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I l ARTI I d i ! A T T O R I Si e già accennato all'uso della tradizione classica nell'Alto Medioevo, di come il dibattito fra eredità greco- romana e nuove esigenze dettate dalla conversione in cul- tura della dottrina dei «pescatori» si fosse risolto non sen- za contrasti, con l'accettazione moderata della antica sa- pienza in funzione della nuova. La via, già pionieristica- mente tracciata da Origene, viene sintetizzata da LJgo da San Vittore, quando fa coincidere le «arti liberali» con in- strumenta e rudimenta utili alla formazione del saggio; in- fatti «le arti liberali sono un complesso di informazioni di base e di istruzioni adatto a aprire all'anima la via per una piena comprensione della verità filosofica. Esse prendono il nome di trivio e di quadrivio, attraverso i quali, come strade, l'animo acuto si addentra nei segreti della sapien- za» (Norden, p. 688). La interpretazione utilitaristica, propedeutica che viene attribuita dal mondo del primo Medioevo agli Auctores, ai testi della sapienza antica, tro- va la sua logica nella cultura delle Artes, sintesi organica del sapere pagano. Il XIII secolo presenta, rispetto all'at- teggiamento ora ricordato, un quadro in rapida evoluzio- ne, legato non tanto al conflitto fra cultura pagana e cul- tura cristiana - anche se le «bastonature» di cui sarà vitti- ma san Gerolamo conosceranno una fortuna fino ai dila- ceranti conflitti di Petrarca - quanto alla maturità raggiun- ta dalla nuova cultura rispetto alla vecchia, ormai emanci- pata e autonoma rispetto all'antico. Questo sentimento, che lega campi distanti come l'architettura gotica e la filo- sofìa, la letteratura, si presenta come elemento caratteriz- zante in modo originale il periodo. Lo sviluppo in ambito letterario è costituito dall'affermazione autonoma delle Artes rispetto ai modelli di partenza. Commenta E. Norden la distinzione fra le due fonti culturali: «nel sistema delle arti... era concentrata la parte essenziale e più utile della cultura classica in una forma comoda e soprattutto inoffensiva: che bisogno c'era allo- ra degli auctores, che a ogni pagina presentavano cose peri- 11 >1< 'Ne. dalle quali ci si poteva salvare solo t un 1 1< uva ti sti- racchiamenti dell'interpretazione allegorica, la quale agli animi deboli non sempre riusciva? Meglio dunque lascia- re da parte le anticaglie, accontentandosi dell'estratto cul- turale in flaconi presentano dalle Artes- (lì, 693). Lo sforzo di sintesi espresso dalle Università del XIII secolo, affine allo «sforzo» architettonico delle cattedrali francesi, ridisegna un materiale precedentemente accu- mulato in modo disordinato e incoerente, teso alla salvez- za dal naufragio più che alla preoccupazione dell'unitarie- tà o della concordanza delle parti. Ma, per così dire, la cul- tura dell'emergenza, che ha creato i monasteri custodi di testimonianze e di reperti non sempre studiati, raccolti per un culto della reliquia pagana e cristiana con lo stesso amore con cui, due secoli più tardi, Petrarca sfoglierà il «suo» Omero in lingua originale avendo con il manoscrit- to un rapporto empatico che giocoforza escludeva la comprensione letterale del testo, cede il passo al consoli- damento e all'affermazione programmatica di una «rina- scita» necessitata dall'estensione della cultura, dall'affer- marsi eccentrico della società cittadina rispetto alla corte o alla curia. E ancora Male, in una interpretazione trion- fante del periodo, a sottolineare lo sforzo di sintesi dell'epoca: «Il XIII secolo è il secolo delle enciclopedie; in nessun'altra epoca furono pubblicate tante Summae, Specchi, Imago Mundi. San Tommaso d'Aquino coordi- na allora tutta la dottrina cristiana; Jacopo da Varagine riunisce in un corpus tutte le più famose leggende dei san- ti; Guglielmo Durand riassume l'insegnamento dei litur- gisti precedenti; Vincenzo di Beauvais spazia su tutta la scienza universale. Così il mondo cristiano prende piena coscienza del suo genio, e la concezione dell'universo ela- borata nei secoli precedenti giunge alla sua perfetta for- mulazione. Le università appena create in tutta Europa, e soprattutto la giovane università di Parigi, credettero possibile costruire la base definitiva del sapere umano, e vi si impegnarono con entusiasmo» (cit. p. 47). L'apparente unanimismo celebrato da Male si presen- ta in effetti più variegato a una indagine approfondita: la guerra fra i propugnatori delle Artes, in particolare quei parigini che, con orrore degli umanisti, editeranno due nuove «sintesi» (il Doctrinale di Alessandro di Villa Dei e il Grechmus di Eberard di Béthune) assolutamente inatten- dibili, centoni di altrettanti centoni e la scuola degli «ama- tores litterarum» di Chartres prima, di Orléans dopo, sarà particolarmente dura; la vittoria celebrata dalla «Logica» parigina contro la «Grammatica" eli Orléans da Henri d'Andéli nel suo «La battaille des sept arts» avviene non

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I l A R T I I d i ! A T T O R I

Si e già accennato all'uso della tradizione classica nell 'Alto Medioevo, di come i l dibattito fra eredità greco­romana e nuove esigenze dettate dalla conversione in cul­tura della dottrina dei «pescatori» si fosse risolto non sen­za contrasti, con l'accettazione moderata della antica sa­pienza in funzione della nuova. La via, già pionieristica­mente tracciata da Origene, viene sintetizzata da LJgo da San Vittore, quando fa coincidere le «arti liberali» con in­strumenta e rudimenta uti l i alla formazione del saggio; in­fatti «le arti liberali sono un complesso di informazioni di base e di istruzioni adatto a aprire all'anima la via per una piena comprensione della verità filosofica. Esse prendono il nome di tr ivio e di quadrivio, attraverso i quali, come strade, l 'animo acuto si addentra nei segreti della sapien­za» (Norden, p. 688). La interpretazione utilitaristica, propedeutica che viene attribuita dal mondo del pr imo Medioevo agli Auctores, ai testi della sapienza antica, tro­va la sua logica nella cultura delle Artes, sintesi organica del sapere pagano. I l X I I I secolo presenta, rispetto all'at­teggiamento ora ricordato, un quadro in rapida evoluzio­ne, legato non tanto al conflitto fra cultura pagana e cul­tura cristiana - anche se le «bastonature» di cui sarà v i t t i ­ma san Gerolamo conosceranno una fortuna fino ai dila­ceranti confl i t t i di Petrarca - quanto alla maturità raggiun­ta dalla nuova cultura rispetto alla vecchia, ormai emanci­pata e autonoma rispetto all'antico. Questo sentimento, che lega campi distanti come l'architettura gotica e la filo­sofìa, la letteratura, si presenta come elemento caratteriz­zante in modo originale i l periodo. Lo sviluppo in ambito letterario è costituito dall'affermazione autonoma delle Artes rispetto ai modelli di partenza.

Commenta E. Norden la distinzione fra le due fonti culturali: «nel sistema delle a r t i . . . era concentrata la parte essenziale e più utile della cultura classica in una forma comoda e soprattutto inoffensiva: che bisogno c'era allo­ra degli auctores, che a ogni pagina presentavano cose peri-11 >1< ' N e . dalle quali ci si poteva salvare solo t u n 11< uva ti sti­racchiamenti dell'interpretazione allegorica, la quale agli animi deboli non sempre riusciva? Meglio dunque lascia­re da parte le anticaglie, accontentandosi dell'estratto cul­turale in flaconi presentano dalle Artes- ( l ì , 693) .

Lo sforzo di sintesi espresso dalle Università del X I I I

secolo, affine allo «sforzo» architettonico delle cattedrali francesi, ridisegna un materiale precedentemente accu­mulato in modo disordinato e incoerente, teso alla salvez­za dal naufragio più che alla preoccupazione dell'unitarie­tà o della concordanza delle parti. Ma, per così dire, la cul­tura dell'emergenza, che ha creato i monasteri custodi di testimonianze e di reperti non sempre studiati, raccolti per un culto della reliquia pagana e cristiana con lo stesso amore con cui, due secoli più tardi, Petrarca sfoglierà i l «suo» Omero in lingua originale avendo con i l manoscrit­to un rapporto empatico che giocoforza escludeva la comprensione letterale del testo, cede i l passo al consoli­damento e all'affermazione programmatica di una «rina­scita» necessitata dall'estensione della cultura, dall'affer-marsi eccentrico della società cittadina rispetto alla corte o alla curia. E ancora Male, in una interpretazione trion­fante del periodo, a sottolineare lo sforzo di sintesi dell'epoca: «Il X I I I secolo è i l secolo delle enciclopedie; in nessun'altra epoca furono pubblicate tante Summae, Specchi, Imago M u n d i . San Tommaso d 'Aquino coordi­na allora tutta la dottrina cristiana; Jacopo da Varagine riunisce in un corpus tutte le più famose leggende dei san­t i ; Guglielmo Durand riassume l'insegnamento dei litur­gisti precedenti; Vincenzo di Beauvais spazia su tutta la scienza universale. Così i l mondo cristiano prende piena coscienza del suo genio, e la concezione dell'universo ela­borata nei secoli precedenti giunge alla sua perfetta for­mulazione. Le università appena create in tutta Europa, e soprattutto la giovane università di Parigi, credettero possibile costruire la base definitiva del sapere umano, e vi si impegnarono con entusiasmo» (cit. p. 47).

L'apparente unanimismo celebrato da Male si presen­ta in effetti più variegato a una indagine approfondita: la guerra fra i propugnatori delle Artes, in particolare quei parigini che, con orrore degli umanisti, editeranno due nuove «sintesi» ( i l Doctrinale di Alessandro di Villa Dei e i l Grechmus di Eberard di Béthune) assolutamente inatten­dibi l i , centoni di altrettanti centoni e la scuola degli «ama-tores litterarum» di Chartres prima, di Orléans dopo, sarà particolarmente dura; la vittoria celebrata dalla «Logica» parigina contro la «Grammatica" eli Orléans da Henri d'Andéli nel suo «La battaille des sept arts» avviene non

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senza controversie e proteste, segnalando un dissidio che Petrarca esprimerà in modo riassuntivo: «come stanziato al confine di due popoli , contemporaneamente guardo indietro e in avanti" (Rer. mem. 12).

La capacità sintetica e riassuntiva delle Artes, se può mortificare, almeno in una osservazione generica, le spin­te innovative di quei pensatori che, per fedeltà agli Aucto-res o per una malcelata impazienza tendono a rompere g l i schemi rigidi della Scolastica, testimonia una maturità dell'esperienza medioevale formatasi nei secoli preceden­t i , rappresenta il culmine sistematizzato di un pensiero as­solutamente originale; contemporaneamente denuncia i l proprio immobilismo, la strettezza di una gabbia ferrea ma disciplinata e sacrificante i l nuovo. Lo sforzo di siste­mazione in gabbia quanto tende al nuovo, guardando in­dietro, all'originalità di una tradizione classica mortificata dalla "moralizzazione» o in avanti, ritaglia e sagoma l'esi­stente e il conosciuto nei momento in cui si affacciano nuove esigenze, capaci di romperne l'omogeneità.

I l X I I I secolo è, appunto, epoca di sintesi, ma testimo­nia anche una «spaccatura» nei confronti del passato: rile­vando diversità e continuità fra i due periodi, Etienne G i l -son contrappone una interpretazione del pr imo Medioe­vo romanticamente legato al forte contrasto fra demonia­co e divino, in una «foresta» di simboli sovrabbondanti r i ­spetto alla realtà. «Per una reazione ben naturale, lo stu­dio dei sistemi classici del secolo X I I I ha condotto gli sto­rici a levare contro questa visione poetica del mondo me­dioevale la concezione scientifica e razionale che ne han­no elaborata Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone e San Tommaso d'Aquino. Nulla di più giusto, in questo senso almeno: che a datare dal secolo X I I I l'universo della scienza comincia a interporsi tra noi e l'universo simboli­co del l 'Alto Medio Evo; ma si avrebbe torto di credere ch'esso l'abbia soppresso, o anche solo che abbia cercato di sopprimerlo. Ciò che si produsse allora è: pr imo, che le cose, invece di non essere altro che simboli, sono divenu­te esseri concreti, i quali oltre alla loro propria natura, era­no anche dotati di significati simbolici; in seguito, che l'analogia del mondo con D i o , in luogo di esprimersi solo sul piano delle immagini e del sentimento, si formulò in leggi precise e in nozioni metafìsiche definite (Gilson, pp. 125-26).

La sistematica razionale con cui i l mondo terreno e quello celeste vengono disciplinati produce come effetto la progressiva emancipazione del pr imo rispetto al secon­do: la progressiva «umanizzazione» del sacro nell'icono­grafia gotica risponde a questa esigenza di rispecchiamen­to: i l mutamento rispetto all'epoca precedente è i l cam­biamento di segno della dinamica. N o n più l'invadenza del superiore nell'inferiore, con l'alterità dell'atteggia­mento, ma una aggressione del mondano che avvicina quanto prima si poneva come distante, estraneo nella sua incommensurabilità. L'impalcatura simbolica cede pro­gressivamente i l passo a una indagine del naturale, come dell'umano, attento ai caratteri psicologici momentanei:

«Dunque le Idee sono conosciute partendo dalle creature; vi è dunque anche, anteriormente alla visione di quelle idee, una conoscenza certa delle creature» afferma Duns Scoto, ribaltando una sfiducia nella capacità conoscitiva del sensibile che era stata patrimonio dell'eredità filosofi­ca classica e che si era radicata nella riflessione sulla cono­scenza dei padri della Chiesa.

Affrontando nel 1968 i l concetto di «gotico», Cesare Gnudi ne ha significativamente respinto una interpreta­zione restrittiva, di natura stilistica, della «maniera» che sbrigativamente, in architettura prima, nel décor successi­vamente, viene identificata con i l termine e che esclude­rebbe, in una osservazione sincronica, esperienze signifi­cative come quella italiana: «La tendenza ancora diffusa a caratterizzare come «gotici» soprattutto gl i stilismi e le codificazioni di certi elementi formali dell'arte del tardo Duecento e del Trecento nella sua diffusione europea, fi­nisce, infl i t t i per rendere inadeguato e equivoco i l termine nei confronti di mol t i tra i fatti artistici più alti dell'arte gotica: sfuggendo a quella formula, non meno dell'arte italiana, tanta parte del gotico arcaico, monumentale, classico, in Francia e in altri paesi d'Europa» (Gnudi , p 78).

Una interpretazione più consona del termine allora, sbrigativo e convenzionale come tutte le segmentazioni, soprattutto ereditate dal passato, deve rendere ragione del movimento di "sintesi", di strappo e di continuità r i ­spetto al passato prossimo che abbiamo, cercato di ricor­dare a proposito della supremazia delle «Artes» sulla inva­dente eredità degli Auctores: «"Gotico" è questa summa della civiltà medioevale, che intorno alla metà del Due­cento sembra in sé conchiudersi in una perfezione di equilibrio fra i l divino e l'umano, ma è insieme apertura da cui i l nuovo sentimento della natura e dell'umano, la realtà che la Scolastica aveva accolto entro la struttura del pensiero trascendente, dilaga con un suo ormai inconte­nibile slancio: allargandosi così sempre più lo spazio che l'arte, la poesia riservano alla nuova intuizione estetica del reale. "Gotico" è questo culmine della civiltà medioevale, ed è anche altissimo crinale da cui si spazia oltre, verso orizzonti nuovi» (cit. p. 78).

I l senso del cambiamento fra un prima e un attuale, la coscienza della spaccatura che i l nuovo modo di costruire comporta, non sono frutto della periodizzazione critica contemporanea: è vero che risulta luogo retorico costante la celebrazione del «nuovo» come superamento del «vec­chio», ma la cronaca della ricostruzione del coro della Cat­tedrale di Canterbury a opera di Gervasio, nel contrasto traumatico fra l'edificio distrutto dalle fiamme e la nuova costruzione guidata da un «William» architetto di Sens, è troppo puntuale nell'affermare i l modo «nuovo» perché i l tut to possa passare sotto la celebrazione retorica. Sono la lunghezza e l'altezza dei nuovi pilastri a stupire i l relatore, la raffinatezza della scultura dei capitelli, g l i archi «scolpiti con la scure anziché con lo scalpello», l'arditezza della muratura che cancella gl i antichi diaframmi, a segnare la

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distanza fra i due immaginari: «Lì poi c'era un soffitto di legno con eccellenti pitture, mentre qui c'è una bella vol­ta di pietra e di tufo leggero". Anche quando il «vecchio» non viene disprezzato, come nel rilievo per la decorazio­ne affrescata del soffitto, Gervasio segnala significativa­mente i l cambiamento di gusto avvenuto: la pietra ele­gante sostituisce l'esigenza narrativa della generazione precedente.

La statuaria del X I I I secolo, ma l'osservazione può es­sere estesa alla complessità dell'immaginario sacro dipin­to, sembra assumere rispetto alle soluzioni del passato, una varietà di temi e una particolare attenzione al «fram­mento» temporale che distanzia in modo quasi drastico questa da quella produzione simbolica.

La stessa ampiezza dei temi è segnale di una volontà fabulatrice che dall'accentuazione dell'esordio e della fi­ne, della creazione o del giudizio, passa ora attraverso le fasi intermedie, anch'esse significativamente legate a una teologia, ma non per questo capaci di veicolare un accre­scimento rispetto all'intreccio di partenza che caratterizza e quasi significa creativamente le nuove espressioni.

Proprio perché «specchio» di una società che si vuole memorizzare nella sua complessità, i l tema della «sedes sa-pientiae» perde l'atemporalità del gesto benedicente dei personaggi per cogliere momenti assolutamente meno definitori, ma altrettanto significativi. Si è letto questo percorso come laicizzazione, o come umanizzazione del divino: quanto prima risultava esemplare nell'impossibi­lità della replica, nell'alterità di un gesto che non conosce equivalenti nella pratica reale, mutua la propria mimica dalla condizione concreta, nello stesso tempo costituisce ulteriore modello di comportamento. Si affacciano a que­sto punto due atteggiamenti rispetto al gesto rappresen­tato che solo sbrigativamente si può attribuire a una suc­cessione cronologica e a un cambiamento di gusto: l ' i m ­magine mimetica rispetto a un comportamento reale e l'immagine all'opposto confinata in una estraneità rispet­to al quotidiano che attiene al sacro, o al regale, comun­que a una regola di etichetta assolutamente estranea alla quotidianeità. Solo legittimando la diversa funzionalità di alcune pose (quella in maestà e quella di profilo per esem­pio) può essere superata una distinzione funzionale degli atteggiamenti dei personaggi che altrimenti dovrebbero rispondere a un meccanismo di sostituzione e di censura assolutamente estraneo alla mentalità in oggetto. I l pro­blema eventualmente è quello di render conto dell'emer­gere in modo quantitativamente rilevante di una soluzio­ne «narrativa» dell'immagine che contamina, nella segna­lazione di una accentuata temporalità e provvisorietà del­la posa, soggetti che precedentemente avevano conosciu­to come preferenza una soluzione atemporale, comunque estranea al flusso estemporaneo del contingente.

L'accentuazione dei caratteri drammatici dei perso­naggi rappresentati (si prendano come esempi i l variato dialogo fra la vergine e i l bambino o la lettura del Cristo crocifìsso come dolente, in una ostentata caratterizzazio­

ne dei tratti iconografici e psicologici della sofferenza e della morte) e la stessa dilatazione dei temi in soluzioni scenograficamente complesse, sono fattori che possono essere letti come mutamento di segno di un immaginario religioso che dalla terribilità della sensibilità precedente, dall'onnipotenza e dall'imminenza di un giudizio si spo­sta a una più quotidiana, e anche mondana, intrusione del religioso nel comportamento di una società urbana ormai stabilizzata nel possesso terreno, desiderosa di oggettiva­re una norma di comportamento e a un tempo di celebra­re la propria forza economica e il proprio ruolo politico con la commessa pubblica.

I l legame fra l'opera di sociale utilità e la politica di po­tenza, di propaganda indiretta si emancipa dalla cattedra­le vescovile e dall'ordine monastico per allargarsi al pote­re laico delle famiglie cittadine: l'edifìcio ecclesiastico ve­de allora al proprio interno i l fiorire di un arredo variega­to che riprende simmetricamente la differenziata geogra­fìa politica della contesa e della lotta per la supremazia cit­tadina. Le mutate condizioni, i l nostro riferimento essen­ziale è quello dell'insediamento toscano per la varietà e l'ampiezza dei casi, portano alla pluralità delle scuole, alla gara fra gli artisti indigeni e quelli chiamati dall'esterno, per una «chiara fama» che costituirà uno dei luoghi ricor­renti nei rapporti fra artisti e potere fra X I V e X V secolo. A l conflitto fra città e città in ambito politico e conse­guentemente anche in ordine di «immagine», si assiste progressivamente allo sradicamento dell'artista dalla cor­porazione e all'affermarsi progressivo della sua autono­mia, di una imprenditorialità che ne farà un itinerante maestro delle corti italiane, da Firenze, a Roma, a Padova i n un tour che tocca l'ambizione del grande insediamento come i l sogno solitario del singolo despota.

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