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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea in Ingegneria Aerospaziale TESI DI LAUREA: D D e e f f i i n n i i z z i i o o n n e e d d i i u u n n e e s s p p e e r r i i m m e e n n t t o o E E H H D D i i n n v v o o l l o o p p a a r r a a b b o o l l i i c c o o : : Progettazione dell’apparato sperimentale Candidati: Marco Cardinotti Andrea Ruggiero Relatori: Prof. Ing. Walter Grassi __________________ Ing. Daniele Testi __________________ Ing. Davide Della Vista __________________ Anno Accademico 2004-2005

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea in Ingegneria Aerospaziale

TESI DI LAUREA:

DDeeffiinniizziioonnee ddii uunn eessppeerriimmeennttoo EEHHDD iinn

vvoolloo ppaarraabboolliiccoo::

PPrrooggeettttaazziioonnee ddeellll’’aappppaarraattoo ssppeerriimmeennttaallee

Candidati: Marco Cardinotti

Andrea Ruggiero

Relatori:

Prof. Ing. Walter Grassi __________________

Ing. Daniele Testi __________________

Ing. Davide Della Vista __________________

Anno Accademico 2004-2005

Indice

III

INDICE

INDICE pag. III

SIMBOLOGIA pag. V

1 INTRODUZIONE pag. 1

2 RICHIAMI TEORICI pag. 3

3 IL VOLO PARABOLICO

3.1 Introduzione pag. 5

3.2 La manovra pag. 5

4 DESCRIZIONE DELL’APPARATO SPERIMENTALE

4.1 Introduzione pag. 7

4.2 Specifiche di progetto pag. 9

4.3 Il fluido di lavoro pag. 9

4.4 L’apparecchiatura di prova pag. 11

4.5 La struttura principale pag. 12

4.5.1 Il condotto in Lexan pag. 13

4.5.2 Elettrodo emettitore pag. 15

4.5.3 Piastra scaldante pag. 15

4.5.4 I cristalli liquidi pag. 17

4.5.5 La camera di calma pag. 17

4.5.6 Supporti laterali pag. 19

4.5.7 Irrigidimento pag. 19

4.7 Circuito idraulico

4.6.1 Specifiche di progetto pag. 23

4.6.2 Pompa a ingranaggi pag. 24

4.6.3 Valvola di regolazione pag. 25

Indice

IV

4.6.4 Valvole a sfera pag. 26

4.6.5 Ramo di by – pass pag. 26

4.6.6 Flussimetro pag. 27

4.6.7 Scambiatore di calore pag. 28

4.6.8 Trasduttore di pressione assoluta pag. 28

4.6.9 Accumulatore idraulico pag. 28

4.6.10 Tubi e raccordi pag. 28

4.7 Acquisizione dei dati

4.7.1 I cristalli liquidi: taratura, illuminazione, visualizzazione pag. 29

4.7.2 Le termoresistenze pag. 31

4.7.3 Trasduttore di pressione differenziale pag. 32

4.7.4 Acquisitore pag. 32

APPENDICI

A I DISEGNI DI PROGETTO pag. 34

B LE PROPRIETA’ FISICHE DEL LEXAN pag. 46

C LISTATO MATLAB pag. 49

D L'ACQUISIZIONE DIGITALE DELLE IMMAGINI A COLORI pag. 52

E SCHEDE TECNICHE DEI COMPONENTI pag. 56

BIBLIOGRAFIA pag. 73

RINGRAZIAMENTI pag. 75

Simbologia

V

Simbologia:

pc Calore specifico a pressione costante Jkg K

E Campo elettrico Vm

Ef Forza elettrica di volume 3N

m

Conducibilità elettrica -1 -1 -4Ohm m 10

g Accelerazione di gravità 2m

s

Q Potenza termica W

R Resistenza elettrica

T Temperatura ][ C

u Velocità del fluido ms

V Portata Volumetrica 3m

s

W Potenza elettrica W

1

p costT

Coefficiente di dilatazione

cubica 1K

1 d

dT Coefficiente di variazione della

permittività con la temperatura 1K

Permittività del fluido Fm

kConducibilità termica W

m K

Viscosità cinematica 2m

s

Densità 3kg

m

E Densità di carica 3C

m

Nu Numero di Nusselt

P Pressione ][Pa

1-Introduzione

1

1 - Introduzione

Negli ultimi anni all’interno del laboratorio LOThar (LOw gravity and Thermal Advanced Research

laboratory) del Dipartimento di Energetica dell’Università di Pisa sono oggetto di studi gli effetti

del campo elettrico sui fluidi. Fra le varie esperienze effettuate, una è stata intrapresa per valutare

l’effetto del campo elettrico sul coefficiente di scambio termico nel caso di trasmissione del calore

per convezione mista, all’interno di un tubo orizzontale riscaldato uniformemente. I dati

sperimentali hanno mostrato, nel caso di applicazione del campo elettrico, un notevole incremento

del coefficiente di scambio termico, ottenendo già a bassi Reynolds valori paragonabili a quelli di

un generico flusso in regime turbolento, con il vantaggio di un’elevata riduzione delle perdite di

carico.

Le notevoli potenzialità di questa tecnica potrebbero trovare un ampio sviluppo soprattutto nella

realizzazione di dissipatori termici per ambienti spaziali, nei quali il campo elettrico potrebbe

sostituire le forze di galleggiamento nel realizzare i moti convettivi. Di conseguenza si otterrebbero

più elevati coefficienti di scambio termico, dando la possibilità di realizzare dissipatori più

efficienti e compatti. Per questo motivo si è sentita la necessità di effettuare prove sperimentali

anche in condizioni di assenza di gravità, ottenibili oggigiorno, ad esempio, mediante i voli

parabolici.

1-Introduzione

2

A tal fine nel presente lavoro è stato progettato un apposito apparato di prova che, fra le altre

specifiche di progetto, soddisfi anche quelle richieste per essere idoneo al volo. Il che implica, oltre

alla necessità di garantire che la struttura sopporti maggiori carichi e soddisfi stringenti criteri di

sicurezza, anche alcune limitazioni progettuali dovute alla breve durata della microgravità.

2-Richiami teorici

3

2 – Richiami teorici

2.1 La ion-injection

Più di 50 anni fa, Krönig e Ashmann con i loro esperimenti hanno dimostrato la possibilità di

migliorare lo scambio termico in un fluido dielettrico con l’applicazione di un elevato campo

elettrico. Da allora gli studi su questo fenomeno, chiamato scambio termico EHD, Electro-Hydro-

Dynamic , hanno subito un notevole sviluppo.

In presenza di un campo elettrico, un fluido dielettrico è infatti soggetto ad una forza di volume che

può essere espressa nella forma:

2 21 1( )

2 2E E

T

f E E grad grad E

In essa sono evidenti tre contributi, che sono rispettivamente una componente elettroforetica, una

dielettroforetica e una elettrostrittiva. Il primo termine rappresenta la forza di Coulomb esercitata da

un campo elettrico su una distribuzione di carica libera di densità e . Il secondo termine è dovuto

alla variazione locale di permittività del fluido sotto l’influenza di un campo elettrostatico. Il terzo

2-Richiami teorici

4

termine, analogamente al precedente, è dovuto alla polarizzazione del dielettrico indotto da un

campo elettrico non uniforme.

Affinché la forza elettrica diventi particolarmente efficace nel produrre moti convettivi è necessaria

la presenza di cariche libere nel fluido. I meccanismi principali per la generazione di cariche libere

nel fluido sono essenzialmente tre: la presenza di gradienti di temperatura, l’aumento dovuto al

campo elettrico della dissociazione di specie elettrolite e l’ion-injection. Quest’ultimo fenomeno,

che consiste nell’emissione di cariche all’interfaccia elettrodo – fluido in seguito a reazioni

elettrochimiche, diventa dominante quando almeno un elettrodo presenta una forma acuminata in

modo da intensificare il campo elettrico locale, fino a valori dell’ordine di 710 Vm . Infatti in queste

condizioni l’elettrodo più aguzzo, che chiameremo emettitore, genera una corrente di cariche, del

suo stesso segno, verso l’altro elettrodo (collettore). Nel loro movimento, simile a un getto, le

particelle ioniche riescono a trainare le molecole neutre adiacenti, inducendo in loro una velocità

che contribuisce allo sviluppo di moti convettivi aggiuntivi nel fluido. Velocità che può essere

approssimativamente stimata assumendo la trasformazione dell’energia elettrica in energia cinetica:

2 21 1

2 2u E u E

L’ion-injection è controllata principalmente da reazioni elettrochimiche all’interfaccia, che a loro

volta dipendono dalla natura chimica del dielettrico e dalla forma ( raggio di curvatura),

composizione e polarità dell’elettrodo. Inoltre per quanto riguarda il fluido vengono ottenuti

risultati migliori se ha una bassa viscosità e una bassa conducibilità elettrica. Infatti un’elevata

viscosità causerebbe un ritardo nell’iniezione delle cariche e del simultaneo movimento

elettrodinamico, mentre nel caso di alta conducibilità le cariche generate attraverserebbero la

distanza fra gli elettrodi prima di aver completamente trasferito la propria quantità di moto alle

molecole neutre.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda alle fonti bibliografiche [1] – [4]

3-Il volo parabolico

5

3 - Il volo parabolico

3.1 Introduzione

In aggiunta a torri, razzi, capsule, satelliti recuperabili e ad altri tipi di veicoli spaziali il volo

parabolico si è affermato oggigiorno come uno dei più accessibili modi per ottenere la microgravità.

Introdotto inizialmente per l’addestramento degli astronauti, è ora principalmente usato per

effettuare esperimenti di breve durata e per il collaudo di tecnologie spaziali. La relativa

economicità e la possibilità offerta di interagire in tempo reale con l’esperimento lo rendono quindi

preferibile, sotto molti aspetti, agli altri “strumenti” sopra citati.

La Novespace gestisce oggi il più grande aereo per la sperimentazione in volo parabolico: un

Airbus A300, specificamente adattato per la microgravità.

3.2 La manovra

La gravità ridotta è ottenuta grazie ad una serie di traiettorie paraboliche (fig. 3.1) che permettono di

ottenere l’annullamento del fattore di carico verticale per periodi approssimativamente di 20-25

secondi.

3-Il volo parabolico

6

Partendo da una fase di volo orizzontale, l’aereo cabra e comincia l’ascesa con un’inclinazione di

circa 45 gradi rispetto alla verticale locale per periodo di 20 secondi. Durante questa fase,

denominata “pull-up” , si raggiunge un’accelerazione di 1,8g. Nei successivi 5 secondi la spinta dei

motori è ridotta al minimo richiesto per compensare la resistenza aerodinamica (fase di injection).

Da questo momento il velivolo segue una traiettoria balistica durante la quale si raggiunge la

condizione di microgravità (circa 10-2 g). Alla fine di questo periodo, viene completata la parabola

con una serie di manovre simmetriche alle precedenti che riportano l’aereo al volo livellato in circa

20 secondi. L’intera manovra dura poco più di un minuto, ed è seguita da una fase di riposo di 2

minuti in volo livellato prima dell’inizio della parabola successiva. Generalmente le missioni

durano circa 2 ore per un totale di 30 parabole.

Fig. 3.1 Manovra per il raggiungimento della microgravità

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

7

4 - Descrizione dell’Apparato Sperimentale

4.1 Introduzione

Lo scopo di questo progetto è la realizzazione di un apparato (Figura 4.1) che ci permetta di

analizzare l’incremento dello scambio termico in seguito all’applicazione di un campo elettrico.

Figura 4.1: L’apparato sperimentale

1. Condotto in Lexan

2. Elettrodo emettitore

3. Piastra scaldante

4. Cristalli liquidi

5. Camera di calma

6. Supporti laterali

7. Irrigidimento

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

8

Un fluido mediamente polare (HFE-7100) è forzato a scorrere a vari regimi all’interno di un

condotto in Lexan (per le proprietà fisiche del Lexan si rimanda all’appendice B).

Il getto ionico è prodotto da un elettrodo acuminato posto ad alto potenziale (fino a 30 kV) rispetto

ad una piastrina metallica che assume anche la funzione di riscaldatore. Un foglio di cristalli liquidi

termosensibili è collocato tra la struttura in Lexan e la piastra metallica così da rilevare localmente

le temperature alla parete (Figure 4.2-3 ).

Due termoresistenze poste a monte e a valle della sezione di prova ci forniscono una indicazione

globale sull’efficienza dell’apparato.

Tutti i disegni progettuali sono consultabili nell’appendice A.

Figura 4.2 : Sezione trasversale del condotto di prova realizzato da due lastre in Lexan (1,2).

Al suo interno sono collocati l’elettrodo emettitore (3), la piastra scaldante (4) e i cristalli

liquidi (5).

Figura 4.3 : Vista in prospettiva del condotto di prova

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

9

4.2. Specifiche di progetto

Le specifiche di progetto sono:

calore generato uniformemente sulla piastra

scambio termico sulle pareti laterali trascurabile

calore ceduto dalla piastra immesso totalmente nel fluido

resistenza strutturale richiesta per l’ammissione al volo parabolico

tempo di regime sufficientemente ridotto

rotazione della sezione di prova

regolazione della portata

uniformità del profilo di velocità all’ingresso del condotto di prova

I primi tre requisiti sono necessarie per una corretta stima del flusso di calore entrante nel fluido, e

quindi dei coefficienti di scambio.

La specifica sul tempo di regime è fondamentale per effettuare esperimenti in condizione di

microgravità durante le campagne di volo parabolico.

E’ stata prevista la rotazione della sezione di prova, durante le prove a terra, per analizzare lo

scambio termico, dovuto alla convezione mista, sia in condizioni di gravità favorevole che contraria.

Le ultime due specifiche, infine, servono per poter studiare gli effetti del ion-injection nelle diverse

condizioni di moto del fluido.

4.3 Il fluido di lavoro

Innanzitutto il fluido di lavoro deve soddisfare alcuni requisiti fondamentali dello scambio termico

EHD, quali bassa conducibilità elettrica e bassa viscosità. Inoltre, per poter soddisfare le rigorose

specifiche sulla sicurezza, richieste nelle applicazioni spaziali, il fluido deve essere termicamente e

chimicamente stabile, non infiammabile, non tossico, incolore, non deve disperde ozono

nell’ambiente e deve essere compatibile con molti metalli e polimeri.

Per questi motivi, fino ad ora, il più utilizzato per questo tipo di applicazioni è stato un fluido non

polare come FC-72. Ultimamente, però, esperimenti effettuati all’interno del laboratorio Lothar,

hanno dimostrato come l’utilizzo di un fluido mediamente polare come HFE-7100 permetta di

ottenere risultati migliori per quanto riguarda la ion-injection [5]. Infatti, nonostante una parte

dell’energia venga dissipata per effetto Joule e la probabilità di eventuali rotture del dielettrico siano

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

10

maggiori, sono stati apprezzati i benefici che le caratteristiche polari del fluido sono in grado di

portare al numero di Nusselt e quindi alla trasmissione del calore. Un ulteriore ed innegabile

vantaggio dello stesso fluido è quello di non presentare significative variazioni di comportamento

anche al variare dei materiali utilizzati come elettrodi per la generazione del campo elettrico.

Per questa campagna sperimentale abbiamo deciso di continuare a studiare le conseguenze indotte

dall’utilizzo del HFE-7100.

Nella tabella 4.1 sono confrontate le proprietà fisiche dei fluidi sopraelencati con quelle dell’acqua

deionizzata.

FluidoAcqua

deionizzata

FC-72

3M

HFE7100

3M

-3kg m997 1680 1482

-1 -4K 102.5 15.6 15.3

2 -1mm s 0.894 0.38 0.38

r 80.37 1.75 7.39

-1 -4K 1045 9

E

-1 -1 -4Ohm m 10 1 1 10-9 4103

Temperatura di

ebollizione °C100 56 61

cp-1 -1J kg K 4187 1100 1183

k

-1 -1W m K0.61 0.057 0.069

Tabella 4.1: proprietà fisiche di acqua deionizzata, HFE7100 e FC72 [5].

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

11

4.4 L’apparecchiatura di prova

Gli elementi principali dell’apparato sperimentale sono:

4.5.La strutture principale

Condotto in Lexan

Elettrodo emettitore

Piastra scaldante

Cristalli liquidi

Camera di calma

Supporti laterali

Irrigidimento

4.6. Il circuito idraulico

Pompa a ingranaggi

Valvola di regolazione

Valvole a sfera

Ramo di bypass

Flussimetro

Scambiatore di calore

Trasduttore di pressione assoluta

Vaso di espansione

Tubi e raccordi

4.7.Acquisizione dei dati

Periferica di acquisizione video

Termoresistenze

Trasduttore di pressione differenziale

L’acquisitore

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

12

4.5 La struttura principale

Figura 4.4: La struttura principale

Figura 4.5 : Vista superiore della struttura principale

Figura 4.6 : Sezione A-A della struttura principale

1. Condotto in Lexan

2. Elettrodo emettitore

3. Piastra scaldante

4. Cristalli liquidi

5. Camera di calma

6. Supporti laterali

7. Irrigidimento

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

13

4.5.1. Il condotto in Lexan

La sezione di prova è formata da un condotto in Lexan della lunghezza di 215 mm e diametro

idraulico di 5 mm. Per la sua realizzazione sono state utilizzate due lastre dello spessore di 12 mm.

Nella lastra inferiore (Figura 4.7), per fresatura, è stato ricavato il condotto per il fluido e

l’alloggiamento della resistenza scaldante. In quella superiore (Figura 4.8), che ha la funzione di

tappare il condotto, sempre per fresatura è stato realizzato l’alloggiamento per l’elettrodo emettitore.

Le due piastre sono fissate tra loro tramite bulloni con la tenuta garantita dall’utilizzo di un o-ring.

Figura 4.7 :Lastra inferiore Figura 4.8 : Lastra superiore

Le specifiche richieste alla sezione di prova sono:

calore ceduto dalla piastra totalmente entrante nel fluido;

tempo di regime sufficientemente ridotto;

Per soddisfare l’ultima specifica, ci siamo basati su un’analisi teorica del transitorio

termofluidodinamico, effettuata in un precedente elaborato [6], al fine di poter registrare dati

sperimentali in condizione pressoché stazionarie. Questa analisi si è conclusa con la definizione per

la sezione di prova di un limite massimo per il diametro idraulico di 5mm, che è poi il valore scelto

nella progettazione.

Per avere conferma del soddisfacimento della prima richiesta sono stati studiati gli scambi termici

fra il condotto interno, la sezione di prova e l’ambiente esterno. Le condizioni sperimentali sono

state simulate imponendo lo scambio termico per convezione naturale fra l’esterno e la sezione di

prova, mentre per convezione forzata all’interno del condotto. Dalla Figura 4.9 si può vedere come

uno spessore di 7mm di Lexan sia sufficiente per poter trascurare il calore disperso e quindi

soddisfare l’ipotesi effettuata. Eventualmente le tre pareti del condotto non dedite alla

visualizzazione del cristallo possono essere ulteriormente isolate dall’esterno mediante un isolante

termico.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

14

Figura 4.9: Sezione trasversale del condotto in Lexan.

Andamento del flusso di calore, in unità W/mm2, generato dalla piastra scaldante (q=0,25W/cm2).

Ipotesi: convezione forzata ( Nu=100) all’interno del condotto;

convezione naturale all’esterno (T-T =10°C).

Per quanto riguarda la forma del condotto è stata scelta una sezione quadrata, sia per una più facile

realizzazione sia per la semplificazione nella collocazione delle varie parti funzionali, quali la lastra

di acciaio, le punte per la ion-injection e i cristalli liquidi.

La generazione di calore viene ottenuta per effetto Joule. La resistenza scaldante consiste in una

piastrina in acciaio AISI 304, avente una resistività elettrica pari a 7. . 7.2 10E R m ,di

dimensioni 215mm x 4mm x 0.4mm, fissata nell’apposito scavo ricavato nella lastra inferiore con

una pasta per guarnizioni. Il valore nominale di tale resistenza è 0.0967 .

La striscia di cristalli liquidi utilizzata per il rilevamento delle temperature viene interposta tra la

piastra d’acciaio e il Lexan.

Nella piastra superiore, inoltre, sono stati realizzati quattro fori filettati da 1/8’’. L’unico di questi

realizzato a valle della sezione di prova è utilizzato insieme ad uno a monte per il montaggio di un

1-2: Lastre in Lexan

3: Piastra scaldante

4: Condotto di prova.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

15

trasduttore di pressione differenziale. Dei rimanenti uno permette l’uscita del fluido mentre l’altro è

stato previsto per possibili utilizzi futuri.

4.5.2. L’elettrodo emettitore

L’elettrodo emettitore (Figura 4.10) è costituito da un filo di acciaio al quale sono saldate delle

punte metalliche, dirette radialmente, in diverse posizioni longitudinali del filo. Eventualmente

saranno angolate controcorrente rispetto al flusso forzato, per garantire un miglior scambio. Inoltre

verranno preparati più emettitori con punte differentemente distanziate o di differenti materiali, al

fine di studiare l’efficienza della ion-injection nello scambio termico al variare di questi parametri.

Il filo è collegato ad un generatore di tensione in corrente continua (Spellman, RHR30P30/220) che,

alimentato dalla rete a 220V, permette la regolazione manuale della tensione applicata in un

intervallo compreso tra 0 e 30kV.

L’alloggiamento dell’elettrodo viene riempito con un’apposita pasta permettendo alle sole punte di

sporgere nel condotto. Questa, oltre a fissare il filo nella sua sede, svolge il compito di isolante

elettrico.

La forma e il raggio di curvatura dell’estremità delle punte non è controllata su scala microscopica e

può portare a valori differenti di iniezione lungo l’emettitore.

4.5.3 La piastra scaldante

Per soddisfare le specifiche progettuali riguardanti la piastra scaldante:

calore generato uniformemente sulla piastra

scambio termico sulle pareti trascurabile,

sono state studiate due differenti configurazioni: una a forma di doppio pettine e una rettangolare

(Figura 4.11).

Figura 4.10: L’elettrodo emettitore

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

16

La prima soluzione offre il notevole vantaggio, rispetto a quella rettangolare, di poter utilizzare i

piedini per fissare e mantenere tesa la lamina. Inoltre un loro corretto dimensionamento permette di

soddisfare l’ipotesi di scambio termico nullo sulle pareti laterali, in quanto un’opportuna riduzione

della sezione di attacco dei piedini al corpo centrale inibisce il passaggio di corrente in essi e di

conseguenza il loro riscaldamento per effetto Joule. Lo studio di tale fenomeno è stato effettuato

utilizzando il programma ANSYS. Sono state fatte prove con piedini di varie dimensioni (1mm,

2mm e 5mm) e nelle figure seguenti è mostrato come il campo elettrico in essi si azzera dopo pochi

millimetri.

Figura 4.12:Andamento del campo elettrico in prossimità dei piedini

Figura 4.11: Le due configurazioni studiate per la piastra scaldante

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

17

Durante queste analisi, come si può notare dalle immagini precedenti, ci siamo accorti di un calo del

campo elettrico anche nel corpo centrale, all’altezza dei piedini, con un gradiente sempre maggiore

man mano che ci avviciniamo a questi. Questa piccola variazione acquista maggior peso quando si

considera il flusso di calore generato,il quale, dipendendo dal quadrato del campo elettrico, subisce,

nei casi considerati, diminuzioni dal 5% al 15% all’aumentare dello spessore dei piedini. Questa

variazione, non accettabile in quanto contrasta l’ipotesi di flusso di calore uniforme sulla piastra, ci

ha portato ad abbandonare la configurazione a “doppio pettine”.

La soluzione rettangolare, sicuramente più semplice da realizzare, presenta invece lo svantaggio di

un suo più difficile bloccaggio alla base in lexan. Il fissaggio della lamina verrà effettuato con una

pasta viscosa per guarnizioni che però non potrà essere applicata sulla base inferiore della lamina, a

causa della presenza dei cristalli liquidi, ma bensì lungo le superfici laterali in un esiguo

spessore,dell’ordine del mezzo mm, che verrà lasciato tra la lamina e le pareti laterali del condotto.

Processo, quest’ultimo, che viste le ridotte dimensioni in gioco richiederà un’elevata precisione.

Inoltre la colla utilizzata, grazie alla sua proprietà di isolante termico, permette di soddisfare la

richiesta di scambio termico con le pareti laterali trascurabile.

4.5.4. I cristalli liquidi

Per il rilevamento delle temperature è stato scelto l’utilizzo di una striscia di cristalli liquidi

termosensibili, che verrà applicata sulla superficie inferiore della piastra di acciaio (Figura 4.2-3).

Questo metodo è generalmente utilizzato per misurare il campo termico su superficie solida. Le

misure, infatti, non disturbano il campo di temperatura, poiché nella maggior parte dei casi,

l’energia assorbita dal mezzo è minima, confrontata con quella relativa allo scambio di calore.

I cristalli offrono il notevole vantaggio di fornire dovunque un valore locale di temperatura,

esibendo un indice selettivo della riflessione della luce bianca e costituendo in questo modo una

risposta visiva immediata della situazione termica. Per interpretare correttamente le immagini e

quindi la correlazione tra colore e temperatura è necessario, di volta in volta, al variare delle

condizioni esterne di illuminazione, effettuare una calibrazione.

I cristalli liquidi da noi utilizzati permettono di rilevare temperature in un range di 5°C. Al

momento è previsto l’utilizzo di cristalli sensibili fra 25 e 30° C.

4.5.5. La camera di calma

La specifica richiesta è:

uniformità del profilo di velocità all’ingresso del condotto di prova

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

18

Prima di arrivare nella sezione di prova il fluido deve attraversare una camera di calma delle

dimensioni di 100mm x 80mm x 74mm. Questa è ottenuta assemblando le due lastre di Lexan, nelle

quali sono stati realizzati due fori passanti di sezione rettangolare (100mm x 80mm), con due coppe

in alluminio opportunamente fresate al fine di completare e chiudere la camera (Figura 4.13-14). I

vari strati sono fissati tra loro tramite bulloni, mentre la tenuta è garantita dall’o-ring.

Figura 4.13:Esploso e vista della camera di calma

Figura 4.14: Sezione della camera di calma

La funzione della camera di calma è quella di realizzare nel fluido condizioni il più possibile

uniformi all’ingresso del condotto di prova, annullando eventuali gradienti creatisi durante il

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

19

passaggio all’interno del circuito idraulico. Per una sua migliore efficienza, all’imbocco della stessa

e al suo interno sono state applicate alcune reti metalliche molto fitte.

Nella coppa superiore sono stati realizzati cinque fori filettati da 1/8’’ utilizzati per l’entrata del

fluido e l’istallazione di alcune termoresistenze per il rilevamento di eventuali gradienti di

temperatura a monte del condotto di prova.

4.3.6. I supporti laterali

Per soddisfare la specifica progettuale

Rotazione della sezione di prova

è stata dotata la struttura di due supporti laterali in alluminio che le permettono di ruotare intorno

all’asse longitudinale, oltre a sostenerla e collegarla al rack esterno. Questa libertà è necessaria

nell’ambito delle prove a terra per studiare i coefficienti di scambio per convezione mista sia in

condizioni di gravità favorevole che contraria.

4.3.7. L’irrigidimento

La specifica progettuale

Resistenza strutturale per l’ammissione al volo parabolico,

richiede che l’intero equipaggiamento ed ogni componente dell’esperimento sia progettato e

costruito per accogliere, nelle varie fasi della manovra, i carichi indicati nella tabella 4.2.

Figura 4.15:L’irrigidimento

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

20

Asse X 9 g verso prua

1.5 g verso poppa

Asse Y 3 g nei due versi

Asse Z 4.2 g verso l’alto

7.3 g verso il basso

Tabella 4.2: I carichi che l’apparato deve sopportare lungo i vari assi

Per questo motivo abbiamo deciso di rendere più resistente la struttura dotandola di un irrigidimento

in alluminio (Figura 4.15) che ricalca la forma delle lastre in Lexan. Questo infatti oltre a diminuire

i valori massimi delle tensioni agenti sulla struttura (Figura 4.16), presenta il notevole vantaggio di

spostare il loro punto di applicazione dalla lastra in Lexan al più resistente irrigidimento in

alluminio. Per non disturbare l’illuminazione, generando ombre o riflessi sul cristallo liquido,

l’irrigidimento dovrà essere collocato sulla parete opposta a quella destinata alla visualizzazione.

Nelle immagini seguenti sono visibili i risultati ottenuti con un analisi agli elementi finiti delle

tensioni agenti sulla struttura.

Figura 4.16: Analisi agli elementi finiti delle tensioni (in MPa) agenti sulle lastre in Lexan,con

l’irrigidimento ( a sinistra) e senza. La struttura è stata sollecitata con i carichi riportati in

Tabella 4.2 e con il carico distribuito dovuto al peso del fluido.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

21

Figura 4.17: Particolari delle zone più sollecitate.

Nella colonna di sinistra si può notare la diminuzione delle tensioni ( valori sulla scala in MPa)

agenti sulle lastre in Lexan in seguito all’applicazione dell’irrigidimento.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

22

Figura 4.18 : Traslazione lungo l’asse Z, con e senza irrigidimento, delle lastre in Lexan soggette

ai carichi riportati in tabella 4.2.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

23

4.4. Il circuito idraulico

Figura 4.19: Il Circuito Idraulico

Specifiche di progetto

Per quanto riguarda la progettazione del circuito idraulico le specifiche principali alle quali ci siamo

dovuti attenere sono per lo più riguardanti le portate da elaborare. Per poter avere un set di dati

sufficientemente significativi, infatti, l’esperienza andrà svolta cercando di ottenere un flusso il più

possibile assimilabile a laminare, in un caso, e turbolento nell’altro.

Specifiche:

Possibilità di realizzare nel condotto di prova condizioni di flusso laminari e turbolente.

La transizione tra questi due regimi è determinata dal Recr. In condizioni di convezione forzata il

suo valore è comunemente assunto pari a 2300. In convezione mista invece l’effetto instabilizzante

dovuto alle forze di galleggiamento contribuisce ad abbassare il Recr fino a valori di 600 – 800. Nel

nostro caso, a causa dell’applicazione del campo elettrico, questo può subire un’ulteriore

diminuzione fino ad un valore di soglia ancora incerto, che sarà determinato osservando eventuali

bruschi incrementi nello scambio termico o nelle perdite di carico nel tratto relativo alla sezione di

prova.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

24

Con l’utilizzo del sola pompa possiamo scendere fino ad ottenere un Re 800. Questo valore,

sufficiente per un’analisi in turbolento, non permette però di ottenere un regime laminare. Per

questo motivo è stato quindi aggiunto un ramo di bypass grazie al quale possiamo scendere fino ad

un Re 200.

4.4.1. La pompa ad ingranaggi

Le pompe ad ingranaggi sono pompe di tipo volumetrico che garantiscono l’assenza di

oscillazioni di portata.

Figura 4.20 : Principio di funzionamento di una pompa a ingranaggi[7].

Il modello attualmente disponibile in laboratorio è una ISMATEC MCP-Z la cui testa, prodotta

dalla Micropump, permette di produrre portate comprese tra gli 0,10 lt/min ed i 2.25 lt/min.

L’utilizzo di questa è possibile grazie alla non reattività chimica tra il fluido di lavoro ed al

materiale con cui sono realizzati gli ingranaggi della stessa.

La precisione della pompa è di circa 1 giro/min e l’errore ottenuto in termini di portata è quindi

funzione della testa applicatavi. E’ infatti la testa a contenere gli ingranaggi che determinano le

caratteristiche della pompa (Figura 4.20).

A causa delle ridotte dimensioni della sezione di prova (Dh = 5 mm) le portate che la pompa dovrà

elaborare, per permetterci di ipotizzare che il fluido assuma un comportamento laminare, sono

dell’ordine degli 0,025 lt/min (Re 200). Non potendo raggiungere questo valore con la pompa

attualmente disponibile e non essendo al momento previsto l’acquisto di una pompa o di una testa

con differente range di portate abbiamo predisposto un ramo di bypass per il fluido. La regolazione

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

25

della portata nei due rami è affidata ad una valvola di regolazione a spillo che permetterà di

raggiungere la portata desiderata nella sezione di prova e una portata 10-20 volte superiore nel

restante ramo. Nell’indagine con flusso turbolento il ramo di bypass verrà appositamente chiuso con

una valvola a sfera così da poter indirizzare l’intera portata in uscita dalla pompa verso la sezione di

prova. Sarà pertanto necessario effettuare, come anche nel caso laminare, una apposita taratura della

pompa (come previsto dal costruttore) che valuterà in automatico, in funzione delle perdite di carico

nel circuito, il numero di giri corrispondenti alla portata da noi desiderata.

4.4.2 La valvola di regolazione

La valvola di regolazione utilizzata è una valvola a spillo Swagelock modello SS – 31R6MM

(Figura 4.21) adatta a condizioni di basso e medio flusso.

Figura 4.21 : La valvola di regolazione Swagelock modello SS – 31R6MM

La scelta della valvola è stata fatta conoscendo le perdite di carico presenti nel ramo di

bypass,dovute al flussimetro, e stimando le perdite distribuite nei due rami secondo le leggi:

2

22

32

1

Re

64

s

mv

m

Kg

mD

mLPaP per un flusso laminare

2

22

34 2

1

Re

3164.0

s

mv

m

Kg

mD

mLPaP per un flusso turbolento.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

26

Essendo i due rami in parallelo e quindi uguali i valori di pressione assoluta a monte e a valle degli

stessi, abbiamo ottenuto un valore indicativo per quanto riguarda il salto di pressione operato

idealmente dalla valvola. Questo ha permesso di determinare il range dei coefficienti di trafilamento

necessari per il nostro caso secondo la legge:

psiPCgal

Q vmin, dove Cv è detto coefficiente di trafilamento.

Per la determinazione in automatico del coefficiente di trafilamento è stato anche compilato un

apposito programma sfruttando il linguaggio Matlab che ci comunicasse, nelle varie fasi del

progetto, al variare delle condizioni e dimensioni del circuito, il Cv corrispondente alla perdita di

carico desiderata (Appendice C).

4.4.3. Le valvole a sfera

Nel circuito sono previste, oltre che nel ramo di bypass, alcune valvole a sfera disposte in modo da

permettere il riempimento del circuito senza perdite di fluido o inclusioni di aria. Saranno anche

presenti alcune valvole di sfiato utilizzate per eliminare eventuali bolle d’aria dovute a perdite di

fluido dal circuito.

4.4.4 Il ramo di bypass

Il ramo di bypass svolgerà la funzione di partitore di flusso per poter raggiungere, come spiegato in

precedenza, le portate desiderate per l’analisi laminare. Nel ramo saranno presenti una valvola a

sfera, da chiudere per l’analisi in turbolento, ed un flussimetro. Il flussimetro porterà, secondo il

diagramma fornito dal costruttore, delle perdite di carico dell’ordine di 10^3 Pa che dovranno essere

compensate dalla valvola di regolazione presente nel ramo parallelo.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

27

Figura 4.22: Le perdite di carico del flussimetro come da manuale Kobold.

4.4.5 Il flussimetro

Il flussimetro attualmente disponibile in laboratorio e che utilizzeremo per il nostro apparato è un

flussimetro a turbina ad alta precisione KOBOLD Pelten Turbyne type PEL-L24SPVDFVSL

accoppiato ad una unità di indicazione universale da quadro KOBOLD ADI-D . La precisione dello

strumento è pari allo 0,2 ÷ 0,5 % del valore rilevato.

Per permettere la determinazione della portata nel condotto di prova il flussimetro disponibile non è

adatto dato il limite inferiore di portate analizzabili di circa 0,03 lt/min. Abbiamo pertanto previsto

di ricavare la portata risultante nel condotto di prova per differenza tra la portata elaborata dalla

pompa e la portata misurata dal flussimetro. Questo metodo porta con sé, senza alcun dubbio, delle

inesattezze dovute alla somma degli errori assoluti dei due strumenti. Abbiamo però previsto che,

con una precisione dello 0,1% per la pompa e dello 0,2% per il flussimetro, l’errore risultante nella

stima delle portate e quindi dei numeri di Reynolds nel condotto di prova è circa del 5,5%. Questo

errore, anche se non trascurabile, ci porta comunque ad effettuare stime attendibili sulle condizioni

del fluido nei vari casi esaminati.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

28

4.4.6 Gli scambiatori di calore

Nell’apparato sperimentale il fluido di lavoro, passando nel condotto di prova, aumenta la sua

temperatura in seguito allo scambio termico con la lastra di acciaio. Poiché un requisito per il fluido

è di avere sempre la stessa temperatura all’ingresso della sezione di prova è necessario che perda il

calore accumulato e per fare ciò si applica nel circuito idraulico uno scambiatore termico.

4.4.7 Il trasduttore di pressione assoluta

Questo strumento, posto in aspirazione alla pompa, ha il compito di calcolare il valore minimo della

pressione all’interno del circuito per assicurarsi che, a causa delle perdite di carico, non diventi

inferiore a quella atmosferica, causando così infiltrazioni d’aria nell’impianto

4.4.8 Accumulatore idraulico

L’utilizzo di un vaso di espansione è necessario per la sua capacità di compensare le variazioni di

volume del fluido dovute alle variazioni di temperatura, permettendo così di lasciare invariato il

valore della pressione nel suo punto di applicazione sul condotto.

Il vaso è montato sul circuito a monte della pompa, fissando in questo modo la pressione nel punto

in cui assume il valore minimo.

Il vaso utilizzato è caricato ad aria ed ha una capacità di 0.160 litri. La membrana, in butile, risulta

chimicamente compatibile con i fluidi di lavoro.

4.4.9 Tubi e raccordi

L’intero circuito è stato progettato per essere collegato tramite tubo Rilsan 8x6. Ogni raccordo

presente, dove possibile, è da 1/8”.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

29

4.5. Acquisizione dei dati

Al fine di stimare con precisione lo scambio termico ed il suo incremento in funzione del campo

elettrico applicato sono stati previsti alcuni strumenti per la rilevazione dei dati.

4.5.1. I cristalli liquidi: taratura, illuminazione, visualizzazione.

La parte principale dei dati acquisiti proviene da un foglio di cristalli liquidi termosensibili collocati

tra la piastra scaldante ed il lexan. Questi cristalli liquidi permettono, una volta tarati, di conoscere

punto per punto la temperatura dello scaldatore e, quindi, del fluido a contatto con lo stesso. E’ per

questo che a far parte dell’apparato deve necessariamente esserci una periferica di acquisizione

immagini (fotocamera o videocamera) digitale. Le immagini del cristallo liquido così ottenute,

infatti, devono essere corrette ed elaborate tramite un software che ci fornirà in uscita una mappa

completa delle temperature nei vari punti della parete di scambio. Questa tecnica, come già detto,

necessita però di una taratura in funzione della posizione relativa tra strumento di acquisizione,

cristallo e illuminatore. La taratura sarà presumibilmente effettuata presso gli stabilimenti della

Kayser di Livorno, all’interno di una speciale camera termostatica con la quale sarà possibile

acquisire un’immagine del cristallo liquido a temperatura nota. Da questa si estrapolano quindi,

pixel per pixel, due parametri caratteristici: L’HSI e L’RGB. Il primo determina le caratteristiche

dell’immagine in funzione di tonalità, saturazione e intensità (in inglese rispettivamente Hue,

Saturation, Intensity). Il secondo parametro è invece indicativo della quantità di rosso, verde e blu

(Red, Green, Blue). In questo modo viene fissata la correlazione tra colore e temperatura per ogni

punto del cristallo liquido [8].

Al fine di evitare che l’illuminazione ambientale influenzi il colore assunto dai cristalli falsando i

risultati dell’analisi è necessario predisporre un sistema di luce artificiale, il più possibile uniforme,

che prevalga fortemente su ogni altra sorgente luminosa. Per la particolarità dell’oggetto da

illuminare, ovvero una striscia di 200mm x 4 mm, è stata acquistata un’apposita lama di luce

collegata tramite fibre ottiche ad un illuminatore contenente una lampada alogena da 150W. I test

effettuati nei laboratori del dipartimento (Figura 4.24) e presso la sede di Monterotondo (Roma)

della Vinci Instruments hanno però dimostrato, che a seconda delle condizioni di illuminazione

ambientale, l’eccessiva intensità fornita alla lama di luce provoca un riscaldamento del cristallo per

irraggiamento, falsando i risultati. Per ovviare a questo problema, abbiamo pensato di sfruttare la

capacità dei LED di emettere energia luminosa nel solo spettro visibile (Figura 4.23), realizzando

un illuminatore contenente un led ad alta illuminazione (LUXEON Star/O LXHL-NW98) il quale,

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

30

come previsto, ha fornito risultati migliori non inducendo alcun riscaldamento apprezzabile sul

cristallo.

Figura 4.23: spettro di emissione di un led

Nel caso in cui non si riesca a creare una sorta di camera oscura, che permetta di limitare la potenza

fornita all’illuminatore, sarà quindi preferibile questa seconda soluzione.

Anche per quanto riguarda il sistema di acquisizione sono state provate due diverse periferiche: una

macchina fotografica digitale ed una telecamera 3 CCD.

La prima, una fotocamera digitale Nikon Coolpix995 da 3,3 Mpixel, capace di acquisire immagini

fino ad una risoluzione di 2048x1536 pixel, sarà preferibile nel caso in cui le dimensioni di un pixel

siano largamente inferiori alla grandezza della singola cella del cristallo liquido. Nel caso contrario,

infatti, alcuni dei pixel potranno fornire un colore dato da una media sui pixel adiacenti piuttosto

che quello effettivo.

Utilizzando una telecamera dotata di 3 sensori CCD ( Canon XM2), questo problema scompare,

effettuando essa stessa a monte un filtraggio dell’immagine secondo le tre tonalità di rosso, verde e

blu (RGB). Le informazioni così acquisite sull’intensità dei colori vengono ricostruite digitalmente

dalla sovrapposizione delle 3 immagini ottenute. Si possono qui però avere dei problemi dovuti al

non perfetto allineamento delle 3 immagini causato da un possibile disassamento fisico delle 3 lenti

preposte a separare i colori.

La scelta non è quindi univoca né facile e sarà effettuata dopo una prima fase di prove in laboratorio

con i due strumenti (Figura 4.25). Per un approfondimento sul funzionamento dei due sistemi si

rimanda all’appendice D.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

31

Figura 4.25: Fotografie del cristallo liquido effettuate con la fotocamera Nikon (a sinistra) e la

Telecamera.

4.5.2 Termoresistenze

Tramite alcune termoresistenze applicate nella camera di calma e a valle della sezione di prova

viene rilevata la variazione di temperatura del fluido. Note le caratteristiche termiche del fluido e la

portata è così possibile calcolare il calore effettivamente trasmesso dal riscaldatore al fluido

secondo la relazione TCmW p . In questo modo, confrontando tale valore con la potenza

generata per effetto Joule è verificabile l’assenza di dispersioni nel flusso termico.

Quelle da noi utilizzate sono termoresistenze in Platino di classe 1/3 B adatte per temperature

comprese tra 0°C e +100°C con resistenza pari a 100Ohm a 0°. Il coefficiente di variazione di

resistenza con la temperatura è pari a 3850 ppm/K.

Figura 4.24:Struttura realizzata per effettuare alcune prove per la scelta dell’illuminatore e della periferica di acquisizione.

4-Descrizione dell’apparato sperimentale

32

4.5.3 Trasduttore di pressione differenziale

Questo strumento serve per rilevare la differenza di pressione fra l’ingresso e l’uscita della sezione

di prova in modo da valutare le perdite di carico dovuta all’applicazione del campo elettrico.

Il trasduttore da noi utilizzato permette di misurare variazioni di pressione superiori ai 10Pa, in

quanto per valori inferiori un rumore di fondo rende inattendibili i risultati. Per questo motivo, a

causa dei ridotti valori delle perdite di carico lungo la sezione di prova, dovrebbe permetterci di

indicare un limite massimo piuttosto che il valore preciso.

4.5.4 Acquisitore

Per acquisire le varie grandezze viene utilizzato un multimetro digitale a più canali Multimeter 2000

della Keithley con una Multiplexer Card 7708 che permette di acquisire fino a 40 canali. La

Multiplexer Card è un accessorio (denominato anche “scanner”) del multimetro Keithley che

permette di acquisire sui canali disponibili i segnali in milliVolt e Volt provenienti rispettivamente

dalle termoresistenze, dal trasduttore di pressione differenziale e assoluta, flussimetro. La lettura dei

dati può essere fatta sul display manualmente oppure via software elaborando opportunamente i dati

acquisiti.

Appendici

33

Appendici

Appendice A - I disegni di progetto

34

Appendice A

I disegni di progetto

Appendice B – Le proprietà fisiche del Lexan

46

Appendice B

Le proprietà fisiche del Lexan

7

Proprie tà t ip iche de l la las tra Lexan ®

La lastra piena Lexanmostra un eccellenteequilibrio di proprietà

fisiche, meccaniche e ambientali possono esseremantenute in un’ampia gamma di temperature e divalori di umidità.

I dettagli sulle proprietà di questi prodotti sonodescritti in questa sezione:

Una caratteristica dinotevole importanzadella lastra piena Lexanè la capacità di

mantenere le sue proprietà meccaniche in un’ampiagamma di temperature. La lastra piena Lexan ècaratterizzata dal suo eccellente compartimentomeccanico, è in grado cioè di mantenere un’elevataresistenza e rigidità anche quando viene esposta adelevate temperature per un lungo periodo di tempo.La lastra piena Lexan, ad esempio, mantiene a 82°Cl’85% del suo modulo a flessione a temperaturaambiente. La Fig. 2 mostra il modulo a flessione infunzione delle temperature.

La lastra di policarbonatoLexan è uno dei materialitermoplastici trasparentipiù robusti. Può resistere

al lancio di pietre o a colpi inferti con un martellosenza andare in frantumi. Conserva le sue proprietà diassorbimento d’energia sia a temperature invernaliben al di sotto dello zero che all più elevatetemperature estive. La lastra di policarbonato puòessere 250 volte più resistente all’urto del vetrooffrendo così una migliore protezione contro ivandalismi e le loro spiacevoli conseguenze.

Quando viene sottopostaalla prova di resistenzaall’urto GE "per cadutadel dardo", la lastra di

policarbonato Lexan dimostra di possederecaratteristiche di assorbimento d’energia nettamentemigliori rispetto ad altri tipi di materiali plastici testatiper vetrature. Un dardo di 8 kg con testa semisfericaavente un raggio di 12,5 mm viene fatto cadereliberamente da un’altezza di 2,5 m su un discoricavato da una lastra di Lexan. Il disco è appoggiatoliberamente sui bordi ed ha un diametro di 100 mmed uno spessore di 3,2 mm.

Standard Unità Lastra piena Lexan

Proprietà fisichePeso specifico DIN 53479 1,20

Proprietà meccanicheResistenza a trazione a snervamento DIN 53455 N/mm2 >60Resistenza a trazione a rottura DIN 53455 N/mm2 >70Allungamento a snervamento DIN 53455 % 6-8Allungamento a rottura DIN 53455 % >100Modulo a flessione DIN 53457 N/mm2 2500Resistenza allo snervamento a flessione DIN 53452 N/mm2 100Resistenza all’urto (caduta del dardo)* GE Method Nm >200Prova d’urto IZOD con intaglio (1/8") ASTM D 256 J/m 600-800

Proprietà termicheTemperatura di resistenza termica:Vicat VST/B DIN 53460 °C >145-150DTUL 1,82 N/mm2 ASTM D 648 °C 135-140Coefficiente di dilatazione termica lineare: VDE 0304/1 m/m°C 6,7 x 10-5

Conducibilità termica DIN 52612 W/m°C 0,21

* Misurata su campioni di prova stampati ad iniezione.

Tabella 1: Proprietà tipiche della lastra piena Lexan

Proprietà in funzionedella temperatura

-25 0 25 50 75 1000

10

15

20

25

30

Temperatura °C

Mod

ulo

a fle

ssio

ne x

100

N/m

m2

Resistenza all’urto

La prova d’urto GE “per caduta del dardo”

Lastra piena Lexan

Velocità di caduta del dardo

V= 2gh = 2 x 10 x 2,5 = 7 m/sec o

V= 25,2 km/hM = massa del dardo = 8 kgh = altezza di caduta = 2,5 mE = M x ghE = 8 x 10 x 2,5 = 200 Nm

h

R

M

Fig. 2: Modulo a flessione in funzione della temperatura

Fig. 3: La prova d’urto GE “per caduta del dardo”

10

20

30

40

50

60

70

0 20 40 60 80 100

punto di snervamento 62,5 N/mm2

linea di deformazione plastica 2430 N/mm2

limite di proporzionalità 28 N/mm2

limite di resistenza

rottura

Caric

o (M

Pa)

% di allungamento

Fig. 1: Diagramma carico-deformazione per la lastra piena Lexan

Appendice C – Il listato Matlab®

49

Appendice C

Il listato Matlab

Qui di seguito le righe del programma scritto in linguaggio Matlab® utilizzato per il calcolo del coefficiente di tra filamento della valvola di regolazione.

%portata di bypass indicata dal flussimetro da inserire a schermo Q_2=input('Che portata si desidera tenere nel ramo di bypass');

D_1=5e-003; %diametro idraulico sezione di prova D_2=6e-003; %diametro tubo L=0.5; %lunghezza approssimativa dei due tratti ni=0.38e-6; %viscosità cinematica HFE-7100 ro=1430; %densità HFE-7100 v_2b=Q_2/60000/(pi/4*D_1^2); Re_2b=v_2b*D_2/(ni); A=input('minimo reynolds'); B=input('passo tra i reynolds'); C=input('massimo reynolds'); E=((C-A)/(B)); D=floor(E)+1; Re=[A:B:C]D_p2b=0.3164/(Re_2b^0.25)*L/D_2*0.5*ro*v_2b^2; %perdite di carico distribuite ramo di bypass

%Condizioni esperienza in laminare con prima taratura della pompa x1=0.1; y1=0.9; x2=2; y2=420; m=log10(y2/y1)/log10(x2/x1); q=log10(y2)-m*log10(x2); D_pfluss=10^(m*log10(Q_2)+q)*100; %Pascal di perdite di carico

x3=100; y3=44; x4=1000; y4=4000; j=log10(y2/y1)/log10(x2/x1); a=log10(y2)-j*log10(x2); D_ponoff=10^(j*log10(Q_2*60*ro)+a)*10; %valvola sfera Ghilux

D_ptot=D_pfluss+D_p2b; %Perdite di carico totali per i due tratti in parallelo

Appendice C – Il listato Matlab®

50

Q=Re.*ni*60000*D_1; %portata lt/min sezione di prova al variare del Reynolds Q_t=Q_2+Q; %portata lt/min totale indicata dalla pompa v_1=Q./60000/(D_1^2); %velocità media del profilo nella sezione di prova D_p=64./Re.*L/D_1*0.5*ro.*v_1.^2; %perdite di carico distribuite sezione di prova D_pvalve=D_ptot-D_p; %Perdite di carico relative alla sola valvola di regolazione C_v=(Q./3.7854)./(D_pvalve./6.894757e+03).^0.5; %Coefficiente desiderato

titoli=['_Re' ; '__Q' ; 'Q_t' ; 'v_1' ; 'C_v'] RES=[Re; Q; Q_t ; v_1; C_v]

Er=(Q_t.*(0.2/100)+Q_2*(0.35/100))*50./Q

%Condizioni esperienza in turbolento: è necessario tarare la pompa con le nuove perdite di carico Re_T=input('Che Reynolds si desidera ottenere nel ramo di prova nel caso turbolento') %Reynold nella sezione di prova in regime turbolento Q_T=Re_T*(ni)*60000*D_1 %portata sezione di prova ipotesi turbolento v_T=Q_T/60000/(D_1^2); %velocità media del profilo nella sezione di prova in regime turbolento D_pvalveT=(Q_T/3.1875/0.04)^2*6.894757e+03; %Perdite di carico della valvola in turbolento D_pT=0.3164/(Re_T^0.25)*L/D_1*0.5*ro*v_T^2; %perdite di carico distribuite in regime turbolento D_ptotT=D_pvalveT+D_pT; %perdite relative alla sezione di prova in turbolento

plot (Re , C_v)

Qui di seguito alcuni risultati ottenuti imponendo un range di Reynolds compresi tra 200 e 800.

RES =

Re 200.000 350.000 500.000 650.000 800.000 Q 0.0228 0.0399 0.0570 0.0741 0.0912 Q_t 0.4728 0.4899 0.5070 0.5241 0.5412 v_1 0.0152 0.0266 0.0380 0.0494 0.0608 C_v 0.0105 0.0184 0.0263 0.0342 0.0421

Figura C.1 Un’immagine della finestra del programma in esecuzione.

Appendice C – Il listato Matlab®

51

Figura C.2:Immagine della finestra del programma in esecuzione. E’ visibile un grafico contenente in ascissa il range di Re prescelto ed in ordinata il corrispondente coefficiente di tra filamento.

Appendice D – L’acquisizione digitale delle immagini a colori

52

Appendice D

L'acquisizione digitale delle immagini a colori

Figura D.1= Un’esempio di acquisizione digitale del colore assunto da un cristallo liquido

termosensibili durante un esperimento di scambio termico

Per poter parlare dell’acquisizione digitale delle immagini a colori non possiamo esimerci

dall’analizzare le caratteristiche dei sensori CCD (Charged Coupled Device), parti principali e

determinanti delle prestazioni di una fotocamera digitale.

Appendice D – L’acquisizione digitale delle immagini a colori

53

Colori e CCD

A dispetto di quanto si possa pensare, gli attuali sensori CCD utilizzati dagli scanner e dalle

fotocamere digitali non hanno alcuna conoscenza cromatica della realtà. Reagiscono ai fotoni

liberando elettroni senza essere, di fatto, sensibili alle frequenze in gioco, ovvero al colore della

luce percepita. Dunque un sensore CCD, almeno allo stato attuale, è un dispositivo rigidamente

monocromatico ("vede" a livelli di grigio) e genera una tensione elettrica variabile in funzione della

quantità di luce che lo raggiunge. Ad un convertitore analogico/digitale viene lasciato il resto del

lavoro: la tensione in uscita dal sensore CCD, trasmessa singolarmente per ogni pixel di cui è

formato il dispositivo di acquisizione (da poche centinaia di migliaia di elementi ai molti milioni),

viene convertita in formato numerico ed utilizzata così com'è dalla rimanente circuiteria o dal

computer collegato al dispositivo. Maggiore è la risoluzione del convertitore, maggiore sarà il

numero di sfumature effettivamente riconosciute durante l'acquisizione. Tecnologicamente

parlando, il colore può essere inteso come un’estensione del bianco e nero: è sufficiente ricorrere

alla sintesi additiva (nell’acquisizione e nella visualizzazione) o cromaticità (nella stampa a colori)

per riconoscere o aggiungere cromaticità delle nostre immagini.

Posto, dunque, che un sensore CCD è in grado di percepire solo livelli di luminosità, nella sua

accezione più semplice l’acquisizione a colori si riduce ad effettuare tre singole esposizioni

anteponendo all’obiettivo di ripresa un filtro rosso, un filtro verde e uno blu. Inutile sottolineare che

un sistema di ripresa organizzato in questo modo crea di certo non pochi problemi.

L’ostacolo delle tre riprese successive si può aggirare più o meno facilmente utilizzando tre singoli

sensori CCD ognuno filtrato diversamente oppure anteponendo ai singoli pixel una fitta rete di

microfiltri RGB, come nello schema in figura D.2.

Figura D.2: Schematizzazione del principio di funzionamento di un sensore CCD.

L'immagine "letta" da un sensore CCD realizzato con questa tecnologia è ovviamente a colori. Per

ogni punto conosciamo sempre una delle tre caratteristiche cromatiche primarie (il rosso, il verde,

oppure il blu) e le altre due possono essere facilmente interpolate ricorrendo ai pixel situati

nell'intorno dell'area, che sicuramente saranno filtrati secondo le componenti cromatiche mancanti.

Appendice D – L’acquisizione digitale delle immagini a colori

54

Sempre in figura sono considerati due generici pixel del sensore (A e B) ed è schematizzata una

basilare tecnica di interpolazione che tiene conto solo ed esclusivamente dei punti adiacenti. Da

evidenziare che non è assolutamente casuale il fatto che siano presenti più elementi filtrati in verde

rispetto a quelli filtrati in rosso e in blu (i primi sono esattamente il doppio dei secondi e dei terzi) in

quanto la regione del verde è quella di maggiore sensibilità per il nostro apparato visivo ed è

proprio in quella "zona" dello spettro visibile che riusciamo a riconoscere un numero maggiore di

dettagli e di sfumature.

Aumentiamo i CCD

L’unico modo per non incorrere in problemi derivanti da approssimazioni software dell’intensità del

colore è eliminando del tutto o minimizzando il meccanismo di interpolazione. E, come è facile

prevedere, se non intendiamo effettuare più esposizioni con differenti filtri, è necessario ricorrere a

2 o a 3 sensori CCD utilizzati insieme.

In figura D.3 è mostrato uno schema esemplificativo di una fotocamera digitale basata su 3 sensori

CCD, uno per componente primaria di sintesi additiva.

Figura D.3: Scomposizione dell’immagine in una telecamera digitale con 3 CCD.

Appendice D – L’acquisizione digitale delle immagini a colori

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E' evidente che in questo caso (3 CCD) non è necessario compiere alcuna operazione di

interpolazione software di natura cromatica, in quanto di ogni pixel della nostra immagine

conosciamo esattamente ognuna delle tre componenti cromatiche che identificano il rispettivo

colore. Più interessante, dal punto di vista algoritmico, la situazione della coppia di sensori CCD.

Figura D.4:Schematizzazione del principio di funzionamento

di un sistema dotato di 2 sensori CCD.

Dei due CCD disponibili (di pari risoluzione grafica) ad uno è demandato il compito di leggere tutti

i pixel verdi dell'immagine, l'altro si occupa delle componenti rosso e blu, secondo lo schema a

scacchiera mostrato in figura D.4. Secondo questa configurazione, di ogni punto conosciamo

sempre esattamente due componenti cromatiche e solo la terza dovrà essere interpolata. Ad

esempio, del pixel A è noto il verde e il rosso (il blu è da interpolare) mentre del pixel B

conosciamo il verde e il blu, lasciando al software il calcolo della componente rossa. Anche in

questo caso la predominanza di pixel verdi (che essendo presenti sul 100% della superficie non

necessitano di interpolazione alcuna) permette risultati interessanti in termini di risoluzione