estin-

zione e pertantomeritevoli di azionidi conservazione;- specie alloctone(chiamate ancheesotiche o aliene),che, introdotte acci-dentalmente dal-l’uomo, crescono esi riproducono inmodo spontaneo innatura; non hannoalcun valore natu-ralistico;- specie coltivate(o allevate nel casodi animali) quelle lacui presenza e ciclovitale sono stretta-mente legati all’a-zione volontariadell’uomo.

Ad oggi si stima che siano presenti in Europa circa 12.000 specie eso-tiche, di cui il 10-15 % sono da considerare invasive, quindi la cui intro-duzione e diffusione al di fuori del loro areale naturale rappresenta ora-mai una minaccia per la biodiversità e l’economia. Si ritiene che circail 33% degli uccelli e l’11% degli anfibi a rischio di estinzione siano minac-ciati proprio da specie alloctone. Le invasioni biologiche sono causa di ingenti danni ai beni e alla salu-te dell’uomo; fra i danni socio-economici ricordiamo quelli arrecati allecolture dalle specie infestanti, le malattie causate da parassiti, agentipatogeni e specie allergeniche. A titolo esemplificativo, tra gli eventi degli ultimi anni, basti citare: l’in-troduzione della zanzara tigre, vettore di gravi patologie; l’espansionedel giacinto d’acqua nei fiumi e canali che ha limitato la pesca, l’accessoall’acqua e in Africa e Asia ha aumentato l’incidenza della malaria; ildiffondersi del punteruolo rosso della palma, che “fortunatamente” haportato alla morte solo di piante coltivate, che, per quanto abbiano valo-re estetico, in Italia non hanno alcun pregio naturalistico; ben più tra-gica è stata la diffusione del cinipide del castagno (insetto originario del-la Cina arrivato in Europa nel 2002) che ha determinato gravi perdite

economiche anche nelle areedella nostra Diocesi.Nelle acque dolci circa lametà delle specie dei pesci èesotica; famoso è il caso delpesce siluro, vorace predato-re che nel Po raggiungedimensioni anche di 5 metri edè causa dell’estinzione di mol-te specie ittiche autoctone. Nonmeno preoccupante è la situa-zione nel Mar Mediterraneo,ove la presenza di un’alga tos-sica tropicale (Caulerpa taxi-folia), sfuggita dagli acquari,causa gravi problemi. E’ chia-ro quindi come le specie eso-tiche, e le invasive in partico-lare, rappresentino una minac-cia alla biodiversità autoctona.

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3737GennaioGennaio20152015

Le piante esotiche in Italiae nel Lazio

La flora esotica d’Italia ammon-ta attualmente a poco più di 1000specie, di cui circa il 90% direcente introduzione; nume-rosissime sono tra queste lespecie provenienti dalleAmeriche, tra cui i fichi d’Indiae gli amaranti che invadono vigne-ti e frutteti della fascia costie-ra. Ricordiamo che la flora ita-liana nel suo insieme è una del-le più ricche d’Europa, contandoben 7.600 specie e sottospe-cie. Per quanto concerne il Laziosono state censite 310 specie alloctone, che rappresentano il 9% del-la flora regionale, comprensiva complessivamente di 3200 specie. Tra le legnose con maggiore impatto ricordiamo l’acacia (Robinia pseu-dacacia) e l’ailanto che oramai, oltre a bordi di strada e scarpate, sonoriuscite a colonizzare anche i beni archeologici; nella città di Roma svet-tano sulle Mura Aureliane, costituendo elementi di grande pericolosità.

Azioni da intraprendere

Se la scomparsa degli habitat, il cambiamento climatico, l’eccessivo sfrut-tamento delle risorse e l’inquinamento figurano tra gli obiettivi priorita-ri dell’Unione Europea e degli Stati membri, il problema delle specieinvasive non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita. Con l’avvento del mercato unico e l’abbattimento delle frontiere si è anda-ta affermando la necessità di un approccio coordinato per tutelare gliecosistemi. Sebbene in alcuni Stati siano attualmente in vigore prassiconsolidate ed efficaci normative per ostacolare la diffusione di questespecie e favorirne l’eradicazione, l’Europa è sprovvistadi una strategia comune. Il frammentato scenario di inter-venti posti in essere difficilmente ridurrà i rischi cui sia-mo sottoposti; tenuto conto che il problema delle spe-cie esotiche invasive ha raggiunto dimensioni planeta-rie occorrono quindi forme di cooperazione internazio-nale, regionale, ma soprattutto locale, per sviluppare approc-ci concreti. Attualmente è in corso l’elaborazione di una nuova stra-tegia globale in materia. Visto che prevenire è meglioche curare, si può contenere la diffusione delle specieinvasive alloctone divulgando informazioni sul tema. Aldi là delle azioni comunitarie o nazionali, il semplice cit-tadino, opportunamente sensibilizzato, può fare moltoper conservare la “naturalità” del luogo in cui vive, cosìda contenere, come già detto, patologie per l’uomo (pri-me fra tutte le allergie), per le piante e per gli animali.Tra le priorità percorribili vi è una più corretta proget-tazione dell’arredo verde; nei giardini privati e pubbliciè fondamentale utilizzare alberi e arbusti spontanei innatura, così da creare una trama continua tra aree urba-ne e aree naturali, a costituire ciò che gli esperti chia-mano “rete ecologica”. Chi conosce i paesini delle vallate alpine, o le città delNord-Europa, sa bene come i viali, i parchi giochi e gliorti privati siano orlati di aceri, sorbi, betulle, faggi, a segui-re non solo la tradizione, ma anche indicazioni preciseemesse dagli Enti locali in merito alla scelta delle spe-

cie da utilizzare. Ed invece qui“da noi” è il caos totale: pal-mizi, cipressi allergenici especie australiane disseminateovunque, a favorire solo gli inte-ressi economici dei commer-cianti. Nei campi vanno ripuliti i bor-di di strada e gli incolti così daeliminare le infestanti; è neces-sario poi impiantare siepi di spe-cie autoctone (cappel di pre-te, alloro, biancospini, prugnoli,solo per citarne alcune) che ospi-tino insetti e uccelli in gradodi svolgere azioni di lotta bio-logica nei confronti dei nuo-

vi patogeni arrivati per carenza di controlli fitosanitari. E’ necessario quindi avere più cura del territorio in cui si vive, per favo-rire gli equilibri naturali tra ambiente fisico e componenti biologiche, anchein ambiente urbano. Cittadini ben documentati e “vigili” sui temi ambien-tali (i tre Atenei romani sono un buon riferimento culturale) potrannosupplire le carenze legislative ed amministrative.

Per saperne di piùwww.europe-aliens.org www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/biblioteca

* Docente dell’Università di Roma La Sapienza, Dipartimento. Biologia Ambientale

Nell’immagine del titolo: pianta di castagno infestata dal cinipide. Nelle altre foto due momenti della lotta al cinipide del castagno: liberazione di“Torymus sinensis” sui rami di alcuni castagni infestati.

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Presentazione di don Antonio Galati

QQuello che segue vuole essere una breve presentazionedel libro di don Luciano Lepore. Una presenta-zione e non una recensione perché, per prima

cosa, un testo di 300 pagine richiede più spazio di quel-lo a disposizione e, cosa più importante, trattandosi di unlibro sul Pentateuco, richiede delle competenze cultura-li e bibliche specifiche.Premesso questo, il presente libro di don Luciano è il secon-do da lui pubblicato in ordine di tempo e, probabilmente,lo si può pensare come l’applicazione, allo studio del Pentateuco,di quanto da lui elaborato nella sua opera precedente (Alleorigini del Pentateuco, Sardini 2013).Per quanto riguarda la struttura del testo, il libro è distin-to in due parti: nella prima si traccia il contesto geografi-co e storico-culturale, nonché politico e religioso, del mon-do patriarcale della fine del secondo millennio avanti Cristo, che è il perio-do a cui fanno riferimento gli eventi narrati dal Pentateuco; la seconda par-te, invece, è l’introduzione ai singoli primi cinque libri della Bibbia, riletti allaluce di quanto detto nella prima parte. Il ponte tra le due parti viene offer-to dalla riflessione di Lepore sulla questione mosaica, nella quale si riflet-te sulla tradizione, per lungo tempo sostenuta dalla Chiesa, che vuole Mosècome autore del Pentateuco e che viene risolta in maniera tale che «purammettendo che Mosè ossa essere l’iniziatore dell’evento storico dell’eso-do e della legislazione d’Israele, non per questo egli è da considerarsi l’au-tore dell’opera pentateutica» (pag. 108). Comunque, l’introduzione di questa questione permette a Lepore di presentareun excursus storico della ricerca sulle origini letterarie e sulla storia dellaformazione del Pentateuco, proponendo anche la sua posizione a riguar-do, utile, successivamente, per lo studio diacronico dei singoli libri.Si potrebbe continuare a lungo ad estrapolare idee o citazioni dell’opera didon Luciano Lepore per una presentazione più esaustiva del testo, ma, for-se, è più interessante sottolineare l’intenzione, che è possibile intravedereneanche troppo velatamente nel testo stesso, che guida lo sforzo intellet-tuale di don Luciano. Come egli stesso afferma nell’introduzione, «la Bibbiaè un condensato di esperienze di vita, trasmesso per mezzo di forme let-

terarie estranee alla nostra cultura e alla sensibilità let-teraria occidentale. […] La Torah è stata per secoli testi-monianza palpitante della vita d’Israele, quindi soggettaall’aggiunta di glosse, anche se minime. […] La diver-sità di testimonianze lasciano capire come il mondoebraico ha lasciato spazio a molteplici sensibilità, finoa quando il tempio e il sinedrio furono garanzia del-l’ortodossia della fede. Con la fine di queste istituzio-ni il Testo Masoretico, interpretato dai Rabbini, assu-me la funzione di fondamento della Tradizione in fun-zione del presente. […] Agli studiosi spetta di portare alla luce l’azione delloSpirito nel tempo della creatività. La ricchezza di vita-lità è utile all’uomo di sempre, perché rimangono vali-di i messaggi. […] La Parola, purificata dalle istanzecritiche della ragione, liberata dalle incrostazioni e dal-le letture ecclesiali e illuminata dalla retta interpreta-

zione, lascia intravedere in filigrana la “risposta di Dio” agli interrogativi diuna umanità che non trova nello Scientismo e nel Positivismo il contributoche soddisfi il bisogno di risposta alla domanda di senso» (pag. 8.12.13).In altre parole, Lepore è convinto che l’uomo di oggi, come l’uomo di ognitempo, ha delle domande esistenziali che pone al mondo sia contingenteche trascendente e trova soddisfazione solo lì dove queste domande rice-vono delle risposte esaustive. Queste vengono offerte da Dio, per mezzodella sua Parola, trasmessa per iscritto attraverso la Bibbia. Non sembre-rebbe essere la lettera della Bibbia la risposta, ma quei messaggi conte-nuti dietro e dentro gli eventi narrati dal testo sacro. Messaggi che, quindi,utilizzano gli eventi della storia biblica come mezzi di trasmissione. Dellevolte, però, una lettura fondamentalista ha scambiato il mezzo per il con-tenuto, perdendo di vista la realtà del messaggio stesso. Quindi l’obiettivo del libro di don Luciano è quello di mostrare come il testodel Pentateuco, fondamento della fede e della prassi di Israele e, per que-sto motivo, accolto anche dalla fede della Chiesa, sia suscettibile di unalettura storico-critica che sia capace, inserendolo nel suo contesto storico-culturale-politico-religioso di origine, di discernere nuovamente il messag-gio dal mezzo di trasmissione, per offrire all’uomo contemporaneo quellarisposta che cerca e che Dio ha messo a disposizione nella Bibbia.

Presentazione di don Antonio Galati

“La Misericordia e…”: un’espres-sione capace di dire tutto senza,d’altra parte, esaurire la sensibi-lità di nessuno. È stata questa lasensazione che ho avuto scorrendole pagine del nuovo libro diClaudio Capretti, intitolato appun-to La Misericordia e…, Aracne Editrice,Ariccia 2014. È un testo prodottodalla raccolta e dall’ampliamentodi vari articoli pubblicati dallostesso autore in questa rivistaEccelsi@ in cammino, nei qualiCapretti si pone nella vita di alcuni dei personaggievangelici, tentando di esprimere i loro stati d’a-nimo e le loro sensazioni prima, durante e dopoil loro incontro con il Signore Gesù.Lo stile è particolare, e caratterizza l’opera di ClaudioCapretti: i vari testi, brevi e perciò di facile lettu-ra, sono scritti come delle introspezioni dei variprotagonisti. Non essendo dei trattati o delle spe-culazioni teoriche, ma la messa per iscritto di emo-zioni e sensazioni, sono capaci di annullare la distan-za tra il lettore e il testo, quasi costringendo chilegge ad identificarsi con il protagonista di turno,specie quando il primo condivide con il secon-do, pur nella distanza di tempo, la stessa situa-zione e le stesse domande nei confronti di se stes-

so, degli altri e di Dio. Una carat-teristica si ripete nelle varie espe-rienze: il fatto che l’incontro conil Cristo è un punto di non ritor-no, un evento che non lascia piùi vari protagonisti come prima. E, sull’esperienza di quest’ulti-mi, anche il lettore è interroga-to su se stesso e sul suo incon-tro con il Cristo. Se c’è stato, edè stato vero, chi si accosta altesto può essere stimolato a farecome i vari personaggi presentatidall’autore: può ripercorrere lasua vita, le sue esperienze, met-

tere al centro dei ricordi l’incontro con il Risortoed evidenziare la sua metamorfosi, le sue sen-sazioni ed esperienze nuove, sollecitate e carat-terizzate dall’incontro con Gesù.Si diceva, all’inizio, che il titolo è capace di espri-mere tutto senza, però, esaurire nulla. Capacedi dire tutto perché, secondo quanto si può com-prendere leggendo il testo, per l’autore la mise-ricordia esprime l’essenza della persona e dellamissione del Salvatore. Egli è colui che non è venu-to con il dito puntato del giudice per accusare oallontanare, ma con le braccia aperte del croci-fisso per perdonare e accogliere. Sta qui, leggendoi testi proposti da Claudio Capretti, il nucleo del-la vita di Gesù secondo l’autore. Un titolo capa-

ce di dire tutto, perché, secondo Aurelio Fusi, cheha curato l’introduzione al testo di Capretti, «viè un altro elemento [oltre la misericordia] nei rac-conti di questo volume che non va dimenticato:è la gioia di aver incontrato Gesù» (pag. 15). Lagioia che promana dall’essere destinatari, da par-te dei vari personaggi, della misericordia di Dioincarnata nel Nazareno. Ma è anche un titolo chenon esaurisce il contenuto del libro, ma che, pro-prio come i tre puntini finali, lo lascia sospeso,non detto, da completare. Un completamento che dipenderà dal lettore. Egliè infatti colui che inserirà le parole mancanti altitolo. Parole che esprimeranno non solo le sen-sazioni dei singoli personaggi del testo, ma anchele proprie impressioni personali. E a questo pun-to questo diventerà un libro con una diversità ine-sauribile di titoli, perché ogni incontro con il Nazarenoè un evento unico e irripetibile, perché irripetibi-le è la situazione di ogni singolo uomo, ma irri-petibile è anche ogni singola risposta che il Signoredarà a chi lo incontra, una risposta personaliz-zata, fatta apposta per lui. Irripetibile è, infatti, lamisericordia di Dio: infinita nei confronti degli uomi-ni, ma unica, perché ogni volta è nuova, adattaalla situazione. Una misericordia che per la pec-catrice significa il perdono dei peccati (pag. 24),per Zaccheo significa la trasformazione dell’esattoreegoista nel discepolo altruista (pag. 51) e per Pietrola conferma della sua vocazione (pag. 212s.).

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Bollettino diocesano:

Prot. VSC A 52/ 2014Decreto di Nomina Vicario Parrocchiale della Parrocchia Santa Maria Assunta in SegniPer la facoltà datami dal can. n° 547 del Codice di Diritto Canonico, in sostituzione del rev.do P. Marc Cristiaan Petrus Kessels , con il presente decretoche ha effetto dal 1° dicembre 2014, nomino te Rev.do p. Yury Startsev ivenato in Russia il 5.02.1979 Ord. il 3.07.2005Vicario Parrocchiale della Parrocchia di S. Maria in Segni.Nell’attuare quanto richiesto dal Codice di Diritto Canonico in sintonia con il Parroco, ti assista la mia personale fiducia.Velletri, 27.11.2014. + Vincenzo Apicella, vescovo——————————————————————

Prot. VSC 55/2014Decreto di Nomina Assistenze Ecclesiastico del Distretto Lazio Sud dell’Associazione Scout d’EuropaVista la richiesta del Consiglio Direttivo della Federazione Scout d’Europa con lettera del 24.11.2014,Visto il nulla osta del Parroco di S. Maria Intemerata in Lariano rev.do Molinaro p. Vincenzo,Vista la tua disponibilità a tale servizio, subordinata alle primarie esigenze del tuo ministero in parrocchia e in diocesiTi nomino Assistenze Ecclesiastico del Distretto Lazio Sud dell’Associazione Scout d’Europa.La nomina ha la durata di un triennio, secondo gli Statuti dell’Associazione. Ti assista nel tuo incarico la Madre di Dio e San Giovanni Leonardi.Velletri, 02.12.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo———————————————————Rev.do P. Felix Antony Selveraj omdc/o Parrocchia S. Maria Intemerata, Piazza S. Eurosia 00040 Lariano RM——————————————————————

Prot. VSC 56/2014Al rev.mo Picca Mons. Paolodel Clero della Diocesi di Velletri-SegniDa tre anni l’incarico di Delegato episcopale per la Vita Religiosa è stato svolto dal Vicario Generale mons. Chialastri don Cesare.Volendo provvedere specificatamente a questo importante settore della realtà diocesana, anche in considerazione dell’Anno della Vita Consacrata indet-to da Papa Francesco e tenendo conto della tua esperienza pastorale e spiritualenomino te Mons. Paolo PiccaDelegato Episcopale per la Vita Religiosa nella Diocesi di Velletri-Segni.Sarà tuo compito fare in modo che le comunità religiose maschili e femminili presenti e operanti in diocesi si sentano partecipi della comune opera dievangelizzazione e di servizio della Chiesa locale.Ti assistano nel tuo nuovo incarico i santi Patroni Clemente e Bruno e la protezione della Madre di Dio.Velletri, 10.12.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo——————————————————————

Prot. VSC A 57/ 2014Decreto di nomina a Vicario Parrocchialedella Parrocchia di Maria Ss.ma Immacolata in ColleferroSecondo quanto disposto dal can. n° 547 del C.D.C. , volendo rispondere alle attese della Parrocchia di Maria SS.ma Immacolata in Colleferro, dopo cheP. Paulo Rosenberg Nogueira Lima ofm conv ha lasciato l’incarico, sentite le indicazione del rev.do P. Provinciale dei Frati Minori Conventuali, con il pre-sente decretonomino te P. Teofil PETRISOR ofm conv.nato il 04.12.1977 a Mun. Roman, Jud Neamt (Romania)Ordinato Sacerdote il 28.06.2003 Vicario Parrocchiale della Parrocchia di Maria SS.ma Immacolata in ColleferroNell’attuare quanto richiesto dai cann. 545§1, 548 e ss. in sintonia con il parroco, ti assista la mia paterna benedizione.Velletri, 22.12.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

Il Cancelliere Vescovile, Mons. Angelo Mancini

Caravaggio, Riposo durante la fuga

in Egitto / 1

1595-1596, Galleria Doria Pamphilj, Roma

don Marco Nemesi*

IIl giovane Caravaggio, all’età di 25 anni, rea-lizza questo incantevole capolavoro, una del-le sue rare opere ambientate in un paesag-

gio che conferisce al dipinto un marcato tono pasto-rale. Gli stessi colori impiegati giocano su mor-bidi passaggi, dai toni bruni e quelli verdi, dal bian-

co del velo che avvolge l’an-gelo ed il grigio argenteo del-le sue ali, dai riflessi tersi deidettagli fotografici in primo pia-no (damigiana, occhio dell’a-sino) e le sfumature delicatedello sfondo campestre. Qui non c’è ancora il forte con-trasto tra luci ed ombre che carat-terizzerà in seguito la pittu-ra di Caravaggio e lo rende-rà celebre, ma ritroviamo giàun’altra delle qualità artistichepiù celebrate di questo pitto-

re, cioè la capacità di portarein scena gli eventi biblici in unaforma di dramma sacro in cuivengono esaltate la dimensio-ne più terrena e concreta al paridell’illuminazione più soprannaturalee teologica … o come in que-sto caso, l’umana sofferenza allapari della divina dolcezza; i per-sonaggi della Storia dellaSalvezza creati dai pennelli diCaravaggio ci appaiono imme-diatamente vicini, come unnonno, un ragazzo di strada, una

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donna di casa … ciascuno con le sue paure, conle sue speranze, con le sue fatiche. Per questo il tono della nostra partecipazione emo-tiva cresce con l’evolversi dei suoi dipinti, da que-sti della gioventù, fino a quelli formidabili della matu-rità. Certamente anche Caravaggio raffigura deisanti in estasi, dei fedeli in preghiera, degli apo-stoli eroici, oppure degli angeli alati, come que-sto che sta al centro della scena, con le lungheali e la veste leggiadra; ma quello che lui rivolu-ziona è il punto di vista, l’intensità dello sguardoche sa cogliere la concretezza dei vissuti.Il soggetto della Fuga in Egitto, più che al raccontodei due versetti del Vangelo di Matteo (2,13-15),è ispirato ai vangeli apocrifi, e precisamente alloPseudo Matteo e al Protovangelo di Giacomo, mal’artista ha lasciato libero spazio alla sua imma-ginazione: il fatto che si veda qui inserito un ange-lo musicante è un’invenzione caravaggesca sen-za precedenti, che potrebbe manifestare l’influs-so del cardinal Pietro Aldobrandini grande culto-re della musica e collezionista di strumenti musi-cali, che partecipava alla vita del circolo intellet-tuale di Palazzo Madama, presso il cardinal DelMonte, che sarà poi uno dei protettori piùinfluenti di Caravaggio. Al centro della composizione un albero separa lascena: alla sinistra di chi guarda, sta l’anziano Giuseppecol volto segnato dalle rughe, che rappresenta ilpeso dell’età della vita; sotto di lui il terreno è ari-do e coperto di pietre, con fogliesecche, ormai senza vita; dallaparte opposta invece, appena aldi là del lembo del bianco man-to dell’angelo, la natura rifioriscefeconda ai piedi di Maria e delBambino; dietro l’asino a sinistrail cielo appare buio, mentre sopral’orizzonte sulla destra si vedo-no dei riverberi di luce, che si riflet-tono anche nelle acque del fiu-me che sta alle spalle del grup-po. Un’attenzione particolare, perla minuzia della realizzazione meri-tano le foglie dentellate edingiallite della quercia, che sonodipinte con la massima cura, poi-ché Caravaggio era convinto chegli aspetti naturalistici fossero degnidi massima attenzione.Giovanni Pietro Bellori, un criti-co d’arte del Seicento, a propositodella delicata figura dell’angeloviolinista, così celeste e così ter-restre allo stesso tempo, scriveva: “Evvi un ange-lo in piedi che suona il violino, san Giuseppe seden-te gli tiene avanti il libro delle note, e l’angelo èbellissimo, poiché volgendo la testa dolcementein profilo va discoprendo le spalle alate e il restodell’ignudo interrotto da un pannolino”. Questo angelo, presenza abituale nell’iconogra-fia della Fuga in Egitto, conferisce alla scena untono soprannaturale; egli fa da fulcro alla tela, poi-ché l’asse luminoso del suo corpo adolescenzialesi sovrappone al tronco della giovane quercia chesta nel mezzo. L’abilità straordinaria di Caravaggionello studio del nudo si manife-sta, in quest’opera, in manieraeclatante nella resa straordina-ria del fisico di questo essere ange-lico, un autentico vertice di ele-ganza e di pura bellezza che sem-

bra spuntato dalla terra come per incanto. La leg-gera e delicata postura è dovuta alla posa carat-teristica che assumono i suonatori di violino duran-te un’esecuzione. La sua pelle emana dei rifles-si di madreperla e le sue ali dal piumaggio luci-do evocano quelle dei cherubini, custodi del para-diso, sono quelle menzionate anche nei Salmi, làdove vengono menzionate per esprimere la curae la protezione di Dio per i suoi fedeli: Tu che abi-ti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombradell’Onnipotente, dì al Signore: «Mio rifugio e miafortezza, mio Dio, in cui confido». Egli ti libereràdal laccio del cacciatore, dalla peste che distrug-ge. Ti coprirà con le sue penne sotto le sue alitroverai rifugio. (Salmo 91, 1-4). L’ala destra infatti sembra sovrapporsi alle manidi Maria e di Gesù come per accarezzarle deli-catamente, con le sue piume vellutate. L’angelosta suonando una ninnananna del compositorefiammingo Noel Bauldewijn, interpretando uno spar-tito stampato a Roma nel 1520. Il brano era com-posto a partire dal testo biblico del Cantico deiCantici 7,7: “Quam pulchra et quam decora caris-sima in deliciis“ (nello spartito del dipinto si distin-gue molto bene l’iniziale Q).Questi versetti del Cantico dei Cantici godevanodi grande popolarità in epoca rinascimentale e baroc-ca e furono inseriti nei testi liturgici delle feste maria-ne: proprio all’inizio del Seicento, venivano pub-blicati a Venezia i Vespri della Beata Vergine Mariadi Monteverdi. Il dipinto di Caravaggio quindi assu-

me volutamente una intonazione lirica, come scri-ve il critico Eberard Konig:“Il significato del Vespro è quello dell’ora del tra-monto, della fine delle fatiche giornaliere al cala-re della notte, quando il pensiero del devoto vaalla fuga in Egitto o alla Deposizione del Cristomorto dalla croce. I quadri del vespro mostranola madre dolorosa con il figlio al petto ...Caravaggio, facendo trasparire attraverso lenote il contesto liturgico, mostra Maria che duran-te la fuga in Egitto vive il suo primo dolore, un pre-sentimento del suo pianto sotto la croce“.

Nella umile figura di Giuseppe noi possiamo acco-gliere ancora una volta una delle caratteristichefondamentali della pittura di Caravaggio, e cioèquesta sua attenzione a manifestare il divino, ola santità, senza idealizzazioni o costruzioni trop-po cerebrali.; al contrario, egli privilegia un’artecertamente più popolare e aderente a quegli inten-ti d’immediatezza e di comunicazione catechisti-ca indicati dal Concilio di Trento e che Caravaggioaveva recepito nell’ambiente milanese, per meri-to dell’azione pastorale di san Carlo Borromeo.Era stato proprio questo grande arcivescovo a rac-comandare agli artisti di abbandonare le aristo-cratiche e complicate composizioni del Manierismoper assumere un linguaggio pittorico di forte impat-to affettivo e devozionale, che potesse essere accol-to anche dalle persone dei ceti sociali più umili.Questo san Giuseppe è dunque un personaggioordinario; sappiamo che per i suoi ritratti di que-sta fase giovanile Caravaggio prendeva i suoi model-li dalla strada (Zingarelle che leggono la mano,Giocatori di carte da osteria etc…). Forse a qual-cuno, oggi come allora, questo fatto può risulta-re sconveniente, mancante di decoro e di digni-tà, ma egli ci aiuta così a comprendere che peril cristianesimo, il divino si rivela proprio nella pic-colezza e nella fragilità. La bellezza commovente di questo san Giuseppe,raffigurato come un vecchio contadino scalzo, statutta nello sguardo incantato ed interrogativo, inquesti piedi nudi posati l’uno sull’altro, e sopra-

tutto in questa sua posa un po’ gof-fa con cui rinuncia a dormire per veglia-re e sorregge lo spartito così da per-mettere all’angelo di suonare la nin-nananna per Gesù bambino e favo-rire il sonno ristoratore della sua spo-sa. È così che Caravaggio vuole espri-mere la semplice nobiltà e la sinceragenerosità di questo servo fedele nelcooperare al disegno di Dio, mostran-doci non un eroe, ma un compagnodi viaggio ... ed è proprio per que-sto che noi lo sentiamo vicino.Un particolare di questo quadro chenessuno può dimenticare è lo scor-cio del muso dell’asino con il suo gran-de occhio che sembra seguireincantato i movimenti armoniosi del-la mano dell’angelo che fa danza-re l’archetto sulle corde del violino.In altri quadri di Caravaggio gli ani-mali giocano un ruolo di protagoni-sti; si pensi allo straordinario caval-lo della Conversione di san Paolo,

o al capro che ritorna nel san Giovanni Battistacome pure nel Sacrificio di Isacco. In questo casol’asino, umile cavalcatura che introdurrà il Messianel suo ingresso a Gerusalemme, esprime la par-tecipazione dell’intera creazione al cammino delFiglio di Dio, dall’inizio alla fine. La sua testa acco-stata a quella di Giuseppe rimarca la fedele obbe-dienza di quest’ultimo alla volontà di Dio; il suoocchio è uno specchio buio e profondo in cui tut-ti noi possiamo ritrovarci per essere accompagnatinella contemplazione di questo mistero che è stes-so tempo di dolore e di amore.

*Direttore dell’Ufficiodiocesano Beni culturali,

Chiese e Arte sacra

(continua)

segue da pag. 39