FIGURE E RICORRENZE - lorenzelli.org · una lettura magica della figura rappresentata che coinvolg...

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FIGURE E RICORRENZE L'immaginario di Chaissac conosce infatti alcune tappe che occorre segnalare, tappe che si presentano più di carattere tematico che di natura evolutiva: le figure animali e umane che compaiono nelle opere di prima della guerra infatti ricorrono, con intervalli, parentesi e even- tuali modifiche formali, per tutto l'arco della produzione. Se evoluzione può esserci, questa è ri- feribile alla progressiva semplificazione, all'isolamento che il singolo tema (animale o uomo che sia) può conoscere e all'occorrenza di una terza figura, questa volta fantastica, che può ri- ferirsi indifferentemente all'uno come all'altro universo: ma proprio questa novità, ascrivibile all'attività grafica intorno agli anni 1939-40 è ulteriore dimostrazione del'awenuta sintesi e omogeneità degli immaginari prima indicati. Sul piano della figura e della sua ricorrenza comunque il ragionamento deve necessariamen- te riferirsi al mondo del primitivo e dell'onirico come si è andato sviluppando in area francese fra le due guerre, fra esperienza fauve prima e la dimensione surreale successivamente: il ri- chiamo a alcune figure o a alcuni accostamenti ricorrenti (la coppia umana prima di tutto, ma anche l'associazione fra uomo e animale di terra o di aria) sembra seguire una doppia dina- mica, quella in cui può essere prevalente l'aspetto narrativo, di attenzione alla fisionomia del singolo personaggio, e quella in cui può essere vincente in valore compositivo, capace di ag- gregare in un parrasitismo fantastico figure comunque riconoscibili dal punto di vista fisiono- mico. Delle due divergenti soluzioni possono essere significativi esempi il già richiamato Bète, oiseaux et serpents del 1937 e il pastello dell'anno successivo (Winterthur 1981, n. 142) in cui l'accostamento degli elementi e il loro inserimento in una figura complessiva denota una nuo- va maniera di concepire l'immagine, particolarmente frequentata nei disegni a china del me- desimo periodo e nelle opere a cavallo degli anni Cinquanta. Se l'immaginario è allora determinato dalla costante necessità di far emergere le immagini mentali e la loro possibile fisionomia, maschera esterna, vi è oltretutto da aggiungere in Chais- sac l'attribuzione a esse di un valore "presenziale" di augurio e di protezione, ai margini cioè di una lettura magica della figura rappresentata che coinvolge la stessa attività pratica, il lavoro di creazione materiale che Chaissac vive in modo drammatico, senza le consolazioni che la consorteria degli amici, degli "eguali" può determinare. Una salute cagionevole che lo strappa all'amicizia e alla frequenza dei limitati estimatori, l'iso- lamento fisico e psicologico costituiscono una costante troppo importante perchè, anche di- scutendo di immagini e di ricorrenze, non debba essere richiamata. Altro infatti è l'atteggia- mento di diversità in chi riesce a trovare compagnia in una cerchia più o meno limitata di per- sone; altro indubbiamente è la marginalità non voluta, continuamente paventata, violentemen- te messa in causa da Chaissac nella necessità febbrile di comunicazione epistolare la cui am- piezza e la cui centralità nella vita quotidiana di ogni giorno costituiscono un dato certamente da rimarcare, risultando oltretutto inversamente proporzionale all'apprezzamento o al giudizio umano da cui Chaissac si sente circondato: "In paese io ero un matto, un coglione, uno stron- zo (cioè) un villanzone e quelli che compravano la mia pittura erano ancora più matti di me". Così è il quadro sintetico dei rapporti in paese, in cui la preclusione nei confronti del debole e la diffidenza nei confronti del cittadino, dal gusto stravagante se non pernicioso, emargina ulte- 37

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FIGURE E RICORRENZE L'immaginario di Chaissac conosce infatti alcune tappe che occorre segnalare, tappe che si presentano più di carattere tematico che di natura evolutiva: le figure animali e umane che compaiono nelle opere di prima della guerra infatti ricorrono, con intervalli, parentesi e even­tuali modifiche formali, per tutto l'arco della produzione. Se evoluzione può esserci, questa è ri­feribile alla progressiva semplificazione, all'isolamento che il singolo tema (animale o uomo che sia) può conoscere e all'occorrenza di una terza figura, questa volta fantastica, che può ri­ferirsi indifferentemente all'uno come all'altro universo: ma proprio questa novità, ascrivibile all'attività grafica intorno agli anni 1939-40 è ulteriore dimostrazione del'awenuta sintesi e omogeneità degli immaginari prima indicati. Sul piano della figura e della sua ricorrenza comunque il ragionamento deve necessariamen­te riferirsi al mondo del primitivo e dell'onirico come si è andato sviluppando in area francese fra le due guerre, fra esperienza fauve prima e la dimensione surreale successivamente: il ri­chiamo a alcune figure o a alcuni accostamenti ricorrenti (la coppia umana prima di tutto, ma anche l'associazione fra uomo e animale di terra o di aria) sembra seguire una doppia dina­mica, quella in cui può essere prevalente l'aspetto narrativo, di attenzione alla fisionomia del singolo personaggio, e quella in cui può essere vincente in valore compositivo, capace di ag­gregare in un parrasitismo fantastico figure comunque riconoscibili dal punto di vista fisiono­mico. Delle due divergenti soluzioni possono essere significativi esempi il già richiamato Bète, oiseaux et serpents del 1937 e il pastello dell'anno successivo (Winterthur 1981, n. 142) in cui l'accostamento degli elementi e il loro inserimento in una figura complessiva denota una nuo­va maniera di concepire l'immagine, particolarmente frequentata nei disegni a china del me­desimo periodo e nelle opere a cavallo degli anni Cinquanta. Se l'immaginario è allora determinato dalla costante necessità di far emergere le immagini mentali e la loro possibile fisionomia, maschera esterna, vi è oltretutto da aggiungere in Chais­sac l'attribuzione a esse di un valore "presenziale" di augurio e di protezione, ai margini cioè di una lettura magica della figura rappresentata che coinvolge la stessa attività pratica, il lavoro di creazione materiale che Chaissac vive in modo drammatico, senza le consolazioni che la consorteria degli amici, degli "eguali" può determinare. Una salute cagionevole che lo strappa all'amicizia e alla frequenza dei limitati estimatori, l'iso­lamento fisico e psicologico costituiscono una costante troppo importante perchè, anche di­scutendo di immagini e di ricorrenze, non debba essere richiamata. Altro infatti è l'atteggia­mento di diversità in chi riesce a trovare compagnia in una cerchia più o meno limitata di per­sone; altro indubbiamente è la marginalità non voluta, continuamente paventata, violentemen­te messa in causa da Chaissac nella necessità febbrile di comunicazione epistolare la cui am­piezza e la cui centralità nella vita quotidiana di ogni giorno costituiscono un dato certamente da rimarcare, risultando oltretutto inversamente proporzionale all'apprezzamento o al giudizio umano da cui Chaissac si sente circondato: "In paese io ero un matto, un coglione, uno stron­zo (cioè) un villanzone e quelli che compravano la mia pittura erano ancora più matti di me". Così è il quadro sintetico dei rapporti in paese, in cui la preclusione nei confronti del debole e la diffidenza nei confronti del cittadino, dal gusto stravagante se non pernicioso, emargina ulte-

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Tav. 19 - Composizione, 1949/50

Tav. 21 - Composizione, 1949/50

riormente Chaissac, missionario in una terra ostile e estranea, ciabattino in partibus, proprio perchè profondamente radicato alla terra e alla cultura che lo rifiuta e lo emargina. A questo proposito risulta elemento certamente essenziale nella comprensione dei tempi di lavoro dell'artista l'insicurezza, o meglio la difficile identificazione del ruolo che Chaissac inten­de svolgere nella società. Su tutto, sogno e realtà, l'indigenza e l'insicurezza del domani, che non permette la scuderia di cavalli o la clientela americana, entrambi sogni e feticci che una apparente ingenuità potrebbe illustrare come infantili e che in realtà sembrano essere, per la loro ricorrenza nei momenti chiave del ragionamento verbale, di estrema e drammatica im­portanza, nell'onda del fantasma e dell'incubo. Artigiano, per sua stessa ammissione adibito al mestiere fra i più umili nella gerarchia sociale, ma nello stesso tempo artista, almeno agli occhi degli intellettuali parigini lontani, con cui Chaissac cerca un contatto epistolare continuativo, un cordone di relazione che assomiglia a quello vitale, ma certamente uomo stravagante per quanti costituiscono il suo immediato riferi­mento, i compaesani che affollano con aneddoti fra la cronaca e la parabola le lettere inviate ai corrispondenti lontani e sembrano oltretutto riemergere nell'immaginario figurale adottato: queste due conflittuali realtà sembrano essere i registri su cui la personalità di Chaissac può trovare la sua momentanea collocazione. Artista rustico, impermeabile ai compromessi e alle concessioni del dibattito della cultura, scomodo allora per la sua intransigenza la quale oltre­tutto si può leggere all'interno del tradizionale sospetto difensivo del mondo rurale, e contem­poraneamente artigiano al servizio di una società paesana diffidente a accoglierne la persona­lità o il comportamento: entrambe le soluzioni presentano uno spostamento dell'individuo ri­spetto al centro, rispetto all'aspettativa che pubblici diversi possono pretendere o attendere. Le figure che Chaissac agisce e il tempo della loro presenza nell'immaginario delle opere sembrano allora rispondere in modo cristallino alla contrapposizione reciproca fra una tensio­ne profonda di un immaginario e lo status depresso, marginale in cui la persona è costretta a operare: l'autorevolezza e l'insistenza della prima trovano conferma nell'instabilità del secondo fattore. Se una letteratura artistica di radice ottocentesca può aver trovato nell'albatro di Baudelaire la sua punta più esplicità, nella contraddizione cocente fra alto e basso, fra infinito del cielo, della fantasia, e rozzezza, trivialità della terra, la declinazione che viene espressa da Chaissac sco­pre l'aspetto intrigante dei due universi, scegliendo un immaginario capace di far coesistere le passioni del secondo e le aspirazioni del primo universo. E certo le figure di Chaissac sembrano ricordare non tanto i "pallidi Gavarni" quanto la violen­za di una Lady Macbeth, la tragedia e la terribilità della condizione umana. L'immagine prodot­ta è allora capace di evocare una primordialità indubbiamente coinvolgente le persone sem­plici e illetterate, atterrite dalla presenza o dalla sua capacità di evocazione di spettri e fantasie ancestrali, come un pubblico abituato a riconoscere nella figura dipinta le proprie angosce e i propri desideri, ravvisando nell'altro il proprio immaginario profondo, una volta scomparso il diaframma che la cultura o le convenzioni possono aver prodotto. Ecco la soluzione di una invarianza tematica, la ricorrenza anche stagionale, o declinata a se-

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Tav. 22 - Composizione, 1949/50

Tav. 24 - Crèatìon, 1950

condo della tecnica adottata che rende uniforme l'immaginario degli inizi rispetto a quello de­gli anni maturi: questo può certamente scoraggiare un'ipotesi evolutiva, in espansione, della ri­cerca pittorica ma risulta a tutti gli effetti funzionale per il criterio con cui si è cercato di interpre­tare la singolarità dell'opera di Chaissac.

L'ARCHITETTURA DELL'IMMAGINE Esiste nell'opera una concorde radicalità del soggetto e della tecnica di rappresentazione, quando la seconda riesce a diventare la maniera vincente per interpretare la prima, senza con questo annulare, o rendere indifferente un riferimento oltretutto importante nella genesi e nella giustificazione del quadro o del totem. Se precedentemente si è accennato alla presenza di fi­gure compiute, dal contorno marcato, e di figure di fondo, indistinti segni in attesa di una evo­luzione, di un'emergenza, un ragionamento altrettanto dialettico può essere organizzato sulla figura umana, che conosce dagli anni '42 alla fine del decennio una cocente inquisizione: dal­la sua netta integrità eventualmente abbassata dall'invadenza della decorazione, come è pos­sibile verificare nella Coppia del 1939/40 (tav. 6), si passa all'aggressione della stessa figura umana che viene sezionata e ricomposta mantenendo evidenti i segni della cesura. La figura umana, ma anche eventuali sporadici soggetti oggettuali o naturali, vengono sempli­ficati fino alle soglie della verosimiglianza, a partire dal volto e dalle articolazioni fondamentali: l'anatomia risulta a volte allusiva, a volte abbozzata senza particolare attenzione alla descrittivi-tà. Essa è colta non tanto nelle sue articolazioni anatomiche quanto come macchina scompo­nibile in sotto-insiemi significante a partire dalla loro capacità di aggregazione. Diventa allora facile, per questa capacità combinatoria della singola tessera, passare da un dominio della natura all'altro, dalla figura umana a quella animale, alla sintesi metamorfica dei due universi. A questo proposito occorre dire come il percorso di Chaissac è quello di una immagine unita­ria dell'uomo e di quanto, animale, vegetale o artificiale, lo attornia: questi soggetti risultano in­fatti letti attraverso il medesimo grado e l'identica chiave trascrittiva che può inclinare all'aggre­gazione o alla distinzione con una scelta opposta che, già ricordata per i disegni degli anni '37-39, ritorna anche in stagioni successive, negli anni cinquanta come negli anni sessanta, a indicare la circolarità e l'omogeneità del oensiero a dispetto dei cambiamenti e delle esplora­zioni che una ricerca può produrre. Cardinale di questo passaggio metamorfico è l'illustrazione che accompagna la lettera del Natale 1940 indirizzata a Camille Guibert la cui didascalia L'idée première ensevelie sous les dogmes costituisce probabilmente una chiave di volta per l'immaginario dell'autore: cavallo e cavaliere di profilo costituiscono un unico continuo evidenziato dalla struttura interna delle due figure. Questa integrazione, in precedenza limitata alla base della stuttura e all'analogia delle forme che vi derivavano, diventa negli anni successivi l'elemento capace di inventare nuovi

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