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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 3-2004 1 L a presenza del Risorto alla sua Chiesa non è simbolica o forma- le, non è un’immagine come le altre in cui ricordiamo che Gesù è in mezzo a noi. La sua presenza costitui- sce la Chiesa, è per Lui che essa è co- stituita in unità perché non solo è ra- dunata attorno a Lui ma è unificata in Lui. L’espressione paolina che esplicita questa presenza è molto forte: la Chiesa è il Corpo di Cristo (Col 1,18). Tutte le diverse modalità di presen- za si comprendono a partire da questa comunione della chiesa con Cristo; at- traverso questa realtà si celebrano i sacramenti, si compiono i ministeri, si evangelizza il mondo. Il sacramento eucaristico è il segno più forte di questa presenza in quanto in esso, sostanzialmente e realmente, Cristo vive per la Chiesa e nella Chiesa. Come dice Gesù stesso nel vangelo di Govanni: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui” (Gv 6,56). I sacramenti ci conformano a lui e ci fanno entrare in comunione viva ed efficace con Cristo Redentore. Il Batte- simo ci rende parte del suo corpo, una sola cosa in Lui al di là di ogni umana divisione “poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). La coscienza viva di questa unione con Cristo, di questa presenza così straordinaria ci rende capaci di vivere come Cristo, è causa di santità e di grazia, dona la forza alla testimonian- za dei martiri e dei santi, dona l’ener- gia alla carità e alla predicazione. Per questa comunione lo Spirito Santo scorre attraverso le membra della Chiesa portando ovunque amore e forza, sapienza e comunione. Per questa presenza straordinaria che è comunione del Corpo mistico noi proclamiamo la Parola di Dio, ri- sentendola risuonare nel Corpo della chiesa e vedendone i frutti di conver- sione e di salvezza; per questo mistero tutti noi riceviamo la grazia dei sacra- menti ed entriamo, attraverso queste mirabili porte, nell’intimità di Dio at- tingendo alla nostra redenzione. Nei poveri e nei sofferenti il volto di Cristo rifulge, nella testimonianza dura e im- pegnata del popolo di Dio Cristo si ri- vela, nella preghiera dei battezzati si rinnova la lode e l’offerta di Cristo al Padre. Tutti i ministeri e i diversi doni del- lo Spirito hanno come fine la crescita del Corpo di Cristo (1Cor 12), il nostro sviluppo, la nostra maturazione in vi- sta della configurazione a Cristo Si- gnore. La bellezza del suo volto deve risplendere in quello della Chiesa af- finché la sua presenza si manifesti sempre più e riscaldi il cuore del mon- do. Impariamo a riconoscere questa presenza, a cominciare da noi stessi, dal nostro cuore, dove abita dal batte- simo la grazia della presenza della stessa Trinità. La comunione con il Una presenza viva che è comunione in Cristo di mons. Marco Frisina

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 3-2004 1

L a presenza del Risorto alla suaChiesa non è simbolica o forma-le, non è un’immagine come le

altre in cui ricordiamo che Gesù è inmezzo a noi. La sua presenza costitui-sce la Chiesa, è per Lui che essa è co-stituita in unità perché non solo è ra-dunata attorno a Lui ma è unificata inLui. L’espressione paolina che esplicitaquesta presenza è molto forte: laChiesa è il Corpo di Cristo (Col 1,18).

Tutte le diverse modalità di presen-za si comprendono a partire da questacomunione della chiesa con Cristo; at-traverso questa realtà si celebrano isacramenti, si compiono i ministeri, sievangelizza il mondo.

Il sacramento eucaristico è il segnopiù forte di questa presenza in quantoin esso, sostanzialmente e realmente,Cristo vive per la Chiesa e nella Chiesa.Come dice Gesù stesso nel vangelo diGovanni: “Chi mangia la mia carne ebeve il mio sangue dimora in me ed ioin lui” (Gv 6,56).

I sacramenti ci conformano a lui eci fanno entrare in comunione viva edefficace con Cristo Redentore. Il Batte-simo ci rende parte del suo corpo, unasola cosa in Lui al di là di ogni umanadivisione “poiché tutti voi siete uno inCristo Gesù” (Gal 3,28).

La coscienza viva di questa unionecon Cristo, di questa presenza cosìstraordinaria ci rende capaci di viverecome Cristo, è causa di santità e digrazia, dona la forza alla testimonian-

za dei martiri e dei santi, dona l’ener-gia alla carità e alla predicazione. Perquesta comunione lo Spirito Santoscorre attraverso le membra dellaChiesa portando ovunque amore eforza, sapienza e comunione.

Per questa presenza straordinariache è comunione del Corpo misticonoi proclamiamo la Parola di Dio, ri-sentendola risuonare nel Corpo dellachiesa e vedendone i frutti di conver-sione e di salvezza; per questo misterotutti noi riceviamo la grazia dei sacra-menti ed entriamo, attraverso questemirabili porte, nell’intimità di Dio at-tingendo alla nostra redenzione. Neipoveri e nei sofferenti il volto di Cristorifulge, nella testimonianza dura e im-pegnata del popolo di Dio Cristo si ri-vela, nella preghiera dei battezzati sirinnova la lode e l’offerta di Cristo alPadre.

Tutti i ministeri e i diversi doni del-lo Spirito hanno come fine la crescitadel Corpo di Cristo (1Cor 12), il nostrosviluppo, la nostra maturazione in vi-sta della configurazione a Cristo Si-gnore. La bellezza del suo volto deverisplendere in quello della Chiesa af-finché la sua presenza si manifestisempre più e riscaldi il cuore del mon-do.

Impariamo a riconoscere questapresenza, a cominciare da noi stessi,dal nostro cuore, dove abita dal batte-simo la grazia della presenza dellastessa Trinità. La comunione con il

Una presenza viva che è comunione in Cristo di mons. Marco Frisina

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Corpo mistico che unisce la Chiesa inunum con Cristo, deve ravvivare in noiil desiderio della testimonianza e del-l’impegno evangelizzatore, i senti-menti di Cristo sono i nostri la sua vitadeve risplendere in noi. La celebrazio-ne dei sacramenti deve essere vissutanon come una astratta ritualità ma co-me l’espressione di una presenza, i sa-cramenti ne sono i segni vivi ed effica-ci attraverso cui questa presenza co-munica a tutti noi la grazia divina. Lacarità verso i poveri deve divenire la

naturale espressione di chi riconoscein essi le fattezze del Crocifisso, cosìcome l’attenzione premurosa per ipeccatori non è che la manifestazionedella carità di Cristo che si piega sul-l’uomo peccatore.

È bello camminare nella storia diogni giorno, nell’impegno lavorativoquotidiano con la coscienza di viversempre in comunione con Cristo e ditrovare la sua presenza in ogni mo-mento nella realtà luminosa dellaChiesa.

Cena di Emmaus, Caravaggio, Londra, National Gallery, sec. XVI

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S acramento primordiale e fondati-vo di ogni altro sacramento, Cristotrova il suo prolungamento e la

sua dilatazione nel suo Corpo, che è laChiesa, in virtù della stessa economiadell’incarnazione secondo la quale lasalvezza non avviene senza l’uomo maattraverso una mediazione umana.

Ne consegue che la Chiesa non è solooggetto di salvezza, ma - propriamentein virtù della sua dimensione cristocen-trica, che la rende partecipe della “sa-cramentalità fondamentale” di Cristo -,in Lui è anche “come sacramento, cioèsegno e strumento dell’intima unionecon Dio e dell’unità di tutto il genereumano” (LG 1). Come Cristo, nella suaumanità, è il sacramento di Dio, così laChiesa è il sacramento di Cristo. Attra-verso di essa, - che di lui è “quasil’emanazione e la continuazione altret-tanto terrena quanto misteriosa”1 - egliprolunga la sua opera redentrice,costituendola “come mistero salvifico”nel senso che “continua la sua presenzae la sua opera di salvezza nella Chiesa eattraverso la Chiesa” (DI, 16)2.

In realtà Cristo, mandato dal Padrequale “autore della salvezza e principiodi unità e di pace”, ha fondato la Chie-sa, “acquistata con il suo sangue” (At20, 28; cf. Tt 2, 14), “perché sia per tuttie per i singoli sacramento visibile diquesta unità salvifica” (LG 9). Egli conti-nua la sua presenza e la sua azione nel-la Chiesa, chiamandola a partecipare alsuo sacerdozio, alla sua missione profe-tica e alla sua funzione regale.

Molteplice presenza di Cristo nella Chiesa

Tale presenza di Cristo nella suaChiesa si concretizza in molteplici aspet-ti: “Cristo è presente alla sua Chiesa cheprega... è presente alla sua Chiesa cheesercita le opere di misericordia... è pre-sente alla sua Chiesa pellegrina... allasua Chiesa che predica... che regge e go-verna il popolo di Dio... è presente allasua Chiesa che celebra il sacrificio dellaMessa e amministra i sacramenti... Maben altro è il modo, veramente sublime,con cui Cristo è presente alla sua Chiesanel sacramento dell’Eucaristia”3.

Con questo richiamo alla particolarepresenza di Cristo nell’eucaristia, PaoloVI intende soprattutto respingere le di-verse spiegazioni riduttive della presenzaeucaristica che presentavano la transu-stanziazione, ossia il mutamento dellasostanza del pane e del vino nel corpo enel sangue di Cristo, nel senso di “trans-significazione” o “transfinalizzazione”,mettendo a rischio la dottrina della pre-senza reale di Cristo nell’Eucaristia. Peròlo stesso Pontefice sottolinea anche lapresenza di Cristo nella assemblea checelebra l’Eucaristia: “Cristo è presente al-la sua Chiesa che in nome suo celebra ilSacrificio della Messa”. La stessa realtà èstata espressa anche dalla Istruzione ge-nerale del Messale Romano (1969)4.

È precisamente a questa particolarepresenza di Cristo nella comunità raccoltaper la celebrazione eucaristica che sonodedicate le considerazioni che seguono.

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Cristo è presente nell’assembleadi p. Adriano Garuti, ofm

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La presenza di Cristo nella celebrazione eucaristica

Se Cristo è presente ovunque due otre dei suoi discepoli si trovano riunitinel suo nome (cf. Mt 18, 20) e in partico-lare nelle azioni liturgiche5, checostituiscono “il culmine verso cui tendel’azione della Chiesa e, insieme, la fonteda cui promana tutta la sua virtù” (SC10), egli è presente soprattutto nell’as-semblea eucaristica6, riunita a compiere,ciascuno secondo la propria condizione,“il servizio sacerdotale”, quale parteci-pazione al sacerdozio di Cristo. Infatti, lacelebrazione eucaristica, che perpetua ilsacrificio di Cristo, “esige che vi sia in es-sa, come sulla croce, la stessa vittima, lostesso sacerdote e lo stesso atto sacrifica-le (DS 1739-1741: 1743), così come eglistesso volle celebrarlo nell’ultima cena”7.

Se l’assemblea liturgica in quanto ta-le è segno della presenza di Cristo, amaggior ragione Cristo è “presente nelSacrificio della Messa... nella personadel ministro” (SC 7). Il sacerdote è infat-ti “strumento vivo di Cristo eterno sa-cerdote” (PO 12), offre in suo nome ilsacrificio e pronuncia in suo nome le pa-role consacratorie; agisce in persona Ch-risti, in virtù di una “specifica,sacramentale identificazione col sommoed eterno Sacerdote, che è l’autore e ilprincipale soggetto di questo suo pro-prio sacrificio, nel quale in verità nonpuò essere sostituito da nessuno” (EE, n.29)8. In tal modo, il sacerdote sostiene“la parte di Cristo, al punto di essere lastessa sua immagine”9. Le parole cheegli pronuncia “non si riferiscono al ce-lebrante, ma a Gesù Cristo, sommo sa-cerdote che si serve di un rappresentan-te umano, reso capace per tale ministe-ro tramite l’ordinazione sacerdotale”10.

Nella celebrazione eucaristica, me-moriale della sua morte e risurrezione,Cristo è presente all’assemblea non solocome eterno Sacerdote, ma anche comevittima che rinnova, in maniera incruen-ta, il sacrificio della Croce. L’Eucaristia,infatti, perpetua sacramentalmente ilsacrificio redentore di Cristo, “in ognicomunità che lo offre per mano del mi-nistro”, effettuando, così, “la nostra re-denzione” (EE, n. 12. Cf. LG 3).

Efficacia della presenza di Cristonella celebrazione eucaristica

L’eucaristia manifestazione e realizzazione della Chiesa

L’istituzione dell’Eucaristia è il “mo-mento decisivo” della formazione dellaChiesa (EE, n. 5). Nell’ultima Cena, in-fatti, Gesù mostra chiaramente la suaintenzione di fondare, mediante la suapresenza prolungata, una comunità didiscepoli: il suo sangue versato per laremissione dei peccati, è il sangue dellanuova ed eterna alleanza, che sostitui-sce quella stipulata sul Sinai. L’Eucari-stia diventa dunque “la stipulazione diun patto e, come tale, la concreta fon-dazione del nuovo popolo, che divienetale attraverso il suo rapporto di al-leanza con Dio”; i discepoli “diventano“popolo” attraverso la comunione colcorpo e col sangue di Gesù, che è altempo stesso comunione con Dio”, el’idea veterotestamentaria dell’allean-za, che Gesù accoglie nella sua predica-zione, “riceve un nuovo centro: la co-munione col corpo di Cristo”. Pertanto:“il popolo della nuova alleanza diventapopolo a partire dal corpo e dal san-gue di Cristo, ed è solo a partire daquesto centro che è popolo. Può essere

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chiamato “popolo di Dio” perché, perla comunione con Cristo, si apre il rap-porto con Dio, che l’uomo non è ingrado di stabilire da sé”11.

Nata dal mistero pasquale di Cristo,la Chiesa si concretizza e ri-nasce nellaEucaristia, che di tale mistero è il sacra-mento per eccellenza, in quanto in essaè rinnovato e “ri-presentato” il misterostesso12. Infatti, la rinnovazione del me-moriale della Cena13 genera continua-mente la Chiesa come comunità dellanuova alleanza; pertanto la celebrazio-ne dell’eucaristia “è il luogo dell’inin-terrotta nascita della Chiesa, nel qualeegli [Cristo] la fonda sempre dinuovo”14, e il luogo dove si realizza “laprincipale manifestazione della Chiesa”(SC 41).

Non solo nasce, ma dall’Eucarestia laChiesa “continuamente vive e cresce”(LG 26; EdE, 1 e 34), e “di questo “panevivo” si nutre” (EdE 7). Pertanto l’euca-ristia “racchiude in sintesi il nucleo delmistero della Chiesa” (EE 1) e “si poneal centro della vita ecclesiale” (EdE 3), inquanto “presenza salvifica di Gesù nellacomunità dei fedeli e il suo nutrimentospirituale” (EdE 9). E in realtà la Chiesafin dall’inizio, oltre che nell’ascolto del-la parola e nell’unione fraterna, era in-centrata nella “frazione del pane” (At 2, 42).

La presenza di Cristo nell’Eucaristia quale fattore di unità

La partecipazione all’eucaristia nonrappresenta un fatto religioso puramen-te individuale, ma ha anche una portataecclesiale e sociale: “Nella frazione delpane eucaristico partecipando noi real-mente al corpo del Signore, siamo ele-vati alla comunione con lui e tra noi:

“Perché c’è un solo pane, un solo corposiamo noi, quantunque molti, che parte-cipiamo tutti a un unico pane” (1 Cor 10, 17). Così noi tutti diventiamomembra di quel corpo (cf. 1 Cor 12, 27)“e siamo, ciascuno per la sua parte,membra gli uni degli altri” (Rom 12, 5)”(LG 7). La comunione dei singoli fedelicon Cristo comporta, dunque, ancheuna loro reciproca comunione, che fa diessi il Corpo mistico di Cristo15, nel qualeè “felicemente espressa e prodotta” (LG 11) l’unità del popolo di Dio. Comesottolinea Giovanni Paolo II, nellacelebrazione eucaristica l’assembleaprega: “perché diventiamo in Cristo unsolo corpo”16; e in realtà l’Eucaristia,costruendo la Chiesa, corpo mistico diCristo “proprio per questo crea comu-nità fra gli uomini” (EE, n. 27). Anzi,non solo crea comunione, ma educa allacomunione (EE, n. 40).

Con il Vaticano II, e soprattutto nelmagistero e nella teologia postconcilia-re (cf. in particolare il Sinodo dei Vesco-vi del 1985), la Chiesa è intesa soprattut-to come comunione, a livello sia localeche universale.

La Chiesa è comunione innanzi tuttoa livello locale, cioè in quanto “porzio-ne del popolo di Dio” (LG 23; CD 11),che celebra l’Eucarestia riunita attornoal suo Vescovo. In essa infatti “è vera-mente presente e agisce la chiesa di Cri-sto, una, santa, cattolica e apostolica”(CD 11).

Nonostante sia epifania e realizza-zione della Chiesa, la Chiesa particolarenon può essere intesa come una realtàautarchica, perché di fatto non realizzala Chiesa intera e non costituisce tuttala Chiesa di Dio. Essa è invece struttural-mente rinviata alla comunione con le al-tre Chiese, ed è proprio la comunione di

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tutte le Chiese particolari, unite nelmondo intero che assume il nome diChiesa universale.

Infatti, come è il pricipale fattoredella comunione a livello locale, così lacelebrazione in diversi luoghi dell’unicaEucaristia, nella quale Cristo è presentee rinnova il suo sacrificio, garantisce edesprime un “peculiare rapporto di “mu-tua interiorità”, perché in ogni Chiesaparticolare “è veramente presente eagisce la Chiesa di Cristo, Una, Santa,Cattolica e Apostolica””17. Poiché laChiesa, nel suo essenziale mistero, è unarealtà ontologicamente e temporalmen-te previa a ogni singola Chiesaparticolare, “la formula del concilio Va-ticano II: la Chiesa nelle e a partire dalleChiese, è inseparabile da quest’altra: leChiese nella e a partire dalla Chiesa”18.

Grazie alla presenza dello stesso Cri-sto e dell’intero dono della salvezza inogni celebrazione dell’Eucaristia, l’unicaChiesa nasce inseparabilmente comecattolica e come locale.

L’Eucaristia diventa quindi fonte edespressione dell’unità della Chiesa,unità necessaria per la cattolicità dellaChiesa locale, al punto che non può es-sere Chiesa di Dio quella Chiesa che nonè in comunione con le altre Chiese cat-toliche, con l’unico corpo di Cristo intutto il mondo.

Un ultimo aspetto della presenza diCristo nell’assemblea che celebra l’Euca-ristia è la “proiezione escatologica” chela contrassegna (cf. EE, n. 18).

La Chiesa fondata da Cristo “costitui-sce in terra il germe e l’inizio” del regnodi Dio, e “mentre va lentamente cre-scendo, anela al regno perfetto e contutte le sue forze spera e brama di unir-si col suo re nella gloria” (LG 5). Talecompimento definitivo della Chiesa tro-

va il suo fondamento in Cristo, che con-tinua la sua presenza nella storia fino alsuo ritorno finale. Come aveva predettoe promesso, egli effonde su i suoi disce-poli lo Spirito Santo che fa della Chiesail suo Corpo e lo strumento universaledella salvezza, al fine di prolungare lasua opera con un dinamismo ininterrot-to. Questa opera prosegue ancor oggi:“sedendo alla destra del Padre, operacontinuamente nel mondo per condurregli uomini alla chiesa e attraverso di es-sa riunirli più strettamente a sé e, colnutrimento del proprio corpo e del pro-prio sangue, renderli partecipi della suavita gloriosa. Quindi la promessa restau-razione che aspettiamo è già cominciatain Cristo... mentre portiamo a terminecon la speranza dei beni futuri l’opera anoi affidata nel mondo dal Padre e dia-mo compimento alla nostra salvezza”(LG 48).

In particolare è l’Eucaristia che rinvi-gorisce e in certo senso anticipa l’attesa.In ogni celebrazione eucaristica, infatti,l’assemblea, riecheggiando le parole disan Paolo19, esprime sempre il desideriodella venuta del Signore, che segni ilcongiungimento definitivo di tutta laChiesa e di tutta l’umanità con lui: “An-nunziamo la tua morte, Signore, procla-miamo la tua risurrezione, nell’attesadella tua venuta”20.

Per questo Giovanni Paolo II può af-fermare che non solo l’Eucaristia “è ten-sione verso la meta”, ma anche già“pregustazione della gioia piena pro-messa da Cristo (cf. Gv 15, 11); in certosenso, essa è anticipazione del Paradiso,“pegno della gloria futura”. Tutto, nel-l’Eucaristia, esprime l’attesa fiduciosache “si compia la beata speranza e ven-ga il nostro Salvatore Gesù Cristo” (EE, n. 18).

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Questa tensione escatologica dellaChiesa peregrinante già da ora “espri-me e rinsalda la comunione con la Chie-sa celeste”, precisamente nella celebra-zione eucaristica: “mentre noi celebria-mo il sacrificio dell’Agnello, ci uniamoalla liturgia celeste” (EE, n. 19). “Non èun caso - rileva Giovanni Paolo II - chenelle anafore orientali e nelle preghiereeucaristiche latine si ricordino con vene-razione la sempre Vergine Maria, Madredel nostro Dio e Signore Gesù Cristo, gliangeli, i santi apostoli, i gloriosi martirie tutti i santi” (EE, n. 19).

D’altro lato la tensione escatologicavissuta nella celebrazione eucaristicacoinvolge tutto il cosmo, anch’esso inattesa della definitiva restaurazione ericapitolazione in Cristo (cf. EE, n. 19),allorché i “cieli nuovi” e la “terra nuo-va” “si apriranno ai nostri occhi con laseconda venuta di Cristo” (EE, n. 62)21. Intal modo “il sommo ed eterno sacerdo-te... restituisce al Creatore e Padre tuttala creazione redenta” (EE, n. 8). Taleconsapevolezza della venuta del Signo-re “comporta per quanti partecipano al-l’Eucaristia l’impegno... di trasformare ilmondo secondo il Vangelo” (EE, n. 20).

Conclusione

Abbiamo richiamato l’effettiva pre-senza di Cristo nell’assemblea che cele-bra l’Eucaristia, nelle sue diverse moda-lità.

Tale presenza non può essere tutta-via intesa come una specie di “cristo-monismo”. Cristo infatti è situato nel di-segno divino di salvezza: è l’inviato delPadre e agisce per mezzo dello SpiritoSanto. Nonostante l’azione particolaredi ciascuna Persona divina, la Chiesa èopera della Trinità: “ogni fase della sto-

ria della salvezza non è sostenuta dall’a-zione isolata del Padre, o del Figlio odello Spirito Santo; l’azione Unica diDio, cioè del Padre per il Figlio nello Spi-rito Santo, giunge al suo momento sto-rico culminante nell’incarnazione di Cri-sto e nella storia umana di Gesù”22.Niente nella Chiesa accade senza l’azio-ne indivisibile del Padre, del Figlio e del-lo Spirito Santo.

Questo principio si applica anche allacelebrazione eucaristica, che in realtàappare “culmine di tutti i sacramentinel portare a perfezione la comunionecon Dio Padre mediante l’identificazio-ne col Figlio unigenito per opera delloSpirito Santo” (EE, n. 34). In modo parti-colare l’epiclesi mostra lo Spirito Paracli-to come fonte della santità e dell’unitàdella Chiesa (cf. EE 23-24).

D’altra parte è da evitare anche un“ecclesiocentrismo” di taglio funzionali-sta, che intende la Chiesa comeautosufficiente mediatrice di salvezza,ripiegata su se stessa e sulla sua struttu-ra. In tale visione viene posto in secon-do ordine il collegamento della Chiesacon Cristo, con lo Spirito Santo e conl’intera Trinità, che il Vaticano II ha inve-ce recuperato: “Così la Chiesa universalesi presenta come popolo adunato dall’u-nità del Padre, del Figlio e dello SpiritoSanto” (LG 4).

Indubbiamente la Chiesa svolgeun’opera di mediazione nella liturgia,poiche in realtà ogni celebrazione li-turgica è opera non solo di Cristo sa-cerdote, ma anche del suo corpo che èla Chiesa. Ma è l’azione di Cristo checonferisce il valore più alto all’azionedella Chiesa: “nessun’altra azione del-la Chiesa ne uguaglia l’efficacia allostesso titolo e al lo stesso grado” (SC 7)23.

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Una chiara consapevolezza della cen-tralità e presenza di Cristo nella celebra-zione eucaristica può essere determi-nante nel superare il rischio di ridurrel’Eucaristia a un semplice banchetto, at-torno al quale la comunità “si incontra

in festa”, ma a vedere in essa soprattut-to la rinnovazione del suo sacrificio sullaCroce. Aiuterà inoltre a evitare tuttiquegli apparati folkloristici che nonhanno niente a che vedere con il decorodella celebrazione eucaristica.

1 PAOLO VI, Discorso in apertura del secondo periodo del Concilio Vaticano II (29 settembre1963): EV 1, 146*.

2 Cf. A. GARUTI, Il mistero della Chiesa. Manuale di ecclesiologia (Roma 2004), 55-61.3 PAOLO VI, Enc. Mysiione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, Cristo è

realmente presente nell’assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del ministro,nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche”.

5 PIO XII, Enc. Mediator Dei: “In ogni azione liturgica... insieme con la Chiesa è presente il suoDivino Fondatore” (DS 3840). Cf. SC 7.

6 GIOVANNI PAOLO II: in forza dell’Eucaristia “Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente” (En-ciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 15). D’ora in poi si userà la sigla EE, riportandola direttamentenel testo.

7 F. BOURASSA; Il sacrificio nella teologia e nella vita quotidiana, in LATOURELLE, Vaticano II: Bi-lancio e prospettive, I, 710.

8 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Sacerdotium ministeriale ai ve-scovi su alcune questioni riguardanti il ministero dell’Eucaristia, 4 (EV 9, 390).

9 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Inter Insigniores (1977): EV 5,2133.

10 M. HAUKE, L’Eucaristia fonte e culmine della vita cristiana, in G. BORGONOVO - A. CATTANEO,Giovanni Paolo Teologo. Nel segno delle Encicliche (Milano 2003), 264.

11 J. RATZINGER, La Chiesa. Una comunità sempre in cammino (Cinisello Balsamo 1991), 19-20.12 Come insegna Giovanni Paolo II, “l’intero Triduum paschale... è come raccolto, anticipato e

“concentrato” per sempre nel dono eucaristico” (EE, n. 5). Cf. PAOLO VI, Enciclica Mysterium fi-dei: EV 2, 424).

13 “Fate questo in memoria di me” (Lc 2, 12; 1 Cor 11, 24-25).14 RATZINGER, La Chiesa, 26.15 “E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e prodotta l’unità dei fe-

deli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cf. 1 Cor 10, 17)” (LG 3).16 Preghiera eucaristica III. Cf. EE, n. 21.17 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Communionis notio (1992), n. 9: EV

13, 1787.18 Ivi, n. 9: EV 13, 1789.19 “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la

morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11, 26).20 Acclamazione dopo la consacrazione. Cf. anche l’Embolismo dopo il Padre nostro.21 Al riguardo l’ Hauke scrive: “La santa messa, celebrata ovunque nel mondo, “unisce il cielo e la

terra. Comprende e pervade tutto il creato... il mondo uscito dalle mani di Dio creatore torna alui redento da Cristo”” (L’Eucaristia fonte e culmine della vita cristiana, 268-69).

22 M. SEMERARO, Mistero, comunione e missione. Manuale di ecclesiologia (Bologna 1998), 29.23 Cf. J. GALOT, Il Cristo rivelatore, fondatore della Chiesa, principio di vita ecclesiale, in R. LA-

TOURELLE, Vaticano II: Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962/1987) (Assisi 1987), I,355.

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La Costituzione SacrosanctumConcilium ha aperto un orizzon-te teologico luminoso e fecondo

quando ha presentato tutta la vita li-turgica come attuazione, nel tempo,dell’opera “della redenzione umana edella perfetta glorificazione di Dio”,opera che è stata compiuta dal CristoSignore nel mistero pasquale della suamorte salvifica e della sua gloriosa ri-surrezione (cf. SC 5). Dalla prospettivabiblico-teologica, qui delineata, derival’affermazione che il Cristo “è semprepresente nella sua Chiesa, specialmentenelle azioni liturgiche” (SC 7). Descri-vendo la presenza del Risorto, il testoconciliare sottolinea che essa deve esse-re compresa non solo in riferimento alsacrificio della messa, ai sacramenti e aimomenti della preghiera salmica, maanche in rapporto alla proclamazionedella Parola: “(Il Cristo) è presente nellasua parola, in quanto egli stesso parlaquando nella Chiesa si leggono le SacreScritture” (SC 7). Nella sua concisionequesta affermazione contiene una ric-chezza vitale, che è indispensabile com-prendere adeguatamente perché laChiesa possa vivere la liturgia come cul-mine e fonte della propria vita di fedee di carità, nella speranza.

1. Presente nella parola del Vangelo

La formulazione del testo conci-liare attira subito l’attenzione per

l’orizzonte teologico nel quale simuove e al quale orienta. La locuzio-ne “la sua parola” rinvia innanzi tut-to alla parola nella quale si annuncial’opera salvifica compiuta dal Signo-re risorto, la parola che proclama ilmistero pasquale con il quale il Cri-sto “morendo ha distrutto la nostramorte e risorgendo ci ha ridonato lavita” (cf. SC 5). In altri termini, conquesta espressione il testo conciliaresi riferisce in primo luogo alla paroladel Vangelo. In realtà il Vangelo è illieto annuncio dell’amore fedele emisericordioso del Padre che ha risu-scitato Gesù crocifisso e in lui hainaugurato, nella potenza dello Spi-rito, il mondo della risurrezione,mondo del quale i battezzati sonoresi partecipi, mediante la fede.

Ogni autentica dichiarazione d’a-more non è una parola vuota, ma unaparola che, se accolta e corrisposta,crea la realtà meravigliosa di una co-munione vitale che unisce tra loro duepersone in modo che esse diventano,reciprocamente, l’una il tu dell’altra.Se questo è vero nell’ambito dell’e-sperienza dell’amore umano, tantopiù si realizza nell’incontro della per-sona umana con il Dio santo. L’annun-cio profetico del Vangelo, in quanto èintrinsecamente l’annuncio dell’amoredi Dio che si comunica all’uomo nellapienezza della sua fedeltà, realizza inchi l’accoglie il prodigio della nuova

La presenza di Cristo nella Paroladi p. Giovanni Odasso, crs

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creazione. Coloro che credono al Van-gelo sono avvolti e trasfigurati dall’a-more di Dio, amore che li raggiungein quella pienezza ineffabile e incom-mensurabile che è propria del mondodella risurrezione.

Questa luminosa prospettiva è con-tenuta nella nota affermazione paoli-na che forma il nucleo tematico dellalettera ai Romani. Il Vangelo - scrivel’Apostolo delle genti - “è potenza diDio per la salvezza di tutti coloro checredono” (Rm 1,16). Il lieto annunciodell’amore di Dio, che si compie nellarisurrezione del Cristo, comunica e svi-luppa, in chi l’accoglie, la potenza sal-vifica di colui che realizza il suo dise-gno di tenerezza e d’amore, dischiu-dendo all’umanità il dono della nuovacreazione. Mediante questo annuncio,quindi, non avviene solo la trasmissio-ne di un messaggio, sia pure elevato esublime, ma si compie in modo emi-nente l’autocomunicazione di Dio, cherealizza l’esodo di chi si apre al donodella sua misericordia: l’esodo della ri-surrezione. Con esso l’uomo, guidatodallo Spirito, compie il passaggio pa-squale dalla schiavitù del peccato edella morte alla vita e alla libertà del-l’alleanza, passaggio che introduce inquella pienezza di comunione che co-stituisce l’esperienza propria di chi èrisorto con il Cristo.

In sostanza, la potenza di Dio, cheopera nel Vangelo, è la stessa risurre-zione di Cristo, della quale Dio rendepartecipi, in misura crescente, coloroche nella fede aderiscono fiduciosi al-l’annuncio sempre nuovo e semprerinnovante del suo amore. Il Vangelo,in questa visuale, è la Parola del Si-

gnore, la Parola nella quale il Padrerealizza il dono del Figlio, trasfiguran-do coloro che credono nell’icona glo-riosa del Risorto.

Il Nuovo Testamento, nella ric-chezza spirituale della sua forma ca-nonica, permette di comprendere inche senso il Cristo Signore è presentenell’annuncio del Vangelo e quindi,in modo speciale, nella sua procla-mazione all’interno della celebrazio-ne liturgica. Anzitutto il Cristo è pre-sente nel Vangelo in quanto, nelmomento della sua proclamazione,si compie con la potenza dello Spiri-to l’evento della rivelazione. Nelcuore del credente il Padre rivela ilFiglio e il Figlio, accolto mediante lafede, rivela il Padre (cf. Mt 11,25-27).Il Padre dona e accresce la fede nelFiglio e il Figlio introduce quanti loaccolgono nell’esperienza apocalitti-ca dell’amore fedele e misericordio-so del Padre.

La rivelazione del Figlio, secondol’orizzonte teologico del NT, non siattua soltanto nella comunicazionedi un messaggio o di una verità, masi compie propriamente nella parteci-pazione alla sua risurrezione e, quin-di, nel dono di essere figli inseritinella vita stessa del Padre in quellapienezza che anticipa già, su questaterra, le primizie della gloria futura,quando saremo eternamente simili alui perché lo vedremo come egli è (cf. 1 Gv 3,1-2). In questa ottica il Cri-sto è presente nella proclamazionedel Vangelo come dono del Padreche, nella potenza dello Spirito, uni-sce i credenti al Figlio suo, rendendo-li sempre più partecipi della sua risur-

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rezione. Ciò significa, ancora, che ilCristo è presente perché solo in lui èdato all’uomo di partecipare alla vitadel Padre, di sperimentare il donodella salvezza, di gustare quella tene-rezza dell’amore di Dio che la Scrittu-ra confessa come il cuore stesso dellavita divina. Nel Vangelo il Cristo è re-so presente dal Padre come colui cheguida a quella pienezza della vitache avrà il suo compimento “in ab-bondanza” nella gloria eterna delRegno. “Questa è la vita eterna: checonoscano te, l’unico vero Dio, e co-lui che hai mandato, Gesù il Cristo”(Gv 17,3).

In terzo luogo, il Cristo è presentenel Vangelo in quanto associa i suoidiscepoli al suo eterno sacrificio di rin-graziamento. Nella Scrittura il sacrifi-cio di ringraziamento (todah) era of-ferto per glorificare il Signore cheaveva liberato da un grave pericolo dimorte. Quando dentro la tradizione diIsraele si sviluppò la fede nella risurre-zione si comprese che solo nel mondofuturo si sarebbe innalzato a Dio, datutti i risorti, il vero ed eterno sacrifi-cio della “todah”. Se i discepoli sonosempre associati dal Cristo alla suaeterna lode del Padre, questo eventosi compie e si sperimenta in modo spe-ciale nella proclamazione del Vangelo.In essa il Figlio annuncia la potenzadel Padre ai suoi fratelli: rinnova neiloro cuori la fede nella sua risurrezio-ne e, nello splendore rinnovato diquesta fede, i fratelli si uniscono al Ri-sorto per proclamare la potenza diColui che, risuscitando il Figlio, ha fat-to passare anche noi dalla morte allavita.

Da questo mistero di salvezzascaturiscono delle importanti conse-guenze per la vita dei battezzati eper l’azione della Chiesa. Effettiva-mente la proclamazione del Vange-lo orienta l’assemblea liturgica e isingoli battezzati a ravvivare nelproprio cuore la gioiosa certezza dipartecipare alla risurrezione di Cri-sto e, quindi, alla vita stessa del Pa-dre. La celebrazione dell’Eucaristiasi presenta così come l’anticipazionedel banchetto eterno dell’alleanzanella gloria del Regno di Dio. Essarende sempre più intensa e consa-pevole l’esperienza della salvezza diDio e accresce nell’assemblea cele-brante l’orientamento al Padre, nel-la gioia dell’adorazione e nell’impe-gno della fedeltà. La proclamazioneliturgica del Vangelo, inoltre, ravvi-va in modo speciale la fede comeesperienza pneumatica “del Padreche rivela il Figlio e del Figlio che ri-vela il Padre”. In questo modo la ce-lebrazione liturgica diventa il luogoprivilegiato in cui i battezzati pren-dono coscienza di formare il popolodella risurrezione e della rivelazionee sviluppano gli orientamenti diascolto e di discernimento propri dichi v ive davanti a l Dio v ivente (cf. Os 6,2-3) e ascolta la sua voce(cf. Gen 22,18). Infine, mediante l’a-scolto del Vangelo, proclamato nel-la celebrazione liturgica, l’assem-blea si unisce, soprattutto nell’Euca-ristia, al suo Sposo e Signore perproclamare la gloria del Padre, cherivela la potenza incomparabile delsuo amore nel Cristo risorto e neibattezzati, resi già ora partecipi del-la risurrezione.

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2. Presenza nella proclamazionedelle Scritture

Le riflessioni fin qui emerse per-mettono di intuire la ricchezza dellacomprensione della Liturgia come illuogo nel quale si realizza, a un titolospeciale, la presenza di Cristo nella pa-rola del Vangelo proclamato. Il testoconciliare, però, contiene un’ulterioreprospettiva, che è posta in particolareevidenza. Il Risorto è presente nellasua parola in quanto “egli stesso parlaquando nella Chiesa si leggono le Sa-cre Scritture” (SC 7). Questa afferma-zione suppone che la presenza del Cri-sto non si compie solo nel Vangelo,ma avviene anche nella proclamazio-ne di tutta la Scrittura che diventa cosìla “sua parola”. Il richiamo alla paginalucana dei discepoli di Emmaus è evi-dente e offre la chiave per interpreta-re il significato e la portata di questaaffermazione.

Nell’orizzonte teologico del NT, inparticolare di Lc 24, la presenza diCristo quando si proclamano le Scrit-ture, significa che il Signore risortocostituisce per il credente il compi-mento delle promesse salvifiche del-la Scrittura. Ognuna delle tre parti incui si articola la Scrittura (Torah, Pro-feti, Scritti) è orientata e orienta ver-so il futuro della salvezza di Dio.Questo futuro salvifico è descritto,con il linguaggio della fede e dellasperanza, attraverso varie categorieteologiche come realizzazione pienadell’alleanza, nuova alleanza, nuovoesodo, come liturgia eterna di lode edi glorificazione del Padre, come av-vento del Messia e del mondo nuovodella risurrezione. Ciò significa che il

Cristo risorto, al quale il battezzato èunito dallo Spirito di Dio, è la luceche illumina il senso delle Scritture.La fede nel Signore risorto permettedi comprendere che nel Cristo tuttele promesse di Dio sono diventate sì(cf. 2 Cor 1,20), e, in lui, si stannorealizzano nella Chiesa e nell’uma-nità fino al compimento eterno nellagloria del Regno.

Colta nel dinamismo di questaprospettiva, la particolare presenzadel Cristo quando si proclamano leSacre Scritture costituisce una dimen-sione essenziale all’esperienza dellasalvezza cristiana. Da un lato, l’affer-mazione della presenza del Cristosuppone che la fede nel Signore ri-sorto è dono incomparabile del Pa-dre (cf. Mt 11,25-27). La luce delVangelo è accesa nel cuore del cre-dente dallo Spirito di Dio e dallostesso Spirito è costantemente ali-mentata perché risplenda nella vitadel battezzato e la trasfiguri. Dall’al-tro, l’affermazione conciliare implicala necessità vitale che la fede nel Si-gnore risorto si nutra delle Scritture.Senza la luce della Parola di Dio,contenuta nelle Scritture, la fede nelCristo diventerebbe incomprensibilenel suo contenuto specifico, perde-rebbe il suo significato salvifico se-condo la ricchezza incommensurabi-le del disegno di Dio.

Questa visuale permette di com-prendere l’espressione della Sacro-sanctum Concilium nella sua singola-re ricchezza. La liturgia è il luogo pereccellenza nel quale la Chiesa nutrela propria fede mediante le SacreScritture. Nella liturgia, e in partico-

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lare nell’Eucaristia, le Scritture si pre-sentano con la forza del loro annun-cio che orienta al futuro della salvez-za. Questo annuncio, accolto me-diante la fede nel Risorto, accrescenell’assemblea liturgica la gioiosacertezza di vivere nel compimentodelle promesse divine. Al tempo stes-so, essendo i battezzati partecipi del-la risurrezione in modo iniziale, lepromesse della Scrittura si vannorealizzando costantemente nella lo-ro esistenza, in quanto Dio li rendesempre più partecipi della risurrezio-ne del Figlio, fino a quando la trasfi-gurazione nella sua gloria raggiun-gerà la pienezza con l’ingresso nellaliturgia eterna del Regno.

In un simile contesto teologico lalettura delle Scritture nella vita del cri-stiano, e in modo particolare all’inter-no della celebrazione liturgica, ricevealcune connotazioni fondamentali. Es-sa, in primo luogo, orienta il credentea confessare l’evento della risurrezio-ne del Cristo come il compimento del-le promesse di Dio. Da questa confes-sione scaturisce la luce che svela co-stantemente il valore salvifico dellamorte di Gesù e, in questo modo, illu-mina il significato dell’esistenza cri-stiana che diventa in tutto il suo cam-mino, compreso quello della malattiae della morte, un crescente itinerariodi esperienza luminosa della salvezzadi Dio e di testimonianza feconda delVangelo.

In secondo luogo la confessionedella risurrezione del Cristo, compre-sa nella luce delle Scritture, guida ilcristiano a essere sempre più consa-pevole che il mondo della risurrezio-

ne è destinato a tutti i popoli. NelCristo risorto è iniziato il banchettodell’alleanza al quale sono chiamatetutte le genti (cf. Is 25,6-8). La pre-senza di Cristo che parla quando siproclamano le Scritture significa ap-punto che il Risorto svela ai suoi di-scepoli il disegno del Padre. In forzadi questo eterno piano salvifico tuttigli uomini e tutti i popoli sono chia-mati a partecipare alla sua vita e alsuo amore nel Cristo risorto. Di con-seguenza, la proclamazione delleSante Scritture orienta il battezzatoa sviluppare, nell’intelligenza sapien-ziale e profetica del disegno di Dio,la coscienza che non può separare lapropria vocazione dalla missione:una missione che impegna ogni di-scepolo a essere testimone della sal-vezza di Dio verso tutti coloro cheincontra nel proprio cammino.

Nella proclamazione delle Scritture,come è noto, emergono costantemen-te i valori della fraternità, della giusti-zia e della solidarietà con i più deboli eindifesi. Si tratta dei valori che costitui-scono l’ideale della comunità che èraggiunta dall’esodo salvifico di Dio esono, per la Chiesa, un segno di quellapace che sarà piena nell’eternità delRegno. Proprio questi valori delinena-no l’orizzonte nel quale il battezzato èchiamato ad attuare la testimonianzadella propria vita risorta, perché gli uo-mini siano portati, dalla concretezzadelle opere buone, a glorificare il Pa-dre. In questo senso la lettura delleScritture, nella luce del Signore risorto,spinge il cristiano a realizzare costante-mente la propria fede secondo il dina-mismo della carità di Dio, che si rende

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presente sulla terra attraverso l’amoredei discepoli del Risorto.

Una conseguenza, infine, meritauna particolare attenzione. La procla-mazione delle Scritture nella luce delSignore risorto – e quindi nell’esperien-za della sua presenza che illumina ilcompimento delle promesse di Dio -porta il credente a vivere la propria fe-de nella gioiosa confessione dell’amorefedele del Signore. La fedeltà di Dio alsuo amore e alla sua parola costituiscela grande certezza che è rinnovata eintensificata, nel cuore dei battezzati,mediante l’ascolto delle promesse con-tenute nelle Scritture. La fede nel Ri-sorto, che si nutre delle Sante Scritture,diventa esperienza e testimonianzaprofetica della fedeltà di Dio. Proprioquesta esperienza e questa testimo-nianza rendono la Chiesa, che si nutredella Scrittura e la proclama nell’azio-ne liturgica, l’assemblea santa dei figlidi Dio che in ogni epoca della storiaumana sanno custodire e, se necessa-rio, ritrovare le vie della speranza: levie della speranza che non delude per-ché scaturisce dall’amore di Dio eorienta a questo amore.

3. Prospettive

L’analisi effettuata, che ci ha per-messo di cogliere la ricchezza e le vir-tualità della presenza del Cristo nellaproclamazione del Vangelo e delleSante Scritture, apre un cammino lu-minoso per ogni battezzato che svi-luppa nella vita di ogni giorno quel“religioso ascolto della Parola di Dio”(DV 1) che caratterizza la dimensionepiù profonda del mistero della Chiesa.

Un aspetto, però, richiede la ne-cessaria attenzione perché questericchezze, dischiuse dall’orizzonteteologico della presenza di Cristonella parola, non siano congelate inun’abitudine chiusa a ogni autenti-co rinnovamento, ma si possano svi-luppare in una rinnovata e rinno-vante riscoperta sapienziale del do-no di Dio. In realtà l’orientamentoconciliare circa la presenza del Cri-sto nella proclamazione della paro-la, in modo speciale durante l’azio-ne liturgica della Chiesa, supponeuna comunità che alimenta la pro-pria fede con la luce della Scrittura.Ciò significa che quanti partecipanoalla liturgia sono chiamati a svilup-pare una familiarità con la Parola diDio che deriva non da uno sterilesentimentalismo, ma da una cono-scenza delle Scritture che nel temposi consolida e si approfondisce. Sen-za un reale cammino, teso a svilup-pare questa conoscenza e familia-rità, la proclamazione liturgica nonpotrebbe sviluppare i frutti che lesono propri e che, proprio dalla fe-de nel Risorto, ricevono la pienezzadel loro significato vitale. Secondola testimonianza luminosa degli Attidegli Apostoli, le comunità cristia-ne, che perseverano nel cammino diuna conoscenza profonda delle San-te Scritture, diventano sempre più“sacramento del mondo della risur-rezione”, testimoni del Dio fedele,energia di speranza e di vita. Inqueste comunità la presenza del Cri-sto nella Parola è la presenza delloSposo che, nella consolazione delloSpirito e delle Scritture, rivela il Pa-dre.

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A ffrontando un tema così ampioe impegnativo, ci piace innan-zitutto pensare all’esperienza

concreta di coloro che nella Chiesahanno la chiamata e il dono di presie-dere la comunità. Quali sono le primeimpressioni, i pensieri e i sentimenti diun giovane presbitero che comincia avivere la presidenza liturgica? Quali lepaure, le preoccupazioni, lo stupore ele gioie, forse poco prevedibili duran-te gli anni di formazione? Pensandoalla presidenza di un sacerdote anzia-no verrebbe da chiedersi quali siano lasua comprensione e il suo sguardo sulmistero, tante volte celebrato e con-templato? Considerando poi la presi-denza di chi è chiamato a vivere il mi-nistero della guida e della responsabi-lità della comunità cristiana, si potreb-be domandare se effettivamente vie-ne vissuto nel contesto di un dialogoarmonico con gli altri servizi e ministe-ri presenti nel popolo di Dio? In chemisura la chiamata alla comunione eall’intesa tra i diversi ministeri è moti-vo ora di difficoltà, ora di consolazio-ne? Vogliamo innanzitutto, attraversoi testi del Concilio Vaticano II, guarda-re alla natura e al significato teologi-co della presidenza liturgica, mentrein un secondo momento cercheremodi cogliere alcune linee inerenti lo sti-le di presidenza che da esso deriva.

Il contenuto dell’azione liturgicacristiana è il Mistero. Esso esprime l’in-sieme della Storia della Salvezza, arti-colata nei suoi diversi momenti: “Que-st’opera della redenzione umana edella perfetta glorificazione di Dio,che ha il suo preludio nelle mirabiligesta divine operate nel popolo del-l’Antico Testamento, è stata compiutada Cristo Signore, principalmente permezzo del mistero pasquale della suabeata passione, risurrezione da mortee gloriosa ascensione, mistero col qua-le “morendo ha distrutto la nostramorte e risorgendo ha rinnovato la vi-ta”. Infatti dal costato di Cristo dor-miente sulla croce è scaturito il mira-bile sacramento di tutta la Chiesa. Per-ciò, come il Cristo fu inviato dal Padre,così anch’egli ha inviato gli apostoli,pieni di Spirito Santo, non solo per-ché, predicando il Vangelo a ognicreatura, annunziassero che il Figlio diDio con la sua morte e risurrezione ciha liberati dal potere di satana e dallamorte e ci ha trasferiti nel regno delPadre, ma anche perché attuassero,per mezzo del sacrificio e dei sacra-menti sui quali s’impernia tutta la vitaliturgica, l’opera della salvezza cheannunziavano”.1

Dal testo conciliare si desume chela vita liturgica, con al centro il sacrifi-cio e i sacramenti, è il momento ulti-

L’unico sacerdozio di Cristo perpetuato nella sua Chiesa di don Concetto Occhipinti

La presenza reale nel ministro che presiede

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mo e attuativo del Mistero, che è laStoria di Salvezza. Come il momentoprofetico e quello del compimento,anche questo momento attuativo èopera della Trinità. Per attuare l’operache annunziavano, gli apostoli, pienidello Spirito Santo, vengono inviati daCristo così come egli è stato inviatodal Padre. L’azione liturgica cristiana èdunque innanzitutto azione del Pa-dre, del Figlio e dello Spirito Santo, ri-cevuta come grazia dal popolo di Dio,che a sua volta, nell’adesione di fededi ogni suo membro e attraverso lamediazione di Cristo, diviene offertagradita al Padre. L’azione del ministroche presiede si pone dunque in questoorizzonte dell’azione Trinitaria. Egli èpresenza di Cristo capo che, unito allemembra del suo corpo, esercita la suamissione sacerdotale. Ogni celebrazio-ne liturgica è opera di Cristo sacerdo-te e del suo corpo, che è la Chiesa.2 Ilprefazio della Messa Crismale del Gio-vedì Santo così esprime la relazionetra il sacerdozio di Cristo e quello deisuoi ministri: “Con l’unzione dello Spi-rito Santo hai costituito il Cristo tuoFiglio Pontefice della nuova ed eternaalleanza, e hai voluto che il suo unicosacerdozio fosse perpetuato nellaChiesa. […] Egli con affetto di predile-zione sceglie alcuni tra i fratelli chemediante l’imposizione delle mani fapartecipi del suo ministero di salvezza.Tu vuoi che nel suo nome rinnovino ilsacrificio redentore, preparino ai tuoifigli la mensa pasquale, e, servi pre-murosi del tuo popolo, lo nutrano conla tua parola e lo santifichino con i sa-cramenti”.3 Accogliendo la volontà delPadre, colui che presiede perpetua l’u-nico sacerdozio di Cristo e “nel suo

nome” rinnova il suo sacrificio reden-tore. La Sacrosanctum Concilium inse-risce la presenza di Cristo nel ministroche presiede tra le altre presenze, se-condo un’azione diversificata e altempo stesso raccolta in unità armoni-ca: “Per realizzare un’opera così gran-de, Cristo è sempre presente nella suaChiesa, e in modo speciale nelle azio-ni liturgiche. È presente nel sacrificiodella Messa, sia nella persona del mi-nistro, essendo egli stesso che, “of-fertosi una volta sulla croce, offre an-cora se stesso tramite il ministero deisacerdoti”, sia soprattutto sotto lespecie eucaristiche. È presente con lasua virtù nei sacramenti, al punto chequando uno battezza è Cristo stessoche battezza. È presente nella suaparola, giacché è lui che parla quan-do nella Chiesa si legge la Sacra Scrit-tura. È presente infine quando laChiesa prega e loda, lui che ha pro-messo: “Dove sono due o tre riunitinel mio nome, là sono io, in mezzo aloro” (Mt 18,20).4

Al termine del Concilio rimanevaun’incertezza sulla corretta compren-sione del tipo di presenza di Cristo quiproposta. In tutti questi casi si trattadi una presenza reale di Cristo? E se larisposta non può che essere affermati-va, ciò non è forse contrario alla cor-retta comprensione della presenzareale nelle specie eucaristiche consa-crate? Paolo VI nella Mysterium fideiaffronta la questione nei termini se-guenti: “Queste varie maniere di pre-senza riempiono l’animo di stupore eoffrono alla contemplazione il misterodella chiesa. Ma ben altro è il modo,veramente sublime, con cui Cristo è

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presente alla sua chiesa nel sacramen-to dell’eucaristia, che perciò è tra glialtri sacramenti “più soave per la de-vozione, più bello per l’intelligenza,più santo per il contenuto”; contieneinfatti lo stesso Cristo ed è “quasi laperfezione della vita spirituale e il fi-ne di tutti i Sacramenti”.5 L’attenzionedell’enciclica in questo passaggio è ri-volta al modo veramente sublime concui Cristo si rende presente alla suaChiesa nelle specie eucaristiche. Il te-sto poi continua, chiarendo questopunto nei seguenti termini: “Tale pre-senza si dice “reale” non per esclusio-ne, quasi che le altre non siano “rea-li”, ma per antonomasia perché è an-che corporale e sostanziale, e in forzadi essa Cristo, Uomo-Dio, tutto interosi fa presente.”6 Si deduce dunque cheesistono altre presenze reali nonescluse da quella eucaristica e al tem-po stesso che la presenza nelle specieeucaristiche è reale in senso proprio eunico, in forza della transustanziazio-ne. Tra la presenza reale dell’Eucare-stia e le altre presenze reali non vi èdifferenza in quanto a presenza diCristo o a realtà di presenza, ma inquanto al modo con cui si rendonoreali tali presenze. Nell’Eucarestia lapresenza reale è permanente, legataalla sostanza; negli altri casi è tran-seunte, legata al momento celebrati-vo. Quella che caratterizza il mini-stro che presiede è dunque una pre-senza reale di Cristo; questa in quan-to tale è motivo di stupore ed esi-genza di impegno sia per coloro chea essa sono chiamati, sia per tutto ilpopolo di Dio.

Se dunque questo è il significatoteologico dell’azione liturgica di chi

presiede, quali le conseguenze sulpiano pastorale e spirituale? Qualelo stile di presidenza che può scatu-rirne?

Certamente la capacità nel presie-dere sul piano della sostanza derivadai doni ontologici ricevuti nell’Ordi-nazione, ma la competenza sul pianopastorale non può che essere appresaattraverso una formazione adeguatae continua e un’esperienza che condu-ce gradualmente verso una presiden-za matura.

Ci piace in primo luogo pensarealle esigenze di santità, così comeevidenziate nello stesso prefazio delGiovedì Santo: “Tu proponi loro co-me modello il Cristo, perché donan-do la vita per te e per i fratelli, sisforzino di conformarsi all’immaginedel tuo Figlio, e rendano testimo-nianza di fedeltà e di amore genero-so”.7 La persona di colui che presie-de, in tutte le sue facoltà ed espres-sioni, diviene spazio che contribuiscealla realizzazione del fine della cele-brazione, che è la comunione di Diocon il suo popolo. È facilmente com-prensibile che, se l’intenzione dellamente e del cuore in colui che pre-siede non è sintonizzata, almeno neldesiderio, con quella di Cristo, inveceche essere occasione provvidenzialeper l’esperienza di alleanza e di co-munione, può addirittura divenireintralcio e ostacolo. In una testimo-nianza sul suo sacerdozio, Hans Ursvon Balthasar ha un’immagine forteper indicare l’assimilazione a Cristodi colui che è chiamato a presiedere:“Poco prima della mia Ordinazionela provvidenza mi fece comprendere

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che il sacerdozio si identifica conl’atteggiamento di disponibilità, ladisponibilità a lasciarsi spezzare, nonimporta in che modo, al servizio diDio e della sua Chiesa. È per questoche ebbi l’idea di mettere sull’imma-ginetta commemorativa della miaOrdinazione le parole del canone:“Benedixit, fregit, deditque”. Il sen-so di queste parole fu forse compre-so dai rari lettori dell’immaginetta,ma io stesso ero ben lungi dal preve-derne allora le conseguenze. All’epo-ca questo mi sembrava il solo modo,un po’ discreto, di esprimere che ildestino del servo è legato a quellodel Maestro nel quale scompare inte-ramente e di esprimerlo nel modoche nessuno avesse bisogno, anchese in misura minima di volgere l’at-tenzione alla sorte del servo”.8 Inquesto pensiero appare centrale ilsenso del “fregit”, lo spezzò; l’auto-re lo presenta come la possibilità daparte di Dio di rovesciare tutto, nellasua vita, da cima a fondo e in un bat-ter d’occhio. Questa viene percepitacome una legge vitale secondo cui“egli ci spezza e spezzandoci ci gua-risce”.9 La presidenza della preghieraeucaristica, luogo centrale del me-moriale della Pasqua del Signore, esi-ge un’adesione alla sua offerta cheporti con sé tutto lo spessore dell’esi-stenza personale. Il comando del Si-gnore: fate questo in memoria dime, non può risolversi nell’adempi-mento irreprensibile di un rito, machiede la comunione alla stessa in-tenzione di obbedienza e di affida-mento al Padre che Gesù vive quan-do, spezzando il pane e offrendo ilcalice, consegna se stesso. Da questa

comunione personale e vitale, co-stantemente cercata e rinnovata inun autentico spirito di conversione,può scaturire uno stile di presidenzacapace di far sentire ai fedeli la pre-senza viva di Cristo. Le premesse almessale così delineano la gamma va-riegata di azioni proprie della presi-denza: “…il sacerdote che nella co-munità dei fedeli è insignito del po-tere derivatogli dall’Ordine sacro dioffrire il sacrificio nella persona diCristo, presiede l’assemblea riunita,ne dirige la preghiera, annuncia adessa il messaggio della salvezza, siassocia il popolo nell’offerta del sa-crificio a Dio Padre per Cristo nelloSpirito Santo, distribuisce ai fratelli ilpane della vita eterna e partecipacon essi al banchetto. Pertanto,quando celebra l’Eucaristia, deve ser-vire Dio e il popolo con dignità eumiltà, e nel modo di comportarsi edi pronunziare le parole divine, devefar sentire ai fedeli la presenza vivadi Cristo.10

L’atto del presiedere viene pensa-to come servizio a Dio e al suo popo-lo; un servizio vissuto con dignità eumiltà. Il senso del presiedere si espli-ca dunque nel contesto di queste duerelazioni fondamentali. Viene così li-berato da ogni possibile travisamen-to, legato ad atteggiamenti di auto-referenzialità o di individualismo.Presiedere in questo senso vuol direagire in accordo e non da soli; prepa-rare e prepararsi alla celebrazionecome ad un’azione corale che richie-de la presenza non solo fisica, ma an-che interiore. Gli atteggiamenti di di-gnità e umiltà favoriscono la dedizio-

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ne allo studio e alla conoscenza deicontenuti, della forma, dei motivi edei linguaggi propri della preghieraorale e gestuale.11 La conoscenza dellibro e dell’assemblea vissuta conpassione e dedizione fa gradualmen-te maturare un atteggiamento dipresidenza capace di muoversi tra li-bertà e consapevolezza, apertura evigilanza, nella docilità all’azione ealla presenza pervasiva e trasforma-trice dello Spirito Santo. Insieme alservizio vissuto con dignità e umiltà,nel testo delle premesse sopra indica-to, si può evidenziare l’affermazionesecondo cui il modo di comportarsi edi parlare faccia trasparire e sentirela presenza viva di Cristo. Ciò chiedeun atteggiamento di disciplina affin-ché in ogni momento rituale l’emer-gere dell’“io” possa essere assogget-tato a un atteggiamento di docilità,proprio di chi si sente sempre disce-polo e non maestro. Sovente i prae-notanda dei libri liturgici chiedonoche il gusto di colui che presiede pas-si in secondo piano rispetto al benespirituale dei fedeli. Così a riguardosi esprime l’Ordinamento delle lettu-re della Messa: “Pertanto il sacerdotenel predisporre lo svolgimento dellaliturgia della Parola tenga presentepiù il bene spirituale comune dell’as-semblea, che non il proprio gusto. Siricordi anche che la scelta di questeparti si deve fare insieme con i mini-stri e con le altre persone che svolgo-no qualche ufficio nella celebrazione,senza escludere i fedeli, in ciò che liriguarda direttamente. Il sacerdoteche celebra con la partecipazione delpopolo deve anzitutto preoccuparsidel bene spirituale dei fedeli, evitan-

do di imporre loro i propri gusti.12 Sedunque è giusto esercitare una lea-dership rituale, essa deve saper esse-re sapiente “regia” celebrativa primadel rito e discreta “animazione litur-gica” durante la sua realizzazione.Ciò nella consapevolezza che si pre-siede sempre in funzione della pre-ghiera della Chiesa, al fine di realiz-zare una lode non solo individuale odi gruppo, ma di assemblea di fede,cioè di Chiesa. Per questo, in tuttociò che riguarda la presidenza, occor-re puntare all’alta qualità dell’espe-rienza liturgica in quanto azione diDio in noi e su di noi. Chi presiededeve saper riconoscere e far ricono-scere il primato dell’intervento e del-la potenza di Dio. Da questa “profes-sione di fede” mediante il linguaggiorituale, si può ricavare una viva espe-rienza della bellezza e dell’ordine ar-monico che sono in Dio.13 In un recen-te contributo celebrativo per il 40°della Sacrosanctum Concilium, PieroMarini così evidenziava il senso delpresiedere: “Rifuggendo ogni formadi protagonismo, il presbitero pla-smato dall’autentico spirito della li-turgia presiederà la sinassi “come co-lui che serve” (Lc 22,27), ad immagi-ne di Colui di cui egli è povero segno.Per questo, la qualità della presiden-za liturgica, nella sua forma più altae feconda, andrà ben al di là di unasemplice arte del presiedere, di unmero savoir faire, per divenire princi-pio di comunione, nell’intima consa-pevolezza che l’insieme dei doni del-lo Spirito Santo si trova unicamentenell’insieme della Chiesa. […] La bel-lezza deve lasciare trasparire la pre-senza di Cristo al centro della litur-

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gia, il quale potrà essere più evidentequanto più nelle celebrazioni si potràpercepire contemplazione, adorazio-ne, gratuità e rendimento di grazie.[…] Quale altra realtà della Chiesa èchiamata a coniugare ed esprimere labellezza come lo spazio liturgico el’azione liturgica? Non solo il luogoma anche l’azione, ovvero il gesto, lapostura, il movimento, gli abiti devo-no manifestare armonia e bellezza. Ilgesto liturgico è chiamato ad espri-mere bellezza in quanto è gesto diCristo stesso. La liturgia continueràcosì, anche grazie alla sua bellezza,ad essere fonte e culmine, scuola enorma di vita cristiana”.14 L’esperien-za di presidenza liturgica che sa tene-re viva la consapevolezza di essereespressione della presenza reale diCristo e sa lasciarsi illuminare ed ar-ricchire dal costante dialogo con Dioe con il suo popolo, certamente, nel-la dinamica del simbolo, diviene epi-fania del Signore che nutre e guida ilsuo popolo.

1 SC 5-6.2 SC 7.3 Giovedì Santo, Prefazio della Messa Crismale.4 SC 7.5 Mysterium fidei, 5.6 Idem.7 Giovedì Santo, Prefazio della Messa Crismale.8 Balthasar H.U. v., Benedixit, fregit, deditque. Scritto inedito.9 Ibidem.10 PNMR: Principi e norme per l’uso del Messale Romano, 60.11 Cfr. Genero G., La presidenza nella celebrazione liturgica, in AA. VV., Varcare la soglia, Milano

1994, p. 118.12 OLM: Ordinamento delle letture della Messa, 43.13 Cfr. Genero G., La presidenza nella celebrazione liturgica, in AA. VV., Varcare la soglia, Milano

1994, p. 123.14 Marini P., Il 40° anniversario della Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia, dal sito internet:

www.vatican.va

San Tommaso Becket celebra all’altare,manoscritto, York Minster Library

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1. La molteplice presenza del Signore Gesù

Se, per presenza, si intende gene-ralmente la relazione reale esistentefra due o più esseri, che sono tra lo-ro vicini per qualsiasi titolo e fonda-mento reale, allora tante sono lepresenze reali quanti sono i realifondamenti della vicinanza. E tantopiù reali e perfette sono le presenzequanto più perfetto è il fondamentodella loro relazione di contatto o divicinanza. Ciò vale anche per la pre-senza del Signore.

Che il Signore glorificato sia pre-sente alla sua Chiesa e nella suaChiesa è una verità fondamentaledella nostra fede. Ma egli realizza inmolti modi la sua promessa di esserecon noi sempre, “sino alla fine delmondo” (Mt 28, 20). Egli, il Signorecrocifisso e risorto, è presente nelsuo corpo, il popolo di Dio, perché èpresente là ove due o tre sono riuni-ti in suo nome (cf. Mt 18, 20). È pre-sente nei sacramenti. È presente nel-la lettura della Sacra Scrittura e nel-l’annuncio del vangelo. È presentenel ministro della celebrazione litur-gica. In altro modo è presente anchenei poveri e in coloro che soffrono(cf. Mt 25, 40).

La presenza eucaristica è sì legataalle altre forme di presenza, ma èdel tutto speciale: infatti nel sacra-mento dell’eucaristia Gesù Cristo, ve-ro Dio e vero uomo, è pienamente e

interamente presente con il suo cor-po e sangue sotto il segno del panee del vino.

Anche le altre forme “ecclesiali” dipresenza sono reali: è presente Cristo,glorioso e vivente (e proprio per que-sto può realizzare questa multipresen-za misteriosa di sé). Ma il modo dipresenza eucaristica è veramente su-blime, ben più grande e misteriosodegli altri. Infatti nell’eucaristia è pre-sente Cristo “intero” con la sua divi-nità e con la sua umanità, e quindi an-che con il suo corpo e sangue. È pre-senza reale e sostanziale. È la presen-za più perfetta.

2. La presenza nella liturgia

La presenza di Cristo, fondamental-mente unica, perché presenza dell’u-nico Signore, si realizza dunque conmolteplicità di modi, essendo vari i se-gni ricorrenti nelle azioni liturgiche:l’assemblea, il ministro, la proclama-zione della parola, la preghiera, glielementi che costituiscono i sacramen-ti e i sacramentali.

Il segno fondamentale di base èl’assemblea liturgica: comunità di fe-deli, gerarchicamente costituita, chesi riunisce legittimamente in un datoluogo per un’azione liturgica, e nellaquale si realizza una particolare pre-senza salvifica di Cristo. Cristo è giàpresente con la grazia nei fedeli chevengono all’assemblea liturgica, ma

Cristo è presente nell’Eucaristia di mons. Renzo Gerardi

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il riunirsi insieme nel nome di Gesùproduce, in virtù della comune fedee carità, una intensificazione dellapresenza di Cristo in loro. Già i sin-goli cristiani sono templi di Dio. L’as-semblea che li riunisce è in modoparticolare il tempio di Dio, il tempiodel nuovo culto.

Cristo, ministro principale e invisi-bile dei sacramenti, è specialmentepresente nella persona del ministro,suo segno, strumento e vicario. Anzi,è proprio la presenza dei ministri ge-rarchici a dare il volto vero e comple-to all’assemblea liturgica, in quantoessi soltanto realizzano liturgicamen-te la presenza di Cristo come Capodella Chiesa.

Cristo è poi presente nella parolache viene proclamata: “giacché è luiche parla, quando nella Chiesa si leg-ge la Sacra Scrittura” (SC 7). La pro-clamazione è un memoriale, un an-nunzio efficace, nel quale la realtàannunziata è resa presente: la parolaè segno efficace della presenza ope-rativa di Cristo.

Cristo e il suo Spirito sono presentiin ogni preghiera del cristiano, fattain privato ma soprattutto in comune(cf. Mt 18, 20). Vi è pertanto una par-ticolare presenza nella preghiera litur-gica e specialmente nella liturgia delleore, preghiera pubblica e comune delpopolo di Dio.

Cristo è presente con la sua virtùnei sacramenti, “di modo che quandouno battezza è Cristo stesso che bat-tezza” (SC 7). I sacramenti vanno con-siderati nell’ambito del sacramentofondamentale e fontale che è Cristo,come sua estensione a tutti i tempi,attualizzazione del mistero pasquale.

Ma nel sacramento eucaristico lapresenza operativa di Cristo è diretta-mente legata con la sua presenza so-stanziale sotto le specie del pane e delvino. È una presenza specialissima, rea-le e sostanziale: perché in essa “Cristo,Uomo-Dio, tutto intero si fa presente”(PAOLO VI, Mysterium Fidei, 20).

3. È presenza “spirituale”

La presenza di Dio in noi, figlisuoi nella Chiesa, è realizzata dalloSpirito, inabitante come Dono. E sen-za di lui, Dono increato a noi confe-rito dal Padre attraverso il Cristo glo-rificato, la nostra umana attività nonpotrebbe mai dirigersi verso Dio, daadorare e da amare.

Cristo Signore, con la forza crea-trice e soave del suo Spirito, nel bat-tesimo ci introduce nel mistero pa-squale e ce ne rende partecipi, unen-doci al Padre, per amarlo e servirloanche nei nostri fratelli.

La presenza di Cristo è, dunque,una presenza “spirituale”, resa possibi-le in tutta la sua realtà dallo SpiritoSanto, mediante i gesti sacramentalidella Chiesa, che “ripresenta” al Padrel’offerta del Figlio mediante il ministe-ro sacerdotale. In tale atto la Chiesa fasua realmente, nello Spirito, l’intenzio-ne di Cristo nel donare la sua vita alPadre e nel riceverla di nuovo da lui.

4. Il convito eucaristico, memoriale del sacrificio

I primi cristiani erano consapevoliche, quando si riunivano assieme per

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il sacro convito, celebravano la “cenadel Signore”, sapendo di obbedire alcomando di Gesù: “prendete... man-giate... bevete... in memoria di me”.

Essendo l’aspetto conviviale quellopercepibile più immediatamente, lefonti dei primi secoli hanno presenta-to l’eucaristia quasi esclusivamente co-me cibo e bevanda spirituale, comealimento che nutre le anime e bevan-da che inebria il cuore.

La finalità del convito sacro è quel-la di essere per l’unità del Corpo diCristo: “poiché c’è un solo pane, noi,pur essendo molti, siamo un solo cor-po; tutti infatti partecipiamo dell’uni-co pane” (1 Cor 10, 17). Sulla stessa li-nea si pongono le riflessioni della Di-dachè e di Cipriano. Come il pane del-l’eucaristia è un unico pane, pur es-sendo il risultato di molti chicchi digrano, così tutti coloro che mangianoil Corpo del Signore formano un unicocorpo in Cristo.

La via per raggiungere tale finalitàè quella del sacrificio: il convito euca-ristico è sacrificale, perché per mezzodi esso si partecipa al sacrificio che Cri-sto offrì “per noi” al Padre morendosulla croce. L’eucaristia succede ai sa-crifici vetero-testamentari e realizza laprofezia di Malachia (1,11); Cristo Ge-sù, donando il pane e il vino agli apo-stoli, indica l’offerta della nuova al-leanza, quella che egli realizza sacrifi-cando il proprio corpo e versando ilproprio sangue. È il sacrificio di Cristoche dà al convito sacro dell’eucaristiatutto il suo significato.

“La Messa rende presente il sacrifi-cio della Croce, non vi si aggiunge enon lo moltiplica. Quello che si ripeteè la celebrazione memoriale, l’“osten-

sione memoriale” di esso, per cui l’u-nico e definitivo sacrificio redentoredi Cristo si rende sempre attuale neltempo” (GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia deEucaristia, 12).

Secondo la narrazione dei vangelisinottici e di Paolo, Gesù prese il panee il vino e, donandoli ai suoi, disse:“Questo è mio corpo”, “questo è mio

L’Eucaristia, sec. XIV, Galatina, Basilica S. Caterina d’Alessandria

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sangue”. Perché queste espressionisiano vere, bisogna per forza ammet-tere che il pane non sia più semplice-mente pane, e il vino non più sempli-cemente vino; le parole hanno opera-to un cambiamento . Commentasant’Agostino: “Ciò che vedete, caris-simi, nella mensa del Signore, è panee vino; ma questo pane e questo vi-no, aggiungendovi la parola, diventa-no corpo e sangue di Cristo. Se toglila parola, è pane e vino; aggiungi laparola, è già un’altra cosa. E quest’al-tra cosa è corpo e sangue di Cristo.Leva la parola, ed è pane e vino; ag-giungi la parola, e diventa sacramen-to. A tutto ciò voi dite: Amen. Direamen è sottoscrivere. Amen significa‘è vero’” (Sermo 6, 3). E sant’Ambro-gio: “La parola di Cristo, che poté dalnulla fare ciò che non esisteva, nonpuò forse mutare le cose che esistonoin ciò che prima non erano? E forseche sarebbe da meno dare alle cosela propria natura, che mutargliela?”(De mysteriis 9, 52).

5. Il mutamento della sostanza

La presenza del Signore nell’eucari-stia non è una semplice presenza ope-rativa di Cristo. Solo nel sacramentoeucaristico si realizza quella particola-re trasformazione, chiamata transu-stanziazione.

Il Concilio di Trento chiama così (dallatino trans-substantiatio = cambia-mento di sostanza) il mutamento o la“conversione” della sostanza del panenella sostanza del corpo, e della sostan-za del vino in quella del sangue di Cri-sto. È un cambiamento singolare (cioè

unico) e mirabile (cioè misterioso). È il“mistero della fede” per eccellenza.

A cambiare è la “sostanza”: cioè larealtà del pane e del vino, come vieneintuita immediatamente nella comuneesperienza umana, valida per tutti gliuomini e in tutti i tempi. Poiché il panesi manifesta a noi come una realtà di-stinta dalle altre e dotata di proprietàcaratteristiche, ci deve pur essere unaragione oggettiva di ciò, ci deve essereinsomma qualcosa che costituisce lasua “natura”, meglio, la sua “sostan-za” (sub-stantia), ciò che “sta sotto” aciò che appare: l’essere proprio del pa-ne, che lo distingue dal resto che panenon è. Altrettanto dicasi per il vino.

Dal punto di vista fisico e chimico,pane e vino sono gli stessi di prima aconsacrazione avvenuta: rimangono lespecie del pane e vino, che sono il se-gno sacramentale; il cambiamento ri-guarda il piano ontologico, non speri-mentale, e solo la fede può affermareche esso è avvenuto.

La presenza delle “specie” non de-ve portare in errore, quasi che Gesùsia nascosto da esse, come da una spe-cie di velo, o sia contenuto in esse co-me in un vaso. Cristo non è “nel” pa-ne, né “con il” pane, come hannopensato alcuni teologi, e come talorasi dice. La sostanza del pane e quelladel vino non sono più dopo la consa-crazione, essendo avvenuta la “tran-sustanziazione”.

Tale cambiamento è una realtà diordine sacramentale: lo Spirito trasfor-ma gli elementi materiali, perché sianovita del cristiano. Pane e vino diventa-no segni eucaristici, perché noi, assu-mendoli, ci trasformiamo nel Signore:ci uniamo a lui e cresciamo in lui.

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A differenza degli altri sacramenti,che esistono solamente nell’atto transi-torio della loro amministrazione a unsoggetto che li riceve, l’eucaristia è co-stituita con l’invocazione dello Spirito ela consacrazione, prima ancora di esse-re ricevuta. Infatti gli altri sacramentiproducono solamente la santità, men-tre l’eucaristia contiene il Signore stes-so, autore della santità. L’acqua del bat-tesimo, anche se solennemente bene-detta, non riceve lo Spirito Santo e nonha nessuna virtù santificatrice se nonnel momento in cui il ministro vi im-merge il catecumeno. Invece la presen-za sostanziale di Cristo nell’eucaristia ri-mane finché sussistono le specie, ed è laloro decomposizione a comportare lacessazione della presenza di Cristo.

6. È presenza “totale”

Non occorre una quantità conside-revole di pane e vino, per ricevererealmente Cristo; inoltre “chi ne man-gia, non lo spezza, né separa, né divi-de: intatto lo riceve. Siano uno, sianomille, ugualmente lo ricevono: mai èconsumato... Quando spezzi il sacra-mento, non temere, ma ricorda: Cristoè tanto in ogni parte, quanto nell’in-tero. È diviso solo il segno, non si toc-ca la sostanza; nulla è diminuito dellasua persona” (Sequenza della solen-nità del SS. Corpo e Sangue di Cristo).

Cristo è presente tutto quanto sot-to ciascuna specie: Cristo risorto, infat-ti, non muore più, e perciò il suo cor-po e sangue non possono più venireseparati realmente.

È vero che la consacrazione del pa-ne, per effetto delle parole, è segno ef-

ficace solo del corpo del Signore: ma es-sendo il corpo ormai inseparabile dalsuo sangue, col corpo è presente ancheil sangue “per concomitanza”.

Così avviene anche per la specie delvino, in cui è presente il sangue in for-za delle parole, e il corpo “per conco-mitanza”.

E in entrambe le specie è presenteCristo con l’anima, inseparabile dalcorpo, e con la sua divinità, unita persempre all’umanità. Perciò all’eucari-stia si rende il culto di adorazione, es-sendo presente il Signore, Figlio delDio vivente, dal momento della consa-crazione fino a quando perdurano lespecie, anche dopo la fine della mes-sa, allorché viene conservata l’eucari-stia soprattutto per la comunione aimalati e per il viatico.

Sotto i segni del pane e vino il Si-gnore offre come cibo la sua carne e ilsuo sangue, cioè tutto se stesso, pertutti. Allorché egli dice “Questo è ilmio Corpo dato, questo è il mio San-gue versato”, egli intende dire: que-sto sono Io nel dono di me stesso, nel-la mia immolazione per voi. Così simanifesta come “il pane vivo discesodal cielo” (Gv 6, 51). E chi mangiaquesto pane rimane in lui, e vivrà persempre (cf. Gv 6, 58).

È una presenza d’amore. Forma vi-sibile della sua risurrezione nel mon-do. Sacramento della testimonianzache la Chiesa deve dare della risurre-zione. Sacramento delle realtà finali,quelle del Regno dell’eternità. DelloSpirito, che è il bene escatologico,l’eucaristia è il sacramento per eccel-lenza. Il giudizio è già pronunziato,un giudizio di vita eterna per chi acco-glie il Signore, e ne fa la propria vita.

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Dopo aver tracciato, a grandi linee,la storia della salvezza, l’art. 7 della SCpassa all’attualità. Oggi, nel tempodella Chiesa, gli eventi che costituisco-no la storia salvifica, gli eventi cioè neiquali Dio opera, sono le azioni sacra-mentali. E sono avvenimenti di salvez-za, non perché li fanno gli uomini, maperché in essi agisce Cristo stesso.

Anche se non in questo contestodi storia salvifica, già l’Enciclica diPio XII Mediator Dei aveva parlato diquattro modi di presenza di Cristonella liturgia (il Concilio vi ha ag-giunto il quinto: nella Parola). Qui,io mi fermo a considerare la presen-za di Cristo nei sacramenti.

Il testo dice: “[Cristo] è presentecon la sua virtù nei sacramenti, per-ché quando Pietro battezza, è Cristoche battezza”. È chiaro che qui ilbattesimo è un esempio, perché ciòvale per tutti i sacramenti.

Abbiamo sempre saputo che coluiche celebra un sacramento (sacerdoteo laico che sia) è soltanto un ministro,uno strumento che opera all’esternoin modo sensibile. Ma chi producel’effetto all’interno? I segni sacramen-tali sono “efficaci”, cioè realizzanoquello che significano, perché quei se-gni rendono presente la potenza diCristo. La Chiesa non fa altro che invo-care questa presenza efficace.

Se vogliamo citare un testo bibli-co per esprimere il pensiero della SC,possiamo ricorrere a san Paolo che,

in 1 Cor 3, 6, afferma: “Io ho pianta-to, Apollo ha irrigato, ma è Dio cheha fatto crescere. Ora né chi pianta,né chi irriga è qualche cosa, ma Dioche fa crescere”.

Che poi Cristo sia presente neltempo della Chiesa, lo ha affermatoegli stesso a più riprese: “io sono convoi tutti i giorni, sino alla fine delmondo”, “dove sono due o tre riuni-ti nel mio nome, io sono là, in mezzoa loro”. E quanto all’efficacia dellapreghiera della Chiesa, Gesù dice:“quello che chiederete al Padre nelmio nome, io lo farò”.

Nella celebrazione dei sacramenti,ciò che costituisce il centro è infattiuna preghiera. La Chiesa come comu-nità visibile e ordinata, per bocca delministro competente, rivolge a Diouna preghiera anamnetica ed epicleti-ca, concludendo sempre “per Cristonostro Signore”. Tale preghiera è sem-pre ascoltata, per la fede della Chiesanella promessa di Cristo, indipenden-temente dalla dignità o indegnità delsingolo ministro. È quello che in teolo-gia si esprime quando si dice che i sa-cramenti agiscono “ex opere opera-to”, cioè non in forza della capacitàdel ministro, ma in forza di ciò cheCristo ha fatto. (Notate che ha detto“indipendentemente dal… ministro;non ho detto “indipendentementedalle disposizioni del soggetto che ri-ceve i sacramenti. E mi spiego: se unsacerdote indegno mi dà l’assoluzione

Cristo è presente… nei sacramentidi p. Ildebrando Scicolone, osb

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sacramentale, io sono perdonato, per-ché non è lui, ma è Cristo che perdo-na; ma se io non sono pentito, non so-no nemmeno assolto!).

Il testo conciliare, a proposito nellapresenza di Cristo nei sacramenti, pre-cisa un modo, quando dice: “è presen-te con la sua virtù”, cioè con la suapotenza. Questa “potenza” che in la-tino si dice virtus e in greco dynamis,indica chiaramente lo Spirito Santo(cf. tanti testi nel Vangelo di Luca enegli Atti). Ancora il Canone romano,che ha una epiclesi “implicita”, invocalo Spirito Santo con queste parole:“santifica, o Dio, quest’offerta con lapotenza della tua benedizione”.

Qualcuno ha fatto osservare checiò che il Concilio dice della presenzadi Cristo, si può ugualmente dire dellapresenza e dell’azione dello SpiritoSanto. Cristo infatti è oggi e semprepresente nella sua Chiesa “per mezzodel Suo Spirito che abita in noi”. Con-frontiamo due passaggi della benedi-zione dell’acqua nella veglia pasqualeo nel rito del battesimo:

- Infondi in quest’acqua, per operadello Spirito Santo, la grazia del tuounico Figlio.

- Discenda, Padre, in quest’acqua,per opera del tuo Figlio, la potenzadello Spirito Santo.

Vedete come i “ruoli” sono inter-cambiabili?

La fede della Chiesa nell’azione diCristo e dello Spirito si esprime spes-so con esplicite formule “apologeti-che” del ministro, che proclama lasua indegnità. Nelle ordinazioni sa-cerdotali, il vescovo chiedeva a Dio:“quello che la nostra umiltà compie

all’esterno, tu realizzalo all’internocon la tua potenza”.

E torniamo al Battesimo. La bene-dizione dell’acqua inizia così: “ODio, per mezzo dei segni sacramen-tali, tu operi con invisibile potenza lemeraviglie della salvezza”. E ricor-dando i diversi tempi e modi neiquali l’acqua è stata protagonista disalvezza, ci si rivolge sempre a Dio,come Colui che ha “preparato”,“prefigurato”, “liberato”.

Nella Confermazione, il Vescovo in-voca lo Spirito settiforme, e la Chiesaè talmente certa che lo Spirito invoca-to viene, che il Vescovo afferma “Rice-vi il sigillo dello Spirito Santo che ti èdato in dono”.

Il Sacramento della Cresima, sec. XIV, Galatina,Basilica S. Caterina d’Alessandria

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Nella celebrazione eucaristica è Cristoche ogni giorno viene riconosciuto nellospezzare il pane. Altra volta abbiamonotato come il Canone romano ha quel-la “perla”, dove dice: “allo stesso modo,dopo aver cenato, [Cristo] prese questoglorioso calice”. Come si possono acco-stare un verbo passato (prese) e un di-mostrativo presente (questo) ? Semplice-mente con la fede che è Cristo presentenella liturgia della Chiesa, e che il mini-stro agisce “in persona Christi”.

Nella celebrazione della Riconcilia-zione, oltre alla formula di assoluzio-ne, si può dire ancora una formula dibenedizione che esprime la presenzae l’azione della Pasqua di Cristo: “LaPassione [o la Pasqua] di Nostro Signo-re Gesù Cristo, l’intercessione dellaBeata Vergine Maria e di tutti i Santi,ciò che di bene hai fatto e il male chehai sopportato, ti siano come rimediodei peccati, aumento della grazia epremio della vita eterna”.

Nel sacramento dell’Unzione degliInfermi, la formula esprime chiara-mente che il sogetto agente è “il Si-gnore”: “Per questa santa unzione ela sua piissima misericordia, ti aiuti ilSignore con la grazia dello SpiritoSanto e, liberandoti dai peccati, ti sal-vi e nella sua bontà ti sollevi”.

Abbiamo già ricordato il sacra-mento dell’Ordine. L’imposizionedelle mani e la preghiera consacrato-ria esprimono chiaramente la pre-senza dell’azione di Cristo per mezzodei suo Spirito. Queste mani, che divescovo in vescovo, si succedono neltempo, risalgono agli apostoli che ri-cevettero da Gesù risorto “ogni po-tere in cielo e in terra”.

Una parola sul sacramento del Ma-trimonio. Ministri sono gli sposi: an-che se fossero in peccato, non riceve-rebbero la grazia, ma il matrimoniosarebbe valido. Purtroppo il rito vienevisto solo nel reciproco consenso. Biso-gna valorizzare maggiormente la so-lenne preghiera di benedizione degliSposi (prevista prima della comunioneeucaristica, ma che si potrebbe antici-pare). In essa si invoca “benedizionesu benedizione”. Speriamo da tempoche arrivi la traduzione italiana delnuovo rito, che esplicitamente chiedelo Spirito Santo sugli sposi. E’ lui infat-ti il fuoco che di due pezzi di cera nefa uno solo; è lo Spirito e la sposa cheinvocano “Vieni, Signore Gesù!”.

Il Sacramento del Matrimonio, sec. XIV, Galatina,Basilica S. Caterina d’Alessandria

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L a Chiesa pellegrina sulla terramantiene viva la comunionecon Dio Trinità e la comunione

tra i fedeli stessi, attraverso la Parolaed i Sacramenti, soprattutto l’Eucari-stia. Non a caso il termine comunioneè diventato uno dei nomi specifici diquesto sacramento. “L’Eucaristia ap-pare dunque come culmine di tutti iSacramenti nel portare a perfezione lacomunione con Dio Padre mediantel’identificazione col Figlio Unigenitoper opera dello Spirito Santo”. Al rap-porto tra Eucaristia e comunione ec-clesiale è dedicato il quarto capitolodella Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Il Papa sottolinea come siaopportuno coltivare nell’animo il co-stante desiderio del Sacramento euca-ristico, sia attraverso la pratica della“comunione spirituale”, sia con la ce-lebrazione dell’Eucaristia, che consoli-da e porta a perfezione la comunione.

Non basta tuttavia solo la fede pervivere una autentica comunione con ilPadre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma“occorre perseverare nella grazia santi-ficante e nella carità, rimanendo in se-no alla Chiesa col ‘corpo’ e col ‘cuore’;occorre cioè, per dirla con le parole disan Paolo, ‘la fede che opera per mez-zo della carità’. L’integrità dei vincoliinvisibili è un preciso dovere moraledel cristiano che vuole partecipare pie-namente all’Eucaristia comunicando alcorpo e al sangue di Cristo.” Il Papaquindi, richiamando anche il Catechi-smo della Chiesa Cattolica, ribadisce

“che vige e vigerà sempre nella Chiesala norma con cui il Concilio di Trentoha concretizzato la severa ammonizio-ne dell’apostolo Paolo affermandoche, al fine di una degna ricezione del-l’Eucaristia, si deve premettere la con-fessione dei peccati, quando uno èconscio di peccato mortale”. Su questoargomento viene anche sottoli-neato lo stretto legame fra idue Sacramenti della Peniten-za e dell’Eucaristia: “Se l’Euca-ristia rende presente il Sacrifi-cio redentore della Croce per-petuandolo sacramentalmente, ciò si-gnifica che da essa deriva un’esigenzacontinua di conversione, di rispostapersonale all’esortazione che san Paolorivolgeva ai cristiani di Corinto: ‘Vi sup-plichiamo in nome di Cristo: lasciateviriconciliare con Dio’. Se poi il cristianoha sulla coscienza il peso di un peccatograve, allora l’itinerario di penitenzaattraverso il sacramento della Riconci-liazione diventa via obbligata per acce-dere alla piena partecipazione al Sacri-ficio eucaristico”.

L’Eucaristia è suprema manifesta-zione sacramentale della comunionenella Chiesa, pertanto esige di esserecelebrata in un contesto in cui anche ilegami esterni di comunione siano in-tegri. In modo speciale devono esserereali i vincoli della comunione nei Sa-cramenti, particolarmente nel Battesi-mo e nell’Ordine sacerdotale: “Non èpossibile dare la comunione alla per-sona che non sia battezzata o che ri-

Ecclesia de Eucharistia (5) di Stefano Lodigiani

Testi edocumenti

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fiuti l’integra verità di fede sul Miste-ro eucaristico. Cristo è la verità e ren-de testimonianza alla verità; il Sacra-mento del suo corpo e del suo sanguenon consente finzioni”.

Sottolineando ancora lo stretto le-game tra Eucaristia e comunione eccle-siale, il Papa ricorda che “il Sacrificioeucaristico, pur celebrandosi sempre inuna particolare comunità, non è maicelebrazione di quella sola comunità:essa, infatti, ricevendo la presenza eu-caristica del Signore, riceve l’intero do-

no della salvezza e si manifestacosì, pur nella sua perduranteparticolarità visibile, come im-magine e vera presenza dellaChiesa una, santa, cattolica edapostolica. Deriva da ciò che

una comunità veramente eucaristicanon può ripiegarsi su se stessa, quasifosse autosufficiente, ma deve mante-nersi in sintonia con ogni altra comu-nità cattolica”. La comunione ecclesialedell’assemblea eucaristica è comunionecol proprio Vescovo, che è principio visi-bile e fondamento dell’unità nella suaChiesa particolare, e col Romano Ponte-fice, perpetuo e visibile principio e fon-damento dell’unità sia dei Vescovi siadella moltitudine dei fedeli.

L’Eucaristia “crea comunione” ed“educa alla comunione”: “san Paoloscriveva ai fedeli di Corinto mostrandoquanto le loro divisioni, che si manife-stavano nelle assemblee eucaristiche,fossero in contrasto con quello che ce-lebravano, la Cena del Signore. Conse-guentemente l’Apostolo li invitava a ri-flettere sulla vera realtà dell’Eucaristia,per farli ritornare allo spirito di comu-nione fraterna.” La peculiare efficacianel promuovere la comunione, propria

dell’Eucaristia, è uno dei motivi dell’im-portanza della Messa domenicale: sulleragioni che la rendono fondamentaleper la vita della Chiesa e dei singoli fe-deli il Papa rimanda alle due Lettereapostoliche, sulla santificazione delladomenica (Dies Domini) e sul program-ma spirituale per il terzo millennio (Novo millennio ineunte).

Uno degli argomenti che il SantoPadre considera di particolare rilievosul tema della comunione ecclesiale, èquello legato all’impegno ecumenico.Negli ultimi decenni infatti è cresciutoil desiderio ardente dell’unità fra tutti icristiani e proprio “l’aspirazione versola meta dell’unità ci sospinge a volgerelo sguardo all’Eucaristia, la quale è ilsupremo Sacramento dell’unità del Po-polo di Dio, essendone l’adeguataespressione e l’insuperabile sorgente”.A questo proposito viene ribadita “l’in-derogabile esigenza della completa co-munione nei vincoli della professionedi fede, dei Sacramenti e del governoecclesiastico” per concelebrare la stessaliturgia eucaristica, che altrimenti “nonsarebbe un mezzo valido, e potrebbeanzi rivelarsi un ostacolo al raggiungi-mento della piena comunione… Il cam-mino verso la piena unità non può farsise non nella verità”. Se in nessun casoè legittima la concelebrazione in man-canza della piena comunione, non ac-cade lo stesso rispetto all’amministra-zione dell’Eucaristia, in circostanze spe-ciali, a singole persone appartenenti aChiese o Comunità ecclesiali non inpiena comunione con la Chiesa cattoli-ca. “In questo caso, infatti, l’obiettivo èdi provvedere a un grave bisogno spiri-tuale per l’eterna salvezza di singoli fe-deli. (continua)

Testi edocumenti

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Breve introduzione ai termini

L’ecumenismo, si dice, è in crisi, e for-se è anche un po’ vero, e la crisi ha ge-nerato nel mondo cattolico un certo ca-lo di interesse per l’Oriente cristiano e lesue istituzioni. L’epoca degli incontri edei grandi gesti che caratterizzarono ildopo-Vaticano II sembra ormai lontana,mentre da una parte e dall’altra qualcu-no è giunto a chiedersi se quelle espe-rienze erano davvero espressione di unsincero spirito ecumenico. Certamenteoggi ci troviamo all’interno di un qua-dro socio-religioso profondamente di-verso. Negli anni Sessanta del secolo ap-pena trascorso, molto dell’ecumenismoche si faceva era piuttosto un desideriodi fare ecumenismo, perché in realtàmancavano gli interlocutori. I responsa-bili delle Chiese cristiane, è vero, si in-contravano, ma non si poteva parlare diun reale coinvolgimento delle comunitàda essi rappresentate. Metà dell’Europa(e questo vuol dire la quasi totalità delleChiese ortodosse) era sotto un regimepolitico ateo e repressivo nei confrontidella religione e l’unico ecumenismo co-nosciuto da quelle parti, certamente dalpunto di vista spirituale il più produtti-vo, era la ritrovata comunione e solida-rietà dei cristiani nella sofferta testimo-nianza al nome di Cristo. Poi il Muro ècaduto e le frontiere hanno ceduto allapressione di tanta gente che cercava ecerca in Europa Occidentale migliorefortuna e dignità di vita. E con il Muro èanche caduto un modo di fare ecumeni-smo che ignorava, da una parte e dal-

l’altra, i grandi problemi irrisolti nel dia-logo tra Cattolici e Ortodossi, quali p. es. il cosiddetto “Uniatismo” o il rico-noscimento dei sacramenti.

Nonostante il calo di interesse cui hofatto cenno, dovuto anche a una gene-rale tendenza all’individualismo, credoche una rinnovata attenzione all’Orien-te cristiano trovi oggi motivazioni pa-storali e anche ecumeniche piùfondate rispetto agli interessiun po’ troppo intellettuali de-gli anni Sessanta. Infatti, da al-cuni anni la presenza dell’O-riente cristiano a Roma ha co-nosciuto uno sviluppo senzaprecedenti, ponendo una serie di pro-blemi che vanno affrontati da tutti noicon sensibilità e preparazione. Bastipensare ai matrimoni misti tra Cattolicied Ortodossi, al diverso iter di Iniziazio-ne cristiana dei bambini anche nelleChiese orientali cattoliche, per non par-lare di altri problemi canonici più com-plessi.

Iniziamo allora il nostro camminodentro l’Oriente Cristiano e le sue Litur-gie cominciando con alcune domandeche intendono stimolare una riflessionesu termini ormai di uso comune.

1. Chiesa o “rito”?

Alla domanda “a quale religioneappartieni?”, se rivolta a un romano oa un milanese, la risposta più probabi-le sarà: “sono cattolico”, oppure, piùsemplicemente: “sono cristiano”. A

Chiesedell’orientecristiano

Le liturgie delle chiese orientali di Stefano Parenti

FORMAZIONE LITURGICA

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nessuno dei due, probabilmente, ver-rebbe mai in mente di dichiarare: “so-no cattolico di rito romano” oppure“sono cattolico di rito ambrosiano”.Un ortodosso farebbe esattamente lastessa cosa e troverebbe superfluo, senon ridicolo, autodefinirsi “cristiano dirito bizantino”. Eppure tanto spesso sisente parlare di riti orientali (armeno,alessandrino, bizantino, ecc.) quasi fos-sero il corrispondente speculare dei ritioccidentali (romano, ambrosiano, mo-zarabico, ecc.). Cerchiamo di vedercipiù chiaro.

Il rito liturgico è espressionee patrimonio della Chiesa chelo ha generato e nel cui àmbi-to teologico, storico e discipli-nare si è sviluppato. Il rito ro-mano è proprio della Chiesa di

Roma, delle Chiese locali in Eu-ropa che hanno scelto di seguirne la tra-dizione, e dei popoli che dalla Chiesa diRoma sono stati evangelizzati. Il cristia-nesimo infatti non è un’idea, ma un’e-sperienza legata alla cultura religiosa dichi lo trasmette. Allo stesso modo il ritobizantino è proprio della Chiesa di Co-stantinopoli, come delle Chiese che daCostantinopoli hanno ricevuto l’annun-cio del Vangelo o che sono entrate a farparte del suo patriarcato: parte dell’Eu-ropa Orientale, Balcani e, per un perio-do, parte dell’Italia Meridionale.

La sciagurata interruzione della co-munione ecclesiale tra Roma e Costanti-nopoli, iniziata nel 1054, ma consolida-tasi in maniera irreversibile soltanto nelXV secolo dopo il fallimento del Conci-lio unionista di Firenze (1439), ha di fat-to “confessionalizzato” le tradizioni li-turgiche con la conseguenza che il ritoromano è divenuto la manifestazione

orante della Chiesa romano-cattolica e ilrito bizantino di quella ortodossa.

I problemi sono iniziati dopo il Con-cilio di Trento, quando vescovi cattolicidi Campania, Basilicata, Puglia, Calabriae Sicilia, ormai obbligati al dovere dellevisite pastorali, scoprirono che nel loroterritorio vi erano numerose comunitàdi cristiani ortodossi, discendenti deiprofughi albanesi immigrati in Italia unsecolo prima (la storia si ripete…), che siriconoscevano fedeli del patriarca di Co-stantinopoli, puntualmente commemo-rato nelle celebrazioni liturgiche. La ge-rarchia cattolica, coerentemente conl’antico principio ecclesiologico che nonammetteva doppia giurisdizione episco-pale sullo stesso territorio, consideròquesti fedeli cattolici de facto, ma, co-me si diceva allora, di rito greco — oggisi direbbe di rito bizantino ma la sostan-za è la stessa. In poche parole i cristianiortodossi italo-albanesi venivano equi-parati ai cristiani cattolici di rito non ro-mano, come i lombardi di rito ambrosia-no. Ma a ben vedere il parallelo non èper niente calzante perché, a differenzadella Chiesa di Costantinopoli, la Chiesamilanese ha sempre fatto parte del pa-triarcato romano.

Dunque l’espressione “fedele di ri-to...” non può e non deve usarsi riferitoai membri di una Chiesa ortodossa o diuna Chiesa orientale cattolica perché af-fermare la propria appartenenza allaChiesa greca (ortodossa) o all’Esarcato(cattolico) di Grottaferrata implica giàl’esercizio del rito bizantino. È correttoinvece usarlo nei confronti di fedeli cat-tolici di queste Chiese che risiedono sta-bilmente in circoscrizioni di altra tradi-zione, p. es., i fedeli di rito ... della dio-cesi di Roma.

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2. Liturgie orientali o ortodosse?

In un mondo votato alla globalizza-zione le nostre categorie di Oriente eOccidente corrono il rischio di non esse-re ben comprese. Noi cristiani infatticontinuiano a usare una terminologiache risale alla divisione tardo-antica del-l’Impero romano in impero d’Oriente ed’Occidente, quasi dimenticando che inestremo Oriente i giapponesi cattolicicelebrano in rito romano e in piena Eu-ropa mediterranea i greci ortodossi ce-lebrano in rito bizantino, consideratoufficialmente un rito “orientale”. Il crol-lo dei regimi totalitari in Europa centro-orientale e l’emigrazione in massa di cri-stiani del Medio Oriente verso Stati Uni-ti, Canada e Australia ci costringe final-mente a ripensare vecchie terminologieormai vuote di significato. È difficilepensare che oggi un discendente dellaprima immigrazione ucraina negli StatiUniti si consideri, anche ecclesialmente,un “orientale”!

Più semplicemente, all’interno delletradizioni definite globalmente “orien-tali”, bisogna ricordare che la tradizionebizantina presenta tratti più nettamen-te europei rispetto alle tradizioni arme-na, copta, etiopica o siriaca, che rifletto-no una mentalità tipicamente orientale.

Come nella Chiesa romano-cattolicaa volte si sente parlare, in particolarenegli incontri ecumenici, di “Liturgiacattolica” intendendo con questo termi-ne una celebrazione in rito romano, an-che nella Chiesa ortodossa spesso si par-la di “Liturgia ortodossa”. Ricordo anzi

che, tempo addietro, uno studente miriprese durante una lezione per averparlato di “Liturgia ortodossa” riferen-domi all’anafora bizantina detta di sanGiovanni Crisostomo. Egli obiettava chenon era giusto definire “ortodossa”un’anafora celebrata anche nelle Chieseorientali cattoliche, a una delle quali lostudente apparteneva.

Certamente il termine “ortodosso”(lett. seguace di una retta dottrina) oggiha assunto in ambito cristiano un valoreprettamente confessionale, ma non biso-gna dimenticare che, ad ecce-zione del solo monastero diGrottaferrata, fondato mentrele Chiese di Roma e Costantino-poli erano in piena e visibile co-munione, tutte le altre Chieseorientali cattoliche hanno ade-rito alla Chiesa di Roma, firman-do o meno una carta d’unione, nel XVIsecolo. A quell’epoca la tradizione bizan-tina aveva terminato da più di un secolola propria evoluzione all’interno delle ri-spettive Chiese locali ortodosse. Quindi èdel tutto corretto affermare che anche leChiese orientali cattoliche celebrano, al-meno teoricamente, una Liturgia orto-dossa. Ho detto teoricamente perché neifatti molte Chiese orientali cattolichehanno modificato, anche profondamen-te, in senso occidentale e spesso tridenti-no, il proprio patrimonio liturgico, e purmeritando rispetto e stima come ogniChiesa cristiana, attualmente non posso-no essere considerate, tranne notevolieccezioni, rappresentanti autentiche del-la loro tradizione originaria.1

Chiesedell’orientecristiano

1 Approfondimenti bibliografici: S. Parenti, voci Bizantina, Liturgia e Orientali, Liturgie, inLiturgia. Dizionari San Paolo, S. Paolo editrice, Cinisello Balsamo 2001, pp. 1385-1403,283-296.

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D io ci ha raccomandato di mette-re fine alle nostre lotte e divisio-ni e di perdonare le ingiurie,

non perché lui ha bisogno di queste co-se, ma perché esse sono un beneficioper noi. Colui che perdona i peccati deisuoi vicini riceverà lui stesso il perdonoda Dio in accordo con le promesse delSalvatore. Egli ci offre una via facile per

superare tutti i nostri peccati,così come afferma il Vangelo diLuca: “Perdona e sarai perdo-nato” (Lc 6,37).

Perdona perciò di cuore ipiccoli peccati di tuo fratello

verso di te, e tu riceverai il perdono deituoi innumerevoli peccati di fronte aDio. Se l’amore per Dio e per i suoi co-mandamenti non può realizzare il per-dono, almeno realizzerà il perdono ilnostro proprio interesse! L’orgoglio ciha resi ciechi, così che è diventato il no-stro più grande nemico. Nella nostracolpa noi lottiamo contro Dio a occhiaperti, avveleniamo la nostra salute. C’èqualcosa di più stupido di questo?

Quale dolcezza è perdonare, qualesenso di leggerezza si prova dopo. Si fal’esperienza di una tale tenerezza, dopoaver perdonato, che ci sentiamo capacidi abbracciare il mondo intero, di inco-minciare ad amare ciascuno e di perdo-nare tutti. A questo punto non è diffici-le perdonare: occorre un po’ di coraggiodell’anima e di misericordia del cuore.Se metterai da parte l’orgoglio e la du-rezza del cuore conquisterai il cuore deltuo prossimo. Cerchiamo di essere sem-pre pronti a riconciliarci con i nostri ne-

mici, soprattutto non mascheriamocidietro la scusa che gli altri non voglionoriconciliarsi con noi. Questo infatti nonè un ostacolo affinché noi per primi per-doniamo gli altri. Se chi non vuol perdo-nare gli altri vuol compiere un suicidiospirituale, può essere questo un motivoaffinché noi ci comportiamo nello stessomodo?

Inoltre Gesù non ha mai detto chedobbiamo perdonare solo quando i no-stri oppositori domandano di essereperdonati. Ciascuno infatti è chiamato aperdonare il suo nemico personale ognivolta e per ogni cosa che ha ferito la no-stra dignità. Se la persona che ha inizia-to il contrasto si pente e domanda umil-mente perdono al suo oppositore, avràannullato la sua colpa. Se poi invece co-lui che è innocente non vuole riconci-liarsi per orgoglio, sarà più colpevole dicolui che ha iniziato il contrasto.

I Padri insegnano che colui che per-dona è sempre vincitore. In qualunqueoccasione tu perdoni, diventerai degnodel Regno dei cieli. Se perdoni un insul-to, avrai guadagnato la pace, se avraiperdonato un giudizio sarcastico su dite, farai vergognare il tuo nemico.

Quindi, che cosa siamo chiamati a fa-re per non peccare? Gesù ha detto chedobbiamo perdonare sempre. Natural-mente possiamo pregare affinché i no-stri debitori si convertano. Se per esem-pio siamo stati derubati, possiamo pre-gare affinché questa persona si rendaconto che è un grave peccato derubarela gente del proprio denaro. Quandoquesto accade è una grazia per lui e per

Colui che perdona sarà perdonatodi don Giovanni Biallo

InDialogo

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te stesso. Ma se ciò non accade, dobbia-mo lasciare tutto di fronte a Dio e per-donare. Dio ha il potere di consolarci edi rimborsarci. Dobbiamo solo rispettarela priorità di evitare il peccato. Così sot-tolinea san Paolo: “C’è tra di voi chi,avendo una questione con un altro, osafarsi giudicare dagli ingiusti anziché daisanti? O non sapete che i santi giudiche-ranno il mondo? E se è da voi che verràgiudicato il mondo, siete dunque inde-gni di giudizi di minima importanza?Non sapete che giudicheremo gli ange-li? Quanto più le cose di questa vita! Sedunque avete liti per cose di questomondo, voi prendete a giudici gentesenza autorità nella Chiesa? Lo dico pervostra vergogna! Cosicché non ci sareb-be proprio nessuna persona saggia tradi voi che possa far da arbitro tra fratel-lo e fratello? No, anzi, un fratello vienechiamato in giudizio dal fratello e per dipiù davanti a infedeli! E dire che per voiè già una sconfitta avere liti vicendevo-li! Perché non subire piuttosto l’ingiusti-zia? Perché non lasciarvi piuttosto priva-re di ciò che vi appartiene? Siete voi in-vece che commettete ingiustizia e ruba-te, e ciò ai fratelli? O non sapete che gliingiusti non erediteranno il regno diDio?” (1 Cor 6,1-9).

Agendo nella misericordia è veroche perderemo qualcosa di importanteper la nostra vita materiale, ma nellostesso tempo avremo guadagnatoqualcosa ancora più importante per lanostra anima. Avremo mostrato cheabbiamo stima dell’amore per i nostrivicini più che per le cose materiali.Inoltre avremo eliminato la tentazionedi odiare. Bisogna imparare profonda-mente ciò che il Signore ci insegna:“Avete inteso che fu detto: occhio perocchio e dente per dente; ma io vi dico

di non opporvi al malvagio; anzi se unoti percuote la guancia destra, tu porgi-gli anche l’altra; e a chi vuol chiamarein giudizio per toglierti la tunica, tu la-scia anche il mantello. E se uno ti co-stringe a fare un miglio, tu fanne conlui due. Dà a chi ti domanda, e a chidesidera da te un prestito non volgerele spalle” (Mt 5,38-42).

San Cassiano invita in questo modo aperdonare i nostri debitori:

È indescrivibile la clemenza di Dio, men-tre ci offre un modello di preghie-ra, ci insegna un criterio di vita colquale possiamo essere graditi aisuoi occhi.

Non basta. Con questa stessapreghiera ci dà un modo facile perattirare su di noi un giudizio indul-gente e misericordioso. Ci dà la possibilità diaddolcire noi stessi la sua sentenza su di noi,e di costringerlo al perdono: cos’altro po-trebbe fare, vedendo l’esempio della nostrabenevolenza, quando diciamo che perdoninoi come noi abbiamo perdonato il nostroprossimo?

Fiducioso in questa preghiera, ognunochiederà il perdono per le proprie mancanzedopo aver rimesso i debiti ai suoi debitori.

Parlo dei debitori suoi, non solo dei debi-tori del suo Maestro.

C’è infatti in qualcuno di noi una pessimaabitudine: le ingiurie contro Dio, magari an-che enormi, ci trovano pieni di dolcezza e diindulgenza; quando invece si tratta di offesea noi stessi, magari piccolissime, esigiamo ri-parazione con inesorabile intransigenza.

Chi non avrà perdonato dal fondo delcuore al fratello che gli ha fatto un torto,non otterrà da questa preghiera che la suacondanna, anziché misericordia. Sarà eglistesso a provocare un giudizio più severo sudi sé, poiché in sostanza con queste parolechiediamo a Dio di comportarsi come ci sia-mo comportati noi.

InDialogo

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Santissima Trinità 6 giugno Il mistero di Dio ha tre volti.

PRIMA LETTURA

Dal Libro dei Proverbi (8,22-31)

L’insondabile ricchezza del mistero diDio è indubbiamente il tema dominante dellarivelazione biblica. Contrariamente al tenta-tivo della teologia, che cerca di ridurre il mi-stero a schemi razionali e definiti - un tenta-tivo prezioso per un mondo che vuol capire -la Bibbia preferisce evocare assommandoleimmagini dense di fascino. La riflessione sulnostro Dio: un solo Dio in tre persone egualie distinte, come dice la teologia, trova nel te-sto biblico espressioni molto meno precise,ma sicuramente più coinvolgenti. Fin dal-l’Antico Testamento il desiderio che muoveogni personaggio dei suoi racconti è in defi-nitiva sempre lo stesso: vedere il volto diDio, gettare uno sguardo sulla profondità diquesto mistero. Il libro dei Proverbi, seguen-do una intuizione ancora nebulosa, indicache la ricerca di questo volto porterà a risul-tati sorprendenti.

Entro una tradizione rigidamente mono-teista, che cioè riconosceva un solo Dio conun solo volto, questo testo indica una presen-za accanto al Creatore. La Sapienza è presen-te accanto a Dio fin dall’alba della creazione,ed è indicata con caratteristiche sconvolgen-ti; particolari che hanno spinto la tradizionepatristica a riconoscervi l’annuncio delloSpirito Santo. “Fin dal principio, dagli inizidella terra … io ero con Lui come architettoed ero la sua delizia ogni giorno; dilettando-mi sul globo terrestre, ponendo le mie delizietra i figli dell’uomo”. La Sapienza è infattipresentata come una bambina che gioca con

l’universo, affascinata dalla bellezza che essastessa crea e dalla possibilità di incontrarsicon gli uomini e di farli incontrare tra loro inuna umanità fraterna.

Gli esegeti si sono chiesti, e continuano afarlo, se questa personificazione della Sa-pienza venisse considerata dal suo autoreumano puramente letteraria, o se la si perce-pisse già come una rivelazione del mistero diDio più complesso del semplice monotei-smo. La domanda è destinata a restare senzarisposta, anche perché nella Bibbia creazioneartistica e intuizione teologica non sono maiastrattamente separabili. In una lettura diquesto testo entro il contesto canonico, chefa di Antico e Nuovo Testamento un’unicaopera di rivelazione, il commentatore ha pie-no diritto di lasciare aperta l’ipotesi che conquesto testo inizi quella personificazione del-la sapienza che permetterà di parlare non so-lo dello Spirito Santo, ma anche di Cristo“sapienza di Dio” (1Cor 1,24).

Possiamo almeno dire che gia in questotesto la personificazione della Sapienza evo-ca la presenza in Dio di un altro volto, che hai tratti più belli e preziosi del femminile, ed èin qualche modo intrigante rivelazione delmistero dello Spirito Santo.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Roma-ni (5,1-5)

Questo testo è stato scelto e inserito nelcontesto della festa odierna perché presentanel volgere di pochi versetti la nostra relazionecon Dio, con Gesù Cristo e con lo Spirito San-to. La lettera ai Romani contesta una relazionecon Dio imperniata sulla logica del rapportomercantile, propria del giudaismo del primosecolo: siccome obbedisco alla sua legge, Dio

La parola di Dio celebratadi don Nazareno Marconi

La parola di Dio celebrata

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deve “pagarmi” con la salvezza. Per il cristia-no la relazione con Dio si costruisce su basiben diverse: per mezzo di Gesù Cristo egli hascoperto Dio come Padre, che ci ama gratuita-mente e ci sollecita ad accoglierlo nella fede.Questo credente è inserito in una dinamica chetrasforma l’angoscia dell’uomo stretto dai lac-ci della legge nella speranza serena di chi vie-ne condotto e sostenuto dall’amore, il grandedono dello Spirito Santo.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (16,12-15)

Gesù, nel vangelo di Giovanni, annunciala venuta dello Spirito, che guiderà i discepo-li alla comprensione piena della verità. An-nuncia al tempo stesso la presenza del Padre,il vero centro attorno a cui ruota tutta la suavita e il suo essere Figlio. In queste parole siapre il cammino verso la comprensione diquel mistero che la Chiesa chiamerà la SS. Trinità. È fondamentale non dimenticaremai che si tratta di un cammino, di un pro-cesso, di una lenta conquista della compren-sione e mai di un possesso pieno e stabilito.Nella ricerca del volto di Dio la storia dell’u-manità è testimonianza costante di una tenta-zione molto pericolosa: quella di credere diaver raggiunto la meta, di poter indicare inmaniera chiara e distinta, razionale ed esau-stiva, tutti i tratti di quel volto. Credere diaver esaurito la ricerca e di poter mostrare inmaniera assoluta il volto di Dio ha inaspetta-te conseguenze nella vita concreta delle per-sone. Infatti, siccome l’uomo è immagine diDio, il passaggio seguente è sempre quello dicominciare a distinguere quali tra gli uominisomigliano di più e quali di meno all’Imma-gine. Sul monte Sinai Dio aveva previstoquesta tentazione e scongiurato il suo popo-

lo: “non ti farai idolo, né immagine alcuna”.Il Signore non voleva con questo comanda-mento fermare il desiderio dell’uomo di sco-prire il suo volto, ma ricordargli che questovolto è misterioso, che l’uomo non potrà maipossederlo per farne la base della sua ideolo-gia e del suo potere sugli altri.

Dall’assolutizzazione del volto di un DioPadre-padrone sono nate infatti sia la guerrasanta islamica, sia le parallele crociate cri-stiane. Da quella del volto di un Figlio mae-stro bonario della vita serena sono nate lemille sette di certo protestantesimo america-no, preoccupato di far star bene la gente chesta bene… aiutandola a dimenticare gli altridue terzi del mondo. Da quella del volto diuno Spirito instabile generatore di emozioni,le forme di una fede vaga, che vive l’oggi eil sentimento, ma manca di basi solide e con-crete poggiate sulle virtù della speranza e,soprattutto, della carità.

Il messaggio biblico sul mistero di Dio èchiaro: la ricerca del suo volto si incontracon la multiforme ricchezza di una danza,un’unica danza in cui, assieme e distinti, trevolti ci vengono incontro e ci ricordano chenessuno potrà mai strumentalizzarli, ma soloaccoglierli con amore. Solo così li scoprire-mo riflessi nei mille volti dei fratelli che civengono incontro ogni giorno.

SS. Corpo e Sangue di Cristo13 giugnoIl dono di Dio è lui stesso.

PRIMA LETTURA

Dal libro della Genesi (14,18-20)

Nell’antico racconto della Genesi Mel-chisedek, un personaggio dal nome miste-rioso e solenne, compare improvvisamente

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La parola di Dio celebrata

e quasi dal nulla per offrire ad Abramo ilpane e il vino, come segni di alleanza e didono gratuito della protezione divina. È ilprimo testo biblico nel quale la tradizionecristiana ha riconosciuto l’Eucaristia. Nonlo ha fatto però solo perché si parla di panee vino. In questo antico testo infatti il temapiù significativo è che attraverso questi do-ni si evoca un dialogo di benedizione e digratitudine tra Abram e Dio. Col pane e ilvino Melchisedek rende grazie a Dio dellaprotezione offerta ad Abram, nel corso del-la lotta appena conclusa contro i re-predo-ni, che avevano sequestrato il nipote Lotcon la sua famiglia e i suoi amici. Pane evino appaiono quindi come le offerte in unsacrificio di ringraziamento per la libera-zione dal male. Come omaggio a Dio di uncuore grato e pieno di fede. Come testimo-nianza e impegno di una lotta per il fratellocondotta con tutte le proprie forze. In que-sto sacrificio inoltre il pane e il vino diven-tano segno del cibo che ristora il lottatorestanco, del cibo offerto all’ospite in segnodi pace, ed esprimono così simbolicamenteciò che la benedizione divina promette daAbram: vita, forza e pace.

Come stupirsi che questa ricchezza disimboli e questa particolare consonanza conil messaggio del sacrificio di Cristo sullacroce abbiano ispirato i primi cristiani (Eb 7)a riconoscere in Melchisedek una figura delCristo?

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Paolo Apostolo aiCorinzi (11,23-26)

Paolo aveva appena finito di rimproverarei Corinzi perché nelle loro cene comunitarie,che allora comprendevano anche la celebra-

zione dell’eucaristia, non vivevano segni difraternità ed eguaglianza, ma piuttosto di di-sparità e divisione. Questo fatto è ancora piùintollerabile perché contrasta col messaggiofondamentale espresso dall’eucaristia: un se-gno d’amore che chiama alla fraternità e allaconcordia.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (9,11-17)

Gesù nel Vangelo si rifiuta di rimandarea casa la folla affamata. Non è un capo cheguarda la folla solo come una massa dausare per i propri fini, ma un padre buonoche non vuol lasciar morire di fame i suoifigli. Il tentativo di risposta dei discepoli èancora in una linea tutta umana: essi parla-no di andare a comperare, di gestire e orga-nizzare, di calcolare e suddividere. Gesù liapre a una logica nuova, quella del dono.Egli chiede loro un dono, così riceve i cin-que pani e i due pesci. Allora li restituisceloro in un dono che è aumentato enorme-mente, tanto che diventa cibo sufficienteper i 5000. Non una massa informe, ma,come era accaduto al tempo dell’Esodo, unnuovo popolo che si suddivide in gruppi di50 per consumare insieme il pasto della fra-ternità. E il dono di Dio è così abbondanteche ne avanzano dodici ceste. C’è stato ci-bo per il popolo di Dio, ed è avanzato perun altro popolo di dodici tribù, il popoloimmenso che attende nel mondo l’annunciodel Vangelo.

Pane come segno del dono di Dio. Ma an-che come segno del piccolo dono che ogniuomo può fare a Dio. E soprattutto come se-gno del dono che nella potenza di Dio ogniuomo può fare al suo popolo e all’interaumanità.

La parola di Dio celebrata

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Ma, nella notte in cui fu tradito, Gesù ri-prenderà in mano quel pane e quel vino percaricarli di un significato nuovo. Essi ora so-no la presenza viva di lui che si dona per noi.Non è solo pane, ma pane spezzato, pane of-ferto, come è offerto il suo corpo. Non è solovino, ma vino versato, sparso, come è sparsoil suo sangue. Nell’eucaristia l’immagine deldono di Dio si radicalizza. Dio non dona piùsemplicemente qualcosa, in risposta al picco-lo dono dell’uomo. Non si tratta più di resti-tuire pani per 5000 ai cinque pani offerti daidiscepoli. Dio dona ora se stesso. È Gesù chesi fa dono, si lascia spezzare per la fame dellamoltitudine. Gesù stesso si fa pane per dareforza nella lotta contro il male, per comunica-re slancio nella battaglia di liberazione delfratello oppresso e schiavizzato. Gesù si fa ci-bo abbondante perché non solo il suo popololo riceva, ma alla fine della celebrazione tuttisi mettano in cammino verso quel nuovo po-polo immenso, formato dalle dodici tribù chenon hanno ancora ricevuto l’annuncio.

Giustamente tutto ciò si chiama Eucari-stia, dal greco “dire grazie”. Ci sono infattimille motivi di gratitudine in ogni celebra-zione eucaristica, ma uno in particolare ècruciale: dire grazie a Dio del dono, di quelprezioso dono che è lui stesso. Un dono im-pegnativo per quanti lo ricevono perché, co-me dice sant’Agostino: “Se vuoi comprende-re il corpo di Cristo, ascolta l`Apostolo chedice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cri-sto, le sue membra (1Cor 12,27). Se voi dun-que siete il corpo di Cristo e le sue membra,sulla mensa del Signore viene posto il vostrosacro mistero: il vostro sacro mistero voi ri-cevete. A ciò che voi siete, voi rispondete“Amen”, e rispondendo lo sottoscrivete. Odiinfatti: “Il corpo di Cristo”, e rispondi:“Amen”. Sii veramente corpo di Cristo, per-ché l’“Amen” sia vero!”.

Sacratissimo Cuore di Gesù18 giugnoL’amore senza misura

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Ezechiele (34,11-16)

La celebrazione del Sacro Cuore di Gesùnasce dall’esaltazione di un’immagine simboli-ca moderna: Gesù che offre il suo cuore all’a-dorazione dei fedeli. In questa immagine la no-stra cultura riconosce l’esaltazione dell’amoredi Cristo per noi. Le letture bibliche presentanolo stesso messaggio con altre immagini, forsemeno immediate, ma non meno profonde e ric-che. Durante l’esilio il profeta Ezechiele fa unpubblico processo contro i capi di Giuda chehanno portato il popolo eletto alla rovina. Li ri-trae come pastori corrotti e malvagi che hannosoltanto sfruttato il gregge del Signore. In con-trasto con loro appare l’immagine del BuonPastore, immagine dell’amore stesso di Dio,pieno di premura, di attenzione e di generosadedizione. Egli è soprattutto preoccupato delbene delle sue pecore che vuol riunire in ungregge unito e sicuro. Gesù stesso, e dopo dilui i primi cristiani, riconosceranno in questaimmagine una profezia e una rivelazione del-l’amore di Cristo per l’umanità.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Roma-ni (5,5-11)

Paolo cerca di spiegare ai Romani comela sua conversione da persecutore ad aposto-lo, da uomo della legge a uomo della graziasi sia attuata quando ha scoperto la veritàdell’amore di Dio rivelato in Cristo. Nellavisione legalistica e mercantile, propria delsuo passato da fariseo, la salvezza era un

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La parola di Dio celebrata

prezzo che Dio pagava per le buone operecompiute da quanti osservavano la legge.Solo l’obbedienza perfetta ai precetti di Diopoteva garantire la vita eterna. Ma per unuomo onesto come Paolo questa certezza erafonte di angoscia: egli sapeva bene che nes-suno può obbedire così pienamente alla leg-ge. Si sentiva dunque peccatore e disperato.Anzi, la sua volontà di obbedire perfetta-mente alla legge, contando solo sulle sueforze e sulla sua comprensione lo aveva por-tato a fare l’errore madornale di perseguitarequanti seguivano il Figlio di Dio. Sulla viadi Damasco però il “peccatore” Saulo nonincontrò un giudice spietato, ma Gesù chegli rivelava l’amore di Dio e il suo perdono.Così è iniziato il nuovo cammino che lo haportato alla salvezza. Di questo amore scon-finato da quel momento Paolo si è fatto apo-stolo presso tutti gli uomini.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (15,3-7)

Luca, definito dalla tradizione l’evangeli-sta della misericordia, insiste sempre sul fattoche la bontà di Gesù si manifesta in primoluogo verso gli ultimi e gli emarginati di que-sto mondo. Sono loro che sentono più profon-damente la mancanza di amore. Riprendendol’immagine tradizionale del Buon Pastore, l’e-vangelista la usa per descrivere l’insistente ri-cerca della pecorella smarrita. Questa imma-gine è carica di ricordi biblici: il pastore d’I-sraele è Dio stesso, il quale è pieno di amoreper le pecore sperse e sviate, che non cessa dicercare (vedi Is 40,11; Ger 23,1-4; Ez 34; Ps 23). Gesù applica a sé questo titolo (Gv 10,11-16) mostrandosi il pieno rivelatoredell’amore del Padre. In questa caratterizza-zione dell’amore divino, dominato dalla logi-

ca della gratuità e del dono, scompare ogni at-teggiamento utilitaristico e di calcolo. La pa-rabola sottolinea questo attraverso unaprofonda ironia: nessun pastore avveduto met-te a rischio il suo capitale di 99 pecore la-sciandole nel deserto per tentare il molto im-probabile ricupero di una sola pecora perduta!Ma questa è la logica dell’amore che valutal’amato come un bene inestimabile, per il qua-le ogni sacrificio è giustificato. Questo è l’a-more di Dio, quale Gesù lo ha rivelato.

XII domenica del Tempo Ordinario C20 giugno Perdenti o vincitori?

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Zaccarìa (12,10-11;13,1)

Il brano del capitolo dodicesimo di Zacca-ria con cui si aprono le letture di questa dome-nica, è oscuro fin nell’originale. L’identità diquesto personaggio colpito a morte non èchiara, perché il brano appare del tutto isolatonel contesto dell’opera del profeta. Le indica-zioni del lutto poi sono estremamente vaghe,non fanno infatti riferimento a un fatto stori-co, ma a una cerimonia del culto dei Cananei.

Adad-Rimmon era una divinità fenicia,che si credeva morisse alla fine del raccolto etornasse in vita al ritorno delle piogge. Eraun culto praticato anche nella pianura diEsdrelon, in Galilea, dominata dalla città-fortezza di Meghiddo. Un culto pagano di unDio che muore e risorge, usato come imma-gine in un brano biblico, era già in sé una co-sa strana e poco chiara.

Come ancor meno chiaro appare il motivoper cui la morte di questo personaggio compor-ti una conversione di tutto il popolo. “Spirito di

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Culmine e Fonte 3-2004 41

grazia e di consolazione”, alla lettera: “di buo-na volontà e di implorazione”; sono infatti, se-condo il linguaggio dell’Antico Testamento, ledisposizioni tipiche della conversione.

È Dio stesso che, secondo il profeta, lemette nel cuore del suo popolo, in misteriosaconnessione con la morte di Colui che hannotrafitto e verso il quale volgono ora lo sguar-do. Letteralmente “volgeranno lo sguardo ame che hanno trafitto”. Dio stesso si dichiaracolpito dalla morte inflitta al suo inviato, cheappare così legato a lui in modo del tuttoparticolare, pur essendo una persona concre-ta distinta da Dio e non solo un’immaginepoetica, come mostrano le espressioni se-guenti usate dal profeta.

Come si può ben vedere, per un cristianodella prima ora, buon conoscitore dell’AnticoTestamento ebraico, questo testo profeticoaveva un fascino del tutto particolare. Non c’èda stupirsi dunque che già Giovanni 19,37 eApocalisse 1,7 leggano questa profezia del“volgeranno lo sguardo a colui che hanno tra-fitto”, come una profezia della morte di Cristo.

Ma perché andare a cercare con tanto im-pegno questo brano oscuro e misterioso, sep-pellito tra le migliaia di parole dell’Antico Te-stamento? Perché per i primi cristiani la mortedi Gesù era stata un reale problema, e non unproblema marginale. Certo poi Gesù era risor-to, ma come spiegare quella sconfitta, quelfallimento poi “recuperato” da Dio con un in-tervento soprannaturale e ormai inaspettato?

L’accusa di essere dei perdenti, seguaci diun perdente, doveva bruciare forte nelle carnidi una comunità primitiva che, debole e ancorapoco numerosa, si confrontava con la persecu-zione e il rischio di scomparire. Per questo ogniluce che rendesse comprensibile, o almeno ac-cettabile come parte del piano divino profetiz-zato, la sconfitta della croce, era sentita comepreziosa e degna di essere diffusa.

Perdenti, seguaci di un perdente. È un’ac-cusa tornata di moda!

Oggi che il trionfalismo del cristianesimoè finito, che in molti ambiti umani vangelo esuccesso, Chiesa e potere, cristianesimo eposizione di forza, non sono più sinonimi…Grazie a Dio! … Oggi essere cristiani può dinuovo equivalere a essere perdenti, a non es-sere più sulla cresta dell’onda.

La domanda dunque si pone di nuovo conurgenza. Seguendo Gesù, chi stiamo seguen-do? Siamo veramente dei perdenti seguaci diun perdente?

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati(3,26-29)

La tentazione dei Galati che Paolo ripetu-tamente stigmatizza in questa lettera accorataera quella di tornare a un sistema religiosogiudaico che appariva certo e collaudato daltempo. Ma questa scelta avrebbe loro impedi-to di cogliere la vera via di liberazione: quelladella grazia che si ottiene da Cristo. Solounendosi a Cristo mediante il battesimo, gliuomini hanno la possibilità di giungere allavera riconciliazione, rinunciando a ogni formadi odio e di divisione razzista. È l’unico veromodo di rispondere all’attesa che fu di Abra-mo, l’antenato a cui si richiamano, senza se-guirne l’esempio, i fautori di un ritorno all’e-braismo che tanto affascinavano i Galati.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (9,18-24)

Al termine del racconto del ministero diGesù in Galilea, Luca colloca una confes-sione di fede degli apostoli. La domanda

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La parola di Dio celebrata

sull’identità di Gesù era stata il punto cen-trale del vangelo di Luca fino a qui (cfr. Lc 4,22.36.41; 6,5; 7,16.19.39; 8,25; 9,9).Qui appare con forza sulla stessa bocca diGesù. Prima di interrogare su questo i di-scepoli, domanda loro quel che dice la gen-te, e in particolare quelle folle che ha appe-na saziato con il miracolo dei pani. Le ri-sposte significativamente concordano conquelle raccolte da Erode, di cui Luca avevaappena parlato (Lc 9,7-8). A questo punto idiscepoli per bocca di Pietro dichiarano diriconoscere il Messia nel loro maestro. Mail tempo delle piena rivelazione non è anco-ra arrivato, perché la verità sconvolgente diquesto Messia può rivelarsi solo attraversola passione. Questo potrebbe spaventare,ma d’altra parte non c’è altra via di vittoriache seguire le orme di questo “perdente”. Ilbrano evangelico si apre con la domanda diGesù sul mistero della sua persona e sichiude con una definizione pratica di que-sto mistero. Gesù presenta se stesso e si de-finisce come la via obbligata per la salvez-za: chi crede di salvarsi da solo inevitabil-mente perderà la propria vita, solo chi si af-fida a Cristo senza condizioni potrà salvarela propria vita.

Credere che Gesù è il Cristo, il Messia,l’inviato di Dio, il Salvatore, non è dunqueaffermare qualcosa del mistero di Gesù cheresta nel libro di catechismo senza toccare laconcretezza della nostra vita. Gesù, conestrema chiarezza, dopo aver accolto la pro-fessione di fede di Pietro, chiede a lui e a tut-ti gli altri di accettare le conseguenze scon-volgenti e spiazzanti di questa fede. Se Gesùè il Salvatore non possiamo andare a cercarealtre salvezze o altre vie di successo, di ve-rità, di realizzazione che appaiono umana-mente più “sicure”, meno esigenti, più razio-nali e condivisibili.

Natività di san Giovanni Battista24 giugno Un vero profeta.

Messa vespertina nella vigilia

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Geremia (1,4-10)

Prima di Giovanni Battista Geremia è pre-sentato come il tipo perfetto del profeta che in-dirizza verso la Nuova Alleanza, non solo conle sue parole, ma con tutta la testimonianzadella sua vita. Il racconto della sua vocazioneesprime il desiderio dei veri annunciatori dellaParola di Dio: essere strumenti perfetti e matu-ri di un annuncio così importante. La rispostadel Signore invita a fidarsi della potenza dellagrazia. È Dio stesso che plasma i suoi annun-ciatori rendendoli capaci di offrire al mondouna testimonianza di vita che converte i cuori.È lui che pone le sue parole sulle labbra diquanti invia al mondo perché siano portatoridella Parola che salva. Questa azione di sal-vezza si compie con una pars destruens: “sra-dicare e demolire…”, ma chiaramente indiriz-zata alla costruzione finale, “edificare e pianta-re”. L’annuncio del regno infatti è semprechiamata alla conversione, ad abbandonare lecose di prima che sono passate per accogliereuna “cosa nuova” che sta nascendo in seno al-l’umanità (Is 43,19).

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Pietro (1,8-12)

I cristiani appartengono già al Regno diDio. Ma al tempo stesso sono in cammino ver-so il suo compimento, il Regno non ha ancoraraggiunto la sua pienezza. Il loro atteggiamen-to interiore è perciò ancora simile a quello deiprofeti dell’AT che scrutavano il futuro atten-

La parola di Dio celebrata

dendo la pienezza della salvezza. La figura delBattista e il suo messaggio perciò, pur essendoGiovanni l’ultimo dei profeti, non sono scadu-ti. Hanno per noi un valore e un’importanzaper il nostro oggi. Siamo ancora chiamati aprestare ascolto alle sue parole, a lasciarci gui-dare dal suo esempio di vita, anche noi infattimentre annunciamo la morte di Cristo e la suaresurrezione, viviamo tuttavia ancora nell’atte-sa della sua piena venuta nella gloria.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (1,5-17)

Il vangelo dell’infanzia di Luca è tuttocostruito sul costante confronto tra Giovan-ni Battista e Gesù. Il messaggio continuoche appare con chiarezza è che Gesù realiz-za in pienezza quanto Giovanni aveva an-nunciato e vissuto come segno e come pro-fezia. Sono moltissime le allusioni all’Anti-co Testamento che presentano Giovanni co-me il nuovo Samuele che introduce la rega-lità di Gesù nuovo Davide. L’annunciazio-ne a Zaccaria è tutta modellata su questo te-sto antico, e sottolinea che il precursore èconsacrato fin dalla nascita miracolosa, èdestinato a diventare grande davanti a Dio,è il sacerdote e il profeta incaricato di in-trodurre nel mondo il re Messia.

Centrale è il tema della liturgia del tempioe della preghiera di Israele che invocava lavenuta del Messia. Al mattino e alla sera sicelebrava nel tempio un sacrificio sull’altaredegli olocausti (Es 29,38-42). Dopo il sacrifi-cio, il sacerdote in servizio entrava nella partedel tempio detta il Santo per bruciare l’incen-so sull’altare dei profumi (Es 30,7-8). Questorito è il simbolo della preghiera di tutto il po-polo. Infine il sacerdote ritornava verso l’as-semblea per riportare la benedizione di Dio.

In quel giorno, per lui eccezionale, Zaccariarappresentava il popolo presso il suo Dio eDio stesso presso il popolo. Ma questa media-zione sacerdotale antica non si compie, il sa-crificio resta incompiuto, Zaccaria è muto enon può pronunciare la benedizione antica.C’è una nuova benedizione che da Dio stagiungendo verso il popolo e che si incarnerànel bambino che sta per nascere.

La figura di Giovanni ricorda l’importan-za della collaborazione umana all’opera disalvezza di Dio. Anche nel mondo di oggiDio ha necessità di “precursori”, di annun-ciatori del Signore che viene a salvare l’uma-nità. Questo annuncio però, nello stile inau-

Imposizione del nome di Giovanni Battista, Beato Angelico, Firenze, Museo di San Marco, sec. XV

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La parola di Dio celebrata

gurato da Giovanni, va fatto più con azioniche con parole, con uno stile di vita nuovo esignificativo che, come un dito puntato indi-ca il Cristo, l’agnello di Dio che prende su disé il peccato del mondo per condurre l’uma-nità intera a salvezza.

Messa del giorno

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaia (49,1-6)

Durante l’esilio il secondo Isaia aveva capi-to chiaramente che il vero salvatore del popolonon sarebbe stato un potente guerriero, ma un“servo”, mediante il quale Dio avrebbe ricon-dotto a sé il cuore del suo popolo. La figura diquesto servo è impersonata pienamente da Ge-sù, ma è anche stata incarnata dai grandi profetie nella visione cristiana da Giovanni Battista.La sua grandezza si è attuata nel mettersi pie-namente a servizio della missione che Dio gliaveva affidato. In questo è modello per ognicristiano e in particolare per quanti nella Chiesasvolgono un servizio, cioè un ministero.

SECONDA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (13,22-26)

Quando Paolo vuol mostrare ai Giudeiche tutta la loro storia passata conduce a Cri-sto, fa necessario riferimento alla figura delBattista. La sua missione si compì invitandoil popolo a un battesimo di conversione, chepreparava alla salvezza annunciata da Gesù.Profondamente conscio di questo Giovannisi eclissò volontariamente perché risplendes-se colui che era venuto ad annunciare. Acco-gliere la testimonianza del Battista è propriofissare lo sguardo in Gesù come compimentodi tutta la storia della salvezza.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (1,57-66.80)

I racconti dell’infanzia di Giovanni si chiu-dono con un breve accenno alla sua nascita se-guito da una lunga scena che descrive la suacirconcisione. Secondo il rituale giudaico ilbambino circonciso entra nel popolo dell’Al-leanza, accede alla sua dignità di figlio di Abra-mo, e a suggello di tutto ciò riceve il suo nomein un clima di festa importante e solenne.

Per Gesù Luca ribalta le cose: la festa e lasolennità sono destinate al racconto della na-scita, anche se in un clima e in un’ambienta-zione umile e provocante: una liturgia celesteche gli angeli fanno sopra una stalla e inmezzo agli ultimi di questo mondo.

La differenza mostra che Giovanni è benradicato nell’Antica Alleanza fondata sullacirconcisione, mentre Gesù apre la Nuova Al-leanza con l’incarnazione di Dio che si com-pie in pienezza nella sua nascita. Con Gesùnasce un mondo nuovo, Giovanni suggella nelsuo sangue il compiersi delle promesse anti-che: giunge un salvatore. La festa della cir-concisione di Giovanni è narrata da Luca co-me una gioiosa festa familiare, entro la quale,proprio disputando sul nome da dare a questofiglio, Zaccaria recupera la parola. Dio lo ave-va reso muto quando in lui parlava il dubbio enon la fede. Ora che la fede e la lode di Diosono tornate nel suo cuore possono giungerelibere anche alle sue labbra. E il nome del fi-glio è insieme atto di fede e di lode. È infatti ilnome usato dall’angelo a cui ormai Zaccariamostra di credere senza riserve. Ma significaanche “il Signore fa grazia”, e questo non èvisto soltanto nell’ambito privato dell’esaudi-mento della preghiera di due anziani sterili,ma anche come profezia di un luminoso futu-ro per tutto il popolo. Tutti infatti confessano“che sarà mai di questo bambino?”.

La parola di Dio celebrata

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XIII Domenica del Tempo Ordinario C27 giugnoUn vero Sì

PRIMA LETTURA

Dal primo libro dei Re (19,16.19-21)

Il confronto tra la prima lettura e il Van-gelo appare interessante. Si tratta di unastessa situazione che si ripete: un maestroche passa e l’inizio della sequela da parte diun discepolo. Nel caso di Elia ed Eliseo è ilmaestro che sceglie il discepolo, con un ge-sto che nella simbologia biblica indica unapresa di possesso, per l’inizio di una comu-nione piena di vita. Il gesto di coprire qual-cuno con il proprio mantello era un simbolomatrimoniale: così lo sposo indicava tra lepretendenti la sposa che si era scelto. Manel contesto profetico questo gesto diventaanche un segno di potere: il maestro comu-nica al discepolo la possibilità di compiere iprodigi che lui stesso ha compiuto. Questascelta diventa subito esigente. Se c’è spazioper una spiegazione e per un saluto rivolto a“quelli di casa”, non ci sarà però poi spazioper un ritorno indietro, alla vita di prima,come se nulla fosse successo. Lo compren-de bene Eliseo e lo rende plasticamente vi-sibile con il suo gesto di una cena di addio,consumata con l’offerta a Dio e agli amicidei propri attrezzi da lavoro, definitivamen-te trasformati in legna da ardere e in arrostoper il festino.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati(5,1.13-18)

Alcune modalità di vita religiosa chiudo-no l’uomo in una angoscia dalla quale nulla

riesce a liberarlo: tutto quanto il credente fa,pur con le migliori intenzioni, gli sembrainadeguato e fallimentare. Questo era il giu-daismo fanatico dal quale Paolo voleva libe-rare i Galati, invitandoli ad accostarsi allavera libertà che dona la fede in Gesù. Questasi oppone al rilassamento morale dei pagani,perché è la distruzione delle tendenze egoi-stiche proprie dell’uomo. Apre invece all’a-more per gli altri suscitato in noi dal donodello Spirito.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (9,51-62)

Nel brano di Vangelo Gesù si comportacon estrema autorità. Chiama e sceglie i di-scepoli, o accoglie la proposta di sequelache questi gli propongono. Sia però nel pri-mo, sia nel secondo caso non fa differenzanel pretendere che seguirlo divenga la cosapiù importante della vita del discepolo: finda subito l’unica cosa da fare. Sia che Gesùabbia scelto qualcuno irrompendo nella suavita come fece Elia con Eliseo, sia che lesue parole abbiano convinto un giovane achiedergli di poterlo seguire, in ogni casoGesù non accetta dilazioni. Eppure Gesùnon confonde mai il suo potere e la sua au-torità con la violenza e la prepotenza. Eglipotrebbe benissimo far scendere il fuocodal cielo per bruciare i colpevoli e affasci-nare le folle, terrorizzandole con il suo po-tere soprannaturale, ma non è questa la suavia. La via di Gesù è invece quella dellacroce e del dono di sé. Si comprende dun-que la sua richiesta esigente rivolta a quantivogliono seguirlo: anche per essi solo il do-no di sé senza condizioni e tentennamentipuò essere la risposta giusta alla propostadi Dio.

La parola di Dio celebrata

Solo la definitività di un dare tutto e su-bito a Dio, nel proprio Sì, può essere lagiusta risposta alla sequela che Gesù vienea chiedere.

Si tratta di un discorso difficile da accet-tare per il mondo contemporaneo, nel qualela sfiducia nella esistenza della verità ha por-tato alla sfiducia nell’esistenza di un com-portamento vero, di una decisione che possavalere per sempre, di una scelta che possadurare per tutta la vita e che possa vinceretutte le obiezioni e le ipotesi contrarie.

Oggi la vita è infatti sentita come peren-nemente provvisoria, ogni scelta è percepi-ta come una scelta a tempo, ogni decisionecome qualcosa che può, anzi deve cambia-re. L’immagine di chi mette mano all’aratroe poi si volge indietro a considerare di nuo-vo le diverse possibilità è percepita non co-me un errore, ma come un giusto atteggia-mento critico.

Se la vittoria su tutti i fondamentalismi ècerto una vittoria che il Cristianesimo è bendisposto a perseguire, questo non deve peròportare a una distruzione dei fondamenti, diogni possibilità di fondamento. La Chiesanon può essere una casa galleggiante sul ma-re costantemente incerto dell’opinione pub-blica o dell’audience. Ma una casa fondatasulla roccia della fede nell’unico Salvatoredell’uomo. D’altra parte però è un Salvatoreche si è fatto uomo e che vede in ogni uomoil fratello amato. Per questo la Chiesa nonpuò neppure essere una fortezza dalla portesbarrate, ma deve aprire i propri spazi al dia-logo, al confronto, all’incontro; senza invo-care costantemente il fuoco dal cielo suquanti si chiudono al suo annuncio. Tra que-sti due estremi si pone la sequela di Cristo,che anche per questo è un costante portare lacroce, disposti a lasciare le facili certezze perla sola certezza che è lui.

Santi Pietro e Paolo, apostoli 29 giugnoMessa vespertina nella vigilia

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (3,1-10)

Continuando la missione evangelizzatricepropria di Gesù, Pietro annuncia la Parola ecompie segni che manifestano la presenza ela realtà salvifica del Regno di Dio che viene.Paolo si comporterà allo stesso modo a Ico-nio (Atti 14,8-18). La festa odierna, che li ac-comuna come le colonne e il fondamento del-la nostra fede, riconosce in ambedue i perfettimodelli del discepolo fedele che porta avantila missione affidatagli dal suo Maestro. En-trambi aprono le porte della fede a quelli cheil giudaismo teneva fuori dal tempio. Qui in-fatti gli infermi e i pagani non potevano en-trare. Pietro e Paolo, sanando i malati ed ac-cogliendo quanti provengono dal paganesimoentro la comunità cristiana, abbattono le bar-riere di divisione che un malinteso senso del-la santità divina aveva costruito.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Galati(1,11-20)

Nelle comunità dei Galati alcuni avevanoinsinuato dubbi sulla validità della missione diPaolo, e in particolare sulla sua autorità diApostolo. Per questi oppositori Paolo non po-teva fregiarsi di questo titolo perché non ave-va fatto parte del gruppo dei primi seguaci diGesù. Paolo reagisce con veemenza a questaaccusa. Non nasconde il suo passato, anchecon i suoi errori di persecutore della Chiesa,ma proprio in forza di questo passato, in cuicon chiara evidenza Cristo è pesantemente in-

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La parola di Dio celebrata

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tervenuto con la sua grazia, può riaffermare ilsuo buon diritto a predicare il vangelo. Paoloè apostolo di Cristo in ragione della sua parti-colare vocazione, ma anche in virtù di una so-lenne autenticazione avuta da Pietro che è ri-cordata con il suo nome giudaico: “Cefa”. Inlui Paolo riconosce il fondamento solido, po-sto da Gesù stesso, su cui ogni vera costruzio-ne di Chiesa deve poggiare.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (21,15-19)

Il racconto del capitolo XXI di Giovannicostituisce una seconda occasione che vieneofferta da Gesù a Pietro. Questo diventa evi-dente nel passo centrale del testo in cui per trevolte si ripete da parte di Gesù la domandasull’amore, come per tre volte Pietro avevarinnegato Gesù. Ma anche in tutto il resto deltesto è chiarissima la sensazione che si stia ri-petendo il passato, con un intento che non de-ve passare inosservato. Pietro apre il raccontocon una frase costruita con maestria per espri-mere il suo stato d’animo interiore: “Io vado apescare...”. Pietro era divenuto entro la cerchiadegli apostoli il capo indiscusso, il punto di ri-ferimento. Ma al momento della prova Pietroha ceduto, sconvolto dalla paura di vedere unGesù diverso da quello che si era immaginato.Sconcertato dal Gesù Crocifisso, così diversodal messia glorioso che si era immaginato,Pietro crolla. Pietro che vuol tornare stanca-mente a fare il pescatore, che non sa nemmenoproporre la sua decisione, non dice “andiamoa pescare!”, ma solo “io vado a pescare...” èl’immagine dello sconfitto dal quotidiano, dicolui che di fronte alla grande o alla piccolaprova della croce si rifugia in un quotidianoanonimo, senza rischi, né problemi: la certez-za del vecchio lavoro di pescatore. Lui cheSan Pietro, Santuario di Treviri, sec, X

La parola di Dio celebrata

aveva mangiato sfamato dai miracoli, consta-tata la sua debolezza, la sua vigliaccheria, fug-ge da un sì troppo impegnativo, per tornare amangiare sfamato dalle reti. Ma per chi ha spe-rimentato l’aria pura della alte vette, nell’ariastagnante dei vicoli diventa sempre più diffici-le tornare a respirare. Per chi ha sentito il pro-fumo del vino di Cana, per chi ha sperimentatoil sapore dei pani e dei pesci del giorno dellamoltiplicazione, i pesci del lago di Genesarethsaranno sempre pochi e insipidi. Non si puòtornare indietro e fare come se nulla fosse av-venuto.Ma Gesù stesso ritorna indietro, e que-sto è il grande miracolo di questo vangelo chesperimentiamo nella nostra vita. Gesù tornasulla sponda di quel lago e ripete il miracolodell’inizio. Gesù torna a cercarci perché l’in-contro possa rinnovarsi, perché la speranza ela gioia, la voglia di tornare a seguirlo senzacondizioni possa sbocciare di nuovo, perché aldi là dei nostri tradimenti, delle nostre stan-chezze e del nostro peccato possiamo tornarea dirgli di Sì. Dietro la storia di questo amoredi predilezione, tenero ed attento, si cela il mi-stero di Pietro, ma anche quello di Paolo che lachiesa celebra giustamente assieme.

Messa del giorno

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (11,1-11)

Nonostante l’opposizione degli uomini,dal re Erode al popolino scalmanato di Geru-salemme, la missione affidata da Gesù agliapostoli continua. La liberazione miracolosadi Pietro, che evoca contemporaneamente lanotte della liberazione di Israele dall’Egitto equella della Risurrezione, manifesta la poten-te azione dello Spirito. È l’opera dello Spiri-to, invocata dalla preghiera di tutta la Chiesa,

che fa progredire nonostante la virulenza delmale la storia della salvezza.

Anche Paolo, ridotto in catene assieme alsuo collaboratore Sila, farà un’esperienza si-mile della potenza liberante dello Spirito (cfr Atti 16,25-34).

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo Apostoloa Timoteo (4,6-8.17-18)

Giunto ormai vicino al momento di “scio-gliere le vele” per l’ultimo viaggio, alla finedella sua lunga corsa per annunciare il vange-lo, Paolo scrive a Timoteo, il discepolo predi-letto che lo aveva tante volte assistito nelle suemissioni apostoliche. Questa bellissima letteragli offre l’occasione di riflettere sul senso dellapropria esistenza. Sa di aver compiuto la mis-sione affidatagli da Cristo ed è felice di questo.Non gli mancano però motivi di tristezza per-ché gli uomini, anche alcuni amici e collabora-tori, lo hanno abbandonato. Dio però non ab-bandona, e Paolo ripete con forza questa cer-tezza di fede che la sua vita ha più volte poten-temente sperimentato.

VANGELO

Dal vangelo secondo Matteo (16,13-19)

Gesù chiede ai suoi discepoli chi egli siaper loro. Gesù non chiede ai discepoli la loroopinione sulla sua dottrina o sui suoi miraco-li, ma li interroga su che cosa pensano circala sua persona. Tutto il significato di Gesùdipende da chi egli sia. Al centro non sta ilsuo annuncio, ma la sua persona.

La gente ha un’alta opinione di Gesù, manon comprende quanto egli sia unico. Se egliè solo un profeta, allora è uno tra i tanti: pri-

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ma di lui ne sono venuti già molti, e dopo dilui ne potranno venire altri. Pietro invece ri-conosce che Gesù, in quanto Messia, è l’uni-co, ultimo e definitivo Re e Pastore del po-polo d’Israele, inviato da Dio per dare a que-sto popolo e a tutta l’umanità la pienezza divita. Ma la confessione di Pietro va oltre: inquanto “Figlio”, Gesù vive nei confronti diDio in un rapporto singolare, caratterizzatodalla conoscenza reciproca e dall’uguaglian-za. Gesù si rivolge allora a Pietro con il suonome e il titolo di paternità, secondo la suapiena realtà umana e la sua origine, e gli ri-vela il dono straordinario che ha reso possi-bile questa confessione: il Padre celeste gliha dato questa conoscenza, che non può es-sere raggiunta con le sole forze umane. CosìSimone non soltanto è chiamato da Gesù,ma è anche prescelto dal Padre. Per questoviene detto beato: ha tutti i motivi per gioire.

Gesù si rivolge a questo punto a Simonecon un nuovo nome e gli annuncia un nuovocompito. Lo chiama “Pietro”, “roccia”. Iltermine “Pietro” non compariva prima danessuna parte come nome. Questo nome èuna nuova creazione di Gesù. Come il padrecarnale dà il nome al figlio, così Dio, o unuomo potente, può dare un nuovo nome acolui al quale con un nuovo compito vienedata una nuova esistenza (cfr Gn 17,5.15;Nm 13,16; 2 Re 24,17). Con la confessionedonata dal Padre e con il compito ricevutoda Gesù comincia per Simone una nuova vita.

Il nome nuovo indica inoltre la vocazioneche lo attende, il compito che Dio gli affida.

Questo compito viene descritto con treimmagini. Pietro è la roccia su cui Gesù edi-ficherà la sua Chiesa. Il fondamento di essaè Pietro in persona, come uomo vivente, alquale Dio ha donato la vera confessione.Pietro deve dare fermezza e consistenza alla

comunità dei credenti, alla quale Gesù pro-mette una durata perenne: le potenze dellamorte e della caducità non la toccheranno.

Con l’immagine delle chiavi Pietro vieneposto come amministratore, che rappresentail padrone di casa e agisce per sua delega (cfr Is 22,22). Nella comunità dei credentiPietro deve agire al posto del Signore. Deve

San Paolo, New Orleans, Isaac Delgado Museum of Art, sec, XVI

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legare e sciogliere. Perciò ha il potere e ilcompito di dichiarare che cosa è vietato eche cosa è permesso, di accogliere nella co-munità ecclesiale o di escludere da essa. Gesù non abbandona la comunità dei creden-ti a se stessa, ma le dà una guida dotata digrande autorità.

XIV Domenica del Tempo Ordinario C4 luglioPerché settantadue?

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa (66,10-14)

Nel corso dell’esilio i Giudei avevanopiù volte sognato una restaurazione glorio-sa del regno davidico, la ricostruzione deltempio e della città di Gerusalemme. Il ri-torno in patria si rivelò però deludente.L’entusiasmo si spense presto e le difficoltàdel quotidiano fecero dimenticare la bellez-za di essere di nuovo padroni in casa pro-pria e in grado di ricostruire pazientementequello che era andato perduto. Un profetache si situa in maniera anonima nel solcodel grande Isaia pre-esilico, ne prolunga glioracoli con l’obiettivo di riaccendere la fi-ducia e la speranza del popolo, e in partico-lare la sua fede. Guardando il futuro conquesti occhi può annunciare la nuova Geru-salemme, splendente della gloria divina ecentro del mondo nuovo: tutti i popoli ver-ranno a lei per lodare il Signore. Agli sfidu-ciati che lo circondano questo profeta ano-nimo propone un’immagine di particolaredolcezza e consolazione: “come una madreconsola un figlio, così Dio consolerà il suopopolo”. Il messaggio biblico, già nell’An-tico Testamento, è un annuncio di consola-zione per tutti i popoli.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati(6,14-18)

Paolo, che nel passato credeva di averela salvezza dalle pratiche della fede giudai-ca: circoncisione, usi e costumi rituali, vi haormai chiaramente rinunciato. Questo non èstato un passaggio indolore, ma ha richiestoun mutamento radicale del suo modo dipensare e di vivere. È stata di fatto la mortedella vita di prima e la nascita a una nuovavita. Per questo legge il suo cambiamentocome un partecipare al mistero pasquale diCristo, che è mistero di morte e di vita nuo-va. Ora è entrato in una nuova esistenza chefino ad allora gli era sconosciuta. Può dun-que sopportare le persecuzioni senza turba-mento, perché si colloca ormai in un mondodiverso da quello dei suoi nemici: egli hagià superato la soglia della paura della mor-te per essere ormai soltanto attratto dallabellezza della vita eterna.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (10,1-12.17-20)

Perché Gesù invia proprio 72 discepoli enon 70 o 73? Se contate tutti i discendentidei figli di Noè: Sem, Cam e Jafet, nel librodella Genesi, quella che si chiama la tavoladei popoli, si arriva al numero di 72. Alme-no secondo la suddivisione tradizionaleebraica di questi nomi. Al tempo di Gesùdunque i rabbini insegnavano che: secondola Bibbia, dopo il diluvio, 72 popoli comin-ciarono a diffondersi nel mondo. Il numero72 dunque rappresenta tutti i popoli dellaterra e Gesù, inviando i suoi discepoli adannunciare il regno di Dio, indica con que-sto numero che la missione non ha confini o

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popoli privilegiati. Tutta la terra, con tutti isuoi popoli, è chiamata ad accogliere ilVangelo, la buona notizia. E la buona noti-zia è questa: “è vicino a voi il regno diDio!”. La salvezza per l’umanità e per ognisingolo uomo è a portata di mano, basta ac-coglierla con fede.

È abbastanza evidente che per i portatoridi un tale messaggio la messe in attesa, biso-gnosa di ascoltarlo e di accoglierlo, sia mol-ta. Quanta gente nel mondo vive in situazionidi sofferenza fisica e spirituale, quanta gentesente il bisogno di essere salvata, capita,ascoltata, accolta! Quanta gente ha perso lasperanza, cioè un senso sereno con cui guar-dare l’avvenire, nella certezza che la propriavita è “in buone mani”. Quanta gente ha per-so la fede, cioè quella luce che indica un sen-so in tutto ciò che facciamo. Quanta gentenon ha mai conosciuto la gioia della carità, lasensazione di intima felicità che comunicaogni buona azione nei confronti del prossimofatta con l’aiuto di Dio, per puro amore e contotale gratuità.

Veramente la messe che attende l’annun-cio del Vangelo è molta! Ma questa moltitu-dine mette ancora più in rilievo il fatto chegli operai disposti a questa seminagione, epoi a una ricca mietitura, sono e sarannosempre pochi. Il motivo è semplice: per pote-re seminare il Vangelo e poi per poterne rac-cogliere i frutti è necessario che prima quellostesso vangelo abbia almeno iniziato a ger-mogliare nel cuore del seminatore. Solo chiha sperimentato nella sua vita la ricchezzadei doni di Dio può farsene testimone e an-nunciatore presso i fratelli.

Oggi spesso si parla di crisi delle voca-zioni, soprattutto di quelle di particolareconsacrazione alla vita attiva, come sacer-doti, suore, frati ecc. È ora di dire una pa-rola chiara sull’argomento: non è vero che

le vocazioni sono poche! Le vocazioni sonoperfettamente proporzionali ai veri cristia-ni, alle famiglie che vivono con gioia e im-pegno la fede. A quanti danno a Dio, nellaloro vita quotidiana, nelle loro scelte, nelloro tempo, il posto che si merita. Soloquando aumenterà il numero dei veri cri-stiani potremo assistere a un significativoaumento delle vocazioni religiose e presbi-terali.

A questo proposito la raccomandazionedi Gesù merita di essere sottolineata: dopoaver notato che gli operai sono pochi, Gesùnon propone di incrementare le vocazionirendendo più facile e allettante la vita delchiamato. Né semplificando le procedure dipreparazione e di ingresso per il serviziodel Regno. Né invitando i cristiani a pian-gere in ogni occasione, lamentando questacarenza. Ma, molto costruttivamente, invi-tandoli a pregare. Ricordando che non c’èvera preghiera cristiana se non è accompa-gnata da un sincero impegno di conversio-ne, da parte di chi leva le mani al cielo perimplorare Dio.

XV Domenica del Tempo Ordinario C11 luglioPerché tu la metta in pratica

PRIMA LETTURA

Dal libro del Deuteronòmio (30,10-14)

Questo interessante brano del Deutero-nomio insiste con forza sulla concretezza ecomprensibilità della legge divina. Dio nonha certo voluto proporci una fede impossi-bile, legata a una serie di atti e di gesti mi-steriosi, che pochi possono vivere e quasinessuno comprendere. La vita di fede non èmagia! È anzi la naturale obbedienza a

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quanto sentiamo scritto nel nostro cuore, selo apriamo a tutto ciò che appare come veroe giusto, tutto quanto potremmo sincera-mente definire buono.

Il libro del Deuteronomio, presentatodalla Bibbia come il testamento di Mosè,vergato nell’imminenza di entrare nella ter-ra promessa, è in realtà il risultato di unaprofonda e prolungata meditazione svilup-patasi molto dopo, e cioè poco prima e du-rante l’esilio. Nonostante che per rendere lasua Legge facile da mettere in pratica, Diol’abbia posta nel cuore dell’uomo, questol’ha costantemente tradita. Eppure bastavascrutare con disponibilità e semplicità den-tro di sé e si sarebbe sperimentata la capa-cità connessa alla natura umana, dal suostesso Creatore, di agire riconoscendo ilvero bene. Quella che la tradizione chiama,la legge naturale.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colos-sesi (1,15-20)

Nella lettera ai Colossesi Paolo lascia illinguaggio polemico contro una certa visionedella Legge propria dei Giudei, tipico dellelettere precedenti, e presenta il cuore delmessaggio cristiano in positivo. La spiritua-lità cristiana consiste nel lasciarsi afferrare econdurre da quell’immensa corrente di vitache dall’eternità il Padre riversa sul Figlio, equesti sull’intera creazione. In un potente in-no che allarga lo sguardo alle dimensioni delcosmo Paolo contempla questa vita delloSpirito che dal capo del corpo, cioè da CristoSignore, raggiunge tutte le sue membra. Nonresta che arrendersi positivamente alla poten-za della grazia che vuol riconciliare con Diotutto l’universo.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (10,25-37)

Gesù nel Vangelo mette in luce la veritàdella legge naturale scritta nel cuore diogni uomo rendendo protagonista della suaparabola un samaritano. Che un samarita-no, diviso dal malcapitato giudeo da barrie-re di fede e di razza, potesse comunque ri-conoscere che era bene assisterlo, curarlo,salvargli la vita, è una prova certa di quan-to la legge di Dio sia scritta nel cuore diogni uomo.

Dio ha proposto dunque un’unica leggeper gli uomini che camminano sulla terra esi incontrano lungo le sue strade e questalegge, a volte, si ascolta meglio porgendoorecchio al proprio cuore piuttosto che ri-petendo a memoria norme e precetti. Comein tutte le parabole di Gesù, anche a questafamosissima parabola del buon Samaritanoè sottesa una profonda ironia. Gesù amavastimolare l’attenzione di quanti lo ascolta-vano, e non disprezzava l’uso dell’arguzia,un segno di grande intelligenza umana. L’i-ronia, chiarissima per un ebreo del tempodi Gesù, potrebbe sfuggirci e per questo èbene chiarire. I Sacerdoti e i Leviti di cuiparla la parabola erano i principali inser-vienti del tempio di Gerusalemme. La lorofunzione fondamentale era quella di offrirei sacrifici secondo la legge di Dio, di pre-gare secondo la legge di Dio, di ammae-strare il popolo secondo la legge di Dio.Per non dimenticare questa legge la scrive-vano su due piccoli rotoli di pergamena,che tenevano in una custodia preziosa fis-sata al centro della fronte e sul braccio de-stro. Questo ancora oggi fanno gli Ebrei,preparandosi per la preghiera solenne. Altempo di Gesù probabilmente Sacerdoti eLeviti tenevano questa legge scritta peren-

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nemente fissata e in bella vista sul capo esul braccio. Un loro stretto collaboratoreera il dottore della legge, con cui si apre ilbrano evangelico. Era una specie di incro-cio tra un catechista e un esperto di Bibbia,profondo conoscitore della Legge di Dio,tanto che la ripeteva in continuazione, man-dandone a memoria lunghissime parti. Que-sti sono i protagonisti del racconto e a que-sto punto appare chiara l’ironia di Gesù.

Sulle strade della Giudea il dottore del-la legge ripeteva la Legge divina insegnan-dola a tutti, ma non era ancora riuscito acapire chi fosse il suo prossimo! Sulla viache da Gerusalemme scende verso Gericoil sacerdote e il levita avevano la leggescritta sulla fronte e sul braccio, ma nonerano riusciti a comprendere che per ri-spettarla avrebbero dovuto fermarsi ad aiu-tare quel povero incappato nei briganti.

Al contrario Gesù, e il Samaritano dellaparabola, la legge di Dio la conservano scrit-ta nel cuore, come ogni uomo, ma non si li-mitano a conservarla: essi danno ascolto alloro cuore e così la mettono in pratica.

Una riflessione biblica che resti nellamente e non scenda nel cuore ha ben pochesperanze di giungere a quella “pratica” che aDio preme così tanto. Un lungo discutere sulda farsi, un tenere la legge scritta sulle brac-cia e farsene annunciatori ed abili pubblici-sti, senza lasciare che converta per primo ilnostro cuore, ci porterà a fare importanti di-chiarazioni di intenti, leggi quadro, e progettiavveniristici per il sociale; ma intanto il mal-capitato muore a bordo della strada.

La parabola di oggi è indirizzata a tuttisenza distinzione, ma in modo particolaresi rivolge a quanti vivono una vita cristianaimpegnata, addirittura consacrata a Dio edalla Chiesa: il rischio di venire superati nel-la “pratica”, da quanti conoscono la legge

di Dio solo perché ascoltano il loro cuore, èun rischio reale e deve essere per noi unrimprovero. La nostra migliore conoscenzadella volontà divina deve spingerci all’a-zione e non certo alla elucubrazione ed altemporeggiamento.

XVI Domenica del Tempo Ordinario C18 luglioAccogliere

PRIMA LETTURA

Dal libro della Gènesi (18,1-10)

Nell’ora più calda del giorno, Dio giun-ge per dare compimento alla sua promessaad Abramo. Questo antico racconto cheesalta l’ospitalità, una delle leggi sacre del-l’uomo orientale, è diventato il simbolodella presenza di Dio in mezzo all’umanità:un Dio che si lascia accogliere per potersirivelare. E solo a chi lo accoglie si rivelacon tutta la pienezza del suo mistero! Conuna intuizione dei padri, che poi ha attra-versato tutta la storia della Chiesa fino aispirare il fantastico capolavoro di AndreiRublev, “i tre uomini” apparsi ad Abramohanno suggerito addirittura un’apparizionedella Trinità divina. Più che sul tema dellaTrinità e dell’intimo mistero divino, in que-sto tempo di vacanze, di nuovi incontri e diesperienze di accoglienza, è interessantefermarci su altri particolari del racconto,sui quali ci indirizza anche il brano delvangelo.

L’affrettarsi di Abramo, la discrezione ela sorpresa di Sara, attenta a ogni parola, ilprofumo di carne alla brace e il latte fresco,ci presentano un mondo di relazioni moltoumane, di desideri semplici e profondi, divita comune segnata dalla straordinaria bel-

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La parola di Dio celebrata

lezza del quotidiano. È in questa atmosferache Dio sceglie di parlare, di rivelarsi, divenire incontro all’uomo. Ancora una volta,come quando si trattava di partire da Ur la-sciando tutto per seguire solo la parola diDio e la fede, una Parola misteriosa piombanella vita quotidiana di questi due anziani eli sospinge nuovamente sulle vie della fedee della fiducia senza limiti in Dio.

L’accoglienza, la quotidianità attenta aibisogni degli altri, la Parola di Dio semprenuova ed inaspettata. Questi i temi dellastoria di Abramo. Nella serenità delle ceneestive, consumate nella breve gioia dellevacanze semplici dalla maggioranza di noi,c’è posto per la Parola? C’è posto per unascolto più attento di quanto Dio e gli altricostantemente cercano di comunicarci,mentre la vita caotica del nostro quotidianoci chiude le orecchie?

Andare in vacanza non deve significare“andare in vacanza da Dio”, oppure “andarein vacanza dall’attenzione agli altri”. Anzi,proprio privilegiando questi due aspetti, lavacanza sarà un momento di rinascita, di ri-generazione della vita e del gusto di viverla,una uscita dal grigiore verso i colori di unanuova nascita.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colos-sési (1,24-28)

Paolo si sente investito da Dio di un in-carico nei confronti dell’intera umanità:essere il portavoce, il rappresentante delSignore presso tutti gli uomini. A questideve far conoscere “il mistero”, cioè la vo-lontà divina di salvezza e di amore che dasempre alberga nel cuore di Dio e che si èrivelata nel corso della storia della salvez-

za fino a raggiungere il massimo in Cristo.Chi accoglie Cristo riceve la pienezza del-la vita. Ma anche Paolo, come accadde aGesù, si confronta spesso con il rifiuto daparte degli uomini. È il suo modo di parte-cipare alla passione di Gesù, anzi di com-pletare la sua missione di dono e di amoregeneroso verso tutti.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (10,38-42)

Quanti litigi e discussioni spirituali suquesto brano di Vangelo: Marta e Maria.Quante fuorvianti disquisizioni sulla supe-riorità della vita contemplativa rispetto aquella attiva, ecc. In questo caso la letturaliturgica messa a confronto con il brano diAbramo è ancora più strana, infatti Abramosi comporta apparentemente come Marta, enon come Maria.

Abramo come Marta si affretta, si agita,cerca di accogliere gli ospiti meglio che può.Ma Gesù, rimproverando Marta, non volevacerto negare il valore dell’ospitalità. Bastaleggere con un po’ più di competenza il bra-no evangelico per capirlo.

Se si segue il testo di Luca secondo imanoscritti probabilmente più antichi, e so-prattutto se si riflette sul significato specifi-co dei verbi greci usati, potremmo tradurrecosì: “Essa aveva una sorella, di nome Ma-ria, la quale anche postasi a sedere ai piedidi Gesù, ascoltava la sua parola; Marta in-vece era tratta via dai molti servizi”. L’im-magine è a questo punto chiarissima: Gesùviene accolto dalle due sorelle, che si impe-gnano ambedue nell’ospitalità. A un certopunto la sua Parola è così coinvolgente chele attrae irresistibilmente. Maria allora safermarsi, assumendo l’audace atteggiamen-

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to di un discepolo: pur essendo una donna,infatti, si siede ai piedi di Gesù. L’ospitalitàormai è stata offerta, ora ciò che conta èconcentrarsi su Gesù. Marta invece è comestrappata da questa scelta che voleva fare,ma per la quale le manca la costanza,“quando le preoccupazioni del mondo” (Lc 8,14) la attirano altrove.

La colpa di Marta è in definitiva di nonsaper gestire il suo tempo, trovando un giu-sto equilibrio tra l’accoglienza dell’altro el’accoglienza di Dio. Potrebbe essere un te-ma interessante di meditazione sul nostro sti-le di vita durante le vacanze. Perché non sia-no anche vacanze dallo Spirito.

XVII Domenica del Tempo Ordinario C25 luglioInsegnaci a pregare

PRIMA LETTURA

Dal libro della Gènesi (18,20-21.23-32)

Dopo avere accolto tre uomini, pieni dimistero e portatori di promesse, Abramo re-sta solo con il suo Dio, mentre due uoministanno scendendo verso Sodoma. Adessotocca a lui far udire la sua preghiera per lacittà di Sodoma, i cui peccati avevano fattotanto chiasso da giungere alle orecchie diDio. D’altra parte quella è la regione dove siè stanziato Lot, il nipote di Abramo e lui nonpuò non sentirsi coinvolto da questa minac-cia che incombe sul capo del suo parente piùgiovane. Ci sarebbe molto da dire sulla pre-ghiera di domanda, così spesso bistrattata, al-meno per quanto è amata e diffusa. Questotesto del Genesi, come il testo del vangeloche gli è associato, sembrano porre una con-dizione alla sua sincerità e alla sua efficacia:che sia insistente. Se abbiamo qualcosa da

domandare, non dobbiamo scoraggiarci subi-to e abbandonare la partita: sarebbe un segnochiaro che non crediamo fino in fondo a ciòche chiediamo e alla bontà di Dio che puòaccordacelo. O, peggio, che siamo talmenteorgogliosi da non accettare, se non per unbreve attimo, il ruolo del mendicante fidu-cioso, che tende la mano confessando ripetu-tamente la sua debolezza e il suo bisogno. Èquello che fa Abramo in una lunga contratta-zione senza vergogna con lo stesso Signore.D’altra parte Abramo sta lottando per la sal-vezza degli uomini e nel cuore è ben convin-to che Dio la desideri ancora più fortementedi lui. Così la preghiera diventa una specie digustoso gioco delle parti, nel quale si lotta ingenerosità, tra l’intercessione insistente diAbramo e l’accondiscendenza generosa diDio. Anche quando Abramo cesserà di do-mandare, la misericordia di Dio non si fer-merà e gli angeli, che in Sodoma troverannoinnocente soltanto Lot, offriranno a lui e allasua famiglia la salvezza.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di S. Paolo apostolo ai Colos-sési (2,12-14)

La pienezza dell’amore misericordioso diDio si è manifestata nella passione di Gesù,subita a causa delle nostre colpe. È il misteropasquale di Cristo, la sua morte e resurrezio-ne, che ci libera dalla condanna dalla qualela circoncisione non poteva salvarci. Paolousa un’immagine potente: Cristo ha annulla-to la nostra condanna inchiodando alla suacroce il documento che portava scritta la sen-tenza. Lasciando lacerare il suo corpo suquel legno Gesù ha di fatto lacerato il fogliodove erano scritti i nostri peccati e la puni-zione che meritavamo per essi: il debito è

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La parola di Dio celebrata

estinto, può riprendere per ogni uomo la pie-nezza della vita.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (11,1-13)

La preghiera di domanda, che costituiscelo stile fondamentale dalla preghiera espres-sa nel Padre nostro, e che è al centro degliesempi di oranti di questo brano evangelico èmolto preziosa, perché è una grande scuoladi umiltà e di fede.

Cosa c’è apparentemente di più facile delchiedere a Dio? D’altra parte non c’è modopiù semplice e vero, per testimoniare a Dio ilnostro amore, se è vera la frase di GabrielMarcel: “Amare veramente qualcuno è spe-rare in lui in ogni occasione”. Dietro allapreghiera di domanda, dietro alle mani giun-te degli anziani come dei bambini, c’è la fe-de semplice di chi sa che il Padre non puòdeludere le sue attese, perché è “un padrebuono che sa dare cose buone ai suoi figli”.

Dobbiamo guardarci con attenzione dallatentazione di considerare la preghiera di do-manda una preghiera di serie B, ma dobbiamoanche far sì che le nostre richieste siano verapreghiera. L’esempio di Abramo dovrebbericordarci sempre che alla preghiera di do-manda si unisce come criterio di verità un de-siderio sincero. Questo nasce dal profondo delproprio essere e diventa il grido della povertà.Chiedere a Dio vuol dire metterci davanti allospecchio e con serenità guardare alla nostrapiccolezza, al nostro limite di creature deboli,eppure forti nella nostra debolezza, perché in-finitamente amati. Un debole infinitamenteforte ha gridato questa coscienza della poten-za della preghiera del povero che confida inDio: è proprio quando sono debole che sonoforte (2Cor 12,10). La preghiera di domanda,

per essere vera, deve dunque essere la pre-ghiera del povero e la sua caratteristica è quel-la di chiedere l’essenziale. Ci fa riflettere sanGregorio Magno, commentando il dialogo fraGesù ed il cieco: “Il cieco desidera dal Signo-re non del denaro, ma la luce. Senza di questa,tutto il resto gli sembra di ben poco valore”.L’uomo che prega, l’uomo che vuol domanda-re al Signore, deve innanzi tutto guardare den-tro di sé e chiedersi, cosa debbo chiedere?Qual è la cosa più importante? Certo una rid-da di desideri si affaccerà nel cuore, da ciòche ci attrae a ciò che crediamo serva, conestrema urgenza per le persone che amiamo.Gesù ci invita a lasciare pure che con sempli-cità il cuore si sfoghi dinanzi al Padre.

Ma quando chi prega sente il desiderio diandare oltre questa preghiera infantile, checome ogni domanda dei bambini tradisce unegoismo ingenuo, ma spesso sconfinato, al-lora giunge preziosa la parola dell’Apostolo.

“Lo Spirito ci viene in aiuto, perché nem-meno sappiamo cosa sia conveniente doman-dare, per questo lui stesso intercede con insi-stenza per noi con gemiti inesprimibili; e coluiche scruta i cuori sa quali sono i desideri delloSpirito, perché Egli intercede per i credentisecondo i disegni di Dio”. (Rom 8,26-27)

La preghiera di domanda, che nasce comepreghiera del cuore pieno di desideri, crescediventando la preghiera che si pone sotto laguida dello Spirito. La preghiera di domandadel cristiano adulto cerca la consonanza el’accordo con quella preghiera silenziosa eintima che lo Spirito eleva costantemente dalprofondo del suo cuore. Preghiera la cui fon-te è stata risvegliata dalle acque del battesi-mo e che si nutre, come un grande fiume, deiruscelli del perdono e dell’eucaristia.

Per questo alla più vera e profonda pre-ghiera il Padre risponde “dando lo SpiritoSanto a coloro che glielo chiedono”.

ANIMAZIONE LITURGICA

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Se l’incontro si svolge in chiesa si darà risalto all’ambone. Se la preghiera si svolge in unaltro luogo, si abbia cura di allestire l’ambiente in modo che sia idoneo per la preghiera.Si ponga al centro un leggio stabile e decoroso, che si potrà anche ornare con fiori.Si prepari un’edizione di pregio della Bibbia, oppure il lezionario (il branoproposto per questo incontro è la forma breve della prima lettura della vegliapasquale).

Quando tutti i partecipanti si sono radunati, chi ha preparato l’incontro acco-glie i presenti spiegando il senso dell’incontro e le modalità di svolgimento.

Si inizia con un’invocazione cantata allo Spirito Santo.

Il sacerdote (o il diacono) dice:

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.Amen.

Il Signore, che ci chiama alla vita e all’amore, sia con voi.E con il tuo spirito.

Quindi dispone l’assemblea ad accogliere la Parola:

Fratelli carissimi, la storia del mondo e dell’uomo inizia con una Parola d’amore del Padre, da cui tutto il creato ha origine. Questa Parola creatrice continua a operare in mezzo a noi. Accogliamo con venerazione la Parola di Dio e ascoltiamola con la mente e con il cuore.

Mentre l’assemblea esegue un’acclamazione (p. es. Beati quelli che ascoltano…), il letto-re introduce il libro della Parola di Dio. Una famiglia precede il lettore portando alcunelampade accese.

Giunti all’ambone o al leggio, il lettore vi depone il libro. Coloro che portano le lampa-de si dispongono intorno, restando rivolti verso la Parola.

Veglia di preghiera con le famiglie Una vocazione ad amare per sempre

a cura dell’Ufficio Liturgico di Roma

Preghiamo

ANIMAZIONE LITURGICA

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Dal libro della Genesi (1,1.26-31a)

In principio Dio creò il cielo e la terra. Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostraimmagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli delcielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che striscianosulla terra”.

Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e fem-mina li creò.

Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni es-sere vivente, che striscia sulla terra”.

Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è sututta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saran-no il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cieloe a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, iodo in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto avevafatto, ed ecco, era cosa molto buona.

Parola di Dio.Rendiamo grazie a Dio.

Quindi il sacerdote o il diacono possono commentare il brano biblico. Segue un momento prolungato di silenzio.

PER LA RIFLESSIONE

• La creazione dell’uomo giunge al culmine dell’azione creatrice di Dio. L’uo-mo assume anche una precisa responsabilità di fronte a Dio per tutto il crea-to. Conoscere il mondo creato, rispettarne gli equilibri, insegnare alle giova-ni generazioni a fare altrettanto, non è solo un’istanza dell’ecologismo at-tuale, ma è un ineludibile compito di responsabilità che i cristiani ricevonodalla Sacra Scrittura.

• Un adagio attribuito a sant’Ireneo dice “Gloria Dei vivens homo”: la glo-ria di Dio è l’uomo vivente. Siamo abituati a riceverci ogni mattina dallemani di Dio e a riconoscere in noi stessi la sua opera? A ringraziarlo perla nostra vita anche quando non ci sono anniversari importanti, eventistraordinari o occasioni particolari? A stupirci considerando la delicataperfezione del corpo umano, le inesauribili capacità dell’intelligenza, laluce interiore della coscienza, i moti del sentimento, la capacità straordi-naria con cui l’anima accompagna e “sposa” il corpo nelle diverse etàdella vita?

Preghiamo

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 3-2004 59

• Dio creò l’uomo a sua immagine… maschio e femmina li creò: l’immagine diDio non è resa pienamente né dal solo uomo, né dalla sola donna, ma dallaloro complementare diversità.

• Dare la vita a un figlio è farsi cooperatori di Dio perché la creazione conti-nui.

Tutti si alzano in piedi. Un lettore propone le invocazioni, l’assemblea risponde dicendo (o cantando):

R. Signore della vita, noi ti ringraziamo e ti benediciamo.

O Padre, tu hai tratto dal nulla il mondo e la varietà dei suoi elementi.

Hai infuso nel creato il soffio della vita.

Hai affidato la terra all’uomo.

Hai creato l’uomo e la donna uguali in dignità.

Hai voluto che la diversità si componesse in armonia nella coppia.

Nella coppia umana hai voluto imprimere la tua immagine.

Hai associato l’uomo e la donna alla tua opera creatrice.

Hai chiamato alla vita e all’amore noi, che oggi ti lodiamo.

Quindi il sacerdote o il diacono introduce la Preghiera del Signore dicendo:

A Dio, Padre Creatore, eleviamo con gioia e fiducia la supplica dei figli.

Padre nostro.

Quindi il sacerdote o il diacono pronuncia l’orazione:

O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che resistiamo con la forza dello spirito alle seduzioni del peccato, per giungere alla gioia eterna. Per Cristo nostro Signore.

Amen.

Il sacerdote o il diacono imparte la benedizione e congeda l’assemblea. Il canto di un’antifona mariana conclude l’incontro di preghiera.

Preghiamo

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L’innodia latina che arricchisce ilBreviario Romano è un tesoro di arte edi pietà che merita di essere rivalutato.La maggior parte di questi testi poetici èstata conservata anche nella Liturgiadelle Ore attuale; ma l’uso di questi inni– soprattutto se si pensa alla languente

conoscenza del canto grego-riano anche tra coloro che ce-lebrano ogni giorno l’UfficioDivino – sembra sempre piùrelegato a una esigua schieradi inguaribili nostalgici. La ru-brica che si inaugura con que-sto articolo vorrebbe invitarealla scoperta (o riscoperta!) di

questi preziosi strumenti di preghierache compendiano efficacemente una ric-ca teologia e un’ardente devozione. Ac-canto all’originale latino dell’inno, vienefornita una traduzione letterale che gui-di alla comprensione puntuale del testo,1

e poi una breve esposizione dei principa-li contenuti, in modo da invitare a unarecita consapevole e spiritualmente cor-roborante dell’inno.

Per iniziare, abbiamo scelto gli inniprincipali della liturgia degli apostoliPietro e Paolo, patroni della nostrachiesa locale. Il proprio della liturgiadelle ore ne presenta ben quattro: Au-rea luce (primi vespri), Felix per omnes(ufficio delle letture), Apostolorum pas-sio (lodi) e O Roma felix (secondi ve-spri). Il testo più antico è quello dellelodi, che risale a sant’Ambrogio; gli altritre, che adesso tratteremo, risalgono al-la fine del sec. VIII, e sono attribuiti –non senza qualche incertezza – a Paoli-

no II di Aquileia o, in ogni caso, a queltorno di tempo.2 Dal momento che i treinni sono intimamente intrecciati tra diloro, vorrei descriverli come se si trat-tasse di un testo unico. Felix per omnese O Roma felix, composti nello stessometro, sono praticamente un inno solo,diviso in due parti; ampie sezioni di ORoma felix invece sono state mutuate,con poche varianti, in Aurea luce. E daquest’ultimo, che celebrando i primi ve-spri introduce il credente nella solen-nità, prendiamo le mosse.

Aurea luce et decore roseo,lux lucis, omne perfudisti saeculum,decorans caelos inclito martyriohac sacra die, quae dat reis veniam.

Di luce dorata e bellezza vermiglia,o Luce della luce, hai colorato il mondo, adornando i cieli con nobile martirioin questo giorno santo, che dà perdono ai rei.

Ianitor caeli, doctor orbis pariter,iudices saecli, vera mundi lumina,per crucem alter, alter ensetriumphans,vitae senatum laureati possident.

Il portinaio del cielo e il maestro universale,giudici del mondo, vere luci della terra,vincitori l’uno per la croce, l’altro per la spadacoronati di alloro siedono nel consesso dei viventi.

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“O Roma felix…” di don Filippo Morlacchi

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O Roma felix, quae tantorum principumes purpurata pretioso sanguine,non laude tua, sed ipsorum meritisexcellis omnem mundi pulchritudinem.

O Roma felice, che dal prezioso sangue di sì grandi principi sei imporporata!Non a lode tua, ma per i loro meriti superi ogni bellezza del mondo.

Olivae binae pietatis unicae,fide devotos, spe robustos maxime,fonte repletos caritatis geminae post mortem carnis impetrate vivere.

Voi, olivi diversi di un’unica dedizione:dopo la morte del corpo ottenetecidi vivere devoti nella fede, sempre forti nella speranza, ripieni del duplice amore attinto allafonte.

Sit Trinitati sempiterna gloria, honor, potestas atque iubilatio,in unitate, cui manet imperiumex tunc et modo per aeterna saecula. Amen.

Alla Trinità sia gloria sempiterna,onore, potenza ed esultanza,nell’unità, a cui rimane il dominioora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

Come sempre nelle celebrazioni del-la liturgia, al centro dell’attenzione sitrova l’oggi, il giorno della salvezza, lasacra dies che commemora un eventosalvifico. Evidentemente nella memoria

dei martiri l’evento glorioso che vienericordato è il loro dies natalis, il giornodella loro morte testimoniale. I due san-ti non morirono nello stesso giorno, masono accomunati dalla stessa corona digloria. Due figure diversissime tra loro –un tema che ritornerà presto – ma cheper imperscrutabile volere celeste sonostate unite dall’unica grazia del marti-rio. L’inno si rivolge a Dio invocandolocome lux lucis: probabilmente si trattadel Padre, la luce originaria,“luce della luce”, e non del Figlio, la luce generata (“luceda luce”, come recita il Simbolo Niceno). È il Padre in-fatti che ha creato il mondo, elo ha reso luminoso separan-do le tenebre dalla luce (cf Gen 1,3); ed è lui che poi loha rivestito di una luce soprannaturalequando vi ha mandato il suo Figlio, “laluce vera che illumina ogni uomo”(cf Gv 1,9; Is 60,1). Di questa luce divinabrilla anche il martirio dei santi aposto-li: una luce dorata (perché preziosa) erosseggiante (perché insanguinata). Icieli stessi, adornati dei magici colori diun tramonto romano, dopo una torridagiornata estiva (è la sera del 28 di giu-gno, quando si canta questo inno!)sembrano ricordare lo splendore dell’o-ro e il rosso del sangue. Questo è il con-testo in cui la chiesa di Roma, memoredel martirio dei sui patroni, si rivolge al-la Luce increata nel canto di lode. Que-sto è il giorno in cui i colpevoli – e tuttilo siamo – possono chiedere il perdonoper intercessione dei santi apostoli.

I due santi sono assai diversi per sto-ria, per temperamento, perfino per mo-dalità del martirio. L’uno è il “portinaiodel cielo”, l’umile pescatore di Galilea al

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quale il Signore ha affidato le chiavi delregno dei cieli (Mt 16,19), quelle chiaviche gli artisti di ogni epoca gli mettonoin mano quando lo raffigurano. L’altroè il “dottore delle genti”, l’apostolo deipagani (cf Gal 2,8) che ha recato la buo-na novella fino ai confini della terra al-lora conosciuta. Il primo è martire dicroce, come il Maestro, ma a testa ingiù, per dimostrare la sua sottomissio-ne. Il secondo è martire di spada,

conforme al suo fiero cipigliodi cittadino romano: quellaspada che sempre stringe inpugno nelle immagini e cherappresenta sia il suo caratte-re battagliero, sia il suo glo-rioso martirio. Entrambi ri-splendono ora come “luci delmondo”, entrambi dopo la

morte trionfano, coronati di gloria: se-condo la consuetudine del mondo clas-sico, i vincitori ricevono l’alloro comesimbolo della vittoria, e possono sederenel consesso dei vincitori (il senatum vi-tae, il “consesso dei giusti e l’assem-blea” - cf Sal 110,1 - che gode della pre-senza del Vivente che ha sconfitto lamorte).

La terza strofa, che riprende l’inci-pit famosissimo dell’altro inno, èun’apostrofe all’Urbe personificata:Roma, caput mundi non solo per lagloria dell’Impero, ma molto più perla santità dei suoi numerosi martiri.La bellezza della città eterna sovrastaquella di ogni altro luogo del mondonon tanto per meriti propri, quantoper i meriti dei santi che vi hanno te-stimoniato la fede fino all’estremo.Questa è la vera grandezza di Roma.Il Santo Padre, vescovo di Roma e ro-mano di adozione3 ha espresso tutto

il suo amore per la nostra città quan-do ha coniato l’espressione “impara-re Roma”.4 Ma la grandezza di Roma,la sua genuina bellezza, non sta nelladiscutibile malìa di sacri palazzi o disontuose liturgie: il fascino vero del-la città risiede nell’ininterrotta teoriadi martiri e di santi, di pastori straor-dinari e di semplici laici che nei secolil’hanno adornata di santità. I ricordi,le tracce, le memorie, le infinite testi-monianze di tanti giganti nella fede:questo, e non altro, è il vero tesorodi Roma, che deve essere ancor oggicercato, custodito e spiritualmentegoduto.

I due santi patroni sono “come oliviverdeggianti nella casa di Dio, abban-donati alla fedeltà di Dio” (cf Sal 51,10). I richiami biblici relativialla pianta dell’olivo sono molteplici;ad esempio, il combustibile prescrittoper la lampada perpetua del Santuariodoveva essere “olio puro di oliveschiacciate” (Es 27,20): non a caso l’im-magine degli apostoli come lucerna lu-minosa è stata presentata nella secon-da strofa. Tuttavia il riferimento biblicopiù pertinente sembra quello al testodi Zaccaria (4,1-14) in cui si parla pro-prio di due olivi posti accanto ad uncandelabro d’oro. I due olivi a destra ea sinistra del candelabro nel passo pro-fetico sopra citato vengono corretta-mente identificati nelle figure storichedel sommo sacerdote Giosuè,5 che rap-presenta il potere spirituale (cf Zc 3), edal discendente davidico Zorobabele,simbolo del potere temporale. Essi so-no i “consacrati” (lett. figli dell’olio, edunque simbolizzati dalla pianta di oli-vo) che nella visione di Zaccaria vengo-no uniti, a rappresentare il giorno in

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cui i due poteri saranno finalmenteuniti in una sola persona. La profezia,composta intorno al 520 a.C., dopo ilritorno degli Israeliti dall’esilio babilo-nese, esorta alla ricostruzione del Tem-pio e attende con ansia il tempo dellasalvezza in cui il potere sacerdotale equello regale saranno associati. La rico-struzione del Tempio a opera di Zorobabele e di Giosuè avvenne nel515 a.C. Ma il cristiano riconosce il pie-no compimento della profezia nei tem-pi della Chiesa, in cui sacerdozio, rega-lità e profezia saranno indissolubil-mente congiunti in modo nuovo in Cri-sto, l’unto per eccellenza, e in tutti i fi-gli di Dio. Ora, l’immagine dei due oliviviene poeticamente applicata dal no-stro inno ai due santi apostoli: essi ven-gono invocati come i due olivi uniti dauna sola pietas, posti sul lucerniere del-la Chiesa (cfr Mc 4,21): la loro interces-sione giova a tutti i fedeli. Anche dopola morte – anzi, a maggior titolo! – essisono invocati per accrescere nei cre-denti le tre virtù teologali: la fede, lasperanza e la “duplice carità” (l’amoredi Dio e dei fratelli, secondo il precettoevangelico).

L’inno si chiude con la tradizionaledossologia. Ma noi proseguiamo conun breve commento degli altri due te-sti, che come già ricordato, sembra pos-sano ricondursi ad una stessa mano ecostituiscono una sorta di tutto unico.

Felix per omnes festum mundi cardinesapostolorum praepollet alacriter,Petri beati, Pauli sacratissimi, quos Christus almo consecravit sanguine,ecclesiarum deputavit principes.

La felice solennità degli apostoli prevale con ardore su tutte le regioni della terra,del beato Pietro, del santissimo Paolo,che Cristo consacrò con il suo sangue preziosoed elesse principi delle Chiese.

Hi sunt olivae duae coram Dominoet candelabra luce radiantia,praeclara caeli duo luminaria;fortia solvunt peccatorumvinculaportaseque caeli reserantfidelibus.

Essi sono come due olividi fronte a Dio, e candelabri che irradianodi luce,due brillantissime lampade del cielo;sciolgono i forti legacci dei peccatie aprono ai credenti le porte del cielo.

O Roma felix, quae tantorum principumes purpurata pretioso sanguine!Excellis omnem mundi pulchritudinem non laude tua, sed sanctorum meritisquos cruentatis iugulasti gladiis.

O Roma felice, che dal prezioso sangue di sì grandi prìncipi sei imporporata!Superi ogni bellezza del mondo,non a lode tua, ma per i meriti dei santi che sgozzasti con le spade insanguinate.

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Vos ergo modo gloriosi martyres,Petre beate, Paule, mundi lilium,caelestis aulae triumphales milites,precibus almis vestris nos ab omnibusmunite malis, ferte super aethera.

E voi soltanto, o martiri gloriosi,beato Pietro, Paolo giglio del mondo,soldati trionfanti della corte celeste,con le vostre benigne preghiere custoditeci

da tutti i mali, conduceteci lassù.

Gloria Patri per immensasaecula,sit tibi, Nate, decus et imperium,honor, potestas Sanctoque Spiritui;

sit Trinitati salus individuaper infinita saeculorum saecula.Amen.

Gloria al Padre per i secoli immensi,a te, o Nato, lo splendore e il dominio,e allo Spirito Santo onore e potenza;all’indivisibile Trinità sia la vita eternaper i secoli dei secoli infiniti. Amen.

La prima strofa si apre rilevando laspeciale solennità del giorno festivo deisanti Pietro e Paolo, che si celebra or-mai in tutta la terra. È Cristo stesso cheli ha consacrati prìncipi della Chiesa: laloro eccelsa dignità viene dalla sceltadivina, non dai loro meriti umani.

Subito dopo, l’immagine ormai notadei due olivi e del candelabro chediffonde la sua nobile luce viene ripro-posta con parole chiarissime. Anche l’ef-fetto della loro intercessione è descrittoin modo trasparente: sciolgono i fortilegàmi del peccato (forse con la spadadi Paolo?) e aprono le porte del Regnodei Cieli (con le chiavi di Pietro?).

La terza strofa – che in realtà è l’ini-zio dell’inno dei secondi vespri – ripren-de l’apostrofe alla Città Eterna, feliceper i meriti dei santi. Si ricorda che lagloria non è per essa motivo di vanto,ma le viene quasi a dispetto delle sue in-tenzioni: è stata lei stessa ad uccidere isuoi difensori; ma la misericordia di Dioha trasformato in fonte di grazia ciò chepoteva essere occasione di condanna.Dunque, Roma è felice nella misura incui si mantiene nella giusta docilità: nonlo spocchioso trionfalismo, ma l’umilegratitudine sia il suo ornamento.

La quarta strofa invoca ancora lapreziosa intercessione dei santi, soldatiche hanno combattuto in terra la buo-na battaglia (cf 1Tm 1,18; 6,12; 2Tm 4,7)e che ora godono il trionfo in cielo. Lapreghiera di chi, come loro, ha già com-battuto in terra è aiuto efficace per chiancora affronta la lotta contro le forzedel male e cerca una guida sicura versola meta del Paradiso. E su questa imma-gine paradisiaca la Chiesa intona la dos-sologia, in attesa di cantarla per l’eter-nità.

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1 Nel breviario spesso si può facilmente reperire una traduzione più libera e poeticamente mi-gliore degli inni; purtroppo non è così per gli inni presentati un questo articolo.

2 Cfr Liber hymnarius, Solesmis 1983, p. 608ss.3 Le polemiche sollevate in proposito pochi mesi fa, quando egli ha risposto in romanesco alla

simpatica battuta di un parroco, non sono ancora del tutto sopite…4 Giovanni Paolo II; Dono e mistero, Città del Vaticano 1996, p. 60.5 Da non confondersi con l’omonimo successore di Mosè, vissuto sette secoli prima!

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portante però è l’anima. In ogni ese-cuzione deve assolutamente emerge-re, prevenendo da cadute di interesselo svolgimento del brano, perché solocon l’anima si parla all’anima e al cuo-re di chi ascolta.

Si suole ammonire i cantori a nondistrarsi durante l’esecuzio-ne, occhieggiando qua e làcon curiosità: è giusto, per-ché non succeda che la men-te vaghi lontana, provocandoscoordinamento ed errori.Ma se il guardarsi attornoserve a rendersi conto con chi“si parla” e a stabilire un rap-porto veritiero e amichevole, non si ve-de perché proibirlo draconianamente.Succede come per il predicatore o ilconferenziere; gli riesce disagevoleparlare a occhi chiusi senza sapere chi equanti sono quelli che pendono dalsuo labbro, e soprattutto quali sono leloro reazioni. Serve a dare più fervore.

Il direttore non dimostri preoccu-pazione prima dell’esecuzione. Motiviper agitarsi potrebbe averne parecchi,dipende dal suo temperamento e dal-le situazioni concrete. Dalle preoccu-pazioni di natura musicale a quellederivanti da imprevisti, inconvenientio semplicemente da cose che devonovenire controllate (luce, leggio, peda-na, riscaldamento, sistemazione deicoristi, degli strumenti, pianoforte oorgano scordati, acustica non rispon-dente, ecc. ). Questa seconda serie dipreoccupazioni investe soprattutto ilmaestro del coro amatoriale, in quan-

Continuando le nostre lezioni, ri-prendiamo in mano ciò che il Donel-la propone circa la questione dell’e-secuzione:

(…) Si ricordi che nell’esecuzione lacosa principale di cui preoccuparsi è co-municare con chi ascolta. Ogni attivitàmusicale è “ad alteros”, vien fatta peressere capita e goduta dagli ascoltatori.Se nelle prove si lavora in solitudine,giustamente ma anche un po’ fredda-mente attenti al meglio, al pezzo dacostruire e alla tecnica più perfetta, nel-l’esecuzione si è di fronte agli altri, ur-ge che si ricerchino modi più spontanei,comunicativi, sciolti, come in un dialo-go caloroso, non più impacciati dapreoccupazioni di ordine tecnico; nel-l’esecuzione conviene dimenticare tut-to ciò che non sia la gioia di cantare edi partecipare il proprio canto.

“Dimenticare tutto”, nel senso cheè preferibile una sottigliezza in meno(che non tutti sono in grado di perce-pire) ma un insieme vivace, vitalmenteritmico ed espressivo, a una perfezio-ne gelida, incapace di parlare all’ani-ma dell’ascoltatore.

“Dimenticare” anche nel senso chese la tecnica è stata adeguatamenteappresa la si attua senza pensarci so-pra, ma se al contrario non è stata as-similata, rischia di trasformarsi in unaulteriore preoccupazione e in ostacoloalla buona esecuzione.

Insomma, per cantare bene occor-rono una tecnica e un’anima e biso-gna fare in modo che le due cose in-sieme non manchino mai. La più im-

Pregarcantando

L’esecuzione di don Daniele Albanese

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to si trova sempre solo, o quasi. Il di-rettore del coro “professionista” è al-leviato dall’opera di tecnici e macchi-nisti. Per il direttore del coro amato-riale, in certe circostanze, il dirigere èl’ultima delle incombenze.

Quindi il maestro si eserciti nell’au-tocontrollo, ricordando che ogni alte-razione si trasmette inevitabilmente alcoro e lo condiziona positivamente onegativamente; c’è un misterioso ma-

gnetismo che parte dal mae-stro e investe anche il più di-stratto dei coristi.

All’inizio dell’esecuzionedia il tono con discrezionetramite il diapason, oppure lofaccia dare dallo strumentocon un lieve accordo, e a ciòsiano tempestivamente abi-

tuati i coristi, ad evitare affannose e ri-dicole ricerche della nota giusta. Non èbello il sistema usato da alcuni di fareseguire da parte del coro l’accordodella tonalità interessata prima di par-tire col pezzo vero e proprio. Fa l’effet-to seccante dell’orchestra che si accor-da prima dell’esecuzione. Oltretuttopotrebbe risultare problematico inquelle composizioni moderne dalla to-nalità non definita o inesistente.

Il maestro, durante l’esecuzione,non faccia smorfie di disapprovazionese qualcosa non va: fanno l’effetto diuna doccia fredda che smorza e bloccail coro. Sorrida sempre, incoraggi, can-ti con i coristi, gioiosamente, qualun-que cosa succeda (…)

Resta da dire un parola sull’’acusti-ca dell’ambiente. È chiaro che non va-le la pena di affannarsi nella prepara-zione se al momento opportuno ilsuono non viene chiaramente percepi-

to e fruito dall’ascoltatore. Si devonofare i conti con le leggi dell’acusticacui è affidata in pratica la diffusionedel suono. I fisici le hanno studiate edenunciate e bisogna tenerne conto,anche se poi in concreto rimarrà sem-pre qualcosa di imponderabile e di im-previsto (a detta degli stessi esperti),al punto che ogni ambiente (teatro,sala, chiesa) costituirà un caso a parte.

Ma prima ancora c’è il problema del-la consistenza del coro (sorgente sonora)in rapporto all’ambiente. La logica sem-brerebbe reclamare la seguente equiva-lenza: più grande è il luogo e più nume-roso deve essere il coro; ma non può es-sere così, perché ogni ambiente rispon-de in maniera diversa e perché non èpossibile avere a disposizione un coro divarie misure (se si canta all’aperto occor-rerebbe un coro infinito?). Bisogna porsidi fronte ai problemi suscitati dall’am-biente con correttivi più attuabili: — agendo sul volume del suono (can-tare più forte o più piano a secondadei casi) con tutti i pericoli di distor-sione del suono; — ricorrendo a ben studiati impiantidi amplificazione (ma in concerto lacosa è accettabile solo per la musicaleggera); — accontentandosi di un suono debo-le - in confronto alla vastità ipoteticadell’ambiente - ma pulito (si pensi alleesigue fonti sonore rappresentate daicori gregoriani nelle immense catte-drali medioevali) — evitando, se è possibile, di esibirsiin luoghi non adatti.

Tornando al discorso più in genera-le, si distingue una acustica secca daun’acustica risonante.

Pregarcantando

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L’acustica secca, creata apposita-mente negli studi di registrazione, èquella che ha poca o nulla risonanza,in grado di far risaltare nitidamente ildiscorso musicale più complesso e arti-colato (contrappunto, sovrapposizionidi voci, giochi imitativi...). È pericolosoperché, alla stessa maniera, mette anudo impietosamente anche le mini-me imperfezioni.

Le cause della secchezza sono dovuteprincipalmente all’assorbimento delleonde sonore da parte dell’ambiente (ar-chitettura particolare che interrompe laloro corsa, abbondanza di panneggi eaddobbi, materiali assorbenti,...).

L’acustica risonante caratterizzataappunto da risonanza che, quando ètroppa, accavalla i suoni, le linee me-lodiche e le stesse armonie, crea con-fusione e a mala pena consente l’ese-cuzione di passi lenti e strutturalmen-te semplici. Gli stessi cantori si sento-no disorientati dall’abbondanza dei ri-verberi, non capiscono più nulla.

Le ragioni dell’eccesso di risonanzavanno ricercate nella struttura architet-tonica dell’ambiente, che riflette, ri-manda e fa rimbalzare i suoni, non con-sentendo loro di placarsi e di venire as-sorbiti. Il rimedio più comune ed effica-ce è il ricorso a rivestimenti assorbenti.L’assorbimento è assicurato, in tutto oin parte, dalla presenza di persone nel-l’ambiente in questione; il pubblico cor-regge la risonanza eccessiva che a tea-tro o a chiesa vuota può impressionare.

L’acustica ideale per un coro polifo-nico è quella dell’ambiente non trop-po secco e con un minimo di alone dirisonanza: in tal modo il suono risultachiaro e nello stesso tempo legger-mente ovattato. E l’ideale non si in-

contra sempre negli edifici antichi, co-me si potrebbe pensare: ci sono catte-drali ultramoderne in cemento arma-to (una per tutte, la cattedrale cattoli-ca di Tokio, in Giappone) con un’acu-stica da fare invidia alle più celebratebasiliche del passato.

La ricetta per tutte le situazioniambientali non esiste. Entrando inuna chiesa per cantare, un coro alme-no si assicuri di avere alle spalle unaparete (ottima l’abside cheraccoglie e riflette i suoni sulvano principale e in certosenso li amplifica come lacassa del violino) e faccia inmodo di non trovarsi maisotto una cupola (che assor-be, disperde o riflette in ri-tardo i suoni). Sono precau-zioni elementari.

Poco da aggiungere alla saggezzadel maestro…

La prima parte sul rapporto di for-ze tra tecnica e anima è di assolutaimportanza. E quando il Donella diceche comunque è più importante l’a-nima, sta dicendo che in fondo la tec-nica è ultimamente prodotta da unaretta e armonica disposizione dell’a-nima. Non è forse vero che quandol’interiore è distrutto o mal messo,anche l’esteriore non giunge a nessu-na concatenazione valida e tecnica-mente efficiente? Il problema dellacomunicazione e della sua struttura èdi enorme importanza e non a caso,infatti, il suo discorso tocca il proble-ma della comunicazione nella predi-cazione o nelle conferenze (luoghidella parola in cui l’incubo sedativo èsempre alle porte).

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Ciò che si è dimenticato è che la co-municazione, nei campi della parola,del suono, della parola cantata, ha unfine preciso. Ad alteros, giusto, manon solo. Starei per dire ad alteros, utalteri moveantur: Ogni produzione in-teriore diretta agli altri ha come suospecifico ulteriore fine di muovere glialtri, precisamente a che gli altri sisentano mossi, attratti dolcementeverso una realtà altra, verso la più ve-

ra realtà indicata solo in fi-gura di volta in volta dalleparole, dal suono, dalla mu-sica, dal canto, ecc.

Se la tecnica, nella sua ac-cezione generalissima, daancilla animi diviene dominamundi essa stessa si distrug-ge e distrugge la comunica-

zione. Se da cammino diretto verso l’altro

diviene turris eburnea di compiaci-mento estetico, circolo chiuso dove ladirezionalità si fa circolarità e dunqueritorno su se stessi, siamo di fronte al-la morte dello spirito.

Solo con questa gerarchia di veritàè possibile l’assunto donelliano del“dimenticare tutto”, solo interioriz-zando questa gerarchia di urgenzesarà possibile ai nostri cori capire chela ricerca di volta in volta della perfe-zione possibile, sarà nello stesso tem-po desiderio che questa perfezionetocchi il desiderio di perfezione possi-bile degli altri. E se quella perfezione,se quella ricerca di intonazione, se

quella cura del fraseggio e delle suediverse sfumature di intensità muove-ranno dall’amore estatico verso Coluiche solo muove alla lode (solo l’amoremuove al canto, allo iubilus), inevita-bilmente il bene che vi è contenutonon potrà fermarsi (diffusivum sui, di-cevano ottimamente gli antichi), egiungendo a destinazione muoverà einfiammerà a sua volta.

E questo è valido in qualsiasi cam-po, anche quello che crediamo piùlontano da queste divagazioni tra ilfilosofico, il metafisico e il linguisti-co. Gli antichi conoscevano moltobene gli equilibri da rispettare tratecnica e anima, sapevano bene cheil rischio era di deragliare sul primoversante illudendosi che una freddatecnica potesse sostituirsi alle cosedel cuore: il venerabile p. Giovannid’Avila interrogato una volta su checosa fosse più utile per ben predicarerispose con queste brevi parole: l’a-mare assai Gesù Cristo. E sant’Alfon-so dice che si è veduto spesso che ipredicatori che amavano assai GesùCristo han fatto talvolta più benecon una sola predica che altri conmolte. E questo vale anche per i no-stri cori: cosa è più utile per ben can-tare? E la domanda che sembra sbi-lanciata sul versante della sola tecni-ca trova il bilanciamento nell’inevita-bile invito all’interiore: l’amare assaiGesù Cristo. È la grande catechesidella creazione e redenzione: operiDei nihil praeponatur.

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Presentazione della rubrica

“ La bellezza salverà il mondo”, hascritto Dostoevskj, ed è vero perché l’uo-mo è stato creato per la Bellezza: è nellasua somiglianza con il Creatore che“l’uomo manifesta la Bellezza divina”(san Basilio). L’asceta, l’uomo spirituale,è bello perché irradia la luce di Dio.

I frammenti di Bellezza che ammi-riamo in questo mondo sono Presenzadi Dio tra gli uomini: è lo Spirito Santoche riempie l’universo della sua Sapien-za, sposa ideale di bellezza per il giova-ne Salomone, “riflesso della luce peren-ne, uno specchio senza macchia dell’ at-tività di Dio e un’ immagine della suabontà” (Sap 7,26).

In questo progetto, Dio desidera chela sua epifania venga percepita dall’uo-mo, sia a livello spirituale, sia a livellosensibile, rispettando così la sua pecu-liarità di essere stato da Dio stesso con-cepito come unità inscindibile di animae corpo. Attraverso l’affinamento deisensi, l’anima vede, sente, gusta, inten-de, fino a percepire l’Invisibile. È perquesto che la tradizione della Chiesa,nel corso della storia, ha conferito al-l’arte cristiana un ruolo importante.

Questa nuova rubrica, “Epifania del-la bellezza”, nasce proprio dal deside-rio, molto sentito oggi da parte dellaChiesa, di accrescere l’opera di sensibi-lizzazione per suscitare e promuovere,tra laici e chierici, l’interesse e una cono-scenza più diffusa del linguaggio icono-grafico dell’arte cristiana. Quest’opera èimportante per riscoprire e valorizzare a

pieno l’arte sacra nella sua missione ori-ginaria, che è quella di aiutare la cate-chesi e l’evangelizzazione, ripristinandola sua finalità liturgica e il valore teolo-gico assegnatole dalla Chiesa nel corsodei secoli. Ancora oggi si rimane incan-tati di fronte a cicli pittorici dei primi se-coli del Cristianesimo, conce-piti proprio per essere la “Bib-bia” dei poveri, della gentesemplice, che di fronte a tantabellezza e armonia aprivano illoro cuore a Dio.

Collocare all’interno dellechiese immagini pittorichecon mero scopo ornamentale,significa svilirle e snaturarle nella loroessenza: la liturgia è il luogo dove nondovrebbero mancare le immagini deivolti vivi ed espressivi di Cristo e di Ma-ria, degli angeli e dei santi e degli even-ti evangelici e della storia della salvez-za. Abbiamo infatti bisogno di “vede-re”, di visualizzare e non solo di ascol-tare il mistero celebrato, la Parola.

La presenza di icone anche al di fuoridi una chiesa (nelle abitazioni e nei luo-ghi non destinati al culto), segna comun-que la continuità tra la liturgia e la vita,come prolungamento della gioia e del-l’impegno della celebrazione.

L’esperienza di lavoro, per molti an-ni, come restauratrice di opere d’arte,l’aver avuto la possibilità di mettereconcretamente le mani su capolavori diarte cristiana del patrimonio artisticonazionale, ha suscitato ancor più in mela consapevolezza dell’importanza del-la presenza, nelle chiese moderne, diopere pittoriche che sappiano trasmet-

Epifania dellabellezza

Epifania della bellezza di Roberta Boesso

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tere quei canoni sempre validi e attualidi bellezza ed eleganza formale, di per-fetta simbiosi con l’architettura, di ar-monia con la liturgia, di sobrietà e sem-plicità formali, di fedeltà alla SacraScrittura e alla tradizione della Chiesa.

È per questo che, dagli anni Novan-ta, mi dedico a tempo pieno alla realiz-zazione di opere d’arte cristiana e hopotuto constatare quanta sete di Bel-lezza e quanto il Signore operi, con

grazie di conversione, nelcuore di chi si accosta a que-st’arte, spesso solo per curio-sità o per semplice interesseartistico.

La rubrica “Epifania dellabellezza” vuole essere un sus-sidio per conoscere, attraver-so il linguaggio particolaredell’arte, l’iconografia delle

festività e delle figure di alcuni santi at-tinenti al tempo liturgico. Apriamo al-lora il senso della vista allo Spirito, peraccogliere in noi il mistero, come Mariaai piedi di Gesù.

L’iconografia dei santi Pietro e Paolo

I Santi Pietro e Paolo sono conside-rati i supremi Apostoli e costruttori del-la Chiesa terrena. Sono strettamentecongiunti sia nel culto, sia nell’icono-grafia; la festività del 29 giugno vennecelebrata solennemente a partire dallafine del V secolo, preceduta dal cosid-detto “digiuno degli apostoli” che co-minciava subito dopo la Pentecoste.

San Pietro apostolo è uno dei santipiù popolari e la sua iconografia è estre-mamente ricca. Occupa un posto impor-tante nel collegio degli Apostoli, perché

scelto da Gesù per essere il primo fra iDodici: riconosce in lui il Figlio di Dio dalquale riceve in consegna le chiavi delRegno dei cieli (v. Mt 16,18-19).

Il Vangelo parla spesso di Pietro; ol-tre alla sua vocazione e professione difede a Cesarea, conosciamo il suo rin-negamento e l’ incontro con Gesù dopola Risurrezione. Vive eventi importantidella vita col Maestro, come la Trasfigu-razione, la Lavanda dei piedi, l’UltimaCena, la Cattura, la Pentecoste. È il pro-tagonista dei primi dodici capitoli degliAtti degli Apostoli. Secondo la tradizio-ne, si reca a Roma dove rimane fino al-la morte. Affronta vittoriosamente Si-mon Mago, favorito da Nerone; messoin prigione, converte i carcerieri che lolasciano fuggire ma, lungo la via, gliappare Gesù e, alla Sua domanda sudove stesse andando, riconosce la pro-pria debolezza, fa ritorno a Roma doverenderà testimonianza a Cristo fino allamorte.

Epifania dellabellezza

L’abbraccio dei Santi Pietro e Paolo, icona macedone, XVI sec.

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È crocifisso come uno schiavo, ma atesta in giù, perché non si ritiene degnodi morire come il suo Maestro.

Nell’iconografia, Pietro facilmente sidistingue dagli altri Apostoli per la suabarba corta e riccia, a vol-te per una tonsura sul ca-po (a ricordare che egli èil primo dei sacerdoti cri-stiani) e per la conforma-zione rotonda della testa.

Raramente è rappre-sentato in abiti pontifica-li, con la corona o la tiaraconica.

Quasi sempre ha inmano una o due chiavi;la simbologia della chiavesta nella sua capacità diaprire e chiudere, per cui,nella Bibbia, indica i pienipoteri conferiti a chi lapossiede (come nel no-stro caso il particolaremandato a Pietro di lega-re e sciogliere, secondo iltesto di Mt 16,19).

Nell’arte cristiana, difrequente Pietro apparecon la doppia chiave,spesso di dimensioni ec-cezionali (il diritto di le-gare e di sciogliere), suiportali delle chiese roma-niche, simboli della portadel cielo.

Altri attributi che consentono diidentificarlo sono: la barca e il pesce(che alludono al suo mestiere di pesca-tore), il gallo del rinnegamento, la cro-ce capovolta del suo martirio.

In un affresco nella chiesa diSant’Orso ad Aosta, Pietro che compare

in una barca tra una folla di personesimboleggia la Chiesa, di cui egli è ilnocchiero succeduto a Cristo.

Quando non è rappresentato negliepisodi legati al Maestro insieme aglialtri Apostoli (in cui ha sempre una po-

sizione più importante),nelle icone Pietro è raffi-gurato all’interno di una“Deesis” (termine grecoche significa intercessio-ne, supplica, esta a indicare lapreghiera per ilgenere umano,durante il Giu-dizio universa-le, della Madredi Dio e delBattista rivoltaal Cristo, che èal centro della composi-zione, degli apostoli, deimartiri, dei vescovi), è ri-volto di tre quarti, nelgesto di intercessioneverso il Cristo e, contem-poraneamente, verso ifedeli che si trovano inchiesa. L’apostolo tienenella mano sinistra un ro-tolo di pergamena, sim-bolo della sua missione epredicazione, oltre chedelle epistole da lui scrit-te: è un particolare ico-nografico che si riscontra

già nell’arte paleocristiana, precisamen-te in sarcofagi dove Cristo è raffiguratonella traditio legis, cioè nella consegnadel mandato missionario agli Apostoli.Se il rotolo è aperto vi si legge la scritta:“Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”(Mt 16,16).

Epifania dellabellezza

L’apostolo Pietro, scuola di Novgorod, XVI sec.

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1 Per approfondire ulteriormente questa rubrica è possibile consultare il sito internet di RobertaBoesso: www.artecristiana.com

Paolo di Tarso, principale artefice del-la diffusione del Cristianesimo nel mon-do romano, non ha mai conosciuto Gesùe non fa parte del collegio dei Dodici. Èun giudeo ellenizzato della diaspora, cit-tadino romano, del quale conosciamo lavita dagli Atti degli Apo-stoli e dalle sue Lettere.

Da persecutore dei cri-stiani, si converte a Cristosulla via di Damasco, do-

po essere statointerpellato dal-lo stesso Signo-re sul motivodelle sue perse-cuzioni. A Geru-salemme è con-fermato nellasua missionedagli Apostoli

più importanti, in partico-lare Pietro e Giacomo.

Dopo aver svolto unamissione attraverso l’Asiafino alla Grecia, fu arre-stato dai Romani e con-dotto prigioniero a Romadove, secondo la tradizio-ne, fu martirizzato con ladecapitazione nel 64, sot-to l’impero di Nerone.

L’iconografia di Paoloriprende i temi principalitratti dagli Atti degliApostoli e dai suoi stessiscritti; tuttavia è meno ricca di quella diPietro, più popolare presso i cristiani. Sesi tratta di un evento verificatosi prima

della sua conversione, san Paolo mancanel gruppo degli Apostoli.

Nelle icone, quando è rappresentatoin una Deesis, è sempre in associazionea Pietro e anche lui rivolto verso il Cri-sto in atteggiamento di intercessione,

con il simbolo iconografi-co del Libro, che indicain san Paolo il maestrodelle genti.

La saggezza dell’Apo-stolo è espressa dall’altafronte luminosa, dai li-neamenti decisi e volitivi,dallo sguardo intenso, aindicare la sua volontà aseguire Cristo, la sua ten-sione a correre con gli oc-chi verso la meta.

La nuca è tondeggian-te, la barba scura, divisain ciocche ondulate, il vi-so allungato e la frontestempiata.

Nell’alto Medioevo, gliartisti hanno fissato i ca-ratteri fisionomici di Pao-lo nel capo calvo, barbu-to, con la fronte bomba-ta. Per esaltarlo, general-mente lo rappresentava-no di statura imponente.I sandali ai piedi ne ricor-dano la vocazione apo-stolica e, spesso, egli tie-ne in mano il libro dellesue Lettere.

A partire dal XII secolo, è rappresen-tato di solito con la spada, strumentodella decapitazione.1

Epifania dellabellezza

L’apostolo Paolo, scuola di Novgorod, XVI sec.

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U sando un’immagine evocativa,potremmo considerare comeogni santo sia simile a un pezzo

di mosaico che, unito a tutti gli altri,forma il volto di Gesù Cristo. Come perogni pezzetto di mosaico possiamo co-gliere quella forma e colore particolare,così ogni santo nella Chiesa ha un postounico e irripetibile nel rendere Dio visi-bile all’uomo. Alcuni santi danno le li-nee fondamentali della “fisionomia” o,per usare un’altra analogia, sono comela nota dominante della grande sinfo-nia della santità, perché hanno cono-sciuto Gesù durante la sua vita terrena,sono i cosiddetti “epopti”, termine gre-co che significa testi-moni oculari. Di que-sti testimoni oculari,riportati dagli evan-gelisti, la Chiesa lati-na ne celebra solo al-cuni, quali gli Aposto-li, dando maggior ri-lievo alle colonne delcristianesimo. Alcunefigure tuttavia, purnon essendo ampia-mente descritte, sonosempre state conside-rate come modelli d’i-spirazione per la con-versione dei fedeli e,fra queste, in Occi-dente santa MariaMaddalena lo è statain modo particolare(la Liturgia Bizantina

celebra tutti i personaggi del Vangeloche hanno aderito a Gesù, compreso ilBuon Ladrone e il Centurione).

La descrizione di santa Maria Mad-dalena si trova solo nei Vangeli: daGiovanni è citata nei dueepisodi fondamentali dellanostra fede, la Crocifissionee la Risurrezione di Gesù; inLuca si parla di una donnadalla quale Gesù aveva scac-ciato sette demoni e che, in-sieme con altre, lo seguiva elo serviva (8,2); in Marco eMatteo la ritroviamo presen-te sotto la Croce e al sepolcro, unita

Santa Maria Maddalenadelle Clarisse Cappuccine

di Mercatello sul Metauro (PU)

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Duccio, L’apparizione di Cristo alla Maddalena, Siena, Museo dell’Opera del duomo, sec. XIII

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ad altre donne. Nella lista femminiledei Sinottici, Maria Maddalena occupasempre il primo posto, è la donna no-minata più frequentemente nei Van-geli (12 volte esplicitamente) superan-do anche Maria, madre di Gesù. Que-sto denota l’autorevolezza di questafigura nel gruppo delle discepole diGesù e la missione privilegiata affida-tagli dal Maestro di essere apostoladel Risorto, come riporta il Vangelo di

Giovanni. L’appellativo“Maddalena” sembra allusi-vo alla sua provenienza:Magdala, una cittadina sullariva occidentale del lago diGalilea, a nord di Tiberiade.Sembra che proprio in que-sta località abbia incontratoGesù all’inizio del suo mini-stero e, dopo la liberazione

dai demoni, si mise a seguirlo dive-nendo sua discepola. Di lei non cono-sciamo altri dati biografici, la Tradizio-ne riporta che, dopo l’Ascensione delSignore, si ritirò a vita eremitica e nelII secolo gli fu anche tributato un Van-gelo scritto in suo nome (il Vangelo diMaria), come testimonianza della re-putazione goduta da questa donnanella Chiesa.

Nei Vangeli, oltre a Maria Madda-lena, troviamo altre donne chiamateMaria (sempre distinte da Maria ma-dre di Gesù). La Chiesa greca ha sem-pre celebrato in date differenti le “di-verse Marie”. La Chiesa latina, invece,dai Padri del III secolo in forma allusi-va e da san Gregorio Magno in modoesplicito, ha identificato in un’unicapersona la donna peccatrice di cuiparla Luca 7,36-50, Maria sorella diMarta e Lazzaro e Maria Maddalena.L’autorevolezza di questo Padre della

Chiesa consegnerà così la figura dellaMaddalena alla successiva tradizionemedievale, la quale poserà l’accentoproprio sul dolore e sul pentimento diquesta donna facendone il modellosuggestivo di ogni convertito. Il datobiblico non conferma quest’ipotesi elasciamo il compito all’esegesi di di-stricarla, tuttavia non si può trascura-re il dato della Tradizione senza impo-verire la Rivelazione. Difficile risulta lacoincidenza di Maria di Magdala conMaria di Betania, però il gesto di un-zione del Signore Gesù riportato daGiovanni al capitolo 12 del suo Vange-lo manifesta chiaramente un segno diamore profondo e delicato, conun’audacia che la stessa Maddalenadimostra stando sotto la Croce e re-candosi al sepolcro quando era ancorabuio. Santa Teresa di Gesù riportaspesso l’esempio di questa santa neisuoi scritti e in un brano paragona lafortezza di coloro che iniziano l’ora-zione con quella della Maddalena aipiedi della Croce: “Minacciata di mor-te da ogni parte. Quanto dovetterosoffrire la gloriosa Vergine Maria equesta santa benedetta! Quante mi-nacce!… Che pene terribili dovetterosopportare! Siccome erano innanzi aun dolore più grande, stimavano ilproprio come cosa da nulla”.1 La don-na peccatrice dell’episodio di Luca, an-che se evidenzia alcuni particolari dif-ferenti da Giovanni, rappresenta l’em-blema della guarigione dal male edella vita nuova che si esprime nellaprofusione d’amore e, probabilmente,il fatto che la Maddalena sia stata li-berata da sette demoni (numero sim-bolo della pienezza), ha portato aidentificare le due donne con un’uni-ca persona. Senza pretendere di stac-

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care o di contrapporre il dato biblicodalla Tradizione, e neppure supporreche lo Spirito Santo si sia distratto pertanti secoli lasciando la Chiesa latinanell’incapacità di camminare verso lapienezza della verità, si può in ognimodo accettare quanto i Padri latini cihanno trasmesso, anche se sicuramen-te arricchito di molti ricami dalla leg-genda e dall’immaginazione popola-re, come espressione dell’amore cheMaria Maddalena nutriva per il Signo-re Gesù, un amore riconoscente peraverla liberata dal giogo del male, co-me riportavano gli inni della Liturgiadelle Ore.

Il culto a Maria Maddalena è atte-stato sia in Oriente, sia in Occidente,con alcune espressioni diverse non pri-ve della pretesa di essere i custodi delcorpo della Santa. Troviamo, infatti,nella tradizione orientale un culto svi-luppatosi intorno a Efeso (fin dal Vsec.) dove Maria Maddalena avrebbeseguito Giovanni; nel IX secolo le suereliquie sarebbero poi state trasferiteda Efeso a Costantinopoli nel mona-stero di san Lazzaro dove, nel secolosuccessivo, è attestata la celebrazionedella festa in suo onore il 22 luglio. InOccidente, invece, dal sec. XII, il corpodi santa Maria Maddalena è veneratonel santuario di Vézelay. Un raccontodi epoca non precisabile, infatti, soste-neva che Maria Maddalena, con suasorella Marta e il fratello Lazzaro in-sieme al cieco nato, nel corso di unaperegrinazione furono imbarcati e af-fidati alle onde del mare dagli infede-li; per volere divino la nave approdò aMarsiglia. In Provenza la santa, sepa-ratasi dai compagni, si sarebbe ritiratain un eremo sconosciuto e vi avrebbevissuto trent’anni nella contemplazio-

ne e nella penitenza senza veste né ci-bo, come riportano sia la Legenda la-tina di Maria Egiziaca, sia Iacopo daVaragine (1230-1298) nella sua Legen-da aurea. In questo periodo in Occi-dente riceve un rinnovato impulso ladevozione a questa santa: molte chie-se e monasteri sono a lei dedicati, e sisviluppa un vasto movimento a carat-tere penitenziale fino alla costituzio-ne di un “Ordine delle Maddalene”.In effetti, sia l’iconografiaorientale, sia quella occiden-tale hanno spesso rappre-sentato la Maddalena in duequadri significativi della suavita: l’apparizione del Risor-to (da sola o con le altre mi-rofore) e la sua vita peniten-ziale espressa con l’immagi-ne di donna dai lunghi capel-li che ne rivestono il corpo, come adesempio si presenta nel Polittico dellaGalleria Nazionale Umbra a Perugia.In alcune raffigurazioni, inoltre, tro-viamo poste delle scritte come questa:“Non disperare, tu che continui a pec-care, l’esempio mio ti porti a Dio”.

I santi sono posti nella Chiesa come“luce sul monte”, affinché noi ne am-miriamo lo splendore; però, per usareun’espressione di santa Teresa delBambin Gesù, non come si è soliti faredavanti a un’opera d’arte con escla-mazioni e sospiri che ci fanno sussulta-re, toccati per un istante nel senti-mento, ma che non penetrano nell’in-timo, lasciando inalterata la nostra vi-ta. La bellezza dei santi è additatadalla Chiesa perché anche noi possia-mo partecipare alla loro gloria e con-dividere la loro gioia, educati dalla lo-ro sequela del Signore Gesù. La Chie-sa, quale Madre e Maestra, ha posto

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con sapienza pedagogica lungo ilcammino liturgico alcune figure disanti che hanno specifici caratteri, alfine di suscitare e promuovere nei fe-deli la pratica delle virtù. Le letturescelte per la memoria di santa MariaMaddalena sono illuminanti per il no-stro cammino di fede e ci aiutano apercorrere, insieme con lei, la via perl’incontro vero con Gesù Cristo. Il Van-gelo di Giovanni mette in risalto la

centralità di questa figuraper la vita della Chiesa cometestimone di tutto il misteropasquale: restò vicina a Gesùsul Golgota, nella deposizio-ne nel sepolcro e davanti al-la tomba vuota dove il Risor-to si fece riconoscere. La li-turgia eucaristica della me-moria offre alla nostra medi-

tazione il brano evangelico dell’appa-rizione del Risorto a Maria Maddalena(Gv 20.1. 11-18), arricchito dalla Litur-gia delle Ore con uno splendido com-mento dei Padri della Chiesa.

Una piccola annotazione ci sembradoverosa considerando Giovanni, l’e-vangelista che ha riportato l’episodiopiù espressivo della vita della Santa edel nostro cammino di fede: riguardal’attenzione nell’indicare il nome diMaria Maddalena per esteso. L’Evan-gelista, infatti, scrive in tarda età ilsuo Vangelo ed era a conoscenza dialtri racconti riguardanti la Risurrezio-ne, pertanto è attento ad allontanareogni falsa diffusione di un’apparizio-ne a Maria madre di Gesù, come ci ri-ferisce l’apocrifo Mattia narrando unepisodio simile a quello della Madda-lena. Si potrebbe obiettare come mail’evangelista Giovanni, l’apostolo cosìattento a narrare nei particolari la vita

dei seguaci di Gesù, non abbia ripor-tato l’episodio narrato da Luca. Il fat-to che Giovanni non racconti nulladella vita di Maria Maddalena e la in-troduca subito come testimone dellaPassione di Gesù, e poi della sua Risur-rezione, ci porta a focalizzare l’atten-zione sulla centralità del suo messag-gio: l’accoglienza di Gesù per mezzodella fede. Il cammino di accoglienzadel Verbo nel Vangelo di Giovanni èreso visibile anche nella figura di Pie-tro, riportando la triplice confessioned’amore come segno di una pienaadesione d’affetto al Risorto. In que-sta luce potrebbe essere letto anchel’episodio della Maddalena: una testi-monianza d’amore resa nella progres-sione della fede in Gesù.

Tutta l’eucologia della memoria disanta Maria Maddalena è formulatacome un valido aiuto per elevare i no-stri cuori alle verità eterne. L’efficacerichiesta dell’orazione dopo la comu-nione, che la liturgia pone sulle nostrelabbra, sollecita anche noi a seguire ildinamismo che ha portato la fede diMaria Maddalena all’incontro con ilRisorto: “La comunione ai tuoi misterici santifichi, o Padre, e accenda anchein noi l’amore ardente e fedele di san-ta Maria Maddalena per il Cristo Mae-stro e Signore…”.

La petizione dell’orazione esprimeil desiderio di portare anche noi a vi-vere quella dimensione dell’amoreche, come una fiamma ardente, tuttovuole avvolgere con il suo calore; pertale motivo cercheremo di analizzareper esteso quanto è condensato neidue semplici attributi dell’amore: ar-dente e fedele e nella scelta ispiratadi definire il Cristo prima Maestro epoi Signore. Anche la liturgia Ambro-

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siana, nel prefazio per la memoria,sintetizza con definizioni simili la figu-ra della Maddalena: “Tu le accendestinel cuore il fuoco di un immenso amo-re per Cristo, che le aveva ridonato lalibertà dello spirito, e le infondesti ilcoraggio di seguirlo fedelmente sinoal Calvario. Anche dopo la morte dicroce ricercò il suo Maestro con tantapassione, che meritò di incontrare ilSignore risorto e di annunziare perprima agli apostoli la gioia pasquale”.

L’episodio del Vangelo proposto al-la meditazione dei fedeli il 22 luglio,giorno in cui la Chiesa Cattolica e Or-todossa ne celebra la memoria, descri-ve ampiamente lo stato d’animo checaratterizzò l’incontro fondamentaledella vita di Maria Maddalena. L’evan-gelista Giovanni, con la sua dinamicanarrativa che coinvolge il lettore, inquesto brano ci vuole condurre, attra-verso l’esperienza personale dellaMaddalena, all’approfondimento del-la fede nel Risorto. Fin dall’inizio delcapitolo, il particolare “era ancorabuio” ci comunica due aspetti dellaMaddalena: l’audacia dell’amore chenon teme di affrontare i pericoli (an-che se, secondo i Sinottici, non era so-la) e, nello stesso tempo, una fede cheancora non è nella pienezza della lu-ce. San Gregorio Magno ammira que-sta donna trattenuta al sepolcro da unaffetto profondo, che per il momentoè soltanto umano, ma che la preparaall’incontro con il Signore risorto: “Ar-deva del desiderio di Cristo… dobbia-mo considerare quanta forza d’amoreaveva invaso l’anima di questa donna,che non si staccava dal sepolcro del Si-gnore, anche dopo che i discepoli sene erano allontanati. Cercava coluiche non aveva trovato, piangeva in

questa ricerca e, accesa di vivo amoreper lui, ardeva di desiderio, pensandoche fosse stato trafugato”. L’amorenon riesce a stare lontano dall’ogget-to amato, per tale motivo Maddalenacerca Gesù anche dopo la morte; laprima lettura proposta per la Messa èappunto tratta dal Cantico dei Canticie descrive con accenti poetici il vivodesiderio dell’incontro dell’amata conl’Amato (cf. Ct 3,1-4).

Nell’uomo ci sono vari tipidi ricerca, che vanno daquella scientifica a quella delsuccesso, ma quella che è alui più consona è la ricercache lo fa uscire da se stessoverso Dio, come il Papa Gio-vanni Paolo II ricorda ai gio-vani: “La vostra ricerca nonsia motivata semplicementeda curiosità intellettuale, che è purgià un valore, ma sia stimolata soprat-tutto dall’intima esigenza di trovare larisposta alla domanda sul senso dellavostra vita.”2

L’esempio di questa santa ci invitaa verificare quali desideri abitano ilnostro cuore e come possiamo farciaiutare per portarli a compimento.Inoltre, il suo atteggiamento fedele èuno stimolo a non arrenderci alla pri-ma difficoltà e a farci suoi imitatori,perché “come Maddalena chinandosisempre sulla tomba vuota finì per tro-vare ciò che cercava…”,3 anche noipossiamo raggiungere la meta dei no-stri desideri profondi. “Accadde per-ciò che poté vederlo essa sola che erarimasta per cercarlo; perché la forzadell’opera buona sta nella perseveran-za... Cercò dunque una prima volta,ma non trovò, perseverò nel cercare, ele fu dato di trovare. Avvenne così che

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i desideri col protrarsi crescessero, ecrescendo raggiunsero l’oggetto dellericerche. I santi desideri crescono colprotrarsi. Se invece nell’attesa si affie-voliscono, è segno che non erano veridesideri”. Per questo è valido ancheper noi l’invito: “Lasciate emergeredal profondo del cuore questo arden-te desiderio di vedere Dio e farete l’e-sperienza dell’incontro con Gesù”.4

Maria Maddalena rimaneva lì,piangeva, interrogava e allafine ha trovato, ma non hatrovato da sola. Per trovareDio i nostri sforzi sono sem-pre insufficienti e dobbiamoriceverlo da lui. Maria Mad-dalena non arriva alla fedenel Cristo Risorto da sola,neppure grazie alla media-zione degli angeli, ma solo

quando Gesù la chiama per nome: èvero che noi cerchiamo Dio, però lafede inizia quando Dio si fa conosce-re. San Gregorio, infatti, continua:““Gesù le disse: Maria!”. Dopo chel`ha chiamata con l`appellativo generi-co del sesso senza essere riconosciuto,la chiama per nome come se volessedire: riconosci colui dal quale sei rico-nosciuta... Maria dunque, chiamataper nome, riconosce il Creatore e subi-to grida: “Rabbunì”, cioè “Maestro”:era lui che ella cercava all`esterno, edera ancora lui che la guidava interior-mente nella ricerca”. Gesù è “vinto”(cfr Gn 32,29) dalla tenacia e dallaperseveranza dell’amore e si lasciatrovare, “è sempre lui che è cercato edesiderato, che si nasconde e si mani-festa... Si nasconde per essere cercatopiù ardentemente, per essere trovatocon gioia e trattenuto con sollecitudi-ne”.5 Nella memoria della “santa mi-

rofora pari agli apostoli”, la LiturgiaBizantina così celebra quest’incontro:“Cristo, luce del mondo, vedendo vigi-le l’occhio della tua fede, vedendo l’ir-removibile attaccamento del tuo amo-re, o venerabile, a te per prima si mo-stra risorto dal sepolcro, a te che tan-to in fretta eri venuta ad offrire un-guenti e lacrime all’inaccessibile: edegli stesso ti ricompensa comunican-doti autorità, efficacia e volontà similia quelle dello Spirito, e ti manda adannunciare la divina novella della suarisurrezione ai sapienti iniziati”.6 L’in-vito del Papa Giovanni Paolo II rivoltoai giovani, poiché ogni cuore abitatodall’amore rimane giovane in eterno,diventa valido per ogni cristiano: “cer-cate con ogni mezzo di rendere possi-bile questo incontro, guardando a Ge-sù che vi cerca appassionatamente.Cercatelo con gli occhi della carne at-traverso gli avvenimenti della vita enel volto degli altri; ma cercatelo an-che con gli occhi dell’anima per mez-zo della preghiera e della meditazio-ne della Parola di Dio”.7

Il brano evangelico descrive unaprogressione del cammino di federaggiungendo il culmine nel momen-to in cui anche fisicamente MariaMaddalena cambia posizione, tradot-to con l’espressione si voltò, ma chepiù propriamente descrive una con-versione. La lettura di san Paolo pro-posta in alternativa al Cantico deiCantici ci indica il passaggio interiorecompiuto da Maria Maddalena: “or-mai non conosciamo più nessuno se-condo la carne e anche se abbiamoconosciuto Cristo secondo la carne,ora non lo conosciamo più così”.

Il desiderio di possedere Gesù èuna tentazione sempre viva nel cuore

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dell’uomo, anche quando sprofondia-mo nelle nostre illusioni umane, neinostri ragionamenti, ma Lui dice:““Non toccarmi come uomo…non so-no ancora salito al Padre mio” (v17):non hai ancora creduto che io sonouguale al Padre, coeterno e consu-stanziale. Credi questo e mi tocche-rai… Credendo mi toccherai… Con lamano della fede toccami, con gli occhidella fede cercami, con i passi della fe-de affrettati ad accorrere a me, per-ché non sono lontano da te”.8

La missione unica di Maria Madda-lena di annunciare agli Apostoli la Ri-surrezione di Gesù assume anche unaspetto singolare nelle parole stessedel Signore: per la prima volta Eglichiama i discepoli suoi fratelli e stabi-lisce una relazione nuova creatasi conla sua Passione, Discesa agli Inferi e sa-lita al Padre. Maria Maddalena ci co-munica quindi l’opera essenziale dellaRisurrezione: la paternità di Dio suGesù Cristo ed in lui di tutti noi.

Un’ultima nota riguarda il ricono-scimento di Gesù come Maestro, pri-mo stadio di chi conosce il Figlio diDio e desidera aderire a lui, fino al-l’annuncio ai discepoli di aver visto ilSignore. Il termine Signore qui nonvuole significare solo l’esperienza pa-squale, ma il coinvolgimento totaledella vita di Maria Maddalena con lapersona di Gesù, divenendo come Luidono d’amore. Maria Maddalena agliangeli risponde di cercare il suo Signo-re, ma non è ancora verità del suo es-sere ciò che lei desidera; lo dimostrasubito dopo quando scambia Gesùcon il custode del giardino. Singolareè il messaggio giovanneo centrato sul-l’accoglienza del Verbo della vita e inquesto episodio vediamo, anche per

Maria Maddalena, il passaggio dall’a-scolto di Gesù alla fede operosa dellaParola di Verità. Solo quando la Paro-la ascoltata diventa vita - nell’annun-cio ai fratelli -, si può parlare di Signo-ria di Dio nella nostra vita.

Nell’episodio della Maddalena de-scritto nel Vangelo, tutto il processodell’adesione di fede alla Signoria diGesù Cristo forse nella versione italia-na della CEI non appare subito nellasua profondità, perché l’usodel verbo “vedere” è pocoefficace nel mostrare le di-verse sfumature dell’origina-le greco (pubblicato sia neltesto critico di A. Merk, siain quello di Nestle-Aland).Tutto il capitolo 20 di Gio-vanni gioca sul verbo della“fede” attraverso un’evolu-zione che non è facile da tradurre conun solo vocabolo (talvolta il verbo“horao” è usato nella sequenza logi-ca: ho visto ➜➜ conosco ➜➜ so). Coloroche hanno la possibilità di accostaredirettamente il testo greco certamen-te comprenderanno il senso, meglio diquanto renda questa spiegazione. Al-l’inizio del capitolo (v. 1), quando Ma-ria Maddalena si reca al sepolcro, si di-ce che “vide” la pietra: meglio si po-trebbe tradurre il termine “blepei”con guardò (cioè, solo con gli occhi).Quando poi si incontra con gli angeli(v. 13) è utilizzata una traduzione ap-propriata dicendo che non “sa” doveè stato posto Gesù. Nel versetto suc-cessivo è indicato il progredire interio-re di questa donna, infatti, si attestache “vide” (theorei) Gesù, ma non loriconobbe; il testo greco usa “theorei”(da cui origina “teoria”) che ha unavalenza più pregnante della sola vista

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ANIMAZIONE LITURGICA

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—————————————1 S. TERESA DI GESÙ, Opere, Edizioni OCD, Roma 1977, 659.2 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XIX GMG, Vaticano, 22 febbraio 2004, n. 2.3 S. TERESA DI GESU’ BAMBINO, Gli scritti, Edizioni OCD, Roma 1995, 237.4 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XIX GMG, Vaticano, 22 febbraio 2004, n. 3.5 Trattato sulla Passione e Risurrezione del Signore di un autore del secolo XII, in L’Ora dell’A-

scolto, Terza lettura del lunedì fra l’ottava.6 Anthologhion, Ed. Lipa, Roma 2001, 790.7 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XIX GMG, Vaticano, 22 febbraio 2004, n. 3.8 Cfr “Trattato sulla Passione e Risurrezione del Signore” di un autore del secolo XII, in L’Ora del-

l’Ascolto, Terza lettura del lunedì fra l’ottava.

degli occhi. Il termine “non sapeva”(che era Gesù) nel testo originale ha laradice dello stesso verbo che ritrovia-mo alla fine (v. 18) quando MariaMaddalena annuncia ai discepoli ilsuo incontro con il Risorto ancora unavolta tradotto con il verbo “vedere”,mentre nel greco “horao” esprimeuna conoscenza profonda, una visionespirituale, che nel Vangelo giovanneoè la visione della fede. Infine, la pro-

gressione della fede è ancorpiù marcata se si considerache, la forma utilizzata delverbo “horao” al v. 18, espri-me un’esperienza avvenutain passato le cui conseguen-ze durano nel presente.

In questa memoria laChiesa ci sprona a verificarela misura del nostro amore

per Gesù e a gustarne l’esperienza,conservando vivo il ricordo della suapresenza attraverso l’annuncio ai fra-telli.

In passato si è data importanza al-l’elemento penitenziale della figura di

Maria Maddalena, l’attuale rivaluta-zione dell’aspetto biblico, con l’ausiliodell’esegesi moderna, ha riportato al-la luce la valenza dell’annuncio pa-squale consegnato da Gesù a questadonna, facendone l’apostola degliapostoli. La testimonianza evangelica(in particolare quella sobria di Giovan-ni) e l’intercessione di Maria Maddale-na aiuti anche il nostro cammino difede affinché viviamo tenendo sem-pre uniti il mistero della Croce, con ilmistero della deposizione nel Sepolcroe il “silenzio del sabato”, con il miste-ro della Risurrezione. Per la vita pienanella fede non possiamo accentuareun aspetto del Triduo Pasquale a sca-pito di un altro per questo chiediamoalla santa di avere la forza di rimanereaccanto al Crocifisso nel momento do-loroso e drammatico della vita, diguardare in silenzio dove ha fine ogninostra speranza terrena, di avere latenacia della ricerca della Verità pergioire di ogni presenza di Risurrezioneche il Signore Gesù semina nel nostrocammino.

I nostriamici