Democratica n. 288 del 7 novembre 2018 - Risveglio democratico · RISVEGLIO DEMOCRATICO Midterm...

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WWW.DEMOCRATICA.COM Diciamolo subito, a scanso di equivoci. Trump non ha vinto le elezioni di midterm, nonostante le sue celebrazioni su Twitter. Nell’unica, vera consultazione nazionale, quella per il rin- novo dei 435 seggi della Camera dei deputati, la vittoria dei demo- cratici è stata netta ed inequivocabile. Al tempo stesso, però, il pre- sidente non è stato spazzato via. I sondaggi della vigilia, checché ne dica il sempre arguto Luigi Di Maio, sono stati confermati in pieno. STEFANO CAGELLI SEGUE A PAGINA 2 PAGINA 3 RISVEGLIO DEMOCRATICO Midterm Dalle urne esce un’America divisa più che mai. I repubblicani perdono la Camera e mantengono il Senato. E ora parte la corsa per le presidenziali 2020 n. 288 mercoledì 7 novembre 2018 “Qualsiasi forma di disprezzo, se avviene in politica, prepara o instaura il fascismo” (Albert Camus, 7 novembre 1913 - 4 gennaio 1960) A vrebbero dovuto chiamarlo non “decreto sicurezza” ma “decreto clandestinità”, o “decreto illegalità”. Le nuove norme volute da Salvini per la gestione dei flussi migratori provocheranno l’aumento dell’insicurezza dei cittadini per due motivi. Perché faranno crescere il numero di immigrati irregolari nel nostro Paese. SEGUE A PAGINA 5 Vi presento il decreto farsa di Salvini L’EDITORIALE / 1 Dario Parrini D opo qualche mese, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che il “governo del cambiamento” è in realtà il “governo della restaurazione”, i cui riferimenti sconfinano spesso in un grottesco che speravamo di aver consegnato alla Storia. Non solo con i terreni gratis per il terzo figlio rivivremo la bonifica dell’Agro Pontino e della Maremma, ma dall’anno prossimo potremo rivivere la scuola di Gentile. PAGINA 6 Scuola, benvenuti nella restaurazione L’EDITORIALE / 2 Anna Ascani ALLE PAGINE 4-5 Di Maio-Salvini, lotta continua. Fiducia ok ma il Pd protesta GOVERNO I volti della rinascita dem

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Diciamolo subito, a scanso di equivoci. Trump non ha vinto le elezioni di midterm, nonostante le sue celebrazioni su

Twitter. Nell’unica, vera consultazione nazionale, quella per il rin-novo dei 435 seggi della Camera dei deputati, la vittoria dei demo-cratici è stata netta ed inequivocabile. Al tempo stesso, però, il pre-sidente non è stato spazzato via. I sondaggi della vigilia, checché ne dica il sempre arguto Luigi Di Maio, sono stati confermati in pieno. STEFANO CAGELLI SEGUE A PAGINA 2 PAGINA 3

RISVEGLIO DEMOCRATICO

Midterm Dalle urne esce un’America divisa più che mai. I repubblicani perdono la Camera e mantengono il Senato. E ora parte la corsa per le presidenziali 2020

n. 288mercoledì

7 novembre2018

“Qualsiasi forma di disprezzo, se avviene in politica, preparao instaura il fascismo” (Albert Camus, 7 novembre 1913 - 4 gennaio 1960)

Avrebbero dovuto chiamarlo non “decreto sicurezza” ma “decreto clandestinità”, o “decreto illegalità”. Le nuove norme volute da

Salvini per la gestione dei flussi migratori provocheranno l’aumento dell’insicurezza dei cittadini per due motivi. Perché faranno crescere il numero di immigrati irregolari nel nostro Paese.

SEGUE A PAGINA 5

“Vi presento il decreto farsa di Salvini

L’EDITORIALE / 1

Dario Parrini

Dopo qualche mese, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che il “governo del cambiamento” è in realtà il “governo

della restaurazione”, i cui riferimenti sconfinano spesso in un grottesco che speravamo di aver consegnato alla Storia. Non solo con i terreni gratis per il terzo figlio rivivremo la bonifica dell’Agro Pontino e della Maremma, ma dall’anno prossimo potremo rivivere la scuola di Gentile. PAGINA 6

“Scuola, benvenutinella restaurazione

L’EDITORIALE / 2

Anna Ascani

ALLE PAGINE 4-5

Di Maio-Salvini, lottacontinua. Fiducia okma il Pd protesta

GOVERNO

I volti della rinascita dem

2 mercoledì 7 novembre 2018

La forza della democrazia nell’America divisa a metà

Tutti (ma proprio tutti, non si ca-pisce quali abbia consultato la “lince di Pomigliano”) prevede-vano un Congresso spaccato a metà, con i dem che riprende-vano, dopo quattro anni, il con-

trollo della Camera e i conservatori, avvan-taggiati anche dal fatto che 26 dei 35 stati in cui si votava erano “blu”, che mantenevano la maggioranza in Senato. E così è stato.

Poche sorprese, dunque. Tante conferme. La prima conferma è che la democrazia ame-ricana funziona. Nonostante Trump si senta una sorta di Dio sceso in Terra (i suoi riferi-menti culturali sono i despoti sparsi in giro per il mondo, non l’ha mai nascosto), deve fare i conti con le regole democratiche. E quindi, a differenza di Putin o di Kim Jong-un, dovrà tenere conto del fatto che il Par-lamento non sarà un orpello a sua disposi-zione. Anzi, sarà l’argine principale a quello che lui considera il suo strapotere. Certo, il rischio, ora, è la paralisi, dato che negli Stati Uniti vige un bicamerlismo (quasi) perfetto e le leggi per essere approvate dovranno pas-sare sia dalla Camera democratica che dal Se-nato repubblicano. Il che significa che i due partiti dovranno scendere a compromessi, fumo negli occhi per Trump.

L’altra conferma è che i democratici si sono risvegliati dopo lo shock del 2016. Un risveglio che parte dal basso, che si muove come un magma nella società americana. Non c’è ancora una leadership che prenda

in mano le redini del partito in vista dell’ap-puntamento del 2020, ma ci sono belle realtà sparse in tutta la società americana che han-no cementato consenso e speranza. Certo, i problemi non mancano. Le due anime che compongono il partito, quella radicale che si sta espandendo sulle due coste, da New York a San Francisco, e quella più moderata e conservatrice, che contende i voti ai repub-blicani nell’America profonda, arriveranno ad un confronto che ci auguriamo possa es-sere proficuo. Ma per la seconda volta in due anni, i dem prevalgono nel voto popo-lare (anche al Senato, più 10 mi-lioni). Ora sarà necessario, in tempi relativamente brevi, coagulare questo consen-so verso una leadership. Bernie Sanders, rieletto a furor di popolo senatore nel Vermont, Elizabeth Warren, plenipotenzia-ria in Massachussets, An-drew Cuomo, rieletto per la terza volta governatore nello Stato di New York, Tim Kaine, vice designato di Hil-lary Clinton nel 2016 ed eletto in Virginia, Alexandria Ocasio-Cor-tez, 29enne eletta nel Bronx, Beto O’Rourke, l’Obama bianco che ha sfiorato l’impresa in Texas: tra questa rosa di nomi, a meno di pos-sibili outsider, verrà fuori lo sfidante di Tru-mp nel 2020.

Sempre a proposito di conferme, occorre prendere atto che il partito repubblicano è ormai “trumpizzato”, molto più di quanto non fosse due anni fa. La linea “presidenzia-

le” (se così si può chiamare) ha ormai per-vaso tutti, da est a ovest, anche i più restii. E così, almeno a livello di consenso, sembra aver pagato la scelta di The Donald di sce-gliere una comunicazione negativa (sull’im-migrazione, strumentalizzando la carovana umana in marcia dall’Honduras) invece che una positiva (sull’economia che va a gonfie vele), sposata dai candidati “rossi” (eh sì, fun-ziona al contrario, i rossi sono a destra negli Usa) per drammatizzare lo scontro. L’idea di un referendum su Trump è stata alimentata

dallo stesso Trump, il presidente più divisivo di sempre, per fidelizza-

re gli elettori conservatori e radicalizzare la spaccatura

tra le due Americhe. Ed eccola l’ultima con-

ferma: gli Stati Uniti sono profondamente divisi. Due popoli che hanno vi-sioni diverse, idee diver-se, priorità diverse. Un

popolo legato all’idea di un’America liberale, mul-

ticulturale, aperta al mondo e all’innovazione, impegnato

nella difesa dei diritti umani e so-ciali, l’America dei progressisti, delle

donne e delle minoranze. E poi un altro po-polo, chiuso, impaurito, che chiede sicurez-za, che non crede all’immigrazione come ad una risorsa. Il primo popolo è contro Trump, il secondo è con Trump. Questa divisione ora ha anche una plastica rappresentazione isti-tuzionale. E’ la forza della democrazia, bel-lezza.

Midterm

I dem, in cerca di

leader per le presidenziali del 2020, ripartono

dal basso

Stefano CagelliSegue dalla prima

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Trump ha poco da esultare. E ora dovrà fare i conti con un Congresso che non gli regalerà nulla

3 mercoledì 7 novembre 2018

Alexandria Ocasio-Cortez Sharic DavidsBeto O’Rourke

Ilhan Omar Jared Polis

Deb Haaland Rashida Tlaib

Ayanna Pressley Elizabeth WarrenSylvia Garcia

A 29 anni è la donna più giovane mai eletta al Congresso degli Stati Uniti. Con oltre 100mila voti (il 78%) ha battuto il candidato del Gop nel

14mo distretto dello stato di New York (Bronx, Queens)

Insieme a Deb Haaland ha fatto la storia, diventando una delle prime due donne native elette al Congresso. 38 anni, dichiaratamente lesbica, ha battuto in

Kansas, uno stato di tradizioni conservatrici, il deputato uscente Kevin Yoder

A 46 anni è l’astro nascente dei democrats. Non ce l’ha fatta contro il potente senatore uscente del Texas Ted Cruz, ma con il 48,3% ha comunque

raggiunto un risultato storico per il suo partito in uno stato a tradizione “rossa”

36 anni, di origine somala, è la seconda donna musulmana ad essere eletta deputata. Ha stravinto in Minnesota con quasi l’80% dei voti, e nel Paese del

“muslim ban” sarà la prima rifugiata africana e la prima a indossare l’hijab al Congresso Usa.

Deputato dal 2009, eletto governatore del Colorado, è il primo politico apertamente gay a ricoprire questa carica in uno stato americano. Imprenditore e filantropo, era

già stato il primo deputato omosessuale nella storia degli Stati Uniti.

58 anni, anche lei entra nella storia come prima nativa eletta al Congresso, insieme a Davids. Ha battuto nel primo distretto del New Mexico, con il 59% dei voti, la

candidata repubblicana Janice Arnold JonesClasse 1976, avvocato, con quasi il 90%

dei voti è stata eletta nel distretto del Michigan, segnando un doppio record: è la prima donna musulmana di origini

palestinesi ad entrare nel Congresso Usa

Classe 1974, anche la sua è una vittoria storica: è la prima donna nera ad essere eletta nel Massachussets, dove ha vinto nel settimo distretto, che oggi

comprende quello in cui nel 1947 fu eletto John F. Kennedy

A chiudere la carrellata la senatrice del Massachussets, ieri riconfermata nella carica, che può essere considerata la capofila dell’”onda rosa” al Congresso,

con più di cento elette per la prima volta nella storia. Lei nega, ma tra i dem resta tra i nomi papabili per le elezioni presidenziali del 2020.

Già senatrice, classe 1950, insieme a Veronica Escobar approda al Congresso con l’etichetta di prima donna di origini latine ad essere eletta

deputata per il Texas

Midterm

I dieci volti

simbolo della

riscossa dem

4 mercoledì 7 novembre 2018

Conte da Floris, aridatece Forlani

Proprio brutta la performance di Giuseppe Conte martedì sera da Giovanni Floris. Co-munque la si pensi nel merito, il presidente

del Consiglio è apparso incerto, noioso, burocratico, sfuggente; e non si è capito nulla, se per esempio la famosa riforma della legge Fornero sarà giusto una “finestra” l’anno prossimo per andar via prima o una riforma più seria oppure se e come par-tirà il mitico reddito di cittadinanza, se e come troveremo un accordo con l’Europa, se la coalizione gialloverde è in salute op-pure no. Eccetera eccetera. “Vedremo, stiamo studiando, appro-fondiremo i dettagli...”: roba da anni Sessanta-Settanta, quando non c’era o quasi la tv a inchiodare per l’eternità le risposte dei

leader politici. All’epoca sì che Arnaldo Forlani poteva parlare per 40 minuti “senza dire nien-te”, come minacciò egli stesso a un giornalista

che insisteva con le domande. Quella era un’altra scuola, buona per quell’epoca lì. Oggi un leader deve rispondere subito, far-si capire, glissare quanto basta senza esagerare, soprattutto essere padrone della materia, o almeno mostrarsi tale. Non c’è spazio nella politica d’oggi per i forlanismi di ieri, che a modo loro erano comunque un’arte- Mentre oggi le risposte incespi-canti di Conte sono tutt’altra roba: il balbettio dell’uomo politi-co senza qualità più simile all’inquilino del piano di sopra che a uno statista.

Mario Lavia

Fra liti e ricatti i capi di Lega e M5s non si parlano più. La lotta continua

“Il decreto passa. Sono con-tento” commenta a caldo Matteo Salvini al Senato per votare la fiducia e per mettere la faccia sul suc-cesso del giorno, provve-

dimento simbolo per l’elettorato di destra. Ma nonostante l’ottimismo, il vicepremier sa benissimo che la partita con Luigi Di Maio non è ancora chiusa. Sul piatto c’è ancora il tema della legge anticorruzione, nella quale i grillini vorrebbero inserire la norma sullo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado, e che vede Salvi-ni contrario. Il solito ‘do ut des’ che questo governo usa per andare avanti, ma fino a quando reggerà?

I nervi sono tesi. Soltanto ieri sera c’è stato l’ennesimo black out nelle comunica-zioni tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio che è sfociato nel rinvio all’ultimo secondo di un vertice a tre insieme a Giuseppe Conte. Salvini, con la solita durezza, ha rinviato al mittente l’invito: “Ma quale vertice? Io

stasera ho un vertice con rigatoni, ragù e Champions League”. Dichiarazione che lo lasciano trasparire, come confermato da fonti leghiste, come “molto irritato” nei confronti del capo politico del M5s per la vicenda dl sicurezza/prescrizione, che ha vissuto come un “ricatto” da parte dell’alleato di governo.

Le due questioni, ha riba-dito il ministro dell’Inter-no, sono scollegate e van-no considerate “una alla volta”. Un modo di pro-cedere che non sembra piacere ai pentastellati che, molto evidente-mente, non si fidano. Lo stallo in Parlamento, a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi, prova come fra dirigenti della maggioran-za ci si guardi con sospetto. E si prenda tempo.

La resa dei conti dovrebbe avvenire in un vertice con Giuseppe Conte previsto nel pomeriggio di oggi - ma forse verrà rinvia-to - di cui non si ha traccia nelle agende ufficiali. “La commissione Giustizia - anti-

cipano fonti di governo 5 Stelle all’Adnkro-nos - ha approvato il calendario dei lavori. Quindi si procede positivamente”. Ma l’ac-cordo sulla prescrizione “al momento non c’è”. “Dobbiamo chiarire una volta per

tutte”, dicono fonti leghiste, “perché così, con ricatti e liti continue, non si

può andare avanti”. Salvini è stato molto chia-ro e non ha mai nascosto

la sua idea per una rifor-ma della giustizia più complessa che si preste-rebbe maggiormente a riequilibrare i conte-nuti rispetto alla norma simbolo che interessa

i 5 stelle e vista in casa Lega come una forzatu-

ra giustizialista. “Sono cer-to - dice - che tra qualche ora

si chiude l’intesa: tra persone di buon senso troviamo un accordo. Tut-

ti vogliono i corrotti in galera e tempi certi dei processi. È interesse di tutti e io sono ottimista. Ma voglio una riforma comples-siva del sistema giustizia”.

Agnese Rapicetta

Il tema della giustizia

diventa il tavolo da gioco. Di Maio non regge questo

stress

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Governo

5 mercoledì 7 novembre 2018

Il Pd protesta contro il “decreto insicurezza”. I dissensi grillini

Nel tira e molla fra Lega e M5s, il partito di Salvini porta a casa il primo punto: l’Aula del Se-nato ha approvato con 163 sì, 59 no e 19 astenuti il maxi-e-mendamento interamente

sostitutivo del decreto legge sulla sicurezza. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera. Hanno espresso la fiducia al go-verno i senatori di Lega e M5s. Ma i grillini perdono qualche pezzo. Non hanno infatti partecipato al voto, dichiarando il dissenso dal gruppo sui contenuti del provvedimento non sulla fiducia all’esecutivo, quattro sena-tori del Movimento: Gregorio De Falco, Ele-na Fattori, Paola Nugnes. Anche Virginia La Mura, che aveva firmato gli emendamenti, non ha partecipato alla votazione. Assente senza motivo invece Matteo Montero, che si era dichiarato contrario.

Il decreto ha comunque incontrato la ferma protesta delle opposizioni. “Questo decreto è una presa in giro: parlano di si-curezza e creano insicurezza”. Protesta con cartelli, da parte del Pd, al termine delle di-chiarazioni di voto sulla fiducia al dl sicurez-za. I senatori Dem hanno esposto a Palazzo Madama dei cartelli recanti la scritta “decre-to Salvini #menosicurezza #piu’clandestini. “Questo decreto - ha detto il capogruppo al

Senato Andrea Marcucci- è contro l’Italia e contro gli italiani”. Già nelle dichiarazioni di voto il Partito Democratico si era espres-so decisamente contro la norma e quindi la fiducia al governo: “Le questioni della sicu-rezza sono acutamente sentite dai cittadini e meritano scelte unificanti, che avremmo voluto vedere ma non abbiamo visto”, ha detto il senatore Dario Parrini, capogruppo del Pd in commissione Affari costituzionali.

“Questo provvedimento è pericoloso, in-

sufficiente, illiberale e in più parti in con-trasto con la nostra Costituzione. In più è stato portato avanti da Lega e M5s con prove di arroganza che hanno mortificato il Parlamento. Non merita di chiamarsi de-creto sicurezza, ma decreto clandestinità”. I dissidenti del Movimento Cinque Stelle che sono stati deferiti al collegio dei probiviri del Movimento hanno argomentato la loro scelta fermamente. “Voto no a questo prov-vedimento ma continuo ad avere fiducia in questo governo”, ha spiegato Nugnes. Elena Fattori ha definito “discutibile nel merito e nel metodo” il decreto Salvini, definendolo “uno spot elettorale” che “non garantisce si-curezza ma fa l’opposto. Non esiste nulla di tutto ciò nel contratto di governo. Non posso che dire no e uscire dall’Aula al momento del voto”.

Più articolato l’intervento di De Falco, il famoso comandante anti-Schettino: “Devo tenere conto delle gravi lesioni inferte all’or-dinamento giuridico e potenzialmente an-che alla sicurezza dei cittadini. Con serietà e ponderazione annuncio che non parteci-però al voto e lascerò l’Aula”. A lasciare l’Au-la anche Fratelli d’Italia. Il decreto passerà ora alla Camera, dove è stato calendarizzato per il 22 novembre. Con la spada di Damo-cle dei grillini, pronti a bocciare il provvedi-mento caro a Salvini se la Lega non farà pas-sare la riforma della prescrizione. Il braccio di ferro continua.

Governo

Maddalena Carlino CONDIVIDI SU

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Passa la fiducia al Senato. Ma M5s non assicura il voto favorevole a Montecitorio

Vi presento il decreto farsa di Salvini

E perché, invece di migliorarle e raffor-zarle con interventi organici, demoli-ranno le politiche di accoglienza e di integrazione esistenti, in primo luogo

lo Sprar.Il tutto senza nessun nuovo serio stanziamento

né per incrementare l’organico delle forze dell’or-dine né per supportare i comuni danneggiati da tale svolta.

Il governo e la maggioranza hanno respinto gli emendamenti del Pd che andavano in questa dire-zione e hanno fatto orecchie da mercante di fron-te ai preoccupati appelli provenienti dal mondo dell’associazionismo laico e cattolico impegnato nelle attività umanitarie e di accoglienza.

Ma il provvedimento passato ieri in prima let-tura al Senato non è solo pericoloso.

È anche insufficiente.C’è, in questo atto legislativo, e nelle sconclu-

sionate dichiarazioni che l’hanno preceduto e lo seguiranno, qualcosa che possa permetterci di compiere dei passi avanti sul fronte delle ricollo-cazioni in ambito Ue e su quello degli sforzi per modificare il Trattato di Dublino?

Non c’è niente.I rimpatri stanno calando, e lo stesso Salvini ha

dovuto sconfessare la sua promessa elettorale di farne 500 mila in pochi mesi dicendo che a questo ritmo serviranno ottant’anni per onorarla.

C’è, in queste norme, qualcosa che serva con-cretamente ad accelerarli?

Non c’è niente: né più fondi, né azioni per po-tenziare gli accordi bilaterali.

Servirebbe una politica estera e di cooperazio-ne internazionale seria e efficace.

Ma non se ne vede l’ombra.E per avere una politica estera seria servirebbe

un governo rispettato, ascoltato e considerato in Europa.

Purtroppo sta avvenendo il contrario: le inutili e insistite esibizioni di aggressività del nostro ese-cutivo hanno reso l’Italia un Paese isolato e snob-bato sulla scena internazionale come mai era suc-cesso negli ultimi decenni.

Non caviamo un ragno dal buco.Solo parole.Stando così le cose, al ministro degli interni non

resta che sbandierare la riduzione degli sbarchi.Che però non è merito suo, essendo notoria-

mente un naturale sviluppo del lavoro svolto dal suo predecessore al Viminale.

Questo decreto oltre che pericoloso e insuffi-ciente è anche illiberale.

In più punti, con disposizioni che vanno dall’e-liminazione dei permessi umanitari alle restri-zioni alla libertà personale fino agli articoli sulla

cittadinanza, calpesta la Costituzione e tutta una serie di diritti fondamentali.

Fa diventare l’Italia non solo più insicura ma anche più incivile.

I richiami ufficialmente formulati da Mattarel-la dovevano avere un seguito.

Li hanno ignorati.Infine questo decreto è stato portato avanti in

Senato dando prova di arroganza, di improvvisa-zione sconclusionata e di volontà sfrenata di mor-tificare il ruolo del Parlamento.

Nel M5S sta infuriando una crisi di nervi: tra condoni edilizi e condoni fiscali, tra una retro-marcia sul Tap e un voltafaccia sul Muos, bandie-re storiche del Movimento sono state fatte a pezzi per ragioni di puro potere.

Contemporaneamente si aggrava lo scontro coi leghisti: questo ci dice la pantomima sulla pre-scrizione; questo ci dice la gravissima decisione di rimuovere il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana.

In un contesto del genere, il governo non si è fidato della tenuta dei grillini e ha optato per la tagliola del voto di fiducia.

La cosa paradossale è che ad un meccanismo demonizzato per tutta la scorsa legislatura ci si è aggrappati come ad un’irrinunciabile ciambella di salvataggio.

E così il “decreto illegalità” è diventato anche un “decreto farsa”.

Dario ParriniSegue dalla prima

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6 mercoledì 7 novembre 2018

Benvenuti nell’era della restaurazione

Dopo qualche mese, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che il “governo del cambia-mento” è in realtà il “governo della restaurazione”, i cui ri-ferimenti sconfinano spesso

in un grottesco che speravamo di aver con-segnato alla Storia.

Non solo con i terreni gratis per il terzo fi-glio rivivremo la bonifica dell’Agro Pontino e della Maremma, ma dall’anno prossimo potremo rivivere la scuola di Gentile.

Mi spiego meglio, cercando di far capire l’ordine che il Partito Democratico ha cer-cato di portare su un terreno complesso e il disordine che i restauratori stanno per pro-durre.

Dal 1999 per abilitarsi all’insegnamento esiste un percorso a cui si accede dopo la laurea tramite concorso pubblico. Dal 1999 al 2009, questo percorso si è chiamato SSIS (Scuola di Specializzazione all’Insegnamen-to Secondario); dal 2011 c’è stato il TFA (Tiro-cinio Formativo Attivo). L’idea di base, nella diversità dei percorsi è la stessa ed è giusta: si selezionano gli aspiranti insegnanti con una selezione pubblica e i selezionati in-traprendono un percorso di specializzazio-ne (abilitazione all’insegnamento) a stretto contatto con l’Università e con le scuole, in cui si approfondiscono pedagogia, didatti-che generali e disciplinari, in cui si fanno laboratori e tirocini in classe.

Il punto debole di questo meccanismo era il successivo accesso al ruolo. La SSIS por-tava gli abilitati in graduatorie, successiva-mente trasformate in graduatorie a esauri-mento, che però e solo la legge 107 (ossia La Buona Scuola) ha davvero cercato di esauri-re con l’assunzione di circa 160mila docenti. Gli abilitati tramite TFA hanno dovuto sotto-porsi a nuovi concorsi selettivi per il ruolo, dopo averne già superato uno, estremamen-te selettivo, per entrare nel percorso abili-

tante.Il Partito Democratico ha deciso nella scor-

sa legislatura di porre fine a questo caos che non meritano né i nostri aspiranti insegnan-ti (che spesso sono arrivati al ruolo dopo de-cenni di precariato frustranti e demotivan-ti) né tanto meno le famiglie e gli studenti. Si è quindi pensata una modalità di accesso all’insegnamento in ruolo, basata sull’idea che a scuola si debba entrare per concorso (ma uno solo, non una Babele) e che la cono-scenza appresa nei normali percorsi univer-sitari vada integrata con studi ed esperienze sul campo, perché un conto è sapere – ed il sapere si può certamente valutare con un concorso - e un altro è sapere insegnare. Il percor-so ideato dai governi del PD si chiama FIT: dura tre anni, è retribuito e prevede studi, tirocinio, anno di prova in clas-se che, in caso di buon esito, conduce al ruolo. L’idea quindi è che per fare l’insegnante è neces-sario acquisire competen-ze professionali sul campo.

Adesso veniamo al governo della restaurazione: il FIT sta per essere abolito e, con esso, scompari-ranno i 100 milioni stanziati per la messa a regime. Non per un motivo valido, sem-plicemente perché pensato da un governo di colore diverso (sic!). A scuola si entrerà attraverso un concorso, in cui i prerequisi-ti saranno la laurea e, per chi non li ha nel proprio percorso di studio (cioè quasi tutti, di norma), 24 crediti formativi di pedagogia e didattica conseguiti presso l’Università. È evidente che questi 24 crediti di pedagogia – utili se inseriti in un percorso fatto, appun-to, di formazione e pratica - sono pura ac-qua fresca rispetto a un percorso abilitante sul campo, soprattutto perché i primi sono destinati a tutti gli aspiranti insegnanti (tan-tissimi) e il secondo sarebbe destinato agli aspiranti insegnanti selezionati con un con-

corso (pochi, in numero scelto in base alle necessità della scuola).

In questo consiste la restaurazione alla scuola di Gentile: si disegna un sistema in cui si presume che chi sa (perché laureato) sappia anche insegnare. Ciò è falso e ovvia-mente ne pagheranno le conseguenze gli studenti e di conseguenza tutto il paese. In più non si sa con quale frequenza verranno banditi i suddetti concorsi ed il rischio più concreto è che si precipiti di nuovo nel caos del precariato atavico che ha fatto molto male alla nostra scuola.

Alla restaurazione e al caos si aggiunge poi il ritorno alle discriminazioni

tra aspiranti insegnanti precari. Il titolo di accesso al concor-

so per il ruolo potrà essere indifferentemente laurea + 24 crediti di pedagogia o laurea + abilitazione conseguita in preceden-za. Mentre noi avevamo preparato un percorso per portare gli abilitati

verso il ruolo (con un con-corso-idoneità da svolgersi

nel 2018), il governo della restaurazione li riporta alla

prima casella del gioco dell’oca (cioè alla necessità di sottoporsi a un

concorso con tre prove) creando ulteriore confusione. Assisteremo di nuovo al con-trapporsi di categorie di aspiranti insegnan-ti, che dovrebbero invece essere semplice-mente accompagnati e aiutati a fare bene il loro mestiere, un mestiere oggi più che mai cruciale per lo sviluppo della nostra società.

Il ritorno al passato è dunque il mantra di questo governo. Che lo si applichi anche alla scuola, riproducendo il modello genti-liano, tagliando i fondi dell’alternanza scuo-la-lavoro senza reinvestirli nel sistema, ria-prendo le ferite del precariato atavico degli insegnanti, è particolarmente grave e testi-monia una sola cosa: a Salvini e Di Maio la cultura fa paura.

Anna Ascani

Il cosidetto “governo del

cambiamento” sta massacrando l’insegnamento

scolastico

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Scuola

7 mercoledì 7 novembre 2018

In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Stefano Minnucci, Agnese Rapicetta

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PD Bob

Società editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 - 00187 Roma

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