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il proclama solenne dell’Epifa- nia, il grido di gioia che sgorga dall’incarnazione nel momento in cui il suo splendore rischiara l’universo, si rivela come stupore immenso in cui ogni uomo vede “Deum infantem, pan- nis involutum”, “Dio bambino avvolto in fasce”. Lo stupore invade ogni creatura, dagli angeli alle creature inanimate tutte grida- no di gioia perché vedono l’abisso colma- to dal ponte stupendo che Cristo ha get- tato, con la sua incarnazione, tra Dio e ogni uomo. In lui tutto si riconcilia e per lui tutto ricomincia in una mirabile “ri- creazione”. Questo stupore che catturò il cuore dei pastori e ancor prima di Maria e di Giuseppe è quello di chi inaspettata- mente scopre la grandezza dell’amore di Dio che si rivela secondo le sue vie, sempre non convenzionali, sempre profondamente nuove perché autenti- camente divine, inaudite perché total- mente vere, senza mescolanza di men- zogna o inganno, senza fini secondi o nascosti. In Dio tutto è semplice e infi- nito, come gli occhi del Bambino di Be- tlemme in cui si rifulge il Cielo di Dio e da cui si intravede tutto il futuro del- l’uomo. In questo stupore luminoso la Litur- gia celebra il tempo di Natale con lo stupore gaudioso che traspare dalle orazioni, dai prefazi, dalle antifone che la tradizione spirituale della Chiesa ci ha consegnato. È la gioia tutta interio- re del Natale che però mostra, come in trasparenza, come in una prospettiva di quinte teatrali, tutte le scene future: le gioie e le sofferenze del Messia, il suo sacrificio d’amore e la sua gloriosa Resurrezione. Tutto questo si manife- sta nella nascita in Betlemme, nella fu- ga in Egitto, nella morte degli Inno- centi e di Stefano, primo martire, così come nell’offerta del bambino Gesù nel Tempio in cui quella spada che tra- figge il cuore di Maria fa presagire la Croce futura. Ogni scena è però perva- sa di luce, di una gioia profonda che esprime bene la trasfigurazione con- templativa di chi vede già in ogni cosa la luce del Risorto. È come se la luce dell’angelo che annuncia ai pastori “la grande gioia” porti in sé già la luce del Risorto che esce trionfante dal sepol- cro portando all’universo la sua im- mensa gioia. Ma lo stupore cresce senza fine quando ci si rende conto che l’evento del Natale non è riducibile ad un fatto 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 4-2006 “Tutte le genti vedranno la salvezza del Signore” mons. Marco Frisina È

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il proclama solenne dell’Epifa-nia, il grido di gioia che sgorgadall’incarnazione nel momento

in cui il suo splendore rischiara l’universo,si rivela come stupore immenso in cuiogni uomo vede “Deum infantem, pan-nis involutum”, “Dio bambino avvolto infasce”.

Lo stupore invade ogni creatura, dagliangeli alle creature inanimate tutte grida-no di gioia perché vedono l’abisso colma-to dal ponte stupendo che Cristo ha get-tato, con la sua incarnazione, tra Dio eogni uomo. In lui tutto si riconcilia e perlui tutto ricomincia in una mirabile “ri-creazione”.

Questo stupore che catturò il cuoredei pastori e ancor prima di Maria e diGiuseppe è quello di chi inaspettata-mente scopre la grandezza dell’amoredi Dio che si rivela secondo le sue vie,sempre non convenzional i , sempreprofondamente nuove perché autenti-camente divine, inaudite perché total-mente vere, senza mescolanza di men-zogna o inganno, senza fini secondi onascosti. In Dio tutto è semplice e infi-nito, come gli occhi del Bambino di Be-tlemme in cui si rifulge il Cielo di Dio eda cui si intravede tutto il futuro del-l’uomo.

In questo stupore luminoso la Litur-gia celebra il tempo di Natale con lostupore gaudioso che traspare dalleorazioni, dai prefazi, dalle antifone chela tradizione spirituale della Chiesa ciha consegnato. È la gioia tutta interio-re del Natale che però mostra, come intrasparenza, come in una prospettivadi quinte teatrali, tutte le scene future:le gioie e le sofferenze del Messia, ilsuo sacrificio d’amore e la sua gloriosaResurrezione. Tutto questo si manife-sta nella nascita in Betlemme, nella fu-ga in Egitto, nella morte degli Inno-centi e di Stefano, primo martire, cosìcome nell’offerta del bambino Gesùnel Tempio in cui quella spada che tra-figge il cuore di Maria fa presagire laCroce futura. Ogni scena è però perva-sa di luce, di una gioia profonda cheesprime bene la trasfigurazione con-templativa di chi vede già in ogni cosala luce del Risorto. È come se la lucedell’angelo che annuncia ai pastori “lagrande gioia” porti in sé già la luce delRisorto che esce trionfante dal sepol-cro portando all’universo la sua im-mensa gioia.

Ma lo stupore cresce senza f inequando ci si rende conto che l’eventodel Natale non è riducibile ad un fatto

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“Tutte le genti vedranno la salvezza del Signore”

mons. Marco Frisina

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locale, di un popolo, di una nazione maè un evento cosmico e universale. “An-che i lontani sapranno ciò che io ho fat-to” così prediceva Isaia, tutti dovrannoscoprire il Bambino che è nato per noi,

tutti dovranno sapere che Dio si riconci-lia con il mondo. Il Dio terribile si fa te-nero infante in quel gesto di infinito ser-vizio dell’amore che culminerà nellaCroce e trionferà nella Risurrezione. È

Adorazione dei pastori, Jacopo Dal Ponte, sec. XVI

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l’epifania del Signore, la manifestazionedella sua gloria, gloria che non è comequella del mondo, splendore che noncoincide con i successi e i trionfi umani,gloria che è splendore di luce e di veritàe nel suo abbagliante candore tutto illu-mina, tutto riscalda.

Non è più possibile sottrarsi a tale for-za e a tale bellezza, non è più possibiledimenticare la sua novità e la sua origina-lità, non è più possibile credere di poter-ne fare a meno. L’Epifania grida l’eventodell’amore di Dio per gli uomini, lo pro-clama a tutti e quattro i punti cardinalidella terra, con voce grande e potente,tanto forte nella misura in cui si nascon-de sotto l’umiltà del presepe; lo fa peressere ancora più eloquente e per gridarecon ancora più impeto l’infinito amoreche non teme di farsi bambino per rivela-re il suo regno.

L’Epifania è la festa deiMagi, è la festa di tutti

coloro che cercano il Signore e con cuo-re puro si mettono in viaggio alla ricercadel significato della propria esistenza e alsenso della vita, uomini assetati di gioiae di verità che dopo un lungo e faticosocammino giungono finalmente alla metadella loro ricerca e possono contemplarecon i loro occhi la salvezza. Possono ve-dere che la salvezza viene da quell’amo-re svelato, che tutte le verità cercatehanno un significato in quel bambino of-ferto da una madre allo stupore delmondo.

Siamo anche noi chiamati a metterciin cammino incontro al Signore cheviene per mostrarci il suo volto, faccia-mo crescere in noi, come fecero i Magiseguendo la stella, il desiderio di incon-trare Dio e poi abbandoniamoci allostupore di contemplarlo così, indifeso e

ammirabile, piccolo e infinito, dol-ce e fortissimo, re e servo,

nelle braccia di Maria.

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Epifania, Cor. V Cod. MLVII c. 51 v.

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ell’anno liturgico, dopo il grandeciclo pasquale (dalla Quaresimaalla Pentecoste), ha rilievo il ciclo

natalizio, che oggi si suole chiamare“della manifestazione”.

Le “Norme per l’anno liturgico e il Ca-lendario” lo chiamano “tempo di Nata-le”, e decorre “dai primi Vespri del Nata-le del Signore fino alla domenica dopol’Epifania”, cioè fino al Battesimo del Si-gnore. A differenza della Pasqua e dellaPentecoste, le due feste del Natale e del-l’Epifania, hanno avuto inizio nel secoloIV, cioè dopo la pace costantiniana. Essesono state istituite, rispettivamente a Ro-ma e in Oriente, come sostituzione cri-stiana di feste pagane del “natale” delsole e del crescere della luce. Se la Pa-squa dipende dal plenilunio di primavera,il Natale dipende dal solstizio d’inverno.

Ben presto però tali feste hanno ac-quistato un carattere di “mistero salvifi-co”, cioè di eventi della storia della sal-vezza, come momenti attraverso i quali sicomincia a compiere “l’opera della re-denzione” nostra, che culmina nel miste-ro pasquale, e non soltanto come “anni-versario” nel mistero pasquale, e non sol-tanto come “anniversario” della nascitadi Gesù o del suo battesimo al Giordano.Altri diranno, in questa stessa rivista, del-la diversa lettura che del Natale fanno

sant’Agostino e san Leone Magno. Altripure diranno del senso globale della fe-sta dell’Epifania, che non si esaurisce nel-la manifestazione ai Magi, ma abbraccia i“tre prodigi”, cioè la manifestazione aiMagi, al Giordano e a Cana.

Se oggi, come dicevo, si parla del“tempo della manifestazione”, è perchéanche il Natale è una (la prima) manife-stazione del Signore. A Natale infatti leg-giamo brani della lettera a Tito, che ini-ziano con la parola “apparuit” “(si èmanifestata) la bontà e l’amore per gliuomini del nostro Dio”.

Andando però oltre le indicazioni ru-bricali delle “Norme”, possiamo direche questo tempo, stando al clima chela liturgia determina, è più lungo deiquindici giorni circa che vanno da Nata-le al Battesimo. Il tempo di cui parliamo,difatti, va dal 17 dicembre, seconda par-te dell’Avvento, che è preparazione alNatale, al 2 febbraio, festa della Presen-tazione di Gesù al Tempio. In quel gior-no infatti, la liturgia eucaristica si aprecon l’antifona d’ingresso “Suscepimus,Deus, misericordiam tuam” (abbiamoaccolto, o Dio, la tua misericordia), chesembra essere la risposta a quella invo-cazione che è risuonata per tutto il tem-po di Avvento: “Ostende nobis, Domi-ne, misericordiam tuam” (mostraci, Si-

Il tempo della manifestazionep. Ildebrando Scicolone, osb

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gnore, la tua misericordia). Ancora: finoalla pubblicazione della nuova “Liturgiadelle Ore”, la preghiera del giorno siconcludeva con un’antifona mariana fis-sa per ogni stagione liturgica. Orbenel’antifona “Alma Redemptoris Mater” sicantava dall’Avvento al 2 febbraio, edopo cedeva il posto all’antifona “Ave,Regina caelorum”.

Sullo sfondo di questo tempo allarga-to ci sono i capitoli dell’infanzia, nel Van-gelo di Luca. Questi due capitoli si apro-no e si chiudono nel tempio: dall’appari-zione di Gabriele a Zaccaria nel tempio algiorno in cui “entrerà nel suo tempio ilSignore, che voi cercate” (Mal 3,1), pas-sano (qualcuno li ha contati) 490 giorni,cioè sette settimane, quelle di cui si parlain Dan 9, 20-24. In questo periodo piùlargo emergono le due grandi feste delNatale e dell’Epifania, che le chiese diOriente e di Occidente si sono scambiate.Adesso le due feste si richiamano a vi-cenda, come due momenti dello stessoevento. L’Epifania completa e conclude ilNatale. Potremmo fare un’analogia conPasqua e Pentecoste. Come la Pentecosteconclude e porta a compimento la Pa-squa, così l’Epifania nei confronti del Na-tale.

Cioè: a Pasqua noi celebriamo la na-scita della Chiesa, la nostra nascita, dalCostato di Cristo e dal dono dello Spiritola sera della risurrezione; a Pentecostecelebriamo la manifestazione e la missio-ne della stessa Chiesa. A Natale celebria-mo la nascita di Cristo, e all’Epifania la

sua manifestazione, soprattutto al Batte-simo al Giordano.

Cosicché potremmo stabilire una pro-porzione: Natale sta all’Epifania, come laPasqua a Pentecoste. Ecco perché sia l’E-pifania, sia la Pentecoste sono due feste“missionarie”.

In particolare, il Natale ha una sua Otta-va. Però quando si è cominciato a celebrar-ne l’ottava, già il Calendario Romano ave-va delle feste assegnate a quei giorni, se-gnatamente santo Stefano, san GiovanniEvangelista e gli Innocenti. L’ottava di Na-tale non li ha abolite, ma inglobate. Di fat-to la liturgia di quei giorni è un misto:mentre celebriamo la festa di questi santinella Messa e nell’ufficio del mattino, il Ve-spro è sempre quello di Natale. Il giornoottavo (1 gennaio) si celebra ancora il Na-tale, ma volgendo lo sguardo dal Figlio allaMadre. Celebriamo, infatti, la Beata MariaVergine, Madre di Dio. L’Epifania, nell’at-tuale rito romano, è celebrata il 6 gennaio,ma si estende non solo alla domenica se-guente con il Battesimo del Signore, maancora alla seconda domenica del TempoOrdinario, con la manifestazione alle nozzedi Cana, almeno nell’anno C.

Ho ricordato che, in questo tempodella manifestazione, lo sfondo biblico èil Vangelo di Luca. Ma bisogna ricordareanche il testo di Matteo, specialmenteper l’episodio dei Magi, degli Innocenti edella fuga in Egitto, e il Vangelo di Gio-vanni per il Prologo e le nozze di Cana.Tutti gli Evangelisti poi ci raccontano lamanifestazione al Giordano.

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LE ORIGINI DEL NATALE COME CELEBRAZIO-NE LITURGICA

Per conoscere l’origine di una vera epropria celebrazione liturgica del Nata-le, dovremmo risalire a tempi piuttostoantichi in cui si ebbe come luogo d’ini-zio la stessa grotta di Betlemme dove ènato Gesù. “La grotta venerata dai cri-stiani, specialmente quelli venuti dallacirconcisione (Ecclesia ex circumcisione),fu profanata ma non distrutta nell’anno135 da Adriano che fece allestire unboschetto sacro ed impiantò il culto diAdone. Giustino, originario della Pale-stina, parla della grotta in cui nacqueGesù, nel suo Dialogo con Trifone. EdOrigene afferma: ‘Si mostra a Betlem-me la grotta nella quale nacque Gesù.Tutti lo sanno nel paese’”1.

Secondo E. Testa, studioso del giu-deo-cristianesimo “i primi cristiani nellaPalestina rivivevano quell’evento (del Na-tale) nello stesso luogo ove si è realizza-to, si è inserito nel contesto umano. In-fatti per i giudeo-cristiani palestinesi, spe-cialmente quelli ortodossi detti ‘nazzare-ni’ la celebrazione del Natale non era unsemplice ricordo ma la riattualizzazionedi uno dei misteri salvifici di Cristo nellesue ‘discese’ ed ‘ascese’ attraverso la sca-

la cosmica”2. A sostenere questa ipotesiabbiamo alcuni racconti apocrifi3 del Na-tale che sembrano aver origine da unacommemorazione celebrativa (la grottainondata di luce, la presenza di una nubeluminosa, la quiete di tutto il cosmo chesembra una interpretazione del testo del-la Sap 18,13-14). Inoltre abbiamo gliOracoli Sibillini e le Odi di Salomone cheparlano di questo mirabile parto di Ma-ria: “Lo Spirito Santo aprì il suo seno, ellaconcepì e partorì e la Vergine divenneMadre per una grande grazia. Ella diven-ne gravida e partorì un figlio senza dolo-ri. Ciò che accadde non senza ragione.Non ebbe bisogno di aiuto per partorireperché Egli stesso è il datore della vita”4.È comunque certo che a partire dalla finedel IV secolo, secondo la testimonianzadella pellegrina Egeria5, all’inizio del mesedi gennaio si celebra una solenne vigiliaalla grotta della Natività, ornata congrande splendore, e da lì si riparte versoGerusalemme dove ha luogo la sinassieucaristica6. Inoltre, nel 326, sulla grotta,sant’Elena fece costruire la Basilica dellaNatività: l’altare lo troviamo posto esatta-mente, al piano superiore, sopra la grot-ta, con una fenditura che permette aipellegrini di contemplare il luogo dellanascita del Signore.

Natale: dalle origini a san Leone Magno

don Francesco Giuliani

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IN QUALE GIORNO NACQUE GESÙ?

I Vangeli tacciono completamente ariguardo e gli scrittori più antichi non cihanno lasciato nulla di certo in proposito.

“Secondo Clemente Alessandrino († 215 circa), in Oriente alcuni ne fissava-no la nascita al 20 di Maggio, altri al 20di Aprile, altri ancoraal 17 di Novembre;ed egli non senzaironia, parla di colo-ro ‘che non si con-tentano di sapere inche anno è nato ilSignore, ma con cu-riosità troppo spintavanno a cercarne an-che il giorno’7. In Oc-cidente S. Ippolito (†235), nel Commen-tario su Daniele, faun accenno alla datadel 25 Dicembre. Nel243, l’anonimo au-tore del De Paschacomputus fa nascereGesù al 28 di Marzo,per il semplice moti-vo che in quel gior-no fu creato i lsole8”9.

Da queste testimonianze il Righetti di-ce: “Questa strana varietà di opinioni, di-mostra che in quei primi secoli, non solonon esisteva una tradizione intorno alladata del Natale, ma che la Chiesa non necelebrava la festa, altrimenti, fra tanta di-versità di pareri, se ne sarebbe fatta que-

stione viva, come avvenne per determi-nare la solennità della Pasqua”10.

La più antica testimonianza documen-tata della celebrazione del Natale al 25Dicembre è comunque di origine roma-na. Il documento in questione è il Crono-grafo del 354, una specie di almanaccodi lusso che contiene numerose indica-

zioni di ordine civilee due liste di date disepoltura, una deivescovi romani eun’altra dei martiri,con, in entrambi icasi, l’indicazione deirispettivi cimiteri11.Entrambe queste li-ste di sepoltura sonodisposte in ordine dicalendario, non inordine storico, e laprima data assegna-ta al la DepositioMartyrum è il 25 Di-cembre: “VII I Kal.Ian. Natus Christusin Betleem Iudeae”.Nella Depositio Epi-scoporum la primadata è il 27 Dicem-bre, giorno della se-

poltura di papa Dionigi. La lista prosegueper i vari mesi dell’anno fino alla notiziadella sepoltura di Eutichiano l’8 Dicem-bre, seguita da quella della sepoltura dialtri due papi non martiri: Marco († 336)e Giulio († 352). Queste due notizie sonofuori dall’ordine del calendario e sono inordine storico. Ciò permette di affermare

L’adorazione dei pastori, Giovanni Battista Ricci,

S. Marcello al Corso, Roma, sec XVI

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che il testo più antico del calendario è del336, data in cui a Roma la nascita di Cri-sto al 25 Dicembre segnava l’inizio delcalendario liturgico12.

LA SCELTA DEL 25 DICEMBRE

Del perché fu scelta questa data per lacelebrazione del Natale, ci vengono inaiuto alcune ipotesi.

La prima, ispirata all’apologetica e al-la storia delle religioni, sostenuta da unantico scrittore siriaco13 e ripresa da Bot-te14, afferma che la Chiesa romanaavrebbe contrapposto alla festa paganadel Natalis (Solis) Invicti, Mitra, il vincito-re delle tenebre, stabilita nel 27415 dal-l’Imperatore Aureliano nel solstizio d’in-verno, il Natale di Cristo, il “vero sole digiustizia” (cfr. Ml 3,20; Lc 1,78). “È as-sai strano”, nota il Righetti, “come unanovità di questo genere compiuta alprincipio del IV secolo sia taciuta com-pletamente dai Padri e dagli scrittori ec-clesiastici. Si citano, è vero, alcuni testidi sant’Ambrogio16, san Massimo di Tori-no, san Zeno di Verona, sant’Agostino, iquali si dilettano a mettere in relazioneCristo con il sole e il natale di quello conil natale di questo; ma essi ne parlanosviluppando semplicemente l’immaginedi Malachia: Orietur vobis sol justitiae17,e ricordando, non già il natale del solepagano, Mitra, ma il natale del sole visi-bile, il Sol novus che nasce col solstiziod’inverno (25 Dicembre), quando iamincipiunt dies crescere, come notasant’Agostino18.”19 Si nota, comunque,

che l’istituzione di una tale festa sia insintonia con la concezione sincretisticadi Costantino, sotto il cui impero, nel321, anche il giorno del Signore o gior-no del sole divenne giorno civile di ripo-so. A favore di questa ipotesi, inoltre, al-cuni autori, citano un mosaico dellametà del III secolo, quello del Mausoleodei Giuli nel cimitero del Vaticano, cherappresenta il Cristo come Helios sul suocarro trionfale. Mohrmann, infine, hasostenuto la stessa opinione con argo-menti presi dalla filologia, notando chegià da lungo tempo, il termine latinonatalis aveva presso i cristiani il significa-to di anniversario del “giorno della mor-te”; solo un rinnovato contatto con l’u-so corrente del linguaggio profano po-teva far sorgere un natalis – giorno dellanascita, accanto al natalis cristiano –giorno della morte20.

La seconda ipotesi, suggerita da Du-chesse21, anche se la vera data della na-scita di Gesù è sconosciuta, quella del 25Dicembre è indicata come un’antica tra-dizione, secondo cui Gesù sarebbe statoconcepito nello stesso giorno e mese incui poi sarebbe morto, e cioè il 25 mar-zo. “Questa data, storicamente insoste-nibile22, era dovuta a semplici considera-zioni astronomiche-simboliche; che, cioèin quel giorno, cadendo l’equinozio diprimavera, fosse stato creato il mondo.Ciò posto, era facile il passaggio adun’altra coincidenza. Cristo non potevaaver trascorso su questa terra che un nu-mero intero di anni; le frazioni sono im-perfezioni che non si confanno col sim-bolismo dei numeri e si è quindi portati

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ad eliminarle il più che si può. L’Incarna-zione perciò dovette avvenire, come laPassione, il 25 Marzo; e coincidendoquesta col primo istante della gravidanzadi Maria, la nascita di Cristo s’aveva dacomputare necessariamente al 25 Di-cembre”23. Si ritiene comunque che que-sta tradizione non abbia determinato l’o-rigine della festa, ma abbia costituitosoltanto un tentativo di spiegazione. In-fatti, nella Chiesa antica, i tentativi didatazione della nascita di Cristo sonomolto differenti e non uniformi.

Una terza ipotesi, più che chiarire leorigini del Natale, spiega la straordina-ria rapidità con cui la festa, nata a Ro-ma, si estese a tutta la cristianità. Lalotta contro l’eresia ariana mise forte-mente in rilievo la persona dell’Uomo-Dio. Una festa della nascita di Cristopoteva fornire una conveniente espres-sione liturgica alla professione di fededi Nicea, che nel 325 condannò l’aria-nesimo. Più tardi, a metà del secolo V,ciò fu confermato dai dieci sermoni na-talizi di san Leone Magno, il testimonepiù qualificato del senso originario delNatale nella liturgia romana nonché au-tore di alcuni dei testi natalizi del Sacra-mentario Veronense.

SVILUPPI DELLA CELEBRAZIONE DEL NATALE

Mentre la Pasqua, quindi, è una festamobile, la nascita di Cristo è celebratain un giorno fisso. “S. Agostino sembracolpito da questa fissazione della festi-vità del Natale a tal punto che vede in

essa esclusivamente un anniversario,una memoria particolare. Si tratta del ri-cordo di un grande momento, di un’im-portante svolta nella storia del mondo.Per il vescovo di Ippona che utilizza iltermine ‘sacramenta’ in senso lato, esi-stono celebrazioni che sono anche sa-cramenta. E chiarisce il suo pensiero indue lettere. A un laico, un certo Genna-ro che, verso il 400, gli aveva posto unaserie di questioni sulla liturgia, il santo,nella lettera 54, spiega che Cristo, allanuova società da lui fondata, ha datoun piccolo numero di sacramenta facilida compiere e di significato del tuttomeraviglioso24. Per Agostino sono sacra-menta non solo il battesimo, l’eucaristia,ma anche, ad esempio, la celebrazionedella Pasqua”25. Egli, concentrato sull’u-nico mistero della Pasqua, in cui si attuail nostro passaggio dalla morte alla vita,non avverte che il mistero del Natalecontiene gli stessi elementi costitutividel “sacramentum”, cosa che invecemetterà in evidenza San Leone Magno;per quest’ultimo, anche il Natale è unsacramentum26, non però distinto ed in-dipendente dalla Pasqua, ma come suoinizio. Specifico del Natale è rinnovare iprimordi della salvezza. Nella celebrazio-ne annuale del mistero della salvezza, ilcui culmine e pienezza si esprime nellaPasqua, la celebrazione del Natale mettein evidenza l’aspetto di nuova nascitache comporta la redenzione.

I più antichi testi della celebrazionedel Natale li offre il Sacramentario Vero-nense: è un insieme di nove formularidi messa, uno o due per la vigilia e gli

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altri per la festa. Nei testi notiamo comerisuoni la dottrina di San Leone Magno,uno dei probabili autori: la comunitàrinnova il mistero di Betlemme dove Cri-sto luce del mondo si cala nelle tenebre;in questo mistero si attua un mirabile

rinnovamento dell’uomo che ricupera inCristo la sua immagine, è ricreato e ri-generato nel Verbo. Alcune di questeformule costituiscono parte importantedell’eucologia del Natale del MessaleRomano attuale.

——————1 Cfr. J. CASTELLANO CERVERA, L’anno Liturgico, Roma

1991, 158.2 Cfr. E.N. TESTA, La fede nella Chiesa madre di Ge-

rusalemme, Roma 1995.3 Cfr. il Protovangelo di Giacomo in E. WEIDINGER (a

cura di), Gli Apocrifi, Casale Monferrato 2004,

545-546.4 Ode di Salomone n. 19.5 EGERIA, Diario di viaggio, Milano 1992, 218 ss.6 Cfr. J. CASTELLANO CERVERA, L’anno Liturgico, 159.7 CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata I, 21, 145.8 O quam praeclara et divina Domini providentia, ut

in illo die quo factus est sol, in ipso die nasceretur

Christus, PL 4, 963.10 Cfr. M.RIGHETTI, Storia liturgica, vol. 2, Milano

1955, 52.11 M. RIGHETTI, Storia liturgica, vol. 2, 52-53.12 Cfr. C. KIRCH – L. UEDING (edd.), Enchiridion fon-

tium historiae ecclesiasticae antiquae, Herder, Bar-

celona, 1965, nn. 543-544.13 Alcuni hanno supposto che la celebrazione del

Natale potrebbe essere datata intorno al 300 o

anche prima e che il luogo dell’origine di questa

festa potrebbe essere stato il Nord Africa, e non

Roma: cfr. J. TALLEY, Le origini dell’anno liturgico,

Brescia 1991.14 In una nota di commento alla Expositio in Evange-

lia di BAR. SALIBEO, ASSEMANI, Bibl. Orientalis, t. II,

162.15 B. BOTTE, Les origines de la Noël et de l’Épipha-

nie. Ètude historique (“Textes et Ètudes liturgi-

ques” 1), Abbaye du Mont César, Louvain 1932,

32ss.16 Cfr. M. RIGHETTI, Storia liturgica, vol. 2, 53.

17 Il FRANK (in Archiv. f. Liturgiew., 1952, 24) ne ve-

de un riflesso nell’inno: Intende qui regis Israël,

dove dice: Praesepe jam fulget tuum, lumenque

nox spirat novum, quod nulla non interpolet fide-

que iugi luceat.18 Ml 3,20.19 Il quale in questo passo mostra di credere che

proprio N. Signore fosse nato il 25 Dicembre:

Johannes decollatus est, sicut tradit Ecclesia, octa-

vo Kalendas Julii, cum jam incipiunt minui dies.

Dominus autem natus octavo Kalendas Januarii,

quando jam incipiunt dies crescere. In ps. 132.

Cfr. De Trinitate, 1. IV, c. V. Il calendario dell’astro-

logo Antiochus segna al 25 Dicembre: `Hli/ouge-

ne/qlion, a(ucei fwj = nascita del sole; cresce il

giorno; citato dal CUMONT, Textes et Monum. rel.

aux mystères de Mithra, I, 342, nota.20 M. RIGHETTI, Storia liturgica, vol. 2, 54.21 Cfr. C. MOHRMANN, “Epiphania”, in Ètudes sur le

latin des chrétiens, Roma 1961, 267.22 L. DUCHESNE, Origines du culte chrétien. Ètude sur

la liturgie latine avant Charlemagne, Paris 1925,

271-281.23 Perché nessun venerdì, 25 marzo, cade, tra gli an-

ni che possono essere presi in discussione, nel ple-

nilunio o nel giorno susseguente alla Pasqua giu-

daica. BONACCORSI, Il Natale. Appunti d’esegesi e di

storia, Roma 1903, 55.24 M. RIGHETTI, Storia liturgica, vol. 2, 55-56.25 AGOSTINO, Epist., 55: CSEL 33, 58.26 A. NOCENT, Il tempo della manifestazione, in Anam-

nesis 6 - L’anno liturgico, Genova 1992, 178.27 Cfr. LEONE MAGNO, Tractatus 28 (De Natale Do-

mini) 1; CCL 138, 139.

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a prima venuta di Cristo è an-nunciata dal Battista, la secondaè invocata dalla Chiesa in pre-

ghiera, ma sempre si tratta di attuazionedella salvezza. I testi scritturistici ed euco-logici non presentano semplicemente ifatti ma il mistero della salvezza annun-ciato dai profeti ed attuato al momentodella venuta di Cristo.

Nei tempi antichi, Dio ha promesso lasalvezza al suo popolo e la compie in unmomento storico preciso, mandando suoFiglio che si incarna per opera dello Spiri-to Santo. Da quel momento storico laChiesa celebra il mistero della salvezzache si è attuato con l’incarnazione e simanifesta ed attua ogni giorno nella ce-lebrazione dei santi misteri.

La salvezza è un fatto che coinvolgel’hodie, perché ogni giorno continua l’o-pera salvifica iniziata con la nascita del Fi-glio e continuerà fino al momento in cuiil Signore verrà come giudice a salvare erestaurare il Regno di giustizia e di pace.Sarebbe forse più corretto parlare diun’unica venuta del Cristo, che si è rea-lizzata attraverso fasi storiche differenti.

La prima fase del progetto salvifico è

l’Incarnazione, che apre la strada ed è fi-nalizzata alla seconda, il cui compimentoconsiste nell’incontro finale del Figlio del-l’uomo con tutte le genti. Questa salvez-za operata da Cristo è un fatto che haorigine nel passato al momento dell’In-carnazione, ma i cui effetti durano finoad oggi e poiché il Messia è alfa ed ome-ga di tutta la storia, la sua opera salvificasi estende anche al futuro fino al mo-mento finale, in cui egli tornerà per con-cedere il premio ai servi fedeli.

Il tempo del Natale che inizia con laMessa vespertina della vigilia e/o con ilVespro di quel giorno e termina con ladomenica che cade dopo il 6 gennaio,continua la tematica dell’Avvento e laporta alla sua massima realizzazione.

L’Avvento si apre al Natale come questoalla Pasqua. Le “Norme Universali del Ca-lendario romano” (n. 32) dicono che: “do-po l’annuale rievocazione del mistero pa-squale, la Chiesa non ha nulla di più sacrodella celebrazione del Natale del Signore edelle sue prime manifestazioni; ciò che essacompie con il Tempo di Natale”.

Leggiamo adesso ciò che dice un altrodocumento che parla proprio del triduo

Il Ciclo del NataleO admirabile commercium.

Teologia del Natalep. Juan Javier Flores, osb

L

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pasquale in genere: “la Chiesa celebra ognianno i grandi misteri dell’umana redenzio-ne dalla Messa vespertina del Giovedì nellaCena del Signore, fino ai Vespri della do-menica di Risurrezione. Questo spazio ditempo è chiamato il “triduo del crocifisso,del sepolto e del risorto” e anche Triduopasquale, perchè con la sua celebrazione èreso presente e si compie il mistero dellaPasqua, cioè il passaggio del Signore daquesto mondo al Padre. Con la celebrazio-ne di questo mistero la Chiesa, attraverso isegni liturgici e sacramentali, si associa inintima comunione con Cristo suo Sposo”(Lettera circolare sulla preparazione e cele-brazione delle feste pasquali).

Il Natale prepara la Pasqua ma la Pa-squa non si può capire senza il Natale,quindi il tempo natalizio è il prologo dellagrande festa di Pasqua ma allo stessotempo diventa una preparazione, un av-viamento più diretto verso la celebrazio-ne più completa del Mistero Pasqualeche si centra nel Triduo della Passione,Morte e Risurrezione del Signore.

Uno dei modi con cui i testi liturgicipresentano il Natale è la tematica del-l’ammirevole scambio (admirabile com-mercium).

Esaminiamo due preghiere del tem-po di Natale dove si parla dell’interscam-bio divino tra noi e Cristo:

Accetta, Signore, la nostra offerta inquesta notte di luce, e per questo miste-rioso scambio di doni trasformaci nel Cri-sto tuo figlio, che ha innalzato l’uomoaccanto a te nella gloria (Orazione sulleofferte della Messa della notte).

Meraviglioso mistero! Oggi tutto sirinnova, Dio si è fatto uomo, immutatonella sua divinità ha assunto la nostraumanità (Antifona del Benedictus dellasolennità di Santa Maria, Madre di Dio).

Nella prima preghiera lo scambio mi-sterioso si riferisce proprio all’Eucaristiadove il pane e il vino diventano con lapreghiera eucaristica il Corpo e il Sanguedi Cristo. Si tratta di una tematica cheappare spesso nelle preghiere che prece-dono l’inizio della grande preghiera eu-caristica. Troviamo una preghiera moltosimile il quinto giorno fra l’ottava di Na-tale: “Accogli, Signore, i nostri doni inquesto misterioso incontro tra la nostrapovertà e la tua grandezza: noi ti offria-mo le cose che ci hai dato, e tu donaci incambio te stesso”.

Nella seconda preghiera invece loscambio (tradotto come mistero) si riferi-sce a Gesù Cristo, il quale nell’incarnazio-ne prende la nostra carne mortale equindi diventa uomo, vero uomo, auten-tico uomo. Dunque, a Natale Cristo ci hadato la sua divinità, perché per mezzo diessa noi troviamo l’espressione della no-stra, come dice l’antifona della solennitàdi Santa Maria, Madre di Dio che cantaproprio l’ammirabile commercio, ossia ilmisterioso interscambio della nostra re-denzione e principio della divina econo-mia, per la quale Dio si fa uomo, perchèl’uomo diventi Dio e recuperi in Cristo lasua antica immagine, ricreata dal Verbo.Natale è quindi festa dello scambio dellaredenzione. La liturgia di Natale cantaquesto meraviglioso scambio: il creatore

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ha preso un’anima e un corpo ed è natoda una vergine: Maria. Fatto uomo senzaopera dell’uomo ci dona la sua divinità.

Il Prefazio nº 3 di Natale lo esprimecon queste parole: ....In lui oggi risplendeil misterioso scambio che ci ha redenti: lanostra debolezza è assunta dal Verbo:l’uomo mortale è innalzato a dignità pe-renne e noi, uniti a te, in comunione mi-rabile, condividiamo la tua vita immorta-le.

Il Prefazio nº 2 dirà che “nel misteroadorabile del Natale, egli, Verbo invisibi-le, apparve visibilmente nella nostra car-ne, per assumere in sé tutto il creato esollevarlo dalla sua caduta....

Le Messe del Natale mettono partico-larmente in risalto questo doppio aspettodi divina grandezza e d’umile umanitàche costituisce l’essenza stessa del miste-ro di Natale.

La divinità e l’umanità del Figlio diDio sono la tematica centrale del tempodi Natale. Sotto questi ammirevoli testidella teologia del Natale che la Chiesa hapregato per tanti secoli si trova la cristo-logia del Concilio di Calcedonia che lastessa Chiesa ha pensato e proposto. Ilquarto concilio ecumenico ha completatola dottrina cristologica del Concilio ecu-menico di Efeso e la definizione calcedo-nense divenne l’espressione tipica dellacomprensione ecclesiale della cristologia:«Egli non è diviso o separato in due per-sone, ma è un unico e medesimo figliounigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cri-sto, e infine come ci ha trasmesso il sim-

bolo dei padri...». Sempre lo stesso Con-cilio ci indica che: «Uno e medesimo Cri-sto da riconoscersi in due nature, senzaconfusione, immutabili, indivise, insepa-rabili....».

Ci dona la sua divinità mentre ripren-de la nostra umanità. Questa è la teolo-gia del Natale secondo i testi liturgici cheriecheggiano i testi magisteriali e la litur-gia natalizia ci presenta tutta questa teo-logia pregata e la fa celebrazione in mo-do che preghiamo ciò che la Chiesa ha ri-flettuto, ha pensato e ha indicato comemotivo di fede e di credenza.

Il centro di tutti gli sforzi fatti nellaChiesa si situa nella comprensione delladivinità di Gesù senza dimenticare il suovero essere-uomo: in Gesù Cristo sonounite in una persona due nature, divinitàe umanità una volta che il Figlio di Dio haassunto la natura umana (unione iposta-tica). Il cristocentrismo dell’anno liturgicoromano si esprime nel Natale al serviziodell’Incarnazione del Verbo di Dio. L’In-carnazione di Cristo a sua volta è al servi-zio della sua Pasqua. E noi accogliamoquesto scambio meraviglioso entrandoproprio nella sua dinamica. Lo esprime inmodo molto chiaro sant’Atanasio nel suotrattato sull’Incarnazione del Verbo, 54:“Il Verbo divenne uomo affinchè noi fos-simo deificati”.

La dottrina della deificazione del cri-stiano si converte proprio per il battezza-to nel modo di entrare nello stesso Cristoe, in Lui, nella Trinità. Natale diventaquindi la festa della nostra “divinizzazio-

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ne”, come partecipazione alla natura di-vina di Cristo. Divinizzati in Cristo per di-ventare cristiani pieni con la forza dellagrazia che riceviamo nel battesimo. Deifi-cati, siamo uomini nuovi che in Cristorinnoviamo il nostro essere ed il nostroesistere coll’impegno di fare ciò che Cri-sto ha fatto.

I Padri latini, intendono sottolineareche Cristo ha la stessa umanità di ogniuomo: dunque la sua nascita riguardatutta l’umanità. San Leone Magno siesprime così: “...dinanzi alla comune ro-vina di tutto il genere umano, era possi-bile un solo rimedio riposto nel segretodel disegno divino, per soccorrere l’uomocaduto: che cioè nascesse un figlio diAdamo esente dalla colpa originale e in-nocente, in grado di giovare a tutti gli al-tri e con l’esempio e col merito” (Sermo-ne 8, 3, 1).

Il Natale impegna i cristiani a diventa-re come Cristo uomini nuovi al servizio diDio e dei nostri fratelli. Diventiamo uomi-ni di pace e operatori di pace. I testi litur-gici riferendosi al pensiero dei Padri dellaChiesa insistono su come Cristo si è fattouomo affinché noi, divenendo cristiani,divenissimo come Lui. È come se noi di-cessimo: poiché Dio è venuto da noi, noipossiamo andare da Lui: questa è la teo-logia della divinizzazione del cristiano.

Il cristiano diventa come Cristo figliodi Dio: il Natale è anche la sua festaperche è manifestazione del mistero del-l’uomo e la sua chiamata alla vita cristia-na e divina.

Lo scambio meraviglioso ci porta a fareciò che ha fatto Cristo e a contemplare la

sua gloria. Lo dice ammirevolmente benepapa san Leone Magno in uno dei suoi di-scorsi natalizi: “La natura umana, purifica-ta dall’antico contagio, riconquista la suadignità, la morte è distrutta dalla morte, lanascita viene rinnovata dalla nascita, poi-ché nello stesso tempo il riscatto sopprimela schiavitù, il rinnovamento trasforma lanostra origine, e la fede giustifica il pecca-tore”. (Sermone 2, 5).

In questo senso possiamo dire chementre adoriamo la nascita del Salvatorenostro, ci troviamo a celebrare anche lanostra nascita, perché con Cristo l’uomoriceve mediante la grazia ciò che non hadalla natura. Natale è festa del cristianoperchè è festa di Cristo. L’Incarnazionerappresenta il nuovo principio dell’uma-nità che trova in essa la sua promozione.

A partire da Cristo, i cristiani che per ilbattesimo sono diventati figli di Dio sonochiamati a vivere con Cristo e come Cri-sto. Ci sono nella liturgia del tempo diNatale continui richiami al mistero dell’In-carnazione e alle sue ripercussioni nellavita cristiana.

Lo esprime con grandezza papa sanLeone Magno: “la festa odierna ci rendeattuali i sacri inizi della vita di Gesù natoda Maria Vergine, e mentre adoriamo lanascita del Salvatore nostro, ci troviamo acelebrare anche la nostra nascita” (Ser-mone 6, 2, 1).

Lo dicono senz’altro i testi liturgici: “ODio, che in modo mirabile ci hai creati atua immagine, e in modo più mirabile cihai rinnovati e redenti, fa’ che possiamocondividere la vita divina del tuo Figlio,

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che oggi ha voluto assumere la nostranatura umana” (25 dicembre, Messa delgiorno).

Creati, ricreati e innanzitutto redenti,tutti i cristiani celebrano nella Nascita di

Cristo la loro nascita, la loro festa. Rige-nerati come figli abbiamo ricevuto la suavita immortale.

Questo è il Natale. Questa è la litur-gia. Questa è la vita cristiana.

Natività e Fuga in Egitto, sec XV

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l primo gennaio è dedicato allasolennità di Maria SantissimaMadre di Dio. Questo giorno

iniziale dell’anno racchiude in sé ele-menti di feste e di ricorrenze diverseche vedono già nell’antichità il loro svi-lupparsi e stabilirsi.

MARIA SANTISSIMA MADRE DIDIO

La dedicazione alla Vergine MariaPrima fu l’aspetto più antico che carat-terizzò questo giorno.

Nell’antichità romana il primo giornodi gennaio era riservato a feste idolatri-che di piazza in memoria di Giano bi-fronte. Alcuni padri greci e latini atte-stano la presenza di queste superstizio-ni anche presso i fedeli cristiani. Ed è amotivo di ciò che il II Concilio di Tours(567) accenna a delle litanie private dipenitenza, e il IV Concilio di Toledo(633) prescrive un digiuno rigoroso co-me quello quaresimale.

La messa per questi primi giorni del-l’anno, negli antichi sacramentari è inti-tolata ‘ad prohibendum ab idolis’ e mo-stra un carattere penitenziale di energi-

ca protesta contro le follie licenziose diquei giorni.

Questa festa espiatoria decadde ver-so il VI-VII secolo, ma i sacramentari diquel periodo contengono ancora, nelleorazioni delle messe dei primi giornidell’anno, alcuni tratti delle preghiere edelle invocazioni penitenziali tipiche deisecoli precedenti.

Alle preghiere ed alla messa controtutte le forme residue dell’idolatria, laChiesa di Roma, per rendere più effica-ce l’opposizione a queste forme idola-triche, ritenne opportuno aggiungere alprimo gennaio una festa speciale com-memorativa della Vergine Maria, Madredi Dio.

L’impronta mariana della festa di ca-podanno divenne poi prevalente nellaliturgia medioevale.

Paolo VI nell’Esortazione Apostolica‘Marialis Cultus’ del 2 febbraio 1974 af-ferma: Nel ricomposto ordinamento delperiodo natalizio ci sembra che la co-mune attenzione debba essere rivoltaalla ripristinata solennità di Maria SS.Madre di Dio; essa, collocata secondol’antico suggerimento della Liturgia del-

La Madre di Dio(e le tematiche del 1 gennaio)

don Riccardo Aperti

I

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l’Urbe al primo giorno di gennaio, è de-stinata a celebrare la parte avuta daMaria in questo mistero di salvezza e adesaltare la singolare dignità che ne deri-va per la Madre santa per mezzo dellaquale abbiamo ricevuto l’Autore dellavita; ed è altresì, un’occasione propiziaper rinnovare l’adorazione al neonatoPrincipe della Pace, per riascoltare il lie-to annuncio angelico, [e] per implorareda Dio, mediatrice la Regina della Pace,il dono supremo della pace.

La solennità di Maria Santissima Ma-dre di Dio ha recuperato il posto cheebbe nell’antica liturgia romana. La suainserzione nell’ambito delle celebrazioninatalizie fa emergere con forza il ruolodi primo piano che Maria ha nel misterodell’Incarnazione e quindi nell’interaeconomia salvifica.

L’eucologia dell’attuale Messale offrel’occasione per allargare il senso di talematernità alla Chiesa e all’umanità inte-ra.

La lettura biblica di Gal 4,4-7 (testi-monianza più antica che sia conservatasulla Madre del Signore) è particolar-mente preziosa per inquadrare la figurae la funzione di Maria nella storia dellasalvezza.

_________

Accanto alla solennità della mater-nità della Vergine Maria, il primo gen-naio contiene anche altri aspetti teolo-gico-liturgici: la ricorrenza dell’Ottava diNatale e la Circoncisione di Gesù conl’imposizione del Nome.

OTTAVA DI NATALE

È sempre la storia a mostrarci come,contrastati i culti pagani delle Calendedi gennaio, poteva essere pensata nelgiorno di capodanno la commemora-zione dell’Ottava di Natale.

Il Natale, infatti, nonostante il suocarattere pasquale, non ha un’Ottavavera e propria; essa compare nei libriliturgici solo a partire dall’VIII secolo.

Nel Messale del 1570 (nella messadella Vigilia di Natale) è l’orazione col-letta a dare l’intonazione esatta dellacelebrazione della nascita del Redento-re, vedendo questa festa in relazione aquella di Pasqua. Infatti, chiede di po-ter guardare senza timore, quandoverrà come giudice, il Cristo che ora èaccolto come redentore; e l’orazionesulle offerte considera la festa dellanatività come l’inizio della nostra re-denzione.

Il Natale venne così ad assumere lastessa caratterizzazione temporale e ce-lebrativa della festa di Pasqua: festa +ottava.

_______

CIRCONCISIONE DI GESÚ E IMPOSI-ZIONE DEL NOME

Questo è il terzo elemento che, inordine di tempo, si inserisce nell’orga-nizzazione liturgica di questo giorno.Della Circoncisione, tuttavia, non vi ènessun accenno nei sacramentari anti-chi, se non per la menzione che ne fail vangelo che viene proclamato in quel

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giorno (Lc 2,16-21). Ciononostantel’evento della Circoncisione di Gesùera tale da suggerire ben presto nellaliturgia una particolare commemora-zione. Ciò avvenne attorno al V secoloprima in Spagna e poi nella Gallia. Perquanto riguarda, invece, la liturgia diRoma, si nota l’assenza della festa del-la Circoncisione almeno fino al XI se-colo.

Tale fu il titolo dato a questo giornodal Messale del 1570; mentre in quellodel 1960 il titolo fu modificato in Otta-va del Signore. Fu solo nel 1969 che il 1gennaio venne celebrata di nuovo l’an-tica festività di “Maria Santissima Ma-dre di Dio”.

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I testi biblici toccano un po’ tutti itemi che la tradizione haman mano collegatocon la celebrazio-ne del 1° gen-

naio: Maria Madre di Dio, Ottava di Na-tale, Circoncisione di Gesù e imposizio-ne del Nome.

Non va dimenticata poi, la caratte-rizzazione del primo gennaio a giornatamondiale della pace.

Sempre Paolo VI, nell’EsortazioneApostolica ‘Marialis Cultus’, afferma:Nella felice coincidenza dell’Ottava diNatale con il giorno augurale del pri-mo gennaio, abbiamo istituito la Gior-nata Mondiale della Pace, che racco-glie crescenti adesioni e matura già nelcuore di molti uomini frutti di pace.

Come si vede, il 1 gennaio si presentanella storia liturgica con una strana com-penetrazione di parecchie ricorrenze le

quali hanno variamente con-tribuito al formulario

dell’attuale festa dicapodanno.

Maternità Cor. 6 Cod. MLVIII C. 111 r.

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opo l’annuale rievocazione delmistero pasquale la Chiesa nonha nulla di più sacro della cele-

brazione del Natale del Signore e delle sueprime manifestazioni”. Così recitano leNorme generali sull’Anno liturgico al n. 32.

E tra queste manifestazioni la più im-portante e ricca di significato è certamentel’Epifania, o teofania – come viene chiama-ta nel sacramentario Gelasiano del secoloVI-VII, e ancora oggi in Oriente – o “appa-ritio” come veniva chiamata nella liturgiaispanica, che significa appunto “manife-stazione”. Il termine nella letteratura paga-na indicava l’apparizione redentrice e libe-ratrice della divinità, o anche di un sovra-no, considerato manifestazione della divi-nità, in occasione dell’ascesa al trono odella visita ad una città, e che nel NuovoTestamento viene adoperato per indicare lavenuta del Signore nella carne apportatricedi salvezza, come pure la sua parusia esca-tologica (cf. Tt 2,11.13).

La festa dell’epifania, celebrata il seigennaio, nella liturgia romana fa memoriaprincipalmente della manifestazione di Cri-sto ai pagani rappresentati dai magi, scru-tatori degli astri che, come racconta Mat-teo (Mt 2,1-12), venuti dall’oriente, al ter-mine di una lunga e travagliata ricercagiungono a Betlemme e adorano il neona-

to Bambino offrendogli i loro simbolici do-ni, oro, incenso e mirra, riconoscimentodella sua dignità di Re-Messia, Signore euomo mortale vincitore della morte.

Una festa che viene dall’Oriente

Come mostra già il nome greco, la fe-sta dell’epifania, diversamente dal Natalee prima di esso, nasce in Oriente1, proba-bilmente in Egitto, e come il Natale è lacristianizzazione di un’antica festa paga-na, la nascita Aion, dio del tempo e del-l’eternità, o di Elios, il dio sole, dalla ver-gine Kore, che ad Alessandria si celebra-va l’11 del mese di Tybi corrispondente alsei gennaio. In quell’occasione – c’infor-ma Epifanio di Salamina (+403) – il popo-lo si recava con solenne processione alNilo per attingere acqua a cui attribuivaeffetti prodigiosi2. Nei primi decenni delsecolo II, secondo la testimonianza diClemente di Alessandria, i discepoli dellognostico Basilide celebravano con unaveglia nella notte tra il cinque e il sei gen-naio il battesimo di Gesù, nel quale, se-condo la loro credenza il Logos avevapreso possesso dell’uomo Gesù, così cheegli era divenuto Figlio di Dio3. Il battesi-mo così era visto come lo sposalizio della

Il mistero dell’Epifania come Epifania del Mistero

p. Pietro Sorci

“D

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natura umana di Gesù con il Logos divinoe la vera generazione e la nascita del Cri-sto, luce divina.

Sembra dunque che in questa festa diorigine pagana, fatta propria dagli ereticignostici si debbano ricercare le originidell’epifania, attestata per la prima voltanella grande Chiesa dalla lettera festaledi sant’Atanasio del 329. Essa celebravaunitariamente la nascita di Cristo e il suobattesimo.

La festa ebbe una rapida diffusione intutte le Chiese dell’Oriente: è attestata inCappadocia dalle omelie di Basilio, Grego-rio di Nazianzo e Gregorio di Nissa nel372-373, ad Antiochia nel 386 nelle ome-lie di Giovanni Crisostomo, a Cipro tra il374-377 da Epifanio di Salamina, a Geru-salemme verso il 380 dal Diario di Egeria.

La festa celebrava insieme la nascita diCristo e il suo battesimo, quando eglidalla voce celeste fu solennemente di-chiarato figlio diletto e lo Spirito fu vistoscendere su di lui.

Ma quando le Chiese d’Oriente intro-dussero, mutuandola da Roma, il 25 di-cembre la solennità del Natale, apparizio-ne di Cristo Figlio e Verbo eterno di Dionella nostra carne mortale, l’epifania,chiamata anche “festa delle luci” restò lafesta del battesimo di Cristo al Giordano,considerato manifestazione della sua ve-ra identità e della sua missione, e in luidella santa Trinità, e del battesimo cristia-no, divenendo presto giorno battesimale,come dimostra una celebre omelia di sanGregorio di Nazianzo (l’omelia 39). Equando il battesimo degli adulti divenneraro e quello dei bambini si privatizzò, si

continuò a benedire le acque con la lun-ga preghiera attribuita a san Sofronio diGerusalemme4.

L’epifania nelle Chiese d’Occidente

Dall’Oriente la festa molto presto pas-sò in Occidente, ma il suo oggetto è va-rio. Dalla Gallia ci viene una delle più an-tiche testimonianze in assoluto: lo scritto-re pagano Ammiano Marcellino raccontache nell’anno 361 l’imperatore Giuliano,che già nel cuore aveva rinnegato la fe-de, “fece ancora professione di cristiane-simo nel giorno del mese di gennaio chei cristiani celebrano sotto il nome di Epi-fania”5. La festa celebrava il mistero del-l’incarnazione, ma quando fu istituita lafesta del 25 dicembre il contenuto di es-sa diventò l’adorazione dei magi, il batte-simo di Gesù e le nozze di Cana, il cuiracconto si leggeva ancora al tempo delpoeta Sedulio nel secolo VI.

In Africa sant’Agostino (+ 430) affer-ma che la festa proviene dall’Oriente mai Donatisti non la celebravano6, tuttaviaVittore di Capua informa che in essa, cer-tamente per influsso dell’Oriente si cele-brava il battesimo7.

Nell’Italia settentrionale, a Brescia, lasua esistenza è testimoniata nel 383 da Fi-lastro il quale afferma che la festa ha peroggetto oltre all’adorazione dei magi, ilbattesimo di Gesù e la sua trasfigurazione.

A Milano Ambrogio (+397) composeper la festa l’inno Inluminans Altissimus,che se fosse autentico, attesterebbe co-me contenuto della festa il battesimo di

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Gesù, l’adorazione dei magi, le nozze diCana e la moltiplicazione dei pani.

In Spagna la festa è menzionata dalconcilio di Saragozza (380), il poeta Pru-denzio (+405) afferma che il contenutodella festa è l’adorazione dei magi, masecondo Isidoro di Siviglia (+636) essacombina insieme l’adorazione dei magi, ilbattesimo di Gesù e le nozze di Cana, e ilLiber sacramentorum aggiunge la molti-plicazione dei pani.

A Ravenna Pietro Crisologo (+451) al-l’epifania dedicò i sermoni 156, 158 e159, che combinano l’adorazione deimagi, il battesimo di Gesù e le nozze diCana, ma il sermone 160 tratta dellamoltiplicazione dei pani.

Un’omelia di Massimo di Torino(+423) conferma la molteplicità delle tra-dizioni: alcuni celebrano l’adorazione deimagi, altri le nozze di Cana, altri il batte-simo di Gesù.

A Roma le prime testimonianze di es-sa sono le otto omelie di Leone Magno(+461), ma in esse egli commenta sem-pre e soltanto l’adorazione dei magi.

L’epifania nella liturgia romana

Quando a partire dall’epoca carolingiala liturgia romana s’impose praticamentein tutte le Chiese di lingua latina, suben-done l’influsso, il contenuto dell’epifaniarimase composito: emerse in primo pianola manifestazione di Cristo ai Magi, rap-presentanti dei popoli pagani, ma nonscomparse il riferimento alle nozze di Ca-na, prima manifestazione di Cristo ai di-

scepoli, e al suo battesimo al Giordano,manifestazione di Cristo agli Ebrei8.

In questo giorno sin dal secolo VI c’e-ra l’uso proveniente dall’incarico affidatodal concilio di Nicea al patriarca di Ales-sandria di comunicare annualmente atutte le chiese la data della pasqua, diannunziare solennemente il giorno di pa-squa, uso recepito dal pontificale Roma-no del 1596 e dal Cerimoniale dei vesco-vi del 1600 e rilanciato dalla riforma litur-gica del Vaticano II.

Altro uso diffuso nelle regioni dell’Ita-lia meridionale, dove frequenti furono lerelazioni con l’oriente bizantino era la be-nedizione dell’acqua al termine della ce-lebrazione eucaristica, acqua che i fedeliportavano nelle proprie dimore9.

Nelle regioni del Nord Europa invecesi era soliti benedire le case scrivendodietro le porte C+M+B (Christus + Man-sionem + Benedicat, Cristo benedica lacasa), interpretato, popolarmente comele iniziali dei leggendari nomi dei magi:Caspar, Melchior, Balthasar.

Grande sviluppo ebbero nel Medioevoanche le rappresentazioni liturgiche co-me l’Ufficio della stella e la Rappresenta-zione dei tre re che avevano luogo a con-clusione dell’ufficio notturno (mattutino)o tra la celebrazione di terza e la messa10.

La festa dell’epifania nella riformaliturgica

La riforma liturgica del Vaticano II haconservato il contenuto della festa tradi-zionale in Occidente, con le letture classi-

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che di Is 66,1-6, che presenta il sognodel terzo Isaia il quale in speranza vede ipopoli di tutta la terra venire in pellegri-naggio nella città santa dove abita la glo-ria e la luce di Dio, fonte di gioia e di be-nessere; e Mt 2,1-12 in cui la Chiesa allascuola dei Padri riconosce il compimentodi quella speranza nella venuta dei magidall’Oriente che giungono a Betlem eadorano il bambino offrendogli i loro do-ni. A queste letture aggiunge Ef 2,2-3.5-6, in cui Paolo afferma che a lui è statorivelato il mistero una volta nascosto del-la universale chiamata a partecipare allastessa eredità e a far parte dello stessocorpo di Cristo, ponendo come salmo re-sponsoriale il Sal 71 che esprime la spe-ranza che tutti i popoli possano adorare ilCristo, re di giustizia e di pace.

Secondo l’insegnamento di LeoneMagno però nella celebrazione l’eventonon è soltanto commemorato, ma trovacompimento per i fedeli radunati: Cristoluce del mondo apparso nella nostra car-ne mortale per radunare in un solo corpotutti gli uomini, rinnova sacramentalmen-te i fedeli comunicando ad essi il donodella sua vita immortale (Prefazio). I fede-li, illuminati dalla grazia di Dio, ricono-scenti per la sua gratuita chiamata, pro-fessano la fede in Cristo vero Dio e verouomo, Cristo e Signore (orazione collet-ta), offrono al Padre suo non più oro, in-censo e mirra, ma nel pane e nel vino ilsacrificio stesso di Cristo (orazione soprale offerte), adorano il Signore ricevendo-ne il corpo e il sangue (canto di comunio-ne) e rinnovati dall’esperienza sacramen-tale, per altra via ritornano sulle strade

del mondo con l’impegno a far conosce-re, come Paolo, il mistero della chiamatadi tutti gli uomini alla fede, per giungerealla contemplazione piena e senza velidel mistero pregustato nel sacramento(orazione dopo la comunione).

La lettura evangelica tuttavia li ammo-nisce sul rischio di cadere nel crimine diErode che ha paura del re celeste e tentadi sopprimerlo, nell’indifferenza dei sa-cerdoti del tempio e degli scribi che purconoscendo le Scritture e, chiusi nelle lo-ro certezze non si interessano della no-vità portata da Cristo e finiranno percondannarlo, e nell’apatia superficialedegli abitanti di Gerusalemme soltantoper un momento vengono scossi dallagrande notizia e si ridurranno a invocar-ne la morte.

Questi contenuti sono magnifica-mente riassunti dalla seconda letturadell’ufficio delle letture tratta del terzosermone di Leone Magno sull’epifaniache esorta i fedeli:

“Ammaestrati da questi misteri dellagrazia divina, celebriamo nella gioia ilgiorno della nostra nascita e l’iniziodella chiamata alla fede di tutte legenti. Ringraziamo Dio misericordiosoche come afferma l’apostolo, ci hamesso in grado di partecipare alla sor-te dei santi nella luce (…) L’aveva an-nunciato Isaia: Il popolo dei gentiliche sedeva nelle tenebre, vide unagrande luce e su quanti abitavanonella terra tenebrosa una luce rifulse(…) Tutto questo, lo sappiamo, si èrealizzato quando i tre magi, chiamati

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dai loro lontani paesi furono condottida una stella a conoscere e adorare ilRe del cielo e della terra. Questa stellaci esorta a imitare il servizio che essaprestò, nel senso che dobbiamo se-guire con tutte le nostre forze la gra-zia che invita tutti al Cristo. In questoimpegno, miei cari, dovete aiutarvil’un l’altro. Risplenderete così come fi-gli della luce nel regno di Dio, doveconducono la retta fede e le buoneopere”.

Se la venuta dei magi costituisce ilcontenuto principale della solennità del-l’epifania, non ne è il solo. Come mostral’inno dei vespri, opera di Sedulio, essa,facendo tesoro della migliore tradizione,ricorda pure il battesimo di Gesù al Gior-dano e la trasformazione dell’acqua in vi-no alle nozze di Cana:

“I Magi vanno a Betlem / e la stella liguida / nella sua luce amica / cercan lavera luce. // Il Figlio dell’Altissimo /s’immerge nel Giordano / l’Agnellosenza macchia / lava le nostre colpe. //Nuovo prodigio a Cana / versan vinole anfore / si arrossano le acque / mu-tando la natura”11.

I tre misteri sono elaborati poetica-mente in una straordinaria sintesi teolo-gica dall’antifona al Magnificat dei se-condi vespri:

“Tre prodigi celebriamo in questogiorno santo: oggi la stella ha guidatoi magi al presepio, oggi l’acqua è

cambiata in vino alle nozze, oggi Cri-sto è battezzato da Giovanni per lanostra salvezza”12.

E soprattutto da quella al Benedictusdelle lodi, di probabile origine siriana, in-trodotte nella liturgia romana forse daGregorio II (731-742):

“Oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nelfiume Giordano, si unisce a Cristo suosposo, accorrono i magi con doni allenozze regali e l’acqua cambiata in vi-no rallegra la mensa, alleluia”13.

Questi contenuti vengono sviluppatidalle letture evangeliche della messa edalle letture patristiche dell’Ufficio delleletture nei giorni che seguono immedia-tamente la festa14 e vengono esplicita-mente celebrati la domenica che seguel’epifania, nella festa del battesimo diGesù con testi in buona parte di nuovacreazione che riecheggiano le tematicheteologiche e spirituali della Chiesa d’O-riente, e la seconda domenica dopo l’epi-fania nell’anno C (le nozze di Cana).

La festa dell’Epifania così appare co-me la festa della chiamata di tutti i popolialla luce della fede, attraverso le vie mi-steriose di Dio e per ogni cristiano me-moria della propria venuta alla fede e deldono del battesimo e rinnovato invio almondo per essere come la stella, compa-gni di viaggio per ogni uomo che concuore sincero cerca la luce, perché possaincontrare Cristo, luce del mondo.

La pastorale di oggi giustamenteama collocare in questo giorno la pre-

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sentazione alla comunità dei candidatial sacramento della confermazione el’ammissione al catecumenato di colo-

ro che riceveranno il battesimo nellaveglia pasquale del successivo anno li-turgico.

——————1 Per la storia complessa della festa, insuperato re-

stano ancora l’opera di B. Botte, Les origines de laNoël et de l’Épiphanie, Mont César, Louvain 1932,e quello a cura di B. Botte – E. Mélia, Noël,Épiphanie, retour du Christ (Lex Orandi 40), Cerf,Paris 1967, che riporta gli atti della settimana di li-turgia dell’Istituto Saint-Serge di Parigi dell’annoprecedente. Molto documentata è pure la tratta-zione in H. auf der Maur, Le celebrazioni nel ritmodel tempo – I: Feste del Signore nella settimana enell’anno, Elle Di Ci, Leumann 1990, 231-246. Ilvolume costituisce il quinto del manuale di Scien-za liturgica La liturgia della Chiesa a cura di HansBernhard Meyer.

2 Panarion haeres. 51,30,1.3 Stromata I, 21,146,1-2.4 La benedizione ancora oggi praticata la vigilia del-

l’Epifania prevede le letture di Is 35,1-9; 55,1-3;12,3-6; 1Cor 10,1-4, Mc 1,9-11, una litania dia-conale e la preghiera di benedizione durante laquale per tre volte la croce viene immersa nel fon-te, quindi i fedeli si accostano per baciare la crocee vengono aspersi, a conclusione attingono acquadal fonte e la portano a casa. La preghiera canta ilcompimento dell’evento salvifico nell’oggi dellaChiesa radunata: “Oggi la grazia dello SpiritoSanto discende sulle acque in forma di colomba.Oggi le onde del Giordano sono cambiate in rime-dio dalla presenza del Signore. Oggi i peccati degliuomini sono cancellati nelle acque del Giordano.Oggi il paradiso si apre davanti all’umanità e il So-le di giustizia splende su di noi. Oggi noi abbiamoottenuto il regno dei cieli… È la festa del Signoreche noi vediamo al Giordano… e dà al mondo ilbattesimo di salvezza”.

5 Rerum gestarum, XXI, 2, citato da B. Botte, Lesorigines de la Noël et de l’Épiphanie, 46.

6 Sermones 199. 204. 7 Historia persecutionis Vandalorum 2,17.8 Nella liturgia ambrosiana nella messa vigiliare an-

cora oggi si legge il vangelo del battesimo di Gesù(Mt 3,13-17), che poi viene celebrato la domenica

dopo l’epifania come nella liturgia romana, e nellamessa del giorno il racconto dei magi (Mt 2,1-12).Ma l’antifona alla comunione canta: “Oggi laChiesa si unisce al celeste suo sposo che laverà isuoi peccati nell’acqua del Giordano. Coi loro do-ni accorrono i magi alle nozze del Figlio del Re, e ilconvito si allieta con un vino mirabile. Nei nostricuori risuona la voce del Padre che rivela a Gio-vanni il Salvatore: Questi è il Figlio che amo: ascol-tate la sua parola”.

9 Nella lettera indirizzata a tutti i vescovi della Siciliail 21 ottobre 447 Leone Magno riprova come ungrave abuso da estirpare la consuetudine diffusanelle chiese dell’isola di battezzare nella festa del-l’Epifania, a somiglianza di quanto avveniva inOriente, e richiama i vescovi ad attenersi alla disci-plina romana che riserva il battesimo soltanto allaveglia pasquale (Ep. 16).

10 Per altre tradizioni nelle diverse regioni d’Italia, cf.V. Bo, Usi e tradizioni popolari, ieri e oggi in Italia,in appendice al volume di H. auf der Maur, Le ce-lebrazioni nel ritmo del tempo, 263-266.

11 “Ibant magi, qua venerant / stellam sequentespraeviam / lumen requirunt lumine / Deum faten-tur munere. // Lavacra puri gurgitis / caelestisagnus attigit / peccata quae non detulit / nosabluendo sustulit. // Novum genus potentine /aquae rubescunt hydriae / vinumque iussa funde-re / mutavit unda originem”.

12 “Tribus miraculis ornatum diem sanctum colimus:hodie stella magos duxit ad praesepium; hodie vi-num ex aqua factum est ad nuptias; hodie in Jor-dane a Joanne Christus baptizari voluit ut salvaretnos, alleluia”.

13 “Hodie celesti sponso iuncta est Ecclesia, quo-niam in Jordane Christus lavit eius crimina; cur-runt cum muneribus Magi ad regales nuptias, etex aqua facto vino laetantur convivae, alleluia”.

14 Si riferiscono al Battesimo di Gesù le letture patri-stiche dei giorni 7,8,9,10,11 gennaio, con omelierispettivamente di Pietro Crisologo, Ippolito, Procodi Costantinopoli, Cirillo di Alessandria

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el giorno dell’Epifania la Chiesaannuncia solennemente la datadella pasqua e delle altre feste

mobili. Nel calendario liturgico, infatti, si in-trecciano feste legate al calendario solare,che cadono in data fissa, e feste in datamobile che dipendono dalla Pasqua, legataal calendario lunare. Oggi la facile disponi-bilità di agende e calendari sembra rendereanacronistico questo annuncio, che serbamemoria di tempi antichi, nei quali l’annodella Chiesa dettava i tempi della vita socia-le, le semine e i raccolti, i matrimoni e glispostamenti, le date per i matrimoni equelli per i pagamenti delle tasse. Tempi dicompetenze insospettate, in cui in ogni co-munità rurale c’era almeno una personache, pur analfabeta, solo scrutando il cieloe le fasi della luna, senza riuscire neppure adare ragione dei suoi calcoli, riusciva a fissa-re senza incertezze e senza errore la datadella pasqua per gli anni a venire. Se lariforma liturgica ha scelto di mantenerequesta proclamazione, lo ha fatto però perla sua valenza teologico-liturgica: nella so-lennità della manifestazione del Signore, sidispiega già il piano della redenzione, che sirealizza nella Pasqua.

Proprio per questo, la Chiesa italiananon si è limitata a un lavoro di traduzionedal latino (peraltro il testo non era statoincluso nel Missale Romanum latino del

1970, né nella prima edizione di quello inlingua italiana, del 1973), ma, nella secon-da edizione del Messale Romano pubbli-cata nel 1983, ha rivisto integralmente iltesto sottolineando il mistero pasquale,centro di tutto l’anno liturgico. La terzaedizione del Missale Romanum, pubblica-ta nel 2000, ha inserito in appendice il te-sto per l’annuncio, ma ha preferito man-tenere la versione tradizionale. Questa ter-za edizione latina è in corso di traduzionein lingua italiana. Si può sommessamenteauspicare che l’elaborazione, tanto origi-nale quanto teologicamente fondata, pre-parata dalla Chiesa italiana per l’edizionedel 1983, non vada perduta. Lasciamo ailettori il confronto tra i due testi (con ledate relative al prossimo 2007), con l’ag-giunta di una nostra traduzione – perquanto possibile letterale – del latino.

Nel presentare il rito di chiusura dellaporta santa nell’Epifania del 2001, ilMaestro delle celebrazioni liturgiche pon-tificie commentava: «L’anno di grazia,proclamato dal Signore Gesù nella Sina-goga di Nazaret, continua nel ciclo an-nuale con cui la Chiesa celebra nella Li-turgia l’opera di salvezza del suo Signorein attesa della beata speranza e del suoritorno nella gloria».1 Questo è ciò che laChiesa annuncia ogni anno nella solen-nità dell’Epifania.

L’annuncio della data della Pasqua

Adelindo Giuliani

N

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Testo latino (Missale Romanum 2000)

Noveritis, fratres carissimiquod annuente Dei misericordiasicut de Nativitate Domini nostri Iesu Christi gavisi sumus,ita et de Resurrectione eiusdem Salvatoris nostri gaudium vobis annuntiamus.Die vicesima prima februarii dies Cinerum, et initium ieiunii sacratissimae Quadragesimae.Die octava aprilis sanctum Pascha Domini nostri Iesu Christi cum gaudio celebrabitis. Die vicesima Maii erit Ascensio Domini nostri Iesu Christi.Die vicesima septima Maii festum Pentecostes.Die decima Iunii festum sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi.Die secunda decembris domenica primaAdventus Domini nostri Iesu Christi,cui est honor et gloria, in saecula saeculorum.Amen.

Traduzione letterale

Sappiate, fratelli carissimi,che, con l’aiuto della misericordia di Dio,come ci siamo rallegrati per il Nataledi nostro Signore Gesù Cristo,così vi annunciamo la gioiaper la risurrezione del medesimoSalvatore nostro.Il ventuno febbraio è il giorno delle Cenerie l’inizio del digiuno della santa Quaresima.L’otto aprile celebrerete nella gioiala santa Pasquadi nostro Signore Gesù Cristo.Il venti maggio sarà l’Ascensionedi nostro Signore Gesù Cristo.Il ventisette maggio la solennità di Pentecoste.Il dieci giugno la festadel Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.Il due dicembre la prima domenica dell’Avvento di nostro Signore Gesù Cristo,al quale è onore e gloria, nei secoli dei secoli.Amen.

Fratelli carissimi,la gloria del Signore si è manifestatae sempre si manifesterà in mezzo a noifino al suo ritorno.

Nei ritmi e nelle vicende del temporicordiamo e viviamoi misteri della salvezza.Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signorecrocifisso, sepolto e risorto,che culminerà nella domenica di Pasqua l’otto aprile.

In ogni domenicaPasqua della settimanala santa Chiesa rende presentequesto grande eventonel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.

Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:le Ceneri, inizio della Quaresima, il 21 febbraio;l’Ascensione del Signore, il 20 maggio;la Pentecoste, il 27 maggio;la prima domenica di Avvento, il 2 dicembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei santie nella commemorazione dei fedeli defunti,la Chiesa pellegrina sulla terraproclama la Pasqua del suo Signore.

A Cristoche era, che è e che viene,Signore del tempo e della storialode perenne nei secoli dei secoli.

R/Amen.2

Versione liturgica italiana (Messale Romano 1983)

——————1 Cf. http://www.vatican.va/news_services/liturgy/documents/ns_lit_doc_20010106_chiusura_it.html2 Testo in Appendice al Messale Romano, II ed. italiana, p. 1047; melodia per il canto a p. 1106.

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È cosa buona e giusta…

Perché dopo molti secoli, non molti se-coli fa, colui che era per te, o sempre persé oggi per noi è nato Cristo Gesù. Il tuounigenito si è fatto figlio della tua ancella.Il Signore di sua Madre, il parto della Vergi-ne, il frutto della Chiesa. Colui che daQuella esce, da Questa viene accolto. Coluiche da Quella esce piccolo, per mezzo diQuesta viene mirabilmente dilatato.

Quella ha prodotto la salvezza per i po-poli, Questa per i popoli. Quella ha portatola vita nel grembo, Questa nel lavacro. Nel-le membra di Quella, Cristo è stato infuso,nelle acque di Questa ci si è rivestiti di Cri-sto. Per mezzo di Quella Colui che era, na-sce; per mezzo di Questa, chi era perdutoviene ritrovato. In Quella prende vita il Re-dentore dei popoli, in Questa prendono vi-ta i popoli. Per Quella venne per togliere ipeccati, per Questa tolse i peccati, per iquali era venuto. Per mezzo di Quella hapianto per noi, per Questa ci ha guarito. InQuella infante, in Questa gigante. Lì vagi-sce, qui trionfa. Per Quella portò i gingilli,per Questa sottomise i regni. AccarezzòQuella con la giocondità del bambino, spo-sò Questa con la fedeltà dello sposo.

Rimangono infine incorrotti scambi diun amore prezioso. Diede lo Sposo alla suasposa, cioè Cristo alla Chiesa, come doni,

acqua viva, con cui fosse lavata una voltaper sempre per piacerGli. Le diede olio diletizia, con il profumato unguento del cri-sma, perché ne fosse unta. La invitò allasua mensa, la nutrì con fior di frumento, lainebriò di vino soave. Le impose il diademadella giustizia, le donò un vestito d’oro conla varietà delle virtù. Diede per Lei la sua vi-ta, le diede in dote, lui che regna vincitore,le spoglie della morte accettata e calpesta-ta. Le concesse se stesso, come cibo, be-vanda, vestito.

Le promise di darLe il regno eterno. Laassicurò che l’avrebbe fatta sedere, comeregina, alla sua destra. Concesse ad essaciò che era stato concesso alla Madre; diessere riempita, non violata; di partorire,ma non essere corrotta; a Quella una volta,a Questa sempre. La fece sedere comesposa sul talamo della bellezza, e di molti-plicare i figli col grembo della pietà, di es-sere ricca di feti, non fetida di voluttà.

Così anch’Essa, divenuta in Lui e perLui, ricca, rende al Suo Sposo e Signore isuoi umili doni. Le offre di suo l’affidarsia Lui, il riamarlo, dietro il suo esempio.Riconosce che per suo dono il poter fareciò che vuole, e volere ciò che può. Glioffrì come rose i martiri, come gigli levergini, come viole gli asceti. Gli trasmise,per mezzo degli apostoli, ministri dellasua volontà, questi frutti della sua opera.

Prefazio di Natale nel rito ispano-mozarabico

p. Ildebrando Scicolone, osb

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Testi e Documenti

lla descrizione degli “Uffici eministeri della Messa” è dedi-cato il Capitolo terzo dell’Ordi-

namento Generale del Messale Romano(OGMR), che inizia sottolineando quan-to segue: “La celebrazione eucaristica èazione di Cristo e della Chiesa, cioè delpopolo santo riunito e ordinato sotto laguida del Vescovo. Perciò essa appartie-ne all’intero Corpo della Chiesa, lo ma-nifesta e lo implica; i suoi singoli mem-bri poi vi sono interessati in diverso mo-do, secondo la diversità degli stati, deicompiti dell’attiva partecipazione. Inquesto modo il popolo cristiano, «stirpeeletta, sacerdozio regale, nazione san-ta, popolo che Dio si è acquistato», ma-nifesta il proprio coerente e gerarchicoordine. Tutti perciò, sia ministri ordinatisia fedeli laici, esercitando il loro mini-stero o ufficio, compiano solo e tuttociò che è di loro competenza”.

Dopo questa premessa, che definiscela cornice in cui collocare uffici e com-piti di quanti partecipano alla celebra-zione, il testo passa a descrivere gli uffi-ci propri dell’ordine sacro, i compiti delpopolo di Dio e infine alcuni ministeriparticolari. Riguardo all’ordine sacro, siricorda che “ogni legittima celebrazio-ne dell’Eucaristia è diretta dal Vescovo,

o personalmente, o per mezzo dei pre-sbiteri suoi collaboratori”. Quando aduna Messa con la partecipazione delpopolo è presente il Vescovo, si ritiene“molto opportuno” che presieda l’Eu-caristia e chiami a concelebrare i sacer-doti presenti: “Questo si fa non tantoper accrescere la solennità esteriore delrito, ma per esprimere con maggiorchiarezza il mistero della Chiesa, «sa-cramento di unità».”

Anche i l presbitero - “che nel laChiesa ha il potere di offrire il sacrificionella persona di Cristo in virtù della sa-cra potestà dell’Ordine” - deve mettersial servizio di Dio e del popolo “con di-gnità e umiltà”, facendo percepire aifedeli “la presenza viva di Cristo”, nelmodo di comportarsi e di pronunziarele parole divine. Dopo il presbitero, ilprimo posto tra quanti esercitano unministero nella celebrazione eucaristicaviene occupato dal diacono, in forzadella ordinazione ricevuta. “Nella Mes-sa il diacono ha come ufficio proprio:annunciare il Vangelo e talvolta predi-care la parola di Dio, proporre ai fedelile intenzioni della preghiera universale,servire il sacerdote, preparare l’altare eprestare servizio alla celebrazione delsacrificio, distribuire ai fedeli l’Eucari-

Ordinamento generale del Messale Romano – 4

Stefano Lodigiani

A

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 4-2006 Testi e Documenti

stia, specialmente sotto la specie del vi-no, ed eventualmente indicare al popo-lo i gesti e gli atteggiamenti da assume-re”.

Dopo gli uffici dell’ordine sacro,l’OGMR passa a descrivere i compiti delpopolo di Dio, che forma “la gente san-ta, il popolo che Dio si è acquistato e ilsacerdozio regale, per rendere grazie aDio, per offrire la vittima immacolatanon soltanto per le mani del sacerdotema anche insieme con lui, e per impa-rare a offrire se stessi”. Tenendo pre-sente questa impegnativa e multiformerealtà, il popolo di Dio è chiamato amanifestarla con un profondo senso re-ligioso, con la carità verso i fratelli chepartecipano alla stessa celebrazione,evitando ogni forma di individualismo edi divisione, tenendo presente che “tut-ti hanno un unico Padre nei cieli, e per-ciò tutti sono tra loro fratelli”. L’unitàdel popolo santo di Dio si deve manife-stare nell’ascolto della parola di Dio, nelprendere parte alle preghiere ed al can-to, nell’offerta del sacrificio e nella par-tecipazione alla mensa del Signore.“Questa unità appare molto bene daigesti e dagli atteggiamenti del corpo,che i fedeli compiono tutti insieme”. In-fine l’esortazione a non rifiutarsi “diservire con gioia il popolo di Dio”, qua-lora siano invitati a prestare qualche mi-nistero o compito particolare nella cele-brazione.

Il terzo paragrafo di questo capitoloè dedicato ai “Ministeri particolari”, e

si apre descrivendo i ministeri istituitidell’accolito e del lettore. “L’accolito èistituito per il servizio all’altare e peraiutare il sacerdote e il diacono. A luispetta in modo particolare prepararel’altare e i vasi sacri, e, se necessario,distribuire l’Eucaristia ai fedeli di cui èministro straordinario…Il lettore è isti-tuito per proclamare le letture della sa-cra Scrittura, eccetto il Vangelo; puòanche proporre le intenzioni della pre-ghiera universale e, in mancanza delsalmista, proclamare il salmo interlezio-nale.”

Mancando l’accolito istituito posso-no essere designati per il servizio del-l’altare altri ministri laici, che portanola croce, i ceri, il turibolo, il pane, il vi-no, l’acqua. Essi possono essere ancheincaricati di distribuire la Comunionecome ministri straordinari. Se manca illettore istituito, altri laici, “che sianoperò adatti a svolgere questo compitoe ben preparati”, possono essere inca-ricati di proclamare le letture della sa-cra Scrittura.

Tra quanti esercitano un proprio uffi-cio o servizio liturgico, l’OGMR cita: laschola cantorum o coro, il cui compitoè di eseguire a dovere le parti che le so-no proprie e promuovere la partecipa-zione attiva dei fedeli nel canto; gli altrimusicisti, specialmente l’organista; il sa-crista, che prepara i libri liturgici, le ve-sti liturgiche e le altre cose necessarieper la celebrazione della Messa; il com-mentatore, che, secondo l’opportunità,

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Testi e Documenti

rivolge brevemente ai fedeli spiegazionied esortazioni per introdurli nella cele-brazione e meglio disporli a compren-derla; coloro che raccolgono le offerte;quanti, in alcune regioni, accolgono ifedeli alla porta della chiesa, li dispon-gono ai propri posti e ordinano i loromovimenti processionali.

Si raccomanda poi che, “almenonelle chiese cattedrali e nelle chiesemaggiori, vi sia un ministro competenteo maestro delle celebrazioni liturgiche,incaricato di predisporre con cura i sacririti, e di preparare i ministri sacri e i fe-

deli laici a compierli con decoro, ordinee devozione”.

Questo III capitolo si chiude con l’e-sortazione a curare la preparazione pra-tica di ogni celebrazione liturgica, se-condo il Messale e gli altri libri liturgici,coinvolgendo “tutti coloro che sono in-teressati rispettivamente alla parte ri-tuale, pastorale e musicale, sotto la di-rezione del rettore della chiesa e sentitoanche il parere dei fedeli per quelle co-se che li riguardano direttamente”.

(continua)

Cristo, Pantocratore, icona sec XIX

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l grande padre proveniente dallaChiesa di Antiochia era al suotempo, il IV secolo, molto famoso

per saper toccare i cuori dei suoi ascoltato-ri con le sue omelie. La grande maggioran-za dei documenti che possediamo su di luisono infatti omelie. Esse sono state tra-scritte dai suoi uditori a causa del loro va-lore, e per questo sono potute giungere fi-no a noi. In tutti i secoli Crisostomo haavuto una grande quantità di estimatori,che hanno studiato la sua capacità di in-terpretare la Sacra Scrittura con profonditàe concretezza. E’ stato il Papa Pio X che loha voluto proclamare patrono dei predica-tori, alla luce della sua fama, diffusasi inogni tempo della storia della Chiesa.

Ci sono qui di seguito due esempi diomelie, tratte da commenti al Nuovo Te-stamento.

Il primo brano, tratto dall’Omelia 1 suLazzaro, ci chiarisce il punto di vista di Cri-sostomo sul tema della predicazione.

Io desideravo che le mie opinioni potes-sero portare un po’ più di frutti. Ma anchese i miei uditori, dopo la mia predica, per-mangono nei loro errori, non vogliamosmettere di incoraggiarli. Una fontanasgorga anche quando nessuno viene aprendere acqua, una fonte scorre anche se

nessuno vi si avvicina ed il fiume fluisce an-che se nessuno viene a bere. Noi, ai quali ilservizio della parola è affidato, abbiamo ildovere di non lasciare nulla di intentato edi non tacere, sia quando qualcuno ciascolta oppure no. Così ho deciso nel miocuore, fino a quando respiro o Dio ha de-ciso di tenermi in vita, di portare a terminequesto servizio, di eseguire l’incarico diDio, sia se qualcuno porta frutti oppure no.Ci sono alcuni che ridono di noi e dicono:“Smettila con i tuoi buoni consigli, abban-dona le tue opinioni, non vedi che non tivogliono ascoltare, lasciali andare!”. Checosa dici, abbiamo forse promesso di con-vertire l’umanità in un solo giorno? Se an-che solo dieci, oppure solo cinque, oppuresolo uno rientrano in se stessi, non è forsegià abbastanza? Ma voglio prendere inconsiderazione un caso ancora peggiore.Posto che la Parola di Dio non porti alcunfrutto, cosa che ritengo impossibile, maammesso che sia così, la predica anche inquesto caso non sarebbe inutile. Infatti sa-rebbe già qualcosa se i peccatori peccasse-ro di meno, o se le persone di buona vo-lontà diventassero più generose. Ed egual-mente ciò che non si realizza oggi si puòrealizzare domani, oppure dopodomani oancora più tardi. Anche un pescatore puòrimanere con la sua rete vuota tutto il gior-

In dialogo

San Giovanni Crisostomo, patrono dei predicatori

don Giovanni Biallo

I

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 4-2006

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In dialogo

no, ed alla sera, quando sta già per andarea casa, trova quel pesce che non aveva pre-so durante il giorno. Se un contadino ab-bandonasse la coltivazione una o più voltea causa del cattivo tempo, tutti noi sarem-mo già morti di fame da molto tempo. E seun capitano di mare volesse abbandonarela navigazione perché si è trovato una opiù volte nella tempesta, anche lui sarebbeinutile per noi. La stessa cosa vale per ognivocazione. E dovremmo perdere il coraggiose qualcuno non ascolta dalla prima voltale nostre parole? Almeno di fronte a Dio ilvalore sarebbe ugualmente grande, anchese gli altri non ci ascoltano.

Nel secondo brano, dall’Omelia 8 sullaLettera ai Corinzi, invece Crisostomo con-duce i suoi uditori nella profondità del mi-stero dell’unione con Cristo attraverso lasanta Eucaristia, tema a lui molto caro, uti-lizzando come sempre immagini prove-nienti dalla vita quotidiana, che permetto-no un legame immediato della realtà conla vita nello Spirito.

Costruiamo dunque su Cristo; che siaegli il solo fondamento, come la vigna lo èper il tralcio, e che niente si frapponga tranoi e Lui. La più piccola separazione ci fa-rebbe perire. Il tralcio vive in virtù del suoessere attaccato e una costruzione tiene in

virtù dell’appoggio che essa trova. Venen-do meno tutto questo crollerebbe, non ri-manendole alcun sostegno. Non attacchia-moci soltanto al Cristo, ma abbracciamocia Lui. Il minimo spazio tra noi e Lui ci fa-rebbe morire. Sta scritto: “Quelli che si al-lontanano da te periranno” (Sal 72,27).Abbracciamoci dunque a Lui attraverso leopere. Lui ha detto: “Chi osserva i miei co-mandamenti dimora in me” (Gv 21). Vera-mente egli ci unisce a sé in vari e moltimodi. Egli è il capo e noi il corpo. Può es-serci spazio vuoto tra la testa ed il corpo?Egli è il fondamento e noi l’edificio. Lui èla vigna, noi i tralci. Lui lo sposo, noi lasposa. Lui il pastore, noi le pecore. Lui lavia, noi i viandanti. Noi il tempio, Lui coluiche lo abita. Lui il primogenito, noi i fratel-li. Lui l’erede, noi i coeredi. Lui la vita, noi iviventi. Lui la resurrezione, noi i resuscitati.Lui la luce, noi gli illuminati. Tutto parla diunione, tutto indica che non può essercispazio, benché piccolissimo, tra noi e Lui.Chi si separerà dunque, benché di poco,vedrà ingrossarsi la breccia e sarà scartato.Il nostro corpo, quando una spada gli fauno squarcio benché piccolo, non muoreforse? Un edificio, colpito da brecce ben-ché strette, non va forse in rovina? Un ra-mo, staccato dalla radice, benché delicata-mente, non dissecca forse? Poca cosa, ve-dete, eppure non è poco: è tutto.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 4-2006

PRIMA LETTURADal libro di Daniele (7,9-10.13-14)

Intorno all’anno 165 il popolo ebraicoche vive a Gerusalemme e nella piccolaregione della Giudea è perseguitato da An-tioco Epifane, desideroso di imporre lacultura greca a tutti i suoi sudditi. Il futurosembra senza speranza. Un profeta, usandoil nome di Daniele, un sapiente vissutoprobabilmente durante l’occupazione per-siana, infonde nuova fiducia, svelando iretroscena della storia. Il male sembratrionfare. Ma in realtà Dio giudica il mon-do. Il popolo giudaico trionferà sulle forzedel male rappresentate dagli animali mo-struosi, anche grazie alla guida di un mi-sterioso “Figlio dell’Uomo”, un titolo che iprofeti avevano usato per designare il Mes-sia.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Pietro apostolo (1,16-19)

L’apostolo Pietro ricorda la luce che hailluminato Cristo nei giorni della sua vitaterrena. Egli è stato un testimone ocularedella divinità di Cristo. Il suo scritto vuolinfondere coraggio ad alcuni credenti de-lusi e spaventati dalla prova della persecu-zione. Abbiamo qui una specie di testa-mento spirituale dell’Apostolo, redatto pro-babilmente da un suo discepolo a partire

dai ricordi e dalla predicazione del primopapa. Egli, guidato dalla luce intravistanel giorno della trasfigurazione, ha testi-moniato la speranza incrollabile che devesostenere la Chiesa.

VANGELODal vangelo secondo Marco (9,2-10)

La frase che Gesù dice in apertura diquesto capitolo 9 del vangelo di Marco:“Vi sono alcuni tra i presenti, che nonmorranno senza avere visto il regno di Diovenire con potenza” rafforzò, insieme adaltre, la convinzione della chiesa primitivache il ritorno di Cristo e la conseguente fi-ne del mondo fossero imminenti. Marcosottolineando il tema della “venuta con po-tenza” del Regno di Dio, che faceva partedella chiusa della sezione precedente, mo-stra che questa frase fa da collegamentocon questa sezione, a cui appartiene, e chesi riferisce quindi alla esperienza dellatrasfigurazione e poi in prospettiva dellaresurrezione e non tanto a quella della finedel mondo. La semplicità poetica con cuiMarco descrive la trasfigurazione, denotacome fosse ben cosciente della sua straor-dinarietà e quindi come comprendesse lasua intraducibilità in un linguaggio diversoda quello della poesia e dell’evocazione.

Gesù ha appena sottoposto i suoi disce-poli ad una doccia fredda, lasciando intra-vedere loro l’umiliazione ed i tormenti che

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE6 agosto 2006 Questi è il mio Figlio prediletto

La parola di Dio celebratadon Nazzareno Marconi

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gli sono riservati. Perché la loro fede noncrolli e continuando in quell’opera dirafforzamento soprannaturale della fede inpiù tempi, simboleggiata dalla guarigionedel cieco di Betsaida, sceglie tre testimoniprivilegiati e fa contemplare loro la suagloria.

“Si trasfigurò” rende l’espressione gre-ca “fu metamorfizzato”, cioè cambiò la for-ma in cui Gesù abitualmente era conosciu-to dai suoi, per assumere uno splendore digloria propriamente divino.

L’apparizione di Mosè ed Elia indicacon chiarezza il legame profondo che Cri-sto ha con tutta la storia della salvezza. Ilmessaggio di Marco è che: l’apparente as-surdità della croce non è in definitiva né

così nuova, né così assurda, se confrontatacol modo di agire di Dio attraverso i suoisalvatori e profeti, per tutto il corso dellastoria della salvezza.

La notazione di Pietro sulle tre tendee la menzione della nube che oscura lavisione, servono a Marco per sviluppareil discorso a livello simbolico. La nubenell’AT scendeva sulla tenda, che nel de-serto fungeva da tempio per l’Arca del-l’alleanza. Questa discesa indicava la ve-nuta di Dio e la sua presenza in mezzo alsuo popolo. Con sottile ironia le parole diPietro appaiono del tutto fuori posto, in-fatti ora non c’è più bisogno né di tende,né di Arche o templi, perché la presenzadi Dio è assicurata da Gesù. Dove c’è

Gesù c’è Dio e per questo i disce-poli possono scendere dal montecon “Gesù solo con loro” in realtàsenza perdere nulla, almeno agliocchi della fede, della vicinanzadivina sperimentata sul monte.Questa presenza di Dio alla suaChiesa attraverso Gesù, diverràuniversale e per sempre dopo laresurrezione, quando il risorto po-trà dire a ogni cristiano : “Io sonocon voi tutti i giorni fino alla finedel mondo” (Cfr Mc 16,20).

Gesù rafforza la fede dei suoiapostoli mostrando la presenza diun disegno divino sopra e al di làdi ogni sua parola e azione. Anchela venuta di Giovanni, definito daGesù il nuovo Elia, serve a mostra-re la presenza di un disegno divinoin atto, del quale sia Gesù che i di-scepoli sono chiamati a far parte.

Infine la dichiarazione della fi-gliolanza divina di Gesù fatta dalPadre è una risposta ed una confer-ma della confessione di fede diPietro del capitolo precedente.Trasfigurazione di Cristo, Onofri, icona sec. XVI

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 4-2006

PRIMA LETTURADal primo libro dei Re (19,4-8)

Elia viene fortificato dal pane di Dio.E’ il tema del “pane sceso dal cielo” cheha ispirato la scelta di questo raccontotratto dalle storie di Elia. Dopo avereucciso i sacerdoti di Baal, 1Re18, e de-nunciato l’omicidio di Naboth, 1Re 21,il profeta deve sfuggire la collera dellaregina Gezabele. Il deserto dove si rifu-gia è di solito il luogo dello scoraggia-mento: il sonno, infatti è l’immaginedella morte che sta attendendo; alla fineinvece Elia si rimette in marcia verso lamontagna di Dio. Questa conversionedel profeta è stata realizzata dall’inter-vento di Dio: due volte gli dà il pane el’acqua così come la parola, un cibo chefa vivere, che fa camminare verso diLui. È già il pane del nuovo Esodo. Gliavversari di Gesù dovrebbero lasciarsiistruire dalle Scritture e più ancora daDio stesso e ricercare il Pane che dà lavita. Ma la loro incredulità sbarra lorol’accesso alla fede.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (4,30-5,2)

Paolo raccomanda agli Efesini di far-si imitatori di Dio secondo il modelloche Gesù stesso ci ha dato. Questa imi-tazione deve essere chiara e concreta, unrifiuto dei difetti di un cuore egoista eduna apertura generosa alla ricerca delvero bene.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (6,41-51)

In questo tempo di vacanza vale la pe-na di dedicare qualche sforzo alla rifles-sione sulla parola di Dio. Il vangelo diquesta domenica offre un interessantespunto per comprendere come nasca untesto evangelico, e come i risultati cheemergono dagli studi degli esegeti sullaBibbia, non sono poi così incomprensibilie difficili per chi li ascolti con un po’ dibuona volontà e pazienza, guardando conattenzione al testo evangelico che ha difronte. Il modo migliore per comprenderequesto discorso sul pane di vita che oc-cupa gran parte del cap. 6 di Giovanni èquello di riconoscere che si tratta diun’omelia basata sull’insegnamento diGesù, ma elaborata estesamente da unpredicatore della prima generazione cri-stiana, aiutato dallo Spirito di Gesù e cheGiovanni ha accolto nel suo vangelo. Do-veva apparire infatti un bel sistema perconservare varie frasi di Gesù dette inmomenti diversi, ma simili per tematica,come ci dimostra il confronto con gli altrivangeli. Questi infatti riportano alcune diqueste espressioni di Gesù in contesti di-versi. Chiarito questo è comunque possi-bile e buono leggere tutto il discorso po-nendolo in bocca al Signore. Esso si in-centra su un testo biblico: «diede loro damangiare un pane dal cielo» (v. 31), ed èperciò una dimostrazione della verità,espressa in Gv 5,39.46.47, che le Scrit-ture spiegano la persona ed il mistero diGesù. Il testo base è una combinazione

XIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO B13 agosto 2006Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

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libera, fatta a memoria, di alcune citazio-ni dell’Antico Testamento:

Es 16,4: «Ecco, io sto per far pioverepane dal cielo per voi»; Ne 9,15: «Hai da-to loro pane dal cielo quando erano affa-mati»; Sal 78,24: «Fece piovere su di essila manna per cibo e diede loro pane delcielo»; Sal 105,40: «...E li saziò con il pa-ne del cielo».

Tutti o alcuni di questi testi sono staticombinati dal predicatore nel v. 31. L’ome-lia è spezzata dalle brevi interruzioni cheintroducendo il dialogo dal vivo, servono amantenere l’interesse dell’uditorio, mentreallo stesso tempo rilevano le difficoltà ri-scontrate sia dai Giudei del tempo di Ge-sù, che da quelli del periodo in cui vivevae scriveva Giovanni.

Questa omelia basata su un testo bibli-co, segue la tecnica di quello che i Giudeichiamano midrash, infatti il testo seguel’ordine della frase biblica spiegata parolaper parola. Si articola dunque in tre sezio-ni: Egli diede - pane dal cielo - da man-giare.

“Egli diede” (vv. 26-34). In questa pri-ma sezione la sottolineatura è tutta sul da-re, sul donare. Gesù darà, ma non comeMosè che diede una manna corruttibile, uncibo che non libera dalla morte, ma comedà il Padre, che dona sempre la vita eter-na. Gesù è dunque il donatore straordina-rio, il portatore della vera ricchezza per ilsuo popolo, molto più di Mosè.

“Pane dal cielo” (vv. 35-47). Il discorsoora si sposta al pane dal cielo, che Gesù nonsolo dona, ma che è veramente Lui. In defi-nitiva Gesù è il donatore di sé stesso. Il ver-bo che in questa sezione appare con più fre-quenza e che quindi diventa più importanteè “credere”. Non si può ricevere il dono diGesù, che è Lui stesso “pane dal cielo” sen-za la fede. Per questo la fede è ripetutamenterichiesta. Il dono di Gesù è innanzi tutto nu-trimento per la nostra fede. Questa afferma-zione va compresa nello stesso senso in cuila Sapienza dell’Antico Testamento “nutriva”tutti coloro che l’accettavano (Prv 9,1-5). Unnutrimento che offre energia sufficiente a vi-vere secondo la legge di Dio.

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA15 agosto 2006Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente.

PRIMA LETTURADal libro dell’Apocalisse (11,19; 12,1-6.10)

Il libro dell’Apocalisse ci presenta lavisione di uno scontro tra una donna e undrago. Si tratta della lotta tra il popolo diDio, la Chiesa, e Satana. Ma dove c’è laChiesa c’è Maria, e dove c’è Maria c’è laChiesa; e il grembo verginale e fecondo diMaria è l’immagine della realtà della Chie-sa, vergine feconda. Maria è “primizia e

immagine della Chiesa”. Per questo stret-tissimo legame, la tradizione e la liturgialeggono questo passo dell’Apocalisse an-che in riferimento alla Vergine. Tra la Ver-gine Maria e Satana c’è inimicizia insana-bile. Radice della guerra di Satana, cosìcome di ogni ribellione contro Dio e il suomistero della salvezza, è la superbia. Perquesto il suo odio si rivolge anzitutto con-tro Maria, essa è l’umile serva del Signore.Probabilmente il demonio è ferito, ancorapiù che dalla grandezza di Dio, dall’umiltà

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di questa creatura che trionfa assunta incielo. Per la superbia, per ogni superbia, èintollerabile ogni vittoria dell’umiltà.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,20-26)

Paolo si rivolge alla comunità di Corin-to, dove alcuni dubitavano della resurre-zione futura. L’apostolo dopo aver ricordatoche la resurrezione di Gesù è il fondamen-to della nostra fede, mostra che il trionfo diGesù annuncia il ritorno alla vita di tuttigli uomini. Nel Cristo ha trionfato l’amoreopposto al peccato di Adamo. Il Signore sipone alla testa della lunga processione ditutti coloro che sono rigenerati da questomedesimo amore venuto da Dio.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,39-56)

La festa dell’Assunzione può simboli-camente essere considerata la Pasqua diMaria. Come ogni festa mariana non ri-guarda soltanto lei, ma in lei, immagine emodello della chiesa ogni credente è invi-tato a riconoscersi nella speranza. Il van-gelo di oggi, con il Magnificat, ci invita aleggere questa festa come l’esaltazionedella “serva umile”. Dio ha guardato allasua piccolezza, alla condizione semplice,ma anche alla umiltà di Maria, alla sua po-vertà di spirito, al suo affidarsi solo al Si-gnore, e proprio per questo l’ha innalzata.

Maria confessa e canta la sua fede nelfatto che Dio è santo. La santità di Dio, se-condo l’Antico Testamento ed in particola-re nel profeta Ezechiele, si vede nelle azio-ni di Dio a favore dell’uomo: “allora sapre-te che io sono il Santo”, quando l’agire diDio si rivela come pura gratuità. Il signifi-cato della santità è quindi la misericordia

illimitata di Dio. È allora che il Signore“spiega la potenza del suo braccio”, cioèrinnova i prodigi dell’Esodo.

La Vergine Maria canta il rinnovarsi diquesta azione pasquale, il cui prototipo èla liberazione di Israele dalla schiavitùd’Egitto.

Maria canta il rinnovarsi dell’azione diDio a favore di chi crede in lui. Perché ibeneficiari di questo agire pasquale di Diosono quelli che temono Dio, i miti e gliumili, i poveri in spirito.

Maria è la rappresentante di tutti coloroche hanno conosciuto la liberazione daun’umiliazione, una salvezza che provocal’esultanza della fede esaudita. Per questoil suo canto echeggia le parole di Anna lasterile, divenuta madre di Samuele.

Il Magnificat permette alla comunità eal singolo cristiano di leggere la propria

Assunzione della Vergine, miniatura, seconda metà del sec. XIV.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 4-2006

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esperienza attraverso quella di Maria. Dioha agito a favore di Israele, di Maria, dellaChiesa, e promette così di agire per ognicredente.

Recitando il Magnificat al vespro di ognigiorno la Chiesa riconosce che la promessa

di Dio si è realizzata anche in questo gior-no, rimane salda la fedeltà del Signore allasua promessa: anche oggi Egli ha compiutoi prodigi del suo amore per noi. “Di genera-zione in generazione la sua misericordia sistende su quelli che lo temono”.

XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO B20 agosto 2006La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda.

PRIMA LETTURADal libro dei Proverbi (9,1-6)

Alla fine della prima parte del librodei Proverbi, un saggio dell’epoca dopol’esilio ha voluto collegare la sapienzaumana con la Sapienza di Dio. Ha perso-nificato questa Sapienza come una figurapoetica che parla ed invita ad un festinosimbolico. Questo consiste nel nutrirsi dilei mettendosi con disponibilità al suoascolto. Come il cibo e la bevanda per-mettono di vivere a coloro che se ne nu-trono, così la sapienza divina fa viverel’uomo: donandogli luce per comprende-re il giusto cammino e forza per avanzarein esso.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,15-20)

Paolo sottolinea la rottura tra l’universoche egli definisce “carnale” e l’universospirituale. In quest’ultimo ogni esistenzadiviene densa di gioia. Appartenere almondo dello spirito allontanandosi dagliatteggiamenti tipici delle “carne” non è so-lo un atto di eroismo morale, ma è piutto-sto la scelta della via della propria realiz-zazione.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (6,51-58)

Il vangelo di questa domenica continuail discorso del vangelo di domenica scorsasul Pane di Vita. Nella logica di fornire unmidrash della frase programmatica: “diedeloro un pane dal cielo da mangiare”, Gio-vanni completa il discorso commentandonel’ultima parte. Questo pane è vero cibo enutrimento: è da mangiare.

In questa sezione finale abbiamo unnuovo cambiamento nei termini: le paroleche ritornano con insistenza sono “carne”,“sangue”, “mangiare”, “bere”. Basta aesempio seguire la ripetizione costante di“mangiare” in tutto il nostro testo. Il signi-ficato del discorso è dunque in parte cam-biato. Mentre nella sezione precedente Ge-sù nutriva, tramite la Parola sapiente, colo-ro che credevano, il verbo “credere” ora ètotalmente sparito ed è sostituito da “man-giare”. L’autore della nostra omelia sta orachiaramente parlando di nutrimento sacra-mentale, del pane e del vino di cui ci sinutre, del nutrimento eucaristico fornitodalla carne e dal sangue del Figlio del-l’Uomo. Se la fede accoglie il dono di Gesùnell’ascolto e nella comprensione della suaParola, l’esperienza del sacramento acco-

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 4-2006

glie il dono di Gesù nel pane e nel vinodell’eucaristia, momento pieno di sacromistero che ci mette in comunicazioneconcreta, “fisica” con Dio.

Il v. 58 lega insieme l’omelia, riferen-dosi alla frase centrale del v. 31. “Questoè il pane disceso dal cielo, non comequello che mangiarono i padri vostri emorirono. Chi mangia questo pane vivràin eterno” .

Questa omelia, perciò, ha lo scopo diesporre in modo ricco e multiforme il tema

di Gesù-pane-di-vita. Gesù è prima di tut-to il datore del pane, un nuovo Mosè. Egliè anche il pane di sapienza e rivelazione,che nutre tutti coloro che vanno a lui nellafede. Egli è, infine, la fonte eucaristica divita eterna per tutti coloro che mangiano ebevono la carne e il sangue del Figlio del-l’Uomo. Giovanni è così riuscito, a riunirein un solo capitolo gli elementi essenzialidell’Eucaristia cristiana: la parola e il pa-ne, la parola rivelatrice e il pane sacra-mentale.

XXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO B27 agosto 2006Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

PRIMA LETTURADal libro di Giosuè (24,1-2.15-17.18)

Il racconto della conclusione dell’al-leanza a Sichem si trova al termine della“conquista” della terra, sotto il comando diGiosuè. Questi prima ricorda le origini diIsraele, il suo “Credo storico”, poi ottieneil triplo impegno del popolo verso il Signo-re. Infine conclude l’alleanza con lo statu-to, la consegna ed il rito vero e proprio. Illezionario ha conservato solamente la con-vocazione e il primo impegno, col raccontodelle meraviglie di Dio. Ha omesso perciòle esigenze dell’impegno di alleanza.

Il racconto di Giosuè, così ridotto, conil popolo che unanimemente sceglie l’al-leanza, è meno drammatico della scena diseparazione dei discepoli riportata dalvangelo. Lì resta solamente un piccologruppo, ma capace di proclamare con forzala sua fede. Questa sarà presto messa allaprova, a cominciare da quella di Simon-Pietro. La professione di fede non è sola-mente un rito di unanimità, è in gioco

quando le scelte diventano più dolorose,“più cruciali.”

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,21-32)

Molto spesso i testi della Sacra Scrittu-ra hanno paragonato l’Alleanza di Jahvècon Israele a una storia di amore piena diperipezie. La fedeltà del Signore finisceper vincere l’incostanza di un popolo chesi chiude nelle proprie immagini di Dio. IlVangelo presenta Gesù come la personanella quale si realizza lo sposalizio defini-tivo del vero Dio con l’umanità. Questomatrimonio è stato reso possibile dal donototale di Gesù sulla croce. I cristiani sonoinvitati a ripetere nella loro vita questa for-ma di amore e in modo particolare a realiz-zarla nella vita coniugale. Tutta l’esistenzaappare dunque come un’immensa avventu-ra, nella quale la scoperta dell’altro diven-ta l’immagine della scoperta del completa-mente-Altro, di Dio stesso.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 4-2006

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VANGELODal vangelo secondo Giovanni (6,60-69)

Questi versetti finali del grande discorso,o meglio della grande omelia sul pane di vi-ta, riassumono i mormorii di critica dei ver-setti precedenti per descrivere una crescen-te crisi di fede dei discepoli di Gesù: «Que-sto linguaggio è duro; chi può intenderlo?».

Questa difficoltà non verteva tanto sullapossibilità di comprendere intellettualmenteil discorso di Gesù sul pane di vita, che ci haaccompagnato nelle letture di queste ultimedomeniche. La difficoltà che i contemporaneidi Gesù trovavano consisteva nell’accettare ledue principali conseguenze di questo discor-so. Se Gesù è il pane di vita, nutrimento dellamente e del cuore del credente attraverso lasua parola, secondo l’immagine che provienedall’antica letteratura sapienziale biblica, Ge-sù va accolto come unica e basilare fonte del-la sapienza e quindi della verità.

Per i contemporanei di Gesù non era cer-to facile accogliere le parole di questo predi-catore itinerante, ex-operaio della piccolacittadina di Nazareth, ponendole sullo stessopiano della Parola di Dio che ogni sabatoveniva solennemente letta in sinagoga. An-cora più arduo da accettare era il discorso suGesù pane di Vita che faceva riferimento aGesù eucaristia come nutrimento, forza spi-

rituale che salva. Questo comportava un rin-novamento totale dei gesti e delle forme del-la religiosità tradizionale, che mettesse alcentro di tutto la celebrazione istituita daGesù stesso. In definitiva l’obiezione vertevasu tutta una vita cristiana vissuta con Gesù-Parola e Gesù-Pane eucaristico come puntocentrale, come elemento guida della vita delcristiano. Ancora oggi la nostra fede, chepuò apparire facile e consona al comunesentire quando tocca i temi di un generaleumanitarismo, diventa però difficile ed esi-gente quando da questi si passa al cuore delmessaggio. “Senza di me non potete far nul-la”, dice Gesù. Il cristiano confessa la suadebolezza, la sua incapacità a salvarsi senzail Signore ed in particolare senza la paroladel vangelo ed il pane dell’eucaristia. La fe-de cristiana è una fede nella grandezza dellasalvezza che ci viene offerta e che dobbiamoaccettare con gratitudine e profonda umiltà.

Il vangelo termina con la presentazione didue modelli: uno positivo ed uno negativo. Ilprimo è Pietro. Egli corre il rischio, aprendo-si al Verbo, le cui parole rivelatrici danno vi-ta eterna. “Signore, da chi andremo? Tu haiparole di vita eterna; noi abbiamo creduto econosciuto che tu sei il santo di Dio”. Il mo-dello negativo è ovviamente Giuda. Egli ri-marrà nel gruppo, vivendo un’esperienzacontrastata, ma già diretto verso le tenebre eil potere demoniaco che esse rappresentano.

XXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B3 settembre 2006Trascurando il comandamento di Dio, osservate le tradizioni degli uomini.

PRIMA LETTURADal libro del Deuteronòmio (4,1-2.6-8)

Questo passaggio del primo discorso diMosè è forse un’omelia esilica sulla Legge.

Al momento di entrare nella Terra promes-sa, l’avvenire di Israele dipende dalla suafedeltà a Dio. La fine dell’omelia svilup-perà l’ammirazione di Israele per la Leggedi Dio.

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Il nostro testo si apre con una chiamataalla più chiara fedeltà: Israele custodirà icomandi senza aggiunte né omissioni.

Poi ricorda che questa fedeltà alla Leg-ge di Dio rende Israele saggio ed intelli-gente, al punto che le nazioni l’ammirano.Questa saggezza della Legge è un segnodella vicinanza di Dio. Ha liberato il suopopolo e si è lasciato incontrare da loronella preghiera.

Nella liturgia odierna abbiamo cosìdue sguardi differenti, ma non contrad-dittori sui comandamenti: un elogio inDeuteronomio ed una critica delle prati-che esteriori da parte di Gesù. Ciò cheGesù rimprovera ai suoi avversari, è diaggiungere del loro proprio, delle “tradi-zioni degli uomini” al “comando di Dio”.Ma si guarda dal pretendere una fedeltàpuramente materiale. Obbliga tutti i suoiascoltatori a guardare ciò che esce dalloro cuore.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Giacomo apostolo(1,17-18.21-22.27)

Ricordando la vocazione del Cristiano,chiamato a rinnovarsi mediante la scopertadel vero Dio, Giacomo insiste sulle conse-guenze pratiche della Parola di Dio. Essarichiede il nostro impegno concreto a favo-re degli altri e la rettitudine morale all’in-terno di un mondo pervertito.

VANGELODal vangelo secondo Marco (7,1-8.14-15.21-23)

I farisei muovono un rimprovero ai di-scepoli di Gesù sulla base della tradizionee dei suoi precetti. La risposta di Gesù,che si volge a chiaro rimprovero, seguedue motivazioni che si completano a vicen-

da. La prima è un rimprovero legato allaprofezia di Isaia 29,13: le guide del popo-lo, per seguire un complesso sistema diprecetti tradizionali, hanno perso di vistaciò che è essenziale. I discepoli di Gesùche lo seguono, accettando anche lo sco-modo di una vita randagia, che non per-mette sempre dei pasti realmente tali, (inun’altra occasione la fame li spingerà amangiare le spighe mentre camminano peri campi) questi discepoli hanno saputoscegliere tra ciò che è fondamentale e ciòche è accessorio. Essi seguendo Gesù han-no pienamente obbedito al comandamentodi Dio.

La parola di Gesù si leva, attaccandoil sistema religioso rabbinico su uno deipilastri del comportamento religiosoebraico: la distinzione tra puro ed impu-ro. La complessa legislazione di purità ri-tuale era, nella sua origine, riservata aisacerdoti del tempio di Gerusalemme. Sitrattava di una serie codificata di com-portamenti da seguire per svolgere il ruo-lo sacerdotale.

La finalità di queste leggi era chiara-mente didattica: visualizzare la differenzatra l’uomo e Dio. Chi si voleva accostare aDio doveva, in qualche modo distanziarsidall’uomo e dai suoi comportamenti quoti-diani. In particolare siccome Dio è “il Diodella vita”, era necessario che i sacerdotisi tenessero lontani da tutto quanto avevacollegamento con la morte, come animaliche si cibavano di carogne, o avere qual-siasi contatto con un cadavere o col sangueversato ecc.

Secondo la setta sacerdotale dei Saddu-cei il rispetto di queste norme, riservato aisacerdoti, aveva la funzione soprattutto didistanziarli dal popolino impuro e destina-to in massa alla dannazione.

I Farisei, più democratici ed illuminati,sostenevano il dovere anche del popolo di

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rispettare queste norme. Questo rispettoavrebbe, a loro modo di vedere, dato il di-ritto di “accostarsi a Dio” anche al popoloe non solo ai sacerdoti. Ma il sistema di pu-rità era tanto complesso ed esigente che difatto solo pochissimi potevano rispettarlo.

Gesù ha identificato la sua missione so-prattutto come un invito rivolto a ogni uo-mo, a partire proprio dagli ultimi: i pubbli-cani e le prostituite, ad accostarsi a Diocon fiducia. Gesù non nega la distanza traDio e l’umanità, ma annuncia che Dio èvenuto incontro all’uomo, fino a diventareuomo, pur di esserci vicino. Questo è ilcuore del suo annuncio del Regno di Dioche si è “fatto vicino” anzi che è “in mezzoa noi”.

Per tutto questo la sua parola divinapuò ora abolire la legge di purità rituale,

stabilendo una nuova legge di purità. Peraccostarsi a Dio che si è fatto vicino, se-condo Gesù, non è necessaria una puritàrituale esterna, ma una purezza del cuore,una rettitudine morale nei confronti delcomandamento divino che permetta diaprirsi alla venuta di Dio accogliendolonella nostra vita.

Nel dichiarare la purità rituale di tuttigli alimenti, Gesù corregge anche una im-magine del creato non in linea con la teo-logia della creazione. Il creato infatti èbuono, è un dono di Dio all’umanità, ed inesso la libertà dell’uomo è indirizzata albene. Al tempo stesso però questa libertàpuò volgersi al male e spingere al male al-tre libertà umane, questo è ciò che Gesùchiama “contaminare l’uomo”, cioè real-mente allontanarlo da Dio.

XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B10 settembre 2006Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (35,4-7)

Questo testo è il solo dell’AT greco adadoperare la parola “balbuziente” comeil vangelo di Marco: “la lingua dei balbu-zienti sarà chiara” (v. 6). Il linguaggio èmolto vicino a quello del Secondo Isaia:il ritorno dall’esilio sarà un nuovo Esodo,il deserto fiorirà. Dopo l’annuncio dellavenuta di Dio che viene a salvare, a darela rivincita agli oppressi, tutti gli invalidiguariti potranno mettersi in marcia. Lastrada poi sarà una via sacra, dove i su-perstiti cammineranno in sicurezza e nel-la gioia.

Quando Gesù apre gli orecchi e la lin-

gua del sordomuto, dà il segno che con luiDio è venuto a salvare il suo popolo.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Giacomo apostolo(2,1-5)

Preoccupato di ricondurre alla realtà al-cuni cristiani che si ritengono mistici, men-tre di fatto vivono nell’illusione, Giacomopropone loro un test semplice, ma infallibile:riflettano sul modo in cui vengono accolti ipartecipanti alle loro assemblee. Dovrannoriconoscere che per molti di loro conta solola facciata. Eppure Dio ha concesso la veraricchezza ai poveri e ai semplici, ma noispesso non riusciamo a vedere il mondo congli stessi occhi con cui lo vede Dio.

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VANGELODal vangelo secondo Marco (7,31-37)

Gesù compie un miracolo in terra paga-na, che certo Marco ama raccontare per ilsuo uditorio che viene dal paganesimo, invi-tando i suoi uditori a riconoscersi in questipagani che Gesù incontra e guarisce. Infattiquesto racconto ci è riferito solo del vangelodi Marco, perché gli altri evangelisti lo han-no probabilmente considerato una narrazio-ne minore. In questi miracoli si percepisceinvece un insegnamento che è sempre attua-le: Gesù guarisce ancora, le orecchie deisordi si aprono per sentire la parola di Dio,il muto può parlare per confessare la sua fe-de, il cieco potrà finalmente riconoscerel’inviato di Dio.

Il miracolo viene compiuto seguendo unaspecie di rituale, Gesù affronta il male po-nendo il malato in contatto con sé stesso epronunciando una parola efficace. Tutto sisvolge lontano dalla folla: Gesù non operaper stupire o per attirare una attenzione su-perficiale. Vuole che noi prestiamo una at-tenzione profonda a quanto accade: solo oc-chi ben aperti ed un cuore disponibile po-tranno comprendere i numerosi gesti che ilSignore compie all’indirizzo del miracolato.Non si tratta di un rituale magico, né di gestinecessari ad un miracolo “particolarmente

difficile”. Gesù invece vuol comunicare unmessaggio con la globalità dell’immagine co-stituita dalle sue azioni, che diventa imme-diatamente comprensibile per chi abbia unpo’ di conoscenza dell’Antico Testamento.Infatti l’immagine complessiva rispecchia inpiù particolari quella del Dio-creatore-arti-giano che troviamo all’inizio del libro dellaGenesi. Dio che plasma il fango per trarreda esso un pupazzo di creta, che col donodello Spirito diverrà il primo uomo. Come inquel testo antico il messaggio chiaro è cheDio si coinvolge profondamente, si sporca lemani per affrontare e risolvere i problemidell’uomo. Non è un Dio lontano e asettico,ma l’Emmanuele, il Dio con noi. Anche ilcommento entusiastico della gente ricorda ilracconto della creazione: “ha fatto bene ognicosa” dicono di Gesù, come Dio aveva piùvolte sentenziato riguardo alla sua creazione:“e Dio vide che era cosa buona”. In definiti-va questo miracolo appare come una nuovacreazione operata dal Figlio. Non è un casoche nella celebrazione del battesimo, quasia suggello della nostra incorporazione inCristo, del nostro ingresso nel numero deisalvati, il sacerdote faccia chiaro riferimentoa questo episodio dicendo: “Il Signore Gesù,che fece udire i sordi e parlare i muti, ti con-ceda di ascoltare presto la sua parola e diproclamare con coraggio la tua fede”.

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE14 settembre 2006Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato.

PRIMA LETTURADal libro dei Numeri (21,4-9)

L’AT ricorda uno strano episodio avve-nuto durante l’Esodo.

Il problema del popolo è l’incapacità di

camminare con Dio. Nel libro dei Numerila narrazione del viaggio nel deserto ha loscopo di mostrare che, se il popolo si fidadi Dio, avrà successo; quando invece si ri-bella, va incontro al fallimento e alla mor-te. Vediamo così che il primo e principale

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nemico del popolo è interno al popolo stes-so, è la sua durezza di cuore.

“Perché ci ha fatti uscire dall’Egitto?”.Il popolo rimprovera Dio per l’evento dellaliberazione. Invece di ringraziarlo, lo con-testa. E’ una perversione completa del sen-so della storia.

“Siamo nauseati di questo cibo...”.Anche la manna, segno per eccellenzadell’amore provvidente di Dio che nutre eaccompagna il suo popolo, viene rifiuta-ta. Il popolo preferisce il cibo dellaschiavitù. Punito, perché rifiutava di pro-

cedere nella sua marcia nel deserto, ilpopolo si confronta con terribili serpentivelenosi. La mancanza di fede avvelenal’esistenza. Voltando le spalle al Dio del-la vita, si entra nel dominio della morte.E’ necessario un segno, che permette diritrovare la fede: il serpente di rame cheMosè innalza. Anche noi siamo feriti amorte dal nostro peccato e rischiamo ditrascorrere la nostra vita lamentandocidei doni di Dio, senza riconoscere la suapresenza, sedotti da comode forme dischiavitù. Sapremo guardare al crocifisso

per essere salvati?San Giovanni nel suo

vangelo farà riferimento aquesto episodio per trovareuna pregnante immaginesimbolica della salvezza cheGesù ci offre attraverso lasua morte in croce. Egli è ilvero salvatore del mondo.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

La croce non è da esal-tare, la sofferenza non èmai gradita a Dio, inquanto tale. Solo se accol-ta e scelta per amore puòdiventare un valore, unlinguaggio efficace per di-re l’amore: non c’è amorepiù grande che donare lavita, dirà Gesù. Esaltarela croce significa perciòesaltare l’amore, esaltarela croce significa spalan-care il cuore all’adorazio-ne, allo stupore. Davveroinnalzato sulla croce (Gio-Innalzamento della croce, XVIII secolo, Tirana

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vanni non usa mai la parola “crocifisso”ma “osteso” cioè mostrato) Gesù attiratutti a sé.

Proprio per questo il Figlio dell’Uomo èdisceso dal cielo. In effetti, è Gesù che ciraggiunge, è lui che discende verso di noi.E il movimento di abbassamento è duplice:primo, perché il Figlio di Dio si fa uomo;secondo, perché si china sull’uomo pecca-tore. In tutta la vita Gesù va incontro a chiha bisogno, in cerca dei peccatori, rispon-de alle critiche di chi si scandalizza, pre-dica fino a non avere più neanche il tempodi mangiare... Realmente Gesù, passo do-po passo, si fa carico dei nostri peccati, fi-no alla croce. E tutto questo “non per con-dannare il mondo”.

Come c’è un crescendo nell’umiliazio-ne di Gesù, nel suo chinarsi sull’uomosofferente, così vediamo un crescendonel peccato dell’uomo. Chiacchiere male-voli, obiezioni maliziose, aperti contrasti,fino al complotto e alla morte. Il peccatodell’uomo si radicalizza contro Gesù, e

meriterebbe un estremo giudizio di con-danna. Ma non è così. La croce è trasfor-mata in strumento di redenzione. Chiguarda a Gesù innalzato sulla croce puòriconoscervi il suo peccato ma anche l’of-ferta di perdono. Chi guarda con fede aGesù crocifisso entra nell’ambito dellavita eterna.

La festa dell’Esaltazione della croce cimette quindi di fronte al nodo fondamenta-le della nostra fede e della nostra vita. Ilcrocifisso condannato e umiliato è un con-tinuo richiamo al nostro agire pieno di pre-sunzione e di orgoglio. Ci ricorda ognigiorno che non ci salviamo da soli, con lenostre buone azioni, che non siamo capacidi salire fino a lui ma lui si china verso dinoi.

Tutto ciò diventa per noi motivo di festae di gioia. Una festa paradossale, che siraccoglie attorno alla croce, che era un pa-tibolo, e diventa segno di vita, simbolo dicondanna che si trasforma nel massimo se-gno dell’amore che perdona.

XXIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO B17 settembre 2006Tu sei il Cristo. Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (50,5-9)

Isaia ci propone il terzo dei quattro cantidel Servo di Yhavè. E’ l’ultimo nel quale loudiamo parlare, perché il 4° riporterà la suacondanna e la sua morte. Il Servo si esponealle umiliazioni e ai colpi. Ma è difeso dalsoccorso del Signore e così sfida i suoi av-versari ed i suoi giudici. Come il Servo diquesto canto, Gesù “per la prima volta” an-nuncia la sua Passione ai suoi discepoli. Si ècomportato da Servo e per questo ha merita-

to il titolo di Servo di Dio, anche se la scrit-tura privilegia il titolo di “Signore” peresprimere la sua condizione divina. Per lui,per i discepoli e per noi, la strada primariaresta però sempre quella di farsi Servi.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Giacomo apostolo(2,14-18)

Giacomo ricorda ai suoi lettori che lavera fede si verifica nella concretezza diun servizio effettivo agli altri. Senza questo

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servizio, le più belle attestazioni di fedesono soltanto delle parole vuote, formulesenza significato.

VANGELODal vangelo secondo Marco (8,27-35)

La confessione di Pietro è un vero eproprio cardine attorno a cui ruota laconnessione tra la prima e la secondaparte del vangelo di Marco. Matteo faràcommentare a Gesù la confessione petri-na dicendo che è stato illuminato daDio, Marco comunica lo stesso messag-gio accostando questo testo al miracoloprecedente del cieco che viene guaritoin due puntate.

Questo brano riassume in un certosenso tutto il percorso fin qui fatto dalvangelo di Marco e centrato sul misterodella persona di Gesù. Finalmente i di-scepoli confessano la fede della chiesanella messianicità di Gesù, ma subitoapparirà chiaro che c’è ancora una se-conda parte di cammino da compiere.Come il miracolo precedente del cieco,che solo gradualmente comincia a vede-re, Pietro ha visto in Gesù il Cristo, cioèil Messia atteso da Israele e profetizzatoda tutto l’Antico Testamento, ma la suavista è ancora imperfetta. Egli, come di-mostrerà subito, comprende il Messiaancora in maniera troppo umana; cioècome un vincitore potente di tipo politi-co-militare. Riconoscere che della mes-sianicità di Gesù farà parte anche lacroce, è un “vedere da lontano e conchiarezza ogni cosa” che è ancora im-possibile per il povero Pietro, e forseanche per molti lettori del Vangelo.

Marco colloca la scena ai confini del-la Palestina con il mondo pagano: a Ce-sarea. Pietro e con lui la chiesa si collo-cano alle frontiere del mondo dei cre-

denti per annunciare il Messia. Il fattoche siamo sulla strada che porta allacittà dedicata a Cesare, pur essendo conottima probabilità un dato storico, puòavere il valore simbolico di evocare lastrada di Roma, dove Pietro confermeràcol sangue la sua fede in Gesù messia.

Gesù chiarifica subito come si espri-merà la sua messianicità, per non crearenei discepoli illusioni di potere terreno.Il risultato, inaspettato ma non troppo, èla reazione di Pietro. Pietro ragiona dauomo, e per un uomo il discorso di Gesùnon solo è difficile ma è addirittura as-surdo. Il tentativo compiuto dall’aposto-lo di fermare Gesù, di impedirgli di per-correre la via della croce arriverebbeperò alla conseguenza di impedirgli diraggiungere anche la resurrezione, favo-rendo in questo modo non il piano diDio, ma quello del demonio. Per questoGesù non mitiga le sue affermazioni male riprende con più crudezza, parlandodi croce a quella folla che lo aveva se-guito sull’onda dei miracoli e della mol-tiplicazione dei pani. Chiede di sceglie-re tra lui e le logiche umane di raziona-lità, interesse e convenienza. Su questascelta si attuerà il giudizio escatologicoche determinerà l’ingresso o meno nelRegno di Dio.

La confessione di Pietro, che era ilculmine della prima manifestazione diGesù, diventa contemporaneamente l’in-t roduzione ad una r ivelazione piùprofonda del suo mistero. Si tratta dicomprendere il modo inaspettato con cuiGesù attuerà la sua missione di Messia:cioè soffrendo molto e morendo in croce.Questa rivelazione è come un ritornelloche scandisce il ritmo della secondaparte del vangelo di Marco, con un’ecoche va crescendo. Ormai la vita di Gesùsi indirizza verso la passione, per tre

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volte la predice (8,31-33 ; 9,30-32 ;10,38-40) e alla fine la inizia entrandoin Gerusalemme. A Pietro e ai discepoli,che fanno fatica ad accettare che Gesùsia il Salvatore in un modo così tragico e

misterioso, Egli r isponde con forza(8,32-33 ; 10,38-40). Anzi rivolge an-che a essi un appello pressante a seguir-lo sulla via della croce (8,34-38 ; 9,33-35 ; 10,21.28-31.38-45).

XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO B24 settembre 2006Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Se uno vuol essere il primo,sia servo di tutti.

PRIMA LETTURADal libro della Sapienza (2,12.17-20)

Il libro della Sapienza racconta le vi-cende del “Giusto” contro il quale si acca-niscono coloro che non pongono la loro fi-ducia in Dio. Questi empi sono decisi atormentarlo e ad ucciderlo. Facendo di sestessi un assoluto e creandosi la proprialegge questi peccatori sono indotti a ridi-colizzare l’ideale al quale non possono cre-dere. Il giusto diventa perciò, per loro, unrimprovero vivente e si attira il loro odioirrimediabile. Gli avversari di Gesù nonagiranno diversamente fino ai piedi dellacroce.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Giacomo apostolo(3,16-4,3)

L’uomo chiede, anzi pretende costan-temente la pace, ma spesso a suo esclu-sivo profitto. Per questo con altrettantafacilità ci facciamo guerra. Ponendo noial centro del mondo, non possiamo sop-portare gli altri. Quando saremo final-mente capaci di accettare la saggezzache viene da Dio?

Essa renderà possibile la pace, tra-sformando il nostro cuore.

VANGELODal vangelo secondo Marco (9,30-37)

Gesù si sta dirigendo verso Gerusa-lemme, è il viaggio che lo porterà allapassione e Marco lo ricorda con questosecondo annunzio. L’incomprensione deidiscepoli è sempre più profonda ed ilVangelo la sottolinea con il contrasto traGesù che sta per diventare “l’ultimo degliultimi” ed i discepoli che stanno discu-tendo su chi sia il più grande. La loro vi-sione della ascesa messianica di Gesù aGerusalemme è infatti trionfalistica e cor-risponde al tipo di attesa del popoloebraico di allora. Per questo appare chia-ro perché Gesù introduca proprio qui ildiscorso sull’autorità come servizio. Gesùè venuto per servire ed il cuore del suoservizio all’umanità è costituito dalla pas-sione. Chi vuol seguirlo deve soprattuttoimitarlo in questa disponibilità di serviziodisinteressato. Bisogna lasciarsi alle spal-le l’immagine del messia trionfatore, lega-to al potere e ai forti, per accogliere quel-la di un Cristo debole tra i deboli e picco-lo tra i piccoli. Ma proprio per questo, Fi-glio di Dio. Si tratta di un insegnamentoparticolarmente solenne, come sottolineaMarco descrivendo Gesù come un Maestroassiso in mezzo ai suoi allievi. È infatti a

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loro, ai Dodici, che Gesù si rivolge! E’ unfatto raro in Marco, nel quale Gesù solita-mente parla alle folle o all’insieme dei di-scepoli. Gli insegnamenti rivolti “ai Dodi-ci” toccano il cuore del messaggio, ciòche fonda e caratterizza la Chiesa. Gesùinfatti sceglie coloro che ne saranno le co-lonne (Mc 3,13) e li invia solennemente inmissione (Mc 6,7). Qui abbiamo invece ladefinizione delle condizioni basilari percostruire la chiesa e la prima è l’impegnoconcreto di ognuno per mettersi all’ultimoposto: il posto del servo. Gesù definiscecosì la sua chiesa, non secondo una logicadi potere e di gerarchia basata sulla forza,ma all’opposto secondo una logica di ser-vizio e di conseguenza una gerarchia ba-sata sulla disponibilità a servire. E’ d’al-tra parte la logica normale su cui è fonda-ta la famiglia. Nella famiglia più i genitorisi pongono in una condizione di servizio,di disponibilità e di aiuto nei confrontidei figli, più diventano il vero centro dellavita della famiglia. In essa infatti ci si ri-

volge spontaneamente e liberamente versochi si pone a servizio, verso chi opera peril bene di tutti. Così si costruiscono connaturalezza le gerarchie interne. Si trattacerto di un progetto esigente, che richiedeuna dedizione profonda da parte di chivuol mettersi a servizio nel difficile com-pito di condurre il gregge di Dio. Si trattadi diventare ultimi, come era “ultimo”nella società di quel tempo il bambino,considerato soltanto quando era utile,quando poteva servire. Poi relegato in unangolo, perché le sue opinioni non merita-vano di esser ascoltate dagli adulti e lesue rivendicazioni non avevano alcun tipodi forza per imporsi. Un radicale capovol-gimento delle logiche umane che interro-ga direttamente chiunque è posto in unacondizione di autorità, di potere. C’è unasola via cristiana per essere assieme “pri-mi di questo mondo” e veri discepoli diCristo ed è mettersi a servizio del più de-bole, farsi ultimi per condividere le spe-ranze e le sofferenze dell’ultimo.

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Cari fratelli e sorelle,nella vigilia della sua Passione, duran-

te la Cena pasquale, il Signore prese ilpane nelle sue mani – così abbiamo sen-tito poco fa nel Vangelo – e, pronunziatala benedizione, lo spezzò e lo diede loro,dicendo: “Prendete, questo è il mio cor-po”. Poi prese il calice e rese grazie, lodiede loro e ne bevvero tutti. E disse:“Questo è il mio sangue, il sangue del-l’alleanza versato per molti” (Mc 14, 22-24). Tutta la storia di Dio con gli uominiè riassunta in queste parole. Non è sol-tanto raccolto ed interpretato il passato,ma anticipato anche il futuro – la venutadel Regno di Dio nel mondo. Ciò cheGesù dice, non sono semplicemente pa-role. Ciò che Egli dice, è avvenimento,l’avvenimento centrale della storia delmondo e della nostra vita personale.

Queste parole sono inesauribili. Vorreimeditare con voi in questa ora soltantoun unico aspetto. Gesù, come segnodella sua presenza, ha scelto pane e vi-no. Con ognuno dei due segni si donainteramente, non solo una parte di sé. IlRisorto non è diviso. Egli è una personache, mediante i segni, si avvicina a noi esi unisce a noi. I segni però rappresenta-no, a modo loro, ciascuno un aspettoparticolare del mistero di Lui e, con il lorotipico manifestarsi, vogliono parlare anoi, affinché noi impariamo a compren-

dere un po’ di più del mistero di GesùCristo. Durante la processione e nell’a-dorazione noi guardiamo l’Ostia consa-crata – il tipo più semplice di pane e dinutrimento, fatto soltanto di un po’ difarina e acqua. Così esso appare come ilcibo dei poveri, ai quali in primo luogo ilSignore ha destinato la sua vicinanza. Lapreghiera con la quale la Chiesa durantela liturgia della Messa consegna questopane al Signore, lo qualifica come fruttodella terra e del lavoro dell’uomo. In essoè racchiusa la fatica umana, il lavoroquotidiano di chi coltiva la terra, seminae raccoglie e finalmente prepara il pane.Tuttavia il pane non è semplicemente esoltanto il prodotto nostro, una cosa fat-ta da noi; è frutto della terra e quindi an-che dono. Perché il fatto che la terra por-ti frutto, non è un merito nostro; solo ilCreatore poteva conferirle la fertilità. Eora possiamo anche allargare ancora unpo’ questa preghiera della Chiesa, dicen-do: il pane è frutto della terra e insiemedel cielo. Presuppone la sinergia delleforze della terra e dei doni dall’alto, cioèdel sole e della pioggia. E anche l’acqua,di cui abbiamo bisogno per preparare ilpane, non possiamo produrla da noi. Inun periodo, in cui si parla della desertifi-cazione e sentiamo sempre di nuovo de-nunciare il pericolo che uomini e bestiemuoiano di sete in queste regioni

L’Ostia è la manna con la quale il Signore ci nutre

Papa Benedetto XVI1

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senz’acqua – in un tale periodoci rendiamo nuovamente conto

della grandezza del dono anche dell’ac-qua e quanto siamo incapaci di procu-rarcelo da soli. Allora, guardando più davicino, questo piccolo pezzo di Ostiabianca, questo pane dei poveri, ci apparecome una sintesi della creazione. Cielo eterra come anche attività e spirito del-l’uomo concorrono. La sinergia delle for-ze che rende possibile sul nostro poveropianeta il mistero della vita e l’esistenzadell’uomo, ci viene incontro in tutta lasua meravigliosa grandezza. Così comin-ciamo a capire perché il Signore scegliequesto pezzo di pane come suo segno.La creazione con tutti i suoi doni aspiraal di là di se stessa ad un qualcosa di an-cora più grande. Al di là della sintesi del-le proprie forze, al di là della sintesi an-che di natura e di spirito che in qualchemodo avvertiamo nel pezzo di pane, lacreazione è protesa verso la divinizzazio-ne, verso le sante nozze, verso l’unifica-zione con il Creatore stesso.

Ma ancora non abbiamo spiegato fi-no in fondo il messaggio di questo se-gno del pane. Il suo mistero più profon-do, il Signore l’ha accennato nella Do-menica delle Palme, quando gli fu pre-sentata la richiesta di alcuni Greci di po-terlo incontrare. Nella sua risposta a que-sta domanda si trova la frase: “In verità,in verità vi dico: se il chicco di grano ca-duto in terra non muore, rimane solo; seinvece muore, produce molto frutto”(Gv 12, 24). Nel pane fatto di chicchimacinati si cela il mistero della Passione.La farina, il grano macinato, presuppone

il morire e risuscitare del chicco. Nell’es-sere macinato e cotto esso porta poi insé ancora una volta lo stesso mistero del-la Passione. Solo attraverso il morire arri-va il risorgere, arriva il frutto e la nuovavita. Le culture del Mediterraneo, nei se-coli prima di Cristo, hanno intuitoprofondamente questo mistero. Sullabase dell’esperienza di questo morire erisorgere hanno concepito miti di divinitàche, morendo e risuscitando, davano vi-ta nuova. Il ciclo della natura sembravaloro come una promessa divina in mezzoalle tenebre della sofferenza e della mor-te imposte a noi. In questi miti l’animadegli uomini, in certo qual modo, si pro-tendeva verso quel Dio che si è fatto uo-mo, si è umiliato fino alla morte in crocee ha aperto così per tutti noi la porta del-la vita. Nel pane e nel suo divenire, gliuomini hanno scoperto come una attesadella natura, come una promessa dellanatura che questo avrebbe dovuto esi-stere: il Dio che muore e in questo modoci conduce alla vita. Ciò che nei miti eraattesa e che nello stesso chicco di granoè nascosto come segno della speranzadella creazione – questo è accaduto real-mente in Cristo. Attraverso il suo soffriree morire liberamente, Egli è diventatopane per tutti noi, e con ciò speranza vi-va ed attendibile: Egli ci accompagna intutte le nostre sofferenze fino alla morte.Le vie che Egli percorre con noi e attra-verso le quali ci conduce alla vita sonocammini di speranza.

Quando noi adorando guardiamol’Ostia consacrata, il segno della creazio-ne ci parla. Allora incontriamo la gran-

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Animazione Liturgica

La p

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dezza del suo dono; ma incontriamoanche la Passione, la Croce di Gesù e lasua risurrezione. Mediante questo guar-dare in adorazione, Egli ci attira verso disé, dentro il suo mistero, per mezzo delquale vuole trasformarci come ha tra-sformato l’Ostia.

La Chiesa primitiva ha trovato nel pa-ne ancora un altro simbolismo. La Dot-trina dei dodici Apostoli, un libro com-posto intorno all’anno 100, riporta nellesue preghiere l’affermazione: “Comequesto pane spezzato era sparso sui col-li e raccolto divenne una cosa sola, cosìla tua Chiesa dai confini della terra ven-ga radunata nel tuo Regno” (IX, 4). Ilpane fatto da molti chicchi racchiudeanche un evento di unione: il diventarepane dei chicchi macinati è un processodi unificazione. Noi stessi, dai molti chesiamo, dobbiamo diventare un solo pa-ne, un solo corpo, ci dice san Paolo (1Cor 10,17). Così il segno del pane di-venta insieme speranza e compito.

In modo molto simile ci parla anche ilsegno del vino. Mentre però il pane ri-manda alla quotidianità, alla semplicità eal pellegrinaggio, il vino esprime la squisi-tezza della creazione: la festa di gioia cheDio vuole offrirci alla fine dei tempi e chegià ora sempre di nuovo anticipa a mododi accenno mediante questo segno. Maanche il vino parla della Passione: la vitedeve essere potata ripetutamente per es-sere così purificata; l’uva deve maturare

sotto il sole e la pioggia e deveessere pigiata: solo attraverso ta-le passione matura un vino pregiato.

Nella festa del Corpus Domini guar-diamo soprattutto il segno del pane. Es-so ci ricorda anche il pellegrinaggio diIsraele durante i quarant’anni nel deser-to. L’Ostia è la nostra manna con la qua-le il Signore ci nutre – è veramente il pa-ne dal cielo, mediante il quale Egli donase stesso. Nella processione noi seguia-mo questo segno e così seguiamo Luistesso. E lo preghiamo:

Guidaci sulle strade di questa nostra storia!Mostra alla Chiesa e ai suoi Pastorisempre di nuovo il giusto cammino! Guarda l’umanità che soffre, che vagainsicura tra tanti interrogativi; guarda la fame fisica e psichica che la tormenta! Dà agli uomini pane per il corpo e perl’anima! Dà loro lavoro! Dà loro luce! Dà loro te stesso! Purifica e santifica tutti noi! Facci comprendere che solo mediante lapartecipazione alla tua Passione,mediante il “sì” alla croce, alla rinuncia,alle purificazioni che tu ci imponi, la nostra vita può maturare e raggiungere il suo vero compimento. Radunaci da tutti i confini della terra. Unisci la tua Chiesa, unisci l’umanità lacerata! Donaci la tua salvezza! Amen!

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——————1 Omelia, Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo, 15 giugno 2006, Sagrato Basilica S. Giov. in Laterano. © Libreria Ed. Vaticana.

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Canto d’inizio (si pone l’icona di Maria presso l’ambone)

Rit.Lodiamo la Vergine Maria, la Madre del Signore,lodiamo l’Immacolata Vergine, Madre dell’amore.

- Ave, o figlia dell’Altissimo, ave, o sposa del Paraclito,ave, o Madre del Signore, o Maria! (R.)

- Ave, o Vergine purissima, ave, o vergine castissima,ave, o eletta tra le vergini, o Maria! (R.)

- Ave, o porta di rifugio, ave, speranza di noi esuli,ave, salute degli infermi, o Maria! (R.)

Saluto del Presidente

P. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

A. Amen.

P. Venerabile è per noi, Signore, la festa che commemora questo giorno, nel qualela santa Madre subì la morte temporale ma tuttavia non poté essere trattenutadai vincoli della morte, lei che aveva generato dalla sua sostanza il tuo Figlio, no-stro Signore incarnato.Preghiamo.Signore, ogni volta che consideri i nostri peccati, le nostre mancanze, ricordatidella purezza di tua Madre!Signore, ogni volta che consideri le nostre impurità, le nostre sozzure, ricordatidella verginità, della radiosa santità di Colei che ti ha generato!Signore, ogni volta che consideri le nostre infedeltà, ricordati delle suppliche diColei che ti ha portato in grembo!

A. Amen.

LITURGIA MARIANAin prossimità della Solennità

dell’Assunzione della B. V. MariaRita Di Pasquale

Preg

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I Lettura: Is 2, 2-5: Camminiamo nella luce del Signore.

Salmo 83 (84), 3-8

Rit. Com’è dolce, Signore, abitare la tua casa!

L’anima languiscee brama gli atri del Signore.Il mio cuore e la mia carneesultano nel Dio vivente. (Rit)

Anche il passero trova la casa,la rondine il nido, dove porre il suoi piccoli,presso i tuoi altari,Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. (Rit)

Beato chi abita la tua casa:sempre canta le tue lodi!Beato chi trova in te la sua forzae decide nel suo cuore il santo viaggio. (Rit)

Passando per la valle del piantola cambia in una sorgente,anche la prima pioggial’ammanta di benedizioni.Cresce lungo il cammino il suo vigore,finché compare davanti a Dio in Sion! (Rit)

II Lettura: 1 Cor 6, 19 – 20: Glorificate Dio nel vostro corpo.

Canto al Vangelo

Alleluia…Chi accoglie il regno di Dio come un bambino, entrerà in esso.Alleluia…

Vangelo: Mc 10, 13-16: Lasciate che i bambini vengano a me.

Breve Riflessione

Preg

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Preghiera Litanica (a cori alterni)

1C. Lei beata: ha ricevuto lo Spirito che la rese pura e immacolata: è diventata il tempio in cui abita il Figlio delle celesti altezze.

2C. Lei beata: ha conservato la corona meravigliosa della sua verginità, e la sua gloria brilla per sempre.

1C. Lei beata: per lei fu rinnovata la stirpe di Adamo, furono ricondotti quelli che avevano abbandonato la casa del Padre.

2C. Lei beata: senza conoscere le unioni umane, può contemplare senza confusione suo figlio come le altre madri.

1C. Lei beata: il suo corpo rimase senza macchia, e fu glorificato dal tenero frutto della sua verginità.

2C. Lei beata: il suo piccolo seno ha contenuto la grandezza sconfinata, che riempie i cieli senza che essi possano portarla.

1C. Lei beata: ha dato la vita a Colui che generò Adamo e rinnovò tutte le creature rovinate.

2C. Lei beata: allattò colui che solleva i flutti del mare.

1C. Lei beata: ha portato il gigante potente che sostiene il mondo con un vigore segreto, l’ha abbracciato e coperto di carezze teneramente.

2C. Lei beata: ha suscitato per i prigionieri un liberatore, che ha incatenato il carceriere e reso la pace alla terra.

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1C. Lei beata: le sue labbra hanno toccato Colui la cui fiamma fa indietreggiare gli ardenti Serafini.

2C. Lei beata: ha potuto nutrire col suo latte Colui che ha dato la vita a tutti i mondi.

1C. Lei beata: perché tutti i santi devono a suo Figlio la felicità.

2C. Benedetto è il Santo di Dio che è fiorito dalla tua purezza, o Maria.

Santissima sovrana, o Madre di Dio, per le tue sante e possenti preghiere, allontana da noi,tuoi umili servitori, ogni scoraggiamento, tiepidezza, pigrizia, errore, ed ogni pensiero im-puro, cattivo ed empio proveniente dai nostri cuori e dalle nostre intelligenze ottenebrate.Spegni la fiamma delle nostre passioni, perché noi siamo poveri. Liberaci dai nostri nume-rosi e cattivi ricordi e azioni e preservaci da ogni moto cattivo. Perché tu sei benedetta tratutte le genti e il tuo nome venerando è glorificato nei secoli dei secoli.

Amen.

Canto del Magnificat(ciascuno offre un fiore all’icona di Maria. Il fiore è bianco, segno della Sua purezza equindi della partecipazione alla gloria di Dio).

- L’anima mia magnifica il Signoree il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore,

- perché ha guardato l’umiltà della sua serva.D’ora in poi tutte le generazioniMi chiameranno beata.

- Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotentee Santo è il suo nome:

- di generazione in generazione la sua misericordiasi stende su quelli che lo temono.

Preg

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- Ha spiegato la potenza del suo braccio,ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

- ha rovesciato i potenti dai troni,ha innalzato gli umili;

- ha ricolmato di beni gli affamati,ha rimandato i ricchi a mani vuote.

- Ha soccorso Israele, suo servo,ricordandosi della sua misericordia,

- come aveva promesso ai nostri padri,ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

- Gloria al Padre e al Figlioe allo Spirito Santo

- come era nel principio e ora e semprenei secoli dei secoli. Amen.

P. O Maria immacolata, assunta in cielo, tu che vivi beatissima nella visione di Dio, diDio Padre che fece di te alta creatura, di Dio Figlio che volle da te essere generatouomo e averti sua madre, di Dio Spirito Santo che in te compì la concezione uma-na del Salvatore.O Maria purissima, o Maria dolcissima, o Maria bellissima, forte come schiere incampo. O Maria pensosa, o Maria povera, o Maria dolorosa, o Maria Vergine, oMaria Madre, umanissima come Eva, più di Eva.Vicina a Dio, nella sua grazia, nei suoi privilegi, nei suoi misteri, nella sua missio-ne, nella sua gloria.O Maria, porta del cielo, specchio della luce divina, tabernacolo dell’alleanza traDio e gli uomini, lascia che salgano dietro il tuo radioso cammino trasportate dauna speranza che il mondo non ha: quella della beatitudine celeste.Confortaci dal cielo, o Madre pietosa, e per le tue vie, della purezza e della spe-ranza, guidaci un giorno all’incontro beato con te e con il tuo Figlio, il nostro Sal-vatore Gesù.

A. Amen.

P. Il Signore sia con voi.

Preg

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A. E con il tuo spirito.

P. La gioia del Signore sia nostra forza. Andate in pace.

Rendiamo grazie a Dio.

Canto

- Mentre trascorre la vita, solo tu non sei mai,santa Maria del cammino, sempre sarà con te.

Rit. Vieni o Madre in mezzo a noi, vieni Maria quaggiù,cammineremo insieme a te, verso la libertà.

- Quando qualcuno ti dice: “nulla mai cambierà”;lotta per un mondo nuovo, lotta per la verità. (Rit.)

- Lungo la strada la gente chiusa in se stessa va;offri per primo la mano a chi è vicino a te. (Rit.)

- Quando ti senti ormai stanco e sembra inutile andar;tu vai tracciando un cammino, un altro ti seguirà. (Rit.)

- “Ave, o piena di grazia, il Signore è con te”;“Ecco l’ancella di Dio, operi Lui in me”. (Rit.)

Preg

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li articoli di questa rubrica in-tendono promuovere, attra-verso l’analisi dell’innodia lati-

na, una celebrazione della liturgia del-le ore sempre più dignitosa e fruttuo-sa; si indirizza, perciò, soprattutto acoloro che hanno già acquisito unacerta familiarità con il breviario. Tutta-via sarebbe bello che anche coloro chenon sono stati mai iniziati alla preghie-ra dell’ufficio divino potessero pianpiano conoscerla ed apprezzarla.

Di norma il primo incontro conquesta forma di preghiera si realizzapartecipando a qualcuna delle oremaggiori (lodi, o – più spesso – ve-spri); e certamente questo modo difare è teologicamente del tutto cor-retto. Tuttavia da un punto di vistapastorale non è detto che le oremaggiori siano le più “faci l i” dacomprendere e da celebrare.

Sono infatti a conoscenza di alcu-ne interessanti iniziative, volte ad in-vogliare i laici alla preghiera delleore, che partono dall’ora media, of-frendo una liturgia semplice e sobria,ma curata ed accogliente. In alcunechiesette o cappelle, soprattutto inprossimità di uffici o fabbriche, du-rante l’ora della “pausa pranzo” lagente che interrompe il lavoro acco-glie volentieri l’invito a fermarsi queidieci o quindici minuti per un mo-mento di raccoglimento e preghiera.

Talora queste iniziative hanno raccol-to un consenso che ha sorpreso gliorganizzatori stessi; ma la bellezzadell’ora media spiega bene il fascinodi questa semplice proposta. I salmiprevisti infatti, di norma, non sonotroppo lunghi né complessi; le breviletture sono scelte in modo da offriresempre qualche spunto spirituale ef-ficace; le orazioni poi esprimono inmodo poeticamente felice la gratitu-dine dei credenti per la sosta di pre-ghiera che spezza la fatica del lavoroquotidiano; infine, gli inni – di cuiora vogliamo occuparci – costituisco-no uno straordinario esempio di slan-cio mistico unito a grande sobrietà eviva consapevolezza di dover prestoriprendere l’impegno nelle faccendedi ogni giorno. La recita personale ocomunitaria dell’ora media potrebbeperciò essere una strada forse insoli-ta, ma a mio giudizio molto efficace,per prender confidenza con la recitacostante del breviario e con il lin-guaggio, di per sé non sempre facile,del salterio.

Certo, i cardini della liturgia delleore rimangono lodi e vespri; ma le treore medie che ci vengono offertedall’attuale breviario costituiscono unprezioso tesoro che potrebbe esserevalorizzato meglio di quanto non sifaccia. La riforma del breviario pro-mossa dal Concilio Vaticano II ha re-

L’innodia dell’«ora media»don Filippo Morlacchi

G

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stituito importanza primaria alla “ve-ritas horarum”, ossia l’attenta corri-spondenza tra l’ora canonica che sicelebra e l’effettiva ora del giorno. Seil dovere di rendere lode a Dio – que-sto significa il termine tradizionale«officium» – non è stato abolito (al-meno per i religiosi e tutti coloro chesi impegnano pubblicamente alla re-cita del breviario), l’espressione oggipiù consueta di «liturgia delle ore»invita a vivere questa preghiera piut-tosto come una santificazione deltempo: tempo che per il credentenon è mai semplicemente «chrònos»,ma «kairòs», cioè tempo propizio eprezioso, in cui si fa memoria dei mi-steri della salvezza per esserne inte-riormente rinnovati. Come annota laCostituzione apostolica Laudis canti-cum, composta da Paolo VI per pro-mulgare l’ufficio divino rinnovato,l’ordinamento del breviario «è statoriveduto in modo che le Ore canoni-che possano più facilmente corri-spondere alle varie ore del giorno, te-nuto conto delle condizioni in cui sisvolge la vita degli uomini del nostrotempo. Perciò è stata abolita l’Ora diPrima. […] L’Ora media è stata ordi-nata in maniera tale che coloro i qua-li delle ore di Terza, Sesta e Nona nescelgono solo una, la possano armo-nizzare con il momento del giorno incui la celebrano».1 In altre parole,

tutti coloro che lo desiderano– dunque anche i laici impe-gnati nel lavoro secolare – possono inquesto modo agevolmente trovarequalche minuto nella giornata per vi-vere un tempo di preghiera liturgicapienamente rispondente alla «veritàdelle ore». Tra terza e nona – ossiafra le nove del mattino e le tre delpomeriggio2 – è possibile a molti tro-vare un breve tempo di pausa, e lapossibilità di scegliere una delle trediverse «ore medie» facilita la recitadella preghiera secondo la veritas ho-rarum.

Salvo poche eccezioni relative altempo di quaresima e di pasqua, gliinni previsti per l’ora media sono glistessi per tutto l’anno; varia invece, aseconda del tempo liturgico, la melo-dia gregoriana su cui essi possono es-sere cantati. Per ogni «ora media» èpossibile scegliere tra due inni, glistessi per ogni giorno della settimana;analizzeremo adesso brevemente ilprimo di ciascuna coppia. Tutti e tresono attribuiti a Sant’Ambrogio, e –come ci si può aspettare da un taleautore – sono di eccellente fatturaletteraria. La traduzione della CEI è, amio giudizio, particolarmente felice;io ne offro, come sempre, una menopoetica e più letterale, al solo fine difavorire la comprensione dell’origina-le.

Nunc, Sancte, nobis, Spíritus,unum Patri cum Fílio,dignáre promptus íngerinostro refúsus péctori.

Ora, o Spirito Santo,uno col Padre e col Figlio,degnati di venire in noi con slancio,riversandoti nel nostro cuore.

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Os, lingua, mens, sensus, vigor,confessiónem pérsonent;

flamméscat igne cáritas,accéndat ardor próximos.

Per te sciámus da Patrem,noscámus atque Fílium,te utriúsque Spíritumcredámus omni témpore. Amen.

Rector potens, verax Deus,qui temperas rerum vices,splendóre mane ínstruiset ígnibus merídiem.

Extíngue flammas lítium,aufer calórem nóxium,confer salútem córporumverámque pacem córdium.

Praesta, Pater piíssime,Patríque compar Unice,cum Spíritu Paraclitoregnans per omne saéculum. Amen

Rerum, Deus, tenax vigor,immótus in te pérmanens,lucis diúrnae témporasuccéssibus detérminans,

Largíre clarum véspere,quo vita numquam décidat,sed praémium mortis sacraeperénnis instet glória.

Praesta, Pater piissime,Patríque compar Unice,cum Spíritu Paráclitoregnans per omne saéculum. Amen

Bocca, lingua, mente, sensi, energiefacciano risuonare la confessione,l’amore divampi come fuoco,l’ardore si propaghi ai fratelli.

Facci conoscere il Padre,rivelaci anche il Figlio;e Te, Spirito di entrambipossiamo credere in eterno. Amen.

Potente Signore, Dio verace,che regoli le vicende delle cose,adorni il mattino di splendoree di fuochi il mezzogiorno.

Estingui le fiamme delle liti,liberaci dalla passionalità colpevole;concedi la salute al corpoe la vera pace al cuore.

Assistici, o Padre di bontà,e Tu, Unigenito uguale al Padre,che regni in eternocon lo Spirito consolatore. Amen.

O Dio, forza che sostiene ogni cosa,che permani immutabile,che stabilisci lo scorreredei tempi della luce di ogni giorno,

concedici una sera luminosa,in cui la vita non venga mai meno,ma in premio di una morte santasopraggiunga la gloria perenne.

Assistici, o Padre di bontà,e Tu, Unigenito uguale al Padre,che regni in eternocon lo Spirito consolatore. Amen.

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La connotazione temporale dei treinni è espressa chiaramente e con vi-gore. L’ora terza, quando la giornata èda poco iniziata e ci si addentra nel vi-vo degli impegni lavorativi, si apre conl’invocazione allo Spirito Santo. Manon si tratta di una semplice richiestadi sostegno a Colui che è la «forza diDio» («d?namis theoù») per affrontarela fatica della giornata: è invece unpreciso ricordo della Pentecoste, cheavvenne proprio alle nove del mattinocioè – come più letteralmente dice sanLuca – «all’ora terza» (At 2,15). L’«og-gi» (hodie) della salvezza, che risuonaquasi nella totalità delle feste liturgi-che per ricordare l’evento di cui si famemoriale, si precisa ancor di piùnell’«adesso» (nunc) del primo verso.Proprio ora, in coinciden-za con quanto avvenne ilmattino di Pentecoste, laChiesa invoca la discesadello Spirito Santo. Egli èconsostanziale al Padre eal Figlio, e per questo l’o-rante invoca umilmente esommessamente la suapresenza, come un gestodi benignità e di condi-scendenza. E nondimenola richiesta è appassionataed audace: si chiede chelo Spirito sia «promptus»,cioè propizio, generoso,disposto a concedere sestesso al credente che loinvoca. L’immagine del-l’ultimo emistichio rie-

cheggia un noto testo paolino,secondo il quale «l’amore diDio è stato riversato nei nostri cuoriper mezzo dello Spirito Santo che ci èstato dato» (Rm 5,5): il cuore dell’uo-mo è un recipiente capax Dei, in cuil’unzione dello Spirito Santo discendecome olio prezioso in un orcio di creta(cfr 2Cor 4,7).

La seconda strofa chiede allo Spiri-to di realizzare l’unità della personanella piena sintonia di tutte le sue di-mensioni e componenti. Frutto prima-rio dell’azione del Consolatore è infattiunificare3 progressivamente l’uomo,superando le tensioni tra desideri con-trastanti e contraddittori. Ed è la con-fessione di fede – cioè, concretamen-te, la preghiera di terza che si sta cele-

Discesa dello Spirito Santo Cor. VI Cod, MLIX C. 138 v.

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brando – a costituire il centroverso cui tutto deve converge-

re: la bocca che canta le lodi, la menteche contempla la Trinità, ma anche lasensibilità e tutte le energie interiori, inuno sforzo di concentrazione che, purnella brevità della preghiera, superiogni distrazione. Frutto maturo di que-sto impegno, prosegue il testo, saràl’ardore di carità che diventa amoredel prossimo. Non c’è vera preghierache non diventi servizio, non c’è attodi fede che non trabocchi nella carità;e quando la giornata è appena inizia-ta, è giusto chiedere all’Amore triper-sonale di guidare ed animare ogni no-stra azione. La dossologia conclusiva èuguale a quella del Veni Creator, che siindirizza primariamente allo SpiritoSanto, come mediatore interiore dellaconoscenza del Padre e del Figlio.

L’inno di sesta si indirizza invece di-rettamente al Padre, colui che gover-na il mondo con la sua potenza prov-vidente. Egli è il Dio vivo e vero (ve-rax), che guida l’alternarsi delle vicen-de umane, e quindi dispone lo splen-dore luminoso dell’alba ed il calore in-fuocato del mezzodì. La giornata ègiunta alla sua metà: è il momento di“svolta”, in cui si fa una legittima so-spensione perché «il più del lavoro èfatto». Il credente si ferma e riconosceche è il Signore a guidare i ritmi deltempo e le azioni degli uomini. Il“fuoco” del mezzogiorno invita a ri-flettere su altri “fuochi” interiori: nonil benevolo fuoco di carità invocatonell’inno precedente, ma le intempe-

ranze della passionalità e gli attriti deiconflitti. È ben possibile che, dopoaver lavorato gomito a gomito con al-tre persone, si sia acceso qualche con-flitto o qualche rivalità. Al Padre cele-ste, in questa pausa di preghiera vienechiesto di restituire al cuore la sua pa-ce e la sua serenità, estinguendo ognifocolaio d’ira e sradicando le passioniche nuocciono, in primo luogo, a chine è soggiogato. È lodevole tradizioneanche fare un piccolo esame di co-scienza a metà della giornata: l’oramedia è un momento propizio ancheper riconoscere le eventuali mancanzee invocare l’aiuto divino per riprende-re il lavoro senza conflitti e nell’impe-gno gioioso per il bene. La pace delcuore, fa rilevare l’inno, porta con séanche la salute del corpo, cioè unmaggior benessere: quando le tensio-ni eccessive si stemperano e i nervi sidistendono, la stanchezza si fa sentiredi meno e si lavora meglio…. La dos-sologia, identica anche per l’inno se-guente, invoca l’assistenza divina(«praesta», ossia: proteggici, sii pre-sente, governaci) per portare a compi-mento gli impegni che rimangono dadisbrigare.

Anche l’inno di nona si rivolge subi-to al Padre, e lo invoca come «forzache sostiene e sorregge ogni cosa» (re-rum … tenax vigor). Il giorno volge aldeclino, ma resta ancora un impegna-tivo tratto da compiere: è il momentodi chiedere sostegno al Signore, quan-do la stanchezza si fa sentire e il vigoredel mattino viene meno. Il fulgore del

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mezzogiorno sta scemando, e con es-so anche le energie e le risorse uma-ne… Ma se ogni cosa umana prima opoi volge inesorabilmente verso il suotramonto, non è così per Dio: Egli ri-mane «immobile in se stesso» perchéè l’Eterno, «al di là del tempo», il qua-le viene da Lui determinato e condot-to, senza però che la sua eternità nevenga minacciata o scalfita. Il pensierodel tramonto, che ancora è lontano,ma già in certo modo si preannuncianell’ora nona, porta il credente a pen-sare al tramonto della vita. Ed ecco al-lora la richiesta: concedici una serataluminosa, cioè – fuor di metafora – ditrascorrere il resto dei nostri anni cam-minando nella Tua luce, conducendouna vita santa che possa poi trascolo-rare in vita eterna e gloriosa. Una sanatensione escatologica non impedisce alcredente di lavorare sodo e impegnarsiper il progresso della città terrena, maoffre un orizzonte più ampio, un oriz-zonte di vita senza confini che rinnovale forze ed accende lo zelo. Un aned-doto medievale di cui non so riferire la

fonte narra di tre scalpelliniche svolgevano lo stesso pe-sante lavoro con slancio e dedizionediversa a causa del loro diverso atteg-giamento interiore. Il primo diceva:«mi spezza la schiena, questo lavorac-cio!», ed imprecava la sua sorte; il se-condo si asciugava il sudore dicendo:«che fatica squadrare le pietre!»; il ter-zo diceva a sé stesso con lo sguardoluminoso: «quale gioia e quale onore:sto costruendo una cattedrale!». La re-cita dell’ora media può aiutare a sco-prire questa dimensione ampia e posi-tiva del lavoro – che è per tutti il primoluogo di santificazione personale – re-stituendogli fecondità e pienezza di si-gnificato. Una delle orazioni di sestarecita: «O Dio,… benedici il nostro la-voro quotidiano, e fa’ che serva al di-segno universale di salvezza» (martedìdella II sett.). L’ora media può essereun prezioso aiuto per trasformare lafatica, talvolta alienante, della ferialità,in gioiosa consapevolezza di contribui-re, nel nostro piccolo, all’edificazionedel Regno di Dio.

——————1 Paolo VI, Cost. Ap. Laudis canticum (1° novem-

bre 1970), n. 2. Questo testo – veramente bel-lissimo e prezioso per tutti coloro che preganocon la liturgia delle ore! – è facilmente reperibileall’inizio del primo volume breviario, subito pri-ma dei Principi e norme per la liturgia delle ore.

2 Le ore canoniche vengono ancora chiamatesecondo l’uso antico, cioè con il numero corri-spondente all’ora di una giornata tradizionaledi lavoro, che iniziava all’alba (cioè intorno allesei) e si chiudeva al tramonto (verso le diciot-to). Perciò la “terza ora” (di lavoro) corrispon-de alle nove del mattino, la “sesta” al mezzo-

giorno, la “nona” alle tre del pomeriggio. Adesempio, la parabola degli operai chiamati alavorare nella vigna (Mt 20,1-16) calcola le orein questo modo: laddove la traduzione riporta«le cinque del pomeriggio» l’espressione origi-nale è «ora undicesima» (Mt 20,6.9), e cosìanalogamente per tutte le ore in cui il padronechiama gli operai al lavoro.

3 Scopo primario della vita monastica non è in-fatti tanto la solitudine (mònos = solo), quantoil raggiungere quella «unità di vita interiore»(bìos monòtropos) che porta la vera pace ed èil segno più credibile dell’uomo nuovo.

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dir la verità in principio fu lo“stilo”: sì, quell’asticciola ap-puntita con cui gli antichi

scrivevano sulle tavolette di cera,avendo facoltà di cancellare e correg-gere con la parte superiore piatta ciòche era stato già scritto. Ognuno scri-veva con “lo stilo” a modo suo: vuoiquanto a calligrafia, vuoi quanto a so-stanza d’un testo che lo scrivere e ilcancellare rendevano pensato e perso-nale. Dalla manualità alla modalità,cambiando solo una lettera, da stilo a“stile”. Sì che ancora in antichità si èpassati ad indicare per stile la fisiono-mia caratteristica d’opere rientranti innorme consacrate dalla scienza delloscrivere: ed ecco lo stile tragico, eccoquello elegiaco, ecco quello oratorio.Che non vanno confusi con i generi,di cui parlavamo nel numero scorso:essendo questi in fondo contenitoricategoriali di forme, quello una deter-minazione creativa attinente l’espres-sione artistica, che per ogni autore èespressione personale. Il concetto distile può distinguersi tanto, oggettiva-mente, come complesso di regole chedisciplinano l’esercizio di un’arte,quanto, soggettivamente, nell’indivi-dualità di ogni esercente quell’arte: ela storia dello stile non può nasconde-re una tensione tra siffatti ed oppostipoli, una dialettica tra regole frenantie pulsioni dilatatorie, inesauribile per-ché il vero creatore è anche e sempre

innovatore. E nel creare rivela di sénon solo l’interiorità profonda, ma an-che i modi d’espansione e di comuni-cazione di questa: il carattere unico edirripetibile del proprio linguaggio. Cheè la nostra definizione di stile. Non c’ècreazione, non c’è arte, senza stile:che può essere di “scuola”, d’una cor-rente che accomuna in un flusso uni-co autori diversi; che, meglio, può es-sere il quid ulteriormente individuanted’una personalità. Un’antifona grego-riana di tradizione romana non saràstilisticamente uguale ad una d’ambi-to cistercense; una pagina organisticadi Buxtehude non sarà uguale ad unadi J. S. Bach; un Notturno di Field aduno di Chopin. Altro dunque è lo stileformale, altro è lo stile sostanziale; al-tro è lo stile d’un momento epocale,altro è quello d’una mano creatrice:che opererà certo all’interno del mo-mento, ma con quel segno “unico edirripetibile” che gli dà un nome, lochiama ad esistenza e conoscibilità. Ènaturale ora pensare e cercar di dire,sia pur in brevi cenni, quanto di taleproblematica afferisce uno “stile sa-cro” ed uno “stile profano”. “Quidest sacrum”? Abbiamo già visto che –quanto ai generi – distinzioni e prassinon delimitano in modo né stagno, néesauriente ciò che è “per il tempio”(“fanum”), da ciò che ne è fuori(“pro-fanum”), né ciò che è religiosoda ciò che è laico. Invero in tentativi

UNA QUESTIONE DI STILE…don Maurizio Modugno

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per definire intimamente uno “stilesacro” sono stati a dir poco eteroge-nei e fluttuanti: i modi come “motoridegli affetti”, la “purezza e l’innocen-za” dei suoni, la smaterializzazionedei contenuti; l’universalità spirituale;la santità e la bontà delle forme; il ri-ferimento ai modelli protocristiani; lavocalità assoluta etc. . La difficile solu-zione nasce dalla natura stessa dell’ar-te dei suoni. Vladimir Jankélévitch hasottolineato in modo, diremmo defini-tivo, che la musica vive una sublimedicotomia tra assenza di significati re-ferenziali ed inesauribilità ermeneuti-ca: l’esperienza musicale non albergarealtà definite, eppur possiede una ric-chezza di sensi non altrimenti dicibile.Vive in questa un’essenza in ultimosempre segreta che si manifesta in unlinguaggio simbolico, latore di un fir-mamento di segnali non altrimentiesprimibile e a forte connotazioneemotiva, radicati nel regno delprofondo e metafora di tutto ciò cheè altro dal linguaggio verbale. “Quan-do le parole non bastano più, sono isuoni a parlare” (Grillparzer). Solo lamusica possiede la capacità di rappre-sentare l’assente, d’essere testimo-nianza di spazi infiniti e di verità im-mense e di ricchezze umane proteseverso l’alto. Senza peraltro rifuggiredal reale, poiché essa sempre ci inse-gna qualcosa a proposito del mondo:ma in una naturale ripulsa dall’empiri-co e nella potenzialità d’aprirsi all’em-pireo. Non apofatica, ma ineffabile lamusica può dire il sacro come nes-

sun’altra arte. Né è esistita odesiste stagione della fede chene abbia voluto e potuto prescindere.Il punto è riuscir ad affondare il bisturinel momento imponderabile dell’in-contro fra autore e fruitore: è qui chesi verifica l’atto comunicativo tra chipropone una realtà sonora e chi la re-cepisce nella propria sensibilità. E’ qui,tra “dono” e “accoglienza”, che sipongono istanze e criteri, memorie eprofezie, ripulse ed entusiasmi. Qualisono allora, o quali si vorrebbero, i da-ti grammaticali, sintattici, formali, sim-bolici, d’anima e di corpo, idonei adeterminare in quest’atto comunicati-vo l’affermazione e la percezione delsacro, ossia il carattere d’un linguag-gio specifico? Non pretendiamo forni-re risposte totalizzanti e il Magisteroha fornito talune indicazioni non se-condarie. Qui è possibile solo tracciaredelle coordinate. Certo non possiamochiedere uno stile fuori del suo tem-po. Ogni realtà concernente l’uomo –la stessa Parola di Dio – si è incultura-ta in un luogo, in un secolo, in cuori emani conosciute o sconosciute, maesistenti, vive. L’ultimo mezzo secoloha visto mutare profondamente alcu-ne prospettive: e soprattutto la nascitadi discipline storico-scientifiche maitentate in termini così densi e attendi-bili. Il Vivaldi, il Bach, l’edizione criticade Il viaggio a Reims di Rossini, propo-sti da Rinaldo Alessandrini, da TonKoopman, da Claudio Abbado, equi-valgono al restauro d’un Caravaggio,d’un Michelangelo, d’un Leonardo e

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consentono una leggibilità as-solutamente inedita. In un’e-

poca arida di creazione, ma fecondadi coscienza storica, ci sfuggono pro-prio per questo talune precomprensio-ni ancora di difficile prognosi. Tuttisappiamo che non è mai esistita unamusica sacra totalmente disancoratada quella profana: se il gregoriano hacerto accolto melodie di provenienzapagana; se la nascente polifonia hasembrato subito contraddire il concet-to del “cor unum”-“vox una”; se poila battaglia più furibonda sviluppatasiall’interno de “fanum musicale” è sta-ta – dall’Ars Nova al Movimento Ceci-liano – proprio quella intesa ad affer-mare un “noli me tangere” verso quel“profanum” di volta in volta necessa-rio, suadente, aggressivo, invadente.Di questo duello, fattosi talora crocia-ta, noi dobbiamo respingere ogni esi-to estremo, ma anche purificare lamemoria. Come non possiamo chie-dere a Benozzo Bozzoli un corteo diRe Magi nei costumi dei “magu” per-siani del I secolo d.C., ma prendere at-to dello splendore di quelli del suotempo, così non possiamo chiedere aMonteverdi, a Gesualdo, a Haydn, aRossini, a Verdi, altro stile, altro lin-guaggio che quello del Seicento, delSettecento, dell’Ottocento. E accettar-lo, storicizzandolo beninteso, anchequando vi si traoda il madrigale profa-no, l’opera barocca, la sinfonia classi-ca, il melodramma romantico, senzacontrapposizioni manichee, senzacontraltari dedicati a nomi (Palestrina?

J.S. Bach?) immaginati da una vergi-nità metastorica inesistente. Vero è in-vece che possiamo chiedere uno stileed un linguaggio idonei ad esprimereil sacro sotto ogni stagione sulla basedi altri e ben più sostanziali criteri. Ilprimo dei quali appartiene di per séad un ambito tecnico: e concerne latonalità. Ossia “il rapporto di gerar-chia che in una successione di suoni sistabilisce nei confronti di una tonica,di un suono prescelto al quale e versoil quale gravitano tutti gli altri”. Da ta-le rapporto gli accordi acquistano unsignificato particolare, si combinano instruttura: ove la gerarchia non sologarantisce la coesione, ma è opzionedi libertà – la cadenza tonale – checonsente di passare a concatenazioni,giustapposizioni, sviluppi, distanzesempre naturalmente (leggi: biologi-camente e spiritualmente) consequen-ziali. E’ un fenomeno di distensione-tensione che solo attraverso l’uso del-la tonalità può realizzarsi. Nei suoiDialoghi sulla musica il grande diretto-re Wilhelm Furtwängler affermava chesolo la tonalità è in grado di rendererealmente lo stato di distensione, per-ché dispone dell’elemento determi-nante, la triade maggiore (due inter-valli di terza sovrapposti), ossia l’ar-chetipo naturale di accordo. E’ soloapparentemente un fatto tecnico: èanche una suprema referenzialità adun centro, ad una determinazionemassima che rende possibile un cam-mino sempre orientato, mai immobile,vivo, palpitante e, per quanto umano,

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infinito. Crediamo che una musica in-tegralmente atonale, quale s’è breve-mente affermata nel secolo scorso, siauna musica lontana dal sacro. La to-nalità è certo “speculum naturae”;probabilmente è riflesso di realtà tra-scendenti; forse è anche un luogoteologico.

Il secondo criterio è più prevedibile,ma – soprattutto oggi – non così scon-tato: e concerne, in senso lato, la Pa-rola e la Forma. Sia che si tratti di mu-sica riservata alla liturgia, sia del piùvasto spazio destinato alla riflessionesul sacro, una polarità della Parola Ri-velata, diretta o mediata dalla storiadella spiritualità o implicita, né può es-sere assente, né è sostituibile da opzio-ni alternative e autoreferenziali o sin-cretistiche. Lo stile sacro nasce dallaParola: essa, dal Gregoriano alla Gui-baudulina, ne intesse anche una sem-plice frase, ne supporta il disegno, neespande il suono, ne argomenta il di-scorso, se ne fa “carattere”, anchequando in una pagina musicale non sipronunci nemmeno una sillaba. Percontro il riferimento esplicito alle strut-ture formali, ad esempio, della Messa,può non essere sufficiente a far sì cheeffettivamente ci si trovi di fronte siapur ad una meditazione su quella. Al-cuni casi sono emblematici: Ein deut-sches Requiem di Johannes Brahms, Amass of life di Frederick Delius, Mass diLeonard Bernstein. Il primo dichiaraapertamente la propria peculiarità, usaliberamente passi biblici, ma elargisceuna delle più alte contemplazioni delle

Cose Ultime che la storia dellamusica ci abbia dato. L’ingleseDelius per contro fa uso improprio deltermine Messa per un suo oratorio ba-sato su testi da Also sprach Zarathu-stra di Nietzsche e latore di propostemusicali “new age” ante litteram.Mass di Bernstein, oggetto anni fa dinon ingiustificate discussioni, è inrealtà uno spettacolo ove un non-cri-stiano si confronta – polemicamente,drammaticamente – con la liturgia cat-tolica.

Poniamo per ultimo un criterio chepuò apparire sostanziale, non stilistico:ma quando parliamo – come stiamoper fare - di “verità”, non diciamo soloil senso trasparente e profondo del“dire”, ma anche il modo in cui que-sto “dire” si esplica. Il “carattere unicoed irripetibile del linguaggio” con cuiun’esperienza vissuta, viva, imminentesi fa messaggio d’arte, ne dice semprela realtà interiore. Uno stile proprio –non meramente scolastico, non d’ecostorica, non di seconda mano – rivelala sincerità di chi sta parlando di fedenella musica, vuoi che proponga unamaestosa Messa polifonica, vuoi unasemplice melodia per voce e chitarra.

Post scriptum: possiamo non chie-dere a uno stile sacro il criterio dellabellezza? Ma della multiforme bellezzadell’arte volta al mistero di Dio abbia-mo già detto con le parole di GiovanniPaolo II nel numero 1/2006 di questaRivista, né vogliamo ripeterci. Ancheperché può mai essere la bellezzaqualcosa di scisso dalla verità?

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arte sacra dei primi secoli, siabizantina, sia occidentale, es-sendo intimamente legata ai

dogmi cristologici e al pensiero dei Pa-dri della Chiesa, costituiva il riflessodella preghiera ecclesiale comune, ri-velando come le immagini cristianeavessero alla base una funzione econcezione molto diversa da quellepagane. Le pitture catacombali, all’ori-gine dell’ico-nografia, ri-flettendo ilcredo delleprime comu-nità cristia-ne, elabora-vano adot-tando unostile simboli-co ed essen-ziale temicome quellodell’eucari-stia, la resur-rezione, l’aldilà, la speranza pur nellepersecuzioni…

A partire dal III secolo, in seguito al-l’introduzione di temi del Nuovo Testa-mento, le raffigurazioni pittoriche siarricchiscono di argomenti da trattare.

E’ a questo periodo che risalgono iprimi due affreschi rappresentanti laNatività: quello ubicato nella catacom-ba di S. Priscilla con Maria, il bambino

e un personaggio (profeta Balaam) cheindica una stella, e quello dell’Adora-zione dei Magi. Da un’iconografia alle-gorica ed essenziale si passerà a quellapiù articolata che la tradizione ha fe-delmente trasmesso fino ad oggi, incui compare il bambino, la Madre diDio, Giuseppe, la stella, gli animali, ipastori e i magi. Lungo i secoli e nellevarie regioni del mondo cristiano pos-

siamo trova-re i perso-naggi princi-pali diversa-mente collo-cati, ma loschema ge-nerale risultacostante sepur con l’ag-giunta di al-tri particolariper l’influssodi svariatefonti, spesso

legate a tradizioni locali e agli scrittiapocrifi, che facevano da corollario allafonte principale che era quella evange-lica canonica, in particolare di Luca(per quanto concerne la Natività) e diMatteo (per l’Adorazione dei magi).

Fino all’XI-XII sec. Oriente e Occi-dente rappresentarono il sacro ricor-rendo allo stesso linguaggio.

Il Natale di Gesù nell’arte sacra

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Natale del Signore, miniatura, Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma

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Poi in Italia (con Giotto, Cimabue,Duccio) si assistette a un progressivoallontanamento dell’arte dalla Tradizio-ne dovuto principalmente all’introdu-zione della prospettiva che fu di stimo-lo a un interesse sempre maggiore peril naturalismo. Nell’impegno a rappre-sentare il più fedelmente possibile lanatura, l’arte cominciò a sconfinareanche sul pianodei sentimenti edell’emotività. Sidefinivano così, sulpiano religioso, ledifferenze sostan-zial i tra Oriente(animato dal desi-derio di elevarel’uomo verso Dioliberandolo dagliangusti schemi delmondo terreno) eOccidente (preoc-cupato di “abbas-sare” Dio a livellodi uomo, renden-dolo più compren-sibile allo spiritoscientifico dilagan-te nella mentalità dell’epoca), che pro-porrà forme artistiche rifacentesi amodelli umani e terreni, sempre piùrealistiche e meno trascendenti. Così,per esempio, Raffaello e Leonardohanno dipinto la bellezza fisica ( nell’a-natomia, nei colori, nel plasticismo,nelle emozioni, nella prospettiva),prendendo a modello la bellezza dellanatura. L’arte religiosa occidentale, ba-

sandosi su modelli viventi, rap-presenterà Cristo e sua madreriducendoli a persone comuni.

Secondo il VI Concilio Ecumenico(680) tali riproduzioni sono incompati-bili con la verità della fede, per la lororisonanza sensuale. Cristo non è unuomo comune e non può essere rap-presentato come un uomo qualunque.

Compito dell’iconaè sottolineare conforza che in quelcorpo abita la pie-nezza della divinitàche supera i limitidi tutto ciò che ènaturale e razio-nale.

In Occidente,inoltre, sotto l’in-flusso francescano,i l Natale assumeun carattere piùpittoresco e popo-lare, che condizio-nerà le rappresen-tazioni del prese-pe. La pietà s’inte-

nerisce per soffermarsi sull’aspettoumano del mistero: il bambino Gesù,sua madre Maria e Giuseppe il fale-gname. E’ la festa della “Sacra Fami-glia” (molto diffusa in Occidente e deltutto sconosciuta in Oriente), che sot-tolinea l’Uomo-Dio più che Dio-Uomo.

L’Oriente al contrario, così fortemen-te attaccato alla tradizione dogmatica eanimato da uno spirito fondamental-

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Natale del Signore, scuola di Novgorod, XV sec.

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mente teo-centrico, nel

meditare l’eventodella Natività di no-stro Signore concen-trerà la sua attenzio-ne non sul miracolodel limitato capacedell’Illimitato, bensìsull’incomprensibilelimitazione di Coluiche è senza limite eche appare sotto lafigura del Figlio del-l’Uomo. Anche la li-turgia parla meno del piccolo bambinodi Betlemme che del Dio che si fa carne:“Ci è nato piccolo bambino, il Dio cheera prima dei secoli”. Si vuole metteremaggiormente in rilievo lo splendore di-vino nell’umano: lanascita di Dio.

Per l’Oriente l’i-cona della Natività èil prologo del gran-de poema della sal-vezza, dall’incarna-zione fino alla mor-te e risurrezione diGesù. I libri liturgicidanno alla festa an-che il titolo di “Pa-squa della Natività”in quanto raccontagià la Pasqua dellaRisurrezione.

La Natività è lafesta della ri-crea-

zione (come affer-mava san Gregoriodi Nazianzio), aopera della SS. Tri-nità a cui alludono iraggi che esconodalla semisfera di-pinta con diversesfumature di blu (ilcolore della tra-scendenza).

Dio si fa uomoper restituire allacreatura umanal’”antica” immagi-

ne e dignità di figlio di Dio.Nelle icone del Natale così non tra-

spare mai quel sentimento a volte le-zioso e quella tenerezza tipiche dellanostra cultura iconografica, e ogni ele-

mento raffiguratonon è mai superfluoo messo lì per caso,ma assume un si-gnificato ben preci-so.

La scena è in-quadrata da unamontagna pirami-dale. È la montagnamessianica al centrodella quale si apreun antro scuro: lagioia per la nascitadel salvatore è co-me attenuata dallanotte della grotta,la notte del pecca-to. È lì che mistica-

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Giotto, La nascita di Gesù e l’annuncio ai pastori, Padova, Cappella degli Scrovegni

Botticelli, Natività, National Gallery, London

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mente nasce Cri-sto, i l nuovoAdamo, prefigu-rando così il mi-stero pasqualedella sua discesaagli inferi e risur-rezione per ri-scattare Adamoe in lui tutta l’u-manità dal pec-cato originale.Gesù, centrocompositivo, hail corpo avvolto in fasce che assomi-gliano alle bende della sepoltura ed èadagiato in una mangiatoia-sepolcro;l’Oriente, filtrando ogni emotività, ri-fiuta tutto ciò che possa addolcire osfumare il tremendo mistero dell’incar-nazione in cui è già presente l’ombradella croce. Egli è nato perché con lasua morte fossero vinti la morte e ilpeccato. Siamo lontani dall’immagineidilliaca di un bambinello; Cristo, luceche splende nelle tenebre, è già l’uo-mo dei dolori d’I-saia ( Is 53,3).

Maria, sdraia-ta su un cuscinoregale per ripo-sarsi dalle fatichedel parto, nel suosguardo serenoma raccolto, sem-bra guardare lon-tano per medita-re, contemplare ilmistero e custodi-

re tutteq u e s t ecose nel suo cuo-re (Lc 2,19).

Gli angeli, conil gesto anticodelle mani velate,sono il simbolodell’adorazione edella lode a Dio.

I magi hannotutti un’età di-versa ( il primoche li guida è un

vegliardo dalla barba bianca, il secon-do è un uomo nel fiore degli anni concapelli e barba di colore scuro, il terzoè un giovane imberbe) per ricordareche gli uomini di tutte le nazioni edetà sono chiamati ad adorare il figlio diDio.

I pastori richiamano l’attributo ilCristo come buon pastore che non so-lo protegge e guida, ma che trae dallamorte alla vita.

La zona inferiore dell’icona è dedica-ta alla rappresen-tazione di parti-colari più inerentialla realtà umana,come Giusepperitratto in atteg-giamento penso-so e quasi estra-neo a tutto ciòche è accaduto.Esprime nellostesso tempo lesofferenze dell’

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Giorgione, Adorazione dei pastori,National Gallery, Washington

Murillo, Adoration des Bergers, Musèe du Prado, Madrid

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“uomo giusto” e le difficoltàche ogni uomo prova nel pene-

trare il mistero dell’incarnazione.Giuseppe spesso è immerso in una

profonda meditazione. Visibilmenteappartato si vede che non è il padredel bambino e spesso è affiancato daun diavolo nelle sembianze del pastoreTirso (in alcune composizioni un vec-chio con corna e una coda) che lotenta ricordandogli che non ci sono al-tri mondi al di fuori di quello visibile. E’la negazione del principio trascenden-te. Il volto di Giuseppe esprime spessol’angoscia e quasi la disperazione e inalcune icone la Vergine lo guarda com-passionevole.

Le due donne che lavano il bambi-no sottolineano ancor di più l’aspettoterreno della nascita di Gesù, metten-do in luce come egli, che è Dio, abbiapienamente assunto la realtà della na-tura umana dato che, come ogni neo-nato, ha avuto bisogno di tutte quelleattenzioni e cure di cui necessita ogniessere umano che viene al mondo.

A conclusione di queste brevi con-siderazioni sulle modalità, ora analo-ghe ora diverse a seconda del periodoe della cultura dominante, di raffigu-rare temi di carattere sacro (nello spe-cifico il Natale del Signore), mi asten-go dal dare un giudizio su quali sianostati e siano tutt’oggi i canoni giustida seguire o, comunque da prenderecome riferimento. Desidero invecesottolineare che ogni espressioned’arte sacra, se concepita nello Spiritoche fa sentire nel cuore dell’artista lagiusta ispirazione divina a dare formaalla sua opera, può trasformarsi inpreziosa opportunità di incontro conil Signore, con la sua parola. Tutto ciòche viene diffuso nel mondo deveportare con sé la Luce, quella che ”ilmondo non riconobbe”.

“Ciò che noi abbiamo contempla-to e ciò che le nostre mani hannotoccato, ossia la Parola di Vita, noive la annunciamo; perché la vita si èfatta visibile e noi l’abbiamo vista”(1G v1,1-3).

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a schiera di questi “nostriamici” si allunga sempre dipiù, è un corteo intermina-

bile di persone e chissà quanti altriancora anonimi, nascosti sono testi-moni di Gesù. Sono parecchi, oggi,quelli che vogliono screditare la san-tità di uomini e donne che hanno ce-lebrato con la vita il Vange-lo, molti quelli che attraver-so fantomatiche alchimie di“codici” danno dimostra-zioni d’inesistenze. A noicristiani è chiesto di dareinvece credibilità al Signoremorto e risorto, essere suoprolungamento ovunque!

Le testimonianze a taleriguardo non mancano e inquesto numero avviciniamoil Santo Curato d’Ars, comeveniva comunemente chia-mato: nacque l’8 maggio1786 a Dardilly, nei dintor-ni di Lione da una famigliadi contadini, da Mathieu eda Marie Beluse gente tra-dizionalmente religiosa. In-fatti, la madre, molto cre-dente, insegna fin da pic-colo al bambino GiovanniMaria il segno della croce;

a quattro anni si racconta che dopoaverlo cercato per tutta la casa, lotrovano inginocchiato nella stallacon una statuina della Madonna inmano: questo è decisamente un se-gno premonitore che lascia intrave-dere un animo immerso nell’Amoredi Dio. Il Signore nella sua Provviden-

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S. GIOVANNI MARIA VIANNEYCurato d’Ars

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Litografia impressa a Lione, Scene della vita e della casa del curato di Ars, sec XIX

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za sa come intervenire nellavita delle persone; non dice

forse la Scrittura “ti ho formato nelgrembo di tua madre…prima che tuvenissi alla luce ti conoscevo”.

I tempi di Jean Marie erano bur-rascosi, in Francia la Rivoluzionecontinuava a sconvolgere in tutti isensi: politici, militari, morali, reli-giosi e spirituali; l’Europa e il mondointero risentivano delle persecuzioni;lui aveva tre anni e sicuramente co-me tutti respirava questo clima diterrore. La Chiesa era perseguitata esacerdoti e religiosi dovevano eserci-tare la loro missione segretamente;il popolo per paura disertava i luo-ghi di culto. Tutti ricordiamo questotriste periodo della storia… ma loSpirito Santo in ogni difficoltà conti-nua a lavorare sebbene tra gemiti enel silenzio.

Gli uomini sono messi a tacere,ma il Respiro di Dio, il Soffio divinochi può frenarlo, chi può impedireche si espanda? Con tutte le malva-gità gli uomini non possono spegne-re l’Amore, non hanno potere sul so-le di sorgere o tramontare. La vocedi Dio si fa sentire dal piccolo JeanMarie che a sette anni è già profon-damente religioso. Com’è tipico deibambini chissà quanti “perché?”avrà chiesto ai grandi: perché il dolo-re, la morte, la persecuzione? Sonole domande spesso senza risposteche le generazioni di ogni tempopongono a noi adulti. Sono i “per-ché” dei bambini iracheni, afgani,

dei bambini dell’Africa e di ogni suddel mondo…, ma quanti “perché”inascoltati anche nei piccoli del no-stro occidente secolarizzato e diso-rientato. Di questi “perché” lasciaticadere nel nulla dovremo rispondereun giorno.

Raccontando ancora del nostro“santo” a undici anni, in grande se-gretezza a causa della situazione po-litica, comincia la sua istruzione reli-giosa, impartitagli da un sacerdoteche, fingendosi un umile lavoratore,frequentava saltuariamente il villag-gio. A tredici anni, con alcuni suoicoetanei, riceve la prima Comunio-ne, era l’anno 1793 e le leggi delloStato, come si diceva, erano moltoostili verso la religione; tutto vienecelebrato, quindi, in assoluta riserva-tezza. Jean Marie conserverà persempre la semplice corona del rosa-rio che gli venne regalata per l’occa-sione. Finalmente nel 1801 il Con-cordato con la Santa Sede riesce a ri-portare la pace e l’anziano parrocopuò rientrare a Dardilly mentre il no-stro giovane quasi diciassettennepensa di diventare sacerdote. Gliostacoli non mancano per lui chenon conosceva una sola parola di la-tino… Il Signore però nella sua Prov-videnza sostenta i poveri ed ecco chea Ecully, villaggio di origine della ma-dre, viene nominato parroco CharlesBalley, il quale aveva fondato unapiccola scuola parrocchiale per aspi-ranti al Seminario e che, dopo averparlato con Jean Marie ed aver colto

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la sua vocazione lo accetta fra i suoiallievi. Com’è comprensibile lo stu-dio per il giovane è duro, special-mente il latino…; fa sorridere pensa-re che per riuscire negli studi fa unvoto recandosi al santuario dellaLouvese sulla tomba di S. FrancescoRegis. Parte a piedi percorrendo cen-to Km con il bastone e il rosario, vi-vendo di elemosina come un autenti-co pellegrino. A 1100 metri il giova-ne chiede al Santo la grazia di “sa-pere abbastanza latino per la suateologia”. E al ritorno si accorge ef-fettivamente che lo studio non erapoi così difficile. Dopo varie traversieriesce ad entrare in Seminario senzaeccellere negli studi suo malgrado. InS. Paolo può tuttavia trovare conso-lazione: “Dio ha scelto ciò che èstolto nel mondo per confondere isapient i , c iò che è debole perconfondere i forti”.

Aiutato da don Bal ley e dal laProvvidenza riesce a superare tutti gliesami e nel 1814 viene nominatodiacono mentre due anni dopo sa-cerdote. Successivamente viene in-viato come parroco ad Ars. I primianni sono caratterizzati da una lottaserrata contro ogni vizio; egli sprona,sollecita i suoi parrocchiani a condur-re un’intensa vita religiosa, soprat-tutto invita costantemente a parteci-pare alla S. Messa. La sua azione ze-lante e paziente riesce a riportareparecchi fedeli in chiesa; la sua famasi diffonde presto, da lui si recanonumerose persone semplicemente

per confessarsi e lui rimanefino a diciotto ore al giornoin confessionale. Una tale capacità diascolto fa pensare, questa instanca-bile attenzione non ci fa riflettere?Ci si lamenta spesso della mancanzadi ascolto ed effettivamente quantisono in grado di ascoltare sul serio.È un’arte senza dubbio e come ogniarte s’impara attraverso un eserciziolungo e paziente; la fretta, le cose dafare, le distrazioni, la superficialitàsono alleate della mancanza di ascol-to di cui tutti bene o male risentiamoovunque.

Il curato d’Ars aveva scoperto lastrada giusta e la percorreva senzarisparmiarsi, si racconta che dormissetre ore a notte facendo veglie e di-giuni. La sua fama di santità s idiffonde presto, moltissimi accorro-no a lui per confessars i , cercareconforto e consigli dimostrando diavere un particolare dono di discer-nimento.

Spesso parlando di sé ha modo didire: “Penso che il Signore abbia vo-luto scegliere il più testone di tutti iparroci per compiere il maggior benepossibile. Se ne avesse trovato unopeggiore, l’avrebbe messo al mio po-sto per mostrare la sua grande mise-ricordia”. Il Santo Curato d’Ars in-carna personalmente, lui di fronte ase stesso e di fronte a Dio, questoindicibile dramma.

“Il prete, dice, da un lato, si ca-pirà soltanto in Cielo. Se lo com-prendessimo sulla terra ne morirem-

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mo, non di paura ma d’amo-re… Dopo Dio il prete è tut-

to. Lasciate per vent’anni una par-rocchia senza prete e vi si adoreran-no le bestie!”.

Ma, d’altra parte, aggiunge: “Co-me è spaventoso essere prete! Comeè da compiangere un prete quandodice Messa come una cosa ordinaria!Come è sventurato un prete senzainteriorità!“.

Questo, a dire il vero, non è ilsuo problema. Anzi, quando diceMessa sembra che veda Dio, tantola sua celebrazione è intensa e com-movente.

Egli però vive il tormento di esse-re parroco, d’avere la responsabilitàdi una parrocchia e di non sentirsenedegno. Continuerà a sperare finoagli ultimi anni di vita, di poter esse-re liberato da questa responsabilità,per non dovere passare direttamen-te, come diceva, “dalla parrocchia altribunale di Dio”.

E avrà il costante timore, fino apochi giorni prima della morte, dipoter morire soccombendo alla ten-tazione di disperarsi.

Per tre volte cercherà di fuggire,notte tempo, per andare dal Vesco-vo a chiedere il permesso di ritirarsiin solitudine “a piangere i suoi pec-cati“.

L’ultima volta lo farà addiritturaquando ormai è celebre in tutta laFrancia, tre anni prima di morire.Fuggirà di notte mentre i parroc-chiani, che sospettano, sono desti,

pronti a fermarlo. I più vivi collabo-ratori lo ostacoleranno in tutti i mo-di chiedendogli di recitare assiemeprima le preghiere del mattino, na-scondendogli il breviario, fin quandola folla dei parrocchiani gli sbarreràla strada e piangendo gli chiederà direstare:

“Signor Curato, se Vi abbiamodato qualche dispiacere, ditelo, fare-mo tutto quello che vorrete per farVipiacere”.

L’indomani, a chi gli ricordava gliavvenimenti della notte, diceva umil-mente: “ho fatto il bambino!”.

Ma non fuggiva per la fatica, fug-giva per il timore di non essere de-gno. “Io, diceva, non mi rammaricodi essere prete per dire la Messa, manon vorrei essere parroco”.

Nonostante tutto Ars diviene mo-dello per la diocesi per i suoi fruttispirituali e anche luogo di guarigio-ni. Dal 1818 al 1859 il curato ha vis-suto in questo paesino facendo lestesse cose ma con impegno semprecarico di Spirito Santo. La sua santitàsi fonda, infatti, non nelle grandi im-prese ma nella quotidianità e sempli-cità della vita che scorre. Un esem-pio questo difficile da cogliere, abi-tuati come siamo ad esibire imprese,a tuffarci in mille impegni, a cambia-re per noia e per altro. La quotidia-nità con i suoi rituali, i ritmi caden-zati da ordinaria semplicità ci spa-venta. Ci sono persone che hannocreduto e credono nella santità tes-suta nelle trame della ferialità; ci ha

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creduto il curato al punto che il suoapostolato ad Ars è stato provato,sofferto. Nel 1843 don Vianney siammala gravemente ma si ristabili-sce grazie alle preghiere sue e deiparrocchiani; tutta la vita del sacer-dote è impostata secondo un regimemolto austero: il digiuno e altre pra-tiche rigide sono vissute come possi-bilità di salvare le anime. Alla peni-tenza esterna si aggiunge poi quellasofferenza interiore: del travagliospirituale, della sopportazione dipersone, di situazioni, di maldicenze.Lo zelo pastorale del santo trova lasua fonte nella preghiera contempla-tiva, nella celebrazione della liturgiadelle ore, nei sacramenti. L’opera diDio e la disponibilità di don Vianneysi incontrano magnificamente: offrirela salvezza a tutti. Le biografie delcurato d’Ars riferiscono di episodi suldemonio; si tratta di manifestazionidiaboliche avvertite da lui, ma noncome possessione, né tentazioni di-rette, tali da indurlo a peccare. Si di-ce che dove maggiore è la santitàtanto più forti sono gli assalti del de-monio, di questo lui non ebbe mai apreoccuparsi. Che raccontare anco-ra? Per quanto si dice non è mai ab-bastanza. I santi vivono di eterno,parlare di loro si può solo in terminidi pensieri. Il 4 agosto 1859 donVianney raggiunge Dio, all’età di 73anni . Fu beat i f icato l ’8 gennaio1905. La sua memoria si celebra il 4agosto! Mi piace concludere gustan-do una delle sue tante riflessioni:

Dal Catechismo di sanGiovanni Maria Vianney sa-cerdote: “Fate bene attenzione, mieifiglioli: il tesoro del cristiano non èsulla terra, ma in cielo. Il nostro pen-siero perciò deve volgersi dov’è il no-stro tesoro. Questo è il bel compitodell’uomo: pregare ed amare. Se voipregate ed amate, ecco, questa è lafelicità dell’uomo sulla terra. La pre-ghiera nient’altro è che l’unione conDio. Quando qualcuno ha il cuorepuro e unito a Dio, preso da una cer-ta soavità e dolcezza che inebria, èpurificato da una luce che si diffondeattorno a lui misteriosamente. Inquesta unione intima, Dio e l’animasono come due pezzi di cera fusi in-sieme che nessuno può più separare.Come è bella questa unione di Diocon la sua piccola creatura! E’ unafelicità questa che non si può com-prendere. Noi eravamo diventati in-degni di pregare. Dio però, nella suabontà, ci ha permesso di parlare conlui. La nostra preghiera è incenso alui quanto mai gradito. Figlioli miei, ilvostro cuore è piccolo, ma la pre-ghiera lo dilata e lo rende capace diamare Dio. La preghiera ci fa pregu-stare il cielo, come qualcosa che di-scende a noi dal paradiso. Non ci la-scia mai senza dolcezza. Infatti èmiele che stilla nell’anima e fa chetutto sia dolce. Nella preghiera benfatta i dolori si sciolgono come neveal sole. Anche questo ci dà la pre-ghiera: che il tempo scorra con tantavelocità e tanta felicità dell’uomo che

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non si avverte più la sua lun-ghezza. Ascoltate: quando

ero parroco di Bresse dovendo per un

certo tempo sostituire i miei confra-telli, quasi tutti malati, mi trovavospesso percorrere lunghi tratti di stra-da; allora pregavo il buon Dio, e iltempo siatene certi non mi parevamai lungo.

Bisogna pregare semplicementee dire:

Mio Dio, ecco un’anima ben po-vera che non ha niente, che non puònulla,

fammi la grazia di amarti, di ser-virti e di conoscere che non so nulla.

I l buon Dio non ha bisogno dinoi: se ci comanda di pregare, è per-ché Egli vuole la nostra felicità, eperché la nostra felicità può trovarsisoltanto là.

Quando siamo dinanzi al SantoSacramento, invece di guardare at-torno a noi, chiudiamo i nostri occhie la nostra bocca, apriamo il nostrocuore, il buon Dio aprirà il suo, an-dremo a Lui, Egli verrà a noi, l’unoper chiedere e l’altro per ricevere;sarà come un soffio dall’uno all’al-tro”.

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1 Bibliografia: Sicari, Ritratto di Santi, ed. Paolinewww.paginecattoliche.it/moduleswww.curatodars.com

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Vetrata che raffigura il curato di Ars, Chiesa di Saint-Nizier, Lione, sec. XIX

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il titolo di un piccolo libro,opera prima di RomanoGuardini, pubblicato nella Pa-

squa del 1918 come volume inaugura-le della collana “Ecclesia orans”, a cu-ra dell’abate Herwegen, e più volte ri-stampato fino al 1957. Lo ricorda, nel1999, l’allora cardinale Joseph Ratzin-ger, ora Benedetto XVI, nella premessaal suo libro “Introduzione allo spiritodella liturgia”, come una delle sue pri-me letture dopo l’inizio degli studi teo-logici, perché «quest’opera può abuon diritto essere ritenuta l’avvio delmovimento liturgico in Germania. Es-sa, inoltre, contribuì in maniera decisi-va a far sì che la liturgia, con la suabellezza e la sua grandezza che travali-ca il tempo, venisse nuovamente risco-perta come centro vitale della Chiesa edella vita cristiana. Grazie al movimen-to liturgico e – in maniera definitiva –grazie al Concilio Vaticano II – siamotutti stimolati verso la liturgia, versouna sua corretta celebrazione esterioree interiore». Quarant’anni dopo la ce-lebrazione del Concilio Vaticano II, Be-nedetto XVI, rivolgendosi nel dicembre2005 a tutta la curia romana, ha postola domanda: «Perché la ricezione delConcilio, in grandi parti della Chiesa,finora si è svolta in modo così diffici-le?»; la risposta che dà è che «tuttodipende dalla giusta interpretazione

del Concilio». La forma base della li-turgia cristiana è determinata dalla fe-de biblica. La liturgia della fede cristia-na non è l’iniziativa di un determinatogruppo, di un determinato circolo o diuna determinata chiesa locale. Il cultocristiano implica l’universalità. Il cam-mino dell’umanità verso Cristo si in-contra con il venire di Cristo verso gliuomini. Egli vuole unificare l’umanitàed edificare l’unica Chiesa, l’assembleadi tutti gli uomini, radunata da Dio; di-mensione orizzontale e verticale, l’uni-cità di Dio e l’unità dell’umanità; la co-munione di tutti coloro che adorano inspirito e verità e che costituiscono unasola cosa. Nell’opera citata dell’alloracardinale Ratzinger si legge che la li-turgia cristiana è liturgia della promes-sa compiuta, del movimento di ricercadella storia delle religioni giunto allapropria meta, ma resta comunque li-turgia della speranza, anche se portain sé il segno della provvisorietà. Ilnuovo tempio, non eretto da mani diuomo, è presente, ma è al tempo stes-so ancora in costruzione: «Il grandegesto dell’abbraccio che viene dal Cro-cifisso non è ancora giunto al traguar-do, ma è solo cominciato. La liturgiacristiana è liturgia in cammino, liturgiadel pellegrinaggio verso il cambiamen-to del mondo, che avverrà quando Diosarà tutto in tutti». La liturgia introdu-

LO SPIRITO DELLA LITURGIAPina Garritano

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ce il tempo terreno nel tempodi Gesù Cristo e nella sua pre-

senza. Essa è il punto di svolta nel pro-cesso della redenzione: il pastore simette sulle spalle la pecora smarrita ela porta a casa. Nell’edificio cristianodenominato chiesa (casa dell’assem-blea del popolo di Dio), il culto lo cele-bra Cristo stesso nel suo stare davantial Padre, è Lui il culto dei suoi nel mo-mento in cui essi si radunano con Lui eintorno a Lui».

Nella Diocesi di Roma

Il Vicariato, con la determinantecollaborazione dei docenti del Pontifi-cio Istituto Liturgico, dal 1975, insistesulla necessità di formazione alla litur-gia mediante un Corso ciclico triennaleper un ricupero della coscienza di po-polo di Dio perché, «se la coscienza diessere popolo di Dio fa maturare la li-turgia, la liturgia promuove la spiritua-

lità e la carità del popolo di Dio». Biso-gna dire che la liturgia chiama il laicatoe il laicato rivendica la liturgia cercan-do un approfondimento storico – bibli-co – teologico – pastorale.

Nell’anno 2005 – 2006 si sonoiscritti al Corso di liturgia per la pasto-rale 182 alunni tra “ordinari” (con ob-bligo di esami) e “uditori”. Trentacin-que studenti “ordinari” del terzo annodel ciclo hanno sostenuto gli esami fi-nali confermando di aver raggiuntouna nuova consapevolezza del postodel laico nella liturgia e del ruolo deivari ministeri laicali all’interno dell’as-semblea liturgica.

Al Corso sono ammessi gli alunniregolarmente iscritti. Le iscrizioni, finoa esaurimento dei 48 posti disponibili,sono aperte dal 15 giugno 2006 pres-so l’Ufficio Liturgico del Vicariato, dallunedì al venerdì, ore 9,00 – 12,00; tel.06 698 86233 (contatti telefonici soloper informazioni).

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