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PRODUZIONI-;, MERCATO, GENERE Un recente contributo di Didier Bodart (1986) ha sottolineato la distanza che può esi- stere tra mentalità italiana e cultura olandese e fiamminga: e questo a dispetto dei contatti e delle relazioni scambievoli che le due cultu- re hanno conosciuto nelle epoche che sono oggetto dell'interesse critico attuale. Una evidente diversità di organizzazione sociale e della cultura fra il Mediterraneo e i Paesi del Nord porta anche a appiattire inten- zioni e atteggiamenti fra i due insediamenti dell'area dello Schelda che risultano, anche per motivi ideologici, sostanzialmente divari- canti fra loro, ma resi comuni nell'ottica de- formata della distanza del punto di osserva- zione. D'altra parte la produzione pittorica e le sue condizioni di mercato in Fiandra e in Olanda si presentano, agli occhi del sociologo dell'arte, particolarmente sensibili al rappor- to fra espressione artistica e realtà dei rapporti materiali, sostanzialmente opposte: nella ri- costruzione della figura e della funzione dell'artista nelle diverse epoche, Arnold Hau- ser così sintetizza la situazione: «Nei paesi cat- tolico-monarchici vengono posti altri compi- ti che per esempio nell'Olanda protestante- repubblicana. Ora egli è al servizio di uno sfoggio di pompa ecclesiastico e di corte, del- la propaganda antiriformistica e antidemocra- tica, ora diventa portavoce del realismo e del razionalismo borghesi, patrocinatore dell'im- mediatezza e interiorità di una vita non pre- tenziosa che si svolge in ambiti modesti» (1977,1, p. 317). In entrambi i casi pittura co- me esplicitazione di una «visione del mondo», arte di propaganda, anche se per il polo bor- ghese il termine può sembrare fin troppo for- te, e per questo sostanzialmente divaricante: In Olanda «le storie bibliche hanno un posto relativamente modesto accanto ai soggetti profani, e di solito vengono trattate come sce- ne di genere. I tempi preferiti sono invece quelli tratti dalla vita quotidiana: il quadro di costume, il ritratto, il paesaggio, la natura morta, la scena d'interno, lo studio d'architet- tura. Mentre nelle monarchie cattoliche il ge- nere prevalente è ancora il quadro di storia, sacra e profana, in Olanda si sviluppano in piena autonomia i motivi sinora accessori» (1956, I I , p. 497). E la diversa fisionomia del committente (una borghesia diffusa da una parte, il clero e l'istituzione monarchica dall'altra) a determi- nare la diversa sorte della pittura dal punto di 16

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PRODUZIONI- ; , M E R C A T O , GENERE

U n recente contributo di Didier Bodart (1986) ha sottolineato la distanza che p u ò esi­stere tra mentali tà italiana e cultura olandese e fiamminga: e questo a dispetto dei contatti e delle relazioni scambievoli che le due cultu­re hanno conosciuto nelle epoche che sono oggetto dell'interesse critico attuale.

Una evidente diversità di organizzazione sociale e della cultura fra i l Mediterraneo e i Paesi del N o r d porta anche a appiattire inten­zioni e atteggiamenti fra i due insediamenti dell'area dello Schelda che risultano, anche per mot iv i ideologici, sostanzialmente divari­canti fra loro, ma resi comuni nell'ottica de­formata della distanza del punto di osserva­zione.

D'altra parte la produzione pittorica e le sue condizioni di mercato i n Fiandra e in Olanda si presentano, agli occhi del sociologo dell'arte, particolarmente sensibili al rappor­to fra espressione artistica e realtà dei rapporti materiali, sostanzialmente opposte: nella r i ­costruzione della figura e della funzione dell'artista nelle diverse epoche, Arno ld Hau­ser così sintetizza la situazione: «Nei paesi cat­tolico-monarchici vengono posti altri compi­ti che per esempio nell'Olanda protestante-

repubblicana. Ora egli è al servizio di uno sfoggio di pompa ecclesiastico e di corte, del­la propaganda antiriformistica e antidemocra­tica, ora diventa portavoce del realismo e del razionalismo borghesi, patrocinatore dell ' im­mediatezza e interiorità di una vita non pre­tenziosa che si svolge in ambiti modesti» (1977,1, p. 317). I n entrambi i casi pittura co­me esplicitazione di una «visione del mondo» , arte di propaganda, anche se per i l polo bor­ghese i l termine può sembrare fin troppo for­te, e per questo sostanzialmente divaricante: In Olanda «le storie bibliche hanno un posto relativamente modesto accanto ai soggetti profani, e di solito vengono trattate come sce­ne di genere. I tempi preferiti sono invece quelli tratti dalla vita quotidiana: i l quadro di costume, i l ritratto, i l paesaggio, la natura morta, la scena d'interno, lo studio d'architet­tura. Mentre nelle monarchie cattoliche i l ge­nere prevalente è ancora i l quadro di storia, sacra e profana, in Olanda si sviluppano in piena autonomia i mot iv i sinora accessori» (1956, I I , p. 497).

E la diversa fisionomia del committente (una borghesia diffusa da una parte, i l clero e l'istituzione monarchica dall'altra) a determi­nare la diversa sorte della pittura dal punto di

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vista tematico come della stessa condizione sociale dell'artista. Da questo punto di vista Pietro Paolo Rubens e la sua azienda risulta­no traumaticamente opposti a Frans Hals, co­me, spostando il parallelo cronologico, a Rembrandt. Ma che l'arte di commessa possa avere mutamenti e diversità sostanziali è ar­gomento fin troppo evidente perché possa es­sere messo in discussione. Se ci si limitasse a essa i due universi così geograficamente vicini conoscerebbero una complementar ie tà nella espressione estetica ol treché in quellla pol i t i ­ca o ideologica.

Ma un secondo elemento, che ci interessa più strettamente, e sarà i l mondo della natura morta, conosce nei due ambiti or ora distinti e contrapposti, una relazione molto meno traumatica, fatta all'opposto di continui con­tr ibuti , di spostamenti pendolari fra una sponda e l'altra dello Schelda. I l contatto e lo scambio, fisico ma anche di influenze e di de­bit i contratti, percorrono l'intero arco del se­colo che stiamo prendendo in esame: sarà i l caso, proprio agli esordi del X V I I secolo, di Jan van Essen e di Clara Peeters, che dall 'ori­ginario insediamento fiammingo si spingono in Olanda innervando una scuola di natura morta già presente con i l contributo dell'esperienza originaria ma allo stesso tem­po contraendo una «maniera» pittorica carat­teristica del nuovo ambiente. E forse ancora più singolare p u ò essere considerato i l caso di Jan Davidsz. de Heem che nei ripetuti viaggi al di qua e al di là dello Schelda costituisce un elemento catalizzatore in entrambi g l i inse­diamenti fino a proporre, nell 'età matura, un suo originale magistero nell'ambito della sto­ria della natura morta.

Ma a ben vedere gli spostamenti degli arti­sti, per mot iv i di studio o spesso anche per

sfuggire a persecuzioni religiose nel paese na­tale o d'elezione, è fenomeno che impegna re­gioni ben più ampie di quelle toccate in que­sta occasione: Germania, Francia, Spagna e Italia conoscono a tutt i gl i effetti un contatto con i l resto dell'Europa significativo proprio per l'ampiezza delle tracce lasciate dal singolo forestiero.

Tornando comunque all'ipotesi inaugura­le, quella cioè della paradossalmente fragile barriera fra Province del N o r d e Fiandre, non si vuole affermare puntualizzando contatti e scambi, una improbabile koiné fra i due inse­diamenti oltretutto perché per ogni centro delle due zone (Haarlem, Leida, Amsterdam, Anversa, Delft, ecc.) occorre parlare di corpo­razioni e di scuole locali, in quanto una «ma­niera fiamminga» sarà immediatamente di­stinguibile da una «olandese», ma parleremo di distinzione nell'ordine della tavolozza pit­torica, della resa fredda o calda dell'atmosfera, mai di inconciliabilità.

E questo sostanzialmente perché ci si tro­va, nel mondo della natura morta, davanti a una pittura senza committenza specifica, a una produzione che trova la sua collocazione in un mercato più ampio e diffuso della pit tu­ra «ufficiale» con cui si è inaugurato i l discor­so. Pittura da cavalletto, quindi di dimensioni ridotte rispetto alle commesse ufficiali, della Chiesa o della Corporazione o del Municipio, e soprattutto moltiplicata per un pubblico potenzialmente molto più vasto, specifica co­me soggetto, dovendosi accostare, come ac­cennato prima, a diversi e immediatamente riconoscibili generi. E oltretutto la parcelliz­zazione dei soggetti, la loro netta definizione e la loro assunzione come stereotipi e modelli da replicare costantemente, risultano funzio­nali a questo fenomeno della pittura per i l

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mercato che si pone, nel panorama dell'espe­rienza pittorica dell'occidente come situazio­ne sociale e artistica assolutamente nuova. Già nel secolo precedente Anversa all'epoca del suo massimo splendore, era stato un cen­tro di esportazione di grande importanza, ma come nota giustamente Hauser in Olanda la produzione si basa sostanzialmente sul con­sumo interno, su una richiesta da parte di un nuovo e particolare collezionista borghese e piccolo borghese fino a allora confinato alla periferia della produzione artistica, che diven­ta collezionista e mercante, che raccoglie in altri termini per un desiderio di investimento a breve o lunga durata, oltre evidentemente per decoro, per desiderio di imitazione dell'arredo delle abitazioni delle classi supe­riori , tenendo oltretutto conto che dal punto di vista architettonico in Olanda non assistia­mo alla forbice schizofrenica fra domicil io ari­stocratico e abitazione borghese come p u ò avvenire altrove.

La fisionomia del nuovo destinatario della produzione pittorica è allora prima di tut to dominata dal suo numero esteso, secondaria­mente dalla preferenza accordata a soggetti fi­sicamente o psicologicamente vicini , che at­tengano al possesso di un bene materiale vici­no o lontano che sia, all'arredo della stanza come alla proprietà della terra, quindi al pae­saggio. E stato recentemente notato come i due soggetti, della natura morta e della vedu­ta naturale, nella loro divaricante «distanza» rispetto al tema che dal finito della parete e del tavolo, giunge all ' infinito dell'orizzonte terrestre e del cielo, siano concettualmente opposti realizzando la prima l ' immobi l i tà del­le cose.

«In questa proprietà la natura morta si contrappone al paesaggio, che rappresenta

anch'esso i l mondo esteriore, ma i l mondo della natura viva, della realtà.

A differenza della natura morta i l paesag­gio raffigura ciò che si muove e che muta. Soggetti immobi l i nel paesaggio vengono as­sunti solo per mettere i n rilievo la instabilità della materia vivente e per sottolineare il con­trasto» (I.J. Danilowa, Das Stilleben, p. 42).

E i l ragionamento differenziale sui sogget­ti delia pittura che assumono fisionomia con­solidata nella contingenza merceologica dell'Olanda del pr imo Seicento, p u ò conti­nuare, sempre seguendo le indicazioni della Danilowa, anche con la pittura di ambiente, per certi versi contigua rispetto a quella di na­tura morta, ma che inclina evidentemente a una concezione «corretta» dei singoli oggetti presenti sulla scena a vantaggio dell'architet­tura generale, protagonista e determinatrice delle evidenze e delle pregnanze degli oggetti ritrattati. Quando invece la natura morta, al­meno quella degli esordi, o risulta del tu t to indifferente, dal punto di vista dell ' impianto e della stessa atmosfera, allo spazio circostan­te, o attribuisce a esso un valore puramente accessorio, di puro contenitore la cui fisiono­mia e i l cui carattere devono essere desunti dalla collezione degli oggetti naturali o artifi­ciali disposti sul piano. Si vuol dire in altri termini che usare i l t i to lo «cucina», come spesso capita nella letteratura sul genere, per una natura morta risulta essere, almeno nell'ottica merceologica di cui stiamo discu­tendo, sostanzialmente errata i n quanto se­gnala un ambiente significato esclusivamente dalla presenza di una determinata merce, al­t r iment i indeterminato.

Legare comunque le condizioni di un mer­cato diffuso, che ol tretut to conoscerà una preoccupante crisi d i sovraproduzione negli

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anni venti, alla definizione netta dei soggetti della pittura nel mondo olandese, e conse­guentemente anche la specializzazione che delinea, all'interno di una pratica artigianale, competenze settorialmente diversificate per soggetti, in un rapporto di causa-effetto, p u ò essere ragionamento forzato o comunque re­strittivo. Certamente La precisa definizione t i ­pologica che si afferma a me tà secolo e che una letteratura sull'argomento ha più volte r i ­portato sembra corrispondere a una descri­zione merceologica, quindi rispondere a un'esigenza legata al sistema richiesta-produ­zione-consumo che si afferma in ambito olan­dese con caratteristiche quantitative assoluta­mente eccezionali.

11 sistema di mercato che abbiamo breve­mente riassunto coglie quindi un nuovo ge­nere di consumatori distinto da un mercato «ufficiale», di rappresentanza che conosce, al­meno in Olanda, espansioni e contrazioni al­trettanto traumatiche secondo le regole di un mercato nascente e sfrenatamente libero, ma che, costituisce e questo si attesta anche se in misura minore nelle vicine Fiandre, centro di riferimento di una produzione pittorica sgan­ciata dalla nobil tà e dal Clero: come tutte le dinamiche di mercato assisteremo a anda­menti protezionistici e a repentine aperture all'esterno, una produzione ripetuta su mo­delli della bottega, della scuola o della Gilda cittadina, quindi un andamento conservativo, e un meccanismo altrettanto opposto, di ac­quisizione o di ricerca della novità, pronta­mente divulgata e fatta propria.

I n quanto tali si tratta di fenomeni già vis­suti nel ristretto ambito della produzione dell'arte, ma che nel mondo del N o r d incido­no profondamente sulla concezione stessa della pittura, sulla sua fortuna e durata, sul

ruolo stesso dell'artefice: la cocente parabola di un Rembrandt, dall'accettazione al rifiuto, è segnale affatto nuovo, comunque concepi­bile solo all'interno di una pluralità di esteti­che in conflitto fra loro, ritagliate sulla fisio­nomia di classe di un pubblico altrettanto dif­ferenziato e diversificato come gusti e come esigenze. «li rifiuto del suo Claudio Civile, di­pinto per i l Municipio di Amsterdam, fu i l pr imo segno della crisi artistica del tempo. Rembrandt ne fu la prima grande vittima. Nessun'epoca precedente l'avrebbe plasmato cosi com'era, ma neppure l'avrebbe lasciato precipitare così in basso» (Hauser, 1956, p. 508). Le traumatiche affermazioni di Hauser pongono Rembrandt come spartiacque fra l'artista funzionale alla società e l'artista come individuo in opposizione a essa, coscienza cri­tica di quanti ne permettono paradossalmen­te l'esistenza: la svolta drammatica è allora in­terpretabile per quanto avverrà successiva­mente, antesignana di una seconda svolta, nella Parigi degli anni '30 del X I X secolo, quando la frattura diventerà insanabile, o me­glio su essa si delineera l'artista contempora­neo. Senza implicazioni troppo lontane, sen­za cioè collegare in un unitario «prima-dopo» troppo omogeneizzante, la dilatazione di un pubblico, la diversificazione di una produzio­ne in funzione di essa costituiscono svolte si­gnificative, omettendo le quali un discorso su un settore l imitato del tutto, nei meccanismi di conservazione e di novità cui abbiamo fat­to riferimento, risulta necessariamente parziale, come tale carente per una intelligen­za profonda.

All 'opposto di un circuito dell'arte «uffi­ciale», impegnata sul piano delle commmesse con le istituzioni, siano esse quelle borghesi d'Olanda o quelle ecclesiastiche o nobiliari

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delle Fiandre, i l sistema della natura morta, nella versatilità dei soggetti che p u ò affronta­re e che coincide con l'ampiezza dei gusti e delle esigenze del pubblico, sembra conosce­re un rapporto con i l pubblico ben più omo­geneo e continuo, in un sistema dialettico fra ripetizione della "maniera» o del «soggetto» fortunato e necessità o richiesta di rinnova­mento, dall'interno o dall'esterno del sistema del genere. Si pensino, come esempi con­trapposti, alla produzione riferibile alla «di­nastia» dei Bosschaert che, copre, spesso re­plicando i medesimi soggetti, un significati­vo arco di tempo, dalla fine del X V I secolo

con i l capostipite Ambrosius i l vecchio alla metà del secolo, con l'attività di Ambrosius i l giovane e di Abraham; nell'ordine della discont inui tà interna al genere la svolta fra la prima e la seconda «tavola imbandita» di Haarlem a cavallo degli anni venti o i l «ritor­no» di Jan Davisdz. de Heem a Anversa dopo l'esperienza olandese, capace di creare un nuovo modo di concepire e di organizzare i l soggetto inanimato; e infine, nell'influenza fra esterno e interno alla natura morta, la «maniera» pittorica di un Rubens e la sua ado­zione a opera di un Frans Snyders o un Jan Fyt.

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