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A differenza dell'esempio precedentemente indicato, che conosce una luce uniforme e una calligrafica rappresentazione dei particolari, nel quadro di Brera è la tavola a costituire il punto origine di evidenza della realtà: è il nitore della tovaglia a suggerire l'ordine e il tempo di lettura della composizione, affermando in modo perentorio la relatività e la momentaneità della realtà che viene riproposta in un momento saliente all'interno della mutevolezza delle occasioni e dei modi di approccio a essa. Non più una luce atmosferica capace di mettere in evidenza illusionistica i volumi e le consistenze materiali degli oggetti e dei personaggi, ma la presenza di un taglio che altera, nel gioco delle ombre proprie e portate, la fisionomia della realtà rappresentata. Per ragioni stilistiche e per ragioni cronologiche allora il brano di tavola imbandita dalla «Cena in Emmaus» di Brera risulta essere fra gli elementi tramite più significativi fra appa- recchio completato dalla presenza umana e natura morta autonoma. E con questo si comple- ta anche la traiettoria delle cene «esemplari», almeno relativamente a una iconografìa reli- giosa. DALLA LITURGIA AL RITRATTO Nell'iconografìa cinquecentesca che si viene affermando nei Paesi Bassi, seguendo da questo punto di vista una tradizione di attenzione agli arredi e ai particolari oggettuali che af- fonda le sue radici alle origini stesse di quella civiltà; la tavola imbandita, o come vedremo successivamente anche il tavolo del mestiere, è l'elemento di maggiore continuità a porsi co- me diretto intermediario fra le figure ritrattate e l'osservatore, quando la tavola risulta paralle- la al taglio della scena e in primo, piano, o come figura nello spazio attorno cui, in un ambien- te più ampio, le figure umane si aggregano e acquistano valore di posa. Da questo punto di vista esiste una sostanziale continuità fra il soggetto sacro e il sogget- to laico, fra la «sacra famiglia a tavola» attribuita alternativamente all'attività di Jan Mostaert e a Jakob Jansz (tav. 81) e il ritratto di famiglia tradizionalmente attribuito a Jan van Scorei e recentemente orientato all'attività del discepolo Marten van Heemskerck (tav. 82). Una conti- nuità evidentemente densa di particolari variazioni: nel primo documento ci troviamo di fronte a un'immagine per così dire «rubata» nel continuo degli atti cerimoniali del pasto, po- nendosi la scena in una accentuata divisione fra la Madre intenta a servire il latte della ciotola prospicente e il taglio del formaggio di Giuseppe: il disordine e l'affastellamento degli arredi denunciano una volontà di replica rispetto al reale particolarmente consonante rispetto ai ge- sti quotidiani appena segnalati. Ancora una volta risulta determinante, quel processo di «familiarizzazione» del sopran- naturale che tanta parte avrà nella stessa emancipazione dell'inanimato dalla figura umana che comunque sembra sostanzialmente prevedere due andamenti fra loro contrapposti: nella tavola di Mostaert si contrappongono vasellami ricercati in metallo, come la saliera, il piatto centrale, la stessa scodella e il cucchiaio tenuto dalla madre, e la semplicità, la morigeratezza 112

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A differenza dell 'esempio precedentemente indicato, che conosce una luce uniforme e una calligrafica rappresentazione dei particolari, nel quadro di Brera è la tavola a costituire il punto origine di evidenza della realtà: è il nitore della tovaglia a suggerire l 'ordine e il t empo di lettura della composizione, affermando in m o d o perentorio la relatività e la momentanei tà della realtà che viene riproposta in un m o m e n t o saliente all ' interno della mutevolezza delle occasioni e dei modi di approccio a essa. Non più una luce atmosferica capace di met tere in evidenza illusionistica i volumi e le consistenze materiali degli oggetti e dei personaggi, ma la presenza di un taglio che altera, nel gioco delle ombre proprie e portate, la fisionomia della realtà rappresentata.

Per ragioni stilistiche e per ragioni cronologiche allora il brano di tavola imbandita dalla «Cena in Emmaus» di Brera risulta essere fra gli elementi tramite più significativi fra appa­recchio completato dalla presenza umana e natura morta au tonoma. E con questo si comple­ta anche la traiettoria delle cene «esemplari», a lmeno relativamente a una iconografìa reli­giosa.

D A L L A L I T U R G I A A L R I T R A T T O

Nell'iconografìa cinquecentesca che si viene affermando nei Paesi Bassi, seguendo da questo punto di vista una tradizione di at tenzione agli arredi e ai particolari oggettuali che af­fonda le sue radici alle origini stesse di quella civiltà; la tavola imbandita, o come vedremo successivamente anche il tavolo del mestiere, è l 'e lemento di maggiore continuità a porsi co­me diretto intermediario fra le figure ritrattate e l 'osservatore, quando la tavola risulta paralle­la al taglio della scena e in primo, piano, o c o m e figura nello spazio a t torno cui, in un ambien­te più ampio , le figure umane si aggregano e acquistano valore di posa.

Da questo punto di vista esiste una sostanziale continuità fra il soggetto sacro e il sogget­to laico, fra la «sacra famiglia a tavola» attribuita a l ternat ivamente all'attività di Jan Mostaert e a Jakob Jansz (tav. 81) e il ritratto di famiglia t radizionalmente attribuito a Jan van Scorei e recentemente orientato all'attività del discepolo Mar ten van Heemskerck (tav. 82). Una conti­nuità evidentemente densa di particolari variazioni: nel pr imo d o c u m e n t o ci t roviamo di fronte a un ' immagine per così dire «rubata» nel cont inuo degli atti cerimoniali del pasto, po­nendosi la scena in una accentuata divisione fra la Madre intenta a servire il latte della ciotola prospicente e il taglio del formaggio di Giuseppe: il disordine e l 'affastellamento degli arredi denunciano una volontà di replica rispetto al reale part icolarmente consonante rispetto ai ge­sti quotidiani appena segnalati.

Ancora una volta risulta determinante, quel processo di «familiarizzazione» del sopran­naturale che tanta parte avrà nella stessa emancipazione del l ' inanimato dalla figura umana che c o m u n q u e sembra sostanzialmente prevedere due andament i fra loro contrapposti : nella tavola di Mostaert si cont rappongono vasellami ricercati in metallo, c o m e la saliera, il piatto centrale, la stessa scodella e il cucchiaio tenuto dalla madre , e la semplicità, la morigeratezza

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81 - Jan Mostaert, La sacra famiglia, Wallraf-Richard Museum, Colonia.

dei cibi, illustrati dalle diverse forme del pane e dal formaggio tagliato da Giuseppe. Si intrec­ciano allora due tensioni simboliche che hanno responsabilità diverse: la prima tende a assu­mere valore prescrittivo, si pone cioè come indicatore del cibo «puro» o comunque del cibo non peccaminoso, necessario e non voluttuario; la seconda invece tende a segnalare la pre­senza sulla tavola di cibi o stoviglie estranee alla morigeratezza, o comunque alla dieta comu­ne, ma riferibili all 'emblematica religiosa.

Così è legittimata, nella tavola imbandita di Heemskerck la presenza delle mele tagliate e dell 'uva e delle ciliegie raccolte nel cestino, a indicare rispettivamente il peccato originale, l 'eucarestia e il paradiso, possibile attraverso quest 'ult ima: risultano allora implicate in queste tavole, ma il discorso dovrà essere esteso anche alle prime tavole olandesi del XVII secolo, una replica del cos tume contemporaneo, come arredo e come cibo, una contrapposizione fra

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lusso e morigeratezza, un altrettanto esplicito richiamo al s imbolismo cristiano, come docu­mentato dal «Ritratto di famiglia» di Pieter Pietersz, datato 1602 ora a New Orleans, in cui ol­tretutto viene colto il m o m e n t o della benedizione a tavola, quindi con una significativa sinte­si fra materiale e spirituale. Ma ancora una volta l ' immaginario olandese non può tralasciare, anche nel m o m e n t o solenne e sacrale appena descritto, la presenza di alcune situazioni di «genere»: il paesaggio e la cucina, come indicazioni della moltiplicazione degli spazi, vicini o lontani, e la stessa «scena» del cane che aggredisce il bacile.

Si può infine integrare con questo immaginario simbolico, di origine cristiana, o comun­que religiosa, un più antico simbolismo legato alla ciclicità stagionale del cibo che dalla fase naturale a quella lavorata da l l 'uomo, può presentare le fasi della nascita, della mor te e della resurrezione.

A questo apparato, come si vede complesso o c o m u n q u e capace di agire contempora­neamente su piani diversi, occorre aggiungere una particolare at tenzione del m o n d o ereditato dal Cinquecento scientifico, relativo al rapporto fra oggetto e senso de l l ' uomo; vista, tatto, gusto, odorato e udito sono sensi cont inuamente implicati e sollecitati nel banchet to perché esso non ne divenga una immagine privilegiata. Escludendo da questo punto di vista un ra­gionamento in profondità sul l 'argomento, è sufficiente segnalare una incisione già discussa da Christian Klemm (Baden-Baden 1980, p. 169) di Balthasar Moncorne t in cui a un registro visivo basato sul convito galante corrisponde una legenda verbale in cui i singoli sensi del l 'uomo risultano descritti e analizzati.

Con la presenza o in assenza del l 'uomo, la realtà inanimata acquista quindi una ulteriore valenza simbolica, accanto a quelle già descritte, riferibile all 'universo della sua percezione, agli approcci che risultano più incisivi per l ' uomo: così il fiore potrà eccitare l'olfatto, lo stru­mento musicale l 'udito, il quadro o lo specchio la vista, il cibo il gusto, ecc. con una sorta di citazioni fra loro intersecate in quanto risulta nel complesso impossibile attribuire, in tale sel­va di ramificazioni e di relazioni reciproche, singole e distinte radici per ciascun domin io sim­bolico, né distinguerne cronologicamente una priorità anche se risulta nel complesso convin­cente una traiettoria che dal dominio religioso e dello stagionale ( come affermato da Faré '77) alla fine del XVI secolo e nei primi anni del successivo, passa senza t raumat iche ripercus­sioni o segni iconografici differenti al dominio laico del senso o del t emperamento . L'incisio­ne di Moncornet è del 1650: più di mezzo secolo prima Lucas van Valkemborch aveva tratta­to il medes imo tema in un dipinto ora in coli. priv. (Baden-Baden 1980, n. 212) in cui il t ema del tatto, risolto come piacere sensuale, viene associato al piacere della tavola e del gusto: è il cibo prelibato a caratterizzare i commensal i , dal vino apprezzato da l l ' uomo maturo al bambi­no che protende le mani verso il grappolo d'uva, alla vecchia e alla giovane donna che osten­tano o portano alla bocca i cibi. Ma è l ' intero ambien te , a partire dall 'apparecchiatura delle stoviglie che si intravvede nel fondo, per passare ai musicanti (il piacere supplementare del convito e un 'al lusione all 'udito) per finire a quanti osservano, dietro la finestra, il banchet to , evidentemente desiderosi di parteciparvi. La medes ima ricercatezza e il m e d e s i m o lusso si ri­scontrano nell 'apparecchiatura della tavola che presenta una complessa e variegata classe di contenitori , dai piatti rotondi metallici di varie dimensioni alle alzate portafrutta sbalzate, ri­colme di dolci e crostate.

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L'intero apparecchio sottolinea quindi l 'opulenza e la ricercatezza, i piaceri che la tavola può offrire: alla moderaz ione nell ' indulgere a tali lusinghe sembrano invece ammoni re le due vivande che si pongono, nella tavola imbandita di Valkemborch, in posizione centrale: un piatto presenta un filone di pane e un successivo, quasi pernio dell'intera imbandigione, tre pezzi di formaggio, a indicare per contrasto la semplicità e la frugalità della sopravvivenza ri­spetto alla ricerca dell 'esotico o del prezioso.

L'impalcatura simbolica che organizza il dipinto allora, secondo Lammers , dovrebbe concentrarsi sul doppio binario dei «cinque sensi» e del loro necessario equilibrio e modera­zione: e cer tamente non si tratta di un ritratto fedele di un convito fìne-cinquecentesco a in­tenti commemorat iv i , come alcuni esempi cui dovremo successivamente fare riferimento; troppo tipicizzati e stereotipi gli atteggiamenti dei personaggi, pur nella fedeltà e nella calli­grafia con cui le singole stoviglie e le singole fisionomie vengono rilevate. Più complesso co­m u n q u e accettare comple tamente una funzione esclusivamente ammonitr ice alla temperan­za, per la stessa calligrafìa con cui i singoli elementi del banchetto da condannare, da conside­rare eccessivi, aldifuori della misura adeguata, vengono illustrati: ancora una volta la scelta della rappresentazione fedele del cibo o della stoviglia sembra ricercare con il reale rappre­sentato una relazione più sottile o comunque complessa della pura e semplice condanna. Ma su questo aspetto particolare del s imbolismo delle prime tavole imbandite si discuterà più a lungo affrontando il soggetto au tonomo. Così come un accenno alla tavola e al peccato della gola sarà affrontato brevemente più avanti, volendo in questo m o m e n t o offrire la varietà del panorama che la tavola imbandita può fornire nella sua associazione con la figura umana.

Si è visto il soggetto religioso e la sua non traumatica trasformazione nella famiglia ri­trattata da Heemskerck, in cui oltretutto la Madre che tiene in braccio il bambino ignudo pre­senta un'iconografia decisamente riferibile, a differenza del ritratto del padre e dei primi due figli, a quella tradizionale della Madonna col bambino, quasi a significare una separatezza di stato fra i due gruppi; si è visto ancora il banchetto come pretesto per l'illustrazione dei cin­que sensi e infine il banchetto come a m m o n i m e n t o alla temperanza.

A questo complesso reticolo simbolico, che può coinvolgere il singolo piatto o il singolo cibo presente sulla tavola, occorre aggiungerne un luogo ulteriore che, invece, trova nella ta­vola stessa il luogo principale del ragionamento: e questo non perché negli esempi precedenti tale fattore sia inesistente, ma perché negli esempi dei «ritratti» olandesi a partire dalla prima metà del XVI secolo, il sedersi al banchetto comune risulta esplicitamente dichiarato come esempio di eguaglianza e di fratellanza, di solidarietà.

C o m e il gruppo di balestrieri celebrati in un dipinto del 1533 da Cornelis Teunissen (tav. 83) che, pur nelle precedenze di stima nel servirsi accordate al capotavola, pure presenta una singolare e significativa identità di arredi fra i commensal i affermando in questo m o d o la se­renità e l 'eguaglianza che governano i rapporti sociali fra i cittadini. E l'orgoglio della corpora­zione a dettare la coreografia del pasto comune, con il semplice arredo dei piatti di legno e il piatto centrale metallico con la carne: è una posa, quella cui assistiamo, ul teriormente signifi­cativa una volta che si osservino i due piatti in pr imo piano lasciati vuoti per un ordinato di­sporsi dei commensal i : una soluzione che lascia integralmente libera la tavola e il suo arredo (a differenza del gruppo delle guardie civiche dipinto nel 1566 da Dirk Barendsz (tav. 84) in

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83 - Cornelis Teunissen, Gruppo di alabardieri, Rijksmuseum, Amsterdam

84 - Dirck Barendsz, Gruppo di guardie civiche, Rijksmuseum, Amsterdam.

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cui il pr imo piano risulta occupato da tre commensali che distolgono l 'attenzione dalla tavola per concedersi al pittore, lasciando in questo m o d o in t rawedere un arredo comunque ben più complesso e articolato rispetto a quello di Teunissen. Quest 'ul t imo infatti conosce, grazie soprattutto all 'accorgimento di disposizione dei commensal i già ricordato e a un elevato pun­to di vista, uno svolgimento particolarmente ampio della tovaglia e della sua semplice imban­digione, a cui fanno corona e commen to i balestrieri seduti e la seconda fila in piedi, a indica­re ai lati opposti lo s t rumento del mestiere. Il documento di Barendsz invece conosce un af­follamento e una animazione maggiore, tenendo oltretutto presente un taglio prospettico me­no accentuato e quindi una minore importanza attribuita al valore figurale della tavola. È la selva dei ritratti, secondo una indicazione che nasce dal carattere particolare della committen­za del dipinto, a costituire il punto centrale del discorso: la tavola in altri termini diventa sem­pre più un pretesto, la citazione di un luogo o di un m o m e n t o in cui l'unità e la comunità si espr imono nel m o d o più intenso, che una vera e propria «figura» del quadro.

Questo andamento risulta essere stilisticamente progressivo e può trovare la sua definiti­va affermazione nelle grandi scenografìe impaginate da Frans Hals (tav. 85) in cui la tavola apparecchiata, pur importante nella sua centralità cromatica e per l 'opulenza della sua imban­digione, risulta un pr imo polo dell 'attenzione architettonica del dipinto che conosce altri ful­cri e altri moment i fondamentali . Ma con la citazione di Hals abbiamo superato quel limite cronologico-stilistico che per il m o n d o olandese è costituito dall'apparire, proprio alle soglie del secolo, delle prime tavole imbandite au tonome. Quindi il discorso risulta essere giocofor­za sbrigativo in quanto, nell ' immaginario degli anni venti-trenta del secolo, la tavola imbandi­ta ha già conosciuto una sua storia e ha assunto una fisionomia che gli ultimi decenni del se­colo precedente evidentemente non conoscono.

Occorre invece fare riferimento a un ulteriore soggetto che conosce intorno alla tavola una sua presenza stabile: e sarà quello della famiglia o più specificatamente delle nozze. In entrambi i casi la tavola imbandita può essere affiancata, come nella «Famiglia van Berchem» di Frans Floris del 1561 o nella «Famiglia Moucheron» di Cornelis de Zeeuw del 1563 per finire alle «Nozze di Georg Hoefnaghel» di Frans Pourbus del 1571, all'attività musi­cale; nel dipinto di Floris anzi occorre parlare di un breve squarcio di natura morta, sia pure messa sulla tovaglia bianca e in posizione centrale, rispetto alla composizione, accanto al con­certo dei padroni di casa.

Resta c o m u n q u e importante sottolineare come in questi documenti possano essere tran­quil lamente presenti due atteggiamenti sostanzialmente legati al medes imo atto di r iunione intorno alla tavola: può in altri termini essere il caso della veridica riproduzione di un avveni­men to , come il documento delle nozze significativamente rappresentate nel m o m e n t o dell'ufficialità sociale (e a questo punto è oppor tuno ricordare come anche nell'illustrazione delle nozze degli dei dell 'Olimpo il luogo ritrattato sia il medes imo) . La seconda ragione è quella del riunirsi intorno al tavolo come momento-pretes to per il ritratto: un atteggiamento di «posa» del gruppo familiare scelto rispetto a altri possibili.

Il pr imo versante inclina alla registrazione di un m o d o d'uso, di cerimonia e di circostan­za spettacolare, in cui si affianca al numero dei ritrattati l ' imponenza o la sontuosità dell'ap-

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85 - Frans Hals, Banchetto degli Ufficiali della Milizia di S. Giorgio, Frans-Hals -Museum, Haarlem.

parecchio, quindi dei beni materiali; il secondo risulta immed ia t amen te non motivato se non per il valore simbolico che l 'azione del sedersi alla mensa c o m u n e può determinare .

Ospitalità e indicazione della gerarchia d ' importanza, rilievo attribuito alla etichetta e al riflesso esteriore, alla normativa e alle regole di compor t amen to da replicare: ecco il p r imo termine del discorso. Il fatto ol tretut to che il ritratto d 'assieme sia concepito in una posa del tutto particolare come quella determinata dalla differenza di età e di sesso al l ' interno della micro-società familiare spiega in m o d o inequivocabile la funzione prescrittiva della pittura, come congelamento di una gerarchia definita una volta per tutti, da osservare al l ' interno della società che frequenta il dipinto. Dal punto di vista della significatività della scelta dell 'arredo, proprio il ritratto di gruppo raccolto at torno a esso risulta la soluzione più incisiva in quanto alla «mostra» dei personaggi ritrattati risulta omogenea la «messa in mostra» di un soggetto inanimato figuralmente organizzato e gerarchizzato.

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Sono allora coincidenti all 'unisono l'ordine dei personaggi e l 'ordine dell 'apparecchio della tavola, a indicare una armonia possibile solo attraverso il rispetto delle precedenze e delle importanze. A questa attenzione, che oltretutto propone una tavola apparecchiata e non una pura e semplice collezione di stoviglie e di cibi, non sembra estranea l ' immagine lettera­ria e augurale della tavola abbondante , come simbolo esauriente e augurio per una opulenza reale la cui continuità nel tempo viene per certi versi auspicata dalla sua registrazione in im­magine. Test imonianza dell 'abbondanza, ma anche ammoniz ione alla morigeratezza, come successivamente verrà proposto, augurio infine del manten imento dell 'uno e dell'altra nel fu­turo sembrano essere allora le due molle capaci di legittimare l'associazione.

Il convito olandese che abbiamo illustrato conosce una ulteriore valenza sociale una vol­ta che si consideri La qualità e la natura dei commensali : può essere il nucleo familiare della borghesia emergente, che afferma la propria individualità e il proprio ruolo fondamentale nella costituzione della nuova società; può essere il ritratto della corporazione, a indicare la forza e l 'autonomia di una aggregazione del «gruppo di pressione», vero e proprio protagoni­sta dello stato capitalista alle sue origini, a un tempo centro propulsore dello sviluppo econo­mico e politico di uno stato composto da cittadini e non da sudditi, e contemporaneamente aggregazione difensiva, affermatasi nella difesa degli interessi della casta, la cui identità e la cui solidarietà, in un caso come nell'altro, sono essenziali per la sopravvivenza dello stesso organismo.

Alla tavola olandese sono quindi seduti i nuovi soggetti della società, a legittimare quasi una funzione di protagonisti prima svolta da altre classi egemoni che in epoche e in società diverse avevano assunto il banchetto come m o m e n t o di consacrazione di un ruolo sociale.

IL B A N C H E T T O E LA S O C I E T À

L'escursione accelerata e campionaria a ritroso nel t empo a cui costringiamo il lettore vuole test imoniare la persistenza di un ruolo normativo che l'illustrazione del banchetto può fornire, come indicatore di un uso «civile» e come affermazione di un «ordine» dei rapporti sociali regolato e funzionante da ammirare, da imitare, a cui ambire.

La cerimonia del banchetto conosce infatti una sua lingua chiusa nella contemporaneità, a partire dalla disposizione a tavola fino a distinguere la qualità, la quantità e la fisionomia de­gli arredi che adornano: ma l'intera coreografìa, compreso l 'entrare e l'uscire dalla sala del banchetto, è sottoposta a una rigida etichetta: solo per l ' inconsueto compor tamento del mari­to a tavola lady Macbeth scioglie la brigata dal rispetto delle regole di uscita dalla sala. Tut to il cerimoniale, inaugurale o finale, segue tempi e modi prestabiliti: una miniatura tratta dal De baineis puteolanis (tav. 86) della seconda metà del XIII secolo presenta nello scomparto superiore una simmetria dei gesti compiuti dai commensali e dagli stessi paggi al tamente si­gnificativa delle complesse regole di precedenze e di cerimonie che accompagnano il festino

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