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18 MAGGIO 2008 Con il patrocinio dei Comuni di Budrio e Minerbio (BO) A.D.S.I. ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE Sezione Emilia Romagna CORTILI APERTI BOLOGNA

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18 MAGGIO 2008

Con il patrociniodei Comuni di

Budrio e Minerbio (BO)

A.D.S.I.ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE

Sezione Emilia Romagna

CORTILI APERTIBOLOGNA

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Questa indovinata iniziativa è stata ideata dall’Associazione Dimore Storiche Italiane per fare conoscere al grande pubblico la sua attività ed i problemi inerenti la tutela e la conservazione di questi gioielli del passato, spesso poco noti, tutti da scoprire come in una ideale caccia al tesoro del Bello.I visitatori di Cortili Aperti costituiscono un pubblico sensibile ed attento che intuisce come i palazzi costituiscano una delle maggiori attrattive delle città d’arte e, con la loro presenza così numerosa, gratifi cano i proprietari che si occupano della gravosa manutenzione di questi edifi ci e non ne alterano le caratteristiche storiche.Anche quest’anno la manifestazione è stata realizzata grazie ad un lavoro di gruppo. Ringraziamo in particolare la Ber Banca che, con il Suo contributo, l’ha resa possibile, poi i proprietari che con grande disponibilità hanno aperto i cortili ed il Gruppo Giovani che accoglie i visitatori ed il cui apporto è sempre importante.

Francesco Cavazza IsolaniPresidente A.D.S.I. Sezione Emilia Romagna

In copertina: affreschi nella Rocca Isolani

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CORTILI APERTI 2008CORTI E GIARDINI NELLA PIANURA BOLOGNESE

Guida alla visita a cura di Stefania Biancani

1) Borgo Nuovo di Bagnarola

2) Castello di San Martino in Soverzano

3) Rocca e Villa Isolani a Minerbio

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ella località di Bagnarola, sulla stra- da che porta verso Budrio, sorge

il complesso sei-settecentesco del Borgo Nuovo, comunemente noto sotto la de-nominazione di Ville Malvezzi Campeggi. Qui infatti nel 1623 Aurelio Malvezzi, insieme alla moglie Camilla Bonfi oli, ac-quistò dalla famiglia Cospi un casino di caccia, che ristrutturò internamente ed esternamente con ingenti spese.

Alla morte di Aurelio, nel 1667 il pa-trimonio rurale venne ereditato dai fi gli Matteo e Floriano Malvezzi, che prose-guirono l’opera di riqualifi cazione di tutta l’area attraverso la costruzione di nuovi edifi ci e l’abbellimento del giardino. Ven-ne così creato un nuovo borgo, “nuovo” perché distinto dall’originario nucleo di case di Bagnarola, denominato “Abbazia”. Insieme al borgo, sorsero la ghiacciaia, la torretta di caccia, il lungo viale, vasche e fontane animate da giochi d’acqua.

In linea con il gusto scenografi co dell’epoca, sul lato meridionale il Borgo Nuovo venne chiuso dal grande prospet-to del Palazzo Nuovo, detto il “Floriano”, terminato nel 1711. Tra il 1715 e il 1716 Matteo e Floriano Malvezzi ipotizzarono a completamento del viale anche la realizza-zione di un fondale prospettico in mura-tura, mai concluso, per il quale sono noti i progetti di importanti architetti del tempo: Alfonso Torreggiani e Francesco Bibiena.

Per lungo tempo il budriese Alfonso Torreggiani è stato in effetti considerato l’artefi ce di tutto il complesso del Borgo Nuovo. Grazie ai recenti studi di Matilde Malvezzi Campeggi, la paternità del pro-getto è però stata ricondotta alla fi gura del bolognese Gregorio Monari (1680-1751), architetto noto a inizio Settecento so-prattutto come “agrimensore e perito

IL BORGO NUOVO DI BAGNAROLA

N d’acque”. Le diffi coltà economiche della famiglia, aumentate dallo stesso ambizio-so disegno di Bagnarola, spinsero infatti probabilmente i fratelli Malvezzi a com-missionare il lavoro ad un progettista di minore spicco.

A causa dei problemi fi nanziari la co-struzione non fu neppure terminata, e già nel 1761 era in rovina. Nuova linfa verrà comunque all’aprirsi dell’Ottocento grazie ad Antonio Malvezzi Campeggi, che nel 1818 coinvolgerà Angelo Venturoli nella ridefi nizione del prospetto meridionale del Floriano, rivolto al parco retrostante. Ancora oggi, la proprietà è della famiglia Malvezzi Campeggi.

Il percorso di visita attraversa tutto il nucleo del Borgo Nuovo. Partendo dal-la Parrocchiale di Bagnarola, superato il lungo viale d’accesso, a sinistra si apre un lungo rettilineo prospettico, il cui ingres-so, caratterizzato dai due Torrioni gemelli, costituisce l’ultimo atto dei lavori ordinati da Matteo Malvezzi. Nel 1723 venne in-fatti creato il Torrione destinato ad uso di osteria e macelleria, simmetrico a quello adibito a forno. Questa parte del comples-so è occupata da edifi ci di servizio e da abitazioni che in parte costituivano l’anti-co borgo dell’“Abbazia”.

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Sulla sinistra, di fronte alle vecchie case, sorgeva il complesso del cosiddetto “San-tuario”, costruito tra il 1686 e il 1691: tre cappelle, la principale delle quali era de-dicata a Sant’Anna, che grazie alle prezio-se reliquie che conservavano erano luogo di pellegrinaggi; nel “Santuario” di Ba-gnarola i devoti potevano anche ottenere l’indulgenza plenaria. Devastato dai bom-bardamenti della seconda Guerra Mon-diale, il complesso è oggi quasi del tutto scomparso: della cappella di Sant’Anna rimangono solo i ruderi con le tracce di eleganti stucchi tardobarocchi, mentre alle spalle di questa si è mantenuta solo la cappellina della Santa Croce.

In mezzo al prato, accanto al “Santua-rio”, sorgeva l’edifi cio del Teatro. Co-struito tra il 1697 e il 1723, secondo le fonti presentava all’interno scene dipinte dal bolognese Ferdinando Galli Bibiena (1657-1743), capostipite della celebre fa-miglia di architetti e scenografi attivi nelle principali corti d’Europa del Settecento. Come testimonia un’antica fotografi a, la facciata del “Teatro del Bibiena”, rivolta verso il viale centrale, venne ridisegnata nell’Ottocento in sobrie forme neoclassi-che con coronamento timpanato.

Vera e propria quinta teatrale del com-plesso del Borgo Nuovo è comunque il lungo prospetto del “Floriano”, che si svi-luppa secondo uno schema lineare, cor-

redato ai lati dai corpi angolari delle tor-rette e dalle due ali della Cavallerizza (a sinistra) e dell’“Appartamento Doppio” (a destra). La pianta risulta così articolata secondo un inconsueto schema a ferro di cavallo che ne accentua la valenza sceno-grafi ca.

Lunga oltre 150 metri, la facciata set-tentrionale del Floriano è animata al pianterreno dalla lunga sequenza delle arcate del portico. Qui erano un tem-po ospitate le botteghe, mentre la parte superiore era coronata al centro da un timpano con l’armone dipinto con lo stemma di famiglia, oggi non più visibile. Anche il profi lo del timpano è oggi meno evidente, a causa dell’innalzamento otto-centesco della facciata retrostante.

Il percorso rettilineo della strada che attraversa il prato ha come conclusio-ne prospettica l’antico Casino di caccia, chiamato l’“Aurelio”, originario punto di partenza per la genesi del Borgo Nuovo. Sul lato rivolto verso il prato, l’Aurelio presentava un semplice prospetto con torretta, anticipato da una corte chiusa da una bassa siepe e adornata sobriamen-te da grandi vasi di aranci. Piegando a si-nistra lungo il viale che riporta alla strada principale, sulla destra è infi ne visibile il monte della Neviera, con la struttura in cotto sormontata da un belvedere con obelisco piramidale.

Nel complesso, il Borgo Nuovo di Ba-gnarola colpisce per la fusione tra spazi privati e spazi pubblici. In effetti, orga-nizzato intorno alla vasta area della piaz-za, l’insieme delle fabbriche – soprattut-to il Floriano – si sviluppa allo scopo di ospitare la grande fi era di bestiame isti-tuita uffi cialmente da papa Clemente XI nel 1711.

Nel mese di settembre, in concomitan-za con i festeggiamenti per la “Beata Ver-gine Maria della Mercede”, la vastissima

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Francesco Malaguzzi Valeri, Palazzi e Ville Bolognesi. Le ville Malvezzi Campeggi a Ba-gnarola, in “Cronache d’Arte”, V, gennaio-febbraio 1928, pp. 51-68

Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteuc-ci, Ville del Bolognese, seconda edizione rive-duta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969, pp. 32-34, 64-70, 260-271 (ill.), 349 (con bibliografi a)

Carolina Crovara Pescia, Una “conserva da neve” a Bagnarola, in “Strenna Storica Bolo-gnese”, LI, 2001, pp. 221-244

Giampiero Cuppini, Villa Malvezzi a Ba-gnarola. Il Floriano, in Giampiero Cuppini, L’architettura senatoria. Bologna tra Rinasci-mento e Illuminismo, Bologna, Editrice Com-positori, 2004, pp. 130-135

Monica Cavicchi, Tra pubblico e privato, spazi verdi da abitare: episodi di vita in villa dei Malvezzi Campeggi a Bagnarola di Budrio, in “Arte Lombarda”, n.s., CI, 2004/2, Atlante tematico del Barocco in Italia settentrionale. Le residenze della nobiltà e dei ceti emergenti: il sistema dei palazzi e delle ville, Atti del Con-vegno (10-13 dicembre 2003), responsabile nazionale Marcello Fagiolo, a cura di Maria Luisa Gatti Perer, pp. 131-140

Erika Giuliani, Il Floriano e le sue camere da abitare. Gusto e istanze di committenza dei marchesi Malvezzi Campeggi: un caso bolognese tra Seicento e Settecento, Ibidem, pp. 140-146

Matilde Malvezzi Campeggi, Nascita ed evoluzione settecentesca del Borgo Nuovo di Bagnarola. I risultati degli ultimi studi, in “Strenna Storica Bolognese”, LVII, 2007, pp. 261-279

piazza si popolava di una folla di persone che accorrevano per “vendere le loro rob-be e rispettivamente provvedere di quello che li manca”. Anni dopo, a causa della coincidenza con l’antica fi era che negli stessi giorni si teneva a San Martino in Soverzano fu deciso un cambiamento di calendario: nel 1735 il grande mercato del Borgo Nuovo venne infatti defi nitiva-mente spostato a fi ne luglio, in occasione della festa di Sant’Anna, già patrona del “Santuario”. In quei giorni la piazza gre-mita di gente, merci e bestiame, diventa-va teatro di spettacoli (compresi quelli di burattini) e di processioni religiose. Que-ste ultime avevano luogo anche durante altre festività sacre: a marzo per la ricor-renza di San Giuseppe, in occasione della Pentecoste, a settembre per Santa Croce. A Bagnarola la fi era-mercato si terrà fi no agli inizi del Novecento: alcune fotografi e del tempo documentano il successo della manifestazione. La grande strada che la attraversava, denominata Via della Fiera, era un tempo pubblica: sarà acquistata da Giacomo Malvezzi nel 1802, integrando-si così nella proprietà privata.

Circondato dalle coltivazioni di canapa (mentre piante di gelso per la bachicoltura si trovavano alle spalle del Floriano), luo-go di preghiera e di festa, sede di scambio commerciale, nucleo della vita economica

di tutto il paese, il grande prato del Borgo Nuovo di Bagnarola voluto dai Malvezzi costituisce in defi nitiva un accordo per-fettamente riuscito tra spazio pubblico e spazio privato.

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L e esatte origini del castello di San Martino in Soverzano non sono

note. La storia del castello, come raccon-tata a fi ne Cinquecento nei manoscritti di Giovan Battista Bombelli, ci è stata ripor-tata da Gaetano Giordani (1837), Alfon-so Rubbiani (1885) e Francesco Cavazza (1937).

Secondo questi testi, le prime notizie relative alla presenza della famiglia Ario-sti nel territorio detto di “San Martino” risalirebbero agli inizi del XIII secolo. Provenienti da un castello dell’Appenni-no chiamato “Riosto”, gli Ariosti erano a quei tempi una delle famiglie più im-portanti di Bologna. Schierato dalla par-te dei Guelfi , ai principî del Duecento il casato ebbe tra i suoi membri il vescovo Gerardo, mentre in qualità di capitano di guerra Antonio combatté vittoriosamente contro le truppe imperiali a Fossalta nel-la battaglia in cui fu fatto prigioniero re Enzo. A questi tempi va forse fatta risalire la fondazione del castello, luogo fortifi ca-to lontano dai tumulti cittadini.

Nel XIV secolo i fratelli Francesco, Bonifacio e Lippa Ariosti si trasferirono a Ferrara. Nel 1390 Francesco è docu-mentato come signore del castello di San Martino in Soverzano, quando il luogo fu temporaneamente occupato dalle trup-pe del Comune di Bologna, impegnato contro la minaccia di un’invasione da parte dei Visconti di Milano. Nel 1407 il castello venne venduto dal pronipote di Francesco, Bonifacio a Chiara Arrighi, moglie di Bartolomeo Manzoli.

Iniziò così il lungo dominio del casato Manzoli, che mantenne la proprietà fi no alla metà del XVIII secolo. Proveniente da una ricce famiglia di mercanti bolognesi, nel 1401 Bartolomeo era stato nomina-

to cavaliere da Giovanni I; ebbe inoltre il ruolo di ambasciatore bolognese presso papa Martino V. Secondo il documento di vendita alla moglie Chiara, all’aprirsi del Quattrocento “lo castello di Sancto Martino in Suvrizano” era circondato da fossato e comprendeva mura, cammino di ronda e bertesche; la costruzione presen-tava inoltre una torre, forse testimonian-za dell’originario nucleo medievale. Altre torri vennero fatte costruire da Bartolo-meo, che ampliò il complesso, ed ulterio-ri modifi che furono apportate dal fi glio Alessandro, al quale si deve la costruzione del portico del cortile interno.

All’aprirsi del Cinquecento la fami-glia Manzoli attraversò un momento di particolare fortuna: Marchione Manzoli venne infatti eletto membro del Senato bolognese da papa Giulio II, e Leone X lo nominò conte di San Martino. All’in-terno del vasto feudo, il castello fu sede di prigioni, ubicate nella torre; nel 1527 il conte Marchione diede inoltre ospitalità alle truppe lanzichenecche del Connesta-bile di Borbone dirette verso il Sacco di Roma.

Nel 1529 Marchione morì e la proprie-tà passò ai fi gli. Nel 1550 il castello fu

IL CASTELLO DI SAN MARTINO IN SOVERZANO

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diviso tra due di loro, il conte Giorgio, più volte insignito della carica di Gonfa-loniere di Giustizia a Bologna, e il conte Camillo. In seguito alla morte di Giorgio (1560), sopraggiunsero controversie per la spartizione dell’eredità, fi nché nel 1570 il cardinal Ugo Boncompagni, che presto sarebbe diventato papa Gregorio XIII, decise che il castello sarebbe andato ai tre nipoti ed eredi di Camillo, mentre la pa-lazzina sarebbe passata ad Ulisse Bentivo-glio, il nipote di Giorgio da questi adot-tato. Ben presto comunque il patrimonio fu nuovamente unifi cato nelle mani dei tre giovani Manzoli (Marchione, Giorgio e Alessandro), che dal 1571 intraprese-ro una nuova opera di restauro e abbel-limento del complesso. Nell’ambito di questi lavori, nel 1577 il cardinal Gabrie-le Paleotti inaugurò la nuova cappella, già camera del commissario della contea.

L’aspetto del castello di San Martino nella seconda metà del Cinquecento, con torri, merli, fossato, è riportato in un libro di disegni del 1578 attribuito al geografo Egnazio Danti. Poco dopo, nel 1580, i fratelli Manzoli ottennero che la fi era che si teneva annualmente il 4 ottobre nella frazione Riccardina presso Budrio potesse proseguire nei giorni 5 e 6 presso il loro castello; infi ne, nel 1584 tutta l’impor-tante manifestazione, che godeva di una grande affl uenza di pubblico, venne uf-fi cialmente trasferita a San Martino. Un secolo dopo, nel 1684, il portico per la fi era fu ricostruito, durante nuovi lavori di ammodernamento del castello.

La dinastia Manzoli si estinse con Fran-cesco, morto nel 1751. Passata per tra-smissione ereditaria ai Marsigli Duglioli, la proprietà fu nuovamente ampliata e rinnovata tra fi ne Settecento e Ottocento.

Successivamente, nel 1882 le fi glie del conte Carlo Marsili Duglioli vendettero castello e tenuta al conte Felice Cavazza,

che inaugurò una radicale campagna di restauro volta al ripristino dell’originario assetto medievale; nel 1918 il castello re-staurato ricevette infi ne la visita di Vitto-rio Emanuele III. Dopo ulteriori passaggi di proprietà, oggi la rocca appartiene alla famiglia Poletti.

Come si è detto, nel 1883 il conte Feli-ce Cavazza incaricò Tito Azzolini, docen-te all’Accademia di Belle Arti di Bologna, del restauro del castello, che terminò nel 1885. Alla direzione dei lavori ad Azzoli-ni venne associato un giovane giornalista, Alfonso Rubbiani, che in quegli anni ri-copriva la carica di Assessore presso il Co-mune di Budrio.

Sull’esempio delle ricostruzioni neo-medievali di Viollet-Le-Duc, si tentò di ripristinare l’antica immagine del castel-lo, basandosi sulla descrizione tardocin-quecentesca di Bombelli. L’operazione comportò scelte drastiche, come ricorda lo stesso Rubbiani: “il ristauro della gran torre (donjon) offriva un problema. Sul-la terrazza esisteva un torricciuolo per la campana ai tempi che Bombello scrisse la sua cronaca; e un torricciuolo esisteva anche ora: ma la cornice e un’aguglia che gli faceva cappello indicavano un’epoca fra i secoli XVII e XVIII (…) Si demolì la guglia, la cornice, si rimisero le fi nestre

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alla luce primitiva, e si coronò il torrici-no con quattro merli d’angolo, giacchè questa forma di coronamento dei tor-ricini posti sulle torri ha suoi riscontri. L’esempio che ci autorizzò furono alcune torri dipinte nei bellissimi affreschi della Cappella Bolognini in San Petronio (…) Col demolire alcune costruzioni addossa-te alla torre la si liberava in tutta la sua svelta forma rettangolare; e dalla fronte che guarda i campi verso l’Appennino si cancellò un’enorme e barocca mostra di orologio”.

Seguendo il sogno “ricostruttivo” di Rubbiani, la visita potrà dunque essere guidata dalle parole dello stesso Giovan Battista Bombelli (1577). Superato il borgo della fi era, il viale d’accesso in-troduce al cortile, che “di ogni qualità di pubblici spettacoli e giuochi sarìa capacis-simo, come giostre, tornei, caccie di tori, e simili bagordi”; “prima si vede un onora-tissimo edifi zio allo entrare, che il luogo per la sua grandezza e bellezza non poco orna, il quale da questi Signori fu circa sei anni restaurato ; e sopra la porta si vede l’arme di Pio V, di felicissima memoria, nel mezzo di quella del vecchio Cardinale di Ferrara, e dello Illustriss. Borromeo, con altre piacevoli pitture”.

Sulla destra si accede invece, alla Roc-ca: “Per quel portone, di pietra cotta con

suoi merli posto nel cortile a ponente, nel mezzo di quella cortina già detta si entra nella seconda parte, che la Rocca vien detta; e sagliendo per gradi di marmo allo entra-re del portone, sopra l’uno del quale si vede in pietra viva nel mezzo l’arma Mangiola con la Paleotta congiunta [Ercole Manzo-li di Bartolomeo sposò Ginevra Paleotti, sorella del cardinal Gabriele] e quella de’ Mangiola sola: ivi è posta anche l’arma del-lo illustrissimo signor cardinale Paleotti zio materno di questi Signori”; “è tra il portone già detto e la porta della Rocca un ponte di pietra cotta, posto sopra la fossa con tre archi e le sue cortine di muro e merli sopra, con le bombardiere da ambe le parti, e col ponte levatojo o rotto che sia e porticella, per cui si passa alla riguardevole porta della Rocca; sopra la quale è in pietra impressa l’arma Mangiola, col cimiero del cigno sopra”.

Attraversato il ponte levatoio, si entra infi ne nel cortile interno. Qui, sulla sini-stra è visibile la cappella, un tempo de-corata, secondo Bombelli, da pitture di Ercole Procaccini. Il cronista attribuisce allo stesso artista anche la pala sull’alta-re: “Nel mezzo siede del tempietto lo altare, ove in ornamento di stucco di oro freggia-to vi è l’ancona, in cui è pinta per opera di dotta mano Nostra Signora col fi glio in seno nel mezzo, san Marco Evangelista in piedi, santo Alessandro genufl esso Sommo Pontefi ce, san Giorgio in ginocchio, e san Bartolomeo in piedi: santi tutelari di questi signori Conti fratelli, per essere così anco essi nominati”. Le altre opere che oggi ornano la cappella sono invece frutto di acqui-sizioni recenti. In particolare si segnala, sulla destra, la grande tela centinata di Benvenuto Tisi detto il Garofalo, datata 1533, con la Crocifi ssione con la Vergine e San Giovanni evangelista, che in origine fungeva da cimasa sull’altare della chiesa interna del convento di San Bernardino a Ferrara.

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Intorno al cortile, le camere del castel-lo, e su tutto la Torre, dalle cui fi nestre il mondo neofeudale dell’aristocrazia del Cinquecento godeva di un panorama evocato ancora una volta da Bombelli: “d’infi nito contento e solazzo è, che chi viene a diporto vedere dalle fi nestre di tutto l’edi-fi cio con ogni sua comodità nella spaziosa e aperta fossa l’innumerabile schiera di pesci guizzolare nell’acqua; e scorgere parimenti i tanti conigli (…) che da sotterranee cave sotto il volto del Castello fatte usciscono, con le timide loro compagne ; mirando ancora le fi ere domestiche, le quali da’vicini boschi cacciate usciscono nelle aperte campagne, e verdi prati fuggiendo i cani, che veloci le perseguono, nè contentandosi di questa bel-la veduta, che pur essa assai bene di lon-tano scuopre, sagliono alla Torre, che dalle fi nestre sue, e fi nalmente dal suo altissimo corridojo potranno scorgere quanto più in-gordo mortale occhio desìa vedere ; perchè ove mancò natura in questo luogo per il sito suo, ha supplito la industria de’ maggiori di questi Signori; nè di presente cessa la soler-zia loro, acciocchè parte non sia di diletto quale manchi a questo luogo”.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Gaetano Giordani, Memorie storiche riguar-danti il castello di San Martino in Soverzano volgarmente appellato de’ Manzoli, in “Alma-nacco Statistico Bolognese”, VIII, 1837, pp. 162-195

Breve descrizione del sito e dell’architettura del Castello San Martino degli illustriss. Signo-ri Marchione, Alessandro e Giorgio de’ Conti Mangioli fatta da Gio. Battista Bombello l’anno MDLXXVII, con note di Gaetano Giordani, Ibidem, pp. 196-235

Il Castello di S. Martino sopra Zena. Descri-zione e storia, Bologna, Offi cina Tipografi ca

Azzoguidi, 1885Alfonso Rubbiani, Notizie intorno all’archi-

tettura del Castello di San Martino sopra Zena, detto dei Manzoli Descrizione del medesimo e dei ristauri eseguiti negli anni 1883-84-85, Ibidem, pp. 4-8

Corrado Ricci, Capitolo dove si narrano le di-verse vicende del Castello di San Martino in So-verzano detto dei Manzoli, Ibidem, pp. 9-11

Francesco Cavazza, Il Castello di San Marti-no in Soverzano e i suoi antichi signori, Bolo-gna, Tip. Galavotti A., 1937

Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteuc-ci, Ville del Bolognese, seconda edizione rive-duta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969, pp. 11, 137 (ill.), 362

Alfonso Rubbiani: i veri e i falsi storici, cata-logo mostra a cura di Franco Solmi e Marco Dezzi Bardeschi , Bologna, Grafi s, 1981

Alfonso Rubbiani e la cultura del restauro nel suo tempo (1880-1915), Atti delle giornate di studio (Bologna, 1981), a cura di Livia Ber-telli e Otello Mazzei, Milano, Franco Angeli, 1986

Domenico Rivalta e Fabia Zanasi,“Pochi avanzi bastano a provocare cento idee”: la ca-stellologia nell’immaginazione trobadorica di Alfonso Rubbiani, Ibidem, pp. 95-104

Anna Maria Fioravanti Baraldi, Il Garofalo. Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559), Ferra-ra, Cassa di Risparmio di Ferrara, 1993, pp. 224-225 (scheda n. 155)

Mario Fanti, Ville, castelli e chiese bolognesi da un libro di disegni del Cinquecento, seconda edizione riveduta e aumentata, Bologna, Ar-nalfo Forni Editore, 1996, n. 49

Francesco Ceccarelli, Bologna e la Romagna, in Storia dell’Architettura Italiana. L’Ottocento, I, Milano, Electa, 2005, pp. 159-160, note p. 165

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n quel medesimo tempo fece un palazzo a Minerbio per il Con-

te Alamanno Isolano, con ordine & dise-gno molto notabile, & maraviglioso…”: così scriveva Egnazio Danti nel 1583 nella biografi a di Jacopo Barozzi det-to il Vignola (1507-1573), attribuendo all’architetto emiliano un ruolo fonda-mentale, ma successivamente molto di-scusso dalla critica, nella realizzazione del complesso Isolani nel feudo minerbiese.

La storia della Rocca Isolani inizia all’aprirsi del XV secolo, quando nel 1403 la duchessa di Milano Caterina Visconti concesse ai fratelli Giacomo, Ludovico e Battista Isolani la giurisdizione feudale sul territorio del “Comune della Riva di Save-na”, comprendente il “castrum Minervii”. La presenza degli Isolani a Minerbio è in effetti attestata sin dagli inizî del Trecen-to, quando la famiglia iniziò ad acquistare porzioni di quello che sarebbe diventato un vasto patrimonio terriero.

Una volta acquisito il diritto feudale, probabilmente gli Isolani iniziarono a progettare la costruzione della Rocca. Vi-sibile dalla strada principale che collega

“I Minerbio alla città, l’edifi cio venne più volte saccheggiato e ricostruito. L’aspetto attuale di questo compatto corpo di fab-brica risulta quindi eterogeneo, con tracce di preesistenze ancora legate alla tipologia del castello medievale che si mescolano agli interventi successivi.

Come l’esterno, anche il cortile inter-no della rocca è segnato dai cambiamen-ti. Il lato con il loggiato, ritmicamente equilibrato nella sovrapposizione dei due ordini, risale molto probabilmente ai pri-mi del Cinquecento, quando in seguito all’avvento di Giulio II gli Isolani rientra-rono nei possedimenti abbandonati fi n dai tempi del dominio visconteo su Bologna (1438).

Nel 1520 papa Leone X insignì Giovan-ni Francesco Isolani del titolo di conte del feudo di Minerbio; nel 1527 il castello fu però nuovamente saccheggiato dalle trup-pe lanzichenecche che, guidate dal Con-nestabile di Borbone, si dirigevano verso Roma.

Nel 1535 il conte Giovanni Francesco intraprese una nuova campagna di rico-struzione. A questa fase viene ricondotta l’impresa decorativa più importante del-la rocca: l’esecuzione da parte di Amico Aspertini degli affreschi di alcune sale in-terne (Sala di Marte, Sala dell’Astronomia, Sala di Ercole, Stanza “della moglie adulte-ra”). Le stanze di Aspertini, situate sul lato destro della rocca per chi guarda verso il loggiato del cortile, sono attualmente in fase di restauro in previsione della prossi-ma mostra monografi ca dedicata al pittore bolognese. Lacerti di altre pitture cinque-centesche con aperture paesistiche, non ri-conducibili alla mano di Amico e recente-mente restaurati, sono invece visibili sotto il portico.

LA ROCCA E LA VILLA ISOLANI A MINERBIO

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Dal cortile, sul lato opposto rispetto alle stanze dipinte da Aspertini, si può accede-re a una sequenza di ambienti, anch’essi re-staurati, oggi adibiti a sale per ricevimenti dalla famiglia Cavazza Isolani, ancora pro-prietaria del complesso minerbiese.

Entrando, la visita inizia dalla sala del camino, alla quale seguono alcune stanze più piccole, arredate con armi, ceramiche e diversi dipinti. Il percorso si conclude nel salone, dove oggi sono esposte stampe fotografi che su tela delle prospettive set-tecentesche che originariamente ornava-no le pareti.

Sul lato posteriore, la Rocca è affi anca-ta da altri edifi ci: sulla destra sono le case dell’antico borgo di Minerbio, mentre un corpo di fabbrica con loggia, ai piedi del quale è visibile l’imboccatura del pozzo, si allunga verso il giardino in direzione della Villa cinquecentesca. Quest’ultima, anche detta il “Palazzo nuovo”, costitu-isce un’entità architettonica isolata, di pianta quadrata, impostata a pianterre-no su un grande ambiente a pilastri con volte a crociera, forse sull’esempio delle antiche cisterne termali romane. Il richia-mo all’antico e la qualità della soluzione architettonica hanno fatto recentemente pensare che qui possa essere riconoscibile quella realizzazione di Vignola che Egna-zio Danti nel 1583 indicava approssima-

tivamente come “un palazzo a Minerbio per il conte Alamanno Isolani”. Se l’ipo-tesi si dimostrasse fondata, la datazione andrebbe però forse ricondotta ai lavori di restauro intrapresi dal conte Giovanni Francesco Isolani nel 1535: si tratterebbe quindi di un progetto giovanile di Vigno-la, allora ventottenne.

Ma in mancanza di documenti ricon-ducibili chiaramente a Jacopo Barozzi, il problema attributivo resta aperto. Nel 1557 Alamanno Isolani stipulò infatti un contratto con un altro architetto, Bar-tolomeo Triachini, per la costruzione di un palazzo a Minerbio. La lettura attenta delle carte ha permesso agli studi di ca-pire che si doveva trattare di un edifi cio da completare piuttosto che da erigere ex novo: a Triachini andrebbe allora for-se assegnato solo il progetto per il piano superiore della villa, con le scale esterne che conducevano a una loggia successi-vamente tamponata, e un’altra loggia sul lato nord dell’edifi cio. Il palazzo nuovo non venne comunque completamente terminato, e modifi che successive alte-rarono la leggibilità del disegno origina-rio dell’edifi cio, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu anche occupato dalle truppe tedesche.

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Camillo Zamboni, Cronaca del Castello di Minerbio, Bologna, Società Tipografi ca bolo-gnese e Ditta Sassi, 1855

Giampiero Cuppini, Anna Maria Matteuc-ci, Ville del Bolognese, seconda edizione rive-duta e ampliata, Bologna, Zanichelli, 1969, pp. 15-18, 36, 96-99, 151-156 (ill.), 346-347 (con bibliografi a)

Mario Fanti, Carlo degli Esposti, Minerbio nei secoli, Minerbio, Cassa Rurale e Artigiana, 1977

Margaret Daly Davis, Jacopo Vignola, Ales-sandro Manzuoli und die Villa Isolani in Minerbio: zu den frühen Antikenstudien von Vignola, in “Mitteilungen des Kunsthistori-schen Institutes in Florenz”, XXXVI, 1992, 1/2, pp. 287-328

Marzia Faietti, Daniela Scaglietti Kelescian, Amico Aspertini, Modena, Artioli Editore, 1995, pp. 196-203 (scheda n. 49)

Mario Fanti, Ville, castelli e chiese bolognesi da un libro di disegni del Cinquecento, seconda edizione riveduta e aumentata, Bologna, Ar-nalfo Forni Editore, 1996, n. 58

Richard J. Tuttle, Note su Vignola architet-to di ville, in Villa Lante a Bagnaia, a cura di Sabine Frommel, con la collaborazione di Flaminia Bardati, Milano, Mondadori Electa, 2005, pp. 97-109

Francesca Romana Liserre, Minerbio. Villa Isolani, in Marcello Fagiolo, Vignola, l’archi-tettura dei principi, Roma, Gangemi Editore, 2007, pp. 283-284 (con bibliografi a aggior-nata)

www.isolani.it

La presenza di Vignola come architetto a Minerbio rimane una questione irrisol-ta. Certo è che almeno un elemento del complesso Isolani mostra una qualità di altissimo livello: si tratta della torre Co-lombaia, che chiude la prospettiva del giardino alle spalle della rocca.

Di pianta ottagonale, la colombaia presenta un esterno scandito da un tri-plo ordine di lesene doriche binate, che rafforza la geometria degli spigoli. La se-quenza ritmica delle facce del poligono è contrastata dalla successione delle tre fasce di trabeazione, con un effetto com-plessivo di grande eleganza. Divisa così in riquadri, la superfi cie muraria viene poi ulteriormente animata da aperture ret-tangolari con grate, che oggi risultano in parte tamponate. In alto, la torre si con-clude con una lanterna con cupolino.

L’interno conferma la capacità del pro-gettista: una lunga rampa elicoidale con struttura lignea, che sale fi no alla lanter-na, permetteva al personale di accedere agevolmente alle circa tremila celle dei colombi. Una lapide ricorda il 1536, anno di fondazione della torre, che venne restaurata nell’Ottocento. La data 1536, ripresa in realtà da un’iscrizione più anti-ca oggi perduta, riapre ancora una volta la discussione circa la possibilità di una paternità del disegno da parte del giova-ne Vignola. Gli studi di Margaret Daly Davis hanno nuovamente preso in con-siderazione questa ipotesi sulla base dei raffronti con la descrizione della Torre dei Venti di Atene fatta nell’antico trat-tato di architettura di Vitruvio, nonché dei rapporti che Jacopo Barozzi intratte-neva con l’ambiente umanistico e artisti-co vitruviano del Cinquecento. Si tratta infatti di una sapienza costruttiva antica, aggiornata sui modelli dei principali in-terpreti dell’architettura cinquecentesca (da Baldassarre Peruzzi a Sebastiano Ser-

lio) che l’anonimo progettista degli Isola-ni a Minerbio - sia esso il Vignola oppure no - è qui indubbiamente riuscito a sin-tetizzare in modo esemplare.

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A.D.S.I.ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE

Da trent’anni esiste un’associazione che riunisce circatredicimilacinquecento proprietari di immobili

di interesse storico-artistico,al fi ne di conservare e valorizzare l’eccezionale

patrimonio italiano di beni culturali.È un’associazione che assiste i proprietari nella gestionedelle dimore storiche, che collabora attivamente con enti

pubblici o privati, con le Università e con altreassociazioni sensibili a questi temi, che cerca di

coinvolgere l’opinione pubblica promuovendo ricerche,studi, convegni e pubblicazioni. Un’associazione liberache si fi nanzia attraverso le quote associative ed alcune

sponsorizzazioni, che è attiva grazie all’operavolontaria dei soci e che ha realizzatoimportanti catalogazioni e convegni.

L’A.D.S.I. è riconosciuta Ente Morale della RepubblicaItaliana ed è membro della European Union

of Historic Houses Associations.Il maggiore sodalizio nazionale di proprietari di beni

culturali, il più numeroso in Europa. Una grandeassociazione che si batte per garantire un futuro al

patrimonio italiano dei beni culturali,“l’unica ricchezza che ci vede primi nel mondo”.

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Un sentito ringraziamento da parte dell’autricea tutti i Proprietari e alla prof.ssa Paola Galletti.

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