Dicembre 2012
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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONTRO LE LEUCEMIE - ONLUS SEZIONE PROVINCIALE DI TREVISO
Periodico semestrale dell’AIL Treviso - Anno XIX - n. 2 (Dicembre 2012)Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB TVIn caso di mancato recapito restituire all’uffi cio di Treviso CPO detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa
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SOMMARIO
AIL NOTIZIE - Periodico dell’Associazione Italiana contro le Leucemie ONLUS - Sezione Provinciale di Treviso (Iscritto al n. 923 del registro
stampa del Tribunale di Treviso il 4 febbraio 1994). Presidente Mariotto Pelos Teresa - sede operativa: via Zoppè, 37 - 31020 S. Fior (TV)
Tel. e Fax 0438/777415 - per la corrispondenza AIL Associazione Italiana contro le Leucemie ONLUS - C.P. 45 - S. Fior (TV) - Direttore responsa-
bile Giovanni Dan - Redazione e impaginazione a cura di Gianfranco Dal Mas - Stampa: GRAFICHE BERNARDI s.r.l. - Pieve di Soligo (Tv)
Per eventuali donazioni a favore dell’AIL Treviso:
IBAN: IT 83 E 03599 01800 000000132038
CODICE ENTE ZZ132038
www.ailtreviso.it [email protected] [email protected]
Il ringraziamento dell’AIL al Dott. Dario ......................................................................................................................................... 3
Tante gocce per un oceano ........................................................................................................................................................................ 4
Il grande cuore degli alpini di Oderzo ............................................................................................................................................. 6
Le iniziative dell’AIL di Pieve ..................................................................................................................................................................... 7
Non dimenticheremo Mariella ................................................................................................................................................................ 8
Per ricordare Roberto ...................................................................................................................................................................................... 9
La rete contro la leucemia, i linfomi e i mielomi ...................................................................................................................... 10
Una nuova indagine molecolare ............................................................................................................................................................ 11
Ricordiamo chi ci ha lasciato ..................................................................................................................................................................... 13
Il racconto: Cente Campaner .................................................................................................................................................................... 15
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GRAZIE, DOTTOR DARIOIl 31 dicembre scade il
mandato di Direttore Ge-
nerale dell’ULSS 9 del
Dott. Claudio Dario. Tra la
struttura diretta dal Dott.
Dario e l’AIL Treviso sono
stati 10 anni di fattiva ed in-
tensa collaborazione e non
basterebbero altri 10 anni per dirgli il nostro grazie. Il
rapporto di rispetto, fi ducia e stima reciproca hanno
permesso di far decollare l’Unità Complessa di Emato-
logia Trevigiana, il Day Hospital, i laboratori di Citoge-
netica e Biologia Molecolare per la diagnosi la ricerca e
l’Assistenza Domiciliare.
Tutto questo è stato possibile grazie al Direttore Dott.
Dario che con la sua equipe ha avuto la saggezza, la
pazienza e la rapidità decisionale per valutare le nostre
proposte al fi ne di poter realizzare quanto di meglio dal
punto di vista scientifi co fosse possibile realizzare.
Dieci anni non sono così tanti se si pensa a tutto quello
che l’AIL ha realizzato. Resta ancora molto da fare e
tanti sono i progetti in cantiere fi nalizzati alla crescita
dell’Ematologia Trevigiana già considerata un’eccellenza
in tutta Italia.
GRAZIE Dott. Dario. Siamo certi che Lei, come noi, è
orgoglioso di questa bella e straordinaria conquista re-
alizzata insieme, aver portato a Treviso quello che man-
cava: l’EMATOLOGIA.
Teresa Pelos
Dona il tuo 5x1000Stampa, ritaglia e conserva il tesserino
con il codice fi scale AIL per la tua dichiarazione dei redditi.
Per info www.ail.it
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Un gesto
semplice ma
di grande sensibilità e
fedeltà alla nostra associazio-
ne. Ogni anno i fratelli Nadal di San
Fior di Sotto allestiscono un presepio nel por-
tico della loro casa. La capanna, una vecchia casa con
fi enile, un piccolo mondo animato da graziose statuine, il fasci-
no di ogni presepe.
Chi passa in via Palù entra in cortile e lascia il suo piccolo obolo in una cassetta, una piccola offerta per l’AIL.
Un gesto semplice, uno dei tanti che fanno la storia della nostra associazione.
Nell’ambito dell’Uni-versità degli adulti e anziani di San Fior è nata, da diversi anni, la nostra compagnia tea-trale. Quest’arte ci per-mette di mantenerci giovani, di crescere nei rapporti interpersonali dove lo spirito si carica nell’autogratificazione, ma soprattutto nella consapevolezza di far partecipi gli altri della nostra gioia. E, fra gli altri, cara Teresa, ci siete anche voi dell’AIL, dotati della prodigiosa arte del volontariato. “Tante gocce fanno un oceano” diceva la grande Madre Te-
resa. Anche noi, gruppo teatrale, desideriamo contri-buire alla vostra grande opera umana.
Luigina Mattiuzzi
C
ampagna
STELLE DI NATALE
7, 8, 9 dicembre
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Domenica 26 febbraio 2012 a Oderzo si è svolta la
seconda edizione della festa VECI E BOCIA presso
la nuova sede degli Alpini e del coro ANA. La pri-
ma edizione aveva riscosso un grande successo ed
è quindi stata spontanea l’idea, da parte degli amici
Alpini di Oderzo e del coro ANA, di riproporla e di
donare una parte del ricavato all’AIL.
Una bellissima giornata, divertente, arricchita dalla
musica del karaoke di Martina e Marzia. Un pranzo
favoloso ed abbondate, al quale abbiamo dovuto al-
zar bandiera bianca per la sazietà, tutto ottimo, grazie
anche all’ammirevole collaborazione dei volontari.
BRAVI TUTTI!
Ringraziamo le Penne Nere per averci dimostrato
ancora una volta la loro sensibilità, dedizione e il loro
grande cuore.
L’AIL di Oderzo
IL GRANDE CUORE DEGLI ALPINI DI ODERZO
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ARMONIA E FANTASIALE GRANDI INIZIATIVE
DI UN PICCOLO GRUPPOIl nostro è un gruppo AIL che opera ormai da parec-
chi anni, ma con il tempo l’entusiasmo e la voglia di
contribuire attivamente alla lotta alle leucemie non
è venuta meno. Anzi, si è intensifi cata con nuove ini-
ziative che, nate in sordina come “esperimento”, si
sono via via consolidate e ci permettono di racco-
gliere ulteriori fondi oltre a quelli derivanti dagli ap-
puntamenti “istituzionali” (“Stelle di Natale” e “Uova
di Pasqua”).
E così, grazie anche alla disponibilità della locale Pro
Loco, si è consolidata nel tempo l’iniziativa Casta-
gne e vin novo nell’ambito dell’annuale “Festa dello
Spiedo Gigante” che si tiene a Pieve agli
inizi di ottobre. Poi è maturata la collabo-
razione con il locale Centro Commerciale
Bennet, che mette a disposizione spazi e
materiali per il confezionamento, da parte
delle nostre volontarie, di pacchi regalo in
prossimità del Natale, devolvendoci poi le
offerte raccolte in tale occasione ed, anzi,
integrandole con un proprio apprezzabile
contributo. Tre anni fa, sempre con il vali-
dissimo supporto della Pro Loco di Soli-
go, è iniziata l’avventura della Cena della
lepre, organizzata a fi ne settembre-inizio
ottobre. L’iniziativa sta riscuotendo crescente inte-
resse ed ottimi risultati, grazie soprattutto alla gene-
rosità e sensibilità dei partecipanti.
Il 21 settembre abbiamo organizzato a Soligo il
1° Torneo di Burraco per l’AIL Treviso, frutto
dell’intraprendenza e fantasia delle nostre brave
esperte. Ed il risultato è stato apprezzabile sotto tutti
i punti di vista.
Anche se non siamo in
tanti, il nostro gruppo è
sempre in movimento.
Un gruppo che opera
in armonia, serenità,
collaborazione e re-
ciproco rispetto. Ma questo non è un
vanto, perché così devono essere i rapporti all’inter-
no di una Associazione come la nostra.
L’AIL di Pieve di Soligo
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La signora Mariella Zanetti, ospite
della nostra Ematologia, per dimo-
strarci la sua riconoscenza ha voluto
invitarci nella sua bella casa per un
incontro conviviale ed un pomeriggio
insieme.
Abbiamo avuto modo di scoprire la
perizia culinaria del marito. La gran-
de umanità di Mariella la conosceva-
mo già.
Dopo poco tempo Mariella ci ha la-
sciato.
Noi, volontarie AIL, non dimentiche-
remo questo gesto. Ciao Mariella.
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Caro Roberto, è stato un privilegio poterti avere al mio fi anco. Eri esarai sempre un uomo straordinario.Ti prego, mentre la vita terrena ci separa, continua a tenermi forte la manoe a sorridermi da lassù, un giorno, son sicura, ci incontreremo nuovamente.Con tutto l’amore che c’è stato e che per sempre resterà.
Anna
PER RICORDAREROBERTO BOSA
Lo scorso 16 settembre nella chiesa di Monastier Roberto Bosa è stato ricordato dalla sua comunità con un concerto Gospel che ha visto la partecipazione di un attento e caloroso pubblico la cui generosità ci consente ora di istituire, in memoria di Roberto, una Borsa di Studio sulle malattie oncoematologiche a lui intitolata.
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LAVORIAMO IN RETE CONTRO LA LEUCEMIA, I LINFOMI E I MIELOMI
Il 23 giugno 2012 in occasione della Giornata Nazionale contro le Leucemie, Linfomi e Mielo-ma si è tenuto a San Fior un importante conve-gno organizzato da AIL Treviso con il patrocinio del Comune di San Fior e delle 3 Aziende Socio Sanitarie della provincia di Treviso (ULSS 7, 8, 9).Il congresso, intitolato “Lavoriamo in rete con-tro la leucemia, i linfomi e i mielomi”, ha visto alternarsi numerosi relatori e moderatori che hanno illu-strato alla numerosa platea l’organizzazione e i vantaggi di un nuovo modello di assistenza sanitaria, che punta ad offrire un servizio più effi ciente a fronte di una raziona-lizzazione delle risorse umane e materiali.Dopo un’introduzione dei lavori da parte del dr. Clau-dio Dario, Direttore Generale della ULSS 9 di Treviso, il Primario dell’Ematologia, dr. Gherlinzoni, ed il dr. Dei Tos, Primario dell’Anatomia Patologica, hanno approfondito il tema, presentando il sistema defi nito con terminolo-gia anglosassone “Hub and Spoke”. Questo modello di sviluppo è stato utilizzato originariamente dalle compa-gnie aree a partire dagli anni 80 e prevede la presenza di un aeroporto principale (Hub ovvero “fulcro” di una ruota), dove vengono concentrati la maggior parte dei voli provenienti dagli aeroporti periferici (Spoke ovvero “raggi” di una routa). Attraverso l’applicazione di questo sistema, il trasporto aereo ha potuto garantire nel tempo un maggior numero di voli, una maggiore fl essibilità per i passeggeri ed il collegamento di aeroporti che altrimen-ti non sarebbero stati raggiunti, a causa di un fl usso di traffi co insuffi ciente e n economicità nel collegamento diretto. Analogamente al modello operativo aeroportua-le, il concetto di hub & spoke è applicabile nei servizi sanitari tramite uno schema organizzativo caratterizzato dalla concentrazione dell’assistenza ad elevata complessi-tà in centri di riferimento (HUB) supportati da una rete di strutture ospedaliere più piccole (SPOKES) a cui com-pete la selezione dei pazienti ed il loro invio al centro HUB, quando una determinata soglia di gravità clinico-assistenziale viene raggiunta o superata. I vantaggi legati a questo sistema sono un aumento della effi cacia, dell’ef-fi cienza e della appropriatezza dell’assistenza, a fronte di una riduzione del consumo delle risorse. Questo siste-ma non è di tipo gerarchico, ma punta a concentrare l’alta specializzazione in un unico Centro, soprattutto
al fi ne di garantire la massima qualità dell’assi-stenza al paziente. La presenza di un “ospedale sotto casa” non è auspicabile a fronte di pato-logie di elevata complessità e che necessitano di un complesso iter diagnostico, terapeutico e assistenziale; inoltre non è economicamente so-stenibile. Ovviamente perché il sistema funzioni correttamente deve essere garantito anche il
buon funzionamento di tutti i centri “Spoke” e favorito un rapido accesso al centro “Hub” in caso di necessità, come ha diffusamente illustrato il dr. Tagariello, Primario della U.O. di Ematologia dell’Ospedale di Castelfranco. Sempre allo scopo di migliorare l’assistenza al paziente e razionalizzare la spesa sanitaria vanno inoltre implemen-tati tutti i servizi che integrano l’Ospedale ed il territorio, con l’attivo coinvolgimento dei medici di Medicina Ge-nerale. Questo concetto è stato sottolineato dal dr. Lo Stimolo che ha presentato dati molto interessanti relativi all’esperienza di quasi 5 anni di Assistenza Domiciliare in Onco-Ematologia a Treviso, un progetto che ha coin-volto la U.O.C. di Ematologia, ma anche tutti i medici di Medicina Generale e i Distretti Socio-Sanitari della ULSS 9. In questi anni numerosi pazienti affetti da patologie di tipo ematologico ed in condizioni cliniche generali tali da non consentire loro un facile accesso alla struttura ospe-daliera sono stati assistiti a domicilio, portando a casa lo stesso tipo di assistenza che sarebbe stata fornita loro presso il DH della U.O.C. di Ematologia. I risultati otte-nuti sono stati estremamente favorevoli, sia in termini di qualità delle cure fornite che in termini di miglioramento della qualità di vita del paziente. Si è inoltre registrata una sensibile razionalizzazione del carico di lavoro del DH. A conclusione dei lavori la dr.ssa Maria Grazia Carraro, Direttore Sanitario della ULSS 7 di Pieve di Soligo, ha riferito il punto di vista delle Aziende Sanitarie del Veneto in termini di programmazione sanitaria, che sono orien-tati al favorire l’applicazione dei suddetti modelli organiz-zativi. La dr.ssa Carraro ha inoltre esaltato il ruolo di asso-ciazioni ONLUS come AIL Treviso, il cui prezioso lavoro a sostegno del paziente e della sua famiglia arricchisce in modo insostituibile il nostro sistema sanitario.
Elisabetta Calistri Ematologia di Treviso
Filo diretto con il medico
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Filo diretto con il medico
LEUCEMIA MIELOIDE ACUTADALL’ANALISI CITOGENETICA CONVENZIONALE
ALLA CGH-ARRAYNell’agosto del 2003, grazie alla generosità di AIL Treviso è stato aperto il laboratorio di Citogene-tica presso l’Unità Operativa di Anatomia Pato-logica. Si è trattato di un passo fondamentale per l’Azienda ULSS di Treviso, traguardo che senza l’AIL non sarebbe stato possibile raggiungere.Nel 2010, sempre grazie allo straordinario impe-gno dell’AIL, è stato acquistato uno strumento per effettuare una nuova indagine molecolare: l’ibridazio-ne genomica comparativa su microarray (CGH-array). AIL inoltre ha consentito attraverso l’acquisto di reagenti dedicati la messa a punto del nuovo strumento al fi ne di iniziare un nuovo progetto di ricerca oncoematologica.Negli ultimi anni, l’avvento del CGH-array ha consentito di ottenere una più alta risoluzione nella rilevazione delle anomalie cromosomiche rispetto alle tecniche di citoge-netica convenzionale (dalle 100 Kb alle 10 Kb) offrendo, inoltre, il vantaggio di poter analizzare l’intero genoma in un unico esperimento di ibridazione. La CGH-array si presenta infatti come metodo utile per rilevare e localiz-zare simultaneamente perdita o guadagno di materiale genetico, per tale motivo il suo utilizzo è in rapido incre-mento nello studio di malattie genetiche, congenite ed acquisite.Attualmente è in corso una collaborazione con il Prof. Martinelli del Dipartimento di Ematologia e Scienze On-cologiche «L. E A. Seragnoli» di Bologna per l’applicazio-ne dell’analisi CGH-array a una casistica omogenea per malattia (leucemie Core-Binding Factor) e per trattamen-to (studio clinico My-FLAI-5). Le leucemie Core-Binding Factor (CBF) sono un sottogruppo di leucemie mieloidi acute eterogeneo dal punto di vista prognostico poiché si riscontrano sia casi “a prognosi favorevole” che casi a maggiore aggressività, senza peraltro disporre di sicuri pa-rametri prognostici.Non esistono fi nora studi in letteratura che abbiano ap-plicato metodiche CGH array alle leucemie CBF. La nostra ipotesi è che il riconoscimento della presenza di danni citogenetici criptici consenta una migliore defi nizione di sottogruppi a prognosi diversa.Lo studio clinico di fase II My-FLAI-5 ha coinvolto dal 2007 al 2010 alcune Ematologie italiane (Udine, Bolo-
gna, Treviso, Pesaro, Parma) ed ha proposto una strategia terapeutica, per casi di Leucemia Acuta Mieloide CD33-positiva in pazienti di età infe-riore a 65 anni, comprendente una chemiote-rapia intensiva (FLAI-5) associata ad una terapia a bersaglio molecolare come terapia di induzio-ne, seguita da consolidamento con trapianto di cellule staminali ematopoietiche, dove possibile.
Lo studio ha evidenziato un tasso di remissioni comple-te pari all’83% e parallelamente un favorevole profi lo di tossicità. L’applicazione della metodica CHG array a questo proto-collo è di particolare interesse in quanto potrà risultare utile all’individuazione di alterazioni criptiche e per una più approfondita comprensione di riarrangiamenti già evidenziati ma non ben defi niti mediante la sola analisi citogenetica.Dal lavoro svolto e dai dati presenti in letteratura appa-re evidente che un approccio integrato tra citogenetica classica/citogenetica molecolare e aCGH può essere utile per fornire una diagnosi più precisa al fi ne di una più chiara caratterizzazione dei riarrangiamenti cromosomici presenti. La possibilità di condurre uno studio genome-wide ad alta risoluzione consente infatti di defi nire le di-versità “genetiche” presenti in pazienti caratterizzati da fenotipi clinici indistinguibili mediante criteri tradizionali. Inoltre, studi ulteriori in grado di correlare i profi li ge-nomici derivanti dagli esperimenti di aCGH con i dati di espressione genica, potranno chiarire l’importanza e l’implicazione patologica di quei geni presenti in regioni critiche spesso interessate da alterazioni cromosomiche. Grazie ad AIL è stato quindi possibile effettuare un ulte-riore importante passo avanti in campo tecnologico nella speranza di poter offrire ai pazienti ematologici migliori diagnosi e migliori terapie. Ancora una volta speriamo di ripagare la fi ducia e la generosità dell’AIL garantendo massimo impegno e dedizione.
Dr.ssa Lucia Zanatta e Dott. Angelo Paolo Dei Tos
Ematologia di Treviso
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STRUMENTI DONATI DALL’AIL AL LABORATORIO DI CITOGENETICA
PRESSO L’UNITÀ OPERATIVA DI ANATOMIA PATOLOGICA DI TREVISO
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Il Racconto
vecchia pieve, e cominciava con l’Ave
Maria, che era un doppio. Poi veniva il
bot, poi ancora un doppio e alle sei la
messa veniva annunciata da un ultimo
bot. Al Sanctus, Cente lasciava la cele-
brazione e raggiungeva il campanile
per un altro doppio.
Le campane annunciavano
poi mezzogiorno, l’Ave Ma-
ria della sera e, mezz’ora
dopo, l’ora de not, che era
l’invito ad una prece per i
morti. Nei giorni festivi ogni
doppio diventava terzo.
Il giovedì, il venerdì ed il
sabato che precedevano
una festa granda, prima
di mezzogiorno e prima
dell’Ave Maria della sera,
venivano suonate le grezze. Cente saliva nella cella
campanaria e legava le corde ai tre batocchi: due ve-
nivano manovrate a mano, la terza da un piede, cui
era assicurata da un nodo sopra la caviglia. Erano
variazioni di rintocchi allegri e giochi di note festo-
se. La gente veniva anche da fuori paese per sen-
tirle perché nelle parrocchie vicine mancavano gli
esperti e si diceva che nessun sonèa le grezze come
Cente Campaner.
Il sabato venivano suonate le vèe de festa. Era il se-
gnale che, interrotti i lavori nei campi e riposti gli
attrezzi, ci si poteva preparare alla festa del giorno
dopo.
CENTE CAMPANER
Il suo vero nome era Giuseppe Innocente San-
tin. Si sa, però, che uno dei pochi lussi che
potevano permettersi i poveri una volta era il
concedersi certe libertà coi nomi. E così, arri-
vato al fonte battesimale col nome di Giusep-
pe Innocente, nel rispetto dei nonni secondo
tradizione, per alcuni anni Giuseppe era stato
Bepin, poi il secondo nome aveva preso il so-
pravvento sul primo, forse
per la somiglianza attribui-
ta da qualcuno a Bepin col
nonno materno. Col tempo,
poi, per via della tendenza
dei Veneti a semplifi care le
cose, Innocente era diven-
tato Cente.
Ma per tutti Giuseppe In-
nocente Santin era Cente
Campaner.
Ora l’elettricità ha fatto sparire i campanari e chiuso
per sempre le porte dei campanili e riesce diffi ci-
le ai giovani del mio paese capire perché gli scalini
che accedono alla vecchia torre presentino degli in-
cavi così vistosi.
Di Cente Campaner, sessant’anni di servizio come
sagrestano, si diceva la frugà la riva dea cesa e i
scaìn del campanil.
Le campane erano la colonna sonora del paese.
C’era il bot, campana grande, il doppio, la grande
e la mezzana, ed il terzo, la grande la mezzana e la
piccola. Alle cinque del mattino con qualsiasi tempo
Cente saliva l’erta ripida che dal borgo porta alla
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Tutti i riti che segnano il passaggio da un’età all’al-
tra, la nascita, il matrimonio, la morte, venivano
annunciati alla comunità dalle campane. L’agonia
consisteva in 33 rintocchi lenti che invitavano a pre-
gare per il moribondo. Dal suono si poteva capire
se si trattava di una donna o di un uomo: nel primo
caso si diceva l’à ciott do bot, e nel secondo caso l’à
ciott tre bot e cioè la campana veniva tenuta sospesa
ogni due o tre oscillazioni. Si diceva che l’orecchio
fi ne della Tona riuscisse addirittura a cogliere se si
trattava di un povero o di un benestante. Usciva al-
lora dalla sua osteria con un boccale da mezzo o da
litro ed entrava, recitando ad alta voce le litanie, nel
vicino laboratorio di Meno Cassèa, il falegname del
paese. Se si fosse trattato di uno che aveva la tom-
ba di famiglia, infatti, oltre alla bara di legno c’era
da costruire la cassa interna di zinco e c’era quindi
lavoro anche per Jio Favro che collaborava come
fabbro nella falegnameria.
La notte tra i santi e i morti,
rintocchi lenti accompagna-
vano la processione dei de-
funti che si diceva avvenisse
in cimitero. Solo in questa
occasione Cente Campaner
consentiva a qualcuno l’ac-
cesso al campanile per es-
sere coadiuvato nella lunga
veglia.
L’approssimarsi del brutto
tempo veniva annunciato da
un terzo a rovescio: prima la piccola, poi la mezzana,
poi la grande. I rintocchi si spandevano per i pendii
ed il piano, sovrapponendosi spesso a quelli lugubri
del campanòn del domo de Conejan che solo in que-
sta occasione, favoriti dal turbine, giungevano fi no
a qui, mescolandosi, lontano, al pauroso fragore del
tuono. Gli uomini rientravano dai campi, le donne si
affrettavano a bruciare rametti di ulivo benedetto e,
accesa la candela della Ceriola, venivano recitate le
litanie della Madonna. “Cente al sòna, le brutt da-
vèro...”, erano le campane a stabilire se i lampi ed i
tuoni rappresentavano segnali reali o fallaci. Consa-
pevole di questo, Cente Campaner era diventato un
esperto meteorologo.
Il Vespro. C’era il Vespro, allora, il pomeriggio del-
la domenica, sempre alla stessa ora, e la chiesa era
sempre piena.
Era piena d’estate, quando il verso della cicala sem-
brava rendere ancora più arse le colline e la campa-
gna, deserta per il giorno di festa, pareva desolata.
Era piena d’inverno, quando il vento carico di piog-
gia arrivava dal furlan e si infrangeva sulle colline
attorno alla chiesa, scaricando il turbine sui cipressi
della canonica. O quando i campi si vestivano di ver-
de lussureggiante e gli uomini indugiavano lungo le
strade che portavano alla pieve e discutevano sulle
colture e la loro maturazione, mentre dai giardini
arrivavano profumi intensi di rose e stupefacenti
concerti di cinguettii provenivano dalla stretta e fi t-
ta boscaglia a destra del viale di tigli.
Era piena la chiesa quando i cumuli di vinacce im-
pregnavano l’aria di umori mostosi e nella campagna
il verde lasciava spazio ai colori dell’autunno, e le
teorie dei fi lari, che si andavano spogliando, aggiun-
gevano geometrie alla geometria di campi e siepi,
che dal piazzale costituivano uno spettacolo unico.
C’erano i salmi cantati, con i capàti a dare una mano
a don Oreste nei banchi del coro. I brani in latino
erano sempre quelli, con qualche variazione a Nata-
le e Pasqua, sempre incomprensibili a chi li cantava
e a chi li ascoltava.
Il Racconto
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Il Racconto
Veniva quindi il momento del sermone, perenne-
mente imperniato sul sesto comandamento.
Il sonnellino pomeridiano per qualche vecchio era
sacro e rituale quanto il Vespro, specie nei caldi
pomeriggi d’estate. Per tale pratica la predica era il
momento più a rischio. Quando dal pulpito si accor-
geva che qualcuno era caduto nella braccia di Mor-
feo, don Oreste alzava vistosamente il tono della
voce. Si malignava che lo scopo fosse di permettere
a tutti di deporre l’obolo nella borsa delle offerte di
Cente Campaner, che proprio durante il sermone
faceva il suo giro tra i banchi per le elemosine. In
realtà il buon don Oreste sapeva che se il dormien-
te si fosse messo a russare, il regolare svolgimen-
to della funzione sarebbe stato irrimediabilmente
compromesso: il controllo sull’attenzione, già diffi -
cile e precario, sarebbe defi nitivamente sfuggito di
mano al parroco e alla madre superiora, che attenta
lo coadiuvava tra i banchi dei ragazzi.
Ma i giovani, oltre che dalla madre superiora, dove-
vano guardarsi dagli anziani che, notando delle sba-
vature nell’attenzione, intervenivano con maniere
non propriamente gentili. L’educazione, allora, era
compito collettivo e quasi tutti avevamo i nostri sàn-
toi, che non erano i “santoli” della Cresima, ma quelli
che ci avevano “cresimato” in occasione di compor-
tamenti giudicati non consoni alle sacre funzioni.
Terminato il giro delle elemosine Cente predispo-
neva il tutto per la benedizione del Santissimo e ac-
cendeva le candele sui grandi candelabri posti a lato
del tabernacolo.
Questo per noi era il cuore del Vespro, il momen-
to più atteso. Negli ultimi anni, infatti, Cente aveva
avuto qualche problema con la vista e gli riusciva
diffi cile valutare le distanze. Sicché accendere lo
stoppino dei sei alti candelabri con la fi ammella che
ardeva sulla sommità della lunga asta nera gli riu-
sciva solo dopo lunghi e reiterati tentativi. Presi da
questo spettacolo, chi lo ascoltava più don Oreste?
Veniva quindi il momento della benedizione tra uno
stuolo di chierichetti che occupavano tutto il coro
ed erano disposti secondo una rigida gerarchia. Ve
n’erano di tutte le età, tanto che qualcuno rimane-
va chierichetto fi no alla chiamata di naia. Non tutti
però tenevano un comportamento degno della litur-
gia che stavano servendo e, tra un versetto del Tan-
tum ergo e un altro, don Oreste minacciava punizio-
ni che mai o quasi mai avevano un seguito.
Cercava di controllare l’ordine, ma senza apprezza-
bili risultati, anche Cente, che mandava occhiatacce
accompagnate dall’unica espressione che ricordo
uscita dalla sua bocca: “sito!”
Nessuno ha dimenticato quel Vespro di tanti anni fa
quando Cente, in una giornata particolarmente infe-
lice, aveva preso per un candelabro il bianco croce-
fi sso sopra il tabernacolo ed insisteva con la fi amma
sulla corona di spine del povero Cristo.
Successe il fi nimondo. All’improvviso ed incon-
trollato scoppio di ilarità, don Oreste interruppe
la predica e la madre superiora perse addirittura il
controllo dei primi banchi e la devozione, se mai di
devozione si potesse parlare, per quella volta andò
a farsi benedire.
Don Oreste era famoso per non aver mai perso la
calma o, meglio, per averla persa solo in pochissi-
me occasioni: questa fu una di quelle. Mai così ar-
dentemente bramò di guadagnare la sacrestia: ed in
sacrestia tutti ebbero le loro spettanze. Dicono che
quella volta menò le mani anche Cente. Fuori della
chiesa poi, intenso fu il lavoro di sàntoi e madre su-
periora.
Dopo il Vespro gli uomini raggiungevano l’osteria del-
la Tona, giù nel borgo. Chi giocava a carte, chi a boc-
ce nel vicino dogo dèe bae, chi discuteva del paese e
del mondo, attorno ad un tavolo e ad una bottiglia.
Cente rimaneva in chiesa a spegnere le candele,
riporre i paramenti e rimettere ordine, nessuno lo
vide mai dalla Tona. Poi si sedeva in un banco in
fondo alla chiesa, a pregare nella penombra. Prega-
va per le anime del Purgatorio, per quelli che non
frequentavano il Vespro, per i giovani che vi anda-
vano solo per guardare nel mucchio delle ragazze,
per gli uomini che, dopo aver fatto il pieno di indul-
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genze al Vespro, giù dalla Tona già cominciavano a
lasciarsi scappare qualche moccolo.
Era tutta lì la sua vita, tra la chiesa ed il campanile,
lui che non aveva né moglie, né fi gli, né parenti.
In un paese dove non succedeva mai nulla la ricorren-
za più grande era la settimana santa, con annessi e
connessi, ma la festa in onore dei santi patroni Pietro
e Paolo diventava addirittura un evento straordinario.
“No pol mia èsser sempre San Piero” o “San Piero
vien sol ‘na volta ‘l’ano” erano proverbi nostrani, mo-
niti che prendevano spunto proprio dalla certezza
che non vi era in paese festa più grande di questa.
E così la solennità dei santi Pietro e Paolo, che tro-
neggiavano sull’altar maggiore ai lati della Beata
Vergine, fi niva per essere soltanto la sagra de San
Piero. Forse per le diverse personalità dei due apo-
stoli. La tradizione, infatti, tramandava del primo
l’immagine di uomo generoso, concreto e sbriga-
tivo, molto vicino a qualche personaggio nostrano.
L’essere poi custode della porta del Paradiso ne fa-
ceva una fi gura molto più popolare di San Paolo, la
cui mania di scrivere lettere a destra e a manca ave-
va fi nito per etichettarlo come intellettuale, immagi-
ne che non riuscivano a dissimulare né la spada che
teneva in mano né l’espressione vagamente arcigna
che l’autore del dipinto gli aveva impresso in volto.
In occasione della sagra de San Piero per Cente
c’era lavoro straordinario, con interminabili concer-
ti di grezze e di terzi suonati a distesa, a sottolineare
la febbrile attesa della festa.
Era usanza che, per tale occasione, fosse invitato a
celebrare la messa granda un sacerdote che avesse
fama di grande oratore, detto appunto “predicatore
straordinario”. Apriva l’omelia invitandoci a ringra-
ziare Domineddio per il privilegio di essere stati affi -
dati alla protezione di due santi di cotanto spessore.
Noi ragazzi non facevamo in tempo a chiederci cosa
avessimo fatto per meritarci cotale fortuna che già
il predicatore tuonava contro la moda invereconda
degli abiti con le maniche corte e contro l’impruden-
za delle madri che non controllavano a suffi cienza
le ragazze quando uscivano con il moroso. Abitua-
ta a coprire dal pulpito i ben più vasti spazi della
cattedrale, la voce possente riempiva, inondandola,
la breve navata, mentre gli sguardi degli anziani si
cercavano scambiandosi furtivi e compiaciuti cenni
di assenso.
Per noi Cente e don Oreste erano come i santi Pie-
tro e Paolo. Li accomunava qualcosa di impalpabile,
l’essere un tutt’uno assieme alla chiesa. Il sacresta-
no non si consultava mai con il parroco, l’intesa era
totale e tutto si svolgeva secondo un copione mai
scritto ma consolidato da anni di servizio. E doveva
far parte del copione anche il piccolo rituale alla fi ne
di ogni messa, quando Cente, celatosi dietro all’al-
tare, si scolava, bevendo direttamente dall’ampolla,
il vino rimasto. Ricordo che nel coro si diffondeva
allora lo stesso odore acre che ammorbava l’osteria
della Tona, mal ammorbidito dall’incenso.
E venne il giorno il cui don Oreste decise di elettri-
fi care le campane, dal momento che solo qui veni-
vano ancora suonate a mano e Cente andava per gli
ottanta.
Alle messe di quella domenica, tra gli scarni avvisi ai
fedeli avrebbe detto che, grazie alla generosità di al-
cuni parrocchiani e all’apporto determinate di Bepo
letrecista, ora le campane avrebbero suonato da sole.
Non disse, non gli sarebbe mai venuto in mente, che
d’ora in poi tutti i bot, i doppi e i terzi sarebbero stati
uguali, che le agonie sarebbero state le stesse per
uomini e donne, che la Tona non sarebbe più stata in
grado di coglierne le diverse sfumature…
Quella mattina don Oreste fece partire il doppio dal-
la cucina della canonica, pigiando su due bottoni.
Quella mattina le donne della messa prima trovaro-
no la porta della chiesa chiusa. Non era mai succes-
so, la puntualità del sacrestano era proverbiale. Una
disse che Cente era rabià par via dèe campane.
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Ma don Oreste, capì subito.
Lo trovarono a letto che dormiva il
sonno della morte. Era l’unico scher-
zo che si era concesso in tutta la sua
esistenza.
“Ha raggiunto la casa del Signore Giu-
seppe Innocente Santin di anni 78” era
scritto nella epigrafe. E tanti in paese
si chiesero chi fosse morto.
Il Vespro non c’è più da trent’anni. Era
la funzione più solenne. Più dei canti,
dei salmi, delle candele, delle predi-
che, dell’organo, delle benedizioni, ri-
cordo l’incenso che impregnava l’aria
all’esterno della chiesa per ore ancora,
scendendo a volte fi no all’osteria della
Tona.
Mani esperte non provocano più
le toccanti variazioni di un tempo,
le grezze fanno ormai parte della
memoria. Silenziose anche le cam-
pane, coperte da mille suoni e mil-
le rumori che le sovrastano.
Non c’è più don Oreste, né la Tona,
né la sua osteria, tutto sparito, tut-
to diventato storia, il paese, quel
paese, non esiste più.
Il piazzale della chiesa è pratica-
mente sempre deserto, il silen-
zio abissale. A fi anco della scala
del campanile, con gli scalini vi-
stosamente concavi al centro, i
chierichetti di 40, 50, 60 anni fa
hanno voluto una piccola lapide.
Una foto, due date ed un nome:
CENTE CAMPANER.
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