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Aperti per voi Cripta di San Giovanni in Conca La consultazione del seguente testo è ad uso esclusivo dei Volontari per il Patrimonio Culturale; ne è pertanto vietata la riproduzione e/o divulgazione.

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Aperti per voi Cripta di San Giovanni in Conca

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San Giovanni in Conca Al centro di piazza Missori sorge quel che rimane dell’antica basilica di San Giovanni in Conca, illustre testimonianza di storia e arte milanese dal V al XVII secolo. La basilica, collocata sui resti di un quartiere residenziale di età romana (III sec. d.C.) venne sconsacrata dagli Austriaci nel 1782, chiusa definitivamente dai Francesi e, divenuta magazzino di ferramenta e carri, fu sottoposta a smembramenti e demolizioni dall’Unità d’Italia fino al secondo dopoguerra. Rimangono oggi soltanto alcune parti della chiesa di fine XI secolo: l’abside, ridotta nel XX secolo ad artificioso rudere, e l’intera cripta, una delle rare di quest’epoca conservatesi a Milano. Nella cripta restaurata si possono ammirare reperti romani e medievali. Dentro le mura romane della città, sui resti di un quartiere residenziale di III sec. d.C. sorse, in età tardoantica (V sec. d.C.), una basilica paleocristiana dedicata a San Giovanni Evangelista, detta “in Conca” forse per un avvallamento del terreno. Per molti secoli la statua medioevale del Santo fu testimone della storia milanese dall’alto della facciata, dove una nicchia la accoglieva. L’Evangelista è rappresentato come immerso nel calderone di olio bollente, supplizio a cui, secondo la tradizione, lo avrebbe condannato l’imperatore Domiziano (durante la persecuzione dell’81 d.C.). Sopravvissuta con numerose modifiche per tutto il Seicento, la chiesa fu vittima, a partire dalla fine del secolo successivo, di dolorose vicende che, attraverso sconsacrazioni, chiusure, demolizioni e spostamenti, portarono infine alla sua attuale condizione. Rimangono oggi, quasi spartitraffico di una grande strada cittadina, soltanto parte dell’abside e la sottostante cripta. Quest’ultima, eccezionalmente conservatasi senza sostanziali alterazioni dalla fine dell’XI secolo, è stata ripetutamente restaurata nel corso del Novecento. Dopo il lungo periodo di abbandono seguito ai primi interventi di consolidamento tra il 1949 e il 1952, le strutture sono state sottoposte a un restauro condotto dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia tra il 1999 e il 2000. All’intervento si è accompagnato lo studio petrografico delle diciotto colonne che reggono le volte di copertura della cripta, con basi, fusti e capitelli differenti per forma, dimensioni e tipo di pietra, anche se probabilmente contemporanei: l’unico esempio di reimpiego medievale di un pezzo romano è il bel capitello corinzio riutilizzato capovolto come base. Della antica storia della chiesa sono ancora oggi splendide testimoni anche le opere d’arte che nel corso dei secoli la arricchirono, ora conservate al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. L’area di piazza Missori prima della chiesa di San Giovanni in Conca Le più antiche tracce di urbanizzazione dell’area risalgono alla fine del II inizi I sec. a.C. , e sono costituite da edifici con pareti in legno e pavimenti in terra battuta, collocati in piazza Missori, angolo corso di Porta Romana, proprio al centro della sede stradale. Le tecniche edilizie e i reperti rinvenuti negli scavi attestano la persistenza di elementi indigeni di tradizione celtica a cui si mescolano e sovrappongono i nuovi apporti del mondo romano. Alla fine del I sec. a.C. quando la città è ormai romanizzata e i contatti con la Capitale sempre più stretti, viene tracciato, proprio sopra gli edifici in legno, abbandonati, l’asse stradale che conserva nel nome - Corso di Porta Romana - l’originaria funzione di collegamento con la capitale. Si tratta del Decumano Massimo, una delle due principali arterie della città antica, che entrando in città dalla direzione di Roma, proseguiva poi, piegando verso l’asse di via Unione, verso il Foro (attuale piazza del santo Sepolcro). Sulla strada, larga otto metri, lastricata con basoli e dotata di impianto fognario, marciapiedi e porticati, affacciavano eleganti edifici signorili, con impianti idrici, come pozzi e cisterne, ricchi mosaici pavimentali e pareti affrescate secondo la moda della capitale. Resti del basolato stradale e della fognatura, emersi durante gli scavi per la costruzione della Metropolitana Milanese, sono visibili nel mezzanino della Stazione di Missori. Presso il museo archeologico è esposto un pavimento a mosaico policromo con motivi geometrici e una figura di pantera, appartenente a una dimora signorile, affacciata sul decumano, rinvenuto durante scavi effettuati nell’area della basilica di S. Giovanni in Conca nel 1881. Scavi successivi hanno messo in

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luce, nella cripta di San Giovanni in Conca resti di una cisterna rivestita in cocciopesto, alimentata da condutture in piombo e ancora conservata nel sito. Nel V sec. è probabile che le distruzioni connesse alla calata di Attila nel 452 d.C. e alla guerra gotica, conclusasi nel 491 d.C., abbiano cambiato l’assetto della città, di cui è però attestata la ripresa con il restauro e la costruzione di nuovi monumenti, tra cui anche numerose chiese. A quest’epoca è forse ascrivibile l’edificazione della basilica di San Giovanni in Conca, sorto in mezzo a un’area destinata non più a uso residenziale ma cimiteriale. La chiesa dalle origini all’età dei Visconti Durante i lavori di demolizione della chiesa tra il 1948 e il 1952 sono emersi i resti delle sue strutture più antiche, databili tra il V e il VI secolo, che rivelano una pianta allungata simile a quella di altre note basiliche paleocristiane di Milano (come S. Simpliciano e S. Nazaro). A questo primo edificio apparteneva il frammento di pavimentazione a esagoni neri e triangoli bianchi qui esposto. Attorno alla chiesa si estendeva una necropoli, la cui testimonianza più rilevante è una tomba affrescata di V-VI secolo, originariamente addossata a una parete esterna dell’edificio. Se per l’epoca altomedievale le testimonianze più note sono offerte dalla lastra tombale di Aldo, nobile longobardo cognato della regina Teodolinda (fine VI secolo, e dal testamento del vescovo Ansperto, che nell’879 cita la chiesa come basilica, con l’XI secolo si assiste a un intervento di ricostruzione, le cui tracce si vedono chiaramente nei resti dell’abside e nell’ampia cripta, una delle poche di quest’epoca sopravvissute a Milano. Dopo le devastazioni compiute nel 1162 dall’imperatore Federico Barbarossa, l’edificio subì, alla fine del XIII secolo, un radicale restauro che interessò soprattutto l’interno e la facciata, costruita in marmo e laterizio e ornata da un portale riccamente decorato sormontato da un grande rosone. A suo completamento venne aggiunta lateralmente una torre campanaria alta 24 metri. Nel XIV secolo San Giovanni venne inglobata nel palazzo che il Signore di Milano, Bernabò Visconti, andava edificando, chiamato popolarmente “Ca’ di can” (per la presenza dei feroci cani qui allevati). Divenutane cappella gentilizia, la chiesa, sontuosamente affrescata, ospitò nell’abside il monumento equestre di Bernabò e nella cripta quello funebre della moglie Beatrice Regina della Scala. La tomba affrescata (Parete di tomba a cassa, affresco, V-VI secolo attualmente presso le Raccolte d’Arte al Castello). La tomba venne rinvenuta nel 1949 durante i lavori di demolizione della chiesa, addossata a una delle pareti esterne dell’edificio. Gli affreschi, strappati, riportati su tela e restaurati subito dopo il rinvenimento, sono databili tra il V e il VI secolo e costituiscono uno dei pochi esempi di pittura paleocristiana conservati a Milano. Della cassa, rettangolare e dipinta internamente, restano le decorazioni di un lato lungo, con la Croce latina affiancata da un cervo e una cerva affrontati tra ciuffi di fiori, e di un lato breve, con una palma da datteri e due pernici ai lati, allusioni simboliche alla morte e alla resurrezione dell’anima. I monumenti funebri (Bonino da Campione e bottega, Monumento funebre di Bernabò Visconti, marmo dipinto, dorato, argentato, 1360-1385 circa. attualmente presso le Raccolte d’Arte al Castello) Il monumento del signore di Milano Bernabò Visconti (1319-1385), capolavoro della scultura trecentesca, è il risultato dell’unione di una statua equestre e di un sarcofago. Il monumento equestre fu scolpito per lo stesso Bernabò da Bonino da Campione e collocato nell’abside della chiesa attorno al 1360. Il Visconti è raffigurato in armatura da parata, su una sella da torneo, con le figure della Fortezza e della Giustizia ai fianchi. Il marmo era dipinto, soprattutto in oro e argento, con grande attenzione persino ai peli del cavallo, disegnati uno per uno in oro. Nel 1385, alla morte di Bernabò, Bonino e la sua bottega realizzarono il sarcofago. Spostato per ordine dell’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo nel 1570 sotto la torre campanaria, il monumento passò nel 1813-1814 nei Musei di Brera e quindi al Castello Sforzesco.

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(Maestro campionese, Monumento funebre di Beatrice Regina della Scala, marmo, 1385 circa., attualmente presso le Raccolte d’Arte al Castello) Nella cripta della chiesa era collocato il monumento funebre di Beatrice Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti, morta nel 1384. Il sarcofago, opera di un maestro campionese, presenta su un lato lungo tripartito San Giovanni Evangelista, Cristo in Pietà tra due angeli e San Luca, mentre sul lato corto compare la Croce. Rimosso nel XIX secolo dalla chiesa, seguì le sorti del monumento del marito. I resti dei coniugi sono ora nella chiesa di Sant’Alessandro. Gli affreschi (Maestro lombardo, Annunciazione, affresco, fine XIII-inizi XIV secolo, attualmente presso le Raccolte d’Arte al Castello) Chiesa e cripta vennero affrescate tra il XII e il XIV secolo con cicli pittorici di cui si sono salvati frammenti perché strappati subito dopo il rinvenimento, nel corso della demolizione dell’edificio. L’ Annunciazione, che decorava l’arco trionfale, è l’unica parte rimasta degli affreschi del presbiterio, dipinti tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV. Sullo sfondo di esili architetture, si stagliano le figure dell’Angelo e della Vergine, illuminate da tinte chiare. Probabilmente tutta la navata centrale fu affrescata, nella seconda metà del XIV secolo, con le storie della vita e dei miracoli di San Giovanni Evangelista, di cui restano cinque frammenti che rimandano, per il gusto e la finezza cortese, all’età viscontea. Da chiesa viscontea a tempio valdese Rimasta per tutto il XV secolo chiesa gentilizia dei Visconti e quindi degli Sforza, nel 1531 venne donata da Francesco II Sforza ai Padri Carmelitani della Congregazione di Mantova che, alcuni decenni dopo, intrapresi i lavori di costruzione del loro monastero sotto la direzione dell’architetto Vincenzo Seregni, innalzarono fino a 42 metri la torre campanaria e sistemarono la piazza antistante. Nel 1662 i Padri incaricarono l’architetto Francesco Castelli di “restaurare e ridurre in forma più moderna” la chiesa, che, nel corso di sei anni, assunse un aspetto barocco. Soppressa come molti altri edifici religiosi nel 1782 dall’imperatore Giuseppe II d’Austria e definitivamente chiusa in epoca napoleonica nel 1805, la chiesa vide nel 1810 la cessione del campanile al conte Pietro Moscati, che lo trasformò in osservatorio meteorologico. Ancora intatto, sebbene usato da privati come magazzino di ferramenta, macchine e carri, dal 1877 l’edificio tornò al centro dell’attenzione cittadina in seguito al piano di riassetto urbanistico promosso dal Comune, nel quale il tracciato della nuova via Carlo Alberto, oggi via Mazzini, richiedeva l’abbattimento di San Giovanni. Questa minaccia mobilitò la Commissione Conservatrice dei Monumenti, che, dopo violente discussioni e polemiche, vendette l’edificio ai cristiani Valdesi e approvò il progetto dell’architetto Angelo Colla, secondo il quale la chiesa venne drasticamente accorciata e la facciata fu rimontata obliquamente, per adattarsi al nuovo tracciato stradale, e rimaneggiata con fantasiose aggiunte. Il presbiterio e l’abside, uniche parti sopravvissute, furono spogliati dei rivestimenti barocchi e “restaurati” secondo una rielaborazione “neogotica”, tipica del gusto dell’epoca. L’edificio, così ridotto, fu consacrato tempio valdese nel 1881, mentre il campanile, rimasto isolato dopo l’abbattimento delle campate, venne demolito pochi anni dopo. I piani urbanistici del Novecento e la demolizione della chiesa Nel XX secolo la chiesa, per la sua posizione centrale, venne coinvolta nei progetti urbanistici che si susseguirono nel tentativo di risolvere i problemi legati alla crescita di Milano e alla sua viabilità. Dopo l’avvento del Fascismo, furono inglobati nella città ben undici Comuni adiacenti che, ampliandone la superficie, resero necessaria l’elaborazione di un nuovo piano urbanistico. Tra i progetti presentati al concorso nazionale del 1926-1927 emersero due impostazioni contrapposte: da un lato la tendenza ad uno sfruttamento economico dello spazio mediante radicali sventramenti e l’apertura di grandi viali rettilinei, dall’altro la proposta di difendere il centro storico decentrando alcune delle funzioni pubbliche e culturali e ponendo così le premesse per uno sviluppo armonioso della città. Questa seconda posizione fu sostenuta in particolare dal “Club degli Urbanisti” con il piano “Forma Urbis Mediolani”, in cui era previsto un asse viario che,

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circondando il centro cittadino senza sconvolgerlo, ne collegasse le vie di accesso passando per le attuali piazze San Babila, Missori e Cadorna, in direzione di via Vincenzo Monti. Il progetto di tale tracciato, la cosiddetta “Racchetta”, venne ripreso, in un contesto però completamente diverso di sventramenti e concentrazione delle attività pubbliche nel centro cittadino, dal piano regolatore Albertini del 1934, che già condannava San Giovanni in Conca prevedendo l’apertura di via Albricci. Nel 1940 la chiesa fu espropriata dal Comune, ma soltanto dopo i devastanti bombardamenti del secondo conflitto mondiale si giunse, a partire dal 1948, alla sua definitiva demolizione, legata a una serie di scelte urbanistiche culminate con il piano regolatore Venanzi. L’opposizione della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia, che aveva notificato già nel 1911 l’importante interesse storico della cripta, e le polemiche seguite alla distruzione della chiesa, unite a quelle già suscitate dallo snaturamento, in epoca fascista, della vicina piazza Diaz, portarono all’abbandono della “Racchetta”, di cui venne realizzato, pochi anni dopo, il solo tratto di corso Europa. Della chiesa, sacrificata pur tra molte resistenze alla viabilità cittadina, si salvarono soltanto la facciata, rimontata sulla fronte del nuovo tempio valdese di via Francesco Sforza, e la cripta con parte dell’abside, sottoposte a interventi di parziale ricostruzione, consolidamento e restauro tra il 1950 e il 1952 dalla Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia.

Testo a cura di Nuova Choros Revisione a cura del Civico Museo Archeologico