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Tra gli inni cristologici paolini quello della lettera ai Filippesi occupa un posto particolare. Il cantico riassume infatti in pochi versetti tutto il mistero pasquale e lo inserisce nel contesto vivo della vita della comunità cristiana a cui la lettera è indirizzata. Ogni comunità cristiana vive i proble- mi della comunione e dell’unità, valori spesso vissuti con superficialità e a volte addirittura dimenticati e trascurati. L’A- postolo individua le ragioni di queste difficoltà: esse nascono dall’incompren- sione del mistero pasquale stesso. Non si considera in modo adeguato lo “stile” del Signore, la strategia che Egli ha vo- luto perseguire per meritarci la reden- zione. L’umiltà e l’abbassamento, la morte di croce come segno estremo d’a- more e di obbedienza al Padre, sono un esempio fondamentale per ogni cristia- no. Nessun battezzato deve dimenticare 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 1-2009 Cristo, Servo di Dio (Fil 2,6-11) mons. Marco Frisina bbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre». «A

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Tra gli inni cristologici paolini quellodella lettera ai Filippesi occupa un postoparticolare. Il cantico riassume infatti inpochi versetti tutto il mistero pasquale elo inserisce nel contesto vivo della vitadella comunità cristiana a cui la lettera èindirizzata.

Ogni comunità cristiana vive i proble-mi della comunione e dell’unità, valorispesso vissuti con superficialità e a volteaddirittura dimenticati e trascurati. L’A-

postolo individua le ragioni di questedifficoltà: esse nascono dall’incompren-sione del mistero pasquale stesso. Nonsi considera in modo adeguato lo “stile”del Signore, la strategia che Egli ha vo-luto perseguire per meritarci la reden-zione. L’umiltà e l’abbassamento, lamorte di croce come segno estremo d’a-more e di obbedienza al Padre, sono unesempio fondamentale per ogni cristia-no. Nessun battezzato deve dimenticare

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Cristo, Servo di Dio (Fil 2,6-11)mons. Marco Frisina

bbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,il quale, pur essendo di natura divina,non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio;ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servoe divenendo simile agli uomini;apparso in forma umana,umiliò se stessofacendosi obbediente fino alla mortee alla morte di croce.Per questo Dio l’ha esaltatoe gli ha dato il nomeche è al di sopra di ogni altro nome;perché nel nome di Gesùogni ginocchio si pieghinei cieli, sulla terra e sotto terra;e ogni lingua proclamiche Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre».

«A

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il modo con cui Cristo ci ha salvato, népuò dimenticare le sofferenze e le umi-liazioni che il Signore ha voluto affron-tare per obbedire alla volontà salvificadel Padre.

Avere gli stessi sentimenti di CristoGesù, significa seguirlo sulla via dell’a-more e dell’obbedienza, significa condi-viderne il cammino per essere salvati peri suoi meriti e per unirsi a questi con lapropria obbedienza, compiendo in noil’efficacia dello stesso mistero pasquale.Il versetto 3 è particolarmente significa-tivo per noi tutti: “Non fate nulla per ri-valità o vanagloria, ma ciascuno di voi,con tutta umiltà, consideri gli altri su-periori a se stesso.”

Cos’è che spinge le nostre azioni?Qual è il nostro atteggiamento nei con-fronti dell’operato degli altri? Spessoagiamo per farci notare, per divenire“qualcuno”, con ambizione e vanità, conun sentimento di rivalsa e di arroganzanei confronti degli altri. A volte in noi al-bergano sentimenti di invidia e rivalità,guardiamo all’operato altrui con diffiden-za e amarezza, come se la buona riuscitadegli altri possa ferirci, danneggiarci. Cisentiamo fremere quando qualcuno, chea nostro avviso non ha meriti, conquistaun consenso ed un plauso che a noi nonviene concesso. Tutto questo ci rende tri-sti, amareggiati, ostili nei confronti dichiunque possa ostacolare il nostro suc-cesso. La ragione è che ci consideriamosuperiori agli altri, ci reputiamo meritevolidi ogni onore e considerazione e nel con-tempo guardiamo ai nostri fratelli comeusurpatori della nostra gloria.

Questo atteggiamento conduce all’a-marezza e alla sofferenza profonda enon arreca nessun vantaggio a chi vi siabbandona. Paolo ci presenta invece lavia della gioia e della serenità, della leti-zia vera che nasce dall’umiltà. Conside-rare gli altri superiori a noi stessi è diffi-cile ma è salutare, guardare al prossimocon il rispetto con cui si guarda ad unsuperiore custodisce la nostra serenità,come dice il Salmo 131 (130): ”Signorenon si esalta il mio cuore…Io invece re-sto quieto e sereno: come un bimbosvezzato in braccio a sua madre”. Staretranquilli nella volontà di Dio e non la-sciare che il cuore si esalti e cerchi cosegrandiose per sé stessi, rimanere inveceal proprio posto, lì dove il Signore ciconduce e in cui opera la sua custodia,proteggendoci con la sua volontà, donaal cuore del credente la pace. I fratelliintorno a noi non saranno più nemici esaremo capaci di condividere la gioia deiloro successi e la gloria che per loro nederiva.

Ecco perché Paolo ci esorta ad avere“gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”: inlui contempliamo l’esempio più alto diumiltà. Egli pur essendo Dio non ritenneun privilegio, letteralmente “qualcosa datener stretto” la sua condizione divina ma“svuotò se stesso”, donò totalmente sestesso fino al suo totale abbassamento.Fece proprio il contrario di ciò che fa il su-perbo, abbassò se stesso facendosi servoper amore degli uomini, considerandolidegni di tanto amore, degni di tanta con-siderazione: lui che era Dio si lasciò rifiuta-re, umiliare, flagellare, crocifiggere.

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Ma è proprio in questa umiliazione lagrandezza, per questo Cristo viene esal-tato dal Padre. Egli, che rinunciò adogni giusto privilegio, riceve un nome aldi sopra di ogni altro nome nei cieli esulla terra. Ogni ginocchio si piegheràadorando colui che si fece obbedientefino alla morte di croce e che ora è esal-tato al di sopra di tutti.

La via dell’Incarnazione e della Reden-zione non passa per la gloria del mondo,né per il successo e il potere ma passaper la Croce e l’Amore. Cristo ci lascial’esempio, egli è la via da percorrere, laverità da proclamare, la vita da vivere. Ilmistero pasquale, fatto di povertà, umi-liazione e sofferenza, ci apre alla gioia ealla luce senza fine, alla vita eterna e allagloria, perché ci conduce alla realizzazio-ne del progetto divino che ci vuole eredidello stesso Regno di Dio. Cristo trionfasul male e sulla morte perché ha preso sudi sé ogni peccato degli uomini e ha cro-cifisso l’umanità vecchia e decadente, su-perba e infelice, perversa e dolorante, di-struggendo con la sua umiltà ogni impu-rità, bruciando con il suo amore ognimalvagità, riconducendo al Padre la crea-zione rinnovata dal suo sangue e facen-doci risorgere con lui nella gloria dell’ob-bedienza, come uomini nuovi.

L’inno termina proprio con l’espres-

sione gioiosa di coloro che riconosconoin Cristo Crocifisso il Salvatore: “ognilingua proclami: Gesù Cristo è Signore!A gloria di Dio Padre”. Siamo noi coloroche devono adorare Gesù e proclamar-ne la gloria di Signore; glorificato alladestra del Padre egli ci invita a seguirlo,ad assidersi con lui sul suo stesso tronodi gloria. Ma per far questo occorre se-guirlo sulla sua stessa strada, occorre ri-trovare la via della semplicità e dell’u-miltà. “Se non tornerete come bambininon entrerete nel Regno dei cieli”. Piùvolte il Signore ci ricorda questa esigen-za fondamentale del Regno, essere co-me bambini significa ritrovare la sempli-cità del nostro essere uomini, far riemer-gere dal profondo di noi stessi la veritàdella creatura affinché possa risplenderela luce di Dio Padre che risiede nelprofondo del nostro cuore e che deside-ra emergere a gloria di Dio. Bisognaguardare con fiducia agli altri, gioiredelle loro gioie, condividerne le soffe-renze, con quell’amore che non pensa alproprio interesse ma che si libra leggerosulle meschinità degli uomini e sa, comequello di Cristo, soffrire e umiliarsi sequesto riesce a salvare e redimere, aconsolare e riscattare. Tutto questo èpossibile solo per chi ama, per chi seguela via di Cristo, servo per amore.

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el suo “trattato” sui sacramentiAmbrogio di Milano († 397) sirivolge così ai neofiti:

Adesso discutiamo sulla natura del battesi-

mo. Sei venuto al fonte, sei disceso in esso,

hai prestato attenzione al sommo sacerdo-

te, hai visto i leviti e il presbitero accanto al

fonte. Che cosa è il battesimo? Sì, è proprio

questo, è tutto qui il battesimo.

Il grande maestro non intavola discor-si speculativi sugli effetti dell’Iniziazionecristiana ma indica la celebrazione comeil luogo privilegiato per comprendere co-sa è accaduto in ciascuno di loro. Egli siserve dello stesso metodo anche perspiegare il mistero dell’eucaristia:

Vuoi sapere in qual modo con le parole cele-

sti si consacra? Prendi in considerazione

quelle che sono le parole! Dice il sacerdote:

Fa’ che questa offerta sia per noi ratificata,

spirituale, accetta … Egli, la vigilia della sua

passione, prese il pane … Perciò, celebrando

il memoriale della sua gloriosissima passione,

… e ti chiediamo e ti supplichiamo di accet-

tare questa offerta sul tuo altare sublime…

In altre parole, Ambrogio ci avverteche se vogliamo comprendere i sacra-menti dobbiamo partire dalla celebrazio-ne e dai suoi testi. Nel caso del battesimo

il testo più importante è senza dubbio lapreghiera di benedizione/azione di grazie(o anche di consacrazione) dell’acqua cheappare per la prima volta in Occidentetra la fine del II e l’inizio del III secolo. Cene parla Tertulliano nel suo trattato Sulbattesimo scritto tra il 198 e il 200 doveillustra i riti dell’Iniziazione cristiana in vi-gore a Cartagine e nell’Africa del Nord.Nella benedizione si invoca lo Spirito San-to così che l’acqua sia in grado di “assor-bire il potere di santificazione” ed acqui-sti il potere di guarire. Infatti “non è nel-l’acqua che otteniamo lo Spirito Santo …ma vi siamo lavati e preparati per ottene-re lo Spirito”. Questa interpretazione ca-tartica insieme alla preferenza che Tertul-liano mostra per il battesimo conferito aPasqua, svela l’apertura dell’Occidente al-la teologia di Rom 6 dove il battesimo èpresentato come partecipazione allamorte e alla sepoltura del Signore per ri-sorgere con lui. Soltanto qualche decen-nio prima Giustino martire († 165) parla-va del battesimo in termini di “illumina-zione” e di rito della “seconda nascita” edi “rigenerazione” nell’acqua e nello Spi-rito, favorendo la teologia di Gv 3,5 (cfr.Dialogo con Trifone, 88).

L’incontro di Gesù con Nicodemo ha of-ferto alle Chiese della Siria la struttura dei

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La Benedizione dell’acqua battesimale

Stefano Parenti

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riti di iniziazione. La ri-nascita nell’acqua enello Spirito configura il fonte battesimalecome un grembo materno e l’acqua checontiene è assimilata all’elemento liquidoche protegge il feto e viene liberato al mo-mento della nascita. Questo tipo di Inizia-zione dal forte accento pneumatologico èprefigurato nella Genesi, quando lo Spiritodi Dio creatore si librava sulle acque, eguarda al battesimo stesso di Gesù nelGiordano quando il Padre lo presenta co-me proprio Figlio dichiarando “oggi ti hogenerato” e lo Spirito si manifesta in for-ma di colomba.

La preghiera di benedizione dell’acquapropria del rito bizantino, testo di chiaraderivazione siriaca, evoca la teologia delbattesimo-rinascita secondo Gv 3 menzio-nando più volte il Giordano e impiegandotermini quali “manifestazione”, “illumina-zione”, “rigenerazione”. Così leggiamonell’eucologio (sacramentario) Barberini gr.336 della fine dell’VIII secolo:

Grande sei tu, Signore, stupende sono le tue

opere, e nessuna parola sarà mai adatta per

celebrare le tue meraviglie … Noi celebria-

mo riconoscenti la grazia, proclamiamo la

misericordia, … perché tu, o Dio nostro, sei

apparso sulla terra ed hai vissuto tra gli uo-

mini. Tu hai consacrato le onde del Giorda-

no, inviando dal cielo il tuo Spirito Santo …

sii presente anche ora con la venuta del tuo

Spirito Santo e santifica quest’acqua, ed

infondi in essa la grazia della redenzione, la

benedizione del Giordano … rendi quest’ac-

qua acqua di riposo, acqua che redime, ac-

qua che santifica, purificazione da ogni

macchia della carne e dello spirito, rottura

delle catene, remissione dei peccati, illumi-

nazione delle anime, lavacro di rigenerazio-

ne, dono dell’adozione a figli, veste d’im-

mortalità, rinnovamento dello spirito, sor-

gente di vita. Tu, infatti, o Signore, che ci hai

donato la grazia di rinascere dall’alto da ac-

qua e da Spirito, hai detto: Lavatevi, purifi-

catevi, togliete il male dalle vostre anime …

Gli stessi temi li troviamo anche nel-l’antica benedizione dell’acqua battesi-male romana il cui testo è tramandatodal Sacramentario Gelasiano:

Dio il cui spirito si librava sulle acque già

dall’inizio del mondo, perché fin da quel

momento la natura dell’acqua contenesse

la virtù di santificare.

Dio, che astergendo con le acque i delitti

di un malefico mondo, nella inondazione

stessa del diluvio, hai prefigurato la rina-

scita, affinché la potenza di un unico e

medesimo elemento segnasse la fine dei

vizi e fosse l’origine della perfezione.

Volgiti, Signore, verso la tua Chiesa, e in

essa continuamente riproduci la tua opera

di nuova creazione, perché tu con la tua

grazia, che affluisce impetuosa, rallegri i

cittadini del tuo Regno; e nel mondo inte-

ro il fonte battesimale apri a tutte le genti

da rinnovare, affinché al comando della

maestà tua il mondo riceva la grazia del

tuo Unigenito dallo Spirito Santo.

Questo Spirito vi immetta la sua arcana po-

tenza, e così fecondi quest’acqua preparata

per la rinascita degli uomini: affinché, la

prole destinata al cielo, concepita da una

tale santificazione, riemerga dal seno im-

macolato del fonte divino rinata a nuova

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creatura. Perciò la grazia, madre comune,

faccia nascere tutti a nuova unica vita, sia

uomini sia donne, sia vecchi sia bambini.

A questo punto, improvvisamente, lapreghiera cambia registro per passare adun inatteso esorcismo:

Al tuo comando, dunque, Signore, fugga

lontano di qui ogni spirito immondo, resti

lontano ogni maleficio del demonio in-

gannatore. Per nulla penetri qui la poten-

za nemica, essa non si aggiri a tendere in-

sidie, non s’introduca di nascosto, non

corrompa col suo contagio. Sia questa

una creatura santa ed innocente, libera da

ogni assalto nemico, e purificata per la

scomparsa di ogni maleficio.

Qualcosa di simile lo troviamo anchenel rito bizantino:

Vengano schiacciate nel segno della croce

del tuo Cristo tutte le potenze nemiche e si

allontani da noi ogni visione e suggestione

inafferrabile. Ti preghiamo, Signore, fa che

in quest’acqua non si nasconda un demo-

ne delle tenebre, né vi discenda insieme a

colui che sarà battezzato, uno spirito mal-

vagio capace di procurare oscuramento

della ragione o turbamento della mente…

Se l’acqua battesimale è la stessa dellacreazione sulla quale si librava lo Spirito diDio quale è allora il senso dell’esorcismo?

Il testo è la prova che alla primitivateologia del battesimo basata su Gv 3 siandava affiancando in Oriente e in Occi-dente una seconda teologia, ispirata daRm 6, di tipo cristologico. Se il battesi-mo è fare esperienza della morte, della

sepoltura e della resurrezione del Signo-re, l’immersione nell’acqua sebbene mo-mentanea, è una discesa nel regno dellamorte dove, secondo la primitiva esca-tologia cristiana, le anime erano esposteagli assalti del male. Di qui la necessitàdi intervenire con un esorcismo. Non sitratta, dunque, di considerare l’acquacreata da Dio improvvisamente “catti-va” e bisognosa di purificazione. L’ac-qua è sempre la stessa ma è la sua fun-zione nell’economia del rito ad esserediversa; esistono infatti, e a volte coesi-stono, più livelli di interpretazione all’in-terno del medesimo rito.

La riforma dell’Iniziazione cristiana do-po il Vaticano II ha lasciato da parte lapreghiera-palinsesto ereditata dalla tradi-zione e propone un nuovo formulario piùagile e conciso di tipo anamnetico:

O Dio, per mezzo dei segni sacramentali,

tu operi con invisibile potenza le meravi-

glie della salvezza; e in molti modi, attra-

verso i tempi, hai preparato l’acqua, tua

creatura, ad essere segno del Battesimo.

Fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle

acque perché contenessero in germe la

forza di santificare;

e anche nel diluvio hai prefigurato il Bat-

tesimo, perché, oggi come allora, l’acqua

segnasse la fine del peccato e l’inizio della

vita nuova.

Tu hai liberato dalla schiavitù i figli di

Abramo, facendoli passare illesi attraverso

il Mar Rosso, perché fossero immagine del

futuro popolo dei battezzati.

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Infine, nella pienezza dei tempi, il tuo Fi-

glio, battezzato da Giovanni nell’acqua

del Giordano, fu consacrato dallo Spirito

Santo; innalzato sulla croce, egli versò dal

suo fianco sangue e acqua, e dopo la sua

risurrezione comandò ai discepoli: “Anda-

te, annunziate il Vangelo a tutti i popoli, e

battezzateli nel nome del Padre e del Fi-

glio e dello Spirito Santo “.

Ora, Padre, guarda con amore la tua

Chiesa e fa scaturire per lei la sorgente del

Battesimo.

Infondi in quest’acqua, per opera dello

Spirito Santo, la grazia del tuo unico Fi-

glio, perché con il sacramento del Battesi-

mo l’uomo, fatto a tua immagine, sia la-

vato dalla macchia del peccato, e dall’ac-

qua e dallo Spirito Santo rinasca come

nuova creatura.

Immergendo, secondo l’opportunità,il cero pasquale, una o tre volte, nell’ac-qua, continua:

Discenda, Padre, in quest’acqua, per ope-

ra del tuo Figlio, la potenza dello Spirito

Santo,

tenendo il cero nell’acqua, prosegue:

perché tutti coloro che in essa riceveranno

il Battesimo, sepolti insieme con Cristo

nella morte con lui risorgano alla vita im-

mortale. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Nella nuova preghiera si è voluta con-servare, rendendola però facoltativa, l’im-mersione del cero che nel testo prece-dente era accompagnata e spiegata inquesti termini:

Discenda nella pienezza di questo fonte la

virtù dello Spirito Santo e fecondi tutta

quest’acqua così che essa abbia l’efficacia

di rigenerare.

Si tratta di un gesto esplicativo di unacerta importanza che non andrebbe tra-lasciato soltanto perché evoca un ritualefallico, tuttavia bisogna riconoscere cheaverne ora legati gli effetti non più allafecondazione dell’acqua di rinascita nelloSpirito (Gv 3) ma alla mistica cristologicadella morte-resurrezione di Rm 6, ne haoscurato non poco il significato profondoe l’intento originario.

——————

Nota bibliografica

La traduzione italiana delle preghiere romana e bizan-

tina sono tratte da: Messale Romano Latino-Italiano

per la Domenica e le Feste, Città del Vaticano 1965,

229-233; S. Parenti – E. Velkovska, L’Eucologio Barbe-

rini gr. 336, Seconda edizione riveduta con traduzione

italiana (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae Subsidia,

80), Roma 2000, 306-307.

Sulla benedizione dell’acqua: Alex Stock, La benedi-

zione dell’acqua battesimale nella liturgia romana,

Gabriele Winkler, La benedizione dell’acqua nelle litur-

gie orientali, Concilium 2/1985, 68-80, 81-91, si veda

anche D. Serra, Baptism: Birth in the Spirit or Dying

with Christ, Ecclesia Orans 22 (2005), 295-314.

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evangelista Matteo riportache Cristo risorto invia i suoi di-scepoli a predicare in tutto il

mondo, dicendo loro:“Andate dunque e ammaestrate tutte

le nazioni, battezzandole nel nome delPadre e del Figlio e dello Spirito Santo,insegnando loro ad osservare tutto ciòche vi ho comandato. Ecco, io sono convoi tutti i giorni, f ino al la f ine delmondo” (Mt 28, 19-20).

Queste parole di Gesù furono accol-te dagli apostoli come la Sua espressavolontà di far conoscere il vangelo atutti gli uomini in tutto il mondo. Perobbedire al desiderio del Signore risor-to gli apostoli si diressero in tutte leparti del mondo allora conosciuto perdiffondere la Parola e battezzare coloroche l’accettavano, seguendo il volere diGesù.

Il battesimo, pertanto, era la logicaconseguenza della predicazione apostoli-ca a cui faceva seguito come desiderioespresso da coloro che, avendo ricevutol’annuncio evangelico, volevano diventa-re figli del Padre.

Gli Atti degli Apostoli testimoniano lapredicazione apostolica alla quale facevaseguito il battesimo che non era sempli-cemente un atto formale di penitenza,ma un vero e proprio cambiamento di vi-ta: ”Giovanni ha battezzato con acqua,

voi invece sarete battezzati in Spirito San-to, fra non molti giorni” (At 1,5).

Pertanto pur restando nella sua ritua-lità esteriore un atto simile al battesimoche Giovanni praticava sulle rive del fiu-me Giordano, il battesimo amministratosecondo l’insegnamento di Gesù era ra-dicalmente diverso: quello di Giovanni la-vava il corpo e richiedeva un pentimentointeriore, quello di Cristo eliminando ilpeccato originale rivoluzionava l’esisten-za stessa del credente facendolo diventa-re figlio del Padre.

Uno degli episodi sintomatici descrittonel libro degli Atti degli Apostoli è senzadubbio l’episodio dell’incontro di Filippocon l’eunuco della regina Candace: “Unangelo del Signore parlò intanto a Filip-po: “Alzati, e va’ verso il mezzogiorno,sulla strada che discende da Gerusalem-me a Gaza; essa è deserta”. Egli si alzò esi mise in cammino, quand’ecco un Etio-pe, un eunuco, funzionario di Candàce,regina di Etiopia, sovrintendente a tutti isuoi tesori, venuto per il culto a Gerusa-lemme, se ne ritornava, seduto sul suocarro da viaggio, leggendo il profetaIsaia.

Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va’avanti, e raggiungi quel carro”. Filippocorse innanzi e, udito che leggeva il profe-ta Isaia, gli disse: “Capisci quello che staileggendo?”. Quegli rispose: “E come lo

I battisteri paleocristianimons. Cosma Capomaccio

L’

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potrei, se nessuno mi istruisce?”. E invitòFilippo a salire e a sedere accanto a lui.

Il passo della Scrittura che stava leg-gendo era questo: Come una pecora fucondotto al macello e come un agnellosenza voce innanzi a chi lo tosa così eglinon apre la sua bocca. Nella sua umiliazio-ne il giudizio gli è stato negato,ma la suaposterità chi potrà mai descriverla? Poichéè stata recisa dalla terra la sua vita.“

E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: “Tiprego, di quale persona il profeta dicequesto? Di se stesso o di qualcun altro?”.

Filippo, prendendo a parlare e parten-do da quel passo della Scrittura, gli an-nunziò la buona novella di Gesù.

Proseguendo lungo la strada, giunseroa un luogo dove c’era acqua e l’eunucodisse: “Ecco qui c’è acqua; che cosa mi im-pedisce di essere battezzato?». E Filippodisse: «Se tu credi con tutto il cuore, lopuoi». Ed egli rispose, dicendo: «Io credoche Gesù Cristo è il Figlio di Dio». Fece fer-mare il carro e discesero tutti e due nell’ac-qua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò.

Quando furono usciti dall’acqua, loSpirito del Signore rapì Filippo e l’eunuconon lo vide più e proseguì pieno di gioiail suo cammino” (At 26-38).

Da questo episodio si può dedurre lostretto e imprescindibile legame tra l’ac-qua e la somministrazione del battesimo:l’uno non può fare a meno dell’altra.

Il Battesimo

Le parole “battesimo”, “battezzare”,infatti, derivano dal greco (baptàzw,

bßptein), dove la radice corrispondenteindica “immergere nell’acqua”. In effettiil battesimo simboleggia il seppellimentodel vecchio uomo e la rinascita dell’uomorinnovato.

Alle soglie del Nuovo Testamento,Giovanni Battista predica nel deserto erealizza un “battesimo di acqua” comesegno di conversione e di preparazioneper accettare colui che battezzerà “inSpirito Santo e fuoco” (Mt 3,11).

Il Catechismo della Chiesa Cattolicacosì afferma:

1213 Il Battesimo può definirsi «il sa-cramento della rigenerazione cristianamediante l’acqua e la parola»

1214 Lo si chiama Battesimo dal ritocentrale con il quale è compiuto: battez-zare (in greco) significa «tuffare», «im-mergere»; l’«immersione» nell’acqua èsimbolo del seppellimento del catecume-no nella morte di Cristo, dalla quale risor-ge con lui, quale «nuova creatura» (2 Cor 5,17; Gal 6,15).

1215 Questo sacramento è anchechiamato il «lavacro di rigenerazione e dirinnovamento nello Spirito Santo» (Tt 3,5), poiché significa e realizza quellanascita dall’acqua e dallo Spirito senza laquale nessuno «può entrare nel regno diDio» (Gv 3,5).

1216 «Questo lavacro è chiamato illu-minazione, perché coloro che ricevonoquesto insegnamento [catechistico] ven-gono illuminati nella mente». Poiché nelBattesimo ha ricevuto il Verbo, «la lucevera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), ilbattezzato, dopo essere stato

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«illuminato», è divenuto «figlio dellaluce» e «luce» egli stesso (Ef 5,8):

Il simbolo dell’acqua, pertanto, sia se-condo l’Antico che il Nuovo Testamento,è segno dello Spirito di Dio che agisce.

Dal momento che non era possibileamministrare il battesimo senza la pre-senza dell’acqua e poiché non si pote-vano sempre portare i catecumeni pres-so un fiume od un lago, specialmentequando il cristianesimo si diffuse incittà e villaggi presso i quali non esiste-vano le suddette presenze acquifere,sin dai primi secoli si pensò di fornire diuna fonte d’acqua i luoghi nei quali si

svolgeva la celebrazione eucaristica do-menicale.

E’ evidente che il battesimo si ammini-strò fin dai tempi apostolici ma, ad ecce-zione dell’edificio di Dura Europos, non cisono pervenuti monumenti superstiti.

Si è parlato anche a più riprese di bat-tisteri nelle catacombe romane, special-mente riguardo ad un nucleo del cimite-ro di Priscilla: in realtà finora si conosce ilsolo esempio del cimitero di Ponziano,non anteriore al sec. VI; a Napoli poi ilbattistero delle catacombe di S. Gennarova assegnato addirittura alla secondametà del sec. VIII.

Quasi certamente i battisteri deiprimi secoli bisogna identificarli,come abbiamo detto, o in elementinaturali, fonti, sorgenti e fiumi, ilGiordano infatti rimase sempre illuogo prediletto per il battesimo inPalestina, o in costruzioni già esi-stenti adattati alla bisogna: bagni,fontane, ecc. In ultima analisi qua-lunque ambiente poteva essere tra-sformato in battistero: bastava por-tarvi un bacino, come del resto sifaceva anche più tardi a Filippi nel-la Macedonia e in molte chiese del-l’arcipelago egeo.

Probabilmente a questa ragioneè da attribuire l’assenza di indizi re-lativi all’esistenza di battisteri nelleaule cultuali precostantiniane diRoma, dove peraltro sarebbe assur-do non supporne almeno uno.

E’ stato già detto che: “La eccle-sia domestica” , dove si adibival’ambiente più spazioso a sala di

Gemila: vasca battesimale sormontata da una cupola su4 colonne

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riunione celebrativa, si trasforma nelladomus ecclesiae dove tutti gli ambientivengono adibiti ad uso liturgico, convarie funzioni: vi sono una grande salaper le riunioni aperta sul cortile centra-le, un battistero, una stanza per l’agapefraterna e, talvolta al piano superiore,anche l’abitazione dei sacerdoti ed al-cune stanze per coloro che si prepara-vano a ricevere il battesimo1.

D’altra parte, che nei primi decennidel III secolo, sia la liturgia che l’organi-smo battisteriale avessero forme definitelo prova il battistero rinvenuto nella casacristiana di Dura Europos2, dove sonopresenti tutti gli elementi di un battisteroevoluto dell’età della pace, e cioè l’am-biente distinto dalla sala di culto, il baci-no (m. I,6I x 0,95 x 0,65 di profondità)con baldacchino impostato su quattrocolonne, la decorazione alle pareti conscene del V. e N. Testamento e la sala at-tigua, destinata forse non solo alle agapi,ma usata anche come consignatorium oluogo della cresima.

Si può dunque affermare che, in ordi-ne di tempo, il rito e l’ambiente battesi-male appaiono liturgicamente e tecnica-mente compiuti, laddove per la basilicamancano fino ad oggi gli elementi storiciper supporre un analogo processo for-mativo. Il che prova in definitiva l’ecce-zionale importanza che rivestiva il ritodell’iniziazione cristiana nelle prime co-munità.

Gli studiosi ed i ricercatori, pertanto,ci forniscono una numerosa serie di noti-zie storiche ed archeologiche che riferia-mo di seguito.

Il battistero

Il battistero (dal latino baptisterium), neltempo che segue all’editto di Costantino,è l’edificio annesso alla chiesa, dove si svol-ge il rito del battesimo. La separazione deidue luoghi ha origine nei primi secoli del-l’era cristiana, quando i neofiti, non ancorabattezzati, non erano ammessi alle cele-brazioni liturgiche che si svolgevano all’in-terno dei luoghi di culto consacrati.

Il battistero ha per lo più otto lati,specie dopo la costruzione del battisterolateranense, modello da imitare per seco-li, così da rappresentare l’ottavo giornodella settimana, cioè il nuovo giorno, incui inizia l’era del Cristo: dopo i sei giornidella creazione e dopo il settimo, il saba-to, l’ottavo annuncia l’eternità, la resur-rezione di Cristo e quella dell’uomo.

Un caso di battistero a nove lati èquello di Agliate.

Arte paleocristiana

La forma artistica di questo periodo èchiamata paleocristiana, perché derivadal greco pßlaios (antico), e si manife-stò all’inizio con la pittura nelle catacom-be. Sono opere d’arte ed edifici creati peril culto cristiano durante i sei secoli suc-cessivi alla nascita di Cristo, in particolarein Italia e nei territori di tradizione figura-tiva classica. Tale periodo, che ha la mag-giore rilevanza artistica tra il IV secolo ela metà del V, si sovrappone a quello tar-do antico dell’arte romana (dalla fine delII al V secolo) e ai primi tre secoli dell’arte

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bizantina (dal V al VII secolo). Fino all’e-ditto di Milano (313), con il quale l’impe-ratore Costantino fece del cristianesimouna delle religioni ufficiali dell’impero ro-mano ponendo fine alle persecuzioni deicristiani, l’arte cristiana si limitava alla de-corazione di luoghi di culto non pubblici,come le ecclesiae domesticae. La mag-gior parte dei dipinti e delle sculture pa-leocristiane si ispirò all’arte romana,adattandola per conformarla alla naturaspirituale della religione cristiana.

Collocazione rispetto alla basilica

Il battistero, nei casi più rappresentativi,è separato dal corpo della chiesa ed è collo-cato generalmente al suo fianco o di fronteal prospetto principale. L’edificio in generesi presenta a pianta poligonale o circolarecon una copertura a cupola e al suo inter-no contiene il fonte battesimale, che in ge-nere è costituito da una vasca in marmo,giacché doveva permettere la parziale im-mersione del battezzando, secondo la tra-dizione rituale paleocristiana.

Appellativi

I battisteri erano edifici a pianta cen-trale. Potevano essere, come già detto,circolari o poligonali, così che il fedeleavesse la possibilità di vedere l’oggettodell’interesse, il fonte battesimale, dal va-no anulare, o deambulatorio, che lo cir-condava. Un battistero tipico è quello cir-colare presso la basilica di San Giovanni

in Laterano, a Roma, alcune parti delquale risalgono almeno al 313. Fu erettointeramente con materiale di recuperocome le massicce porte bronzee e il fon-te, un vasto bacino in porfido, che pro-venivano dalle terme di Caracalla.

Celebri i battisteri di Firenze, Pisa,Asti, Ravenna, Albenga e Parma; que-st’ultimo con delle marcate influenze go-tiche. Il battistero di San Giovanni in Fon-te, sito a Napoli, è considerato il più anti-co del mondo occidentale.

Altro esempio: Marcellianum, era unsuburbio di Cosilinum, antica città dellaLucania romana, che corrisponde all’at-tuale San Giovanni in Fonti. Nel IV secolod.C. in questa località, sopra una sorgen-te perenne e considerata sacra, sorge ilbattistero in cui veniva amministrato ilbattesimo per immersione.

Già Cassiodoro in un resoconto adAlarico, re dei Goti, descriveva il sito, edè, di notevole suggestione la narrazioneche parla dell’aumento miracoloso delvolume delle acque durante la cerimoniadel Sabato Santo.

La fondazione del battistero si fa risa-lire al 308 d.c., all’epoca di Papa Marcel-lo I, da cui la zona avrebbe preso il no-me, e la sua scomparsa sarebbe statacausata, intorno al IX secolo, da attacchisaraceni e longobardi.

Ambienti del battistero

Il battistero può essere costituito dauno o vari ambienti strettamente collega-ti: nelle basiliche di una certa importanza

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due o tre locali che lo circondano o nedipendono. La funzione di queste camerenon si può sempre determinare con esat-tezza; anzi sovente gli studiosi non sonoaffatto d’accordo sulla loro destinazione.Anche in questi casi vengono fatti nomied ipotesi, che la prudenza suggerisce diaccogliere con molte riserve, anche se c’èchi esclude a priori ogni possibilità.

Il Lemerle ritiene che spesso i locali at-tigui al battistero furono ambienti di ser-vizio, buoni ad ogni uso e senza una fun-zione particolare.

Ciò in realtà contrasta col criterio di ri-gorosa funzionalità che contraddistinguel’architettura cristiana. Il silenzio dei testi,se deve indurre alla prudenza, non impe-disce di supporre che tutte le varie partidel rito battesimale, disponendosi di variambienti, potessero ripartirsi tra quei lo-cali. Del testo diventa assurdo pensareche gli ambienti annessi al battistero diSalona, di cui si parlerà più avanti, possa-no essere eccezionalmente, soltanto lo-cali di servizio.

Si ritiene generalmente che il com-plesso degli edifici battisteriali compren-da almeno due ambienti: la sala con lavasca e una camera attigua, posta ad oc-cidente, nella quale il vescovo avrebbeamministrato il crisma: il consignatoriumo rismßrion. Una prova decisiva verrebbefornita dalla presenza dell’abside, che fa-rebbe supporre l’esistenza della cattedrae quindi del vescovo per il rito della cresi-ma, anche questo vano però è molto ra-ro; anzi si trova piuttosto nel battistero,dove evidentemente si amministravanoambedue i sacramenti. Altro indizio signi-

ficativo sarebbe il banco addossato allaparete di uno dei locali dipendenti; inquesto caso si tratterebbe dell’ambientedestinato ad accogliere i catecumeni perl’istruzione prebattesimale, il cosiddettocatecumeneo.

Le sole indicazioni utili delle fonti let-terarie si trovano nelle Catechesi di S. Ci-rillo, ove si distingue un vestibolo dal bat-tistero, chiamato per contrasto, «am-biente interno», o anche, corrispondenteal «sancta sanctorum» o «sacrarium» diS. Ambrogio. Tuttavia il vestibolo cui ac-cenna S. Cirillo si trova ad esempio nelbattistero lateranense, ma manca in mol-tissimi altri monumenti.

Un esempio di come sia possibile trar-re il massimo profitto dagli elementi a di-sposizione potrebbe considerarsi quelloche il Dyggve ha creduto di ricostruireper il battistero cattolico di Salona. All’in-gresso i battezzandi si portavano nel ca-tecumeneo, dove ricevevano l’istruzionee venivano preparati spiritualmente a ri-cevere l’acqua lustrale; di lì, attraverso unportico situato tra il battistero e la basili-ca, passavano in un locale fornito di ban-chi lungo le pareti, e attendevano il mo-mento della cerimonia. Giunto il loro tur-no, entravano in un locale a deporre gliabiti e da lì venivano introdotti nel batti-stero; quivi si sottoponevano all’esorci-smo e alla triplice immersione nella vascacruciforme.

Una volta battezzati, passavano inun’altra stanza per l’unzione, davanti allacattedra, dalla quale il vescovo presenzia-va il rito; quindi, ripercorrendo il porticoesterno in senso longitudinale, erano

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ammessi nella basilica per partecipare al-l’Eucaristia. Se questa geniale ricostruzio-ne rispondesse al vero, sarebbe meritodel Dyggve aver individuato a Salona uncomplesso di battistero paleocristiano,veramente completo sia dal punto di vi-sta liturgico che architettonico. Ma è do-veroso avvertire che la funzione di qual-che ambiente va ritenuta puramente ipo-tetica.

La forma dei battisteri

La più grande varietà di forme dominal’architettura dei battisteri.

Della comune origine negli edificitermali dell’età classica, gli artisti cri-stiani ritennero soprattutto la costruzio-ne a simmetria accentrata, per le carat-teristiche stesse di tale forma che per-metteva visibilità totale ed uniformeverso il punto centrale: la vasca battesi-male. Tenendo fermo quel principio co-struttivo, non rimase loro che la libertàdi scegliere il tipo del perimetro esternoe quello della vasca, ambedue interdi-pendenti nei rapporti estetici e funzio-nali, e strettamente connessi nel lin-guaggio simbolico che, nel caso deibattisteri, non è esagerato individuarecome il tessuto stesso della disposizionestrutturale.

Il simbolismo infatti viene chiaramentespiegato sia nella decorazione musivache epigrafica: l’iscrizione di Sisto III nelbattistero lateranense esalta i vantaggidella grazia acquistata dall’acqua rigene-ratrice; gli otto distici di S. Ambrogio nel

battistero di S. Tecla a Milano illustrano,tra l’altro, il significato della forma otta-gonale.

Del resto, almeno in Oriente, anche lebasiliche trassero dai battisteri la sugge-stione per lo schema a pianta centrale,per la volta e per la cupola; e dovunqueal battesimo e all’acqua purificatrice s’i-spirarono talvolta le decorazioni delle ab-sidi e gli affreschi dei cubicoli cimiteriali.

Nelle forme dei battisteri s’incontratutta la gamma di varianti dello schema asimmetria accentrata: figure semplici co-me il circolo, il quadrato e il poligono; fi-gure complesse ricavate con l’aggiunta dinicchie nei lati del perimetro, l’inserimen-to di un tetraconco o quadrifoglio, l’in-crocio di due triconchi componenti unesagono di absidi, cioè uno schema stel-lare. Fra tutte prevale tuttavia l’ottagono,nelle diverse combinazioni, che possonoessere classificate come segue:

*ottagono semplice con o senza nic-chie inscritte o ricavate nell’ambito delmuro perimetrale: battisteri di S. Stefano,S. Giovanni, S. Aquilino presso S. Loren-zo a Milano (sec. IV), di Albenga (sec. V),di Parenzo (sec. VI), degli Ortodossi oNeoniano (458) e degli Ariani (sec. VI) aRavenna;

*ottagono con incrocio di un tetra-conco con uno schema cruciforme:battisteri di Novara (sec. V), S.Vitale (sec.V?), Nevers (sec. VI), Qal ‘at Sem’~n (sec.V-VI) ;

*ottagono libero o inscritto in unquadrato con giro interno di colonne.

Il peribolo (recinto di un luogo sacro)può essere:

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• addossato agli angoli del poligono:Fréjus (inizi sec. V), Tabarka o Tha-braka in Tunisia (sec. VI);

• indipendente: Aix-en-Provence (sec.IV-V), Riez (sec. V), S. Mena in Egitto,basilica grande;

• a colonne binate: Marsiglia, dovefanno da pendant ad una serie oppo-sta poggiata al perimetro interno (sec.IV?), Bir-bou-Rekba (Siagu in Tunisia),in cui la massa si articola sensibilmen-te per le tricore inserite in ciascun latodel poligono, battistero Lateranense aRoma, nella sistemazione di Sisto III(432-440), la cui evoluzione mostra ilpassaggio dallo schema circolare aquello poligonale.

Le vasche battesimali

La varietà riscontrata nella formadegli edifici si ripete e anzi si accentuanei riguardi delle vasche. Quando siparla di forma della vasca, sarebbe ne-cessario distinguere quella esterna dal-la interna: però quando non c’è altraesplicita indicazione, si intende soloquella esterna.

Ciò premesso, si ricordano tra le for-me più diffuse di vasche:

* l’ottagonale, internamente crucifor-me o a quadrifoglio: Betlemme e NeaAnchialos in Grecia, Marsiglia e Fréjus inFrancia, Albenga e Nocera in Italia, Sah-ratha e Tabarka in Africa; * la circolare:basilica di Serbus a Sbeitla, Ain Zigara, Si-di Ferruch, Tigzirt, Tipasa in Africa; S. Se-verina in Italia; basilica A di Lesbo in Gre-

cia; a Coo; basilica maggiore di S. Menae Medamùd in Egitto; Bersabea, Mada-ba, Taibeh, Kerak, Megreh in Palestina;

* l’ovale o a foggia di barca: a Gera-sa, ad Apollonia in Cirenaica; nel batti-stero presso la basilica di S.Vitale a Sbei-tia; a Vega del Mar in Spagna;

*la rettangolare: Giil-Baktsché in Ana-tolia; Eleona, Evron in Palestina;

* la quadrata, spesso con quadrifogliointerno: Gemila, Matifu, Morsott, basilicadi Uppenna in Africa; S. Sepolcro;

* l’esagonale: Parenzo, Timgad, Der-mech, Damus el-Karita, Bir Ftua, Garizim;

* la cruciforme: Dodecanneso; Sbaita,Smakieh in Palestina; Oued Ramel in Tu-nisia; Leptis Magna in Tripolitania; batti-steri di Salona;

* a quadrifoglio: Bet Awa, ‘Amwas,Keratiya in Palestina; Asaaba in Tripolita-nia;

* la rosacea o stellare: Tebessa in Algeria; Sidi Mansur, Sfax, Hamman Lif,Henchir-Chigarnia, Zaghuan, Henchir-el-Hakaima nella Tunisia, regione nellaquale sembra essersi maggiormente diffusa.

La presente classificazione non puòtener conto naturalmente dei molti batti-steri che ebbero vasche mobili, probabil-mente ancora esistenti, ma non ricono-scibili, mancandovi un qualunque indiziodi vasca, che è la prova determinantedella funzione dell’ambiente.

La conoscenza, piuttosto inadeguata,di queste vasche mobili lascia un angolooscuro nel quadro delle notizie di cui sidispone relative alla costruzione delle va-sche. Per costruzione non s’intende il

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materiale impiegato, di regola muraturanei tipi comuni, tappezzata esternamentedi mosaici, oppure un semplice monolitocon parca decorazione, bensì il criterio,se vi fu, che regolò la profondità del reci-piente e il suo rapporto con la quota delpavimento della stanza.

La profondità di una vasca non puòessere stabilita in una quota media, es-sendo molto sensibile il divario tra la mi-sura minima e la massima. Si passa daun minimo di m. 0,35 a Tebe di Tessa-glia basilica A ad un massimo di m. 2accertati ad Asabaa e nella basilica meri-dionale di Sabratha in Tripolitania; inol-tre, rispetto alla quota del pavimento, levasche si tengono elevate di poco colbordo inferiore e normalmente presen-tano due o più rampe di scalini per per-mettere di toccare il fondo delle stesse.Al contrario della norma comune, cheesige la vasca in muratura scavata nelpavimento, vi sono casi di vasche so-praelevate, raggiungibili con scale ad-dossate: i massimi toccano i m. 0,90 neibattisteri di Gifna e Kh. Zacarieh e addi-rittura i m. 0,94 a Betlemme, sempre inPalestina. Il Bagatti, pubblicando questidati, si chiede se non sia il caso di pen-sare che le vasche sopraelevate fosserodestinate al battesimo dei bambini; l’i-potesi sarebbe accettabile, qualora sa-pessimo con certezza che il tipo «incas-sato», cioè sotto il pavimento, fosse ri-servato al battesimo degli adulti, ma inrealtà l’evidente scomodità delle vaschealte non esclude l’utilizzazione da partedelle donne, che verrebbero ad essere inparte isolate dallo sguardo di tutti.

Altro problema strettamente legatoalla misura della profondità della vasca èquello del tipo di battesimo: per immer-sione o per effusione.

È ovvio che in una vasca di cm. 40 dialtezza o anche poco di più non solo nonsi può parlare di immersione, ma si sta-rebbe scomodi anche stando in ginoc-chio. La diffusione di vasche pocoprofonde e anche il loro numero fannoescludere la prevalenza di una forma dibattesimo sull’altra e stanno piuttosto adimostrare che il battesimo ad immersio-ne e quello per effusione non soffrironodi sensibili preferenze presso le comunità.La forma del battesimo è destinata a ri-manere dubbia in un sol caso, quando laprofondità della vasca è media, cioè suicm. 50-60. A tal proposito non si com-prende ad esempio, come sia possibileper il Lassus asserire che la vasca del bat-tistero di Dura Europos, profonda cm.65, sia servita per il rito dell’immersione,quando lo stesso potrebbe dirsi per ilbattesimo ad effusione.

In alcuni battisteri, oltre alla vascagrande, si trova una più piccola: così aSbaita e ‘Amwas in Palestina e probabil-mente a Dolojman in Romania, dove unpiccolo bacino angolare farebbe supporrel’esistenza di una vasca maggiore portati-le. Si crede che tali vaschette servisseroper l’olio, ma tale opinione non è sempreaccettabile: in qualche caso ciò è daescludersi, per cui appare più probabileche venissero adoperate per il battesimodei bambini.

Un’ultima interessante curiosità ine-rente alle vasche è quella dello scarico e

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dell’adduzione delle acque. Dai monu-menti superstiti si possono accertare que-sti fatti: • un certo numero di vasche serbano o

mostrano di aver avuto la tubaturaper l’afflusso dell’acqua e l’impiantoper lo scarico;

• la maggioranza delle vasche disponedi un sistema di deflusso, ma nonmostra traccia alcuna di dispositivoportatore;

• un gruppo considerevole di vaschenon ebbe mai impianti del genere. Ovviamente la presenza di un impian-

to presuppone la possibilità di poter di-sporre di quantitativi d’acqua piuttostoelevati, dato il numero di coloro che ac-cedevano al battesimo.

Diremo allora che i battisteri forniti didispositivi idrici si trovavano presso pisci-ne o depositi d’acqua di ogni genere, ca-paci di alimentare a sufficienza gli im-pianti; il secondo caso riflette la condizio-ne quasi generale dei battisteri: di trovar-si cioè a dover disporre di un limitatoquantitativo d’acqua, per cui si provvideall’impianto di scarico, ma l’alimentazio-ne si affidò esclusivamente al personaleincaricato del trasporto.

Qui però va tenuta presente laprofondità della vasca, giacché un reci-piente poco profondo poteva essere adi-bito solo per il battesimo ad effusione.

Il gruppo delle vasche prive d’impian-ti erano invece totalmente tributarie disistemi artificiali; in questo caso la diffi-coltà e la lunghezza del lavoro induconoa supporvi praticato il battesimo per ef-fusione e richiamano le raccomandazio-

ni contenute nella Didaché e nella Tradi-zione Apostolica d’Ippolito: l’acqua siaviva, cioè fluente, ma in mancanza diessa, ogni acqua fredda, calda o sta-gnante è buona per somministrare ilbattesimo.

Il posto della vasca entro la sala è diregola al centro in Occidente, dentrol’abside si può trovare in Oriente, spe-cialmente in Palestina e in Siria; se perònell’abside si trova collocato l’altare, essaviene spostata verso Ovest. La vasca puòessere scoperta ovvero chiusa entro unbaldacchino marmoreo, sorretto da co-lonne. Un esempio pregevole di baldac-chino viene conservato a Gemila in Afri-ca : su quattro colonne poggia un mo-nolito cupoliforme con volticelle a velanell’intradosso e il gancio al centro per lalampada. Nella vasca quadrata si scendeper due scalini; di fronte all’ingresso, ol-tre la vasca, in una piccola abside era si-stemata la cattedra, fiancheggiata dadue salette laterali; e, alla sua sinistra,c’era una porta di comunicazione, a de-stra l’ambiente per la cresima: il consi-gnatorium. I neofiti, una volta battezzatie unti col crisma, passavano nell’annessabasilica del sec. IV.

A Gemila, la vasca non presenta deco-razione musiva; ciò è in un certo sensoun’eccezione, perchè l’Africa, come laPalestina, ha serbato esempi mirabili dipiscine, interamente coperte di mosaici.

Certamente il lettore si chiederà il mo-tivo di questa lunga e dotta dissertazionesui battisteri paleocristiani che abbiamotratto dalla ponderosa opera di P.Testini“Archeologia cristiana” .

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Nell’era paleocristiana, e in seguito, ilsacramento del Battesimo era ritenutouno straordinario dono di Dio che chia-ma i credenti a diventare Suoi figli : “Nonvoi avete scelto me, ma io ho scelto voi”(Gv 15, 16). Per tale motivo di ecceziona-le pregnanza trascendente in ogni comu-nità cristiana sparsa nel mondo, comeabbiamo ampiamente testimoniato, illuogo del battesimo era vigorosamentesegnato da forme artistiche veramenteeccellenti.

Oggi?

Spesso, troppo spesso ci si accontentadi un semplice recipiente per la raccoltadell’acqua versata sul capo del battez-zando svalutando e decontestualizzandoil grande sacramento dell’iniziazione cri-stiana: ingresso alla partecipazione allavita della Chiesa e quindi alla vita di Dio.

Come sempre solo l’amore per il Si-gnore risorto, che ci chiama alla salvezza,diventa stimolo e sollecitazione a circon-dare questo grande sacramento di quelriguardo e quella premura che ci giungo-no con forza dai secoli precedenti.

——————1 C.Capomaccio, Dalla ecclesia domestica alla basilica, in Culmine e Fonte, n°3, Roma 2007, 9.2 Ibidem, nota 8, 13 “Quella di Dura Europos fu costruita nel 232 dC, come attesta un graffito. Il suo eccellen-

te stato di conservazione è dovuto al fatto che, essendo stata inglobata nella cinta muraria costruita nel III

secolo per proteggere la città dagli attacchi, rimase sepolta dal crollo del terrapieno delle mura stesse duran-

te l’assedio dei Parti nel 258 dC. La casa non è distinta dalle altre abitazioni, ma normalmente inserita nel

tessuto urbano. Il pianterreno ci offre una nitida visione di quello che doveva essere l’aspetto delle prime

chiese comunitarie. L’edificio è provvisto di un atrio circondato da ambienti di varie dimensioni e da un porti-

co. La chiesa vera e propria è la stanza più grande del piano terra. Essa si apre a sud dell’atrio, ed è costituita

dall’unione di due ambienti più piccoli mediante l’abbattimento del muro divisorio. Sulla parete est dell’aula

è visibile la cattedra per il presbitero: il sedile per l’anziano a capo della comunità. Adiacente a questa sala e

comunicante con essa è il catecumeneo: il locale destinato alla catechesi per la preparazione al battesimo,

ubicato sul lato ovest dell’atrio e comunicante con quest’ultimo attraverso una larga apertura. Infine, da un

piccolo passaggio sulla parete nord del catecumeneo, si accede al battistero: un vano di modeste dimensioni,

con una vasca battesimale alla parete ovest ed affreschi raffiguranti scene del Vecchio e del Nuovo Testamen-

to: particolarmente notevoli sono le figure di un’orante e di un Buon Pastore, la cui funzione, più che deco-

rativa, era prettamente simbolica. Al piano superiore erano le camere destinate ad abitazione.

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GENS SACRANDA POLIS HIC SEMINE NASCITUR ALMOQUAM FOECUNDATIS SPIRITUS

EDIT AQUAS.MERGERE, PECCATOR

SACRO PURGANDE FLUENTOQUEM VETEREM ACCIPIET PROFERET UNDA NOVUM.

NULLA RENASCENTUM EST DISTANTIAQUOS FACIT UNUM

UNUS FONS, UNUS SPIRITUS, UNA FIDES.VIRGINEO FETU

GENETRIX ECCLESIA NATOSQUOS SPIRANTE DEO CONCIPIT

AMNE PARIT.INSONS ESSE VOLENS

ISTO MUNDARE LAVACRO,SEU PATRIO PREMERIS CRIMINE

SEU PROPRIO.FONS HIC EST VITA

ET QUI TOTUM DILUIT ORBEMSUMENS DE CHRISTI VULNERE PRINCIPIUM.

COELORUM REGNUM SPERATE HOC FONTE RENATI

NON RECIPIT FELIX VITA SEMEL GENITOS.

NEC NUMEROS QUEMQUAM SCELERUM, NEC FORMA SUORUM TERREAT

HOC NATUS FLUMINE, SANCTUS ERIT.1

Nasce qui, da seme divino,un popolo da santificare, che lo Spirito fa sorgere

da queste acque rese feconde: immergiti, peccatore

che vuoi essere purificato, nel sacro fiume:

l’acqua restituirà nuovo quello che avrà accolto vecchio.

Non c’è più distanza tra coloro che rinascono

e che una sola fonte, un solo Spirito, una sola fede uniscono.

La madre Chiesa in quest’acqua genera con parto verginale i nati

che concepì alla morte di Dio. Se vuoi essere desto,

purificati in questo lavacro, sia che ti opprima la colpa dei padri,

sia la tua. Questa fonte è la vita e,

prendendo principio dalla ferita di Cristo,lava tutto il mondo.

Sperate il Regno dei Cieli, voi che siete rinati qui:

la vita dei beati non accoglie coloro che sono nati una volta sola.

Né il numero, né la qualità dei peccati atterrisca alcuno:

chi è nato in questo fiume sarà salvo.

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Iscrizione dell’epoca di Sisto IIIBattistero Lateranense (432 - 440)

——————1 L’iscrizione, in lettere capitali, non ha punteggiatura. I punti sono stati aggiunti solo per comodità di

lettura.

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l Battesimo è sacramento dellafede, secondo l’espressione tra-dizionale della teologia latina.

Non è soltanto il sacramento che dona lafede ma, anzitutto, il sacramento cheesprime la fede. È il sacramento nel qualela fede si professa e si compie.

L’iter redazionale del Rituale OrdoBaptismi parvulorum «trova unitarietàattorno alle preoccupazioni di origineprevalentemente dottrinale»; così scri-veva Annibale Bugnini nell’articolo ap-parso su “L’Osservatore Romano” del21 agosto 1969. Diceva che occorrevaevidenziare in modo corretto il rapportoFede-Battesimo, l’intrinseco riferimentodel Battesimo al Mistero Pasquale e ilsuo significato all’interno del più ampioquadro dell’Iniziazione Cristiana, comead esempio, esprimere meglio la con-nessione tra il rito battesimale e il temadell’aggregazione / introduzione al po-polo di Dio.

Dando uno sguardo storico, la pre-parazione del rito del Battesimo degliadulti e del rito del Battesimo dei bam-bini venne affidato al Coetus XXII, coa-diuvato dal Coetus XXIII del Consiliumad exsequendam de sacra liturgia. Il re-

latore fu M. Gy, mentre S. Mazzarellofunse da segretario. Certamente, lascelta del Coetus fu di estrema atten-zione al dato teologico, accanto allapreoccupazione pastorale. Il criterio fuche i diversi elementi dottrinali fosserocapaci di provocare interrogativi prove-nienti dall’esperienza pastorale. L’impo-stazione dottrinale appare, dunque,fondamentale; a essa si deve affiancarela preoccupazione di calare nel nuovoRituale i contenuti teologici percepiticome prioritari nella teologia sacra-mentaria [v. i Praenotanda generalia].

Il nuovo ordo del rito del battesimodei bambini venne promulgato il 15maggio 1969. Una Editio typica alteraè stata pubblicata il 24 giugno 1973, ein essa si notano diversi cambiamenti.Ci fu poi una nova impressio nel 1986.Il Concilio aveva chiesto di ovviare aldisagio di una celebrazione del Battesi-mo fatta con i bambini, ma costruitacon gli elementi dell’antica celebrazio-ne per gli adulti (tale era l’antico ritualedel 1614). In questo modo, per la pri-ma volta nella tradizione della Chiesacompare un rito del battesimo costrui-to proprio per i bambini.

La prima formula di benedizione dell’acqua

p. Juan Javier Flores Arcas, osb

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L’ Ordo Baptismi Parvulorum ha unprofondo senso dottrinale: lo si nota dall’i-ter redazionale, che rivela più di una sem-plice preoccupazione pastorale. Dunque, ilnuovo rituale non poteva ispirarsi a mo-delli preesistenti poiché, fin dalla TraditioApostolica, i bambini sono battezzati lostesso giorno e allo stesso modo degliadulti. Il Sacramentarium o GelasianumVetus, come l’Ordo XI, consideravano ibambini come se fossero degli adulti. Al-l’atto della riforma liturgica si dovevanocreare elementi nuovi, adattarne altri econservarne altri ancora. E, siccome la di-sciplina attuale della Chiesa non consentepiù di conferire i tre sacramenti nello stes-so tempo ai bambini, è nata anche l’esi-genza di separare il rituale della Confer-mazione da quello dell’Eucaristia.

Si può dire che nell’Ordo BaptismiParvulorum sono piuttosto rari i riferi-menti al legame del Battesimo con laConfermazione e l’Eucaristia. A tale ri-guardo è interessante il commento di S.Marsili su queste due parti: «Si ha…l’im-pressione che i redattori dei “Praenotan-da Generalia” sull’Iniziazione Cristiana, aparte la nota teologica degli articoli 1-2,non siano riusciti a sganciarsi dallo sche-ma che veniva loro fornito dal Rituale Ro-manum prima del Vaticano II… Infatti,…tutto il discorso verte unicamente sul Bat-tesimo, come sacramento a sé stante,senza nessun riferimento alla sua posizio-ne nel complesso dell’Iniziazione Cristia-na, dalla quale pure si erano prese lemosse»1.

Ai numeri 1 e 2 dei praenotanda ge-neralia dell’ Ordo Initiationis Christianae

Adultorum viene dato un certo rilievoalla prospettiva unitaria, prima di proce-dere all’analisi dei singoli sacramenti, inbase alla quale tutto quello che indicaun’adeguata comprensione di ciascunsacramento non può prescindere dallaconsiderazione dei nessi che li colleganol’uno all’altro. La frase conclusiva del n. 2 sottolinea che è nella loro reciprocainter-relazione che i tre sacramenti sonodecisivi in ordine alla costituzione diun’identità compiutamente delineata.Tutto il n 2 si occupa dell’identità pro-pria dei singoli sacramenti determinan-do gli effetti specifici di ciascuno di essi,i quali contribuiscono a fondare l’espe-rienza concreta della vita cristiana: «Triaigitur initiationis christianae sacramentaita inter se coalescunt, ut ad plenamstaturam perducant christifideles, quimissionem totius populi christiani in Ec-clesia et in mundo exercent». L’ordine,che si recepisce dai Praenotanda Gene-ralia, è significativo: al Battesimo seguela Confermazione, mentre il vertice del-l’Iniziazione è individuato nella pienapartecipazione all’Assemblea eucaristica(ad plenitudinem adducant), attraversola comunione sacramentale.

Procedendo oltre, i Praenotandadell’Ordo Baptismi Parvulorum, cioè lepremesse al rito vero e proprio, offrono igrandi temi e gli orientamenti dottrinaliattorno ai quali la celebrazione deve arti-colarsi. Essi sono: il rapporto battesimo-fede; battesimo-mistero pasquale; batte-simo-ingresso nella comunità ecclesiale e,infine, il battesimo nell’insieme dell’Ini-ziazione Cristiana. Non è compito pro-

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prio di un rituale quello di offrire una ric-ca e complessa teologia, tanto che non latroviamo in questi 31 numeri dei Praeno-tanda, ma si può vedere che c’è una riccasintesi di tutto quello che deve essere ilbattesimo dei bambini.

Ci interessa particolarmente il n 9, cheparla del rapporto tra il Battesimo ed ilMistero Pasquale: «Ad illustrandam Bap-tismi indolem paschalem, commendaturut sacramentum in Vigilia paschali cele-bretur aut die dominica, in qua Ecclesiaresurrectionem Domini commemorat».Come si può notare, la Veglia pasquale ela domenica sono i veri giorni per la cele-brazione del battesimo, ma il periodo incui si conferirà il battesimo è variabile.Ciò richiama nuovamente al n 8 dei Prae-notanda. In sintesi, i nn 44-46 contem-plano la Sacra Verbi Dei Celebratio. Unadelle grandi novità di tutti i rituali è pro-prio questa nuova Liturgia della Parolache offre la possibilità di stabilire un lega-me tra Parola e Sacramento. Questa litur-gia è composta da letture, omelia e pre-ghiera universale.

La celebratio Baptismi

La Celebratio Baptismi. È descritta ainn 53-66, dove troviamo il rito, compo-sto dalle seguenti parti:

• Benedictio et invocatio Dei superaquam (nn 54-55).

• Abrenuntiatio et professio fidei(nn 56-59).

• Baptismus (nn 60-61).

• Ritus explanativi (nn 62-66). Questi ritisono composti dalle seguenti parti:

✔ Unctio post Baptismum (n 62).✔ Impositio vestis candidae (n 63).✔ Traditio cerei accensi (n 64).✔ Effethà (nn 65-66).

Questi riti e queste formule sonoidentiche a quelle della iniziazione degliadulti, con monizioni diverse. La celebra-zione inizia con la solenne preghiera dibenedizione dell’acqua, preziosa cate-chesi sull’acqua nella storia della salvezzafino al battesimo istituito da Cristo; se-gue l’impegno solenne dei genitori, deipadrini e delle madrine a nome del bam-bino.

Benedictio et invocatio Dei superaquam (nn 54-55).

La preghiera di benedizione dell’ac-qua contiene una grande catechesi bat-tesimale. La triplice rinunzia e la tripliceprofessione di fede nel loro movimentorappresentano come la sintesi della vitacristiana e costituiscono la preparazioneimmediata all’atto battesimale. La primaformula di preghiera di benedizione del-l’acqua nell’attuale rito battesimaledev’essere considerata come un tutt’unocon l’azione battesimale stessa, data lasua ricchezza biblica e il suo valore teolo-gico-sacramentale.

L’acqua, fuori del tempo pasquale, saràbenedetta a ogni battesimo. Tale era laprassi nei primi secoli e così si fa ancora

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oggi nelle Chiese d’Oriente. Nella Chiesalatina tale prassi fu conservata solo fino al-l’alto Medioevo, perché poi si affermò l’u-so di pronunciare questa benedizione sol-tanto nelle vigilie di Pasqua e di Penteco-ste (nell’ Ordo Hebdomadae Sanctae del1956 solo nella Veglia Pasquale). La rifor-ma liturgica ha stabilito che, fuori del tem-po pasquale, l’acqua sia benedetta nellastessa celebrazione del sacramento (SC70; Praenotanda n 21). Lo scopo di taleprescrizione è in ordine alla comprensionedel mistero battesimale, alla luce della sto-ria della salvezza: «Sacramenti autem ce-lebratio proxime preparatur tum celebran-tis sollemni oratione quae, Deum invocan-do eiusque salutis consilium recolendo,aquam Baptismi vel benedicit vel eius be-nedictionem commemorat» (n 18,1).

Dunque, è parte della celebrazionequesta solenne Benedictio et invocatioDei super aquam nella quale, invocandoDio e ricordando il suo disegno di salvez-za, egli benedice l’acqua battesimale. Larubrica dice che: «Deinde, ad fontemconversus, extra tempus paschale, cele-brans profert benedictionem sequen-tem» (n 54).

Come prex è stato scelto un antichis-simo testo che si trova anche in altri luo-ghi della liturgia rinnovata, cosí nel Mes-sale Romanum, nella sua tertia edityo ty-pica, appare la stessa preghiera con il ti-tolo Benedictio aquae baptismatis2. An-che nell’ Ordo Initiationis christianaeadultorum3 appare con il seguente titolo:Benedictio aquae. L’Ordo Baptismi Parvu-lorum invece intitola: Benedictio et invo-catio Dei super aquam.

Il testo proviene dal SacramentariumGelasianum Vetus4. Il tutto è precedutodal seguente titolo: Inde descendis cumlitania ad fontem. Benedictio fontis.Nella Sezione XLIV, ai numeri 444-448,si trova questa lunga preghiera che si èmantenuta fina ad oggi nella liturgia la-tina. Il testo mette in rilievo alcune figu-re sia dell’Antico, sia del Nuovo Testa-mento, come ad esempio, l’acqua ama-ra che diventa dolce, l’acqua sgorgatadalla roccia, l’acqua trasformata in vinoa Cana, l’acqua sulla quale Gesù cam-minò, l’acqua del Battesimo e l’acquache esce dal costato di Cristo. Dunque,si tratta di una grande Benedizione del-l’acqua5, strutturata secondo l’anamne-si che indica tutti i momenti nei qualil’acqua stessa ha assunto un ruolo salvi-fico.

B. Neunheuser che ha studiato tuttele fonti delle preghiere di benedizionedell’acqua dice chiaramente come la be-nedizione appartiene al sacramento:«…quod totius celebrationis sacramentibaptismi culmen primum est sanctificatioaquae, quam sequitur, ut culmen sedun-dum, actus baptismalis. Istud vero pri-mum culmen, invocatio scilicer consecra-toria, est praecise benedictio aquae bap-tismalis»6. Lo stesso autore chiama aquesta importante preghiera invocatio-nem eucharisticam o invocationem con-secratoriam7.

Al riguardo di questo argomento svi-luppato, è bene leggere un bel commen-to a questa preghiera, fatto da A. Nocentil quale divide la benedizione in nove pa-ragrafi8. Le fonti di questa famosa pre-

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ghiera si possono leggere in questo stu-dio di Nocent. Conclude così: «Sembraquindi più probabile pensare che il testodi questa benedizione fosse conosciuto aRavenna all’inizio del V secolo, ma com-posto a Roma»9.

La preghiera gelasiana di benedizio-ne dell’acqua contiene una antichissimabenedizione dell’acqua battesimale lacui origine già si trova in Tertulliano. Es-sa inizia così: «Omnipotens sempiterneDeus, adesto magne pietatis tuae my-steriis, adesto sacramentis et ad crean-dos novos populos, quos tibi fons bapti-smatis parturit, spiritum ad / optionisemitte, et quod humilitatis nostrae ge-rendum est ministerio, tuae virtutiscompleatur effectus»10. Si tratta diun’introduzione che ricorda, in primoluogo, l’opera della Creazione e la ge-nerazione di un nuovo popolo generatodal l ’acqua battesimale. Il n 444 del sacramentario gelasiano in-tende pregare per i ministri, umili stru-menti di tanto mistero, ma tale intenzio-ne é preceduta dalla solenne proposizio-ne a Dio dell’opera salvifica che si vacompiendo e si chiede il dono dello Spi-rito Santo per far nascere nuovi popolidal seno del fonte battesimale.

La seconda parte della preghiera gela-siana è costituita dal n 445 dove vienemessa in evidenza la potenza dell’operadi Dio, secondo queste parole: «Deus,qui invisibili potentia tua sacramentorumtuorum mirabiliter operaris affectum, etlicet nos tantis misteriis exequentis simusindigni, tu tamen gratiae tuae dono…».Proprio con queste parole incomincia la

Benedictio et invocatio Dei super aquamdell’ OBP nel numero 54.

Possiamo considerare il testo del nuo-vo ordo come un testo antico, con alcunicambiamenti, che diventa una vera cate-chesi sull’acqua.

La preghiera ha una struttura trinita-ria: si rivolge a Dio Padre, compiendo lamemoria, l’anamnesi degli atti salvifici dalui operati nella storia in preparazione delsacramento del battesimo, invoca l’infu-sione dello Spirito, della sua virtù, dellasua potenza nell’acqua, onde santificarlae renderla santificante, onde renderlaelemento sacramentale, per la mediazio-ne del Figlio Gesù Cristo nostro Signore11.

La possiamo dividere in diverse parti.1.- L’acqua, segno sacramentale del

battesimo:

Deus, qui insibili potentia per sacra-mentorum signa mirábilem operaris ef-fectum, et creaturam aquae multis modispraeparasti, ut Baptismi gratiam demon-straret.

Le azioni salvifiche del passato si at-tualizano nel presente sacramentale. Laprima parte della preghiera mostra co-me i sacramenti debbano essere vistiquali “meraviglie di salvezza”, operatedalla potenza invisibile di Dio per mezzodei segni sacramentali del tempo dellachiesa. In tal modo, il battesimo è postonel contesto di tutta l’historia salutis edelle grandi opere che Dio realizza nel-l’attività sacramentale della chiesa. I sa-cramenti sono segni in cui si dispiegano

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le meraviglie della salvezza nel tempoattuale. Dio ha usato tutta la sua peda-gogia nella storia biblica, che permetteai credenti di comprendere le meraviglieche egli opera attualmente nell’acquabattesimale.

La preghiera si riferisce a sei grandiazioni divine, tre dell’Antico Testamentoe tre del Nuovo Testamento. Si ha cosìuna duplice serie di tre anamnesis chemanifestano ed esprimono l’efficacia sal-vifica propria dell’acqua battesimale.

2.- L’acqua della prima creazione:Deus, cuius Spiritus super aquas interipsa mundi primordia ferebatur, ut iamtunc virtutem sanctificandi aquarum na-tura conciperet.

Si incomincia con un’anàmnesis nel-la quale l’azione salvifica passata si at-tualizza e va in ultima analisi presentatae fatta valere davanti a Dio, affinchéegli se ne ricordi e la conduca al suocompimento escatologico12. Il primo ri-ferimento è al racconto della creazione,dove si parla dello Spirito di Dio chealeggiava sulle acque, rendendole fe-conde di vita per la potenza della paro-la divina. L’esegesi della tradizione pa-tristica parlerà della fecondità delle ac-que primordiali per mostrare la fecon-dità delle acque battesimali. Lo stessoTertulliano scrive nel suo trattato sulbattesimo che «lo Spirito di Dio eraportato sulle acque, egli che avrebbe ri-creato i battezzati»13. La preghiera dibenedizione, evocando il dato biblico

dello Spirito Santo sulle acque primor-diali, accoglie e fissa questa interpreta-zione. Come lo Spirito di Dio agiva sulleacque primitive per suscitarvi la primacreazione, così lo Spirito agisce ora sulleacque battesimali per suscitarvi la nuo-va creazione. Lo Spirito di Dio infatti ècreatore. L’acqua è il segno mediantecui la potenza di Dio opera la nuovacreazione. Il battesimo è così un’operadi creazione parallela all’opera creatriceche ha dato origine all’universo, ed èdello stesso ordine delle altre grandiopere creatrici dell’historia salutis. Leespressioni ipsa mundi primordia fere-batur e in ipsa diluvii effusione signasti,sono chiari riferimenti all’acqua dellacreazione e al Diluvio come tipologiadel Battesimo. Si tratta dell’acqua dellaCreazione sulla quale aleggia lo Spirito,mentre il Diluvio è il simbolo del maleche viene distrutto ed estirpato, nonchél’inizio della virtù.

3.- L’acqua del diluvio: Deus, qui rege-nerationis speciem in ipsa diluvii effusio-ne signasti, ut unius eiusdemque elemen-ti mysterio et finis esset vitiis et origo vir-tutum.

L’episodio biblico evocato in questosecondo momento della preghiera èquello del diluvio, in cui l’acqua assumeun nuovo significato simbolico: non è piùun ambiente di fecondazione, ma un ele-mento di distruzione del peccato delmondo e - nello stesso tempo - di salvez-za per un giusto, il quale è destinato a di-ventare la primizia di una nuova creazio-

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ne. Questa tipologia delle acque del dilu-vio appare nella prima lettera di Pietro3,18-2114 che stabilisce tra il diluvio, lamorte di Cristo in croce e il battesimouna analogia teologica. Il diluvio è prefi-gurazione del battesimo, perché in mez-zo, al centro della storia, si pone l’eventodecisivo della morte di Cristo in croce, se-guito dalla sua risurrezione. La costanteche permane in tutti i tre momenti è l’a-zione giudicante di Dio che distrugge unmondo di peccato e dà inizio ad un mon-do nuovo. Il segno che permette di met-tere in relazione il diluvio col battesimo èl’acqua. Il battesimo è un mistero di im-mersione nella morte di Cristo e di nasci-ta nuova “in virtù della risurrezione diCristo” mediante il segno sacramentaledell’acqua.

4.- L’acqua del Mar Rosso: Deus, quiAbrahae filios per mare Rubrum sicco ve-stigio transire fecisti, ut plebs, a Pharao-nis servitute liberata, populum baptizato-rum praefiguraret.

Questo evento è centrale nella storiadella salvezza e viene continuamente ri-chiamato nell’Antico Testamento per pro-clamare l’esodo nuovo dei tempi escato-logici. Nel Nuovo Testamento, Paolo vedeil tipo del battesimo e dell’eucaristia (1 Cor 10, 1-4.6). Tutta la tradizione cri-stiana ha ampiamente utilizzato l’eventodell’esodo per descrivere la portata delbattesimo come passaggio dalla vechiaalla nuova vita e come vittoria di Cristosul peccato e sulla morte. Dice san Basi-lio che il mare è figura del battesimo poi-

ché ha effettuato la separazione dal fa-raone, come il bagno del battesimo ci li-bera dalla tirannia del diavolo. Nel suoseno quel mare uccideva il nemico, nelbattesimo muore la nostra inimicizia conDio. Da quel mare il popolo uscì inden-ne, dall’acqua anche noi risaliamo viventidi tra i morti, salvati dalla grazia di coluiche ci ha chiamati. Quanto alla nuvola,essa è l’ombra del dono che ci viene dal-lo Spirito15. Questa terza tipologia dellapreghiera di benedizione sottolinea il si-gnificato dell’acqua battesimale comenuovo esodo: il popolo d’Israele che pas-sò attraverso il mare è figura del nuovopopolo dei battezzati in cammino versola terra promessa.

5.- L’acqua del Giordano: Deus, cuiusFilius, in aqua Iordanis a Ioanne baptiza-tus, Sancto Spiritu est inunctus.

Questo riferimento inizia le comme-morazioni del NT e lo fa con il battesi-mo di Gesù, testimoniato dai vangelisinottici. L’episodio è illustrato da Gesùstesso, quando inaugura la sua predi-cazione nella sinagoga di Nazaret e ap-plica a sé il detto del libro di Isaia:«Spiritus Domini super me: propterquod unxit me, evangelizare pauperi-bus misit me, sanare contritos corde,praedicare captivis remissionem, etcaecis visum, dimittere confractos in re-missionem, praedicare annum Dominiacceptum et diem retributionis»16. Lostesso Spirito di Dio che aleggiava sulleacque della prima creazione fecondan-dole, ha consacrato Gesù. L’acqua delGiordano è il segno del battesimo di

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Gesù e dell’unzione dello Spirito. Il bat-tesimo presenta il tipo della morte edella vita: l’acqua è figura della morte,lo Spirito diventa la caparra della vita.In questo modo bisogna passare dallamorte per avere la vita, cioè lo Spiritoche ci è dato nel battesimo.

6.- L’acqua del costato trafitto di Ge-sù: Et, in cruce pendens, una cum san-guine aquam de latere suo produxit, ac,post resurrectionem suam, discipulis ius-sit: «Ite, docete omnes gentes, baptizan-tes eos in nomine Patris et Filii et SpiritusSancti».

Il riferimento di questa evocazione èalla morte di Gesù in croce, quando isoldati, «venuti da Gesù e vedendo cheera già morto, non gli spezzarono legambe, ma uno dei soldati gli colpì ilfianco con la lancia e subito ne uscì san-gue ed acqua» (Gv 19, 33-34). Sullacroce si compie la profezia di Zaccaria14, 8; Ez 47,1: dal costato di Cristo sca-turisce la sorgente d’acqua viva che,unita al sangue della sua passione, di-venta il simbolo dello Spirito Santo do-nato ai credenti e la prefigurazione delbattesimo della salvezza. L’acqua è il se-gno sacramentale del battesimo. Que-st’acqua, opera della creazione di Dio, èstata collegata alle grandi opere dellasalvezza dell’AT e del NT e può dunqueessere assunta quale segno sacramenta-le della salvezza che il Signore risortovuole comunicare a tutta l’umanità. Perquesto si fa ora esplicito riferimento alcomando di Cristo che affida agli apo-

stoli e ai loro successori la missione dievangelizzare e battezzare, mentre l’a-zione battesimale appare come un’azio-ne propriamente trinitaria che consacral’uomo al Padre, al Figlio e allo SpiritoSanto.

7.- Dall’anamnesis all’epiclesi. Respicein faciem Ecclesiae tuae, eique dignarefontem Baptismatis aperire. Sumat haecaqua Unigeniti tui gratiam de SpirituSancto, ut homo, ad imaginem tuamconditus, sacramento Baptismatis a cunc-tis squaloribus vetustatis ablutus, in no-vam infantiam ex aqua et Spiritu Sanctoresurgere mereatur.

Dopo l’anamnesi delle meravigliedella salvezza, la preghiera domanda aDio Padre la loro attuazione qui e ora,nel tempo della Chiesa e nell’esistenzadi coloro che stanno per ricevere il bat-tesimo. Colui che opera questa attualiz-zazione delle meraviglie della salvezzaper mezzo dell’acqua battesimale è loSpirito Santo che viene per questo invo-cato, affinché infonda nell’acqua la suapotenza creatrice, di liberazione e disantificazione, e nei battezzati sia ristau-rata l’immagine di Dio e la conformitàcon Gesù Cristo. L’invocazione si svolgein tre momenti: «summa haec aqua; uthomo...; in novam infantiam». L’espres-sione: «Respice, Domine, in faciem ec-clesiae tuae et multiplica in ea genera-tiones tuas, quae gratiae tuae effluentisimpetum…». Il testo vede il fonte comel’utero nel quale viene generata la nuo-va creazione: questo è un tema molto

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caro ai Padri della Chiesa, come Cle-mente Alessandrino e Tertulliano. Il fon-te è la madre che partorisce una nuovacreatura. L’acqua non soltanto genera,ma anche distrugge il male. Dunque,genera il bene e purifica dal male.

8.- La virtus Spiritus Sancti. Il bagnobattesimale e l’inserimento nel misterodella morte e risurrezione di Cristo: De-scendat, quaesumus, Domine, in hancplenitudinem fontis per Filium tuum vir-tus Spiritus Sancti, ut omnes, cum Chri-sto consepulti per Baptismum in mortemad vitam cum ipso resurgant.

La preghiera si conclude con l’invoca-zione diretta dello Spirito Santo, l’epicle-si vera e propria. Alla parola si accompa-gna il gesto. Il ministro infatti, diacono,presbitero o vescovo, pronunciando que-sta invocazione, tocca l’acqua con la ma-no. Si rinnova la scena del fiume Giorda-no: Gesù, santificato dallo Spirito discesosu di lui, toccando l’acqua con il suo cor-po ed essendo toccato dall’acqua, le co-municò la sua santità e la sua virtù santi-ficante. Il battesimo è, a un tempo, se-poltura e risurrezione, e ciò in relazioneal mistero pasquale unico di Cristo. È perquesto che anticamente i cristiani eranobattezzati nella notte di Pasqua: scende-vano a tre riprese nella piscina battesi-male, per simboleggiare i giorni trascorsida Cristo nella tomba e nel regno dellamorte e riemergevano come creature ri-sorte, indossando la veste bianca dellavita di grazia e portando il cero accesodella fede e della testimonianza cristia-

na, in cammino verso la mensa del Panee del vino e la conquista della beatitudi-ne eterna. Forse è la parte più propria-mente epicletica, dal momento che sitratta della benedizione dell’acqua verae propria. L’acqua è raffigurata in quat-tro fiumi, che indicano sia l’origine dellaCreazione, sia l’acqua che il popolo elet-to berrà nel deserto. Si tratta di una ti-pologia che richiama alla realtà di Cristoe al battesimo cristiano. Si chiede che ol-tre al naturale effetto di lavare i corpi,queste acque siano efficaci anche a puri-ficare gli spiriti. Quest’acqua svolge lafunzione di purificazione: essa trascendela sua funzione naturale, esprimendol’efficacia battesimale.

L’espressione: Descendat in hanc ple-nitudinem fontis virtus spiritus tui et to-tam huius aquae substantiam regeneran-dis fecundet effectu…17 è chiaramenteepicletica. Ci si trova dinanzi a un’epiclesiancora più pronunciata e resa evidentedalla parola “Discendat”18.

La preghiera si conclude con la tradi-zionale dossologia Per Christum Domi-num nostrum.

Conclusione.

La preghiera di benedizione dell’ac-qua battesimale contiene la dottrina sa-cramentale sul battesimo e, al contempo,sull’identità del battezzato.

A partire dal segno dell’acqua si puòseguire l’itinerario di ogni battezzato, per-ché con il sacramento del Battesimo om-nes, cum Christo consepulti per Bapti-

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smum in mortem ad vitam cum ipso resur-gant. Adesso l’uomo, fatto a immagine diDio, lavato ormai dalla macchia del pec-

cato grazie all’acqua e allo Spirito Santo,rinasce come nuova creatura e quindi di-venta cristiano.

73, n° 445, linee 6-14); 6) «Unde benedico te, creatu-ra aquae… baptizantes eos in nomine Patris et Filii etSpiritus Sancti» (v. p. 73, n° 446, linee 15-26: Si trattapropriamente della benedizione dell’acqua della qualesono utilizzati i tipi, di cui si è detto sopra); 7) «Haecnobis praecepta… purificandis mentibus efficaces» (v.p. 73, n° 447, linee 27-31: è l’acqua che purifica glispiriti); 8) «Discendat in hanc plenitudinem… nova in-fantia renascatur» (v. p. 73, n° 448, riga 32 e p. 74, ri-ga 1: indica la pienezza dello Spirito che rende fecondal’acqua per la rigenerazione ); 9) «Per Dominum…» (v.p. 74, linee 1-3). A. NOCENT, I tre sacramenti dell’ini-ziazione cristiana, in «Anamnesis 3/1. La liturgia, i sa-cramenti. Teologia e storia della celebrazione», ed. A.CHUPUNGCO, Marietti, Genova 1986, 52-55.

9 NOCENT, op. cit. 54.10 Gel V. 444.11 G. FERRARO, I sacramenti e l’identità cristiana, Piem-

me, Casale Monferrato 1986, 50.12 E. MAZZA, La liturgia come “anàmnesis”: una nozio-

ne da riesaminare? Didaskalia XXXVII (2007)/2, 13-26, la citazione a pagina 14.

13Tunc ille sanctissimus Spiritus super emundata et be-nedicta corpora libens a Patre descendit (Matth., III,16) superque baptismi aquas, tanquam pristinam se-dem recognoscens conquiescit columbae figura de-lapsus in Dominum, ut natura Spiritus Sancti declara-retur per animal simplicitatis et innocentiae quodetiam corporaliter ipso felle careat columba, cf. TER-TULLIANO, De Baptismo,VIII, 3, (Corpus christiano-rum series latina 1), Brepols, Turnhout 1954, 283.

14 Quia et Christus semel pro peccatis nostris mortuusest, iustus pro iniustis, ut nos offerret Deo, mortifica-tus quidem carne, vivificatus autem spiritu. In quo ethis, qui in carcere erant, spiritibus veniens praedica-vit: qui increduli fuerant aliquando, quando exspec-tabant Dei patientiam in diebus Noe, cum fabricare-tur arca: in qua pauci id est octo animae salvae fac-tae sunt per aquam. Quod et vos nunc similis formaesalvos facit baptisma: non carnis depositio sordium,sed conscientiae bonae interrogatio in Deum per re-surrectionem Iesu Christi.

15 Cf. BASILIO MAGNO, De Spiritu Sancto XIII, 31, ed.B.Pruche (Sources chrétiennes 17 bis), Cerf, Paris1968, 354-359.

16Lc 4, 18.

17 Tale formula si trova nell’OICA 215: si tratta di unabenedizione che accompagna con la teologia, dalGelasiano in poi, tutti i riti dell’Iniziazione Cristiana.

18 Il testo gelasiano legge discendat.

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——————1 S. MARSILI, I due <modelli> rituali dell’Iniziazione Cri-

stiana, in Iniziazione Cristiana: problema della Chiesadi oggi. Atti della IV settimana di studio dell’APL,EDB, Bologna 21979, 143-166.

2 pp. 367-368 si trova il textus sine cantu.3 nella sua edityo typica 1972 a pp. 88-89.4 Liber sacramentorum Romanae Aeclesiae ordinis an-

ni circuli (Cod. Vat. Reg. Lat. 316/ Paris Biblil. Nat7193, 41/56) (Sacramentarium Gelasianum), eds.L.C. Mohlberg-L. Eizenhöfer-P. Siffrin (Rerum Eccle-siaticarum Documenta. Series Maior. Fontes 4), Her-der, Roma 1960.

5 Essa indica la pienezza dello Spirito che feconda l’ac-qua per la rigenerazione. È proprio una preghierapienamente romana. Nel Sacramentario Veronense sitrova, n° 1331, una formula molto breve che fa allu-sione allo Spirito che aleggia sulle acque nel raccon-to della Genesi; si ricorda anche l’acqua del Giorda-no e si evoca il mistero di Pasqua, che cancella il pec-cato e fa rinascere in Cristo.

6 B. NEUNSEUSER, De benedictione aquae baptismalisEphemerides Liturgicae 44 (1930) 487. Si tratta di unriassunto della sua tesi di dottorato che si trova nelnumero 44 di questa rivista nelle seguenti pagine194-207; 258-281; 369-412; 455-492. È sempre in-teressante. A. STENZEL, Il battesimo di Gesù. Genesied evoluzione della liturgia battesimale, Paoline, Al-ba 1962.

7E aggiunge: “Sub hoc nomine intelligenda est illagratiarum actio de magnalibus Dei praesertim circaaquam gestis, in qua invocatur nomen Dei, ut aquasanctificetu: Ibidem, 490.

8 Secondo P. Nocent, tali paragrafi sono: 1) «Omnipo-tens sempiterne Deus… compleatur» (v. n° 444, linee17-21: è un’introduzione nella quale si ricorda la crea-zione di un popolo nuovo, generato nell’acqua battesi-male e l’adozione realizzata attraverso il sacramento);2) «Deus qui invisibili potentia…aures tuae pietatis in-clina (v. n° 445, linee 22-25: Dio opera delle meraviglienei suoi sacramenti e non abbandona l’uomo); 3)«Deus cuius spiritus…origo virtutum» (v. n° 445, linee26-30: si ricorda l’acqua primordiale della creazionesulla quale aleggia lo Spirito. Fino ad allora l’acqua erapreparata per santificare. Il Diluvio è tipo dello stermi-nio del male e punto di partenza della virtù); 4) «Respi-ce, Domine, in faciem ecclesiae…gratia mater infan-tia» (v. n° 445, p. 72, linee 31-33 e col 73, n° 445, li-nee 1-6: il fonte battesimale è aperto alle nazioni. L’ac-qua della rigenerazione è stata preparata da secoli.); 5)«Procul ergo hinc… indulgentiam consequantur» (v. p.

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uasi descrivendo un percorso diiniziazione, la prima parte dell’E-sortazione apostolica Sacramen-

tum Caritatis è intitolata «Eucaristia, mi-stero da credere», la seconda «Eucaristia,mistero da celebrare» e infine la terza par-te, di cui trattiamo, ha per argomentol’Eucaristia come «mistero da vivere». De-lineando le coordinate della Forma eucari-stica della vita cristiana, il documento evi-denzia infatti come il mistero dell’Eucari-stia «creduto» e «celebrato», «posseggain sé un dinamismo che ne fa principio divita nuova in noi e forma dell’esistenza cri-stiana. Comunicando al Corpo e al San-gue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resipartecipi della vita divina in modo semprepiù adulto e consapevole. Infatti non è l’a-limento eucaristico che si trasforma in noi,ma siamo noi che veniamo da esso miste-riosamente cambiati».

Quindi la Celebrazione eucaristica ap-pare «in tutta la sua forza quale fonte eculmine dell’esistenza ecclesiale», in quan-to l’Eucaristia trasforma tutta la nostra vitain culto spirituale gradito a Dio. Nella esor-tazione che San Paolo rivolge ai Romani(«Vi esorto dunque, fratelli, per la miseri-cordia di Dio, ad offrire i vostri corpi comesacrificio vivente, santo e gradito a Dio; èquesto il vostro culto spirituale») emergel’immagine del nuovo culto come offertatotale della propria persona in comunionecon tutta la Chiesa. L’insistenza dell’Apo-

stolo sull’offerta dei nostri corpi sottolineal’umana concretezza di un culto tutt’altroche disincarnato. Secondo la dottrina cat-tolica infatti, l’Eucaristia, in quanto sacrifi-cio di Cristo, è anche sacrificio della Chie-sa, e quindi dei fedeli.

Il nuovo culto cristiano quindi «abbrac-cia ogni aspetto dell’esistenza, trasfiguran-dola». L’Eucaristia, coinvolgendo la realtàumana del credente nella sua concretezzaquotidiana, «rende possibile, giorno dopogiorno, la progressiva trasfigurazione del-l’uomo chiamato per grazia ad essere adimmagine del Figlio di Dio». La novità radi-cale del culto portata da Cristo con l’Euca-ristia consiste nel fatto che «il culto a Dionell’esistenza umana non è relegabile adun momento particolare e privato, ma pernatura sua tende a pervadere ogni aspettodella realtà dell’individuo. Il culto gradito aDio diviene così un nuovo modo di viveretutte le circostanze dell’esistenza in cuiogni particolare viene esaltato, in quantovissuto dentro il rapporto con Cristo e co-me offerta a Dio».

Fin dalle origini, le prime comunità cri-stiane hanno avvertito il profondo influssodella Celebrazione eucaristica nel loro mo-do di vivere, nel loro stile di vita. Sant’Igna-zio di Antiochia presentava i cristiani comecoloro che vivono «secondo la domenica».Con tale espressione veniva messo chiara-mente in luce lo stretto legame tra la realtàeucaristica e l’esistenza cristiana nella sua

Sacramentum Caritatis – 9Stefano Lodigiani

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quotidianità. Inoltre questa espressionesottolinea pure il valore di questo giorno,la domenica, rispetto ad ogni altro giornodella settimana. «La domenica è il giornoin cui il cristiano ritrova quella forma euca-ristica della sua esistenza secondo la qualeè chiamato a vivere costantemente». Vive-re secondo la domenica quindi «vuol direvivere nella consapevolezza della liberazio-ne portata da Cristo e svolgere la propriaesistenza come offerta di se stessi a Dio,perché la sua vittoria si manifesti piena-mente a tutti gli uomini attraverso unacondotta intimamente rinnovata».

L’Esortazione apostolica ribadisce«l’importanza per tutti i fedeli del precettodomenicale come fonte di libertà autenti-ca, per poter vivere ogni altro giorno se-condo quanto hanno celebrato nel giornodel Signore. La vita di fede, infatti, è in pe-ricolo quando non si avverte più il deside-rio di partecipare alla Celebrazione eucari-stica in cui si fa memoria della vittoria pa-squale. Partecipare all’assemblea liturgicadomenicale, insieme a tutti i fratelli e lesorelle con i quali si forma un solo corpoin Cristo Gesù, è richiesto dalla coscienzacristiana e al tempo stesso forma la co-scienza cristiana. Smarrire il senso delladomenica come giorno del Signore dasantificare è sintomo di una perdita delsenso autentico della libertà cristiana, la li-bertà dei figli di Dio».

Richiamando quanto affermato da Gio-vanni Paolo II nella Lettera apostolica DiesDomini sulle diverse dimensioni della do-menica per i cristiani, l’Esortazione racco-manda che nel giorno del Signore «lerealtà ecclesiali organizzino, intorno alla

Celebrazione eucaristica domenicale, ma-nifestazioni proprie della comunità cristia-na: incontri amichevoli, iniziative per la for-mazione nella fede di bambini, giovani eadulti, pellegrinaggi, opere di carità e mo-menti diversi di preghiera». Risulta poi diparticolare urgenza nel nostro tempo ricor-dare che il giorno del Signore è anche ilgiorno del riposo dal lavoro. Nell’augurarsiche anche la società civile permetta di es-sere liberi dalle attività lavorative in questagiornata, senza venire per questo penaliz-zati, l’Esortazione sottolinea che sempre icristiani «hanno visto nel giorno del Signo-re anche il giorno del riposo dalla faticaquotidiana. Ciò ha un suo preciso senso,perché costituisce una relativizzazione dellavoro, che viene finalizzato all’uomo: il la-voro è per l’uomo e non l’uomo per il lavo-ro. È nel giorno consacrato a Dio che l’uo-mo comprende il senso della sua esistenzaed anche dell’attività lavorativa».

La domenica richiama anche la relazio-ne intrinseca tra la vittoria di Gesù sul malee sulla morte e la nostra appartenenza alsuo Corpo ecclesiale. «Ogni cristiano, in-fatti, nel Giorno del Signore ritrova anchela dimensione comunitaria della propriaesistenza redenta. Partecipare all’azione li-turgica, comunicare al Corpo e al Sanguedi Cristo vuol dire nello stesso tempo ren-dere sempre più intima e profonda la pro-pria appartenenza a Colui che è morto pernoi. La comunione ha sempre ed insepara-bilmente una connotazione verticale eduna orizzontale: comunione con Dio e co-munione con i fratelli e le sorelle. Le duedimensioni si incontrano misteriosamentenel dono eucaristico». (continua)

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Prima lettura: Dt 18,15-20Salmo responsoriale: dal Sal 94 (95)Seconda lettura: 1Cor 7,32-35Vangelo: Mc 1,21-28.

Il salmo responsoriale evoca l’eventocentrale della storia biblica, la liberazioneofferta da Dio nell’esodo dall’Egitto. La sto-ria di Israele ci è posta dinanzi come ammo-nimento: “Della maggior parte di loro Dionon si compiacque e perciò furono abbattutinel deserto” (1Cor 10,5), e non entrarononella terra promessa. Come Israele nel de-serto, anche noi siamo in cammino verso unaterra promessa. In tutte le circostanze dellavita, nelle gioie e nelle privazioni, nel lavoroe nel riposo, nel rischio e nella tentazione,soltanto la luce e la forza della fede possonoaiutarci a realizzare pienamente il nostroesodo verso la nuova Gerusalemme, verso lapatria eterna. Ecco perché proclamiamo conil salmista che il Signore è “la roccia dellanostra salvezza”. La parola di Dio illumina isentieri del nostro pellegrinaggio. Per que-sto, il salmo ci invita a non chiudere il cuorealla voce del Padre che conduce e protegge“il popolo del suo pascolo” nel cammino del-la vita.

La prima lettura contiene una promessadivina annunziata da Mosè: Dio non farà maivenir meno il dono della profezia in Israeleattraverso la parola di molti nei quali questo

dono s’incarnerà. La rilettura giudaica e cri-stiana di questo testo interpreterà in chiaveindividuale e quindi messianica tale promes-sa: il profeta promesso è il Messia che por-terà a Israele la parola definitiva di Dio, unaparola detta “con autorità”, con la stessa ef-ficacia di quella di Dio. Quindi dopo Mosè egli altri profeti Dio invierà il suo profeta pereccellenza, Cristo Gesù: “Dio, che aveva giàparlato nei tempi antichi molte volte e in di-versi modi ai padri per mezzo dei profeti, ul-timamente, in questi giorni, ha parlato a noiper mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2).

Il brano evangelico parla degli inizi delministero di Gesù a Galilea e dello stuporesuscitato dal suo insegnamento. L’evangeli-sta ci invita ad accompagnare, per una interagiornata, Gesù e i discepoli che egli ha ap-pena scelto. E’ un giorno di sabato, a Cafar-nao. Gesù va alla sinagoga e si mette ad in-segnare. Marco non riferisce nessuna paroladel predicatore, ma annota che parla comeuno dotato di una sorprendente autorità eche fin da quel primo giorno, guarisce un uo-mo “posseduto da uno spirito immondo”. Lamissione di Gesù è come quella dei profeti,che insegnavano a nome di Dio e quindi conl’autorità che veniva da lui. L’autorità concui parla Gesù si manifesta nell’efficaciadella sua parola. Se ne ha una conferma nel-l’episodio di liberazione dell’indemoniato.L’effetto della parola di Gesù è immediato:

DDOOMMEENNIICCAA IIVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))11 FFeebbbbrraaiioo 22000099Ascoltate oggi la voce del Signore

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

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“E lo spirito immondo, straziandolo e gridan-do forte, uscì da lui”. Dunque l’autorità diGesù coincide con l’efficacia della sua paro-la che libera e risana. Gesù si mostra potentee vincitore contro le forze che schiavizzanol’uomo.

Anche se il brano della seconda lettura simuove fuori del quadro finora tratteggiato,qualche punto di contatto con le altre letturenon manca. Vediamo infatti che san Paolo simostra fedele alla parola di Dio affrontandoil tema del matrimonio e della verginità con

grande prudenza, senza imporre una o l’altravia. Stato verginale e stato coniugale di persé non costituiscono la perfezione; essi sonomezzi idonei, anche se a livelli diversi , perla dedizione a quella “vita celeste” a cui sia-mo chiamati già in questa esistenza intra-mondana. Anche se Paolo esalta la sceltaverginale, non intende con ciò gettare unombra negativa sul matrimonio. Egli vuolesemplicemente ricordarci quelle particolariscelte radicali di vita che come segno profe-tico ci richiamano la precarietà delle realtàpresenti.

Prima lettura: Ml 3,1-4 (oppure: Eb 2,14-18)

Salmo responsoriale: dal Sal 23 (24)Vangelo: Lc 2,22-40

Nella liturgia romana, la festa della Presen-tazione del Signore si colloca idealmente allafine delle celebrazioni natalizie e prelude aquelle pasquali. Infatti nella presentazione altempio Gesù è offerto e si offre come vittimasacrificale al Padre, offerta che si consumeràsulla Croce. Come ricorda la prima lettura al-ternativa della Messa, Cristo è veramente sa-cerdote nell’offrire se stesso per i peccati delpopolo: “sommo sacerdote misericordioso e de-gno di fede nelle cose che riguardano Dio, alloscopo di espiare i peccati del popolo”.

Dopo il Vaticano II, la festa del 2 febbraio,pur recuperando il suo primario significatocristologico, ha conservato la connotazionemariana da secoli acquisita. Infatti in questomistero, Maria ha un ruolo rilevante: la Madre

offre il Figlio e insieme è offerta al Padre dalFiglio, secondo l’economia nuova della croceredentrice. In ossequio alla legge di Mosè,ogni primogenito ebreo è chiamato “santo”,cioè proprietà del Signore e a lui consacratoquale geloso possesso. Eventualmente può es-sere riscattato con un’offerta sacrificale (cf. Es13,2.12.15, brano letto nell’Ufficio delle lettu-re della Liturgia delle Ore; cf. anche Lv 12,2-6.8; 5,11). Gesù è offerto a Dio, come primo-genito, e riscattato con l’offerta dei poveri. Lalettura evangelica della Messa, oltre a sottoli-neare l’osservanza della legge da parte di Giu-seppe e Maria, indica la città santa di Gerusa-lemme come punto di partenza della salvezzaportata da Gesù. I due vecchi, Simeone e An-na, che hanno incontrato Gesù nel tempio,rappresentano il popolo di Dio in attesa dellasalvezza promessa. Come si dice all’inizio del-la benedizione delle candele, Gesù “venivaincontro al suo popolo, che l’attendeva nellafede”. Perciò in Oriente, ma anche poi in unprimo tempo in Occidente, la festività è stata

PPRREESSEENNTTAAZZIIOONNEE DDEELL SSIIGGNNOORREE 22 FFeebbbbrraaiioo 22000099Vieni, Signore, nel tuo tempio santo

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chiamata Ypapanté (= Incontro). Il prefaziodella Messa riprende questa tradizione quan-do, tra l’altro, afferma: “E noi esultanti andia-mo incontro al Salvatore…”. Anche il Discor-so di San Sofronio, riportato dall’Ufficio delleletture del giorno si esprime in modo simile:“Noi tutti che celebriamo e veneriamo con in-tima partecipazione il mistero dell’incontrodel Signore, corriamo e muoviamoci insieme

in fervore di spirito incontro alui…”.

In realtà, nella legge ebraica lapresentazione “al tempio” non era ri-chiesta. San Luca ha riunito e utiliz-zato in modo originale i precetti bibli-ci per seguire un suo particolare dise-gno, che la liturgia del 2 febbraiomette in evidenza anche con altri te-sti. Nel salmo responsoriale, in uncrescendo di grande potenza sonora,le porte del tempio sono invitate aspalancarsi, sollevando i loro frontonie i loro archi per accogliere il Re del-la Gloria che entra nel suo tempio. Iltempio è anche evocato nel brano delprofeta Malachia, proposto come pri-ma lettura della Messa: il profeta an-nuncia l’arrivo di un messaggero diDio che entra nel tempio e attraversoun giudizio purificatorio, rappresen-tato dai due simboli del fuoco delfonditore e della liscivia dei lavandai,prepara un sacerdozio puro destinatoa offrire a Dio l’oblazione pura e san-ta di Giuda e di Gerusalemme. La li-turgia odierna vede in questo messag-gero di Dio che entra nel tempio perpurificarlo, la presentazione di Gesùal tempio di Gerusalemme e la purifi-cazione di sua madre Maria in osse-quio alla legge mosaica. Ma la Madreva al tempio soprattutto per associarsiall’offerta di suo Figlio. Maria e Giu-

seppe, presentando il Bambino, riconosconoche Gesù è “proprietà” di Dio ed entra nelpiano dell’attuazione del disegno divino per-ché è salvezza e “luce per tutti i popoli”. Ilsimbolismo della luce, simbolismo sia natali-zio che pasquale, è espresso in modo partico-lare dal rito della benedizione delle candele edalla processione che precede la celebrazioneeucaristica.

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Prima lettura: Gb 7,1-4.6-7Salmo responsoriale: dal Sal 146 (147)Seconda lettura: 1Cor 9,16-19.22-23Vangelo: Mc 1,29-39

Il Sal 146 è un inno di gioia e di lode inonore di Dio creatore e redentore. Infatti, Diorivela il suo amore attraverso la creazione ela provvidenza cosmica e attraverso la libe-razione storica del suo popolo. Nelle strofedel salmo riprese oggi dalla liturgia domeni-cale si intravede nitidamente l’opera di Diocreatore, ma domina l’impegno di Dio nellastoria che si concretizza nel “risanare”, nel“guarire” e nel “sostenere gli umili”. Noi re-citando questo salmo indirizziamo il nostrosguardo verso le opere che Dio ha attuato inCristo: per mezzo del Verbo tutto è statocreato; con la passione, morte e risurrezionedi Cristo il mondo è stato ricostruito.

La liturgia odierna ci invita a rifletteresullo scandalo del dolore nella vita dell’uo-mo. I lamenti del giusto Giobbe, di cui parlala prima lettura, sono espressione classica diquella continua ricerca di una risposta alsenso della sofferenza che percorre la storiadell’umanità e d’ognuno di noi. A Giobbenon viene condonato nulla, la sua sofferenzanon è soggetta a sconti. Sprofondato nella tri-stezza del tempo volato via in fretta e del be-ne perduto ormai irrimediabilmente, l’avvili-mento di Giobbe è così profondo che eglinon intravede altro futuro che la morte.Giobbe grida la sua ribellione contro questasituazione, entra in discussione con Dio e dalui vuole una spiegazione. Ecco quindi cheal colmo dell’angoscia, che le considerazioni

dei suoi amici non riescono ad alleviare,Giobbe si rivolge a Dio, sperando contro ognisperanza in qualcuno che lo libererà dal ba-ratro in cui giace.

La risposta di Dio agli interrogativi diGiobbe e di tutta l’umanità sofferente non èuna filosofia o un convincente ragionamento.La risposta definitiva al mistero della soffe-renza ci viene data con l’avvento di Cristo, ilquale è presentato da san Marco già all’ini-zio della sua vita pubblica (cf. vangelo) comecolui che è efficacemente solidale con i malidell’uomo ed è quindi capace di liberarlodalla sua situazione di sofferenza. In questaintensa giornata a Cafarnao, Gesù dopo averguarito la suocera di Pietro che era a lettocon la febbre, guarisce molti malati e inde-moniati che vengono condotti a lui. Le guari-gioni operate da Gesù, che lo accompagne-ranno poi durante tutta la sua vita pubblica,sono segno visibile dell’azione sovrana diDio che in Cristo “risana i cuori affranti e fa-scia le loro ferite” (salmo responsoriale). Co-me ricorda il canto al vangelo, “Cristo hapreso le nostre infermità e si è caricato dellenostre malattie” (Mt 8,17).

All’immagine di Gesù che percorre tuttala Galilea predicando il vangelo e sanandoi malati corrisponde l’immagine di san Pao-lo (cf. seconda lettura) che si fa tutto a tuttiper guadagnare quanti più è possibile allacausa del vangelo. Per l’apostolo la predi-cazione del vangelo non si esaurisce in uninsegnamento teorico, ma diventa persona-le partecipazione alla situazione di colorocui si rivolge.

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DDOOMMEENNIICCAA VV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO ((BB))88 FFeebbbbrraaiioo 22000099Risanaci, Signore, Dio della vita

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Concludendo queste riflessioni, è dovero-so che ne traiamo alcune conseguenze pernoi. L’esperienza della sofferenza è in sé unasituazione ambigua, può far attecchire l’erbavelenosa della disperazione o far sbocciare ilfiore della fiducia. Alla luce della nostra fe-

de, la sofferenza non è assurda. Anche sepuò sembrare paradossale, l’esperienza dellasofferenza può costituire un momento di cre-scita ed essere poi il primo passo per aprirsial desiderio della salvezza che Cristo annun-cia e comunica.

Prima lettura: Lv 13,1-2.45-46Salmo responsoriale: dal Sal 31 (32)Seconda lettura: 1Cor 10,31-11,1Vangelo: Mc 1,40-45

Il Sal 31 è una preghiera penitenziale. Ilsalmista nel narrare la propria dolorosaesperienza confessa la sua colpa e ringraziaDio che ha rimesso la malizia del suo pecca-to. La certezza che pervade tutto il testo è laconsapevolezza dell’essere perdonati. SanPaolo ha usato esplicitamente il nostro salmoper celebrare la grazia liberatrice di Cristo(Rm 4,6-8). La salvezza di Cristo va ben ol-tre le necessità materiali, senza per questodimenticarle. E’ la pienezza di tale salvezzache ci colma di sovrabbondante gioia interio-re e ci incita ad esclamare: “Tu sei il mio ri-fugio, mi liberi dall’angoscia”.

Dopo l’intensa giornata di Cafarnao, nar-rata dal brano evangelico nelle domenicheanteriori, ecco ora Gesù davanti a un lebbro-so, che lo supplica in ginocchio: “Se vuoipuoi purificarmi!”. Nessuna indicazione diluogo, in questo caso. La folla sembra im-provvisamente scomparsa. EvidentementeMarco ha voluto fissare solo il faccia a facciafra Gesù e questo malato anonimo, in rappre-sentanza di tutti gli altri. Secondo le usanzedell’antico Vicino Oriente, riprese dalla leg-

ge dell’Antico Testamento, colui che era col-pito dalla lebbra era segregato, separato dalcontatto con gli altri. Si può ben dire che ilmalato di lebbra era considerato fuori dell’a-rea della salvezza, uno scomunicato, un ca-davere ambulante. La lebbra costituiva unsimbolo attorno al quale si addensavano pau-re, tabù, dogmi scientifici e religiosi. Ne ètestimone il frammento della legislazione delLevitico circa la lebbra che abbiamo ascolta-to come prima lettura. L’incubo legale e reli-gioso di questa malattia è decisivo per com-prendere il dramma umano e religioso dellebbroso, di cui parla il vangelo di questadomenica, e al tempo stesso l’originalità e laforza provocatoria del gesto compiuto da Ge-sù. Il lebbroso del vangelo sfida la segrega-zione in cui era costretto a vivere, va con fe-de davanti a Gesù il quale mosso a compas-sione lo guarisce e poi lo manda dal sacerdo-te perché egli possa essere reinserito uffi-cialmente nel contesto sociale. Il gesto e laparola efficace di Gesù restituiscono all’uo-mo quello statuto di purità, integrità e saluteche gli consentiranno di vivere in maniera li-bera con gli altri davanti a Dio.

Cristo è venuto ad instaurare un nuovoatteggiamento verso la sofferenza dell’uomoe, in particolare, verso coloro che sono emar-ginati. Guarendo il lebbroso, Gesù si rivela

DDOOMMEENNIICCAA VVII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO ((BB))1155 FFeebbbbrraaiioo 22000099Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia

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come colui nel quale Dio si fa prossimo agliuomini: a tutti gli uomini, anche a coloro chesono esclusi ed emarginati. Gesù è una pros-simità che supera le distanze e le barrierecostruite dall’egoismo degli uomini. In que-sto modo, Gesù ci insegna ad agire anche noiin modo simile. Ciò è possibile, come dicesan Paolo nella seconda lettura, solo se ci siimpegna a cercare non il proprio interesse“ma quello di molti, perché giungano allasalvezza”. Siamo quindi chiamati a control-lare l’atteggiamento verso i nostri simili pereliminare ogni forma di esclusione, di emar-ginazione anche sottile presente talvolta nel

nostro modo di pensare e di operare. Ci pos-siamo domandare: chi sono i “lebbrosi” oggi,i diversi? Chi sono gli esclusi della nostrasocietà? Quale tipo di comportamento abbia-mo di fronte ad essi? Abbiamo dei pregiudi-zi? Ci lasciamo trascinare talvolta da unegoismo mascherato di perbenismo, di buonsenso? L’azione di Gesù è una testimonianzacontro tutto questo.

Chi si avvicina con fede a Gesù, come illebbroso del vangelo, viene “purificato”. Cosìpure chi si avvicina con fede all’eucaristia, vie-ne purificato dal peccato e ritrova la vera vita.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 1-2009

Prima lettura: Is 43,18-19.21-22.24b-25Salmo responsoriale: dal Sal 40 (41)Seconda lettura: 2Cor 1,18-22Vangelo: Mc 2,1-12

I versetti del Sal 40, che vengono pro-posti oggi come testo del salmo responso-riale, sono espressione di una preghierapiena di fiducia nel Signore, fatta da unuomo che oltre ad essere infermo e soffe-rente è consapevole al tempo stesso dellasua situazione di peccato. Per gli Ebrei lamalattia era generalmente considerata unsegno del castigo di Dio e del suo abban-dono; la guarigione invece era celebratacome segno del ritorno alla sua amicizia edella sua benedizione. Il salmo ci invitaad abbandonarci alla misericordia del Si-gnore come unico conforto nei momentipiù bui della vita, quando attorno alla sof-ferenza si addensano le ombre della soli-tudine e dell’isolamento.

Il tema conduttore di questa domenica èproposto dal racconto del vangelo di sanMarco: Gesù, a conferma del potere che egliha di perdonare i peccati, risana un paraliti-co e lo fa tornare a casa sua da solo. Qui Ge-sù non appare soltanto come il portatore diun benessere materiale. Nel racconto, l’ac-cento è tutto sul potere di perdonare i pecca-ti, un potere che appartiene solo a Dio: conla sua autorità Gesù compie ciò che solo Diopuò fare. Il perdono dei peccati è espressio-ne della misericordia di Dio che ha trovato lasua visibilità storica e definitiva nella per-sona di Gesù Cristo. Come dice san Paolonella seconda lettura, “tutte le promesse diDio in lui sono «sì»”. Infatti, in Cristo l’an-nuncio positivo della liberazione e del per-dono che i profeti avevano proclamato si èattuato.

Notiamo che l’atteggiamento di Dio neiconfronti dei nostri bisogni è diverso da

DDOOMMEENNIICCAA VVIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO ((BB))2222 FFeebbbbrraaiioo 22000099Rinnovaci, Signore, con il tuo perdono

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quello che noi talvolta attendiamo. Il nostrodesiderio di essere liberati dal male che citormenta viene fatto segno di una liberazio-ne più ampia e più profonda. Abbiamo vistonella prima lettura che agli esuli d’Israele,Dio promette la liberazione della schiavitùpolitica ma contemporaneamente rinfaccialoro i loro peccati, ed assicura specialmentedi questi una liberazione: “Io cancello i tuoimisfatti per amore di me stesso, e non ricor-do più i tuoi peccati”. Così anche nel rac-conto evangelico, abbiamo visto che al pa-ralitico che chiede la guarigione, Cristo di-ce in un primo momento: “Figlio, ti sonoperdonati i peccati”. Solo poi aggiunge:“Alzati, prendi la tua barella e va’ a casatua”. La guarigione fisica del paralitico èsegno della salvezza più profonda e radicaleottenuta con il perdono dei peccati. Se ilcuore non è libero dal peso del peccato,nessuna gioia e nessuna salvezza è possibi-le per l’uomo. Il peccato è fonte di oppres-sione e di divisione nell’uomo e tra gli uo-

mini. Senza la liberazione del peccato le li-berazioni terrene si rivelerebbero ben pre-sto come un’illusione e una causa di nuoveschiavitù. Liberato dal peso del peccato,l’uomo può riprendere a “camminare”, co-me il paralitico del vangelo.

Segno di quella conversione che solleci-ta lo sguardo misericordioso di Dio è la ca-rità verso il prossimo. Anche noi dobbiamoessere uomini del “si” nel perdono miseri-cordioso. E’ con la stessa disponibilità ver-so il debole e il povero dimostrata da Gesùche noi possiamo pregare con verità e ripe-tere le parole del salmo responsoriale:“Rinnovaci, Signore, col tuo perdono”. IlVaticano II afferma: “Quelli che si accosta-no al sacramento della penitenza ricevonodalla misericordia di Dio il perdono delleoffese a lui arrecate e la riconciliazione conla Chiesa che hanno ferito col loro peccato,ma che opera alla conversione con la carità,l’esempio e la preghiera” (Cost. Lumen Gen-tium, n. 11).

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Prima lettura: Gl 2,12-18Salmo responsoriale: dal Sal 50 (51)Seconda lettura: 2Cor 5,20-6,2Vangelo: Mt 6,1-6.16-18

La Quaresima che oggi iniziamo nonpropone nulla di straordinario rispetto alleesigenze fondamentali della vita cristiana.Esse vengono solo richiamate con insisten-za perché ci si sforzi, sul piano personale ecomunitario, di integrarle o reintegrarlemeglio nella vita quotidiana. Possiamo di-re con san Paolo che la Quaresima è sem-

plicemente un “momento favorevole” perfare una verifica attenta della nostra vita erenderla così sempre più conforme alleesigenze del nostro battesimo (cf. secondalettura).

La grazia del battesimo non libera lanostra natura dalla sua debolezza, né dal-l’inclinazione al peccato che la tradizionechiama “concupiscenza”, la quale rimanein noi anche dopo il battesimo perché so-steniamo le prove quotidiane nel combatti-mento della vita cristiana, aiutati dalla gra-

MMEERRCCOOLLEEDDII DDEELLLLEE CCEENNEERRII2255 FFeebbbbrraaiioo 22000099Perdonaci, Signore, abbiamo peccato

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zia di Cristo: “La drammatica condizionedel mondo che ‘giace’ tutto ‘sotto il poteredel maligno’ (1Gv 5,19), fa della vita del-l’uomo una lotta” (Catechismo della ChiesaCattolica, n.409). Nelle invocazioni delleLodi mattutine di questo mercoledì delleCeneri l’itinerario quaresimale viene pre-sentato come un tempo per “ricuperare pie-namente il senso penitenziale e battesimaledella vita cristiana”. Questo itinerario èfatto d’un “morire” e d’un “risorgere”. Sitratta di un “cammino di conversione”.“Convertirsi” è una scelta che comporta uncambiamento radicale del modo di pensaree di vivere, si tratta cioè di acquisire unmodo di pensare e di vivere secondo il van-gelo, come ci ricordano le parole con cuiviene imposta su ciascuno di noi la cenereall’inizio della Quaresima: “Convertitevi, ecredete al vangelo” (Mc 1,15).

La comunità cristiana nel suo camminoquaresimale è quindi chiamata a prendereuna più lucida coscienza della realtà edelle esigenze del proprio battesimo. Se-guendo la dottrina dei Padri, pratiche qua-resimali tradizionali atte a raggiungerequesto scopo sono il digiuno, l’elemosina ela preghiera. Nel brano evangelico odier-no, Gesù parla della nuova giustizia supe-riore all’antica e ne illustra le caratteristi-che applicandole alle tre pratiche fonda-

mentali della pietà giudaica: l’elemosina,la preghiera e il digiuno.

Le preghiere del Messale ritornano fre-quentemente sulle tre pratiche tradizionali delTempo quaresimale. Il prefazio quaresimaleIV illustra i frutti del digiuno; il III esalta lavittoria sull’egoismo che si esprime nella pra-tica dell’elemosina; il I parla dell’assiduità“nella preghiera e nella carità operosa”. Lacolletta della domenica III, esordisce conqueste parole: “O Dio misericordioso, fonte diogni bontà, tu ci hai proposto a rimedio delpeccato il digiuno, la preghiera e le opere dicarità…” La pratica quaresimale è vista sem-pre come strumento del rinnovamento interio-re. Ciò viene sottolineato in modo particolaredai testi che vanno dal mercoledì delle Cenerial sabato seguente: l’orazione dopo la comu-nione d’oggi parla del digiuno “efficace per laguarigione del nostro spirito”; e la colletta delprossimo venerdì auspica che “all’osservanzaesteriore corrisponda un profondo rinnova-mento dello spirito”.

Le tradizionali pratiche quaresimali van-no accompagnate dall’ascolto assiduo dellaparola di Dio. Il cammino quaresimale èquindi anche un cammino di fede, che nonpuò essere fatto senza un costante riferimen-to alla parola di Dio che la Chiesa distribui-sce con abbondanza in questo tempo santo.

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Prima lettura: Gen 9,8-15Salmo responsoriale: dal Sal 24 (25)Seconda lettura: 1Pt 3,18-22Vangelo: Mc 1,12-15

I sentimenti che esprime il testo del salmoresponsoriale sono quelli dei “poveri diJHWH”, e cioè di coloro la cui ultima fiduciae speranza è solo Dio. In concreto, il Sal 24 è

DDOOMMEENNIICCAA II DDII QQUUAARREESSIIMMAA ((BB))11 MMaarrzzoo 22000099Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà

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una volta per sempre per i peccati, giustoper gli ingiusti, per ricondurvi a Dio...”. An-nuncio efficace e credibile del vangelo, dun-que, fondato sull’obbedienza di Gesù che èdiventata vittoria su satana.

Solo la grazia meritata da Cristo, e comu-nicata a noi attraverso il sacramento del bat-tesimo, può operare quella trasformazioneinteriore che ci rende “uomini nuovi” in Cri-sto. Ma come ricorda san Paolo, questa gra-zia deve essere accolta e corrisposta: “Fra-telli, vi esortiamo a non accogliere invano lagrazia di Dio...” (Primi Vespri, lettura breve:2Cor 6,1-4ª). La tradizione cristiana ha com-parato l’acqua del battesimo alle acque deldiluvio, di cui parla la prima lettura: Dio hapurificato l’umanità con il diluvio per rista-bilire l’alleanza con il giusto Noè e la sua fa-miglia, principio di una nuova umanità. Cosìanche il battesimo ci purifica dal peccato e,rinati a una vita nuova, ci offre la possibilitàdi ristabilire saldi rapporti di amicizia conDio. Il battesimo è quindi il segno visibiledell’alleanza nuova e definitiva che Dio san-cisce con gli uomini nel sangue di suo Fi-glio.

Il Tempo quaresimale che stiamo inizian-do è un periodo propizio per prendere co-scienza della realtà profonda del nostro bat-tesimo e rinsaldare così la nostra alleanzacon il Signore. Dio rinnova nei secoli la suaalleanza con tutte le generazioni. L’alleanzaè la spina dorsale di tutta la storia della sal-vezza, tanto nella fase di preparazione che inquella di compimento. Si può dire anzi chetutti i rapporti fra Dio e l’umanità, fra Dio ela Chiesa e fra Dio e ciascuno di noi si fondi-no sull’alleanza.

una preghiera per il perdono e per la salvezza.Ma anche se il senso del peccato è sentito co-me lacerante, il cuore dell’orante è pieno dipace. Nelle prospettive e nelle aspirazioni delsalmo entra anche la storia del popolo eletto:incoraggiato dalla bontà di Dio, tante voltesperimentata nel corso della sua storia, Israe-le invoca protezione, luce e perdono. Purenoi, come Israele nel deserto, ci affidiamo alSignore che ci guida nella sua “fedeltà”.

Al brevissimo racconto che fa san Marcodell’episodio delle tentazioni di Gesù nel de-serto, il brano evangelico di questa primadomenica di Quaresima aggiunge il primoannuncio pubblico del vangelo: “...Gesùandò nella Galilea, proclamando il vangelodi Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e ilregno di Dio è vicino; convertitevi e credeteal vangelo»”. Le tentazioni di Gesù nel de-serto e il suo primo annuncio programmaticoin Galilea formano un tutto coerente: la vitto-ria di Gesù sul tentatore è segno che il tem-po messianico della salvezza è cominciato eil regno di Dio è già un fatto presente. ConGesù la regalità di Dio, promessa dai profetie anticipata negli eventi biblici dell’AnticoTestamento, irrompe nella storia umana. Noiuomini non siamo più costretti a subire il do-minio di satana, la schiavitù del peccato, lapaura della morte; possiamo ormai sottomet-terci alla forza liberante e consolante di Dioche si manifesta in modo efficace in GesùCristo. “Credere al vangelo” significa rompe-re con le paure e le schiavitù del passato eaprirsi con fiducia al nuovo futuro offerto daDio in Cristo. San Pietro nella seconda lettu-ra ribadisce la stessa verità ricordandocil’ultima vittoria di Gesù su satana nel mo-mento decisivo della croce: “Cristo è morto

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Prima lettura: Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18

Salmo responsoriale: dal Sal 115 (116)Seconda lettura: Rm 8,31b-34Vangelo: Mc 9,2-10

L’autore del Sal 115 canta la sua totale fi-ducia nell’amore divino anche quando l’infe-licità occupa l’orizzonte della sua vita. Perringraziare il Signore della sua assistenza,l’orante offre un sacrificio di ringraziamentoe s’impegna ad adempiere il volere di Dio.Ancora all’inizio della Quaresima, riaffer-miamo la volontà di percorrere il nostrocammino battesimale fatto soprattutto di fedee di umile accettazione del progetto di Diosu di noi anche quando non riusciamo acomprendere sempre la logica dei percorsiche ci vengono proposti.

La seconda domenica di Quaresima stasotto il segno dell’obbedienza nella fede. Ciintroduce già nel tema la prima lettura, cheesalta l’obbedienza estrema della fede diAbramo, in cui il dramma della fede è ricon-dotto al suo stadio più puro, senza appoggiumani. Ma è soprattutto il brano evangelico aguidare la nostra riflessione. In esso vieneraccontato l’evento della trasfigurazione diGesù sul monte Tabor davanti ai tre discepo-li prediletti: Pietro, Giacomo e Giovanni. SanMarco colloca questo racconto tra due predi-zioni della passione. Morte e risurrezione co-stituiscono un mistero unitario da non scin-dere, pena la riduzione del Cristo alla solaumanità o alla sola divinità separata e lonta-na dall’uomo. La trasfigurazione di Gesùprefigura l’evento finale della piena vittoria

sulla morte, è per così dire un’apparizionepasquale anticipata. Il cammino che Gesù haintrapreso conduce quindi alla risurrezione.E’ alla luce di questa luminosa realtà che idiscepoli sono invitati ad accettare ed inter-pretare i momenti bui della passione e dellacroce. Così come il racconto evangelico miraa premunire gli apostoli di fronte allo scan-dalo della croce, così la nostra riflessione og-gi non può prescindere dal riflettere sul sen-so cristiano della sofferenza e della croce.

L’assurdità della croce può essere inte-grata nei valori dell’esistenza umana solo fa-cendo una lettura di fede della vita e dellaparola di Gesù. Il momento culminante, ilvertice del racconto della trasfigurazione so-no le parole del Padre ascoltate dai tre di-scepoli presenti all’evento: “Questi è il Fi-glio mio, l’amato: ascoltatelo!”. Gesù vienerivelato ai discepoli come Figlio unico eamato da Dio, che prende il posto di tutte lealtre figure mediatrici. Infatti i discepoli“guardandosi attorno, non videro più nessu-no (né Elia né Mosè), se non Gesù solo, conloro”. Come commenta san Leone Magno, inCristo “si sono compiute le promesse dellefigure profetiche” (Ufficio di letture, secondalettura). Gesù è la parola definitiva del Pa-dre. Anche se ci viene chiesto un camminodi sofferenza e di rinuncia, siamo invitati adascoltare e ad aver fiducia in colui che ha“parole di vita eterna” (Gv 6,68).

Gesù trasfigurato sul monte e poi risortodal sepolcro e glorificato alla destra del Pa-dre non ha cancellato la croce, ma ci ha assi-curato che attraverso l’accettazione obbe-

DDOOMMEENNIICCAA IIII DDII QQUUAARREESSIIMMAA ((BB))88 MMaarrzzoo 22000099Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi

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diente della croce possiamo giungere anchenoi al “trionfo della risurrezione” e alla pie-nezza della vita (cf. prefazio). San Paolo nel-la seconda lettura ci rassicura che “Dio è pernoi”, ma lo è attraverso la croce perché Egliè colui che “non ha risparmiato il proprio Fi-glio, ma lo ha consegnato per tutti noi”. Iltempo nel quale viviamo è tempo di attesa

nella speranza e la parola di Dio ci invita acredere che la fatica, la ricerca, il dolore dioggi fanno parte anche della felicità del do-mani. Qualunque cosa accada, quand’anchetutto sembrasse rimesso in discussione, unacertezza, sulla quale bisogna basarsi ferma-mente, si impone: Dio è fedele; non ritira lesue promesse (cf. prima lettura).

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Prima lettura: Es 20,1-17Salmo responsoriale: dal Sal 18 (19)Seconda lettura: 1Cor 1,22-25Vangelo: Gv 2,13-25

La seconda parte del Sal 18, quella ripre-sa dalla liturgia odierna come salmo respon-soriale, è un elogio della legge divina, fontedi vita e di gioia, di saggezza e giusto giudi-zio, di rettitudine, giustizia e purezza, piùpreziosa e dolce di ogni altra cosa. Il testosalmico trova compimento in Gesù. Eglistesso è legge per il nuovo popolo di Dio, in-dirizzo per la nostra esistenza, consolazionee conforto per le ore del dubbio. Perciò rin-noviamo a lui la professione di fede di Pie-tro: “Signore, tu hai parole di vita eterna”(Gv 6,68).

La liturgia odierna ci invita a rileggere,in chiave cristiana e pasquale, la pagina bi-blica dei dieci comandamenti o “dieci paro-le”, la cui promulgazione è riportata dallaprima lettura. Notiamo che il racconto noninizia con un comandamento ma col ricordodell’opera divina di salvezza: “Io sono il Si-gnore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dallaterra d’Egitto, dalla condizione servile”. Il

comportamento etico dell’uomo viene propo-sto dalla Bibbia come risposta a Dio che simanifesta nella storia come liberatore e sal-vatore. D’altra parte, l’opera divina di salvez-za ha il suo momento culminante nell’incar-nazione, morte e risurrezione del Figlio GesùCristo, che ci ha liberati dalla schiavitù delpeccato. Cristo è quindi colui che dà senso equalità etica all’agire cristiano. Ciò vieneconfermato da san Paolo che nella secondalettura afferma che la legge, o meglio la vo-lontà salvifica di Dio non si manifesta né at-traverso l’osservanza legale né attraverso laricerca della ragione, ma in Cristo crocifisso:la croce, che testimonia l’amore folle di Dioper tutti gli uomini senza distinzione, conte-sta energicamente le idee correnti sul poteree sulla saggezza. La croce di Cristo, oltre cheessere il frutto di una storia di iniquità e dipeccato, è anche e soprattutto la storia di unamore assoluto che risplende proprio là dovesi consuma l’odio.

Nel contesto delle due prime letture, ilcui contenuto abbiamo succintamente illu-strato, possiamo capire meglio il messaggiodel brano evangelico di questa domenica.Apparentemente il racconto evangelico par-

DDOOMMEENNIICCAA IIIIII DDII QQUUAARREESSIIMMAA ((BB))1155 MMaarrzzoo 22000099Signore, tu hai parole di vita eterna

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la di tutt’altro argomento: Gesù scaccia ivenditori e cambiamonete dal tempio. Pos-siamo interpretare questo gesto alla lucedel messaggio dei profeti che avevano an-nunciato una futura purificazione del tem-pio (cf. Zc 14,21; Ml 3,1). Col suo modo diagire, provocato dallo zelo per la casa delSignore (cf. Sal 69,10), Gesù fa capire cheil giorno annunciato dai profeti è venuto. Ilgesto di Gesù che scaccia dal tempio i mer-canti e i cambiamonete è quindi un gestoprofetico che rivela l’identità di Gesù e ilruolo provvisorio del tempio e, in generale,il superamento delle istituzioni dell’AnticoTestamento: “Distruggete questo tempio ein tre giorni lo farò risorgere”. Con questeparole, Cristo dichiara superata la legge an-tica, di cui il tempio è simbolo centrale, ecolloca se stesso come punto di riferimento

dei nuovi rapporti dell’uomo con Dio. Cristoè egli stesso la nuova legge, colui che hasancito l’alleanza definitiva tra Dio e gli uo-mini versando il proprio sangue sulla croce;il corpo di Cristo morto e risorto è il centrodel nuovo culto e il tempio della nuova al-leanza, in quanto è il luogo della presenzadefinitiva di Dio in mezzo agli uomini. Li-berati in virtù di Cristo, possiamo vivere or-mai una comunione profonda con Dio e coni fratelli. Tutto ciò è frutto della passione,morte e risurrezione di Gesù. E’ il segnoche Gesù offre all’incredulità manifestatadai suoi interlocutori.

Gesù divenuto il nuovo tempio, inauguraun nuovo culto, il cui culmine è l’eucaristia,il suo corpo donato e il suo sangue versatoper la nostra salvezza.

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Prima lettura: 2Sam 7,4-5a.12-14a.16Salmo responsoriale: dal Sal 88 (89)Seconda lettura: Rm 4,13.16-18.22Vangelo: Mt 1,16.18-21.24a

Nella seconda lettura san Paolo ci pre-senta la figura di Abramo, uomo di grandefede, che gli fu accreditata come giustizia.Abramo non è diventato “padre di molti po-poli” per la sua capacità generativa ma “invirtù della giustizia che viene dalla fede”.Sulla scia di Abramo, nel brano evangelicosan Matteo ci presenta san Giuseppe che èchiamato anch’egli ad una scelta impegnati-va di fede: dinanzi alla maternità misteriosadi Maria, Giuseppe “che era giusto e non vo-leva ripudiarla, decise di licenziarla in se-

greto”. Ci domandiamo in che senso Giusep-pe è definito “giusto”.

Secondo un’antica interpretazione, Giu-seppe è giusto perché, da una parte, osservala legge (che obbligava il marito a sciogliereil matrimonio in caso di adulterio) e, dall’al-tra, mitiga con un gesto di magnanimità il ri-gore della legge stessa, non espone cioè Ma-ria sua sposa al pubblico scredito. Secondoun’altra antica interpretazione, che risalereb-be a san Girolamo, Giuseppe è giusto per-ché, conoscendo l’onestà di Maria e stupitodi quanto si era in lei manifestato, nascondecol suo silenzio ciò di cui ignorava il miste-ro. Se però guardiamo ora cosa intende sanMatteo per giustizia, allora possiamo affer-

SSAANN GGIIUUSSEEPPPPEE,, SSPPOOSSOO DDEELLLLAA BBEEAATTAA VVEERRGGIINNEE MMAARRIIAA1199 MMaarrzzoo 22000088Tu sei fedele, Signore, alle tue promesse

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mare che Giuseppe è giusto perché, avendocostatato una presenza misteriosa di Dio, unfenomeno soprannaturale, si ritira di frontead esso senza particolari pretese, accettacioè il piano di Dio anche là dove esso scon-certa il proprio: se Dio è intervenuto, se Diosta operando in Maria, che diritto ha lui diinterferire? Secondo quest’ultima interpreta-zione, cara ai commentatori moderni, l’an-nuncio dell’angelo a Giuseppe non avrebbecome oggetto la concezione verginale di Ma-ria, che Giuseppe già conosceva e rispettava;l’oggetto dell’annuncio sarebbe invece di far-gli conoscere il compito che lo attendeva,cioè quello di imporre il nome al bambino eassumerne la paternità legale. Giuseppe co-nosce ora la missione a cui Dio lo chiama epoiché è “giusto”, compirà la volontà di Dio.Ora però conosce anche la missione del Fi-glio di Maria e perciò sa che Gesù è il Salva-tore promesso a Israele suo popolo. Perciò

quello che Giuseppe deci-derà di fare liberamente nonlo riguarderà soltanto comesposo di Maria, ma lo riguar-derà anche come membro diun popolo.

Uno dei temi fondamen-tali della liturgia odierna, inconnessione intima conquanto abbiamo già detto, èla parte attribuita dal dise-gno eterno di Dio a Giusep-pe nella discendenza delMessia. Risalta così una del-le prerogative caratteristichedi Giuseppe nella storia del-la salvezza. La discendenzadavidica del Salvatore ri-spondeva a una linea profe-tica (cf. prima lettura) cheaveva attraversato per unadecina di secoli, tutta la sto-

ria di Israele. L’angelo chiama Giuseppe “fi-glio di Davide”. La missione di Giuseppe èquindi quella di inserire Gesù nella lineadavidica, non però rigidamente secondo lalinea del sangue. E’ lui quale discendente diDavide, il detentore delle promesse; è luiche rende Gesù portatore di esse a beneficiodi tutto il popolo. Giuseppe diventa quindi ilsegno della fedeltà di Dio alle sue promesse(cf. salmo responsoriale).

La figura di Giuseppe nei vangeli apparesolo ed esclusivamente in funzione di Gesù edi Maria. Non ha altro ruolo. Tutto il resto cheriguarda la sua vita, la sua persona e la suaattività viene passato sotto silenzio. La festadel santo Patriarca ci invita a sentirci custodidella salvezza portata da Cristo, nella fede enella speranza con la stessa disponibilità cheaccompagnò il giusto Giuseppe nel suo ruolodi custode di Cristo e sposo di Maria.

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Prima lettura: 2Cr 36,14-16.19-23Salmo responsoriale: dal Sal 136 (137)Seconda lettura: Ef 2,4-10Vangelo: Gv 3,14-21

Nei testi biblici di questa domenica sicontrappongono il peccato dell’uomo e l’amo-re di Dio. Il Sal 136 è una meravigliosa edrammatica preghiera di lamentazione innal-zata dagli ebrei esuli lungo i canali di Babilo-nia dopo la distruzione di Gerusalemme allafine del VI secolo a.C. Questo testo esprime ildramma di tutto un popolo sradicato dalla suaterra e strappato ai suoi affetti più cari. La di-sperazione dell’esilio è controbilanciata dallasperanza del ritorno a Gerusalemme. Così co-me Babilonia è la personificazione della po-tenza del male, Gerusalemme rappresenta lapatria definitiva in cui ogni lacrima saràasciugata. Quella che fu esperienza d’Israelediventa drammaticamente esperienza di cia-scuno di noi. Ma Cristo non ci ha abbandona-to in balia del nostro peccato; con la sua vitto-ria sulla morte ha dato a tutti noi la possibilitàdi ritrovare il paradiso perduto. Il ricordo diquesto evento è la nostra gioia.

La Pasqua è ormai vicina (cf. colletta): laChiesa ci invita alla gioia (cf. antifona d’in-gresso). Infatti, il Figlio dell’uomo è stato in-nalzato in croce, dice il brano evangelico, af-finché chiunque crede in lui, abbia la vitaeterna. Per far capire che cosa vuol dire cre-dere nel Figlio dell’uomo, l’odierno branodel vangelo di Giovanni rimanda alla storiadel popolo d’Israele che nel cammino del de-serto si era ribellato contro Mosè e contro lostesso Dio, per cui molti furono puniti con i

morsi di serpenti velenosi e morirono. Aven-do però gli israeliti riconosciuto il loro pec-cato, Dio promette che chiunque, morso daiserpenti, guarderà il serpente di rame collo-cato sopra un’asta, resterà in vita. La storiadi Israele va interpretata come un messaggioprofetico nel suo aspetto di severo giudiziosull’infedeltà del popolo e nel suo aspetto diaccorato invito al pentimento fondato sullafedeltà incondizionata di Dio. Il serpente in-nalzato da Mosè nel deserto è una prefigura-zione di Gesù innalzato sulla croce. Il ser-pente di rame salvava perché presupponevala fede nella parola di Dio che promette lasalvezza. In modo analogo Gesù morto incroce è fonte di salvezza per chiunque vi ri-conosce la rivelazione dell’amore di Dio che“ha tanto amato il mondo da dare il Figliounigenito; chiunque crede in lui ha la vitaeterna” (canto al vangelo).

Alla nostra infedeltà e al nostro peccatosi contrappongono la fedeltà e l’amore mise-ricordioso di Dio. Al peccato che conducel’uomo alla schiavitù e alla morte si contrap-pone l’amore di Dio che dona liberazione esalvezza. La prima lettura illustra lo stessoconcetto: al peccato d’Israele che gli ha me-ritato la punizione della deportazione in Ba-bilonia, si contrappone l’amore di Dio che,fedele alla sua parola, libera il suo popolodall’oppressione e lo riconduce a Gerusa-lemme. La nostra salvezza non è fondata suinostri meriti ma sull’infinita ricchezza dellamisericordia di Dio. E’ ciò che ricorda sanPaolo ai primi cristiani di Efeso: la salvezza“non viene da voi, ma è dono di Dio” (cf. se-conda lettura). E tutto ciò, aggiunge l’Apo-

DDOOMMEENNIICCAA IIVV DDII QQUUAARREESSIIMMAA ((BB))2222 MMaarrzzoo 22000099Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia

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stolo, trova pieno compimento in Cristo Ge-sù: “da morti che eravamo per le colpe, ci hafatto rivivere con Cristo”. L’ultima parola diDio non è la morte ma la vita.

Quando si parla di “colpa” o di peccatosi ha a che fare con il compimento o il falli-mento di una esistenza: solo chi ha forte il

senso della dignità dell’uomo davanti a Dio,del suo destino eterno, è capace di percepirequanto grande sia la tragedia del peccato.Paradossalmente però il peccato rivela chi èDio: quanto più profondo è il rifiuto dell’uo-mo, tanto più grande appare l’abisso dell’a-more divino, che la croce mostra in tutta lasua concretezza e veracità.

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Prima lettura: Is 7,10-14Salmo responsoriale: dal Sal 39 (40)Seconda lettura: Eb 10,4-10Vangelo: Lc 1,26-38

La Chiesa, ha stabilito la data della na-scita di Gesù al 25 dicembre, e festeggia, no-ve mesi prima, il suo divino concepimentonel seno della vergine Maria. La celebrazio-ne, che cade generalmente nel Tempo quare-simale, potrebbe creare qualche difficoltàpsicologica. Bisogna ricordare però che nel-l’ottica dei Padri della Chiesa l’incarnazionedel Figlio di Dio dice rapporto indissolubilecon la redenzione e quindi col mistero pa-squale. E’ in questo senso chedovrebbe essere celebrata que-sta solennità del Signore, comesottolineano alcuni testi dellamessa odierna: la colletta cheparla di Cristo “Redentore”, lapreghiera dopo la comunioneche ricorda “la potenza della suarisurrezione”, e specialmente laseconda lettura tratta dalla lette-ra agli Ebrei con pieno riferi-mento all’oblazione sacrificaledi Cristo: per libera decisione

Dio ha scelto la strada dell’incarnazione eGesù ha aderito al progetto del Padre offren-do la sua vita al compimento di questa mis-sione.

E’ in questa cornice pasquale che possia-mo capire pienamente il fiat di Maria, di cuici parla il racconto evangelico. Al fiat salvi-fico del Verbo Incarnato che entrando nelmondo disse: “Ecco, io vengo per compiere,o Dio, la tua volontà” (seconda lettura e can-to d’ingresso), corrisponde ora il fiat genero-so di Maria con cui la Vergine dà il suo con-corso al piano della nostra redenzione. Mariaha appena ascoltato un annuncio colmo digioia per tutto il suo popolo. Dio vuole dare

AANNNNUUNNCCIIAAZZIIOONNEE DDEELL SSIIGGNNOORREE2255 MMaarrzzoo 22000099Eccomi, Signore: si compia in me la tua parola

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inizio ai tempi messianici e, per le scelte di-vine, il suo sì è fondamentale. Come Giudittasentì un giorno il dovere di salvare il suo po-polo, così ora Maria, la Figlia di Sion, capi-sce che l’annuncio che le è stato rivolto dal-l’angelo investe il destino di Israele, suo po-polo, e con grande gioia si rende disponibilea collaborare al progetto salvifico di Dio. Co-lei che l’Onnipotente ha fatto “piena di gra-zia”, risponde con l’offerta di tutto il proprioessere: “Eccomi, sono la serva del Signore,avvenga di me quello che hai detto”. CosìMaria, per opera dello Spirito Santo, diventaMadre di colui che “doveva compiere le pro-messe di Israele e rivelarsi al mondo come ilSalvatore atteso delle genti” (prefazio).

La maternità di Maria è divina perché iltermine di tale maternità è Gesù, vero Dio,per cui il concilio di Efeso (431) riconobbela legittimità del titolo “Theotokos” – “Madredi Dio”. La maternità di Maria è verginale; inessa si avverano le parole profetiche di Isaiache propone la prima lettura della messad’oggi: “la vergine concepirà e partorirà un

figlio, che chiamerà Emmanuele, cioè Dio-con-noi”. La maternità di Maria è messianicaperché in essa si compiono le profezie sullastirpe del Messia (cf. 2Sam 7,8-16), “figlio diDavide” (Mc 10,44.48). La maternità di Ma-ria è salvifica perché è intrinsecamente ordi-nata alla salvezza del genere umano.

Ogni volta che celebriamo l’eucaristia,per opera dello Spirito Santo invocato sul pa-ne e sul vino, ma anche sui nostri corpi mor-tali, si rinnova il mistero della presenza realedi Dio in noi. Possiamo ben dire quindi cheogni celebrazione eucaristica ripropone inqualche modo il mistero dell’incarnazione diDio non in una singola persona, ma nella co-munità dei credenti riunita attorno al Risor-to. Nella colletta della messa chiediamo aDio la condivisione alla “vita immortale” delVerbo di Dio fatto uomo. E’ lo scambio mi-sterioso reso possibile dal mistero dell’Incar-nazione. Questa comunione umano – divinaha inizio nel battesimo, si nutre nella comu-nione eucaristica e culminerà un giorno nel-la visione beatifica.

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Prima lettura: Ger 31,31-34Salmo responsoriale: dal Sal 50 (51)Seconda lettura: Eb 5,7-9Vangelo: Gv 12,20-33

Oggi il salmo responsoriale è formato daalcuni versetti del Sal 50 o Miserere, salmoche viene recitato tutti i venerdì dell’annonella preghiera delle Lodi mattutine. Si trat-ta di un testo per metà tenebroso (quandodipinge l’oscurità del peccato) e per l’altrametà luminoso (quando esalta la luce della

grazia). Se il senso della colpa è vivissimo,più intensa è, però, l’esperienza del perdo-no, la certezza di avere un cuore ricreatopuro, dono della misericordia di Dio. Si puòaffermare che il nostro salmo più che uncanto penitenziale, sia la celebrazione dellarisurrezione alla vita nello spirito così comeè descritta dalla parabola del figlio prodigo(cf. Lc 15).

Vicini ormai alla celebrazione della Pa-squa, la tematica di questa domenica quare-

DDOOMMEENNIICCAA VV DDII QQUUAARREESSIIMMAA ((BB))2299 MMaarrzzoo 22000099Crea in me, o Dio, un cuore puro

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simale ci propone il mistero di Cristo che,morendo sulla croce, diventa principio disalvezza per tutti. E’ Gesù stesso a rivelare ilsenso salvifico della sua morte (cf. vangelo).Alcuni greci venuti a Gerusalemme per lafesta della Pasqua, esprimono il desiderio divedere Gesù. Si tratta di uomini che, pur nonappartenendo al popolo d’Israele, sono timo-rati di Dio e cercatori sinceri della verità. Illoro desiderio non è una semplice curiosità,non si esaurisce in un semplice vedere, ma èun desiderio di conoscere e di credere. Que-sti greci vengono presentati dall’evangelistacome personaggi emblematici, che rappre-sentano in qualche modo tutti coloro checercano Gesù. Così viene interpretato dallostesso Gesù che, vedendo in questi greci ilprimo frutto della sua passione, si dilunga inun discorso sulla sua imminente morte con-cluso con queste parole: “Io quando sarò in-nalzato da terra, attirerò tutti a me”. E l’e-vangelista aggiunge: “Diceva questo per in-dicare di quale morte doveva morire”. Permezzo di Gesù, l’uomo che si era allontanatoda Dio ritorna a lui. All’antica alleanza ri-stretta al popolo d’Israele, succede la nuovae definitiva alleanza aperta a tutti i popoli.

Questa “alleanza nuova” è annunciatanel secolo VI a.C. dal profeta Geremia inuna pagina che è uno dei vertici dell’AnticoTestamento, proposta oggi come prima lettu-ra. E’ la sola ed unica volta che una taleespressione ricorre nelle pagine dell’Antico

Testamento. Tre sono i tratti caratteristici diquesta nuova alleanza: l’interiorità (“porrò lamia legge dentro di loro, la scriverò sul lorocuore”); poi la spontaneità della relazionecon Dio (“tutti mi conosceranno, dal più pic-colo al più grande”). Infine il perdono delpeccato che ha reso precaria l’antica allean-za (“perdonerò la loro iniquità e non ricor-derò più il loro peccato”). La nuova alleanzaè scritta nel cuore. La morte di Gesù in croceci insegna che Dio scrive la sua legge nelcuore dell’uomo amandolo fino all’estremo.L’amore infatti si impone non con la minac-cia della punizione ma con la dolcezza deldesiderio.

Il breve brano della Lettera agli Ebrei,proposto come seconda lettura, illustra lastessa dottrina riscontrata nelle altre letturebibliche. Il dono della nuova alleanza è fattopersona in Gesù. Nella solidarietà e fedeltà,vissute nella forma estrema in un contesto disofferenza mortale, Cristo diventa “causa disalvezza eterna per tutti coloro che gli obbe-discono”. In altre parole, nel dono totale disé al Padre Gesù sancisce la nuova ed eternaalleanza, diventa quindi il perfetto mediatoretra Dio e gli uomini. La croce ci insegna chel’efficacia della nostra vita è direttamenteproporzionale alla capacità di dimenticarenoi stessi. Nel mistero pasquale di morte erisurrezione si manifesta l’amore di Dio e sistabilisce l’alleanza nuova, che l’eucaristiacontinuamente ripresenta e realizza per noi.

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«Gesù lo guardò e lo amò» (Mc 10,21). Così dice il Vangelo. Possiamo direche tutta la vita spirituale si svolge in un gioco di sguardi. Che cosa non fanno gliocchi! È attraverso di essi che «sentiamo» e veniamo a «conoscere» l’amore.

Pensiamo allo sguardo di Gesù sul Calvario nei confronti del ladrone… In unatale situazione, tutto si considera, eccetto che il guardarsi negli occhi. Il dolore lifa chiudere; ci rende estranei agli altri, perché è più forte di tutto. Eppure il dialo-go tra i due crocifissi avviene guardandosi.

C’è uno sguardo di rabbia, di pretesa, e c’è uno sguardo di preghiera. Dal guarda-re inizia il movimento del cuore: gli occhi non solo guardano, ma fanno vibrare il cuo-re. Il buon ladrone, al pari dell’altro sventurato, ha saputo guardare Gesù, ha saputotenere aperti i suoi occhi, superando il dolore di quel momento che condannava lasua vita balorda; ha saputo vedere e ha incontrato la dolcezza infinita che provenivadagli occhi di Gesù posati su di lui. È bastato uno sguardo per far iniziare tutto.

A Dio basta veramente poco per dirci quanto ci ama. Il perdono è dato dalsuo sguardo che facciamo entrare dentro di noi. Pensiamo a questa scena delCalvario, quando non ci sappiamo perdonare, quando non riusciamo a capireche cosa sia il perdono: erano lì fianco a fianco, uno con l’inferno nel cuore el’altro pronto a donargli il paradiso. Mai come in uno sguardo le distanze si fan-no raggiungibili.

L’amore del cuore passa dagli occhi, e attraverso gli occhi tocca il cuore. Piùpenetrante della luce è lo sguardo dell’amore; non esistono distanze che nonpossano essere attraversate.

Ma cosa vedono gli occhi di Gesù, quando mi guardano, se non le mie ferite,le mie zone oscure, i miei ripiegamenti, le mie false luci? E che cosa vedono imiei occhi, quando guardano il Crocifisso, se non le mie stesse ferite? Occorre la-sciarsi penetrare, perché lo sguardo passa attraverso le fessure. Occorre lasciarsitrapassare dalla luce degli occhi, per guarire il buio del cuore.

Abbiamo bisogno dello sguardo di Gesù, abbiamo bisogno che i suoi occhi in-cantino i nostri. Abbiamo bisogno che il suo sguardo che viene dall’alto scenda nellanostra bassezza e ci faccia risalire, ci faccia superare le barriere della nostra miseria.

Lo sguardo del Calvario va da una croce all’altra, ma si ferma nel cuore. Losguardo può essere solo accolto e resta tale anche di fronte alla chiusura del cuo-re di colui sul quale si è posato.

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Adorazione eucaristicaIl suo sguardo ama il mio cuore1

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Gli occhi di Dio cercano il volto dell’uomo; lo cercano senza tregua; locercano entrando anche nel buio fitto del peccato, dell’indifferenza; re-

stano aperti anche quando l’uomo gli volta le spalle, ed è allora che il cercare sitrasforma nell’andare dietro senza posa.

Nel Vangelo vediamo quello che è accaduto nel cuore dei primi amici di Gesù,perché sono gli stessi occhi che incontriamo noi quelli che loro hanno visto, è lostesso sguardo che si propone a noi, che vuol essere riconosciuto, perché è losguardo stesso di Dio.

Nel Vangelo c’è come un ritornello che si ripete: «Gesù passando, vide…».Eccolo sul lago di Tiberiade. I suoi occhi, guardando l’orizzonte del lago, si fer-mano su quegli uomini che stanno pescando: è il loro lavoro, è la storia della lorovita che si ripete tutti i giorni. Possiamo dire che da quei gesti che si ripetonomonotoni e faticosi ogni giorno dipende la loro vita.

È sempre Gesù che prende l’iniziativa guardando. Poi rivolgerà a quegli uomi-ni la sua parola. La parola segue lo sguardo. E dopo ci sarà la loro, e la nostra ri-sposta, nello stesso modo con cui Egli si è rivolto a loro, e a noi.

Se pensiamo all’apostolo Pietro, egli ha conosciuto bene lo sguardo di Gesù daquel primo momento sul lago, mentre stava facendo il suo lavoro di pescatore.Chissà quante volte si sarà fermato a guardare il suo volto, provando nel suo cuoreun grande affetto e una grande amicizia! Ma egli ha anche abbassato i suoi occhi,quando si è trovato solo davanti a chi gli domandava se era uno degli amici di Ge-sù, quando si è trovato di fronte a quella serva che insisteva. Allora, chiudendo ilcuore, ha abbassato anche i suoi occhi e ha risposto: «No, non lo conosco».

Poco dopo Gesù è passato con le mani legate, strattonato dalle guardie…Non poteva parlargli, non poteva fare altro che posare nuovamente il suo sguar-do su di lui che lo aveva rinnegato. I suoi occhi immensi e pieni di amore e dicompassione penetrarono nel cuore di Pietro, e ancora una volta questi avvertìche qualcosa di diverso stava succedendo nella sua vita: lo sguardo di Gesù ma-nifestava immensa dolcezza, nonostante la sua vigliaccheria; lo sguardo di Gesùera di una dolcezza e di una tenerezza tali che dagli occhi di Pietro sgorgaronolacrime vere di dolore e di amore.

Pensiamo anche noi agli occhi di Gesù che si posano su di noi dopo un nostropeccato: nel cuore sentiamo, più che il nostro fallimento, il suo amore che vuolfarci ricominciare. Dopo aver sperimentato il suo sguardo, la ferita del peccato siè trasformata in sorgente di misericordia.

Nel Vangelo vediamo come lo sguardo di Gesù viene prima delle parole. «Gli portarono una donna sorpresa in fragrante adulterio…». La legge non

ammetteva scuse, i fatti erano chiari: doveva essere lapidata. La portano da Ge-sù, il quale, di fronte al moralismo perbenista degli accusatori, si mette a scrivere

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per terra; prende tempo, e poi, guardandoli, li riporta al loro peccato, su-scitando la loro vergogna. Uno dopo l’altro, si ritirano – colpiti o irritati? -, a cominciare dai più anziani che vantano la loro ipocrita moralità.

La donna trema. Gesù può essere il primo a lanciare la pietra, e invece è il pri-mo a volgerle lo sguardo. Finora Gesù ha tenuto gli occhi bassi per non umiliarla,per non aggiungere altro agli sguardi duri e sprezzanti di tutti. Così rimangonosoli: l’Uomo e la donna, l’Innocente e la colpevole, il Salvatore e la peccatrice, laLuce e l’adultera, la Misericordia e la miseria, il Tutto Puro e l’imbrattata.

Quello di Gesù è stato il primo sguardo vero e puro che mai si fosse posato sudi lei. Di fronte alla limpidezza di quegli occhi, lei avrà osato guardarlo a sua vol-ta. Si guardano, occhi negli occhi, Dio e la donna, e questa si sente per la primavolta amata, e si sente dire da Lui: «Non peccare più!».

Commenta sant’Agostino: «Dopo aver respinto i suoi avversari con la vocedella giustizia, Gesù alza su di lei gli occhi della misericordia. Ha portato la con-danna ma contro il peccato, non contro l’uomo». Gesù non ha condannato ladonna ma non ha neppure giustificato il suo peccato. Ha protetto la donna, mane ha condannato il peccato. Gesù ha orrore del peccato ma ama il peccatore.Libera la donna dalla malizia del peccato. Tutti potevano contestare il suo com-portamento: la sua tenerezza, la sua dolcezza che non umilia. La donna era con-fusa ma abbagliata.

Gesù è riuscito a compiere questa opera: conciliare rigore e dolcezza, seve-rità e misericordia. La severità senza la misericordia per gli altri è fariseismo;senza misericordia per sé è colpevolizzazione. La misericordia senza severitàper gli altri è complicità; senza severità per sé è irresponsabilità. Sì, la miseri-cordia osa chiedere al peccatore di non peccare più. La colpevole del peccato èresa capace di santità.

Sia dato anche a noi di detestare il peccato, che è la morte dell’anima; masia dato anche di amarci come peccatori, di amarci fino a voler essere liberatidal peccato, fino a voler diventare noi stessi! Come ci comportiamo di fronte auna situazione verso la quale facilmente ci viene spontaneo giudicare, condan-nare, scandalizzarci? Come ci piace scandalizzarci, quando con i nostri occhivediamo gli sbagli degli altri! Facilmente il nostro cuore li giudica e li condan-na, e non ci rendiamo conto che il Cuore di Gesù non ha mai giudicato e con-dannato nessuno. Egli dice alla donna: «Donna, neanche io ti condanno, mad’ora in poi non peccare più».

Continuiamo a guardare con gli occhi di Gesù. C’è un altro incontro, un altrosguardo. Una donna si prostituiva nel villaggio di Magdala sulle rive del lago. Inpiena cena mondana, a casa di un fariseo altolocato, essa sfida gli sguardi sprez-zanti dei presenti. Scivola dietro Gesù, singhiozza. Vuole lavare i piedi del Signo-

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re. Con quale acqua? Con le sue calde lacrime. L’asciugamano per asciu-garli? I suoi lunghi capelli.

Rompe il suo flacone di profumo: vuole compiere un’unzione completa. E,colmo dei colmi, non cessa di coprire quei piedi di baci. Che scandalo! È unaprovocazione, un tentativo di seduzione, di fronte a tutti. Questa donna tocca ipiedi di Gesù; è come se gli appartenessero, e lei che osa toccarlo è una pubblicapeccatrice! E Gesù la lascia fare.

Di fronte a questo fatto, in tutti nasce una forte mormorazione. Tutti sentonodi dover condannare ciò che Gesù di Nazareth permette che gli venga fatto dauna donna come quelle. Se fosse un profeta, saprebbe chi è quella donna; maallora, come osa farsi toccare da lei? Se non lo sa, allora è un rabbino qualunque(Lc 7,36-50).

A questo proposito, possiamo ricordare una bella riflessione di sant’Efrem:«La peccatrice lavò la polvere che era sui piedi di Gesù, e questi con le sue parolelavò le cicatrici della sua carne». Sì, Gesù ha lavato le cicatrici della carne di quel-la donna, non si è curato di quello che gli altri potevano pensare. Ha preferito es-sere disprezzato e giudicato dai commensali, piuttosto che giudicare, disprezzaree rifiutare quella donna.

L’amore di Gesù non si paralizza davanti alla mormorazione degli uomini, allaloro ironia, ai loro pregiudizi. La semplicità della donna lo ha colpito; la sua fidu-cia lo ha toccato profondamente.

Possiamo dire che, nonostante il peccato, nel cuore dell’uomo rimane unospazio di verità che neanche il peccato riesce a intaccare. Gesù vede questo inciascuno di noi.

Egli non si cura né delle dicerie dei commensali, né dei loro sguardi maliziosi.La donna comprende che lo sguardo di Gesù è più forte di quello dei commensa-li; comprende che i suoi molti peccati non le sono di impaccio e che possono es-sere trasformati dal perdono di Gesù.

Così viene immediatamente liberata dai sette spiriti che la tormentano. Le suesono lacrime di gioia e di riconoscenza infinita per quello che nessuno dei pre-senti riesce a capire anche guardando. Non può dimostrare la sua gratitudine inaltro modo.

Le sue lacrime sono le parole senza suono della voce del cuore. Proprio per-ché si sente rinnovata nel cuore, questa donna non esita a testimoniare di frontea tutti tanto amore. Le sue brutture sono state cancellate. Il suo primo gesto –quello di avvicinarsi a Gesù senza paura e senza vergogna – è bastato a determi-nare il perdono. E questo ha determinato poi quei gesti di pura delicatezza.

Tutto si è svolto in un gioco di sguardi. Negli occhi di lei Gesù ha letto il penti-mento. Dagli occhi di Gesù ella ha ricevuto la speranza. Negli occhi della donna

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Gesù ha visto un’anima così bella. Negli occhi di Gesù la donna ha lettoche era stata perdonata, cioè rigenerata.

Ma noi abbiamo mai sperimentato questo perdono? Santa Teresina di Lisieuxripeteva le parole di Gesù: «Colui al quale viene perdonato di meno, è perchéama di meno». Davvero Gesù con il suo sguardo vede tutto di noi e ci avvolge. Enon solo ci perdona, ma vuole che noi lo amiamo, non perché ci ha perdonatopoco, ma perché ci ha perdonato tutto. Dice santa Teresa d’Avila: «Mi sono piùstancata io di offendere Dio che Lui di perdonarmi. Il tesoro delle sue misericor-die non si può esaurire. Non stanchiamoci di riceverle!».

Anche noi dobbiamo accogliere lo sguardo di Gesù prima di ogni parola.Quello sguardo ha proiettato un fascio di luce nella notte di Giuda, quando egliuscì dal Cenacolo sconvolto dalle parole del Maestro, come pure è stato inquie-tante negli occhi pieni di lacrime di Pietro. Quello sguardo ha fatto passare ilbuon ladrone dall’inferno del Calvario alla promessa del Paradiso.

Quello sguardo – non un altro! – ora è posato su di noi. Poniamoci anche noinella luce dei suoi occhi. Un fascio di luce scruta in profondità l’abisso del nostrocuore, che diventerà un abisso di luce.

Infatti, «più profondo dell’abisso della separazione è quello dell’amore» (Oli-vier Clément).

Di fronte a questo abisso non c’è vertigine. Perché non rievocare alla memoriadel nostro cuore quegli incontri che anche noi abbiamo avuto in quell’inesprimi-bile gioco di sguardi? Perché in ogni Confessione non percepiamo la luce degliocchi del Signore che ci fa essere più veri e più santi? Sì, la Confessione potrebbeessere qualcosa di diverso, se ci lasciassimo raggiungere dallo sguardo di Gesù.Dobbiamo imparare a guardarci come Egli ci vede, e dobbiamo vederci all’inter-no del suo sguardo.

Lo sguardo di Dio su di me! Prima del male e del mio peccato, Egli mi vede. Ècome una mamma che, prima che il suo bambino venga aggredito dal male e sene impaurisca, gli si getta al collo per difenderlo.

Gesù vede in noi soltanto la bontà, la luce, la profondità che Egli stesso ci hadonato. Intuisce il male solo costatando le carenze (non le ferite) nell’amore, lemancanze (non le ombre) nella luce, i vuoti (non le macchie) nella bontà. La Con-fessione diventa allora il momento in cui Dio ci presta lo sguardo che ha su dinoi, per farci prendere coscienza dei nostri peccati. Altrimenti, chi potrebbe resi-stere al dolore del peccato?

Dobbiamo imparare a vederci come Dio ci vede. È stato detto che «nel cuoredi Dio noi esistiamo senza considerazione alcuna per il nostro peccato. Quelloche definiamo perdono di Dio è il momento in cui la realtà di ciò che noi siamoper Dio entra in noi e scaccia il male con la propria pienezza… Dio non conserva

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la contabilità dei nostri errori. Ci rende il contatto incandescente del suoamore che ci fa esistere, come ci vuole Lui» (J.M.Garrigues, Dieu sans

idée du mal).Lo sguardo di Gesù posato su ciascuno di noi ci strappa al nostro sguardo in-

chiodato su noi stessi, che ci fa vedere sempre in negativo, ci fa disprezzare, sot-tovalutare, disgustare di noi stessi.

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Lo sguardo di Dio ci contempla nel desiderio del suo amore. È unosguardo cieco nei confronti del male, perché Egli è l’Innocente. È unosguardo che vede in noi solo il riflesso della sua santità, per quanto offuscatapossa essere; che vede solo l’icona di suo Figlio, per quanto appannata possaessere.

È uno sguardo che ci fa esistere, che rivela il meglio di noi stessi. E ci fa grida-re le grandi cose che Egli ha fatto in noi e con noi.

Saliamo ora sul Calvario. Lì c’è molto da guardare. I nostri occhi si incontranocon la croce. «Accanto alla croce stavano alcune donne: la madre di Gesù… eMaria di Magdala» (Gv 19,25). Mettendoci accanto alle donne e a Maria, i nostriocchi si rivolgono a Lui; ma è anche vero che dall’alto della croce i suoi occhi so-no rivolti verso tutti quelli che sono presenti: c’è chi lo crocifigge e ci sono anchecoloro che piangono per tanto dolore.

Egli vede i vicini che piangono per Lui, mentre con i suoi occhi cerca i lontaniche non ci sono. Si volta verso quelli che sono sempre stati con Lui, il piccologruppo che si trova intorno alla croce. Ecco le due Marie: quella di Nazareth equella di Magdala, l’Immacolata e l’imbrattata, la Tenerezza in persona e la pec-catrice per eccellenza, la Benedetta tra tutte le donne e quella donna peccatrice!Entrambe unite da un unico amore. La bellezza di Maria di Nazareth viene inqualche modo trasmessa a Maria di Magdala. Gesù guarda entrambe e le ama.Non può fare altro. E al tempo stesso posa gli occhi su Giovanni.

Gesù non vede ciò che guarda, ma vede oltre ciò che guarda. Un assassino euna prostituta ora stanno accanto alla madre e allo sconsolato Giovanni. Quelsangue che gronda dal suo corpo crocifisso rende tutti santi, così che Egli è con-solato da tanta bellezza che vede in loro. Vale la pena versare il suo sangue.

Chiediamo allora alla Madonna di insegnarci a stare davanti al suo dolce Ge-sù, lei che non si è tirata indietro a stare con peccatori ai piedi della croce: «Sta-vano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofae Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepoloche egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al disce-polo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella suacasa» (Gv 19,25-27).

Maria, l’Immacolata, preservata dal peccato ma non dal dolore, ci insegni adavvicinarci al sacramento della Confessione con la consapevolezza che lei ci staaccanto, e ci liberi dalla paura e dal sentimento di vergogna. È lei che può darcil’audacia di essere veri e di essere liberi nella verità ritrovata.

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1 da Alla scuola di Gesù Eucaristia di Luigi Oropallo, edizioni AdP

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a quaresima è una prassi chesi è costituita gradualmente.Solo con l’andar del tempo

infatti e, stando a quanto affermanoalcuni storici, non prima del V secolo,si è affermata stabilmente nella Chiesal’usanza di praticare un digiuno diquaranta giorni prima della Pasqua.Tuttavia l’inno Ex more docti mystico,che la liturgia delle ore prevede per iltempo di quaresima e che viene attri-buito, non senza qualche incertezza, aSan Gregorio, sembra testimoniareche, all’epoca della sua composizionetale consuetudine era già solidamenteradicata nella chiesa di Roma.

Gregorio Magno, vescovo di Romadal 590 al 604, universalmente notoper la riforma liturgica e del canto cheda lui prende il nome, fu un profondoammiratore di san Benedetto e della vi-ta monastica in genere. Appartenendoalla gens Anicia, aveva molti possedi-menti; trasformò in monastero la villadi famiglia che sorgeva sul Celio, e vol-le trascorrervi gli anni forse più bellidella sua vita, prima cioè che gli impe-gni del ministero lo portassero a Co-stantinopoli come legato papale (579-586), e poi a succedere a papa PelagioII sul soglio pontificio. Nonostante lasalute fragile e l’aspetto dimesso, lasua tempra spirituale e la sua persona-

lità straordinaria gli valsero il titolo di“Magnus”; e le antiche biografie gliattribuiscono volentieri il titolo di «con-sul Dei» (console di Dio); ma in realtàegli nel suo cuore coltivò sempre la no-stalgia dell’umile vita del chiostro. Neisuoi scritti esorta ripetutamente e conaccenti accorati i pastori e i ministri acoltivare assiduamente la vita interiore,per non lasciarsi schiacciare e sballotta-re dagli impegni del ministero. Egli fu«un contemplativo condannato all’a-zione», come ebbe a dire un monacoche ne ha studiato a fondo la figura1.L’epidemia di peste e le calamità natu-rali che si erano abbattute su Roma esul territorio italiano negli ultimi lustridel VI secolo sembravano realizzare leprofezie escatologiche contenute neivangeli, e venivano interpretate comesegni dell’imminente fine dei tempi. Insintonia con questa temperie culturale,gli scritti di Gregorio manifestano unaspiccata propensione al «distacco dalmondo» e all’ascetismo, ed esprimonouna vivace tensione escatologica, insi-stendo sulla caducità delle cose terrenee sulla necessità di fissare lo sguardosu quelle invisibili ed eterne.

Questa sensibilità è pienamenteconforme ai sentimenti descritti dal-l’inno di cui veniamo a parlare, e chepertanto può essere assai verosimil-

Innodia quaresimale di san Gregorio

don Filippo Morlacchi

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mente attribuito a Gregorio. L’inno Exmore docti mystico era presente nelvecchio breviario romano, ed è statoconservato dalla riforma di Paolo VI,sebbene sia stato diviso in due sezioni,prescritte rispettivamente per l’ufficiodelle letture e per le lodi della domeni-

ca nel tempo di quaresima. Laricomposizione delle due metàpuò favorire una miglior comprensionedell’insieme (parzialmente ostacolatainvece dal fatto che le due sezioni ven-gono proposte nell’innario su due me-lodie diverse).

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Istruiti da mistica tradizione,osserviamo questo digiunodurante il celebre periodo di quaranta giorni.

Dapprima la Legge e i Profetilo introdussero, poiCristo lo consacrò, Re e Autore di tutti i tempi.

Facciamo dunque uso più sobriodi parole, cibi e bevande,di sonno, di svaghi, e più intensamenteperseveriamo nella vigilanza.

Evitiamo i cattivi pensieriche rovinano le menti instabili, e non diamo all’astuto nemico nessuna occasione di dominarci.

Prostrati, tutti invochiamoe ciascuno implori,piangiamo dinanzi al giudice,plachiamo l’ira vendicatrice.

Con i nostri peccati, o Dio,abbiamo offeso la tua clemenza: su di noi effondi dall’alto, misericordioso, la tua indulgenza.

Ex more docti mysticoservemus abstinentiamdeno dierum circuloducto quater notissimo.

Lex et prophetae primitushanc praetulerunt, postmodumChristus sacravit, omniumrex atque factor temporum.

Utamur ergo parciusverbis, cibis et potibus,somno, iocis et arctiusperstemus in custodia.

Vitemus autem pessimaquae subruunt mentes vagas,nullumque demus callidohosti locum tyrannidis.

Precemur omnes cernui,clamemus atque singuli,ploremus ante iudicem,flectamus iram vindicem.

Nostris malis offendimustuam, Deus, clementiam;effunde nobis desuper,remissor, indulgentiam.

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di Giona (Gio 3,4). Anche i 40 anni tra-scorsi dal popolo eletto nel deserto pri-ma di accedere alla Terra Promessa (Dt2,7), e forse anche i 400 anni di schia-vitù in Egitto (Gen 15,13) possono esse-re considerati una prefigurazione dellaquaresima. Ma sono soprattutto i 40giorni trascorsi da Gesù nel deserto diGiuda prima della sua missione pubbli-ca (Mc 1,13 e paralleli) a costituire ilprecedente immediato della prassi qua-resimale. Ecco perché la seconda strofaafferma che si tratta di una tradizioneantichissima, che fu inaugurata «dallaLegge e dai profeti» (lex et prophetae),cioè da Mosè ed Elia, sia l’uno che l’al-tro prima della teofania sul monte Sinai(Horeb), e fu poi consacrata da Cristostesso, che subì la tentazione diabolicanel deserto dopo quaranta giorni di di-giuno. Il fatto che i quaranta giorni pe-nitenziali siano un “tempo forte”, unkairòs di conversione e di salvezza, èmesso in rilievo dall’annotazione che

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Memento quod sumus tui,licet caduci, plasmatis;

ne des honorem noministui, precamur, alteri.

Laxa malum quod fecimus,auge bonum quod poscimus,placere quo tandem tibipossimus hic et perpetim.

Praesta, beata Trinitas,concede, simplex Unitas,ut fructuosa sint tuishaec parcitatis munera. Amen.

Come accennato all’inizio, se davve-ro la paternità gregoriana dell’inno puòessere accolta, la prima strofa costitui-sce una importante testimonianza del-l’antichità (almeno relativa) della prassiquaresimale. L’invito ad «osservare il di-giuno»2 per «un ciclo di dieci giorni ri-petuto quattro volte» viene consideratoinfatti il frutto di un costume (mos) tra-dizionale, di origine divina (mysticus) elargamente conosciuto (notissimus). Ilnumero quaranta è infatti ricorrentenelle Scritture, per indicare un tempo“compiuto”3: i quaranta giorni del dilu-vio universale (Gn 7-8), i quaranta gior-ni di Mosè sul Sinai per ricevere le Dieciparole (Es 24,18); i quaranta giorni im-piegati dagli esploratori per la ricogni-zione della terra promessa (Nm 13,25),ma anche i quaranta giorni di Elia neldeserto prima di raggiungere il monteHoreb (1Re 19,8) o i quaranta giorniconcessi da Dio alla città di Ninive perconvertirsi, in obbedienza alla missione

Ricorda che, sebbene fragili,siamo plasmati da Te: non cedere ad altri, Te ne preghiamo,l’onore del Tuo nome.

Perdona il male commesso,aumenta il bene che imploriamo:perché possiamo infine piacerti quaggiù e nell’eternità

Accordacelo, Trinità beata,indivisa Unità,affinché riescano fruttuosiai tuoi fedeli i benefici del digiuno. Amen.

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Colui che ha consacrato la quaresima èil rex atque factor omnium temporum,«il re e creatore di tutti i tempi». Laquaresima non dovrebbe mai perderequesta connotazione kairologica di“tempo speciale”, voluto dalla Chiesaproprio per favorire l’accoglienza dellasalvezza da parte di ciascuno.

La penitenza, che si esprime emble-maticamente nel digiuno, conosce inve-ro anche altre forme di astinenza emortificazione. La terza strofa ne elencaalcune, e il digiuno non è la prima: inquaresima occorre una maggiore parsi-monia nell’uso di parole (verbis), di ciboe bevanda (cibis et potibus), di sonno(somno), di divertimenti o svaghi (iocis).La quaresima è infatti innanzi tuttotempo di silenzio, e quindi di astinenzadalle troppe parole. Purtroppo nella li-turgia questo dettaglio non viene moltovalorizzato, e l’unico elemento chesembra connotare la quaresima è la so-stituzione dell’«alleluia» con un’altraformula di acclamazione. Ma il silenzio,tanto caro alla tradizione monastica etanto desiderato da san Gregorio, è in-vece elemento fondamentale di un effi-cace cammino penitenziale, nella litur-gia e al di fuori di essa. Perché «nelmolto parlare non manca la colpa»(Prov 10,19), «di ogni parola infondata(o inutile) gli uomini renderanno contonel giudizio» (Mt 12,36) e senza silen-zio non c’è ascolto. La quaresima è poitempo di digiuno e moderazione nelmangiare e nel bere. E se certamente ildigiuno ha anche una connotazione“caritativa” (molto spesso oggi si invita-

no i fedeli a digiunare per rac-cogliere il denaro risparmiato infavore dei poveri), non dovrebbe esseredel tutto dimenticata o abolita la di-mensione più squisitamente penitenzia-le ed espiativa del gesto. La sobrietà nelcibo non è solo questione di giustizia ocarità, né solo di sovranità sui bisognidel corpo: vuol essere anche una vera edolorosa privazione, che costa fatica eche espia le colpe. Anche la veglia oastinenza dal sonno è una prassi quare-simale importante. Nel mondo orientaledell’antichità la pratica della vigilanzaspirituale (nêpsis) ha prodotto una tra-dizione venerabile e diffusa; ma ancheoggi, nel nostro mondo secolarizzato, èchiaro a tutti che per non dormire civuole un motivo importante. Si vegliaquando c’è un malato grave, o un bam-bino che dorme, o per svolgere un lavo-ro non procrastinabile… insomma, si ri-nuncia al sonno solo per attendere aqualcosa di decisivo e fondamentale: equesta urgenza prioritaria, in quaresi-ma, è proprio la conversione personale,favorita dalla preghiera e dalla mortifi-cazione. Infine, la quaresima è tempo disobrietà anche nei divertimenti. La qua-resima viene dopo il carnevale. Inten-diamoci: non che sia il tempo propizioper la tristezza o i musi lunghi, ché que-sti non hanno spazio nella vita cristiana.Tuttavia la quaresima è tempo di unamaggiore compostezza, di una più pon-derata gravitas, di un più serio conte-gno e un più severo autocontrollo. L’as-senza di divertimenti o distrazioni ci co-stringe a guardare l’essenziale, cioè a

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noi stessi davanti a Dio; e osser-vando così il proprio peccato e

la propria mediocrità, c’è ben poco daridere.

L’invito a consolidare la vigilanza èperfezionato nella strofa seguente.Non solo vanno evitate le azioni ester-ne ma occorre sforzarsi di evitare an-che i peccati di pensiero. La tradizionedel monachesimo ben conosce la lottaai pensieri malvagi: Evagrio Pontico(seconda metà del IV secolo) insegnache i loghismòi, cioè i pensieri che di-struggono l’unità interiore del mona-co, sono tutti diabolici (diàbolos dadia-ballein, «dividere, spezzare»), evanno combattuti con altrettanti ver-setti della Parola di Dio. SimilmenteSan Benedetto nella sua Regola invita imonaci a distruggere i pensieri negati-vi sul nascere, spezzandoli sulla rocciadi Cristo e confessandoli al padre spiri-tuale («cogitationes malas cordi suoadvenientes mox ad Christum allidereet seniori spiritali patefacere»: Reg.Ben. IV,50). In tal modo, ossia con unavigilanza costante sui pensieri che siintromettono nel cuore per turbarne lapace, si impedisce al «nemico astuto»di aver qualsiasi potere (nullum… lo-cum tyrannidis) sulla libertà dell’uomo.

La strofa successiva cambia registro(e l’attuale liturgia comprensibilmentefa iniziare qui il secondo inno, quellodelle lodi), passando dalla “prevenzio-ne” del peccato alla sua “cura”. Se finoadesso si è sottolineata soprattutto ladimensione della vigilanza, e dunquel’astensione dalle colpe, ora è piuttosto

la richiesta di perdono che prevale. Lacomunità è invitata a pregare invocan-do la misericordia del giudice, nellaconsapevolezza che, nonostante glisforzi compiuti, nessun uomo è senzacolpa. È interessante notare la dupliceinvocazione di perdono, al livello comu-nitario (omnes) e individuale (singuli): lasolidarietà nel peccato fa invocare lamisericordia sulla collettività, ma questadimensione “sociale” non esime dallarichiesta di perdono personale. E la con-sapevolezza del male commesso (no-stris malis) fa sì che l’unica richiesta sen-sata sia quella dell’indulgenza e dellamisericordia, non quella della giusta re-tribuzione.

Con un intarsio di reminiscenze bi-bliche e in vista del giudizio finale, lastrofa successiva ricorda a Dio la naturafragile dell’umanità, invitandolo a nonlasciare però che questa debolezza of-fuschi la gloria del Creatore. L’uomo èinfatti «come l’erba» (cfr Is 40,6-8),«plasmato con la polvere del suolo» (cfrGn 2,7; Sal 102,14); e tuttavia – con-fessa l’orante – porta pur sempre in sé ilsigillo del suo Creatore, il “marchio difabbrica”: «sumus tui plàsmatis», «ilnostro essere plasmati viene da Te», lapolvere che siamo porta pur semprel’impronta di Te, o Dio. Per questo se-gue la preghiera: «non dare ad un altrol’onore del tuo nome», ossia: non per-mettere che il tuo nome glorioso sia of-fuscato dal nostro peccato. È Dio stessoche afferma, per bocca del profeta:«Come potrei lasciar profanare il mionome? Non cederò ad altri la mia glo-

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nità e l’unità di Dio, è una in-vocazione affinché il camminoquaresimale non sia infecondo, maporti «frutti degni di conversione»(Mt 3,8). Ma la cosa più sorprendente– solo apparentemente, però! – è chele fatiche penitenziali della quaresimavengano considerate «doni di so-brietà» (parcitatis munera). La quare-sima è davvero, prima ancora che“tempo di sforzo ascetico”, un verotempo di grazia (kairòs), un’opportu-nità preziosa offerta dalla Chiesa aciascun fedele in vista della rinnovataconversione e della salvezza. Conquesto spirito dunque accostiamocialla preghiera, anche attingendo allasecolare tradizione liturgica dellaChiesa.

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ria» (Is 48,11; cfr 42,8); l’orante gli faeco, e invita Dio stesso ad essere fedelealla sua promessa.

Segue la richiesta a Dio di cancel-lare gli effetti del male commesso(laxa malum) e di potenziare il benecompiuto (auge bonum). La coscienzadei peccati passati e della tiepidezzanel fare il bene si unisce alla speranzache il Signore possa portare a compi-mento le opere buone iniziate (cfr Fil1,6). Lo scopo ultimo è dichiaratoesplicitamente nella sua prospettivaescatologica e definitiva: essere gradi-ti a Dio qui in terra (hic, qui) e per l’e-ternità (perpetim). Il cammino verso ilCielo, vocazione definitiva dell’uomo,va preparato qui in terra. La dossolo-gia conclusiva, che sottolinea la tri-

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——————1 J. LECLERQ, L’amour des lettres et le désir de Dieu, Paris 1957 (Cultura umanistica e desiderio di Dio. Stu-

dio sulla letteratura monastica del Medioevo, Sansoni - Rizzoli, Milano 2002, p. 34). «Il suo ideale – con-

tinua Leclerq nel suo straordinario volume, che a distanza di oltre mezzo secolo dalla sua pubblicazione

conserva intatto il suo fascino e la sua freschezza – è il riposo della vita monastica; egli ha scelto di con-

durre questa vita e ha potuto farlo solo per alcuni anni. Le circostanze, la chiamata di Dio, l’obbligano a

servire, poi a governare la Chiesa, a vivere, come egli dice, “nel tumulto del mondo”, e questo in un pe-

riodo che è particolarmente tormentato, a Roma e in tutta l’Italia. Egli unirà l’azione alla contemplazione

ma avrà per sempre nostalgia della seconda» (ivi). 2 Il testo corrente ripristina il termine originario (abstinentia) al posto della variante ieiunium, introdotta da

Urbano VIII nella sua revisione del Breviario romano (1632). Abstinentia è termine più ampio, ed indica il

clima generale di austerità penitenziale, di cui però il ieiunium è parte fondamentale. Analoga restituzio-

ne nella dossologia finale, dove gli «ieiuniorum munera» suggeriti da Urbano VIII sono tornano ad essere

un più estensivo «parcitatis munera». Altre piccole varianti di scarso rilievo non saranno considerate in

questa sede.3 Quattro sono infatti i punti cardinali che indicano totalità.

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guerre e pestilenze e bisognoso di ca-tarsi liberatorie. Leggenda e storianarrano così, con molteplici colorazio-ni, che nell’XI e nel XII secolo, in occa-sioni funebri (ma non solo), un folla dipersone incominciasse a danzare nelrecinto d’un cimitero in modo tantosfrenato e prolungato da cader alla fi-ne esausta. E’ probabile che una talemanifestazione cercasse, attraverso lo

spossessamento di sé,un legame tra la vita ela morte: e il nome di“danza macabra”,ch’essa prese dall’ara-bo – “kabr” vi significa“tomba” e “makâbr”“cimiteri” – più che daqualche riferimento aiLibri dei Maccabei, ap-pare calzante. Una raraquanto puntuale de-scrizione è dovuta aGiraldo Cambrense,nel suo It inerariumCambriae: “Si possonovedere uomini e donne

l temuto crinale dell’anno Mil-le è foriero anche sul versantedella danza di scorci di paura

e d’inquietudine. La coreutica comeestasi, come eccesso patogeno, comeviolenza incontrollabile segna in modopeculiare i secoli che lo contornano:un’estrema eccitabilità caratterizzal’uomo del Medioevo, continuamenteprovato dall’incombere angoscioso di

Danzava con tutte le forze davanti al Signore... 2 Sam 6, 14

Tremila anni di fede e danzaParte seconda: dal Medioevo ai giorni nostri

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che danzano in circolo, cantando, orain chiesa, ora dentro la cinta del cimi-tero, ora fuori, tutt’intorno ad esso.Improvvisamente essi si gettano a terracome in preda all’estasi e rimangonoimmobili. Poi saltano su come presi dafurore e si mettono a rappresentarecon i piedi e le mani i lavori proibiti neigiorni festivi. Uno sembra porre manoall’aratro, un altro incita i buoi colpungolo e tutti e due emettono le gri-da rauche che di solito accompagnanoquesti lavori […] Più lontano si può ve-dere una danzatrice che si muove co-me se maneggiasse una conocchia […]un’altra, nella sua corsa sembra intrec-ciare un ordito […] Infine si vedono al-l’interno della chiesa, condotte all’alta-re con offerte, risvegliarsi stupefatte eritornare in sé”. Le arti figurative sonodoviziose di rappresentazioni delladanza macabra, ormai fissata in unasequenza di quadri ove appaiono inatto di danzare immagini di morti, ingenere scheletri, e di vivi, in genere re,cavalieri e dame: celebri le scene affre-scate nel Camposanto di Pisa e in San-ta Croce a Firenze; o, più tardi, quelledel Cimitero degli Innocenti a Parigi,quelle di Holbein a Basilea e di Cluso-ne, presso Bergamo, dipinte ormai nel1485. Il duca di Borgogna era arrivatoa trarne una rappresentazione scenica,nel 1449, per il suo palazzo di Bruges.Grande riflessione sapienziale, questadella pittura: che trascende la docu-mentazione d’accadimenti coreograficiper farsi una sorta di “memento mori”visivo sulla fugacità del potere e della

bellezza: “Orsù, orsù, padronie servi, venite qui a salti, venitegente d’ogni genere, giovani e vecchi,belli e brutti, voi dovete tutti entrare inquesta casa della danza” (Anonimo,Mainz, 1491). Il Medioevo – l’abbiamopremesso - è epoca di repentine esplo-sioni all’esterno d’ossessioni interiori alungo compresse: percorre sinistra-mente il Trecento il furore di una dan-za che i l medico chiama “choreamaior” e il profano “ballo di San Vi-to”, derivata certamente da quelleeseguite per allontanare la peste e chesi impossessa di singoli e talora anched’un gruppo, preda d’una psicosi iste-rica con i connotati d’una danza fattadi giri e contorsioni che dura ore edore. In Belgio, nella seconda metà delTrecento, il fenomeno prende i conno-tati d’una vera e propria setta, “i Dan-zanti”, che giunge a contare migliaiadi adepti. Se è scarsa l’efficacia dellamedicina, i ripetuti interventi esorcisticiottengono esiti significativi e doponon molto tempo il movimento scom-pare. Una manifestazione meno pato-logica, ma altrettanto clamorosa, s’ eraavuta con il cosiddetto “grande alle-luia” del 1233, in Italia, quando unafolla enorme ed invasata aveva seguitodanzando i predicatori della Quaresi-ma, portando rami d’albero e candeleaccese. Non tutta la danza ricollegabi-le all’ambito sacro ha nel Medioevo isintomi clinici che abbiamo finora de-scritto. Nonostante una complessivacondanna della Chiesa, la teatralitàconnessa alla liturgia non è del tutto

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emarginata: spesso vengonoeseguite rappresentazioni

drammatiche – le “sacre rappresenta-zioni” - corredate di processioni e didanze nelle quali i ruoli dei danzatorisono quelli dei personaggi comici ogrotteschi. A partire dal XII e fino al XVsecolo tali azioni drammatiche hannoluogo in occasione del Natale o dellaPasqua, mentre per il Corpus Dominisono consuete alcune danze eseguitedai membri delle corporazioni o pro-mosse dal feudatario o dal governocomunale. La “pelota di Auxerre” èuna forma complessa di danza in cui ilclero si passa una palla lungo le varietappe di un labirinto: e analogamenteintegrate nella liturgia sono le danzeeseguite lungo le forme labirintichenon di rado riprodotte sui pavimentidelle cattedrali, di cui rimane esempionotissimo quella di Chartres. La danza,tuttavia, sia nel suo connotato ludicoche in quello rappresentativo, ha or-mai il suo spazio fuori della chiesa; mase ne allontana di poco, collocandosinelle piazze antistanti o – l’abbiamo vi-sto – nel camposanto ad essa conti-guo. Miracoli, misteri, racconti edifi-

canti, pantomime, satira (anche control’autorità ecclesiastica: celebre la “Fe-sta dei folli”), “tableaux vivants” disoggetto biblico, sono la drammatizza-zione, coreografica od anche solo ge-stuale, pittoresca, esaltata, mista di fe-de e di superstizione, dell’umanità cre-dente del Medioevo, sino a tutto il Tre-cento e gran parte del Quattrocento.D’una siffatta cultura, senz’altro popo-lare, non rimane traccia se non in talu-ne stilizzate raffigurazioni pittoriche. Siperpetuano sino ad oggi, invece, alcu-ne danze di carattere strettamente li-turgico legate all’ambito delle grandicattedrali spagnole. Il consiglio e il ca-pitolo della cattedrale di Toledo e quel-li di altre corporazioni religiose iberiche(ad esempio in Portogallo, ove viendetta “ronda di S. Giovanni”) eseguo-no ancora una ronda corale con il mo-tivo del combattimento alla spada fracristiani e musulmani: i danzatori, di-sposti su due fronti, avanzano gli universo gli altri con movimento ondeg-giante al suono delle nacchere e ritor-nano al loro posto, disegnando una li-nea curva. La maggiore notorietà inquest’ambito spetta tuttavia alla catte-

drale di Siviglia e a “Losseises”. Il termine è unamodificazione andalusadel castigliano “seize”, os-sia sedici e indica il nume-ro, poi limitato a dieci, diun gruppo di “niños” –“mozos de coro” - le cuiprime notizie datano del1439 e il cui documento

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istitutivo è del 1508. Erano apparsi co-storo inizialmente davanti alla cosid-detta Arca del Sacramento il Taberna-colo della Cattedrale di Siviglia – vestitida angeli, con ali dorate e coroncine difiori, eseguendo danze e canti dischietto carattere religioso. Nel 1548 siha riscontro d’una loro presenza nellaprocessione del Corpus Domini in abi-to da pellegrini, mentre nel 1556 il co-stume è da pastorelli. Nel 1564 l’abitoprenderà invece la sua foggia definiti-va, ispirata a quella dei paggi dellacorte d’Austria, con giubbetti in vellu-to o in seta, pantaloni al ginocchio,scarpini di raso e berretto piumato,mentre il “pandero” originariamentesuonato, verrà sostituito dalle nacche-re. E le musiche usate saranno apposi-tamente composte dai maestri di cap-pella della Cattedrale, in stile polifoni-co su ritmi di pavana o di gagliarda.Una vicenda singolare accompagna lastoria de Los Seises: si narra che nelXV secolo don Jaime de Palafox, arci-vescovo di Siviglia, s’apprestasse a sop-primerne la presenza liturgica; il capi-tolo noleggiò allora una nave e tutti i“niños” con il loro maestro di cappellasi presentarono al Papa, danzando da-vanti a lui. Eugenio IV, assai colpito,autorizzò in perpetuo danze e danza-tori, purché i costumi rimanesserosempre gli stessi, sì che velluti e sete, sidice, venivano attentamente e segreta-mente riparati nel corso dei secoli.S’afferma oggi dagli storici che inrealtà tale privilegio non è mai esistito;che gli abiti sono stati più volte inte-

gralmente sostituiti e che LosSeises hanno eseguito per laprima volta le loro danze davanti adun Papa, Giovanni Paolo II, il 5 novem-bre 1982, per la beatificazione dellaMadre Angelita, la b. Angela MariaGuerrero de la Cruz. Ma la leggendaconserva un suo delicato sapore, cherivela quanto Siviglia sia legata ai suoiragazzi. Essere ammessi alla “esco-lanía” è considerato un grande onoreper le famiglie ed è tuttora assai seve-ro l’itinerario di formazione de “losniños”, attentamente selezionati findai nove anni. Le occasioni in cui LosSeises intervengono nella celebrazioneliturgica sono, esattamente da cinquesecoli, il Corpus Domini e l’Immacola-ta: nel primo caso la giubba del costu-me è rossa, nel secondo azzurra (si ri-tiene che da qui sia partito l’uso di tal

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colore per le feste della Vergi-ne). In entrambe le feste sono

previste tre danze: una in onore delSantissimo Sacramento o dell’Immaco-lata, una seconda in onore del Vesco-vo, una terza in onore dei fedeli e delleautorità. Le figure coreografiche, ese-guite nell’area del presbiterio, sono digrande limpidezza, ma anche com-plesse: le file dei ragazzi (bravissimi)eseguono un’elegante danza bassa, asinistra, a destra, in avanti, indietro, incircolo, in grandi e piccole “cadenas”,con cinque differenti figure nell’incro-ciarsi – due croci, una grande S e lasemplice figura detta “alas” - con fre-quenti elevazioni sulla mezza punta etalora con un vibrante suono di nac-chere. Figure tutte, oggi, riconducibilialla contraddanza, ma anche all’antica“moresca”. Il loro inserimento in unaliturgia indubbiamente fastosissimaappare non solo perfettamente inte-grato, ma come naturalmente da essagerminato. Gruppi denominati ugual-mente “Seises” esistono presso le cat-tedrali di Toledo e di Cordoba: nel pri-

mo caso le danze (distinte da quellecapitolari sopra ricordate) erano in ori-gine delle “ronde” caratteristiche dellaliturgia gotica occidentale e mozarabi-ca, solo in seguito omologate allo stilea doppio fronte; ma la pratica - dai treappuntamenti classici di Natale, Cor-pus Domini e Assunta o occasionali(nel 1556 per la consegna della berret-ta al Cardinal Siliceo un cronista ricor-da che “Los Seises danzaron ante lapuerta del Perdón”) - si è ristretta neltempo alla sola funzione corale; nelsecondo con un taglio esemplato suquello Sivigliano, ma anche con unaqualità complessiva attualmente assaimediocre. Se ci siamo fermati in detta-glio sulle danze liturgiche nate e tutto-ra praticate in Spagna, è perché esserappresentano le uniche testimonianzevive di prassi quasi integralmente giu-stiziate dalla storia: Riforma e Contro-riforma sommergono tutto quantopossa risultare non allineato alle rispet-tive ortodossie. Così scompare in In-ghilterra l’energica “Morris Dance”eseguita nelle chiese durante la festa

di Pentecoste fino aitempi di Elisabetta I.Così i “balli ambulato-ri”sacri, ancora grandio-si tra la fine del XV se-colo (fece epoca quellodel Corpus Domini volu-to nel 1462 da Renatod’Anjou, con uno stuolodi danzatori e di figu-ranti che partiva dalpantheon mitologico

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greco per giungere alla Via Crucis e aduna vera danza macabra finale) e l’ini-zio del XVII (non meno fastoso in Por-togallo il corteo per la canonizzazionedi San Carlo Borromeo, nel 1610, du-rante il quale attorno ai carri allegoricivennero mimate e danzate scene edifi-canti), si restringono nel tempo a seve-re processioni. Che tuttavia conserve-ranno sempre in alcune movenze ri-tualizzate (il ritmico ondeggiare dellestatue e dei portatori, vuoi nel nostroSud, vuoi in Spagna, vuoi in AmericaLatina) tracce dell’originario passodanzante. Così anche quelle coreogra-fie spontanee, frutto di fervido entu-siasmo religioso, praticate da San Fran-cesco, dal Savonarola (“su la piazza diSan Marco gli faceva ballare e saltare emettere in ballo tondo […] cantavanoa ballo canzoni spirituali composte daGirolamo Benvieni”, Nerli, Commenta-ri) o da Santa Caterina (le danze da-vanti alle chiese erano per raccoglier ladote alle “fanciulle maggiaiuole”), sa-ranno presto o tardi abolite, soprattut-to dai vescovi locali. Il Pro-testantesimo accentua inmodo radicale l’opposizio-ne alla danza, raggiungen-do punte di rigore estremonel mondo Calvinista e inquello Puritano. Il mondoorientale conserverà tran-quillamente alcune gestua-lità forse d’origine ebraica:ritroviamo ad esempio l’an-tichissimo movimento circo-lare del Salmo 26 nella ce-

lebrazione del matrimonio nelrito bizantino, la cui liturgiaprevede una triplice danza in cerchiodel sacerdote e degli sposi: dopo es-sersi recati presso l’iconostasi, essi gi-rano per tre volte intorno all’altare,mentre si cantano alcuni tropari. IlCattolicesimo espunge la danza liturgi-ca dalle chiese (la Spagna rimarrà l’u-nica eccezione) insieme a tutto quantopossa porsi in odor d’eresia. Ma l’o-stracismo ideologico non è totale:Sant’Alfonso de’ Liguori scrive che “ledanze in sé non sono cattive, non so-no atto turpe, ma di letizia” e porrà inparallelo “saltatio” con “exultatio”. Enell’età barocca talune istituzioni reli-giose conoscono un diretto coinvolgi-mento con il balletto, soprattutto gra-zie alle manifestazioni regolarmenteorganizzate dai Gesuiti presso i lorocollegi, non seminari, ma scuole d’i-struzione laica di alto livello. A diffe-renza di quasi tutti gli altri ordini, laCompagnia di Gesù annovera la danzafra i “divertissements honnêtes”. In di-

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verse occasioni (soprattuttoper il conferimento dei diplo-

mi) vengono organizzati spettacoli, ingenere tragedie di soggetto biblico odanche classico e tra un atto e l’altro èinserito un intermezzo danzato, nonnecessariamente di argomento religio-so, talora anche mitologico, soventenon privo di risvolti dogmatici. Il ballet-to The empire of Fate rappresenta unacritica alla dottrina della predestinazio-ne diffusa dai Giansenisti. La danza ri-marrà a lungo compatibile con le con-cezioni umanistico-cristiane dellaCompagnia: e la differenza tra quellapraticata nei collegi gesuiti e quella se-colare sarà data soltanto dall’assenzadelle donne e dalla scelta di trame edi-ficanti. Posizione di peculiare spiccostorico va riconosciuta in tal ambito algesuita francese Claude-François Mé-nestrier (Lyon 1631-Paris 1705): do-cente nel lionese Collegio della Trinitéa soli quindici anni, celebre per la suamemoria prodigiosa, autore di nume-rosi e vari scritti d’erudizione, compo-ne proprio per la Trinité alcuni balletti,fra i quali Le Ballet des Destinées deLyon (1658), L’Autel de Lyon, consacréà Louis-Auguste (1659), Le Temple dela Sagesse (1663). A lui si deve ancheun’importante opera storica sulla dan-za, Des ballets anciens et modernes(1683), ove s’afferma che “la danzaserve ad equilibrare le passioni perico-lose” e che la gioia “è essa stessa unadanza e una agitazione dolce e grade-vole che si fa attraverso l’effusione de-gli spiriti, i quali si spandono dal cuore

abbondantemente attraverso tutto ilcorpo”. Tra l’inizio del XVIII secolo e igiorni nostri c’è una larghissima cesurastorica: la liturgia non esprime istanzecoreografiche e il caso della setta degli“Jumpers”, sorta nella Nuova Inghil-terra attorno al 1800 – essi attualizza-vano le caratteristiche del “Danzanti”,cantando i Salmi e danzando sfrenata-mente – non fa testo. La danza si tra-sforma sempre più in spettacolo auto-nomo e profano, prima nelle corti realio cardinalizie, quindi nei teatri, presso iquali il nascente balletto neoclassico epoi romantico s’appresta a celebrare,con l’Ottocento, la sua età dell’oro.Solo i decenni più prossimi a noi han-no dato spazio a proposte, quesiti,esperimenti accolti con sentimenti giu-stamente contrastanti. Il “dies a quo”per la riapertura di tal problematica èritenuto il 10 aprile 1994, quando peril sinodo della Chiesa d’Africa sonostate eseguite nella Basilica di San Pie-tro danze africane con costumi e stru-menti originali. Si è richiamata da alcu-ni, in tal occasione, la Costituzione sul-la Sacra Liturgia del Concilio VaticanoII, Sacrosanctum Concilium del 4 di-cembre 1963, nella quale la Chiesa sidichiara favorevole ad “adattarsi all’in-dole e alle tradizioni dei vari popoli”,favorendo l’espressione della diversitànella sostanziale salvaguardia del ritoromano e disponendo che “l’arte delnostro tempo di tutti i popoli e paesiabbia nella Chiesa libertà di espressio-ne, purché serva con la dovuta reve-renza e i dovuto onore alle esigenze

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degli edifici sacri e dei sacri riti” (Cap.VII, 123). Alla fine degli anni Settantail principio contenuto nella Sacrosanc-tum Concilium troverà sintesi nel ter-mine “inculturazione”, proposto daGiovanni Paolo II in un discorso allaPontificia Commissione Biblica, poipiù tecnicamente definito nella Slavo-rum Apostoli (1985) come “l’incarna-zione del Vangelo nelle culture autoc-tone ed insieme l’introduzione di essenella vita della Chiesa”. Noi tuttavianon vorremmo sopravvalutare l’eventodell’aprile 1994: che non può non ri-manere circoscritto ad una realtà etni-ca ben definita e non replicabile neicontesti liturgici più usuali nell’area eu-rocolta. Le sperimentazioni proposteda Maurizio De Angelis, dalla Basilica

di S. Eustorgio a Milano, daalcune specialiste di danza sa-cra in Francia, Svizzera, Germania,Italia, da alcune chiese dell’AmericaLatina (forte polemica ha suscitato ladanza eseguita davanti al SS. Sacra-mento, il 7 novembre 2006, in Brasi-le, nel corso del “Congress of newCatholic Communities”), non ci sem-bra abbiano potenzialità, né forse di-ritto, d’impianto stabile nella liturgia.Mentre invece la creatività autonoma,la danza come partitura coreograficateatrale ispirata da tematiche religiose– in parallelo con la musica sacra daconcerto - vive ormai da quasi un se-colo una stagione felice e degna d’os-servazione. Ne parleremo nella prossi-ma puntata.

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uesti due frammenti di seta acinque colori (rosso, verde,marrone, bianco e giallo ocra)

raffiguranti l’Annunciazione, in duecomposizioni identiche inserite in fascecircolari annodate, collegate tra loroda palmette stilizzate, e la Natività, co-stituivano parte di una serie di pannirinvenuti con esemplari affini nel Sanc-ta Sanctorum in Laterano. Al momen-to della scoperta le sete furono identi-ficate con il reliquiario dei sandalia, idest calciamenta Domini nostri Iesu Ch-risti, ricordato dalle fonti (GiovanniDiacono, De ecclesia Sancti Laurentii inpalatio) e, insieme a pochi altri pezzi diuguale provenienza, costituisconoquanto rimane dei ricchissimi donativiin seta e stoffe preziose destinati allechiese di Roma dai papi di origine ‘gre-

ca’ del VII-VIII secolo. Sappiamo infattidal Liber Pontificalis e da altre fonti let-terarie che dai mercati d’Oriente veni-vano importati tessuti ricercati per laloro preziosità con lo scopo di decora-re chiese e altri edifici pubblici. Gli al-tari, i cibori, le porte, le arcate fra lecolonne, le stesse tombe dei santi, isarcofagi, venivano rivestiti di stoffe –in parte decorate con soggetti sacri, inparte con soggetti di natura profana -in tale abbondanza da chiederci comesia potuto scomparire tutto questo.

Quanto ai tessuti del Sancta Sancto-rum, lo stato frammentario in cui ci so-no pervenuti e lo stesso contesto di ri-trovamento, ne dimostrano la pertinen-za a parati liturgici da tempo inutilizzati.Come per la maggior parte delle testi-monianze superstiti nei tesori delle chie-

Beata tu sei, o Maria!Roberta Boesso

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se occidentali, i frammenti che si sonoconservati servirono ad avvolgere reli-quie o a formare borse e cuscinetti peresigenze di culto; il loro stile e i materialiutilizzati ne assegnano la provenienza aofficine medio-orientali della secondametà del primo millennio, specialmentebizantine, egiziane e siriache. Tanto lastoffa vaticana dell’Annunciazionequanto quella gemella della Nativitàhanno una datazione che oscilla tra laprima metà del VI secolo e la fine dell’VIII secolo. La tipologia esecutiva degliornati e la derivazione tardo ellenisticadelle scene orientano verso una proba-bile elaborazione siriaca del motivo ico-nografico originario, come la forma ro-tondeggiante del trono e il taglio solen-ne della composizione. L’attribuzione al-l’ambito siriaco di questi manufatti è av-valorata da una testimonianza del LiberPontificalis relativa agli anni di Leone III(795- 816), nella quale si ricorda comequesto papa avesse donato alla basilicaravennate di Sant’Apollinare in Classeuna tela dalle identiche caratteristicheornamentali, habentem in medio cru-cem de chrisoclabo cum orbiculis et ro-tas siricas habentes storias Adnuntiatio-ne seu Natale Domini nostri Iesu Christiatque Passionem et Resurrectionem, necnon et in caelis Ascensionem atque Pen-tecosten (LP, II, pp.31-32, n. 420). Aglianni del medesimo pontificato sono at-tribuite analoghe donazioni di stoffe allechiese di Roma. Agli stessi anni risalgo-no la fondazione e il primo nucleo delTesoro lateranense, e ciò permette unadatazione conseguente per la tessitura

delle stoffe e l’introduzione deirispettivi frammenti all’internodei reliquiari in cui furono ritrovate.

Incorniciata da una fascia circolaredecorata con fiori stilizzati e un’esile fi-lettatura di perle e segmenti a colori al-terni, la scena evangelica dell’Annun-ciazione prende vita nella dimensionecontemplativa di uno spazio geometri-camente indefinito: sul fondo rosso deiclipei si stagliano le figure di Maria (inabito purpureo, scarpe rosse e nimbogiallo ocra) e dell’arcangelo Gabriele lecui vesti avvolgenti sono analoghe aquelle di Giuseppe nella Natività. L’ico-nografia rispecchia la narrazione deivangeli apocrifi che, più della testimo-nianza canonica di Luca, fornivano agliartisti i dettagli di ambientazione.

La Vergine, seduta su un trono gem-mato coperto da un cuscino adorno diperle, è intenta a filare la lana (fili diporpora e scarlatto, come precisa il pro-tovangelo di Giacomo) con cui verrà in-tessuto il velo del Tempio; lo stesso attodi filare la porpora può essere interpre-tato, alla luce degli Apocrifi, come mi-stica allusione alla gestazione di Maria:“Beata tu sei, o Maria, perché nel tuoventre hai preparato un’abitazione alSignore! Ecco verrà una luce dal cieloper abitare in te, e per opera tua ri-splenderà sul mondo intero” (Vangelodello Pseudo-Matteo, IX,1).

Il braccio levato nel gesto di bene-dire simboleggia la potenza della paro-la di Dio trasmessa a Maria, alludendoal miracoloso concepimento nel suogrembo.

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Della Natività invece si con-serva solo un frammento, di

forma quadrangolare, mutilato sulla si-nistra da un taglio leggermente rien-trante, con un unico motivo inserito inanaloghe cornici circolari decorate dafestoni di loto intrecciati. Maria, solen-nemente avvolta da un purpureomaphorion che le ricopre anche il capo,siede su una roccia visibile al di sottodelle calzature rosse; sulla destra Giu-seppe similmente siede con regalità suuna sporgenza di roccia, avvolto da unmantello ampio. La sua tradizionaleesclusione dalla scena attiva della Nati-vità, richiamata in genere dalla posizio-ne del capo reclinato sul petto a simbo-leggiare il sonno, è allusa in questo ca-so dall’intenzionale assenza del nimbo.

Al centro domina la mangiatoia,dal disegno schematico, caratterizzatadall’accostamento geometrico di assiparallele, al di sopra della quale ilbambino, avvolto in fasce e col capoornato da un nimbo crociato, è ado-rato dal bue e dall’asino. Se l’inseri-mento della mangiatoia nella scenadella Natività ha un riscontro precisonel racconto di Luca, l’insistenza sulmotivo della cavità illuminata dallaluce della presenza divina riprende unconcetto caro agli Apocrifi che parla-no di una grotta sotterranea, in cuinon c’era mai stata luce, ma sempretenebre, perché non riceveva la lucedel giorno, ma che all’ingresso diMaria…cominciò ad avere splendoree a rifulgere tutta di luce, come se vifosse il sole (Vangelo dello Pseudo-

Matteo,13,2; Protovangelo di Giaco-mo, 19,2). L’irruzione della luce divinanell’oscurità della grotta è simbolo elo-quente dell’irrompere di Dio nella sto-ria dell’uomo grazie all’incarnazione,portando a compimento le profezie diIsaia al popolo ebraico.

Considerando la gioia come primobisogno, dovere e diritto, come unicavera fame e sete della vita, capiremoancor di più la necessità di sostare nel-l’oasi paradisiaca di colei che è stata lacreatura più lieta di tutte le creature,che tutti i cristiani invocano come me-diatrice della gioia e che tutte le gene-razioni chiameranno beata: la Madon-na, la nostra mamma.

Il tempo liturgico del Natale sia pertutti noi occasione propizia per guar-dare a lei ed essere da lei educati eaiutati a esultare in Dio sempre e inogni luogo!

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fogliando l’Enciclopedia deiSanti penso subito alla miria-de di uomini e donne che

hanno operato il bene e hanno incar-nato la Parola di Dio, fino a divenireessi stessi Evangelo, lettera aperta sullemeraviglie di Dio che tutti possonoleggere. Dio è presente nella storia! Isanti non sono altro che un “prolun-gamento” della sua bontà. “Noi cre-denti e battezzati in Cristo – afferma ilritornello di un canto per bambini sia-mo le mani, la voce, il cuore, le bracciadel Padre”.

“Nel cuore della Chiesa -dicevaSanta Teresa di Lisieux- io sarò l’Amo-re!”... E la mia Fondatrice, Maria Oli-va Bonaldo, ripeteva: “Nel cuore dellaChiesa io sarò il dolore”. Amore edolore si fondono e l’uno non sussi-ste senza l’altro, perché chi amaprofondamente e nella Verità conti-nuamente viene “lavorato” dallo Spi-rito, come si fa con l’oro nel crogiuo-lo, come si fa con il cristallo perchédivenga trasparente.

I Santi di ieri e di oggi sono il “ser-vizio bello” di Dio e la Santità consisteprecisamente nell’assumere i medesimiatteggiamenti del Signore Gesù, che“pur essendo di natura divina nonconsiderò un tesoro geloso la suauguaglianza con Dio, ma spogliò sestesso assumendo la condizione di ser-vo” (san Paolo ai Filippesi). Forse pen-

siamo troppo poco al fatto che perquanto interessanti e importanti pos-sano essere i nostri impegni cristiani,siamo solo “operai”, amministratori(non importa se di uno o di dieci talen-ti), che di null’altro possono gloriarsi senon della Croce gloriosa di Gesù… Ilresto è vanità, dice il sapiente.

Tutto questo ha creduto il beatoArtemide Zatti, che oggi ci viene ac-canto per narrarci la sua avventuracon Dio…

Nacque a Borretto di Reggio Emiliail 12 ottobre 1880 da Albina Vecchi eLuigi Zatti in una famiglia povera in cuisi lavorava sodo nei campi per soprav-vivere alla miseria nera di quei tempi.

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Beato Artemide Zattisuor Clara Caforio, ef

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Già a quattro anni anche il pic-colo Artemide iniziò a dare il

suo piccolo contributo in campagna…due braccia in più, per quanto fragili,erano sempre meglio che niente.

Frequentò qualche anno di scuolaelementare, poi, all’età di nove anniandò “sotto padrone”, come si dicevaquando si andava a lavorare alle di-pendenze di altri. La paga era di 25 lirel’anno, ma alla fine di ogni settimana,quando tornava a casa, poteva portareanche qualche dolce che la buona pa-drona preparava per lui e con genero-sità lo donava ai suoi sette fratelli. Co-sì, fino a sedici anni. Poi arrivò unadelle tante crisi economiche che scon-volgevano ancora di più le famiglie giàprovate: i braccianti erano disoccupatie denutriti, le malattie aumentavano ela “pellagra” dominava la valle pada-na. L’Europa intera era sotto l’incubodella depressione…

L’America divenne allora il sognodi tutti, una sorte di “paese dovescorreva latte e miele”. La famigliaZatti aveva uno zio in Argentina chefaceva il caposquadra degli operaimunicipali di Bahia Blanca, in Patago-nia. Nel 1897, con grandi sacrifici, lafamiglia si decise a partire, lasciandol’Italia con quella nostalgia struggenteche accompagnerà sempre i nostriemigranti. Nulla di diverso riguardo atutti coloro che si riversano oggi sullenostre coste: è la fame, la guerra, lamiseria, il dolore che spinse allora adandare e spinge ora a venire sui gom-moni della speranza. Mi domando:

dove andrà a finire tanto dolore?! Siracconta che Dio lo raccoglie e ne fauna “riserva speciale”…

Ritornando al nostro Beato, sappia-mo che a Bahia Blanca il padre mise suuna bancarella al mercato, mentre Ar-temide trovò lavoro prima in un alber-go, poi in una fabbrica di mattoni epiastrelle. Vicino al luogo dove lavora-va c’era una chiesa tenuta dai salesianidi Don Bosco, giunti in missione nel1875, tutti di origine italiana. Artemi-de nel tempo libero aiutava il parroco,don Carlo Cavalli, impegnandosi in va-rie mansioni. Venne immediatamenteattratto dalla vita di don Bosco e desi-derava seguirne gli esempi: «E se mifacessi salesiano anch’io?» ebbe a direpiù volte. E fu così che a 19 anni il gio-vane, con il consenso del padre, rea-lizzò il suo sogno di seguire il Signore.

Le case salesiane in Argentina inquegli anni erano abbastanza numero-se e sparse in varie località del Paese;quella che radunava i giovani aspirantisi trovava a Bernal, vicino a Buenos Ai-res. Si racconta che in questo centroarrivò un giorno un giovane salesianocolpito dalla tubercolosi. Artemide congrande compassione si prestò subitoper curarlo e assisterlo, con quella te-nerezza e impegno che lo distingue-ranno sempre, ma anch’egli contrassela malattia. I Superiori decisero di tra-sferirlo in una casa sulle Ande, doveavrebbe potuto trovare aria fine e ossi-genata, e il giovane partì, senza tutta-via poter raggiungere la meta; si fermòinvece a Viedma, dove sorgeva l’unica

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opera salesiana dotata di un ospedalee di una farmacia, messa su grazie allabuona volontà di don Evasio Garrone,che era stato infermiere nell’esercitoitaliano e mons. Cagliero. Don Garro-ne, promosso su due piedi «medico»aveva organizzato una farmacia dallastrana contabilità: i ricchi pagavano lemedicine a un prezzo doppio, i poverinon pagavano niente. Accanto allafarmacia c’era una stalla che vennepulita, disinfettata, fornita di un letto edi un materasso. Sorse così anche l’o-spedale per i malati che era impossibi-le curare nelle loro case. Padre Garro-ne prestò subito le sue cure anche algiovane Artemide, il quale, scrivendoalla mamma, ebbe a dire: «Con gran-de gioia ho trovato i miei cari fratellisalesiani. Quanto a salute, mi ha visita-to il medico padre Garrone, e mi haassicurato che tra un mese sarò guari-to». In realtà l’uscita dalla malattiacomportò non un mese, ma due anni.

Nel 1908, a 28 anni di età, Artemi-de pronunciò i voti solenni e dopo es-sersi consultato con i Superiori decisedi lasciare gli studi teologici per dedi-carsi completamente al servizio dei po-veri e dei malati, come coadiutore. Ri-nunciando al sacerdozio Artemide nondesiderò altro che mettersi al serviziodi Gesù, presente nei più deboli e ab-bandonati. Alla morte di padre Garro-ne il giovane era pronto per addossarsila responsabilità della «Farmacia di S.Francesco» e dell’«Ospedale di S. Giu-seppe». Per essere in regola davanti al-la legge, il Superiore salesiano volle as-

sumere un medico laureato,che diventò responsabile lega-le di fronte all’autorità, di fatto però ilmedico di tutti fu lui, Artemide Zatti,con i suoi scarsi studi ma con tantoamore verso tutti i sofferenti. Passioneche lo portò a realizzare, nel 1913, unnuovo ospedale.

La fatica più grande fu semprequella di mettere insieme i soldi ne-cessari, perché ospedale e farmaciacontinuassero con la solita gestione:chi ha i mezzi paga, chi è indigentenon paga. Quando i conti erano inrosso, Zatti inforcava la bicicletta, sicalcava in testa un cappello e andavaa domandare l’elemosina. Bussandoalle rare case dei ricchi, chiedeva:«Don Pedro, potrebbe imprestare cin-quemila pesos al Signore?». «Al Si-gnore?», domandava stupito l’uomoricco. «Sì, don Pedro. Il Signore hadetto che ciò che facciamo ai malati,lo facciamo a lui. È un buon affareprestare al Signore». Chiedere e otte-nere era sempre un’impresa per Arte-mide, ma egli non temeva di “perde-re la faccia” nel supplicare prestiti econdoni di debiti. Con rincrescimen-to, il giovane dovette ammettere chele banche non «imprestano niente alSignore». Fanno affari e basta. Ma dacristiano testardo concludeva sempre:«Sono loro che sbagliano, non io».

I poveri li avrete sempre con voi, di-ce il Signore, ieri come oggi continua-no a bussare alle nostre porte, ci “sco-modano” agli angoli delle strade, lace-ri e sporchi mendicano attenzione.

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Artemide si recava di fami-glia in famiglia: «Non avete un

vestito da imprestare al Signore?». Avolte tiravano fuori un vestito moltousato. E lui: «Non ne avete uno piùbello? Al Signore dobbiamo dare ilmeglio che abbiamo». Gli indigenticontinuavano a bussare… «È arrivatoun indio sporco e sciancato»… e Zattisollecitava l’infermiera: «Sorella, pre-pari un letto per il Signore». E quandoarrivava un ragazzino affamato e strac-ciato, domandava alla Suora: «Ha unaminestra calda e un vestito per un Ge-sù di dieci anni?».

Lo zelo di quest’uomo fu inarresta-bile anche quando davanti all’Ospeda-le sorse una farmacia vera, con un far-macista diplomato… A questo puntol’ospedale dei poveri rischiava la chiu-sura, ma Artemide Zatti sapeva beneche nella nuova farmacia tutti doveva-no pagare tutto… Si intese allora con iSuperiori e dopo aver trascorso giornie notti a studiare si recò a La Plata perdare gli esami necessari a conseguire iltitolo di farmacista. Tornò fornito purelui di regolare diploma e la farmaciadell’Ospedale poté continuare tran-quilla il suo servizio ai poveri. È propriovero che l’Amore rende capaci di sop-portare tutto; l’Amore vissuto e condi-viso non si ferma dinanzi a nessunoostacolo.

Nel 1934 Viedma diventò sede ve-scovile e nel luogo dove sorgeva l’o-spedale si decise di realizzare la nuovasede del vescovado, con conseguentedemolizione del vecchio fabbricato. Il

dispiacere di Artemide fu inenarrabile,anche se i salesiani misero a disposizio-ne una tenuta agricola fuori città. Or-ganizzò il trasloco con grande amarez-za ma mantenendo il sorriso sulle lab-bra e giunto sul posto si mise subitoall’opera. C’era tutto da rifare per isuoi “parenti più poveri”… Rimbocca-tesi le maniche e inforcata la bicicletta,riprese la sua attività e, se pur lenta-mente, le cose si sistemarono; la gentegli volle più bene di prima e gli porta-vano i bambini perché li benedicesse.Nel vederlo circondato da tanta simpa-tia, un giorno un notabile esclamò:“Volesse il cielo che anche noi politiciavessimo tanta influenza!”.

La vita quotidiana è il cantiere privi-legiato dove i santi imparano a incarna-re Gesù nelle piccole come nelle grandicose. Così seppe fare il nostro beato! Il19 luglio 1950 il serbatoio dell’acquaebbe un grave guasto e, sotto la piog-gia, Artemide, ormai settantenne, nonindugiò ad arrampicarsi su una lungascala a pioli per andarlo a riparare. Ma,ahimè! cadde pesantemente e rovino-samente… si accorse di essere diventa-to ormai vecchio e malato.

Un mese dopo questo incidente, ri-prese di nuovo a usare la bicicletta, afarsi mendicante per i suoi poveri, masi cominciò a notare sul suo volto unastrana colorazione verdognola… A chiglielo faceva notare, diceva scherzan-do di “voler cambiare colore come il li-mone, che non serve finché da verdenon è diventato giallo”, e sorrideva.

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Una battuta che era anche una dia-gnosi: tumore al pancreas.

Gli rimanevano cinque mesi di vita.“Cinquant’anni fa sono venuto qui permorire e ora, che è arrivato il momen-to, che cosa voglio di più? È tutta la vi-ta che mi sto preparando!...”.

Quando il medico gli chiedeva:“Come va?” lui rispondeva: “All’insù,dottore, all’insù...”, e alzava gli occhial cielo. Sugli ultimi cinque mesi di vitaesiste una ricca aneddotica; ricordiamosolo che rimproverava coloro che pian-gevano per lui e li rimandava consolaticome se gli ammalati fossero loro.L’otto marzo scrisse su un foglio le cu-re che dovevano impartirgli nei settegiorni successivi. Fu la sua ultima ricet-ta e, come sempre, la sottopose al me-dico perché l’approvasse. L’ultima curache prescrisse a se stesso fu del 14marzo: morì il mattino seguente. Ilmedico, accorso, trovò il certificato diavvenuto decesso, già compilato dallostesso Zatti, con lo spazio bianco peraggiungere il giorno e l’ora. La cameraardente si riempì subito di fiori: nonbelle ghirlande con nastri e scritte do-rate, ma fiori di campo raccolti daisuoi poveri.

Per i funerali, il 16 marzo 1951, leautorità disposero la chiusura degliedifici pubblici; i negozi chiusero i bat-tenti in segno di lutto, le fabbricheconcessero ai dipendenti di partecipareai funerali. In tutta la città di Viedma, ilsuono delle campane accompagnava iltransito di Artemide, e ancor più fortirisuonavano nei cuori dei fedeli le sue

parole: “Il dolore ci viene datoin sovrappiù; perciò non pos-siamo lamentarcene”.

La memoria liturgica del Beato Ar-temide Zatti viene celebrata il 15 mar-zo. La Colletta per la celebrazione Eu-caristica è la sintesi della sua vita, riccadi generosità costante nella ferialità ealimentata dalla compassione per i pic-coli… Una vita, la sua, da buon Sama-ritano.

E allora preghiamo con lui il Signo-re della Misericordia:

O Dio, che negli umili e nei piccolimanifesti mirabilmente le grandiopere della tua grazia,ti preghiamo umilmente che, per intercessione del beato Artemide,nei fratelli sofferenti nel corpo e nello spiritopossiamo scorgere di giorno in giorno, sempre più chiaramente,il volto di Cristo.

Bibliografia.* J. E. VECCHI, Vita del Beato ArtemideZatti, Salesiano. tracciata da D. J.E.Vecchi, ottavo successore di Don Bo-sco.*ENZO BIANCO, Zatti, parente dei poveri,LDC, pp. 32.* ENZO BIANCO, Coadjutor Salesiano Ar-temides Zatti. El pariente de todos lospobres, Buenos Aires 1980, pp.48.www.santiebeati.it

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na delle acquisizioni più impor-tanti della riforma liturgica ri-guarda la proclamazione della

Parola di Dio. Il lezionario impostato sulciclo triennale festivo e biennale ferialeoffre una vera e propria lectio divinache consente a ogni sacerdote e ognifedele di ascoltare in celebrazione lagran parte della Scrittura. Nessun para-gone è possibile con l’esiguità delle pe-ricopi offerte dal precedente messaleplenario (messale e lezionario eranoraccolti nell’unico volume del MissaleRomanum), né con il modo stesso diproclamarle, laddove il problema nonera solo linguistico: lo stesso tono – sus-surrato e affrettato, da lettura privata –rendeva praticamente incomprensibile iltesto anche a un provetto latinista. Sicomprende dunque che molti ministriordinati vogliano evidenziare con la ric-chezza dei segni liturgici la centralitàdella proclamazione e dell’ascolto dellaParola nella celebrazione. Qualche voltaperò, i segni già previsti e offerti dall’or-dinamento rituale vengono amplificati einnovati con un’inventiva che può risul-tare controproducente. In questo inter-vento ci soffermeremo solo sulla procla-mazione del Vangelo, riservata al mini-stro ordinato. Rileggiamo l’Ordinamen-to Generale del Messale Romano: «Lalettura del vangelo costituisce il culminedella Liturgia della Parola. La stessa Li-turgia insegna che si deve dare ad essa

massima venerazione, poiché la distin-gue dalle altre letture con particolareonore: sia da parte del ministro incari-cato di proclamarla, che si prepara conla benedizione o con la preghiera; siada parte dei fedeli, i quali con le accla-mazioni riconoscono e professano cheCristo è presente e parla a loro, e ascol-tano la lettura stando in piedi; sia permezzo dei segni di venerazione che sirendono all’Evangeliario» (n. 60). Piùavanti (n. 120 e n. 132-136), l’OGMRspiega la sequenza rituale, che riassu-miamo tenendo presente anche quantostabilito dal Caeremoniale Episcoporum(n. 74-75. 140-141).

L’evangeliario (non il lezionario) vie-ne portato nella processione di ingressodal diacono o, in sua assenza, da unlettore, e viene deposto sull’altare. Du-rante l’acclamazione al Vangelo, dopoche il celebrante ha infuso l’incenso nelturibolo, il diacono chiede la benedizio-ne. Se presiede il vescovo e non c’è undiacono, il sacerdote che proclamerà ilVangelo chiede la benedizione al vesco-vo; naturalmente questo non accade sepresiede l’Eucaristia un altro presbitero.Quindi il ministro prende l’evangeliariodall’altare e, preceduto dall’incenso edai ceri, tenendolo «un po’ elevato», vaall’ambone. Apre il libro e, a mani giun-te, saluta l’assemblea. Quindi enunciala pericope, tracciando una croce sul li-bro e sulla sua persona (fronte, labbra,

La proclamazione del VangeloAdelindo Giuliani

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petto), e incensa l’evangeliario. La pro-clamazione si conclude con l’acclama-zione «Parola del Signore» e la rispostadell’assemblea, mentre il ministro baciail libro dicendo «La Parola del Vangelocancelli i nostri peccati».

Alla luce di questa descrizione, fac-ciamo una galleria di “cattivi esempi”,desunta da quanto si vede e si ascoltadi tanto in tanto nelle nostre assembleeliturgiche.

1. Portare l’evangeliario in manieraeccessivamente ostentata, elevandolosopra il capo. Il gesto, anziché dare rilie-vo al libro, rende goffo il ministro e locostringe, dovendo salire o scendere igradini del presbiterio o dell’ambone, aguardare di traverso per vedere dovemette i piedi.

2. Utilizzare libri non approvati perl’uso liturgico, travestendoli da evange-liario e infarcendoli di fotocopie.

3. Sovrapporre l’evangeliario al le-zionario rimasto aperto sull’ambone(qualche volta sotto c’è anche l’orazio-nale, e l’effetto pila di libri di studentedisordinato è garantito). Il lettore, dopoaver compiuto il suo servizio, tolga il le-zionario prima che il diacono porti pro-cessionalmente l’evangeliario.

4. Allargare le braccia per il salutoiniziale. È la forza dell’abitudine, dimen-tica del fatto che gli amboni antichi nonavevano il leggio per appoggiare il libroe che il ministro doveva sostenerlo conle sue mani. Ragion per cui non potevaaprire le braccia per il saluto.

5. Al termine della proclamazione,

alzare il libro dei Vangeli, vol-gerlo verso l’assemblea per mo-strarne la pagina scritta e quindi pro-porre l’acclamazione. Ne viene fuoriuna mezza acrobazia, che spesso siscontra con l’ostacolo del microfonoproducendo un rumoroso sfregamentodi vesti o pagine, e ciò basterebbe giàper rinunciarvi. Ma c’è ben di peggio:un grossolano e grave errore teologico.L’ostensione del libro accompagnatadall’acclamazione richiama l’attenzionedell’assemblea sull’oggetto – libro, mala Parola di Dio non è quel libro: nonsolo e non tanto perché l’evangeliarionon esaurisce la Scrittura, ma perché laParola di Dio in senso pieno e proprionon è un libro ma è il Verbo eterno, che«era in principio presso Dio», e che «sifece carne» (Gv 1, 1.14). La Parola per icristiani non è un libro, ma una personache nessun libro potrà mai racchiudere.Il rapporto tra Verbo e Scrittura è asim-metrico: tutta la Scrittura è Parola diDio, ma la Scrittura non esaurisce la ric-chezza insondabile del Verbo.

6. Prendere il libro dei Vangeli con lemani avvolte in un velo. È vero che que-sto gesto di riverenza è diffuso in Orien-te (per esempio nel rito armeno), e chenel mondo bizantino il velarsi le maniera gesto usuale del servo che assistevail suo signore, ma ogni gesto deve esse-re opportunamente contestualizzato:l’Oriente cristiano non conosce le dueforme di culto eucaristico fuori dellamessa che chiamiamo adorazione e pro-cessione eucaristica. Nel rito latino, qua-si da un millennio, l’uso del velo omera-

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le è limitato a questi momenti,solo e sempre per prendere la

pisside o l’ostensorio con il SantissimoSacramento. Utilizzando il velo per l’e-vangeliario si manderebbe un segnale(erroneo) di equiparazione tra la presen-za sacramentale nell’Eucaristia e la pre-senza del Signore nella sua Parola. Si ri-cordi l’insegnamento del Concilio: «[Cri-sto] è presente nella sua parola, giacchéè Lui che parla quando nella Chiesa silegge la sacra Scrittura» (SC, 7a). La pre-senza non è nel libro, ma nella Parolaproclamata. Il libro merita venerazionein quanto serve alla proclamazione, manon si identifica con essa.

7. Scambiare il luogo nobile e deco-roso per la custodia dell’evangeliariocon il cosiddetto “tabernacolo della Pa-rola”, ovvero con un sacello simile aquello per la custodia eucaristica, contanto di lampada accesa. Si veda quan-to scritto sopra, con l’aggravante che inquesto caso il fraintendimento tra ledue forme di presenza è palese e persi-stente anche dopo la celebrazione.

8. Sostituire l’acclamazione conclusi-va («Parola del Signore») con «Accla-miamo con il canto la / alla Parola delSignore». Le due frasi non sono equiva-lenti: la prima è un’acclamazione, la se-conda è semplicemente una monizioneche invita ad acclamare. Volendo dire dipiù, si finisce per dire di meno.

9. Sostituire alla conclusione, o allarisposta dell’assemblea, il canto dell’a-pologia («La Parola del Vangelo cancellii nostri peccati»). Anche qui la sostitu-zione porta a dire cose diverse, sovrap-

ponendo testi di genere (e di epoca sto-rica) molto diversi: il primo conclude laproclamazione rivolgendosi all’assem-blea con un’acclamazione, il secondo èsolo una preghiera personale del mini-stro ordinato (per questo da dirsi sotto-voce, e non da cantarsi; cf. analogheapologie al momento di lavare le manio prima della comunione).

10. Solo al vescovo è consentito im-partire la benedizione con l’evangelia-rio. In tal caso il diacono o il sacerdoteche ha proclamato il Vangelo non lobacia, lo chiude, lo porta al vescovo e loriapre dinanzi a lui. Questi bacia la pagi-na e poi, chiuso di nuovo l’evangeliario,benedice l’assemblea tracciando un se-gno di croce con il libro, senza dire nul-la. Può essere utile che la schola canto-rum riprenda l’acclamazione alleluiatica,per evitare che l’assemblea, per abitudi-ne, si sieda alla fine della proclamazionee sia poi costretta a rialzarsi frettolosa-mente per la benedizione.

11. Sbarazzarsi dell’evangeliario co-me di un oggetto ingombrante, subitodopo la proclamazione. Si rischia il ridi-colo: fino a un attimo prima veneratocon ogni riverenza, poi passato sotto-banco al sagrestano o lasciato sulla cre-denza insieme ai carboncini del turibo-lo. Il libro dei Vangeli può restare apertosull’ambone, ma se il celebrante vi si re-ca per l’omelia e preferisce avere da-vanti il lezionario, il ministro che ha pro-clamato il Vangelo si occuperà diretta-mente di riporre l’evangeliario nel luogodi custodia predisposto in chiesa o in unaltro luogo parimenti degno.

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