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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 4-2005 1 I libri sapienziali rappresentano una parte molto significativa della Bib- bia. Sono gli scritti che sintetizza- no in modo mirabile gli insegnamenti morali e spirituali di Israele, mostran- do il nesso profondo tra la rivelazione di Dio e la vita quotidiana, che deve essere permeata della Parola divina ed essere così illuminata e vivificata dalla sua efficacia. La famiglia è sempre considerata nei sapienziali come la base fonda- mentale di Israele: non viene mai mes- so in dubbio, neppure per un attimo, il suo ruolo decisivo nel piano salvifi- co. La riflessione su ciò che porta sal- vezza e su ciò che porta alla morte è costante in tutti i libri della tradizione sapienziale, occorre che l’uomo saggio conosca bene come poter realizzare la volontà di Dio in quella quotidianità, spesso fuggita o sminuita ai nostri oc- chi, che ha nella vita familiare il suo ambiente naturale. Spesso cerchiamo altrove ciò che possiamo trovare vici- no a noi, spesso crediamo che la no- stra testimonianza di fede debba esse- re vissuta lontano dalla nostra realtà di ogni giorno e dai nostri legami fa- miliari, come se la fede fosse una eva- sione dalla realtà e non invece il mo- do con cui viverla in profondità e ve- rità. Gli scritti sapienziali vogliono in- segnarci proprio questo: a fare della vita di ogni giorno il logo della sa- pienza: gli sposi, i figli, gli anziani e i giovani, gli uomini e le donne, tutti sono chiamati alla sapienza, cioè alla capacità di vivere felici secondo la verità di Dio. Il libro dei Proverbi mette molte volte in guardia dal turbare l’equili- brio familiare con l’adulterio, che non solo rappresenta il tradimento del patto nuziale ma anche il tradimento della fedeltà a Dio (cfr. Prov 5,1-20; 6,20-35;7,1-27). Come già avevano predicato i profeti, la fedeltà a Dio è significata dalla fedeltà nuziale, che ne è il simbolo. L’amore per la propria sposa e la fedeltà a lei è segno dell’a- more a Dio e della fedeltà alla sua Pa- rola. Il peccato di adulterio significa non solo trasgredire un comando di Dio, ma soprattutto abbandonare se stesso all’infelicità che deriva da una vita sregolata, senza disciplina, in cui l’intemperanza e la stolta istintività prendono il sopravvento sulla ragio- ne. Essere attratto da un’altra donna (Prov 5,15-20) significa dimenticare l’amore della giovinezza e andare in cerca di ciò che già si possiede, andan- do incontro a una delusione certa. Il capitolo 31 dei Proverbi tesse l’e- logio della donna perfetta, l’ideale sa- pienziale di una donna padrona della casa e amministratrice perfetta della sua famiglia. Un’immagine che può sembrarci fuori tempo, soprattutto oggi in cui la cosiddetta emancipazio- ne femminile ha proposto altri model- li di donna, che però tengono scarsa- mente in considerazione il suo ruolo familiare fondamentale e la sua au- tentica autorità sui figli e sulla gestio- ne concreta della famiglia. La sua ope- Come sigillo sul cuore di mons. Marco Frisina

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2005 1

I libri sapienziali rappresentano unaparte molto significativa della Bib-bia. Sono gli scritti che sintetizza-

no in modo mirabile gli insegnamentimorali e spirituali di Israele, mostran-do il nesso profondo tra la rivelazionedi Dio e la vita quotidiana, che deveessere permeata della Parola divina edessere così illuminata e vivificata dallasua efficacia.

La famiglia è sempre consideratanei sapienziali come la base fonda-mentale di Israele: non viene mai mes-so in dubbio, neppure per un attimo,il suo ruolo decisivo nel piano salvifi-co. La riflessione su ciò che porta sal-vezza e su ciò che porta alla morte ècostante in tutti i libri della tradizionesapienziale, occorre che l’uomo saggioconosca bene come poter realizzare lavolontà di Dio in quella quotidianità,spesso fuggita o sminuita ai nostri oc-chi, che ha nella vita familiare il suoambiente naturale. Spesso cerchiamoaltrove ciò che possiamo trovare vici-no a noi, spesso crediamo che la no-stra testimonianza di fede debba esse-re vissuta lontano dalla nostra realtàdi ogni giorno e dai nostri legami fa-miliari, come se la fede fosse una eva-sione dalla realtà e non invece il mo-do con cui viverla in profondità e ve-rità.

Gli scritti sapienziali vogliono in-segnarci proprio questo: a fare dellavita di ogni giorno il logo della sa-pienza: gli sposi, i figli, gli anziani e igiovani, gli uomini e le donne, tuttisono chiamati alla sapienza, cioè alla

capacità di vivere felici secondo laverità di Dio.

Il libro dei Proverbi mette moltevolte in guardia dal turbare l’equili-brio familiare con l’adulterio, che nonsolo rappresenta il tradimento delpatto nuziale ma anche il tradimentodella fedeltà a Dio (cfr. Prov 5,1-20;6,20-35;7,1-27). Come già avevanopredicato i profeti, la fedeltà a Dio èsignificata dalla fedeltà nuziale, chene è il simbolo. L’amore per la propriasposa e la fedeltà a lei è segno dell’a-more a Dio e della fedeltà alla sua Pa-rola. Il peccato di adulterio significanon solo trasgredire un comando diDio, ma soprattutto abbandonare sestesso all’infelicità che deriva da unavita sregolata, senza disciplina, in cuil’intemperanza e la stolta istintivitàprendono il sopravvento sulla ragio-ne. Essere attratto da un’altra donna(Prov 5,15-20) significa dimenticarel’amore della giovinezza e andare incerca di ciò che già si possiede, andan-do incontro a una delusione certa.

Il capitolo 31 dei Proverbi tesse l’e-logio della donna perfetta, l’ideale sa-pienziale di una donna padrona dellacasa e amministratrice perfetta dellasua famiglia. Un’immagine che puòsembrarci fuori tempo, soprattuttooggi in cui la cosiddetta emancipazio-ne femminile ha proposto altri model-li di donna, che però tengono scarsa-mente in considerazione il suo ruolofamiliare fondamentale e la sua au-tentica autorità sui figli e sulla gestio-ne concreta della famiglia. La sua ope-

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rosità, sia all’interno della famiglia, siaall’esterno, come oggi per varie ragio-ni accade, è svolta da lei con quella in-telligenza e prudenza tutta femminileche assicura il benessere familiare e lapace per tutti.

Nel libro del Siracide, più tardo einfluenzato da una riflessione sulla vi-

ta e l’esistenza più complessa e artico-lata, la vita familiare è vista in tutta lasua complessità e in tutte le sue rela-zioni. Trasmettere la fede di Israele èun valore primario all’interno della fa-miglia. Il rapporto tra genitori e figlinon è soltanto fondato sul rispetto esul timore reverenziale, ma soprattut-

to sull’insegna-mento e la tra-smissione dellaParola di Dio resaviva dall’esperien-za familiare quo-tidiana (Sir 3). Ilrapporto di ri-spetto tra figli egenitori è infattila testimonianzadel valore attri-buito alla trasmis-sione della fededei padri attraver-so gli insegna-menti ricevuti nel-la famiglia. Tuttoil libro del Siraci-de è pervaso daquesto atteggia-mento paternodel sapiente cheistruisce suo figlioesortandolo allavirtù e alla auten-tica sapienza, an-che con rigore eseverità (cfr. Sir30,1-13).

In Sir 7,18ssvengono passatein rassegna le dif-ferenti relazionitra i familiari. LaIcona, L’abbraccio di Giuseppe e Maria

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sposa, i figli, l’amico, il servo sono pro-tagonisti della famiglia, i loro diritti edoveri sono il fondamento della feli-cità della famiglia e di ciascuno. Tuttoquesto brano può essere consideratoun commento al quarto comanda-mento, allargato non solo al padre ealla madre ma anche agli altri compo-nenti della famiglia.

La prudenza nei confronti delleproprie passioni è garanzia di pace(Cfr Sir 18,30-33; 23,1-6), così come l’a-dulterio è occasione di dolore (Sir23,16ss). Alle mogli è dedicata unapiccola trattazione che le divide, an-che con una certa ironia, in buone ecattive (25,12-26,18. Cfr. anche 36,21sssulla scelta della moglie).

Un posto particolare, tra gli scrittiche possono essere ricondotti alla tra-dizione sapienziale, è il libro del Can-tico dei Cantici. Il libro dell’amore pereccellenza, una raccolta di poesie d’a-more che trattano l’immagine nuzialein tutti i suoi aspetti, mostrando nellarelazione tra l’uomo e la donna, se-guendo in questo la tradizione profe-tica, il segno simbolico della relazionetra Dio e Israele. L’amore dello sposo edella sposa e le loro nozze divengonoil simbolo dell’alleanza e preparano inmodo mirabile le nozze tra Cristo e laChiesa così come vengono descrittedal libro dell’Apocalisse.

Il linguaggio esplicito che spesso sitrova nel libro, e che descrive l’attra-zione e l’amore tra i due sposi, ci in-dica che anche la sessualità ha un suovalore rivelativo all’interno dellarealtà familiare. Il corpo diviene illuogo in cui risplende l’immaginestessa della creazione e l’unione del-l’uomo e della donna è l’immagine

misteriosa della comunione di cuiparla Genesi: “e i due saranno unacarne sola” (Gn 2,24). La corporeitànel Cantico è un linguaggio eloquen-te del destino d’amore dell’interacreazione e la reciproca donazionecorporale nel matrimonio diventa di-vina profezia e simbolo della comu-nione tra Cristo e la sua Chiesa, frut-to mistico dell’Alleanza nuziale stret-ta dal Signore con l’umanità sullaCroce. Cristo Sposo s’unisce alla Chie-sa formando con lei un solo Corpo; ilmistero di questa comunione si mani-festa nella vita della Chiesa e nel mi-racolo della grazia che scorre per tut-te le sue membra e le ravviva nei sa-cramenti.

L’Eucaristia è così il segno stupendodi questa comunione d’amore. Il cor-po di Cristo risorto è la vita della Chie-sa, che si unisce a lui corporalmentenel banchetto nuziale dell’Eucaristia,divenendo una sola cosa, nell’esultan-za della comunione gioiosa dello Spi-rito. Le immagini del Cantico, che de-rivano da quelle della poesia d’amoreprofana ma che portano in sé tutta laprofondità del messaggio profetico edei suoi simboli, sono immagini fisichee spirituali insieme. L’interpretazioneche ne hanno dato i mistici e la loroesperienza spirituale fanno del Canti-co dei cantici uno dei libri più com-mentati e insieme più discussi dellaBibbia. Ma la sostanza stessa del librorimanda necessariamente all’esperien-za mistica e sacramentale della comu-nione con Cristo che ha nel sacramen-to del matrimonio la sua applicazioneconcreta. Le nozze, così come appaio-no nel Cantico, sono una esperienzaspirituale altissima che trova nel sacra-

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mento del matrimonio la sua realizza-zione quotidiana e nel sacramentodell’Eucaristia la sua realizzazione mi-stica. Il rapporto stretto che intercorretra Cantico e letteratura giovannea,Vangelo e Apocalisse, lo conferma. LaChiesa, come già il popolo di Israele,ritrova nelle immagini nuziali del Can-tico e nel racconto dell’amore delloSposo e della Sposa la sua stessa voca-zione e lo stesso destino d’amore infi-nito. La famiglia è dunque il segnosensibile del destino eterno della

Chiesa, è la celebrazione terrena delprodigio dell’amore di Dio e del suodisegno di salvezza.

Tutto il Cantico è pervaso da questostupore e canta il miracolo meraviglio-so dell’amore esprimendolo con un af-flato poetico unico. Nella prassi ebrai-ca il Cantico dei Cantici veniva procla-mato a Pasqua, perché esprimeva neisuoi simboli nuziali la storia dell’Al-leanza d’amore tra Dio e Israele. Ognimatrimonio è sacramento dell’Allean-za Nuova tra Cristo e la Chiesa, rende

vivo nel cuore stes-so della Chiesa l’a-more eterno delSignore. L’azionedello Spirito Santo,la grazia del sacra-mento, è il sigillodescritto da Canti-co 8,6, Il brano faeco a Dt 6,6-8 incui si parla dell’a-more totale a Dio:è questa la sostan-za dell’Alleanza, equesto amore de-ve essere posto co-me segno perennenel cuore, sullafronte e sul brac-cio del credente.Così la famiglia di-viene il luogo pri-vilegiato in cuiquesto amore to-tale a Dio si inveradivenendo testi-monianza quoti-diana e, in certi ca-si, martirio quoti-diano.Icona, La Santa Famiglia

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“I cristiani non si distinguonodagli altri uomini né per ilpaese né per il linguaggio né

per i costumi: essi si sposano come tut-ti gli altri”.1

Questa celebre frase tratta dallanota Lettera a Diogneto, scritta da unanonimo alla metà del II secolo, forni-sce un chiaro spaccato della situazionedi vita dei cristiani dei primi secoli, si-stematicamente inseriti nel tessuto so-ciale del territorio, della nazione edella cultura del loro tempo.

Rientrava nella normalità, pertan-to, l’abitudine dei cristiani dell’areagreco-romana di utilizzare per il ma-trimonio i riti propri di quelle cultureed era logico che i cristiani della Pale-stina continuassero ad adottare gli usigiudaici, come i Giudei della diaspora.

Il matrimonio era da sempre consi-derato come un’azione estremamenteimportante presso tutti i popoli e leprescrizioni, le forme, le motivazioni,pur variando più o meno da un terri-torio all’altro, rimanevano così radica-te nel tessuto stesso della vita dell’uo-mo da costituire l’avvenimento fonda-mentale del percorso esistenziale pro-prio della natura umana.

La Sacra Scrittura fornisce non solonarrazioni e particolari riguardanti lacelebrazione del matrimonio in varieepoche e territori diversi, ma anchedelle immagini simboliche che traggo-no spunto dall’unione sponsale e dalconcetto di amore coniugale.

“Io provo infatti per voi una speciedi gelosia divina, avendovi promessi aun unico sposo, per presentarvi qualevergine casta a Cristo” (2 Cor 11,2).

Con questa affermazione Paolo siassimila a una figura di grande rilievonell’ambito dei costumi e delle usanzeebraiche ancora presenti nel suo tem-po, l’amico dello sposo.

“Vidi anche la città santa, la nuovaGerusalemme, scendere dal cielo, daDio, pronta come una sposa adornaper il suo sposo” (Ap 21,2) è il nuovofidanzamento di Gerusalemme con ilsuo Dio, nel giubilo e nella gioia: lasposa che attende di entrare nella ca-sa di suo marito.

Il banchetto della celebrazione nu-ziale è preso come immagine vivissimaper l’ingresso nel Regno dei cieli (Mt22, 2 ss).

“Rallegriamoci ed esultiamo, ren-diamo a lui gloria, perché sono giuntele nozze dell’Agnello; la sua sposa èpronta, le hanno dato una veste di li-no puro splendente” (Ap 19, 7-8): siracconta non solo l’attesa della sposa,ma addirittura si fornisce la descrizio-ne dell’abito nuziale.

In Mt 25,1ss. è ricordato anche ilcorteo che accompagna la sposa alladimora dello sposo con le fiaccole cheilluminano la notte.

Del resto specialmente a Corinto ead Efeso, come in ogni parte dellaGrecia, i cristiani seguivano i riti se-condo i costumi dell’epoca.

“Dal matrimonio in famiglia al matrimonio“in facie ecclesiae” di mons. Cosma Capomaccio

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Il matrimonio, infatti, si svolgevain due fasi distinte, anche se orien-tate allo stesso fine: gli sponsali ele nozze.

Gli Sponsali

Gli sponsali consistevano in un in-contro del padre della sposa con ilpretendente per stabilire l’ammon-tare della dote che rimaneva sempredi proprietà della sposa e di cui ilmarito poteva solo usufruire:l’engyèsis, che è non solo l’ingressodel futuro sposo nella famiglia dellasposa, ma anche l’impegno recipro-co dei fidanzati.

Del resto tale usanza greca non eramolto difforme da quella giudaica,basti pensare alle modalità del matri-monio di Sansone (Gdc 14, 11) o al so-lenne corteo con il quale viene accom-pagnata dai figli di Iambri a Nàdabatla sposa, figlia di uno dei grandi ma-gnati di Canaan (1 Mac 9, 37-39).

Senza alcun dubbio più conosciuto,è proprio il classico esempio deglisponsali tra Maria e Giuseppe narratodall’evangelista Matteo ”Maria, essen-do promessa sposa di Giuseppe, primache andassero a vivere insieme sitrovò incinta per opera dello SpiritoSanto” (Mt 1, 18).

I fidanzamenti giudaici comporta-vano un impegno così reale che il fi-danzato era già chiamato marito epoteva disimpegnarsi solo per mezzodi un ripudio formale.

Si conosce anche, come già citatoda san Paolo, la nota figura dell’amicodello sposo, che compare al momentodegli sponsali e durante il periodo di

tempo che intercorre tra gli sponsali ele nozze.

Già citata, vi era anche l’abitudi-ne del mohar, una certa somma didenaro che il pretendente dovevaversare al padre della giovane ra-gazza: Sichem, il figlio di Camor, di-ce a Giacobbe “Alzate pure molto amio carico il prezzo nuziale e il valo-re del dono; vi darò quanto mi chie-derete, ma datemi la giovane in mo-glie” (Gn 34, 12).

Anche il libro dell’Esodo cita taleprassi consolidata: “Quando un uomoseduce una vergine non ancora fidan-zata e pecca con lei ne pagherà la do-te nuziale ed essa diverrà sua moglie”(Es 22, 15).

Le testimonianze degli usi romanisono veramente innumerevoli; comepresso i Giudei e i Greci troviamo glisponsali che, come abbiamo visto,consistono nelle trattative per il ma-trimonio, preliminari che per i roma-ni avevano una formula giuridicamolto rigida: la stipulatio, che altempo dell’impero diverrà un verocontratto stipulato tra i due capi del-le famiglie.

Un gran banchetto al quale si invi-tavano parenti ed amici era in uso pergli sponsali presso le nobili famiglie.

Si può affermare che si trattava diun fidanzamento con caparra, comein Oriente, e che l’impegno era as-sunto dalle due parti; la dote è per-tanto un elemento importante deglisponsali.

Solo più tardi si aggiungerà la dex-trarum iunctio, le cui testimonianze ri-salgono alla fine del I secolo a.C.

Interessante l’annotazione di Plinioche riferisce dell’invio da parte del fi-

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danzato di un anello di ferro senzapietre preziose: ferreus anulus isquesine gemma.

Come è stato accennato, il fidanza-mento, sponsalia, era nettamente di-stinto dal matrimonio fino al III secoloe veniva celebrato durante un ban-chetto familiare: dopo lo scambio del-le promesse il fidanzato donava allafidanzata l’anello di ferro che ponevaal dito anulare della mano sinistra eanche qualche regalo come caparradella futura unione.

Probabilmente dopo il III secolo siaggiunse il bacio, che conferiva un va-lore giuridico alla promessa del fidan-zamento.

Era molto importante questa ceri-monia, durante la quale il fidanzatoprometteva di condurre prossimamen-te la giovane in sposa: Spondesne?Spondeo! Promessa giuridicamente digrande rilievo perché veniva equipa-rata quasi alle nozze e la sua violazio-ne comportava severe sanzioni.

Con l’inserimento del bacio, secon-do una decretale di Costantino, eraancora più difficile per una delle dueparti recedere dalla promessa di ma-trimonio.

Anche la Chiesa del IV secolo, lo ri-ferisce sant’Ambrogio, riconoscevache: “Osculum quasi pignus est nup-tiarum et praerogativa coniugii”.

Le Nozze

Sia presso i Giudei, come attesta-no l’Antico e il Nuovo Testamento,sia presso i Greci e i Romani si cele-bravano le nozze dopo un certo pe-riodo di tempo.

Salvo qualche marginale diver-sità, in tutto il bacino del Mediterra-neo vigeva la celebrazione del ma-trimonio secondo gli usi e i costumiromani.

In epoca imperiale, il diritto romanoprevedeva come elemento essenzialedel matrimonio il mutuo consenso:consensus; infatti per i giuristi romaniciò che realizza il matrimonio non è so-lo la coabitazione, ma la volontà reci-proca di vivere insieme: Nuptiae con-sensu contrahentium fiunt… Nuptiasnon concubitus sed consensus facit.

La fase successiva al fidanzamento,dunque, era costituita dalle nozze chesi celebravano, con riti ben definiti, intre tempi nella casa della sposa:– si rivestiva la fidanzata di una veste

bianca e le veniva posto sul capouna corona di mirto o di fiori d’a-rancio e il velo giallo dai riflessi difiamma, flammeum, segno distin-tivo delle donne sposate; tale im-posizione del velo aveva un grandevalore tanto che il verbo sposare sidiceva nubere, cioè velare.

– la fidanzata era presentata dauna donna sposata, la pronuba(una matrona che per poter essereonorata di tale ufficio dovevaaver avuto un solo marito), cheaveva il ruolo di una damigellad’onore; si offriva il sacrificio diuna pecora ai lari, gli dèi della fa-miglia; seguiva la consultazionesempre favorevole degli auspicii;poi si dava lettura del contrattomatrimoniale, tabulae nuptiales,alla presenza di dieci testimoniche vi apponevano la loro firma.Dopo lo scambio del mutuo con-senso, Ubi tu Caius, ego Caia, la

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pronuba consegnava la giovane almarito per la stretta di mano,dextrarum iunctio, e seguiva ilbanchetto nuziale.

– a sera si formava un solenne corteoe la sposa, alla luce delle fiaccole,era accompagnata alla casa dellosposo che, accogliendola con l’of-ferta dell’acqua e del fuoco, la in-troduceva nella camera nuziale,mentre tutti si ritiravano.La sintetica descrizione dei riti

sponsali e nuziali ha l’intenzione disottolineare una concreta visione delmatrimonio celebrato dai cristiani infamiglia fino alla famosa pace di Co-stantino.

Certamente erano evitate tuttequelle forme di idolatria e di supersti-zione, come il sacrificio, la consulta-zione degli aruspici e gli atteggiamen-ti licenziosi durante il banchetto nu-ziale.

La Chiesa fin dal principio, anche seera in sintonia con gli aspetti giuridicidella celebrazione matrimoniale deldiritto romano, che era fondato sulreciproco consenso, come abbiamo vi-sto con l’affermazione di sant’Ambro-gio, consapevole della santità del ma-trimonio, iniziò immediatamente apurificarlo dalle scorie di abitudinicontrarie alla fede cristiana e interdis-se subito la norma romana che accet-tava il divorzio.

La famiglia, dunque, era il luogoprivilegiato nel quale si verificavanotutti questi avvenimenti e anche i cri-stiani dei primi secoli celebravano e vi-vevano il più importante evento dellavita personale e sociale, il matrimonio,in questo particolare e molto rispetta-bile ambito.

Però già nel II secolo sant’Ignaziodi Antiochia affermava: “Convieneagli uomini ed alle donne che si sposa-no di contrarre la loro unione avver-tendo il vescovo, affinché il loro ma-trimonio si faccia secondo il Signore enon secondo la passione”2.

Da questa affermazione si potreb-be facilmente arguire che già a queltempo le nozze erano un’istituzionesacra che esige attraverso il vescovo,capo della comunità, l’approvazionedella Chiesa; non è possibile provare,però, che avesse anche una formula ri-tuale da svolgersi in chiesa.

Questi consigli del santo vescovoerano rivolti ai cristiani affinché evi-tassero di unirsi in matrimonio con inon cristiani, mentre il permesso delvescovo era sollecitato per il matrimo-nio dei chierici, quello degli orfani chegli erano affidati e per i matrimoninon ratificati dalla legge, come quellodi una patrizia con un affrancato ouno schiavo.

Non si può ancora affermare cheper la Chiesa era già in atto la profes-sio matrimonii, cioè l’annuncio alla co-munità del proposito di sposarsi el’autorizzazione da questa accordata,anche se attesta Tertulliano: “Comepotremmo riuscire a far intendere lafelicità di quel matrimonio che vieneconciliato dalla Chiesa, confermatodalla celebrazione del Sacrificio, se-gnato dalla benedizione, annunziatodagli Angeli, ratificato dal Padre?Stante che neppure sulla terra i figlisposano rettamente e secondo leggesenza il consenso dei genitori”3.

Non potevano, pertanto, risultareconcepibili ed ammissibili delle nozzeclandestine, cioè senza il consenso

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della Chiesa e della Comunità, perchéavrebbero potuto essere consideratecome fornicazione o concubinato, dalmomento che matrimoni di tal gene-re, anche se validi, non avevano nes-suna garanzia pubblica contro l’insta-bilità dell’animo umano e contro leeventuali cupidigie di altri voti nuziali,una volta che i primi fossero venuti anoia.

Anche se fino al IV secolo non sitrovano testimonianze di una benedi-zione liturgica o dell’intervento delsacerdote nella celebrazione del ma-trimonio, è naturale che i cristiani fos-sero consapevoli che le loro nozze,pur celebrate secondo gli usi e i costu-mi del territorio in cui vivevano, assu-mevano una profonda valenza spiri-tuale a motivo del loro battesimo eche essi si univano in Cristo e che la lo-ro unione era il segno di una unionepiù alta, quella di Cristo con la suaChiesa: “Questo mistero è grande; lodico in riferimento a Cristo e alla suaChiesa” (Ef 5,32).

Questa profonda verità è presenteed è vissuta molto validamente nelleconvinzioni dei cristiani dei primi se-coli e lo testimonia, come abbiamo vi-sto, il trattato di Tertulliano Ad uxo-rem: Essi diventano una cosa sola nel-la carne e nello spirito… Cristo invialoro la sua pace. Dove ci sono tutti edue, là c’è anche Cristo,4 e proseguesostenendo, come già citato: “Questaunione che la Chiesa dispone, che ilsacrificio conferma, che la benedizio-ne consacra, che gli angeli celebrano eche fa la gioia del Padre”; potrebbeforse essere considerata come il primotimido embrione di una benedizionenuziale?

Dopo la celebre pace di Costantinoi cristiani ebbero la possibilità di vive-re la loro fede apertamente e di con-seguenza la presenza del Signore conla sua benedizione fu voluta e siespresse sia con quella del capofami-glia, sia con quella del vescovo o delsacerdote invitato alle nozze.

Questa reale presenza di Cristo simanifestò anche nell’imposizione delvelo alla sposa, la velatio nuptialis, co-me a Roma e Milano.

Alla fine del IV secolo, infatti,sant’Ambrogio e papa Siricio fanno al-lusione a una cerimonia che san Paoli-no di Nola verso il 403, descrive in unepitalamio composto per il matrimo-nio del lettore Giuliano, futuro vesco-vo di Eclano, figlio del vescovo di Be-nevento, con la figlia del vescovo diCapua: il padre di Giuliano conduce ifidanzati all’altare e il padre della gio-vane impartisce la benedizione nuzia-le agli sposi, le cui teste sono ricopertedurante tutta la preghiera da un velo,velum o velamen, ben distinto dalflammeum.5

La benedizione nuziale fino al Vsecolo era ancora priva di un testofisso, tanto che il Sacramentario Veronese attribuisce a questa bene-dizione il titolo di velatio nuptiarumcon un formulario che potrebbe risa-l ire al V secolo, ma che non si può attribuire con certezza a sanLeone Magno, come probabilmentequello della velatio virginis, che gli èparallelo.

Mentre nel IV secolo la Chiesa ro-mana attribuisce un valore liturgico alrito familiare della velatio della sposa,le Chiese d’Oriente adottano come ri-to specifico del matrimonio un altro

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antico uso familiare, l’incoronazionedegli sposi.

Se in latino nubere, velare, signi-ficò prendere marito, in greco si dis-se stefanoun, coronare, ed il rito bi-zantino del matrimonio porta ancoraoggi il titolo d’ufficio dell’incorona-zione.

Fin dall’antichità classica il ritodell’incoronazione degli sposi facevaparte dei costumi nuziali del mondogreco tanto che, dopo san GregorioNazianzeno, nella casa si cantavanoalcuni salmi, certamente il salmo127, e si invitava il vescovo o il sacer-dote presente a dare la sua benedi-zione agli sposi e a porre la coronasul loro capo.

San Giovanni Crisostomo conferi-sce a questo rito un profondo valoreascetico: “Si mette una corona sul ca-po degli sposi, simbolo della loro vit-toria perché avanzano invitti verso ilporto del matrimonio, essi che nonsono stati vinti dal piacere”6

La benedizione e l’imposizionedelle corone sono accompagnate daun formulario che sviluppa abbon-dantemente il simbolismo biblico delrito.

Proclama l’Ordo copto:Dio santo, che hai coronato i tuoi

santi con corone immarcescibilie che hai unito insieme le cose

del cielo con quelle della terrabenedici dunque queste corone

che noi stiamo per porre sul capo dei tuoi servi.

Siano per essi una corona di gloriae d’onore. Amen.

Una corona di salvezza e di benedizione. Amen.

Una corona di gioia e di concordia.Amen.

Una corona di gaudio e d’allegrezza. Amen.

Una corona di virtù e di giustizia.Amen.

Una corona di saggezza e d’intelligenza. Amen.

Una corona di forza e di fermezza.Amen.

Il Padre benedica, il Figlio incoroni,lo Spirito Santo santifichi e perfezioni. Amen.7

La legislazione di Giustiniano, ac-canto al fidanzamento informaleche lasciava ai nubendi la libertà disciogliere la promessa, riconobbe unvalore giuridico al fidanzamento conla caparra, lo scambio degli anelli edel bacio e il congiungimento dellemani dei fidanzati, dextrarum iunc-tio.

In tale epoca gli sponsali, dunque,erano diventati molto importanti e laChiesa, uniformandosi alla norma giu-ridica, li considerò come un impegnosolenne che doveva concludersi con lenozze.

Per questa ragione si comminava-no pene disciplinari a coloro che vimancavano senza alcun motivo; ilconcilio di Elvira del 303 sancisce treanni di penitenza ai genitori cherompono senza ragione il contrattodi sposalizio dei figli,8 mentre unadecretale di papa Siricio del 385 proi-bisce severamente di benedire lenozze di una giovane che è venutameno all’impegno con il primo sposoper contrarne un altro.9

La benedizione del fidanzamento,ancora recente nell’VIII secolo, si avvi-

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cinò a tal punto al matrimonio elimi-nando quindi il periodo di attesa dellenozze che, dopo il X secolo, i due ritisi svolgono uno dopo l’altro, con unadistinzione puramente formale: loscambio del consenso, la benedizionedegli anelli deposti prima sull’altare euna lunga preghiera di benedizionedei fidanzati.

La forma più diffusa della liturgiadel matrimonio in Gallia e nei Paesiceltici consisteva in una benedizionedegli sposi nella camera nuziale.

Sant’Avito di Vienne, intorno al494-518, stabilisce un parallelo tra laconsacrazione delle vergini che sicompie nel santuario, in sancti alta-ris thalamo, e la benedizione che ri-ceve la sposa nella camera nuziale, inthalamo.10

Quando il rito romano si impiantòin Gallia, la benedictio in thalamo siconservò in Inghilterra per ritornarein continente dalla Normandia nel IXsecolo.

La liturgia visigotica, in Spagna,oltre ad elementi propri conoscevadue gesti che saranno adottati nei ri-tuali medievali: la consegna dellasposa allo sposo, traditio puellae, daparte del sacerdote al posto del pa-dre e un Ordo arrarum, dovuto al-l’importanza riconosciuta al fidanza-mento.

A questo punto si comprende su-bito che non è possibile portare inquesto brevissimo lavoro tutte le no-tevoli testimonianze che sono docu-mentate nei vari scritti dei Padri del-la Chiesa dal IV secolo in poi, ma es-se ci aiutano a comprendere comeda quel secolo, piano piano e con di-namicità operosa, si stava preparan-

do il passaggio della celebrazionedel matrimonio dall’ambito esclusi-vamente familiare a quello della co-munità orante.

In facie ecclesiae

Mentre in Oriente la ritualità ma-trimoniale non ha subito molti cam-biamenti, in Occidente vi sono statevistose trasformazioni.

Durante il secolo XI la conclusioneprofana del rito matrimoniale si è tra-sformata in azione liturgica collocan-dola immediatamente prima della ce-lebrazione eucaristica, ma all’esternodella chiesa: in facie ecclesiae.

Quali motivazioni sono state allaradice di un cambiamento così radica-le nella ritualità di un evento che ave-va la sua ambientazione originaria inseno alla famiglia?

Durante i secoli IX e X la violenzae l’anarchia sociale avevano indottoil sacerdote a occuparsi anche delleformalità civili del matrimonio dalmomento che sinodi e capitoli esige-vano il carattere pubblico del matri-monio per assicurare la libertà diconsenso della donna, insistendoperché gli sposi ricevessero la bene-dizione nuziale e imponendo ai sa-cerdoti di svolgere un’inchiesta preli-minare. L’influenza della collezionecanonica delle Decretali pseudo-isi-doriane, dell’845, contribuisce larga-mente a far passare le formalità civilidel matrimonio dal foro laico a quel-lo ecclesiastico.

Teologi e canonisti computano ilmatrimonio nel numero dei sacramen-ti e sostengono, secondo il diritto ro-

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mano, che il matrimonio consiste uni-camente nel consenso, cosa che lorende valido anche senza formalità,né pubblicità. Tuttavia ritengono chebisogna attenersi al costume dellaChiesa e sposarsi sub sacerdotali bene-dictione.11

Diverse azioni che costituivano i va-ri riti nuziali, per assicurare pubblicità,vengono svolte alla presenza del sa-cerdote, e così il vecchio rito della be-nedictio in thalamo, che era conserva-ta in Inghilterra, ricompare in Nor-mandia e di là in tutta la Francia: lasera delle nozze il sacerdote benedicegli sposi stessi, la camera nuziale e l’a-nello del matrimonio, anche se al mat-tino gli sposi non hanno ricevuto labenedizione alla porta della chiesa.

Il canone 14 del sinodo della pro-vincia di Rouen, del 1012, svoltosi sot-to la presidenza del vescovo Giovannid’Avranches, ritenendo sconvenientee troppo poco pubblica questa bene-dizione, la proibisce: “Item, ut nuptiaein occulto non fiant, neque post pran-dium; sed sponsus et sponsa ieiuni asacerdote ieiuno in monasterio bene-dicuntur, et antequam copulentur,progenies utrorumque diligenter in-quiratur.”;12 sappiamo, però, che que-sta benedizione si manterrà ancora alungo, pur senza valore giuridico e sa-cramentale.

In molte diocesi, infatti, malgradola severità post-tridentina, si manterràil rito, più o meno solennizzato, finoal XIX secolo, come nel Rituale di Pèri-gueux, 1827: “Il parroco, vestito dicotta e stola,… asperge dapprima glisposi, che sono modestamente in pie-di vicino al loro letto nuziale, poi illetto e i presenti”.

Da questo tempo il luogo della be-nedizione e del matrimonio non è piùla famiglia, ma la chiesa, tanto chel’obbligo di digiunare indica l’ora del-la messa celebrata al mattino.

Per dare il massimo della pubblicitàallo scambio del consenso si stabilì cheesso avrebbe avuto luogo non più nel-la casa della fidanzata, ma alla portadella chiesa, in facie ecclesiae, espres-sione che deve esser compresa nel suosenso materiale dal momento che avolte l’azione si svolge sotto un porti-co, chiamato dei matrimoni .Abbiamo la conferma di tale uso, antevalvas ecclesiae, anche dagli artisti,che nelle loro opere raffigurano sem-pre il matrimonio della Vergine Mariacon Giuseppe o quello di sant’Annacon san Gioacchino dinanzi al Tempiodi Gerusalemme.

I due più antichi Ordines del ma-trimonio in facie ecclesiae sono toltida un messale dell’abbazia di Saint-Melaine di Rennes e da un Pontifica-le in uso nell’abbazia normanna diLira.13

Vi erano alcuni riti preliminari allacelebrazione eucaristica nuziale: loscambio del consenso, la consegnadell’anello e di pochi spiccioli, l’asse-gnazione della dote dinanzi a testi-moni non sono altro che gli antichi ritidel fidanzamento, sponsalia defuturo, divenuti quelli dello stesso ma-trimonio sponsalia de presenti; talenuova sistemazione ha trovato posto,dopo le crociate, nei rituali armeni emaroniti.14

Si conserva anche la dextrarumiunctio, antica vestigia del matrimonioin famiglia, sebbene il gesto non è piùcompreso come la consegna della spo-

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sa allo sposo, ma vi si vede il simbolodi un dono reciproco degli sposi, cosìcome esprimono le parole che pro-nunciano.

Il consenso poteva essere espressoo con un semplice “Sì” in risposta al-le domande poste dal sacerdote osvilupparsi in modo significativo: “IoN. prendo N. qui presente comedonna e come sposa, e le promettofedeltà e lealtà: la custodirò sia nel-la salute sia nella infermità e finchévivrà non la cambierò con nessun’al-tra” dice lo sposo secondo il Ritualedi Châlons e poi, mettendo l’anelloal dito della sposa, aggiunge: “N. tiunisco a me con questo anello, ti do-no in dote i miei beni e ti onoro delmio corpo”.15

Questa formula che pronunzia losposo, siamo nel XVI secolo, di fattopriva di autorità e fa perdere di vista ilruolo del sacerdote che, come abbiamvisto prima, era il controllore e il ga-rante della traditio puellae al postodel padre della fidanzata, per salva-guardare la libertà del consenso dellasposa nel caso di un matrimonio im-posto dai genitori.

Tale ruolo del sacerdote dava unamaggiore efficacia all’ Ego coniungovos o ad altre formule equivalentipronunciate mentre il sacerdote con-giungeva le mani degli sposi.

Il consenso che, come attestano indiversi esempi i teologi, è l’elementofondamentale del matrimonio e che,dall’XI secolo in poi, si sposta dalla fa-miglia alla manifestazione in facie ec-clesiae, all’inizio era carente di unabenedizione che gli conferisse la do-verosa sacramentalità.

Gli antichi riti familiari, pertanto,passando dal consenso celebrato in fa-miglia al consenso in facie ecclesiae sisono arricchiti di una profonda sacra-mentalità allorché sono stati ripetutidavanti alla Chiesa e al sacerdote, te-stimone fondamentale di questa fedee della volontà degli sposi di darsi l’u-no all’altro.

Se da molto tempo, però, esisteva-no la celebrazione eucaristica e la be-nedizione della sposa dopo la pre-ghiera eucaristica, la Chiesa latina haconservato per il sacramento del ma-trimonio la stessa forma giuridica pro-pria del matrimonio pagano.

Non dovette essere facile allora,come del resto anche ai giorni nostri,spiegare perché questo gesto umanoha bisogno di un coronamento che gliconferisca il suo valore di sacramento,anche se era di per sé molto lodevoleche i cristiani si sposassero come tuttigli altri.

Perché l’azione di compiere davan-ti al sacerdote questa donazione ac-quista un valore sacramentale?

Perché è necessario tale valore peri cristiani che vogliono condividereper sempre ogni momento e ogniemozione della loro vita?

Si può interpretare come risposta aqueste domande l’ampliamento del ri-tuale in facie ecclesiae.

Il compendio di tutte queste vicen-de storiche, che si sono succedute neltempo per l’enorme importanza dell’i-stituto matrimoniale, potrebbe esserefatto risaltare dai primi due numeridelle Premesse generali al nuovo ritodel matrimonio:

“Il patto matrimoniale con cui l’uo-mo e la donna stabiliscono tra loro la

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comunione di tutta la vita, riceve lasua forza e solidità dal disegno dellacreazione; per i cristiani viene elevatoa superiore dignità perché è uno deisacramenti della nuova alleanza.

Il matrimonio è costituito dal pattoconiugale, ossia dal consenso irrevoca-

bile con il quale i due sposi liberamen-te e scambievolmente si donano e siricevono. Questa unione tutta partico-lare dell’uomo e della donna esige, eil bene dei figli richiede, la piena fe-deltà dei coniugi come pure l’unità in-dissolubile del vincolo”.

————————

1 A Diognète, 5,6, ed.H. I. Marrou, Ed.duCerf, Paris 1965 (SCh, 33 bis), 62-63.

2 Lettre à Polycarpe, 5,2, in IGNAZIO d’AN-TIOCHIA, Lettres, ed. P.TH. CAMELOT, ed.du Cerf, Paris 1969 (SC 10) 150-151.

3 TERTULLIANO, De pudicitia, 4, 4, CCL 2,1954, 1287; De monogamia, 11,1-2, ibid.1244.

4 TERTULLIANO, Ad uxorem,II,9, CCL 1954,393-394. La benedictio di cui parla Tertul-liano è, probabilmente, l’imposizionedella mano sugli sposi, accompagnata dauna formula.

5 PAOLINO di NOLA, Carmen 25, CSEL 30,244-245.

6 GIOVANNI CRISOSTOMO, 9° Omelia su ITim., c.2, PG 62, 546

7 A. RAES, Le mariage, sa cèlebration et saspiritualità dans les Eglises d’Orient, Che-vetogne 1959, 40-41.

8 J. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum novaet amplissima collectio: Concilia Elvirae,can.54, Graz 1960-1962.

9 Pp. SIRICIO, Epis. ad Vict. Rothom., 6, PL.13, 1136. Lo ricorda anche in versi sanPaolino di Nola, Poemata, 26, 198.

10 AVITO di VIENNE, Lettre 49, PL 59, 266-267.

11 G. LE BRAS, La doctrine du mariagechez les thèologiens et les canonistesdepuis l’an mille, DTC 9, 1926, coll.2123-2214.

12 J.D.MANSI, o.c., Concilia Rothomagensisprovinciae, 20,34, can.14: De ritu nup-tiarum ne in occulto fiant, Graz 1960-1962.

13 E. MARTENE, De Antiquis Ecclesiae Riti-bus, Tractatus de antiqua Ecclesiae di-sciplina in divinis celebrandis officiis.(M 692 per Rennes, 693 per Lira), Me-diolani 1737: MOLIN-MUTEMBE, Le Ri-tuel du mariage en France du XII auXVI siécle, Beauchesne, Paris 1974, 284-286.

14 A. RAES, o.c., 73-74.

15 E. MARTENE, Ordo II (M 701), o.c.

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I l matrimonio cristiano si celebra,di norma, durante la Messa. Non sitratta però di un semplice accosta-

mento, tanto meno di rendere più so-lenne la celebrazione, e nemmeno diuna prassi dettata dal desiderio chegli sposi partecipino alla Messa.

L’eucaristia – lo sappiamo – è il cul-mine di tutto l’organismo sacramenta-le. Essa celebra in modo globale la Pa-squa del Signore e la nostra alleanzacon lui, mentre gli altri sacramenti lacelebrano ognuno sotto un angolo ri-tuale particolare.

Eucaristia e matrimonio si integra-no e si illuminano a vicenda. Non èsempre l’eucaristia il banchetto nuzia-le di Cristo e della Chiesa? Ciò vienereso evidente in una celebrazione nu-ziale durante la Messa. L’alleanza chesi celebra nel segno della Cena si arric-chisce della dimensione personale,quando un uomo e una donna diven-tano rispettivamente segno di Cristosposo e della Chiesa sposa.

Tale celebrazione – come tutte lemesse – ha il suo centro e culmine nel-la preghiera eucaristica. Essa è il me-moriale della storia della salvezza, vi-sta come liberazione e alleanza.

Nella Messa rituale per il matrimo-nio, il motivo particolare del ringra-ziamento, che si esprime nel prefazio,è proprio il matrimonio che si celebra.Ringraziamo il Padre per il dono delmatrimonio. Esso viene così inserito inquella storia di salvezza, che è culmi-nata nella Pasqua di morte e risurre-

zione del Cristo Signore, ma che conti-nua nelle azioni sacramentali. Il matri-monio è uno di questi momenti salvi-fici.

L’amore di Cristo che si manifestanella ripresentazione del suo sacrificioè lo stesso che si rende presente nel-l’amore oblativo degli sposi.

Il culmine della celebrazione nuzia-le è il momento della comunione eu-caristica, nella quale gli sposi diventa-no “un solo corpo” perché “mangianodell’unico pane”. Il Messale riportatre formulari di Messa per il matrimo-nio, con tre prefazi.

Qualcuno ha detto che il prefaziodel matrimonio potrebbe essere consi-derato come la vera benedizione nu-ziale. In esso infatti noi “benedicia-mo” Dio perché egli ha creato l’unio-ne tra l’uomo e la donna e ha resoquesta unione simbolo dell’unione diCristo con la Chiesa. Al punto che sipotrebbe omettere la solenne benedi-zione della sposa e dello sposo. Nonarriviamo a tanto, ma vediamo il “cor-po” dei prefazi.

“È cosa buona e giusta… renderegrazie” per il dono del matrimonio,come per la nascita di Cristo o per lasua Pasqua…

1. Il primo prefazio canta “la dolcelegge dell’amore e il vincolo indissolu-bile della pace”, intesa come la som-ma di tutti i beni. Da questa unione diamore nascono i figli, ma sono “tuoifigli”, cioè figli di Dio: “l’unione castae feconda degli sposi accresca il nume-

Eucaristia e matrimonio di p. Ildebrando Scicolone, osb

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ro dei tuoi figli”. I figli – lo notiamo dipassaggio – sono figli di amore, nondi tecnica di ingegneria genetica o diprovetta. Un figlio nato dall’amore al-lieta l’umana famiglia, e la sua “rina-scita in Cristo” edifica la Chiesa. Il rin-graziamento a Dio non riguarda quin-di la coppia, come chiusa in se stessa,ma come sorgente di amore che si do-na e si apre alla vita. Questo è il moti-vo per cui – oggi – facciamo eucaristia:la storia della salvezza può essere let-ta come “il disegno mirabile” che Dioha disposto. Il tema sponsale sintetiz-za tutta questa storia, e il matrimonio,che in quella eucaristia si celebra, larende tutta presente, in quanto è“amor che muove il sole e l’altre stel-le”.

2. Il secondo prefazio ricorda lacreazione dell’uomo, “innalzato a di-gnità incomparabile; nell’unione tral’uomo e la donna hai impresso un’im-magine del tuo amore”. La coppia èvista come l’inizio di una nuova fami-glia, cellula e immagine dell’intera fa-miglia umana. Essa (ha) come codice“una vocazione di amore verso lagioia di una comunione senza fine”.“Il sacramento che consacra l’amoreumano ci dona un segno e una primi-zia della tua carità”. È “per questomistero di salvezza” che cantiamo in-sieme l’inno della tua gloria.

3. Il terzo prefazio ringrazia Diosempre per la storia della salvezza,

letta come alleanza tra Dio e l’uomo,culminata nella pasqua di Cristo,“morto per la nostra redenzione egloriosamente risorto”. In lui Dio ha“stabilito con il suo popolo un pattonuovo”. La natura di questo patto èun dono, perché lo scopo è che “l’u-manità diventi partecipe della tua vitaimmortale e coerede della gloria deicieli”. In questa società Dio mette incomune con l’uomo non qualcosa diparticolare, ma addirittura la sua vitae la sua gloria.

Questo “patto”, che consiste prati-camente in una donazione da parte diDio, si manifesta “nell’alleanza tral’uomo e la donna”, che è “immagineviva” (altro termine che spiega il ter-mine “sacramento”) dell’amore di Cri-sto per la sua Chiesa (cfr. Ef 5).

Questo terzo prefazio è forse il piùesplicito sulla sacramentalità del ma-trimonio cristiano. Non è questa al-leanza motivo sufficiente per fare eu-caristia? Non è il matrimonio cristianol’attualizzazione di questa alleanza?Tutta la Scrittura non è forse un Anti-co e un Nuovo Testamento (cioè pattodi donazione)?

Questi prefazi possono e devonoessere il principio (o il culmine) dellacatechesi sul Sacramento del Matrimo-nio, come il momento in cui l’insegna-mento biblico sul matrimonio diventa“segno efficace”, cioè momento salvi-fico, in cui “la Parola si compie oggiper noi”.

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I l Rito del matrimonio al n. 48suggerisce: “Alla presentazionedei doni, lo sposo e la sposa pos-

sono portare all’altare il pane e il vi-no e si possono raccogliere le offer-te per particolari situazioni di po-vertà”. Il gesto dei fedeli che porta-no all’altare il pane e il vino si ricol-lega e corrisponde al primo gestod’amore di Dio nei confronti dell’u-manità: la creazione. Dio pone l’uo-mo al vertice del creato affidandoglila responsabilità di ciò che esiste;l’uomo assume il proprio compitoimpegnando mente, cuore ed ener-gie fisiche nella trasformazione delcreato. Nella celebrazione eucaristica il cri-stiano si presenta al Padre recandodoni che sono al contempo frutti delcreato e del suo impegno trasfor-mante, “frutto della terra / vite e dellavoro”.Il Padre accoglie la benedizione e lalode dei suoi figli e rinnova il dono inmaniera sovrabbondante: il pane e ilvino diventeranno Corpo e Sangue delFiglio di Dio, non più nutrimento perun corpo destinato a perire, ma far-maco di immortalità e cibo di vitaeterna. È quindi opportuno che nelgiorno del loro matrimonio gli sposi

compiano questo gesto, vincendoogni ritrosia e l’impaccio dell’abito dasposa: il pane e il vino sono anche ilsegno del percorso esistenziale deglisposi, di una vita che si sa ricevuta dalPadre, che è stata plasmata nell’edu-cazione ricevuta, nell’istruzione, checontinua ogni giorno a determinarsi evalorizzarsi nell’esercizio onesto efruttuoso del lavoro, con cui ogni cri-stiano contribuisce a realizzare il Re-gno di Dio. Nel giorno delle nozze gli sposi, me-mori della loro storia e fiduciosi perl’avvenire, rinnovano la loro offertaal Padre nella certezza che Egli li su-pererà ancora in generosità e sapràtrasformare due persone in una fa-miglia, due vite diverse in un’imma-gine dell’amore trinitario. Il gestopuò essere molto semplice: gli sposisi recano alla credenza preparatacon i doni e posta fuori del presbite-rio, prendono i doni, li portano aigradini del presbiterio, dove li conse-gnano al celebrante, che nel frat-tempo si sarà fatto loro incontro. È eloquente che l’assemblea possa ve-dere ciò che viene portato, senza biso-gno di didascalie: la patena potrà es-sere bassa e senza coperchio, l’ampol-la di vetro (di dimensioni apprezzabili,

Il rito del matrimonio nella celebrazione eucaristica. Sequenza rituale della liturgia eucaristica e dei riti di conclusione di Adelindo Giuliani

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non quella minuscola che abitualmen-te si trova sulla credenza nei giorni fe-riali) va preferita al calice con il vino,per evitare l’equivoco sul vero ogget-to del dono (che è appunto il vino, enon il calice). Troppi segni annacqua-no il segno: bastano davvero il pane eil vino, il gesto non va ingolfato conuna proliferazione di oggetti che vor-rebbero essere segni di atteggiamentiinteriori pure nobilissimi, ma che sonoaltro dal semplice, vero, eloquentedono. Nello stesso momento però il rito con-siglia di raccogliere offerte per parti-colari situazioni di povertà. La que-stua in danaro storicamente venne asostituire il più antico dono in naturacon cui tutti i fedeli partecipavano al-le necessità della comunità e dei suoipoveri. Abitualmente il danaro raccolto è de-stinato alle necessità della chiesa. Inoccasione della celebrazione di unmatrimonio sarebbe però molto bellose gli sposi, di concerto con il parrocoo il rettore della chiesa, volessero sce-gliere un obiettivo di carità al qualedonare la questua. La destinazionedelle offerte potrebbe essere riporta-ta nel sussidio liturgico che spesso vie-ne fatto preparare per i presenti, epotrebbe essere anche essere annun-ciata dal sacerdote, da uno degli sposio da un familiare dopo la conclusionedella preghiera universale e delle lita-nie. Coloro che preparano gli sposi e glianimatori della celebrazione sono lepersone più adatte a suggerire congarbo questa possibilità: spesso pur-troppo in occasione dei matrimoni siassiste a uno sciupio smodato di dana-

ro per cose effimere e non sempre dibuon gusto (abiti e macchine, fiori efotografie, effetti speciali di ogni ge-nere). Molte coppie, risucchiate dalgrande mercato che gira intorno all’e-vento, semplicemente non hanno maipensato a una possibilità che esula daipiù comuni schemi festaioli ma chepotrebbe incontrare il favore di moltecoppie, anche di quelle non molto as-sidue nella pratica di fede ma apertealla solidarietà e desiderose di condi-videre la gioia con persone che abi-tualmente non hanno molto di chegioire. Il sorriso del povero diventabenedizione del Signore sulla famigliache nasce.

Nella preghiera eucaristica il sa-cerdote farà menzione degli sposi,secondo le formule previste nel mes-sale. Se la benedizione nuziale è sta-ta già pronunciata dopo l’espressio-ne del consenso, i riti di comunionesi svolgono come di consueto. Altri-menti, subito dopo il Padre nostro,omesso l ’embolismo (“Liberaci , o Signore…”), il sacerdote pronun-cia sugli sposi la preghiera di bene-dizione. Il rito prevede che gli sposi possano,secondo l’opportunità, avvicinarsi al-l’altare o inginocchiarsi al loro posto.L’avvicinarsi all’altare può significare,anche a seconda della caratteristichearchitettoniche della chiesa e della di-stribuzione degli spazi, inginocchiarsisui gradini del presbiterio o salire inpresbiterio restando rivolti all’altarecome il resto dell’assemblea, non vaperò inteso come prendere posto ailati del sacerdote sul lato di celebra-zione.

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D’altro canto il sacerdote, per imparti-re la benedizione resterà all’altare enon girerà sull’altro lato: bisogna in-fatti evitare non solo di voltare lespalle all’altare e all’eucaristia, ma an-che, così facendo, di creare una curio-sa parentesi rituale che prescindereb-be completamente dalla scansione deimomenti celebrativi dell’Eucaristia. Il rito della velazione è sempre conco-mitante la benedizione.

Al gesto di pace (che il Rito delMatrimonio, conformemente allePremesse della III edizione del Mes-sale chiama “dono della pace”), ci sipuò prendere il tempo necessarioperché gli sposi scambino il bacio el’abbraccio di pace (la stretta di ma-no in questo contesto appare davve-ro riduttiva) tra loro, con le famiglie,i testimoni. Il coro e l’assemblea pos-sono accompagnare questo gestocon un canto, che però non deveprotrarsi fino a comprendere la fra-zione del pane eucaristico. La fractiopanis sarà accompagnata dall’accla-mazione Agnello di Dio che, se l’as-semblea è preparata, può essere op-portunamente cantata. Gli sposi e lacomunità possono ricevere la comu-nione sotto le due specie, secondo lemodalità consuete.

Pronunciata la preghiera di post-comunione, i riti di conclusione sisvolgono secondo una precisa succes-sione in quattro momenti: letturadel codice civile concernenti i dirittie i doveri del coniuge, benedizione econgedo, lettura e sottoscrizionedell’atto di matrimonio, possibilitàdel dono della Bibbia da parte del

ministro agli sposi. La lettura degliarticoli del codice civile nel matrimo-nio concordatario non si può omet-tere. Non è un problema liturgicoma di diritto, che potrebbe essereanche eccepito in sede legale daqualcuno dei presenti e francamentenon si comprende la reticenza diqualche sacerdote a leggere un testocon cui anche la comunità civile rico-nosce e norma il vincolo nuziale. Dalpunto di vista liturgico si potrà solonotare che il luogo per tale letturanon è né l’ambone, né l’altare; potràessere la sede oppure il leggio predi-sposto per l’animazione.

Le norme inoltre vietano esplicita-mente che la sottoscrizione dell’attovenga fatta sull’altare. L’abuso ripro-vato dalla normativa si è diffuso for-se per analogia con i riti della pro-fessione monastica, ma si tratta di unaccostamento improprio: l’atto dimatrimonio è solo il verbale di ciòche si è già compiuto. Il matrimonioè celebrato mediante lo scambio delconsenso, di cui il registro firmato èmemoria e attestazione giuridico-formale.

Sicuramente da valorizzare è ildono della Scrittura: in ogni luogo ein ogni cultura i parenti e gli amicidegli sposi sono lieti di esprimerel’affetto e la vicinanza con un dono.Sarebbe bello che la comunità nonfosse da meno, e partecipasse con ildono della Parola che la raduna e la guida, augurando così agli sposiche quella Parola sia la loro luce nelcammino di famiglia che stanno ini-ziando.

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L a realtà parrocchiale che vivia-mo ha offerto la possibilità diraggruppare un numero discre-

to di giovani coppie di fidanzati chefrequentano da tempo (cosiddetti fi-danzati assidui), alle quali è stata fat-ta la proposta di un cammino “perma-nente” in preparazione al matrimo-nio/famiglia.

L’esigenza di queste giovani cop-pie di fidanzati di poter avere alcunimomenti di incontro tra loro ci haspinto a realizzare un cammino diformazione alla vita di coppia/fami-glia che sia capace di dare “strumen-ti” per misurare il proprio rapportonelle sue specifiche dimensioni (dia-logo, amore, unità, fedeltà, sessua-lità e fede), favoriti dalla possibilitàdi disporre di un arco temporale piùlungo.

Il cammino intrapreso ha comeobiettivo quello di responsabilizzaremaggiormente le coppie circa la lorovocazione alla famiglia cristiana/aposto-lica attraverso la scoperta del valore delsacramento del matrimonio che vienepresentato, da un lato, come celebra-zione di un cammino di fidanzamentoe, dall’altro, come fondamento di quel-

la comunità di vita e di amore che è lafamiglia che con esso si costruisce.

Tutto il cammino si svolge attraver-so alcuni incontri (prima mensili oranei fine settimana) nei quali, attraver-so test, questionari, riflessioni, si cercadi favorire un confronto al fine di va-lorizzare in modo continuo l’incontroda realizzare con l’altra persona, l’in-contro della coppia con Dio e l’incon-tro tra coppie.

Gli argomenti sono sempre stretta-mente legati tra loro al fine di confe-rire agli incontri la visione di insiemepropria di un “cammino”. L’intento èquello di far percepire la progressivitàdi questo cammino andando a riflet-tere in modo ordinato e sequenzialesugli argomenti proposti. Ogni incon-tro deve aprire al successivo anche at-traverso lavori di coppia al fine dicreare un’aspettativa e, nel contempo,tenendo vivo in essi le tematiche pre-cedentemente trattate. È importanteche i vari argomenti siano sempre ri-presi anche negli incontri successivi, invarie forme e modi, al fine di operareun necessario “rinforzo” per favorirneuna maggiore comprensione ovverointeriorizzazione.

La preparazione remota dei giovani alla formazione delle famiglie cristiane

di don Italo Colombini, Fabio e Tizian Panci, Parrocchia dell’Assunzione di Maria Santissima - Roma

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FORMAZIONE LITURGICA

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L’approccio è sempre quello del ri-spetto della dimensione unitaria dellapersona prima e della coppia poi (il noi), attraverso un percorso a “spi-rale” capace di toccare tutti i temi,quindi le dimensioni afferenti la cop-pia, allargando nel tempo la profon-dità degli stessi, accrescendo e mante-nendo così la visione unitaria.

Al termine di tre anni di cammi-no, ritenendo matura la formazionealle coppie di fidanzati come tali, cisi è preoccupati di continuare il per-corso con la realizzazione di incon-tri/condivisioni per l’approfondi-mento e la preghiera, con l’intentodi accompagnare le coppie fino alladata effettiva del loro matrimonio edopo di esso.

L’esperienza che stiamo sviluppan-do ci permette concretamente di nondistinguere la pastorale giovanile daquella di formazione remota al matri-monio. La formazione alla famiglienon può essere slegata da quella allapersona che deve iniziare già nei per-corsi di catechesi nei quali si devonopresentare ai ragazzi le vocazioni del-la persona umana.

Per questo è importante anticiparela dimensione vocazionale nei cammi-ni di formazione in un contesto fami-liare che attualmente non dispone dicultura e mezzi per riconoscere le vo-cazioni.

La formazione attraverso l’espe-rienza realizzata cerca di valorizzarela dimensione di coppia senza trala-sciare il singolo, ma distinguendo nelcontempo anche gli “elementi” carat-

teristici della coppia stessa. La visioneunitaria è portante sia per la dimen-sione dell’individuo, sia per quella delnoi inteso come un progetto.

Tutti gli incontri e i momenti di vi-ta insieme ai fidanzati sono forte-mente preparati con la convinzioneche servono. Non importa cosa suc-cede dopo, perché guardiamo all’en-tusiasmo di affermare con gioia efermezza i fondamenti del matrimo-nio. Il percorso fin qui svolto non hatralasciato momenti di crisi, anche sutemi ai quali i fidanzati non voglionopensare, rimandando tra di loro iltempo del dialogo. In modo partico-lare ci riferiamo alla sofferenza intutti i suoi aspetti, la quale si presen-ta come argomento che i fidanzati,nella gioia del vivere insieme, nonvogliono affrontare.

Consapevoli che presentare la vitadel matrimonio come luogo di santitànon può prescindere dall’esperienzadi sofferenza, presentiamo l’argomen-to come elemento per rafforzare laconsapevolezza della scelta di un pro-getto comune che esiste nella coppiaa prescindere dai singoli. Non rispar-miamo alle coppie la realtà familiareche sono chiamati a realizzare. Occor-re anticipare questioni e problemi chepotenzialmente possono minare lacoppia al fine di rafforzarla, quindiprepararla, valorizzando il progetto dicoppia che ogni fidanzato deve sco-prire rispondendo alla domanda: cosavuole Dio da voi due?

Per questo continuamente ricondu-ciamo l’amore a tutte le sue dimensio-ni: da quella affettiva, a quella sessua-

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le, a quella caritativa del dono di sé edella coppia. Non esistono limitazioniall’amore, ma esiste un campo tuttoda esplorare. Il continuo richiamo adandare oltre, a non fermarsi al ciò chesi vede, al caldo e freddo. Cercare al-tre vie sulle quali provare l’unione. Inquesto senso, l’esperienza più bellache abbiamo vissuta è stata quella diproporre alle coppie di fidanzati ditrovare un impegno concreto comuneda attuare fino al giorno del loro ma-trimonio, che non conoscevano. A di-stanza di tempo quell’impegno, ancheper le coppie che si sono sposate, èl’elemento per ritornare sulla stradadi un cammino iniziato che nella quo-tidianità rischia poi di essere abban-donato.

È per questo motivo che proponia-mo continuamente la volontà comestrumento importante. Una volontàche non limita ma che realizza quelprogetto di coppia a cui sono chiamatinella Verità interrogandosi continua-mente sul significato di libertà.

In questo cammino cerchiamo didare importanza ai mutevoli senti-menti delle coppie, sentimenti che,pur limitando l’intero progetto a sen-sazioni momentanee (quasi di caldo efreddo), non vanno in nessun modocensurati, né trascurati, ma vanno ac-colti e orientati verso la tenerezza,che è molto di più del semplice senti-re, perché segno concreto di amoreadulto.

Per far questo cerchiamo di preoc-cuparci di dare ai fidanzati gli elemen-ti per una buona scelta di vita. I fidan-zati che abbiamo di fronte hanno fat-to una scelta sicura: si vogliono; han-

no deciso di vivere insieme. Il proble-ma dunque non è: insegnare a sceglie-re! Il problema è scegliere bene, ovve-ro scegliere il bene. Le coppie di fi-danzati devono respirare questo pre-mio: il bene della loro coppia, quelloche va al di là di ogni difficoltà, quelloche realizza la promessa di progettoche naturalmente non si esaurisce conla vita dei singoli ma si arricchisce diresponsabilità sia nei figli naturali, siain quelli adottivi o, più ampiamente,in quelli spirituali che ogni coppia in-contra già nel fidanzamento.

Proprio in questa consapevolezzavogliamo far crescere le coppie peraiutarle a dare la giusta importanza alprogetto. È la casa sulla roccia che stalì per fare ciò per cui è stata costruitanel tempo, nonostante le tempestenumerose e forti. Una casa che espri-me e fa presente la dimensione pub-blica ed ecclesiale della coppia.

È per questo che il percorso chepresentiamo valorizza il gruppo e lacomunità di appartenenza affinchépossano comprendere che nella Chie-sa si ricevono gli strumenti per l’edifi-cazione della coppia - sia essa di fi-danzati, sia essa famiglia - e che nellastessa Chiesa possiamo sperimentarela solidarietà e il servizio che realizza-no la coppia stessa.

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D opo aver ricordato le disposi-zioni per ricevere la Santa Co-munione per la sua distribuzio-

ne, nel capitolo quinto l’IstruzioneRedemptionis sacramentum affronta“altri aspetti riguardanti l’Eucaristia”.Prima di tutto il luogo di celebrazionedella Santa Messa: ordinariamente è illuogo sacro o, secondo una necessitàparticolare, un “luogo decoroso” sucui comunque occorre il parere delVescovo diocesano. Si precisa inoltreche “non è mai consentito a un Sacer-dote celebrare nel tempio o luogo sa-cro di una religione non cristiana”.

Il documento raccomanda poi ai sa-cerdoti di celebrare frequentemente ilSacrificio eucaristico, “anzi se ne racco-manda caldamente la celebrazione quo-tidiana, la quale, anche quando non sipossa avere la presenza dei fedeli, è unatto di Cristo e della Chiesa, nella cui ce-lebrazione i Sacerdoti adempiono il loroprincipale compito”. La messa si può ce-lebrare sempre e ovunque in lingua lati-na o anche in altra lingua, purché si fac-cia ricorso ai testi liturgici approvati. Nelcaso della concelebrazione, “nel pro-nunciare la Preghiera eucaristica si usi lalingua conosciuta sia da tutti i Sacerdoticoncelebranti sia dal popolo riunito”.Qualora vi siano alcuni sacerdoti chenon conoscono la lingua della celebra-zione, e non possono quindi pronuncia-re le parti della Preghiera eucaristica lo-ro proprie, “essi non concelebrino, mapreferibilmente assistano secondo lenorme alla celebrazione indossando l’a-bito corale”.

Nelle messe domenicali della par-rocchia è consuetudine che si ritrovinoi vari gruppi, movimenti, associazionie le comunità religiose: a questo pro-posito l’Istruzione ricorda che “ben-ché sia possibile, a norma del diritto,celebrare la Messa per gruppi partico-lari, ciononostante tali gruppi non so-no dispensati dalla fedele osservanzadelle norme liturgiche”. Siraccomanda poi di non molti-plicare le messe e, riguardoalle offerte per l’intenzione,si osservino tutte le regole vi-genti.

Il capitolo prosegue con alcune in-dicazioni sui vasi sacri, che prima di es-sere usati, “devono essere benedettidal Sacerdote secondo i riti prescrittinei libri liturgici”. Destinati ad acco-gliere il Corpo e il Sangue del Signore,i vasi sacri siano fabbricati con mate-riali solidi e nobili, “di modo che con illoro uso si renda onore al Signore e sieviti completamente il rischio di smi-nuire agli occhi dei fedeli la dottrinadella presenza reale di Cristo nellespecie eucaristiche”. È riprovevole ser-virsi nella celebrazione della Messa divasi comuni o scadenti rispetto allaqualità o privi di qualsiasi valore arti-stico, “ovvero di semplici cestini o altrivasi in vetro, argilla, creta o altro ma-teriale facilmente frangibile. Ciò valeanche per i metalli e altri materiali fa-cili ad alterarsi”.

“Il Sacerdote, ritornato all’altaredopo la distribuzione della Comunio-ne, stando in piedi all’altare o a un ta-

Testi edocumenti

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Redemptionis sacramentum (5) di Stefano Lodigiani

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volo purifica la patena o la pisside aldi sopra del calice, secondo le prescri-zioni del Messale, e asciuga il calicecon il purificatoio. Se è presente ilDiacono, questi torna all’altare insie-me al Sacerdote e purifica lui i vasi. Ètuttavia consentito, specialmente sesono numerosi, lasciare i vasi sacri dapurificare opportunamente copertisull’altare o sulla credenza sul corpo-rale e che il Sacerdote o il Diacono lipurificano subito dopo la Messa, unavolta congedato il popolo. Parimenti,

l’accolito istituito aiuta il Sa-cerdote o il Diacono a purifi-care e sistemare i vasi sacri siaall’altare sia alla credenza. Inassenza del Diacono l’accolitoistituito porta alla credenza i

vasi sacri e li purifica, li asciuga e li si-stema come al solito”.

Si raccomanda ai Pastori di averecura di mantenere puliti i lini dellamensa, e in particolare quelli destinatiad accogliere le sacre specie. “È lode-vole che l’acqua del primo lavaggio,che va eseguito a mano, si versi nel sa-crario della chiesa o a terra in un luo-go appropriato. Successivamente, sipuò effettuare un nuovo lavaggio nelmodo consueto”.

L’ultima parte di questo capitoloè dedicata alle vesti liturgiche. “Lavarietà dei colori nelle vesti sacre halo scopo di esprimere, anche conmezzi esterni, da un lato la caratte-ristica particolare dei misteri dellafede che vengono celebrati, e dal-l’altro il senso della vita cristiana incammino lungo il corso dell’anno li-turgico. In realtà, la differenza dicompiti nella celebrazione della sa-cra Liturgia, si manifesta esterior-

mente con la diversità delle vesti sa-cre”.

Nella messa e nelle altre azionisacre direttamente collegate a essa,la veste propria del sacerdote cele-brante è la casula o pianeta, se nonviene indicato diversamente, da in-dossarsi sopra il camice e la stola. “IlSacerdote che porta la casula secon-do le rubriche non tralasci di indos-sare la stola”. Nelle concelebrazioniil celebrante principale indossi sem-pre la casula del colore prescritto,mentre i concelebranti possonoometterla, nel caso in cui siano innumero elevato e manchino i para-menti . Coloro che concelebranopossono vestire per necessità la ca-sula di colore bianco.

La veste propria del Diacono è ladalmatica, da indossarsi sopra il ca-mice e la stola. “Al fine di preservareuna insigne tradizione della Chiesa,è lodevole non valersi della facoltàdi omettere la dalmatica”. Viene in-fine definito “riprovevole” l’abuso dicelebrare la Santa Messa senza vestisacre o indossando la sola stola soprala cocolla monastica o il normale abi-to religioso, o addirittura un vestitoordinario.

Nei giorni più solenni è lecito usarevesti sacre di maggiore dignità, anchese non del colore liturgico del giorno.Tale facoltà riguarda tuttavia le vestitessute molti anni or sono, al fine dipreservare il patrimonio della Chiesa,ma non può essere estesa a innovazio-ni e improvvisazioni. Le vesti sacre dicolor oro o argento possono sostituirequelle di altro colore, ma non le vestiviolacee e nere. Infine si raccomandaai ministri e ad i fedeli laici di parteci-

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pare alla Santa Messa “secondo lapropria condizione”: i presbiteri pre-senti partecipino come concelebranti,indossando le sacre vesti, e non, quan-to all’aspetto esterno, alla maniera difedeli laici.

Il capitolo sesto è dedicato allaconservazione della Santissima Euca-ristia e al suo culto fuori della Messa.La celebrazione della Messa è “l’ori-gine e il fine del culto eucaristicofuori della Messa”: dopo la Messa lesacre specie si conservano soprattut-to perché i malati e gli anziani chenon possono essere presenti allaMessa, si uniscano, per mezzo dellaComunione sacramentale, a Cristo eal suo sacrificio. Questa conservazio-ne, inoltre, permette anche di adora-re questo grande Sacramento. Il San-tissimo Sacramento deve essere con-servato nel tabernacolo “in una par-te della chiesa di particolare dignità,elevata, ben visibile e decorosamenteornata”, avendo cura di disporre nel-lo spazio davanti al tabernacolo pan-che o sedie e inginocchiatoi, per lapreghiera. Il Santissimo Sacramentodeve essere conservato in un luogodove non esista pericolo di profana-zione. “Il Sacerdote o il Diacono o ilministro straordinario che, in assenzao sotto impedimento del ministro or-dinario, trasporta la Santissima Euca-ristia per amministrare la Comunionea un malato, si rechi dal luogo in cuiil Sacramento è conservato fino aldomicilio del malato lungo un tragit-to possibilmente diretto e tralascian-do ogni altra occupazione, in mododa evitare qualsiasi rischio di profa-nazione e riservare la massima rive-renza al Corpo di Cristo”.

Tra le forme di culto della Santissi-ma Eucaristia fuori della Messa, l’Istru-zione esorta a promuovere particolar-mente le esposizioni del Santissimo Sa-cramento e la sosta adorante davanti aCristo presente sotto le specie eucaristi-che, che “unisce fortemente il fedele aCristo, come risplende dall’esempio dinumerosi santi”. Dinanzi al SantissimoSacramento, conservato o esposto, nonsi deve escludere la recita del Rosario,tuttavia, “soprattutto quando si fa l’e-sposizione, si ponga in luce l’indole diquesta preghiera come con-templazione dei misteri dellavita di Cristo Redentore e deldisegno di salvezza del Padreonnipotente, utilizzando inparticolare letture desuntedalla sacra Scrittura”.

Il Santissimo Sacramento non devemai rimanere esposto, anche per bre-vissimo tempo, senza sufficiente cu-stodia: alcuni fedeli siano sempre pre-senti, almeno a turno. Nelle città o neicomuni di maggiori dimensioni si rac-comanda al Vescovo diocesano di de-signare una chiesa per l’adorazioneperpetua, “in cui però si celebri fre-quentemente, e per quanto possibileanche quotidianamente, la santa Mes-sa, interrompendo rigorosamente l’e-sposizione nel momento in cui si svol-ge la funzione. È opportuno che l’o-stia da esporre durante l’adorazionesia consacrata nella Messa che prece-de immediatamente il tempo dell’a-dorazione e sia posta nell’ostensoriosopra l’altare dopo la Comunione”.Viene infine incoraggiata la costitu-zione di confraternite e associazioniper la pratica dell’adorazione eucari-stica, anche perpetua. (continua)

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V ediamo come san GiovanniClimaco nella Scala del Paradi-so descrive lo stato dell’esi-

chia, la pace del cuore.

Quando si è orientati verso il Si-gnore e si è avviati nell’esperienza

della preghiera incessante, sipuò iniziare l’esichia. Dicesan Giovanni Climaco che:“L’esicasta è chi fugge i lmondo senza odiarlo, lo fug-ge come altri corre dietro al-le sue mollezze, cioè perché

non vuole che gli siano ta-gliate le dolcezze di Dio” (Scala delParadiso, Discorso XXVII, cap. 180).C’è una esichia esterna, quando unapersona ha lasciato tutti e vive da so-lo, e una esichia interna, quando è inrelazione con Dio nello spirito, nonin modo forzato, ma liberamente, co-sì come i polmoni respirano libera-mente e gli occhi liberamente vedo-no. Le due possibilità vanno insieme,ma la prima è impossibile senza la se-conda. Ancora san Giovanni Climacodice: “L’esichia iniziale tiene lontani irumori perché sconvolgerebbero ilsuo profondo; quella perfetta consi-ste nel non temere il tumulto a cuiormai è insensibile. Chi progrediscenell’esichia non soltanto a parole dàspazio abitabile con la sua amabilitàad ogni espressione di carità; difficil-mente si muove a loquacità, non simuove affatto a sdegno: il contrario

è chiaro. L’esicasta poi lotta per circo-scrivere l’incorporeo nel corporeo,cosa veramente straordinaria” (Di-scorso XXVII, cap. 178), e ancora: “Lacella dell’esicasta circoscrive il suocorpo, e lì dentro egli dà spazio allaconoscenza” (Discorso XXVII, cap.179).

L’esichia non attrae coloro chenon hanno ancora gustato la dolcez-za di Dio, e questo è possibile soloper colui che ha superato le sue pas-sioni, poiché: “Chi, ancora psichica-mente ammalato e avvolto tra le pas-sioni, volesse cominciare a fare l’esi-casta, assomiglierebbe al naviganteche si lanciasse dalla nave credendodi poter raggiungere la terrafermaaggrappato a un asse senza correrealcun pericolo. Chi combatte col fan-go a suo tempo potrà vivere in esi-chia, se e quando avrà avuto una gui-da. Poiché il solitario – parlo del soli-tario in senso stretto, cioè nel corpoe nello spirito da vero e proprio esi-casta – deve avere una forza angeli-ca” (Discorso XXVII, cap. 179).

“Ho visto io che cosa significa esse-re esicasti: non facevano che rinfocola-re le fiamme del desiderio di Dio,riempiendosi e mai sentendosi abba-stanza pieni; aggiungere sempre fuo-co a fuoco, amore ad amore, desiderioa desideri. L’esicasta è un angelo interra; egli, liberatosi dall’accidia e dal-

InDialogo

L’esichia, comunione viva con Diodi don Giovanni Biallo

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la pusillanimità, nella sua orazionescrive sulla carta del desiderio lettereperfette che esprimono il suo impegnonell’amore. Era un esicasta colui chegridava: O Dio, è pronto il mio cuore(Sal 57,8). Era un esicasta colui che di-ceva: Io dormo, ma il mio cuore veglia(Ct 5,2)” (Discorso XXVII, cap. 179).“Quanti hanno imparato veramente a

pregare mentalmente, sapranno in-staurare il colloquio quasi parlando al-l’orecchio del Re. Se hai imparato l’ar-te, intenderai quel che dico. Dall’altodella torre sorveglia come ti ho spiega-to; e allora potrai discernere come,quando e donde, quanti e quali ladrientrino nella vigna a rubare i grappoli.Chi non si stanca di fare la guardia, si

Icona, Emanuele Zane: San Giovanni Climaco “La scala Spirituale”, sec. XVII

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alza e prega, ritornerà a star tranquil-lo, attendendo con coraggio al suo la-voro” (Discorso XXVII, cap. 179). Mané la preghiera, né un’attività profon-da del cuore può essere efficace se pri-ma il cuore non è completamente stac-cato dalle preoccupazioni. Colui cheha un autentico desiderio di esichiainizia a rivolgersi verso Dio e a credereprofondamente nel suo cuore che Diosi prende cura di noi. Nel contatto conDio lo spirito di ciascuno viene purifi-cato, è come un fuoco che si impianta

al momento della conversionee inizia subito ad agire. Lamateria della passione è di-strutta quando è consumatadal fuoco divino. Così descrivela mancanza di passione sanGiovanni Climaco: “La man-

canza di passione è la resurre-zione dell’anima prima della risurre-zione del corpo” (Discorso XXVII, cap.185). La resurrezione dell’anima do-vrebbe essere chiamata l’allontana-mento dall’uomo vecchio, quandol’uomo nuovo si è affermato nel suoessere: “Vi darò un cuore nuovo, met-terò dentro di voi uno spirito nuovo”(Ez 36,26).

Aggiunge ancora san Giovanni Cli-maco nella Scala del Paradiso riguar-do alla preghiera (Discorso XXVIII):

La preghiera, secondo la sua veradenotazione, è dialogo dell’uomocon Dio, unione mistica; secondo glieffetti che la connotano, è detta so-stegno del mondo e riconciliazionecon Dio, madre o figlia delle lacrimee propiziazione per i peccati, difesa

dalle tentazioni e baluardo contro letribolazioni, vittoria nelle lotte e im-pegno da angeli, alimento degli esse-ri incorporei e gioia nell’attesa, atti-vità che non avrà mai fine e sorgentedelle virtù, origine di carismi e di pro-gresso spirituale, nutrimento dell’ani-ma e luce della mente, scure che reci-de la disperazione e dimostratricedella speranza, dissolutrice della tri-stezza e tesoro dei monaci, pregiodegli esitasti e diminuzione dell’ira,specchio di progresso e rivelazionedel giusto mezzo, indicatrice dellecondizioni in cui ci troviamo e prean-nunciatrice di quelle future o segna-latrice della gloria vera.

La preghiera, per chi la fa veramen-te, è il luogo del giudizio del Signore,il trono su cui egli siede per invitarci aldiscernimento, prima che venga il mo-mento del giudizio definitivo

Non affannarti a sottilizzare sulleparole da usare nella preghiera.Spesso infatti balbettii semplici e di-sadorni di bambini raggiunsero il Pa-dre che è nei cieli (cfr. Mt 6,9).

Non molte parole devi cercare (cfr.Mt 6,7), perché tale affannarsi causala dissipazione della mente.

Con una breve frase il pubblicanopregava il Signore (cfr. Lc 18,3), e unasola espressione pronunciata con fe-de salvò il ladrone (cfr. Lc 23, 39-43).

Molte parole spesso distraggononella preghiera perché riempiono lamente di fantasie, una sola parolaspesso contribuisce al raccoglimento.

Quando ad un certo punto dellapreghiera c’è una parola che ti piacee che ti concilia la compunzione, re-sta lì: allora si unirà alla tua preghie-ra l’angelo custode.

InDialogo

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La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

dicato come proprio. Non è forse dalla cimadi un monte, il monte Nebo che Mosè inviòGiosuè a conquistare la terra promessa?

Anche per questo proprio Mosè appare aidiscepoli accanto a Elia, mentre si intratten-gono in amabile dialogo con Gesù trasfigura-to. Non si tratta dunque di una rottura con lalegge di Mosè ciò che accade sul monte dellatrasfigurazione. Gesù non è venuto ad aboli-re la legge, ma a darle compimento.

Come se questa doppia testimonianza nonfosse sufficiente ad accreditare Gesù presso isuoi, ecco che una nuova voce si fa udire,quella del Padre. Riprende la formula giàproclamata al battesimo: “questo è il mio fi-

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

6 agosto 2005

Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto

PRIMA LETTURADal libro del profeta Daniele (7,9-10.13-14)

Dio aveva detto a Mosè: “Tu non puoi ve-dere il mio volto perché nessun uomo può ve-dermi e continuare a vivere” (Es 33,20). Chel’uomo se ne renda conto oppure no, questodesiderio di vedere Dio faccia a faccia è scrit-to nel profondo del suo cuore. Per gli antichiperò non si sarebbe potuto realizzare che nelfuturo, nel regno di Dio. Si capisce perché ilVegliardo che Daniele contempla appaia unafigura così lontana, proprio come quella del“figlio dell’uomo”. Tra l’altro, in questa visio-ne profetica, centinaia di milioni di esseri se-parano il veggente dal “figlio dell’uomo”. Lavenuta di Gesù ha profondamente cambiato lasituazione, perché se è vero che ormai “il Re-gno di Dio è in mezzo a noi”, allora anche ilvolto di Dio, il mistero del Dio vivente sonoormai alla nostra portata. Il racconto della tra-sfigurazione ha proprio la finalità di mostrarecome è possibile contemplare in Gesù il voltostesso del Padre celeste.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (17,1-9)

Nel vangelo di Matteo i monti rivestonoun ruolo molto importante. Prima di iniziarela sua vita pubblica, il demonio aveva traspor-tato Gesù su un alto monte per mostrargli lagrandezza del suo regno. Alla fine di questostesso vangelo è ancora su un monte che il ri-sorto convoca gli undici e li invia a conquista-re questo vasto regno che satana aveva riven-

Icona, La Trasfigurazione, Basilica santa Caterinad’Alessandria, Galatina, sec. XIV

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La parola di Dio celebrata

glio prediletto”, ma questa volta aggiunge“ascoltatelo!”. Ecco un indizio ulteriore perattestare che Gesù è il nuovo Mosè, accredi-tato da Dio presso il suo popolo. Gesù chie-derà loro di non parlarne con nessuno primadella sua resurrezione.

La figura e tutto l’aspetto di Gesù sonocambiati davanti ai loro occhi: “Egli venne tra-sfigurato”, dice Matteo, indicando che è unevento che gli accade a partire da Dio. Gesùdiventa luminoso come il sole, diventa cioèpura luce. Dio stesso è definito come pura lucein cui non ci sono tenebre (1Gv 1,5). E anche iGiusti che entrano nel regno di Dio splende-ranno come il sole (Mt 13,43). Nella visioneiniziale dell’Apocalisse il risorto somiglia alsole quando splende (Ap 1,16). Anche le vestibianche rimandano all’esistenza celeste (Mt28,3). Ciò che i discepoli vedono è dunqueGesù nel suo aspetto celeste, che egli riceveràcon la sua resurrezione. La visione è perciò so-prattutto annuncio e promessa di resurrezionerivolta alla fede ancora debole degli apostoli.

Anche noi crediamo che avremo parte al-la gloria del Signore Risorto, ma prima ditutto dobbiamo ora partecipare alla sua pas-sione perché il mondo si salvi.

XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

7 agosto 2005

Comanda che io venga a te sulle acque

PRIMA LETTURADal primo libro dei Re (19,9.11-13)

Quando il profeta Elia giunge al monteOreb, per rinforzare l’Alleanza del suo popo-lo con Dio, si aspettava di incontrarlo nel

tuono e nel fulmine, come era successo aitempi di Mosè. Ma Dio nel suo mistero in-sondabile non corrisponde all’immagine chese ne era fatta il profeta: Dio infatti si mani-festerà nella brezza silenziosa del giorno.

Dopo questo incontro nel silenzio però, ilprofeta verrà spinto di nuovo verso i rumorie il caos della vita, in mezzo al suo popolo.Anche là dovrà riconoscere la presenza diDio e additarla agli altri.

Il lungo cammino nel deserto e l’incontrocon Dio non erano altro che una tappa nelcammino di scoperta della multiforme pre-senza di Dio nella vita dell’umanità.

L’uragano, il terremoto, il fuoco; dobbia-mo renderci conto che il testo biblico sta evo-cando le manifestazioni che nelle religioni tra-dizionali e anche agli inizi della rivelazionefatta a Mosè, erano i segni più eclatanti dellamanifestazione di Dio. Associando la Paroladi Dio al vento leggero, l’autore del libro deiRe opera una rottura con l’immagine tradizio-nale di Dio: si tratta perciò di una rivoluzionepiuttosto che di una rivelazione. Schierandosidalla parte dei malati, dei poveri, dei dimenti-cati, Gesù rinnova e prolunga questa rivolu-zione/rivelazione che, sfortunatamente, faticaa raggiungere i nostri cuori di pietra. Il chias-so dei media, la ricchezza, la forza, la bellezzadel corpo, impressionano più che il mormorioleggero dei deboli e degli ultimi. Anche noidobbiamo essere stanati dalle grotte profondein cui ci rintana il nostro egoismo.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(9,1-5)

Ebreo per origine e per spirito, Paolo si ètrovato escluso dai suoi correligionari. Vede

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La parola di Dio celebrata

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con immensa sofferenza il suo popolo allon-tanarsi dalla salvezza per avere rifiutato Ge-sù. È così forte il suo amore per il suo popo-lo che preferirebbe piuttosto perdere lui lasalvezza se ciò permettesse ai suoi di incon-trare nella fede il Signore Gesù. La sua fedesaprà superare anche questa prova e il dub-bio costante che porta con sé: perché propriocoloro che dovevano riconoscere la divinitàdi Gesù non ne sono stati capaci? Crede per-ciò con fermezza che un giorno Dio illumi-nerà coloro che sono stati all’ origine dell’ al-leanza.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (14,22-33)

Due forze, apparentemente inconciliabili,dominano questa domenica di vacanze esti-ve: la tempesta e il silenzio. Si tratta di dueracconti altamente simbolici che si illumina-no a vicenda e che parlano del mistero di Diomescolando questi due temi: quello di Elia equello di Pietro.

Anche Pietro come Elia affronta il tu-multo dei flutti, ma la paura fa svanire lasua fede e ben presto comincia ad affonda-re. Gesù gli tende la mano. Quando final-mente sono sulla barca il vento improvvisa-mente cessa e si fa una grande silenzio sul-le onde e sul mare.

Siamo di fronte a un secondo racconto,ricco degli stessi simbolismi. Gesù che cam-mina sul mare manifesta il suo divino poteresulle potenze della morte.

Infatti il mare, nella Bibbia, rappresenta ilmondo del caos, delle potenze infernali, dellamorte. Camminare sul mare significa dunquela vittoria sulla morte, cioè la risurrezione diCristo. Matteo sottolinea che si tratta di una

vera risurrezione e non dell’apparizione diun fantasma.

Di fronte a questa rivelazione del miste-ro di Dio in Cristo, Pietro rappresenta il di-scepolo credente, guidato però da una fedeincompleta. Egli ha fiducia nel Signore,tanto che si getta nell’acqua per andare in-contro a Gesù. Ma non appena ritiene chequesto sia impossibile per la sua forza e lesue capacità ben presto affonda. Forse c’èqui anche un avvertimento ai responsabilidella Chiesa; il loro potere sulla morte è in-certo; solo il Cristo risorto lo possiede e lopuò comunicare a loro. Dopo aver focaliz-zato il suo racconto unicamente su Gesù ePietro, Matteo lo estende ora a tutti i cre-denti che sono nella barca della Chiesa. Es-si si prostrarono davanti a Gesù. Si trattaevidentemente di un gesto ben poco verosi-mile su una barca da pesca in pieno mare.È piuttosto un gesto liturgico, che ricompa-re anche a conclusione del vangelo di Mat-teo (Mt 28,17). Con esso l’evangelista in-tende dimostrare in che modo i discepolihanno espresso la loro fede nel Figlio diDio. Tanta solennità si spiega bene perché èla prima volta, in Matteo, che gli uomini ri-volgono a Gesù una simile professione difede, prima il titolo era stato usato soltantodai demoni. Con questa professione di fedegiunge finalmente la pace sul lago, segnodi una pace e di un appagamento ben piùprezioso nei cuori degli uomini.

Con immagini vive e potenti ci viene dettoche in Gesù è possibile incontrare Dio e la suapotenza. Chi lo accoglie nella sua vita acco-glie anche il silenzio e la pace. In mezzo allaconfusione e ai rumori della vita di oggi l’uo-mo di fede, nella calma del cuore, continual’attraente avventura di incontrare il Signore.

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La parola di Dio celebrata

XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

14 agosto 2005

Donna, davvero grande è la tua fede!

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (56,1.6-7)

L’esilio aveva trascinato il popolo elettofuori dalle sue frontiere. Israele si era tro-vato in mezzo a gente di tutte le nazioni. Siinterrogava perciò su quella che sarebbestata la condizione degli stranieri, quandogiungerà la liberazione.

Il secondo Isaia tenta di rispondere alladomanda. Se in alcuni momenti aveva af-fermato la subordinazione dei popoli di ori-gine pagana ai discendenti del popolo elet-to, in altri momenti afferma invece la pienaintegrazione nella comunità santa di tutticoloro che crederanno nel vero Dio.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(11,13-15.29-32)

Continuando la meditazione sul destinodei suoi fratelli ebrei, Paolo vede nel lororifiuto della Chiesa qualche cosa di provvi-sorio. Era necessario che la porta del regnodi Dio venisse aperta a tutti gli uomini, equesto ha provocato una reazione di rifiutodel popolo eletto. Ma un giorno questo po-polo ritroverà il posto al quale era statochiamato, nella città nella quale era il pri-mo invitato e ha preparato l’ingresso aglialtri. Dopo aver riconosciuto il proprio pec-cato, scoprirà anche lui la misericordia diDio.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (15,21-28)

I Giudeo-cristiani ai quali si rivolgeMatteo, erano ancora legati al mondo ebrai-co, anche se questo tendeva a gettarli fuoridalla comunità. Si interrogano sul loro at-teggiamento di fronte ai pagani che, semprepiù numerosi, si aprono alla fede. L’evange-lista risponde al loro problema evocandol’atteggiamento di Gesù. Urtato dalla incre-dulità del suo popolo, il Signore andò in unpaese pagano. Di fronte alla Cananea che losupplicava di salvare sua figlia, affermò divolere essere solidale con il mondo giudai-co. Confermò il carattere unico del suo po-polo. Ma subito condivise “il pane dei figli”con coloro che i suoi compatrioti considera-vano “cani infedeli”, mostrando così di va-lutare le persone e le situazioni in manieraben diversa. È su questa diversità che si de-ve fondare l’atteggiamento di quanti pensa-no non secondo gli uomini, ma secondo lanovità del vangelo.

Anche noi, chiusi nei gruppi di cui a voltefacciamo parte, ignoriamo troppo spesso glialtri. Ci sembra normale che Dio sia con noie per noi. Sottovalutiamo con eccessiva su-perbia che il nostro privilegio è grazia e chesiamo chiamati a far vivere di questo donotutti quelli che incontriamo. Cosa c’è di nuo-vo rispetto alla tentazione di Israele che tantevolte stigmatizziamo con forza? Gesù nac-que da questo popolo. Da esso prese la suaspiritualità e anche la sua cultura. Si mostròsolidale con lui. Ma ne fece saltare i limiti eper questo fu rigettato. Così egli rispose pie-namente alla chiamata di Dio che fa vivere,il cui Spirito ha ravvivato l’umanità tesa ver-so la pienezza.

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La parola di Dio celebrata

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Ma la cosa sconvolgente di questo van-gelo è che ci mostra un atteggiamento in-consueto di Gesù: non tanto nel fatto cheaffermi con forza la sua identità e la suamissione, ma che si lasci convincere dallebuone argomentazioni di questa donna. Ge-sù mostra che la vera grandezza è saperascoltare e saper obbedire alla verità. Ilracconto presenta una progressione appas-sionante. Gesù aveva argomentato che sa-nare una pagana non era consono alla suamissione. Si può fare anche un uso sbaglia-to dei doni buoni e per questo il dono diguarigione che il Padre ha dato al Figliodestinandolo al popolo di Israele non pote-va essere usato per altri popoli. La donnaperò non si scoraggia, l’amore per la figliala rende saggia. Ella accetta proprio il para-gone usato da Gesù, ma lo porta avanti.

Di solito è Gesù che per mezzo di para-bole e paragoni cerca di chiarire il propriomessaggio. Solo in questa occasione è ladonna che utilizzando il paragone di Gesù,spiega a Gesù stesso che la sua missionepresso il popolo di Israele non precludel’aiuto a una pagana. L’agire di questa don-na è del tutto inconsueto e ad esso corri-sponde ancora una volta un agire inconsue-to di Gesù. Egli riconosce nelle parole delladonna la voce del Padre. È la fede che haparlato in lei.

Questo Gesù che sa imparare ponendosiin perenne ascolto della voce del Padre, co-munque gli giunga, anche da una donna eper di più pagana, ci appare infinitamentepiù grande di un Gesù che sa sempre tuttoin anticipo. È un Gesù più umano, ma altempo stesso più divino. Anche in questiparadossi sconvolgenti sta la grandezzaumano-divina di Gesù.

ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA

15 agosto 2005

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente.

Messa della vigilia

PRIMA LETTURADal primo libro delle Cronache (15,3-4.15-16;16,1-2)

Il libro delle Cronache nacque dopo l’e-silio per glorificare il tempio salomonicoche finalmente era stato ricostruito. In quel-la costruzione alcuni autori giudei vedevanoil simbolo perfetto dell’opera divina. Per al-cuni di loro quel tempio doveva essere tra-sportato presso Dio, al momento in cui ilvecchio mondo sarebbe stato distrutto. Inquesta tradizione giudaica i cristiani viderouna profezia di Maria, “il tempio” che ave-va accolto in sé il Verbo della vita, anche leial momento della fine sarebbe stata assuntapresso Dio.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiCorinzi (15,54b-57)

La morte è un passaggio inevitabile nellavita di ogni persona sulla terra. Ma per molti,e i Corinzi erano tra questi, è addirittura la fi-ne assoluta della persona, la sua distruzionetotale. Paolo reagisce vigorosamente a questaidea profondamente anti-cristiana, infatti ilcentro della nostra fede è proprio la resurre-zione di Cristo che annuncia e promette lanostra stessa resurrezione. Questa manifesta laforza dell’amore, che vince definitivamente lamorte. Maria ha vissuto un personale e veroanticipo di questa resurrezione e diventa per-

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La parola di Dio celebrata

ciò per tutti noi segno ulteriore di speranza in-defettibile nella vita eterna che ci attende.

VANGELODal vangelo secondo Luca (11,27-28)

Nel vangelo di Luca è caratteristico diMaria il fatto che gli uomini, pieni di ammi-razione e di gioia, percepiscono che cosacontraddistingue la sua persona rendendolaunica e perciò la chiamano beata. Maria è laprima persona che è chiamata beata e soloper lei vengono espresse beatitudini che val-gono solo per la sua persona. La beatitudinedi Maria, la radice fondamentale della suasantità, è nella intensità profonda della sua

fede, nel suo ascolto pienamente obbedientedella Parola di Dio. Poi è detta beata per legrandi cose che Dio ha fatto in lei e infine èbeata a causa del suo Figlio. Maria è anche,insieme a Gesù, l’unica persona il cui spiritoesulta di fronte all’opera di Dio. A lei come aGesù appartengono in maniera propria eprofonda la gioia e la beatitudine.

Questi segni di unicità di Maria la leganoindissolubilmente a Gesù e alla pienezza dibeatitudine e di gioia. Appare quindi del tuttocongrua la fede della Chiesa che confessacome questa unione col Figlio non fu separa-ta neppure dalla morte, nella quale Maria eGesù rimasero legati nella beatitudine e nellagioia. Le forme di questa misteriosa unità,

Icona, Dormitio Mariae, Basilica santa Caterina d’Alessandria, Galatina, sec. XIV

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2005 35

naturale e soprannaturale insieme, la Chiesale annuncia proclamando l’assunzione diMaria al cielo. Il dogma non fa che: indicarela profondità insondabile del mistero, annun-ciare la grandezza di Dio, spingerci a un mo-to di gratitudine e di fiducia.

Annunciandoci l’assunzione di Maria laChiesa ci invita perciò a confermare la nostrafede nell’onnipotenza di Dio che può vincereanche la morte. Per questo siamo invitati an-che a ravvivare la coscienza del nostro desti-no. D’altra parte il nostro corpo, come il suo,non è già “tempio di Dio?”.

Messa del giorno

PRIMA LETTURADal libro dell’Apocalisse (11,9a; 12, 1-6a.l0ab)

Che contrasto potremmo pensare tra ladonna dell’Apocalisse, coronata di stelle,con il sole per manto e quella che a Betlem-me partorisce in una mangiatoia. Tuttaviasembra proprio che sia la stessa, perché an-che quella dell’Apocalisse è presentata alleprese con i dolori del parto, e in fuga neldeserto subito dopo aver generato il figlio.Contrasto o completamento? Dobbiamo ri-cordare che è un’apocalisse, parola che si-gnifica “rivelazione”. Tende cioè a manife-stare la realtà divina e profonda che sta allabase della storia umana e terrena. Come ciha rivelato Gesù nella sua trasfigurazione,ogni essere umano ha in sé una realtà divi-na, è creato infatti a immagine di Dio, unaluce che non si lascia vedere che raramenteagli occhi della carne. Così l’immagine diMaria che ci dà l’Apocalisse viene a com-pletare e non a opporsi a quella che ci offrel’evangelista Luca.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiCorinzi (15,20-27)

Alcuni Corinzi dubitavano della resurre-zione futura. Paolo, dopo aver ricordato chela resurrezione di Gesù è il fondamento dellanostra fede, mostra che il trionfo di Gesù an-nuncia il ritorno alla vita di tutti gli uomini.Nel Cristo ha trionfato l’amore, opposto alpeccato di Adamo. Il Signore si pone alla te-sta della lunga processione di tutti coloro chesono rigenerati da questo medesimo amorevenuto da Dio.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,39-56)

Il vangelo non ci racconta l’assunzionedella Vergine Maria. Luca esprime il grido digioia di Maria, quando prende coscienza delsignificato dell’avvenimento che si sta com-piendo in lei. Giunge a compimento tuttal’attesa del suo popolo. Per mezzo di lei, Dioriporta alla vita i suoi fedeli.

Se la Chiesa ha scelto di farci meditarequesto brano di Luca così pieno di gioia nonè certo senza motivo. Maria, madre di Dio emadre nostra, non può certo lasciarci indiffe-renti. Dove è la madre si riuniscono, del tuttonaturalmente, i suoi figli. E Maria, attraversoquesta pagina evangelica, ha tracciato la stra-da che ci conduce a lei, nel seno stesso dellaTrinità. Come Maria poniamoci subito a di-sposizione di quanti possono avere bisognodei nostri servigi. Come Maria che porta ilSignore da Elisabetta, portiamolo ai nostrifratelli attraverso la testimonianza quotidianadella vita. Come Maria lasciamo scoppiare lanostra gioia per tutte le grazie che abbiamo

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36 Culmine e Fonte 4-2005

La parola di Dio celebrata

ricevuto fin dal giorno del battesimo. Faccia-mo nostro il suo inno di lode per il Signore eSalvatore nostro. Diciamogli il nostro amoree la nostra riconoscenza per la sua misericor-dia che non cessa di esercitare a favore dellasua Chiesa. E infine, non dimentichiamo checiò che caratterizza Maria è la sua fede:“Beata colei che ha creduto...”.

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

21 agosto 2005

Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regnodei cieli.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (22,19-23)

Nell’arte religiosa occidentale è frequentevedere l’immagine di san Pietro che sorreggeuna o due chiavi: allusione molto diretta alvangelo di questa domenica nel quale l’apo-stolo riceve simbolicamente le chiavi del re-gno, attraverso il potere di perdonare i pecca-ti. Ma come mostra il testo di Isaia, questosimbolo ha una storia molto più antica e ave-va in origine un diverso significato. Riceven-do le chiavi della casa di Davide il nuovo go-vernatore di Gerusalemme riceveva autoritàsu tutto il palazzo regale e deteneva così ilpotere di introdurre presso il re quanti do-mandavano udienza. Era un compito impor-tante di mediatore dell’incontro con il re. Difatto, leggendo così il simbolo delle chiavil’unico che può detenere un tale potere sullacasa di Dio Padre è Gesù. Perciò consegnan-do a Pietro le chiavi del Regno di Dio, e le-gando ormai a esse la facoltà di perdonare ipeccati, il vangelo mostra come la salvezza

sia affidata alla Chiesa, che rende possibilecon il suo perdono l’accesso a Dio anche perquanti, e lo siamo tutti, non sono degni di es-sere accolti a motivo dei loro peccati.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(11,33-36)

Dopo aver mostrato la natura della vita delcredente animato dallo Spirito, Paolo ha medi-tato sul destino d’Israele. Ha fiducia che ungiorno il suo popolo troverà finalmente il suoposto nella Chiesa di Dio. Ora termina la suariflessione con un inno alla gloria del Signore.Accoglie con riconoscenza il suo disegno sal-vifico, davanti al quale non può che inchinarsi.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (16,13-20)

Siamo vicini alle sorgenti del Giordano, aipiedi del monte Ermon, all’estremo nord d’I-sraele. In poche parole siamo a un passo dalmondo pagano. Ed è proprio qui che Gesù faun’inchiesta che lo riguarda direttamente, og-gi lo chiameremmo un sondaggio di opinione.Gesù non chiede ai discepoli la loro opinionesul Discorso della montagna o su qualche al-tra parte del suo operare, ma li interroga sucosa pensano circa la sua persona. Già la do-manda mostra che per lui questo punto è diimportanza decisiva. Tutto il significato diGesù dipende da chi egli sia, al centro infattinon sta il suo annuncio, ma la sua persona.

L’inchiesta parte in maniera generale:come lo vede la gente comune? Le rispostesono varie: Giovanni Battista risuscitato emagari per questo capace di fare miracoli.Elia, che molti attendevano sarebbe ritorna-

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2005 37

to come profeta destinato ad annunciare lafine del mondo. E infine Geremia o qualcu-no dei tanti profeti perseguitati nel corsodella lunga storia delle infedeltà del popolodel Signore.

Con tutto ciò la gente dimostra di avereun’alta opinione di Gesù, ma non di ricono-scerne la singolare posizione, l’unicità. Ed ec-co che Gesù incalza: “e per voi io chi sono?”.Certo le affermazioni precedenti non erano indefinitiva completamente false. Geremia adesempio, come profeta sofferente, era certouna figura profetica che annunciava Gesù. Mala risposta generosa e un po’ incosciente diPietro coglie nel segno in maniera più certa.Tu sei ben più di un profeta, tu ci riveli il verovolto del Padre. Gesù conferma, anzi cambiaaddirittura il nome di Simone in quello di Pie-tro, la base solida, il fondamento della fededella sua Chiesa. Questo fondamento però èsolido alla stessa maniera della risposta di Pie-tro, che è vera non perché la mente di Pietroha saputo elaborarla, ma perché la sua umiltàe fede hanno saputo accoglierla da Dio comeuna rivelazione, un dono gratuito. La forza diPietro “roccia” sarà tutta determinata dal suofondarsi sulla vera Roccia: il Padre.

Comincia così per Pietro una nuova vitacome nuovo è questo nome “pietra” cheGesù stesso ha inventato. Kefas, “pietra”,non viene usato da nessun autore anticocome nome di una persona. Questo nome èuna nuova creazione di Gesù che indica ilcompito di Pietro e lo spiega con tre im-magini: Pietro sarà la roccia. Su di essa lacomunità dei credenti sarà l’edificio, la ca-sa di Dio. La guida e la responsabilità suquesta comunità è confidata a colui che neha le chiavi. Nelle comunità Pietro agirà alposto di Gesù.

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

28 agosto 2005

Se qualcuno di voi vuol venire dietro a me,rinneghi se stesso.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Geremia (20,7-9)

Nella tradizione cristiana il termine sedu-zione ha normalmente un connotato negati-vo: è il serpente che ha sedotto Eva portan-dola a peccare. La stessa seduzione attuatada Dalila porta Sansone a perdere la forzadonatagli da Dio. Si potrebbero moltiplicarei racconti biblici che parlano della cattiva se-duzione. Per questo le poche eccezioni, addi-rittura attribuite a Dio, diventano rimarche-voli. In particolare due testi profetici: quellodi Osea 2,16 e il nostro brano del profeta Ge-remia. Dio può dunque sedurre? Perché no?D’altra parte è ben chiaro nella Bibbia che ilsuo rapporto con l’umanità è un rapportod’amore. Dio ci ama e chiede in risposta unlegame d’amore. Un legame che tende a es-sere esclusivo, tanto da separare l’amato datutte le altre seduzioni del mondo. Dio ci se-duce al bene e così libera il nostro cuore dal-le false seduzioni del male. Per questo il pro-feta accetta di buon grado, e si lascia “sedur-re”, conquistare fin nel profondo del cuoredal suo Dio.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(12,1-2)

Nella prima parte della lettera Paolo haesposto la sua sintesi circa il rinnovamentodell’esistenza, provocato dalla fede. Giunge

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38 Culmine e Fonte 4-2005

La parola di Dio celebrata

ora alle conclusioni pratiche. Esse derivanodall’orientamento totale della vita verso Dio.Offrendosi in sacrificio spirituale al Signore,il credente rompe con il modo istintivo dipensare degli uomini.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (16,21-27)

Pietro, l’apostolo sulla cui fede Gesù haappena detto che fonderà la sua Chiesa, in-ciampa subito davanti alle parole del Cristo.Vuole allontanare il Signore dalla sua viaverso la croce. Se ha saputo riconoscere laverità riguardante la persona di Gesù, è anco-ra ben lontano dall’aver rinunciato alla pro-spettiva umanissima di fuggire sempre da-vanti al dolore. Solo la passione lo strapperàdalle sue illusioni e lo renderà capace di vi-vere davvero la sua fede.

L’operare precedente di Gesù gli avevafatto capire che Gesù ha il potere di venireincontro a molteplici necessità umane. Da luiPietro si attendeva che donasse la vita pienae vera, perché era stato mandato da Dio edera il Figlio del Dio vivente. Da lui si atten-deva che mettesse fine a ogni necessità, a di-saccordi e liti, alla malattia e alla vecchiaia, atutto ciò da cui la vita è disturbata e diminui-ta. Si attendeva, in una parola, il dono di unavita illimitata. E invece questo “improbabile”Messia comincia a parlare di morte, di falli-mento, di rifiuto generalizzato da parte delsuo popolo. Per i discepoli questo non è solouna delusione, ma il crollo di un mondo disperanze. Pietro aveva mille motivi più unoper dissentire, per chiedere a Gesù di rinun-ciare a questo progetto assurdo.

Per il momento il rimprovero di Gesù èmolto duro e la crisi di Pietro ben profonda.

La pietra che doveva essere un fondamentodiventa un sasso d’inciampo, quello che ingreco si dice “scandalo”.

Nel forte contrasto tra Gesù e Pietro ven-gono in ballo domande fondamentali: Qual èil valore e il significato della vita umana? Lanostra vita terrena è l’unica vita? Come pos-siamo e dobbiamo usare questa vita in ma-niera significativa? Che cosa possiamo atten-derci da essa? Dobbiamo attaccarci a lei aogni costo? Come possiamo giungere allapienezza della vita e alla felicità? Il vangelopiù che fornirci subito delle risposte ci invitaa camminare dietro a Cristo.

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

4 settembre 2005

Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fra-tello.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Ezechiele (33,7-9)

La morale cristiana rischia spesso di esse-re individualista, mentre il profeta Ezechieleinvita chiaramente a un atteggiamento soli-dale tra tutti i membri del popolo di Dio.

Non si tratta di colpevolizzarsi, in nomedi un principio un po’ terroristico di respon-sabilità collettiva; piuttosto l’invito è a offrir-si un sostegno reciproco, con la parola e conl’esempio, soprattutto quando la fedeltà ap-pare ogni giorno più difficile. Non serve anulla lamentarsi per la caduta di un fratello o la degradazione generale della società incui viviamo. Vale molto di più provare a in-tervenire concretamente, finché si è ancorain tempo. Dio ha pieno diritto di chiedere a

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La parola di Dio celebrata

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ognuno ciò che disse a Caino: “cosa è acca-duto a Tuo fratello?”. Soprattutto il profeta èchiamato a farsi guardiano e sentinella sulcammino del suo popolo. Ma ciò riguarda or-mai ognuno di noi, popolo di profeti segnatia ciò dalla grazia del battesimo, e costituitibenevoli guardiani della salvezza di ognunodei nostri fratelli.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(13,8-10)

In tutta questa bellissima lettera ai Roma-ni Paolo ha lottato contro il legalismo giudai-co. Sa che quel legalismo l’aveva chiuso inun atteggiamento rigido e opprimente versogli altri, lo aveva addirittura condotto a per-seguitare i cristiani. È stata la scoperta del-l’amore misericordioso del Signore a salvar-lo! Partendo da questa presa di coscienzapuò rinascere la vera legge, quella che assi-cura l’unità della Chiesa e dell’umanità.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (18,15-20)

L’argomento con cui inizia il Vangelo dioggi è chiaro e diretto: Come trattare il pecca-tore, colui che devia? Gesù inizialmente nonpreannuncia grandi mezzi. Non invita a de-nunciare subito il peccatore ai responsabilidella comunità. Perché ogni discepolo di Ge-sù, è realmente e sufficientemente forte e pre-parato per andare incontro al peccatore, perconvincerlo del suo peccato e per riguada-gnarlo al Signore Gesù: «Se ti ascolterà, avraiguadagnato il tuo fratello». E anche se la pri-ma volta non ti ascoltasse, due o tre altri fra-telli potrebbero per il momento bastare, per ri-

guadagnare e riconciliare il fratello peccatore.Solamente dopo questo secondo approccio cisi indirizzerà alla comunità della Chiesa e icapi interverranno per stabilire se il fratelloappartiene ancora o meno al gruppo dei disce-poli di Gesù, e a quali condizioni. Ma Gesù sucosa basa una tale fiducia nella potenza dell’a-zione dei cristiani, come singoli e come grup-pi, contro la forza e la virulenza del male?Dov’è dunque la sorgente segreta del poterenuovo di ogni discepolo di Gesù? A che titoloegli osa intervenire in questo modo? Nel No-me di chi? Nel Nome di Gesù, cioè nella forzadella sua presenza e nella dolcezza irresistibi-le del suo amore salvatore. Infatti potremmocomprendere male questo vangelo e ricono-scervi solo una serie di buone norme educati-ve per evitare il dilagare degli scandali e l’ec-cessiva pubblicità fatta al male e a chi sbaglia,ma c’è molto di più. Non è necessario esserecristiani per rimproverare i fratelli, criticare egiudicare la loro condotta, richiamarli all’or-dine e ai loro doveri. Ma per avvicinare il pec-catore accogliendolo nel più profondo del no-stro cuore; per circondarlo d’amore pur rifiu-tando il suo peccato riconoscendone il male,per condannare l’errore in un clima di carità ecomprensione è necessario il miracolo dell’a-more cristiano, dell’amore salvatore di Gesùcomunicato a quanti credono in lui. Non sicomprende questo testo sul perdono senza farriferimento a un altro importantissimo branoevangelico: “Quando due o più sono riunitinel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

La correzione fraterna, fatta nel nome diGesù, diventa proprio questo caso di specialepresenza di Cristo. Ma a condizione, comeGesù ci ha appena ricordato, che essi si in-contrino nel suo Nome, cioè che chi correggeagisca per la causa di Cristo, e non per risen-

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La parola di Dio celebrata

timento o superbia, per la fiducia accordataalla sua Parola o per la segreta attrattiva, peril fascino indefinibile, ma irresistibile cheGesù esercita su di lui.

Molti cristiani potrebbero spingersi a de-nunciare e condannare l’errore, organizzarsiinsieme per fare ciò, ma senza neanche piùricordarsi che sono là, ovunque essi siano,con chiunque siano, a causa di Gesù, cioè nelsuo nome.

Quando però i cristiani sono veramenteriuniti nel suo nome, allora succede qualcosadi radicalmente nuovo. I rapporti tra i disce-poli vengono cambiati e così anche i rapportitra i discepoli e il Padre. La loro preghiera di-venta irresistibile: «Se due di voi sopra la ter-ra vi accorderete per domandare qualunquecosa, il Padre mio che è nei cieli ve la conce-derà». Inoltre, poiché Gesù è in mezzo a loro,viene accordato e garantito un potere grandecontro il male: «Tutto quello che scioglieretesopra la terra sarà sciolto in cielo».

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

11 settembre 2005

PRIMA LETTURADal libro del Siràcide (27,30-28,7)

Non ti dico di perdonare fino a sette volte,ma fino a settanta volte sette.

Tutti conoscono il rischio di dare risposteaffrettate. Anche i sapienti di Israele non era-no immuni da questo difetto. È certo troppofacile legare l’atteggiamento dell’uomo e ilcomportamento di Dio, come se fossero dellostesso ordine di cose. La vendetta nei confron-

ti di un fratello comporterebbe così la paralle-la vendetta di Dio nei nostri confronti. Allostesso modo il perdono offerto a un fratellofarebbe automaticamente scattare il perdonodivino per le nostre colpe. Non andiamo trop-po veloci! I sapienti della Bibbia non avevanola pretesa di avere già ben chiare tutte le sotti-gliezze della teologia della retribuzione cheoggi conosciamo e su cui si interrogano anco-ra i moralisti contemporanei. Il perdono diDio è sempre un dono immeritato, mentre inogni colpa degli altri c’è sempre almeno unapiccola parte di responsabilità da parte nostra.Chi perdona un fratello che ha peccato controdi lui, rifletta sempre su quanto può dirsi inno-cente e non complice dello stesso peccato.Questo non ci esime dall’ obbligo del perdo-no, anzi, proprio la distanza tra il gratuito egeneroso perdono che Dio ci offre e lo stenta-to e complice perdono che noi possiamo offri-re dovrebbe essere un motivo più pressanteper essere misericordiosi.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(14,7-9)

Paolo invita i cristiani a un’esistenzache li faccia uscire dal proprio egoismo.Ciò esige una vera morte spirituale, ma èanche sorgente della vita. Solo questa tra-sformazione rende possibile la pazienzaverso i deboli e la vicendevole accettazio-ne, senza un reciproco giudizio.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (18,21-35)

Il tema del perdono, della possibilità stes-sa del perdono in una società che voglia

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2005 41

combattere efficacemente il male, è sicura-mente di grande attualità. Molti si chiedononon soltanto se sia possibile perdonare, mase sia veramente doveroso e necessario e so-prattutto entro quali confini questo perdonopossa essere esercitato senza diventare: unabuso, una viltà nei confronti del male o peg-gio una specie di complicità.

Nel vangelo Pietro dimostra di averecompreso che l’atteggiamento di Gesù neiconfronti del perdono era innovativo. Il suomodo affettuoso, aperto e generoso di rap-portarsi con i peccatori faceva capire quantoil Signore avesse una “riserva di perdono”notevolmente più ricca di qualsiasi altro uo-mo sulla terra. Era un atteggiamento checonquistava naturalmente l’ammirazione deidiscepoli e il povero Pietro decide di tentaredi assomigliargli: “quante volte dovrò perdo-nare a mio fratello se pecca contro di me: fi-no a sette volte?”...

Una proposta generosa. Ragionevolmentemolto generosa, quella di Pietro. Ma quelloche Gesù pretende da lui è che esca dalla lo-gica con cui sta ragionando sul perdono: lalogica di chi deve perdonare, di chi deve pa-gare il tributo del perdono. Da questo puntodi vista ogni prezzo sembra alto. Il perdonosembra una apertura di credito fatta con po-che garanzie, una scommessa che apparemolto problematica: colui che viene perdo-nato si lascerà cambiare in meglio dal donoricevuto? O avrà fatto uno sforzo inutile? Ola forza del male, non solo non verrà sconfit-ta dal perdono, ma addirittura lo sfrutterà peri suoi scopi?

Chi continua a essere ragionevole in que-sto modo non potrà mai perdonare di cuorecome Dio ci chiede. Gesù vuole che Pietrocambi punto di vista e a questo serve la para-

bola che narra di seguito. Come molte para-bole è introdotta da una formula fissa, sullaquale riflettiamo poco: “Il regno dei cieli è si-mile a...” sostituita in Luca da “Il regno diDio è simile a...”. Il suo significato è interes-sante: l’evangelista ci vuol dire che noi vivia-mo in un mondo dove Dio ancora non regnapienamente. La logica del mondo in cui vi-viamo non è quella di Dio, lo stile di vita cheseguiamo non corrisponde a quello di Dio, inun mondo in cui Dio regnasse, le cose an-drebbero nella maniera che la parabola rac-conta. Il primo messaggio della parabola èchiaro: Dio perdona con generosità inaudita.Dio “investe” con grande generosità nel per-dono, perché ha una straordinaria fiducia nel-la possibilità che il perdono cambi i cuori de-gli uomini. La parabola non si dilunga in par-ticolari, ma il debito a cui accenna è enorme,quasi l’ammontare annuo delle tasse di unpiccolo stato al tempo di Gesù. Un debito delgenere non si accumula in un giorno, chi dun-que riceve il perdono dal re è una persona cheha sbagliato, frodato e ingannato lungamente:per anni e con molte complicità. Tutto cispingerebbe a non fidarci di lui, tutto in luiparla di malvagità e di male incallito. Eppureil re investe ancora una volta sulla potenzadel perdono. La parabola non è però irreale,anche nel Regno di Dio l’uomo resta libero eil perdono generoso può essere rifiutato e ri-sultare non efficace. Pietro come noi restascandalizzato da questo: come è possibile cheil cuore di quest’uomo sia così insensibile al-la potenza del perdono? I servi della parabo-la, che vanno sdegnati dal padrone a denun-ciare l’accaduto, danno voce a tutti i lettoridel vangelo. Come è possibile non capire cheil perdono è amore? Come non lasciarsi cam-biare il cuore da questo amore così generoso?

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42 Culmine e Fonte 4-2005

La parola di Dio celebrata

Da questa carica di amore così potente? Edecco che Gesù ha raggiunto il suo scopo: ciha fatto vedere il perdono dall’altro lato. Ciha fatto scoprire che il perdono visto dallaparte del peccatore è dono, è gioia è amorepotente che dovrebbe sconvolgere, cambiareogni cuore. Quando si perdona di cuore, ilcuore dell’altro viene conquistato. Non si puòdunque capire il perdono mettendosi dallaparte di chi offre il perdono, ne tanto menocomprendere il cuore di Dio cercando di por-si nei Suoi panni. La verità diverrà per noi lu-minosa solo se ci metteremo nella nostra con-dizione umana di peccatori perdonati, infini-tamente perdonati da Dio. Solo scoprendo lagioia del perdono impareremo a perdonareperché avremo fiducia nella potenza del per-dono. Con un’arte narrativa inarrivabile Gesùriesce a comunicare un valore positivo conuna storia tanto realistica da essere una storianegativa, una storia che finisce male. Ed eccol’ultima risposta: il fallimento di un investi-mento sul perdono non giustifica la sfiducianella potenza del perdono perché l’esistenzadel peccato e dell’odio non può annullare lapotenza dell’ amore.

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

14 settembre 2005

Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato.

PRIMA LETTURADalla lettera di san Paolo Apostolo ai Filippèsi (2,6-11)

Passione e resurrezione non si contrap-pongono come due realtà contraddittorie. Ilrapporto non è di contraddizione, ma di con-seguenza: “proprio perché Gesù si è umiliato

nella morte il Padre lo ha innalzato...” Lacroce di Gesù non è solo l’ultimo atto dellasua vita umana, ma anche la rivelazione del-l’essere stesso di Dio. La resurrezione attestache Dio si riconosce pienamente nel croce-fisso del Venerdì santo: la sua umiliazionesmaschera i nostri sogni di potenza e gloria.La sua umiliazione condanna le nostre strate-gie di violenza e sopraffazione. Per quantoappaia orribile alla nostra vista, la croce nonè meno gloriosa della resurrezione: rivela in-fatti al mondo la tenerezza di un Dio solidalecon gli uomini, che si identifica con l’ultimo,il più povero e sofferente tra di loro. DesignaGesù come “centro della storia”, il solo esse-re in cui l’universo trova il suo fondamento el’umanità il suo principio di unità. È perciònecessario che ogni lingua accolga l’invito aconfessare la signoria di Cristo. La vocazio-ne della Chiesa è proprio quella di farsi inter-prete di questo appello presso ogni nazione.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

Nicodemo, un esponente importante delgruppo dei farisei, viene a visitare Gesù,ma di notte! Il maestro di Israele diventadiscepolo segreto di Colui che è la via, laverità e la vita. Gesù è insieme la via diDio verso di noi e la nostra sola via pergiungere a Dio. Una via che sale verso ilcielo, una via che sarà “l’elevazione” diGesù e anche la nostra elevazione. Tuttiquelli che nel deserto alzavano gli occhiverso il serpente di bronzo venivano guari-ti. Gesù rivela a Nicodemo la sua “eleva-zione” sulla croce, fonte di vita e di guari-gione spirituali per quanti saranno abba-stanza umili per rivolgersi a lui, per accet-

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2005 43

tare di essere salvati da un Dio che si mo-stra debole e indifeso, da un Dio umile earrendevole, da un Onnipotente diventatoimpotente per amore. Questa è l’Ora versola quale tende tutta la vita di Gesù. Questaè l’Ora della sua “elevazione”, della suaglorificazione. Nella parole di questo van-gelo c’è la sintesi più potente per esprimereil cuore della fede cristiana: “Dio ha tantoamato il mondo da donare il suo figlio, per-ché chi crede in lui non si perda, ma abbiala vita eterna”. Per accogliere questa sal-vezza che è dono e totale gratuità è neces-sario “tornare bambini”, anzi, in manieraancora più radicale, bisogna nascere di

nuovo, uscendo dalla logica di questo mon-do: logica di profitto e di sopraffazione, peraccogliere come unica la logica di Dio, lo-gica di amore e di dono gratuito.

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

18 settembre 2005

Sei invidioso perché io sono buono?

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (55,6-9)

Questo brano di Isaia nasce dopo il ritor-no dall’ esilio ed è tutto percorso da un chia-ro invito alla conversione, al ritorno a Dioche ha permesso il ritorno del popolo nel suopaese. Dio dimostra una profonda passionenel farsi cercare e trovare dagli uomini. Untesto molto vicino al nostro: Is 65,1-2, preci-sa che è Dio stesso a dire all’uomo “ecco-mi!”, mentre nel passato erano stati i grandiuomini come Abramo, Samuele, Isaia a ri-spondere così all’appello divino. Dio dice“eccomi” davanti a un’umanità che sembranon mostrare nessun interesse per lui. Questaè la prima conversione che Dio chiede all’u-manità di oggi.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippè-si (1,20-27)

Paolo è prigioniero, deve affrontare l’ipo-tesi della sua morte. Catturato da Cristo, eglise l’augura, perché essa gli permetterà final-mente di incontrare faccia a faccia il suo Si-gnore. Sarà un vero guadagno per lui. Tutta-via, pieno di amore per i fratelli, desideroso

Mosaico, particolare, Basilica San Giovanni Laterano,Roma

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La parola di Dio celebrata

di identificarsi fino alla fine con il suo Mae-stro, è pronto a riprendere il suo impegno perdare fino all’ultima stilla di sangue, perché ilmondo creda e si salvi, completando cosìnella sua carne ciò che manca ai patimenti diCristo.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (20,1-16)

Questo vangelo provoca una inevitabiledomanda: che razza di giustizia c’è nel paga-re allo stesso modo dei primi anche gli ope-rai dell’ultima ora? E fuor di metafora: comepuò esserci giustizia nel portare in paradisoanche chi si pente soltanto negli ultimi mo-menti della sua vita?

Questo modo di agire di Dio non ci sem-bra coerente e molti condividono l’atteggia-mento narrato dal vangelo con la protesta de-gli operai della prima ora, convinti con ciò ditutelare la giustizia.

La risposta finale del padrone della pa-rabola, d’altra parte, non sembra moltoadatta a confortare i dubbiosi. Egli non par-la di giustizia, ma si arroga il diritto di: “fa-re quello che vuole delle sue cose”. Dio èforse arbitrario e impertinente? Si pone aldi là di ciò che è giusto e ragionevole sol-tanto perché “è Dio e può fare ciò che vuo-le?”. Le domande sono tante, e invece difar comparire le risposte ogni approfondi-mento sembra evidenziare l’abisso tra noi eDio, tra il nostro e il suo modo di valutarele cose. La pericope evangelica è posta pri-ma dell’entrata di Gesù in Gerusalemmeper compiere la sua Pasqua, quasi profeziadi quanto sarebbe accaduto dopo Penteco-ste dove gli “ultimi” (pagani, peccatori etutti gli esclusi dall’alleanza) avrebbero ac-

colto l’invito della salvezza. La parabolainoltre è racchiusa tra un detto di Gesù allamaniera di inclusione: “molti dei primi sa-ranno ultimi e gli ultimi primi”(Mt 19,30 e20,16) che è la chiave di lettura della para-bola stessa. Ogni giorno il mondo ha postilimitati in prima classe, chi non giunge intempo, chi non sgomita per arrivare è irri-mediabilmente mandato fuori, e questo lochiamiamo serenamente “giustizia”. Nelnostro mondo chiamiamo “giustizia” che cisia un primo, un secondo e un terzo mondo,e che l’ordine di arrivo determini la diffe-renza tra una vita di spreco e una vita di fa-me. Vivendo sempre in questa logica è faci-le non accorgersi che gli operai della para-bola, anche quelli dell’ultima ora, eranosulla piazza fin dal mattino, ma “che nessu-no li aveva presi a giornata”. L’incontrodella salvezza per loro è giunto solo al tra-monto, ma anch’essi come i primi hannoaccolto la chiamata del Padrone per metter-si al lavoro nella vigna. Spesso le vie diDio non sono le nostre vie, i suoi pensierinon sono i nostri pensieri perché i suoi oc-chi sul mondo sono molto più aperti dei no-stri e la sua attenzione alla verità non è de-viata dall’abitudine al male. Per questo Dioè capace di guardare non soltanto all’orariodi lavoro, ma anche molto più in là; il Pa-drone guarda alle famiglie di questi lavora-tori che attendono dal mattino che il padretorni con il salario di una giornata. La lorofame non può ridursi in base ai tempi diproduzione effettiva!

L’amore sconfinato del Padre va oltre lagiustizia e la logica retributiva nei confron-ti delle prestazioni degli operai. Il padroneinfatti argomenta il suo comportamento sudue livelli: prima di tutto conferma di non

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2005 45

avere mancato in nulla rispetto a una giu-stizia distributiva. Gli operai della primaora sono stati pagati secondo quanto giustoe pattuito dal contratto di lavoro. Ma il pa-drone rivendica il diritto di uno spazio digratuità, la possibilità di cercare di rispon-dere, per quanto possibile, ai bisogni diogni uomo. Se a prima vista il comporta-mento di questo padrone sembra inaccetta-bile, esso propone invece un modello e unvalore di giustizia col quale è necessarioconfrontarsi.

Lo sguardo di Dio, attento alle necessità enon solo alle rivendicazioni economicamente

esigibili è dunque “uno sguardo buono”. Unasocietà, che non cercasse di ispirarsi con rea-lismo e concretezza ai valori di questa para-bola, sarebbe una società forse efficiente edeconomicamente competitiva, moderna e li-berista, attenta al mercato e vicina al “model-lo” americano, ma indubbiamente “menobuona”.

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

25 settembre 2005

Pentitosi, andò. I pubblicani e le prostitute vipassano avanti nel regno di Dio.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Ezechiele (18,25-28)

Chi è giusto davanti a Dio? La letturaodierna affronta un tema cruciale nella Bib-bia: quello della retribuzione. Come si situa-no l’uomo e Dio, l’uno in faccia all’altro, ri-guardo al problema del bene e del male? Co-me l’uomo fa il male, e come Dio risponde aquesto male? Il testo di Ezechiele è ben chia-ro, a patto di inserirlo in un contesto che at-traversa tutto l’antico testamento. Una dottri-na globale, che si è costruita soltanto pianpiano, a partire da punti di vista molto diver-si, a volte in maniera paradossale come la vi-sione della giustizia contrapposta alla miseri-cordia. Nessun testo è sufficiente a dire tutto.La rivelazione procede a tentoni, a voltesembra addirittura un camminare errabondo.È tuttavia notevole che il popolo non esiti amettere in discussione la condotta di Dio,reagisca a ciò che dice il profeta con una vi-vacità vicina alla violenza. È in questo con-trasto vivo e vivace che si attua in pienezza

Particolare, il Crocifisso che parlò a san Francesco,chiesetta san Damiano, Assisi, sec. XII

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la rivelazione divina. Non in un dettato sere-no e impersonale delle “formule da credere”,ma in una quotidiana scoperta passionale eappassionata.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippè-si (2,1-11)

I cristiani debbono rinunciare a ognisentimento che li porta a giudicare gli altri.Debbono accettarsi vicendevolmente e so-stenersi di fronte alle difficoltà della vita.Illumineranno così, attraverso la loro espe-rienza, l’atteggiamento di Gesù: che è ve-nuto a compiere l’opera divina, facendosischiavo, sottomesso alla morte per amoredei suoi fratelli.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (21,28-32)

Chi è disposto ad ammettere subito dinon essere così bravo, così generoso, cosìretto, da rispondere immediatamente “sì”alle richieste di Dio? Tutti noi abbiamo laprofonda sensazione che possiamo e vo-gliamo fare il bene. È una sensazione permolti aspetti giusta, ma non dovrebbe por-tarci a sottovalutare la nostra debolezza, lafrequente incoerenza delle nostre azioni.Quanto è ricco il mondo di proclami, diprofferte generose, di dichiarazioni di buo-ni intendimenti, che però non portano a ri-sultati altrettanto positivi! Ognuno di noiha una profonda allergia per i proclamielettorali dei partiti: progetti bellissimi cheascoltiamo già con gli occhi aperti su quel-la che sarà poi la concreta e grigia realtàdei compromessi e degli scarsi risultati.

Questo stesso realismo dovremmo averequando valutiamo i nostri sogni di bontà, diobbedienza, di rettitudine. Se contiamo so-lo sulle nostre forze e sulle nostre virtù,ben presto faremo la fine del primo figliodella parabola. Invitato dal Padre ad andarea lavorare nella vigna rispose subito con un“sì”, generoso, entusiasta e probabilmenteanche ricco di molto orgoglio... ma non ciandò. Questa storicamente fu la reazione diIsraele all’annuncio di Gesù e prima a quel-lo del Battista, ma riservarla soltanto a unfatto del passato non è corretto. L’errore diIsraele potrebbe essere oggi quello dellaChiesa o di ogni cristiano.

Come non condividere l’opinione di Gesùche nella parabola sembra smaccatamentepreferire il secondo dei due figli: che ha co-minciato con uno sbaglio e ha dovuto rien-trare miseramente, umilmente attraverso laporta del pentimento. Ha dovuto presentarsia Gesù, stroncato nel suo amor proprio, permendicare il perdono. È proprio lui che Gesùpreferisce: colui che ha cominciato col direno, ma che, pentito, è andato a lavorare, an-che furtivamente, nella vigna.

Coloro che sono passati per la porta delpentimento, sanno bene di non poter conta-re solo sulla propria generosità e sul pro-prio impegno. Conoscono bene che tuttoderiva dallo sguardo di perdono che il Si-gnore un giorno ha posato su di loro. Ilvangelo è pieno di queste figure: Zaccheo,il pubblicano; Maria, la peccatrice; e quelmeraviglioso sconosciuto che veneriamosotto il nome di buon ladrone. Il contenutodella parabola è la rivelazione del primatodella Grazia sulla illusione del volontari-

La parola di Dio celebrata

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La parola di Dio celebrata

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smo e del buonismo. L’umanità non è buo-na da sola: ha bisogno di Dio, ha bisognodi salvezza per diventare buona, ha bisognodi Spirito Santo. Ma come potrà riceverlofinché non trova la strada del perdono, fin-ché vive nella superbia di chi crede di po-tersi salvare da sé?

Trovare la porta del pentimento non èsolo trovare una strada che ci conduce pre-sto al Regno di Gesù, ma trovare la sola

strada. Non ce n’è un’altra. Dobbiamo tuttipassare attraverso la porta del pentimento,presto o tardi, altrimenti non ci sarà postoper noi nel Regno, come per Pietro che siintestardiva a non voler essere lavato daGesù. Dobbiamo anche noi stare attenti anon intestardirci nella nostra generosità, anon restare prigionieri delle nostre opere,della nostra buona volontà, dei nostri suc-cessi. Gesù non può abbandonarci alla no-stra sola generosità. Cerca di salvarci, diorganizzare la nostra vita in modo che ciresti ben poco di cui vantarci, che tuttosembri per noi perduto fuorché la sua mise-ricordia. Noi resistiamo a lungo a questostratagemma divino. Vorremmo salvare al-meno le apparenze, ma un giorno, quasi anostra insaputa, nel momento in cui la no-stra generosità abituale ci avrà finalmentetraditi, ci ritroveremo improvvisamente nelcampo della misericordia, confusi con gliultimi dei peccatori, con coloro che prece-deranno i giusti nel Regno. Solo allora noisapremo veramente rendere grazie. È allorache noi conosceremo l’amore di Dio e sco-priremo fino in fondo che la salvezza è so-prattutto ed essenzialmente un dono.

Icona, Cristo “in gloria”

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ANIMAZIONE LITURGICA

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PRESENTAZIONE AL TEMPIO

Solo chi ci ama veramente può farci capire il valore dell’amore e noi ci vogliamomettere alla scuola di Maria per imparare ad amare Gesù.Ma l’amore non è separabile dal dolore, anzi è proprio la via della sof-ferenza che esprime la profondità dell’amore.Gesù ha detto che l’amore più grande è il dare la vita per colui che siama (Gv 15,13).Anche per Maria è vera questa condizione. Il suo amore più grande èstato proprio la sua sofferenza.A Fatima ha fatto vedere il cuore immacolato coronato di spine e que-sto è un richiamo ai suoi dolori. Il suo cuore trafitto è un invito alla

riparazione e ad un maggiore approfondimento del mistero della Redenzione. Il dolore di Maria la rende più vicina a ciascuno di noi. La sofferenza è certa-mente l’esperienza più viva dell’uomo e solo il condividerla con chi soffre cirende uniti. Nell’apparizione alla Salette, Ella è addolorata: Maria piange nel vedere lanostra ingratitudine, la mancanza di fede e di speranza nei confronti dell’A-more donato del suo diletto Figlio Gesù.Vogliamo così partecipare ai suoi dolori e alle sue sofferenze per ripararea tanta ingratitudine dell’umanità che sta camminando verso l’ombra del-la morte.

La nostra adorazione vuole, attraverso Maria, essere una riparazione per tuttele volte che abbiamo tradito Gesù e il Vangelo ed abbiamo fatto sanguinareil suo cuore di mamma.

« Simeone li benedisse e parlò a Maria sua madre: “Egli è qui per la rovina e larisurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pen-sieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima » (Lc 2,34-35).

Sembrava un giorno come gli altri: due genitori al Tempio per dire grazie al Si-gnore del dono del figlio. Un rito semplice e solenne, così com’è nello stile dei poveri,

MARIA, REGINA DEI MARTIRI1

(Meditazione sulla Passione della Madonna davanti a Gesù Eucaristia)

Preghiamo

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ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2005 49

così com’è nello stile di Dio.Fra i tanti, c’erano anche loro, Maria, Giuseppe e il bambino, mescolati con altri poveri, mescolati con altra gente. I volti dei poveri sono quasi tutti uguali, pieni di speranza non solo per il giorno dopo, ma per quell’oggi che richiedeil pane di sempre,il coraggio di sempre, la fede di sempre.Il tempio poi, con tutta la sua imponenza, faceva sentire un certo disagio. Al-la ricerca di un volto amico, anche Giuseppe e Maria vagavano fra le austerecolonne ricercando, nel loro cuore, lo stesso Dio che, forse, lì non riuscivanoa vedere.

Ma ecco un fatto che produce una forte impressione: arriva un vec-chio che sembrava stesse lì ad aspettarli; si dirige verso di loro co-me un vecchio amico e prende in braccio il bambino.Erano andati per offrirlo al Signore, ma presto si rendono contoche quel gesto equivale a metterlo nelle mani di tutti.Forse è il primo che prende in braccio il tuo bambino, Maria, e giàavverti, nel silenzio del tuo cuore, quale sarebbe stata la tua mis-sione nel progetto di Dio: donare il tuo Gesù. L’angelo ti aveva detto: «Nontemere, Maria» (Lc 1,30), ma ora quasi hai timore, perché quest’uomo chenon conosci, ha preso fra le braccia Gesù; quello che ti ha più turbato sono lesue parole che parlano di divisione, di rovina e di salvezza; ti annunciano cheuna spada trafiggerà la tua anima.

Le parole del vecchio Simeone, o Maria, ti hanno fatto tornare alla mente altridolori e disagi. Come non fu imbarazzante il censimento di Cesare Augusto? Nessun conforto, nessuna strada privilegiata, nessuna camera prenotata.Tutto era all’insegna di una speranza che dipendeva più dagli uomini chedalle promesse di Dio; eppure anche quei momenti e disagi formavano lafiligrana del progetto divino.In contrasto, l’indifferenza degli uomini, il loro egoismo, il poco spazio chec’è sempre per coloro che non contano: «perché non c’era posto per loronell’albergo» (Lc 2.7).

E come non ti ritornò alla mente, con quelle parole, la misteriosa fuga in Egit-to? (Mt 2,13). Lei che si è nascosta a Dio, è costretta a nascondersi di frontealla smania di potere e di prepotenza degli uomini. Ma certamente il suocuore ha provato un grande e incomprensibile dolore alla notizia dei bambi-ni uccisi (Mt 2,16-18).Nel suo cuore di mamma risuonava il pianto disperato di altre mamme, ditanti che non troveranno mai una risposta nella storia degli uomini. Sì, le pa-

Preghiamo

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role di Simeone si mescolavano con i tanti dolori che in quel momento leistava rivivendo.

«Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovinae la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché sianosvelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima»(Lc 2,34-35).

Le parole del vecchio Simeone vibrano come una spada; sono profezia di un do-lore già avvenuto e di un dolore che deve ancora accadere.La sorte del Figlio sarà anche l’ora della madre.

L’ora nona in cui si fece buio su tutta la terra, sarà per lei l’ora diquella spada che la renderà crocifissa senza la croce. La paroladi Simeone appare crudele per lei, mamma, che avrebbe datotutto per il suo Bambino.

Quella seconda Annunciazione segna la via del dolore che avrebbe ac-compagnato il mistero dell’Incarnazione.La carne di questo Bambino sarà martoriata dal peccato dell’uo-mo e la profezia tocca l’anima della madre, ancor prima di croci-

figgere il corpo del Figlio. Non poteva esser esentata da quel dolore che il Fi-glio avrebbe fatto suo per salvare il mondo.

Questo Bambino, che ancora non parla, è già segno di contraddizione. QuestoBambino che appena vagisce è già accusato di essere rovina del suo popolo.Questo Bambino, che salverà il suo popolo dai suoi peccati, è già preludio diostilità.

Come rimbombano nel cuore di Maria, al grido della folla: «Sia crocifisso», leparole profetiche di Simeone: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione dimolti in Israele».Fu proprio in quel momento, quando il suo Gesù viene lasciato in mano alpopolo, che ella comprende la drammatica portata di quelle parole.Quando Simeone prende fra le braccia il suo bambino, è forse possibile cheella lo veda già disteso sulla croce per i peccati del mondo, immolato comel’agnello condotto al macello, che non apre bocca?

Maria e Giuseppe che «portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Si-gnore, come è scritto nella legge del Signore: ogni maschio primogenito saràsacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovanicolombi, come prescrive la legge del Signore» (Lc 2,22-24), non pensavanocertamente, al trambusto che avrebbe creato quel Vecchio, il cui volto, se-gnato dal tempo, aveva ancora occhi capaci di vedere.

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Erano occhi che avevano aspettato quel momento, che l’avevano sperato edora quel desiderio e quell’attesa si realizzavano.Sarà sempre così. Solo dove arriva Gesù, tutto raggiunge la sua pienezza:adesso può dire: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondola tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza…» (Lc 2,29-30).Maria, forse questo Vecchio ti rimarrà sempre nel cuore, specialmente inquei momenti oscuri, dove i tuoi occhi non vedranno altro che buio, sarca-smo e indifferenza. Possiamo applicare a Simeone la frase del Vangelo diGiovanni: «Vide e credette» (Gv 20,9) e così a Maria anche quando, sotto lacroce, c’è solo da chiudere gli occhi, perché è difficile vedere e capire.

Solo chi ha riposto la sua vita e la sua attesa in Dio, ha occhi capaci divedere la salvezza, nel corpo di questo Bambino e nei legni incro-ciati di una croce, dove vi è appeso un uomo.Chi crede vede, e non rinuncia alla follia di una attesa impossibile,nella quale crede, spera e sa aspettare anche se la sua vita si sta eclis-sando verso la fine.Tu, Maria, hai visto negli occhi di questo Vecchio, lo sguardo di tut-ti coloro che sanno aspettare Colui che viene, che sanno credere,che vogliono vedere quello che ancora non hanno mai visto. Dav-vero la fede ti pone nell’utopia dell’impossibile, ti apre alla follia di un’atte-sa piena di speranza.Tu, o Maria hai letto nel cuore di quel Vecchio tutta la trepidazione di uncuore bambino, di un cuore che, nonostante l’età, è rimasto ricco di deside-rio: il desiderio di Dio che fa sempre andare al di là delle circostanze.E Tu, Maria, da quel giorno in cui Dio ti ha rivolto la sua Parola, hai imparatoa guardare sempre oltre, al di là della dura realtà che, spesso, sembra oppor-si anche al progetto di Dio.

Le parole del Vecchio e il tuo gesto di deporre il Bambino fra le sue braccia, di-venteranno la continuità della tua risposta al mistero dell’Incarnazione.Questo Bambino ti è stato dato perché potesse, attraverso la tua persona, es-sere donato, anzi deposto là dove non c’è più nulla da aspettarsi. Dio l’hadeposto nel tuo seno, per dare significato alla madre e alla vergine.

Tu l’hai deposto nel cuore di Giuseppe, per santificare la famiglia, l’hai depostosulla paglia della culla di Betlemme, per santificare la vita, l’hai deposto frale braccia spente di questo Vecchio, segno dell’umanità in attesa, per riac-cendere la speranza, l’hai accolto nuovamente dalle braccia della croce perdare speranza alla crudeltà della morte ed essere l’unico amore che rimanefedele in quel momento drammatico: «adesso e nell’ora della nostra morte»Ora che lo hai deposto fra le braccia di quel servo fedele, lui si può congeda-re dalla scena del mondo: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pa-

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ce secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza… (Lc 2,29-30).

Ora lui può andare, può partire; era tanto che aspettava, ora è proprio giuntoal termine.La tua presenza, Maria, riempie sempre il cuore dell’uomo, il cuore del tuoGesù. Tu sei colei che è la pienezza di Dio e dona la pienezza di Dio. Perdo-naci se i nostri vuoti sono tali che non abbiamo avuto ancora il coraggio diriempirli, accogliendoti come nostra madre. Dopo tutto questo, Maria ri-prende il suo Gesù e se lo stringe al cuore.Le parole di Simeone, come spada sguainata, glielo hanno squarciato.

Nel suo cuore il dolore, d’ora in poi, convivrà con la gioia, gioianel vedere crescere il bambino e dolore per quella ferita invisibileche porterà sempre con sé fino a che tutto, di lei, si ricapitoleràin Dio.

O Maria, davanti al tuo Gesù-Eucaristia vogliamo riparare per le volteche il dolore e l’incomprensione ci hanno fatto separare da Lui.Vogliamo riparare per le nostre paure che ci hanno fatto dubita-re perfino dell’amore di Dio, dubitare della sua presenza nei

nostri momenti oscuri e ci siamo sentiti abbandonati anche da Te.Fa, o Maria, che anch’io sappia mettere nelle braccia aperte di tutti coloroche aspettano, il tuo e mio Gesù, per riaccendere nei loro cuori la luce, lagioia e la speranza. O Maria, prendi il mio cuore e mettilo fra te e Gesù, cosìche né spada mi spaventi, né la paura mi scoraggi. Amen.

AL CALVARIO, L’INCONTRO DOLOROSO

«Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota, che significa luogo del cra-nio e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo croci-fissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno do-vesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l’iscrizionecon il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anchedue ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra» (Mc 15,22-27).

Lungo la Via crucis, Gesù sembra che sia rimasto privo di ogni attenzione, diamicizia e di affetto; è rimasta sola lei, la madre che, ancora una volta, vivequel travaglio doloroso: il peccato non l’ha sfiorata, ma il dolore l’ha vera-mente trafitta.Maria partecipa al Calvario del Figlio.Quell’incontro senza trattenere,

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quello sguardo senza fissare,quel silenzio senza parole,sono le spine del suo martirio;il suo cuore trasalisce di un nuovo tormento, ma al tempo stesso infiamma dipiù il suo amore. Non è vero che il dolore spegne l’amore, al contrario. Il suocuore è davvero trafitto: anche a te una spada trafiggerà l’anima.La terribile punta di quella spada è già penetrata in lei ed il dolore di en-trambi si trasforma in uno sguardo infinito.

I loro occhi si incontrano e tutto si dicono; in uno sguardo è raccolto l’inesprimi-bile dell’amore e del dolore. E’ uno sguardo che diventa memoria. Lei conosce bene quell’uomocondannato alla croce. E’ il suo Gesù, carne della sua carne, sanguedel suo sangue, amore del suo cuore, la forza della sua fede e il co-raggio della sua speranza. E’ stata la prima fra tutti a conoscerlo e ad amarlo, perché nessunacreatura ha amato Dio con tutto il cuore, prima di lei.E’ stata lei ad aprirgli la strada nel mondo, per questo ora, non puòabbandonarlo lungo quella strada.E’ vero: non c’è molto da vedere in questo spettacolo pietoso. Mal’uomo è fatto così: si diverte mettendo alla berlina il suo Signore.

Perché tutto questo? Che male ha fatto?La domanda più che a Dio va rivolta ad ognuno di noi: questo è frutto delmio peccato. Maria, sono i nostri peccati ad aver crocifisso il tuo Gesù, siamo noi i respon-sabili della tua sofferenza e del tuo martirio.Siamo noi che il peccato ha reso orfani, che abbiamo bisogno di una madre,perché con il suo materno affetto, ci ricrei alle cose sante di Dio.

Maria, madre di noi peccatori, non ci abbandonare sulla via dolorosa. Tu sei lìper Lui, ma anche per confortare il nostro dolore, quando incontreremo lacroce e saremo tentati di sfuggire le spine e il Calvario e un senso di ribellio-ne e di rabbia invaderà il nostro cuore. Maria, continua a cercarci in mezzoalla folla, che spesso si assiepa accanto a noi, facendoci credere che non valela pena continuare nell’andare avanti, perché Dio non può salvare. Vieni in-contro a noi, Maria, e sostienici nel cammino, perché, se ci fermiamo davve-ro, tutto è finito e la croce entrerà nel buio della morte. Tu sei lì, Maria, perinsegnarci ad essere fedeli a Gesù, anche quando ci sembra di rimanere soli eschiacciati dal peso dell’incomprensione che ci avvolge come una croce.

Non riusciamo ad accettare quelle parole: «Venite a me, voi tutti, che siete affa-ticati e oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e impara-

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te da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre ani-me. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,28-30).Devi essere lì, o Maria, quando Gesù vuole renderci partecipi della sua operadi salvezza, facendoci camminare, portando la croce su per la salita di quelquotidiano che è la nostra vita, ricordandoci che quell’inaccettabile esperien-za di dolore, è la via dolorosa più sicura, proprio perché ci affianca a Gesù.Sembra quasi un giro di parole: la causa di tanto dolore sono io, peccatore, eaffinché il mio peccato non mi uccida, Lui l’ha fatto suo.

Forse non mi sarei incontrato con Gesù, se non fossi caduto così in basso.Forse amore sarebbe stata una delle tante parole se non mi sentissi afferra-

to, attanagliato da questo amore che si è nutrito del dolore piùatroce della croce.Forse, se non ci fossimo incontrati con la croce del suo Figlio,avremmo pensato a un Dio lontano: il Figlio crocifisso è la piùgrande rivelazione che Dio ha fatto di sé; è Lui la credibilità diDio, è Lui la nostra speranza e la nostra salvezza.Veramente Dio ci ha capiti, perché ha provato su di sé il drammadelle conseguenze del nostro peccato. Sono stato io a creare lacroce, sulla quale Lui ha voluto diventare il Crocifisso.

Maria, donami il coraggio di non sentirmi solo di fronte ai miei peccati e allamia morte e donami la forza di saper cercare sempre Gesù. Fa’, o Maria, che,per paura, non mi allontani da quella Via Crucis che porta realmente al Cal-vario, ma che apre la speranza alla luce di Pasqua.

Fa, o Maria, che tutti i sofferenti e gli oppressi dal dolore siano mondati daltuo amore materno, cosicché formino con te un corteo d’amore: il corteodella misericordia e del perdono, perché il sacrificio del tuo Figlio lo hacosì trasformato con il dono totale di se stesso.Se Lui non fosse presente, nulla, della vita, avrebbe avuto senso e tanto me-no il dolore e la sofferenza;nulla avrebbe avuto speranza, perché tutto sarebbe finito per sempre.La Sua presenza è anche la tua presenza, o Maria, rifugio dei peccatori,consolatrice degli afflitti, salute dei malati, madre di Gesù e madre no-stra. Amen.

STAVANO PRESSO LA CROCE…

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria diCleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la Madre e lì accanto a lei ildiscepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio”! Poi disse

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al discepolo: “Ecco la tua madre”! E da quel momento il discepolo la prese nellasua casa» (Gv 19,25-27).

La fede mostra Dio nella sua nudità; a Betlemme, Maria lo vide nel corpo nudodel bambino, ora lo vede spogliato.L’esperienza di Dio passa sempre attraverso una spogliazione. Dio ci conducedove noi siamo costretti a lasciare, ed a spogliarci.La nostra mente deve spogliarsi dei suoi pensieri, delle sue ragioni, delle suegiustizie. I nostri occhi devono spogliarsi dei loro orizzonti. Il cuore deve spogliarsi dei suoi sentimenti e degli affetti. Le nostre mani debbono privarsi della loro bramosia di possesso,del loro trattenere, del loro difendere. I nostri piedi debbono spogliarsi del loro cammino abituale, perinoltrarsi in strade che non si conoscono. Dobbiamo spogliarci dell’immagine, dell’apparenza, per ritrovare,in Maria, l’immagine e la somiglianza di Dio.

Maria, eccoti di nuovo di fronte a Gesù che ti chiede di rinnovare iltuo si. Non era bastato quello che avevi pronunciato a Nazaret ed aBetlemme: ora vuole che tu lo ripeta qui, sul Calvario, dove il Signore è spo-gliato, inchiodato, innalzato, deriso, davanti ai tuoi occhi.Sei stata preservata dal peccato ma non dal dolore e, particolarmente, daquesto dolore. Qui, sotto la croce, o Maria, la tua anima è trapassata fino infondo dalla spada.Maria, il dolore più atroce che hai percepito profondamente, non è sta-to solo quello di vedere le sofferenze di Gesù, ma di constatare che noncredono, in Lui, come Figlio di Dio. Questo è il peccato più grave dell’uo-mo e crea nel suo cuore, diffidenza, amarezza, malvagità, crudeltà. Ora, Maria, sei arrivata all’ultima stazione della strada dell’amore.

Qui il mistero dell’Incarnazione raggiunge il suo apice e diventa, così, il misterodella redenzione.Anche tu, Maria, come è accaduto al tuo Gesù, vieni crocifissa da quell’amo-re al quale non puoi sfuggire: stava presso la croce di Gesù. Quello che col-pisce di te, Maria, è la tua vita semplice e piena di Dio; è il tuo stare, là doveil dolore vuole essere consolato, l’amore vuole essere amato, dove la fine si trasforma in un fine, dove l’uomo vive l’abisso della sua solitudine. Il tuo stare, Maria, adesso enell’ora della morte, è già presenza di Dio, è già aurora di un amore nuovo, quello della divina misericordia.

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Le parole del Figlio crocifisso risuonano per lei, con la stessa intensità, come èaccaduto la prima volta che Dio le ha parlato, entrando in modo così vivonella sua vita. Donna, ecco tuo figlio, è come se dicesse: tu sarai per tutti ciòche sei stata per me: madre.Infatti, rivolgendosi all’apostolo amato, a Giovanni, gli dirà: Ecco tua Madre.Solo Dio dà il possesso di tutto:

la tua madre,la tua fede,la tua carità,il tuo perdono,il tuo fratelloil tuo peccatola tua vita.

Ma nel momento in cui Dio ti fa il dono di una tua cosa, ti insegna an-che una missione: tu, Maria, sarai madre per sempre.Avendo te, Maria, abbiamo il tuo Gesù più nostro.Con te avremo la certezza che ci condurrai là dove c’è Lui.Ora che sei diventata la donna dei dolori, ci partoriraialla Grazia di Dio, noi che siamo la causa di tanta sofferenza.Sì, Maria, il tuo cuore trafitto è vittima de nostri peccati e Tu,

quale madre, trasformi questo dolore in un atto d’amore e di misericordia.Ora Gesù è davvero l’agnello senza macchia che viene immolato.La croce diventa così l’altare dell’immolazione dove, tu, o Maria, diventi lamadre del sacerdote e della vittima e, prolungando il tuo si, acconsenti al-l’offerta del tuo figlio sacrificato.E’ questa certamente l’unione più intima che ti unisce a Lui, quella del dolo-re. Così tu divieni la regina dei martiri e, al tempo stesso, Madre di tutti gliuomini peccatori.

O Maria, che sei diventata mia madre nel momento più doloroso della tua vita,aiutami a distaccarmi da tutto quello che continua a crocifiggere il tuo Gesù.Aiutami a liberarci da questo atteggiamento di superficialità, di orgoglio e diambizione che mi spinge sempre a creare un crocifisso, sul quale scaricare ilmio peccato e a trafiggere anche il tuo cuore. Aiutami a non barattare il tuoGesù per gli spiccioli che il mondo mi offre per togliere di mezzo la verità.Aiutami a non considerare Barabba come conquista di libertà e di giustizia,al posto del tuo Gesù.L’albero della croce spunta sempre nel campo dei miei compromessi.Aiutaci, o Maria, ad essere, nella mia croce, il crocifisso tuo figlio, a crocifig-gere le pie passioni, fino a diventare sua immagine per essere degno di sen-tirmi dire: ecco tua madre. Amen.

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———————1 Testo pubblicato in L. OROPALLO, Vogliamo vedere Gesù. Momenti di contemplazione e adorazione, 2003.

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I l tempo estivo consente, di norma, rit-mi di vita un po’ meno frenetici delsolito. In particolare spesso si cerca

l’opportunità di trascorre qualche oradella sera in compagnia di amici, appro-fittando della frescura che l’oscurità por-ta con sé dopo la calura del giorno; sipuò così andare al riposo notturno già unpo’ più distesi. Per questo il tempo ordi-nario dell’estate mi sembra l’occasionepropizia per dedicare una rinnovata at-tenzione al momento della preghiera dicompieta. È un momento di sereno racco-glimento, in cui, accanto all’esame di co-scienza, la Chiesa ci invita a non trascura-re il ringraziamento per la giornata tra-scorsa. Sono questi i sentimenti che ani-mano i due inni proposti per la compieta,e che, come sempre, vogliamo commen-tare a partire dall’originale latino. Si trat-ta di testi assai noti, soprattutto il primo;di antichissima tradizione (secondo il Li-ber Hymnarius risalgono entrambi al V –VI secolo), vengono cantati su melodie di-verse per ogni tempo liturgico. Conosciu-ti a memoria ancora dalla maggior partedei sacerdoti, sebbene siano molto sem-plici rispetto alla complessità di riferimen-ti scritturistici e teologici che abbiamo ri-levato in altri inni, possono, con loro in-genua freschezza, alimentare un momen-to di preghiera breve ma prezioso in que-sto tempo di vacanza.

Il tempo della notte e dell’oscurità èricco di valori simbolici. La nostra societàindustrializzata con l’uso della luce elet-trica ha introdotto una delle più signifi-cative trasformazioni delle condizioni divita umana. Fino a circa un secolo fa, lanotte imponeva una tregua forzata aogni attività: non si poteva lavorare nei

campi, né viaggiare, né dedicarsi ad altreopere. Al massimo era possibile (e piace-vole) fermarsi davanti al chiarore dellafiamma del focolare, o dedicarsi alla let-tura di qualche libro grazie alla fioca lucedi una lucerna. Ma la notte, con le sue te-nebre, era soprattutto il regno incontra-stato del Male, il momentopropizio per ladri e briganti. Dinotte bisogna vigilare, ci vo-gliono sentinelle e custodi, sen-za le quali nessuno ha il corag-gio di abbandonarsi al riposodel sonno. Le tenebre, impene-trabili allo sguardo, sono sem-pre state percepite come dimo-ra di insidie sconosciute e mi-nacciosi fantasmi: tutti abbiamo avutopaura del buio. Ma c’è ancora dell’altro:lo stesso chiudere gli occhi per abbando-narsi al ristoro del sonno diventa metafo-ra di un’oscurità ben maggiore, quelladella morte. La gioia dell’addormentarsiè incrinata dall’incertezza del risveglio.Dunque la tenebra notturna da sempre èstata vissuta come pericolo e minaccia, e,nonostante la luce artificiale, lo rimaneancora, sebbene in misura ridotta.

Tuttavia l’oscurità è percepita dall’uo-mo anche come luogo del riposo e dell’in-timità, del raccoglimento e della quiete.Dopo una giornata vissuta “all’esterno”,sul campo, nella fatica del lavoro o nellerelazioni umane, negli impegni e nelle at-tività, quando finalmente scende la seral’uomo si vuol lasciare andare al riposo, sivuole abbandonare con serena fiducia, sivuol sentire protetto da un abbraccio te-nero e forte, come quando era piccolo.Tutti i bambini hanno un sonno profondoperché sanno abbandonarsi – loro sì – con

Innodialiturgica

Gli inni di compieta di don Filippo Morlacchi

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infinita fiducia nelle braccia di chi li ama.E non a caso la notte è anche il tempodell’amore: non perché sia qualcosa da vi-

vere di nascosto, tutt’altro, ma perché è iltempo dell’abbandono e dell’intima con-segna di sé nelle mani di chi ci ama.

Te lucis ante terminumrerum Creator, poscimus,ut solita clementiasis praesul ad custodiam.

Te corda nostra somnient,te per soporem sentiant,tuamque semper gloriam

vicina luce concinant.

Vitam salubrem tribue,nostrum calorem refice,taetram noctis caliginemtua collustret claritas.

Praesta, Pater Omnipotens,per Iesum Christum Dominum,qui tecum in perpetuumregnat cum Sancto Spiritu. Amen

Christe, qui splendor et dies,noctis tenebras detegis,lucisque lumen crederis,lumen beatis praedicans,

Precamur, sancte Domine,hac nocte nos custodias;sit nobis in te requies,quietas horas tribue.

Somno si dantur oculi,cor semper ad te vigilet;tuaque dextra protegasfideles qui te diligunt.

Defensor noster, aspice,insidiantes reprime,guberna tuos famulos,quos sanguine mercatus es.

Sit Christe, rex piissime,tibi Patrique gloria,cum Spiritu Paraclitoin sempiterna saecula. Amen.

Prima che si spenga la luce,Te, o Creatore del mondo, invochiamo,perché con la tua consueta misericordiasia il primo a custodirci.

Te sognino i nostri cuori,te percepiscano nel sonno,e la tua gloria semprecantino al sorger della luce.

Concedi salute alla nostra vita,ravviva il nostro calore interiore,ed il tuo chiarore rischiaril’oscura tenebra della notte.

Ascolta, o Padre Onnipotente,per Gesù Cristo Signore,che regna in eternocon te e il Santo Spirito. Amen.

Cristo che sei splendore e giorno,che denudi le tenebre della notte,che sei creduto “luce di ogni luce”che annunzi la gloria ai beati,

Ti preghiamo, santo Signore,di custodirci in questa notte;il nostro riposo sia in te,concedici un tempo di quiete.

Se pur gli occhi si abbandonano al sonno,il cuore vegli sempre per te;la tua destra proteggai tuoi fedeli che ti amano.

O nostro difensore, guardaci,allontana chi ci minaccia,custodisci i tuoi serviche hai redento con il sangue.

O Cristo, re mitissimo,sia gloria a te e al Padre,con lo Spirito Santonei secoli eterni. Amen.

Innodialiturgica

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Questa bipolarità che caratterizza ilsimbolo della notte mi sembra presenteanche negli inni di compieta. Da un latosi rileva infatti l’invito alla pace ed allatranquillità, alla fiducia in Colui che sem-pre ci accoglie e ci custodisce; ma dall’al-tro ricorre l’invocazione di aiuto e prote-zione dinanzi alle minacce oscure che,proprio nella notte, si profilano all’oriz-zonte dell’anima, perché il male non vie-ne da tenebre esteriori, ma alberga nelcuore stesso dell’uomo: «non ciò che en-tra, ma ciò che esce dal cuore dell’uomolo contamina» (cfr. Mt 15,18). Espressionidi abbandono lirico si alternano perciò aenergiche richieste dell’intervento divino,per chiedere che la notte trascorra nellapace e il nuovo giorno illumini il cristia-no, ritemprato nel corpo dal sonno e nel-l’anima dalla grazia divina. Un elementoda tener presente nell’ultima preghieradella giornata mi sembra dunque proprioil suscitare in sé questi sentimenti di paca-to e fiducioso abbandono, ringraziandoper la giornata trascorsa e il bene com-piuto, insieme alla richiesta umile e insi-stente di protezione dalle minacce delmale, che sempre cerca di sedurre il no-stro cuore. Il cristiano è chiamato ad ad-dormentarsi “in Dio”, rinnovando nelproprio cuore i sentimenti di Gesù che di-ce al Padre «tutto è compiuto» (Gv 19,30)e «Padre, nelle tue mani affido il mio spi-rito» (Lc 23,46). Il semplice rito infantiledella “buonanotte” che tutti ricordiamocon nostalgica e gioiosa gratitudine puòdiventare così un gesto efficacissimo eprezioso di preghiera quotidiana.

La traduzione ufficiale dei due inni dicompieta mi sembra particolarmente feli-ce e riuscita. Probabilmente il fatto che laliturgia inviti ogni sera a pregare con l’u-no o con l’altro di questi testi ha stimola-to i traduttori a un impegno straordina-rio che ha prodotto i suoi frutti. Nondi-

meno alcune sfumature possono esserecolte solo alla lettura diretta dell’origina-le. Il Te lucis ante terminum si apre conl’invito alla preghiera “al termine dellaluce”, e non – come traduce la versioneufficiale – “al termine del giorno”. Non sitratta infatti della preghiera vespertina,ma dell’ultimo atto di preghiera primache venga spenta la luce della camera: intal modo, anche chi – come spesso accade– recita la compieta accanto al suo lettopuò pregare attribuendo allesue parole un senso letterale epreciso. È l’invocazione al DioCreatore, colui che «separò laluce dalle tenebre» (Gen 1,4),affinché si renda presente aquesto ultimo atto della gior-nata e venga ad abitare ancheil tempo del buio. «Nemmenole tenebre per te sono oscure,e la notte è chiara come il giorno; per tele tenebre sono come luce» dice il salmi-sta (Sal 139,12); e il credente invoca Coluiche è sempre misericordioso (solita cle-mentia) affinché “sia il primo ad offrireriparo” (così mi sembra da intendere l’e-spressione sis praesul ad custodiam) di-nanzi al buio imminente.

La strofa successiva, curiosamente po-sposta nella versione italiana, chiede cheil sonno sia abitato dalla presenza di Dio,e che mentre i cinque sensi corporei si ac-quietano, quelli spirituali si sveglino percogliere la sua impalpabile figura. Il cuo-re dell’uomo ha difficoltà a “sentire” Dio;ma qui si chiede proprio questo dono (tesentiant). Le mille distrazioni che ci ven-gono dai sensi del corpo – le “finestredell’anima” li chiamavano gli antichi filo-sofi – ora si assopiscono; è il momento incui Dio può farsi sentire al meglio nelprofondo dell’anima. «Il Signore ne daràai suoi amici nel sonno», è ancora il sal-mista a suggerirci (Sal 126,2); e forse il Si-

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gnore attende con ansia il riposo dei suoifigli per poter agire nel nostro cuore sen-za che noi opponiamo troppa resistenza,un po’ come il chirurgo ha bisogno dell’a-nestesia generale per fare gli interventipiù impegnativi. Il risveglio sarà allora lie-to e sereno, pronto a cantare la gloria diDio al primo sorger della luce.

La terza strofa chiede al Signore diconcedere la salute del corpo (vitam salu-brem) e di ravvivare il fervore interiore

(nostrum calorem). Il fulgore diColui che ha detto «io sono laluce del mondo» (Gv 8,12) im-pedisce al cristiano di vagarenelle tenebre, di cui il buioesteriore è metafora. Il breveinno si conclude in manierapiana con la consueta dossolo-gia trinitaria.

L’altro inno, che il breviariopropone come alternativa, si rivolge findall’inizio non al Creatore ma a Gesù, in-dirizzandogli una serie di epiteti elogiati-vi: egli è “splendore e giorno”, e con lasua radiosità “spoglia le tenebre”. Que-sta vittoria sul buio non può non far pen-sare alla veglia pasquale e alla triplice in-vocazione a Cristo “luce del mondo” (lu-men Christi); infatti subito dopo si ricordache la fede ci parla di lui come “lumen lu-cis”, espressione di difficile traduzione,che sembra far intendere che lui è la lucevera da cui la luce creata trae origine eogni splendore. Cristo è anche colui cheannuncia ai beati la luce e la gloria eter-ne; se lui non c’è, rimangono solo le te-nebre, il pianto e lo stridore di denti (cfrMt 25,30); ma dove c’è lui brilla la lucedella vita (Gv 8,12). A Gesù, dunque, si in-nalza la preghiera del credente, perché locustodisca nella notte che si fa fonda. Ilriposo vero si trova in Dio, lui solo puòdonare all’uomo ore di profonda quiete.Per indicare un sonno profondo si usa di-

re che una persona dorme “il sonno deigiusti”; ed è proprio vero che solo in pacecon Dio si riposa davvero.

La terza strofa ripropone la dialetticatra sonno e veglia: è un topos già usatonel Cantico dei Cantici («Io dormo, ma ilmio cuore veglia» dice la sposa in Ct 5,2),e che si fonda però sulla certezza di fedeche Lui, il Signore, veglia su di noi, e dun-que possiamo dormire sonni tranquilli:«non si addormenta e non sonnecchia ilCustode d’Israele» (cfr Sal 121,4). È dun-que, sì, un richiesta, affinché il cuore dichi sta per addormentarsi sia sempre vigi-le nell’amore; ma anche invocazione del-la protezione che viene dalla destra diDio per un sonno sicuro e disteso.

La penultima strofa invoca Cristo conil titolo di defensor: egli è il pastore cheprotegge il suo gregge dalle insidie deldiavolo, il quale «come leone ruggenteva in giro, cercando chi divorare» (1Pt5,8). Solo il Signore ha il potere di allon-tanare le fantasie oscure che possonosorgere dall’abisso del cuore umano. Ilcristiano, sapendosi redento a prezzo delsangue prezioso di Cristo, non ha né de-ve avere paura. Se è sbagliata la presun-zione di chi si ritiene perfetto e total-mente padrone dei propri pensieri, èsbagliata e segno di poca fede anche lapaura di chi si sente esageratamenteesposto alle tentazioni del male che al-berga in noi stessi: il Signore “governa” isuoi figli e se ne occupa con amore. «Sedovessi camminare in una valle oscura(anche il buio della notte, o il buio delmio cuore…), non temerei alcun male,perché tu sei con me» (Sal 22,4). «Nontemere, perché io ti ho riscattato, ti hochiamato per nome: tu mi appartieni (Is43,1), ci dice il Signore; e noi, guidati da-gli inni della compieta, siamo pronti a ri-spondere: in manus tuas, Domine, com-mendo spiritum meum.

Innodialiturgica

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È da diversi anni che trascorro,insieme con la mia famiglia, levacanze estive in una località

ai piedi del monte Subasio nelle vici-nanze di Assisi. È un luogo così per-meato di spiritualità e di pace da farrivivere ogni volta, in modo semprenuovo e arricchente, la propria di-mensione di creature pensate e volu-te da Dio per un intimo rapporto diunione e di armonia con tutto ilcreato, cantico di lode e di magnifi-cenza per le meraviglie del suo Amo-re. Lo spirito di gioia, di bellezza, di

stupore, di pace e semplicità, che hacaratterizzato fin dai suoi albori ilcammino francescano, lo si può assa-porare contemplando non solo l’in-canto della natura che circonda que-sta affascinante cittadina,ma anche la ricchezza del-l’arte, la sobria ed elegantebellezza delle architetturemedievali , dalle comuniabitazioni ai più celebri mo-numenti, sia civili, sia reli-giosi, e soprattutto i nume-rosi dipinti e cicli pittoriciche abbelliscono gli interni delle ba-siliche e delle chiese, con lo scopoprimario di evangelizzare il popolodi Dio che in esse si raccoglie in pre-ghiera, per vivere un incontro più in-timo con il Signore della Vita.

Il santuario di Santa Maria degliAngeli rappresenta una tappa im-portante a riguardo, in quanto si of-fre come luogo in cui si celebra inmodo particolare la misericordia diDio. Questa basilica infatti, sorta sulluogo dove ebbe inizio l’ordine fran-cescano e dove San Francesco morì,fu costruita con lo scopo di “proteg-gere“ la piccola e umile chiesettadella Porziuncola. Costruita nel IVsec. da quattro pellegrini venuti daGerusalemme, fu restaurata nel 1206da Francesco che ne fece il suo rifu-gio e, successivamente, “capo e ma-dre” del movimento nascente da lui

“ Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso “. Il perdono di Assisi di Roberta Boesso

La Porziuncola, Basilica di santa Maria degli Angeli, Assisi

Epifania dellabellezza

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fondato. Fu qui che alla fine del1216 il Santo, pregando il Signoreper la salvezza degli uomini e anima-to dal desiderio di mandare tutti inparadiso, ottenne da Dio la celebre“Indulgenza del perdono di Assisi”,concessa poi da papa Onorio III e, inquesto luogo, lucrabile da tutti i fe-deli quotidianamente per tutto l’an-no.

La bellissima e solenneicona che campeggia sullaparete retrostante il piccoloaltare, dipinta nel 1393 permano di Prete Ilario da Vi-terbo, si ispira proprio alracconto dell’indulgenza.Stare raccolti in preghieraall’interno della Porziunco-

la, che ancora conserva la primitiva

austerità francescana, contemplare imisteri divini raffigurati in modotanto sublime e ispirato, è davveroun’esperienza mistica che resta inde-lebile nel profondo del cuore e chefa vivere una certa nostalgia del pa-radiso.

Al centro della pala d’altare domi-na la scena dell’Annunciazione. Maria,avvolta nel suo manto, regge con lamano sinistra il libro della Scrittura,mentre l’arcangelo Gabriele inginoc-chiato davanti a lei le porge con la de-stra la benedizione in segno di salutoe le rivela il piano di Dio sulla suachiamata a diventare madre del suofiglio. In alto a sinistra è raffigurata lavisione di Dio Padre circondato da seiserafini (gli angeli che, secondo fonticanoniche e apocrife, stanno al co-spetto di Dio), che con la destra bene-dice Maria mentre con la sinistra reg-ge le tavole della legge, della qualequesto mistero è compimento e perfe-zione. Da questo gruppo si dipartono

La Porziuncola, internoBasilica di santa Maria degli Angeli, Assisi

Annunciazione (particolare)

Epifania dellabellezza

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fasci di raggi dorati che discendonosulla vergine, fra i quali si intravede lacolomba bianca, lo Spirito Santo chestenderà su di lei la sua ombra e chesempre accompagna, secondo la tradi-zione iconografica, l’annuncio dell’an-gelo. I tre gigli inseriti nel vaso accan-to a Maria sono simbolo della sua per-petua verginità: prima, durante e do-po il parto.

Al di sopra dell’Annunciazione èdipinta con grande solennità la visio-ne avuta da Francesco, immerso nellacontemplazione, di una grande luce digloria (simboleggiata da una mandor-la circolare stellata, a cui fanno da co-rona serafini alati) all’interno della

quale si riconoscono Cristo nelle vestidi re dell’universo e di dominatore delmondo (attributi a cui allude il globoterrestre che regge con la sinistra) e,alla sua destra, la vergine Maria inco-ronata. Essa con gesto determinato in-dica il figlio Gesù e ottiene per Fran-cesco la grazia del perdono, avendogliquesti chiesto, inginocchiato ai piedidell’altare con in mano una corona dirose bianche e rosse, di concedere aquanti, pentiti e confessati eche verranno a visitare que-sta chiesa, “un generosoperdono con una remissionecompleta di tutte le colpe”.In basso, a sinistra dell’An-nunciazione, è raffigurato

Visione di Cristo e Maria in gloria (particolare)

Epifania dellabellezza

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Francesco inginocchiato ai piedi diOnorio III per chiedergli l’approvazio-ne dell’indulgenza, suscitando meravi-glia tra i cardinali che fiancheggiano ilpapa. La tiara papale è costituita datre corone sovrapposte che simboleg-giano la Chiesa pellegrinante sulla ter-ra, bisognosa di purificazione in pur-gatorio e trionfante in paradiso.

Nella scena sottostante il santo,fiancheggiato dai sette ve-scovi dell’Umbria, annunciada un pulpito al popolo ra-dunatosi alla Porziuncola diaver ottenuto da Gesù lagrazia di una nuova indul-genza.

A destra dell’Annunciazione, in bas-so, San Francesco è tentato dal demo-nio mentre dimorava nel luogo dellaPorziuncola e, nella scena soprastante,vinta la tentazione, è accompagnatoda due angeli alla chiesetta, con in ma-no un mazzo di rose bianche e rosseraccolte dai rovi circostanti, miracolosa-mente trasformati in piante di rosesenza spine. Il colore rosso e biancodelle rose simboleggiano l’amore e lasapienza divina raggiunte a un gradodi perfezione nella vita del santo. Neisei quadretti della predella sono rap-presentare grazie straordinarie conces-se dalla vergine ad alcuni devoti dellaporziuncola, mentre la fascia decorati-va è abbellita con figure di santi legati

alla devozionedel tempo.

“Il Santo Fran-cesco amò questoluogo più di tuttigli altri luoghi delmondo. Qui, in-fatti, conobbe l’u-miltà degli inizi;qui progredì nellevirtù; qui rag-giunse felicemen-te la meta. Que-sto luogo, al mo-mento della mor-te, raccomandò aifrati come il luo-go più caro allaVergine”.

( L e g g e n d aMaggiore, FF1048)L’annuncio di un dono (particolare)

Epifania dellabellezza

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C i sono uomini e donne che nel-la vita hanno vissuto l’amoresenza risparmiarsi, hanno se-

guito Gesù fino alle conseguenze piùestreme, sono diventati amici del Pa-dre, santi del Signore. MassimilianoKolbe è uno di questi amici preziosiche possiamo incontrare in questotratto di strada; egli nasce l’8 gennaio1894 a Zdunska Wola, da Giulio Kolbee Marianna Dabrowoska. Al battesimoricevette il nome di Raimondo; i suoigenitori, operai in un’officina tessile,

a causa delle ristrette condizioni eco-nomiche si trasferirono a Pabianicepresso Lodz, dove nacquero gli altrifratelli, due dei quali morirono presto.I giovani Kolbe erano cattolici prati-canti, legati alle tradizioninazionali, educati dallamamma Maria con una disci-plina severa, ma in un climadi rispetto e di amore che siesprimeva in una devozioneprofonda verso la Madonna.A otto anni Raimondo fa laprima comunione e a noveanni riceve il Sacramento della Cresi-ma. Come tutti i genitori di ogni tem-po anche papà Giulio e mamma Mariaavevano progetti sui loro tre figli ma,come spesso accade, i disegni di Dionon sempre coincidono con i nostri…Per il piccolo Raimondo i voleri di Diosi manifestano ben presto: un giornonella Chiesa parrocchiale scorse la Ma-donna che teneva tra le mani due co-rone, una bianca e una rossa. Al gestodell’Apparizione che lo invitava a sce-gliere lui porse la mano per prendereambedue le corone, poiché era pron-to a una vita pura e di martirio. Dopoquesto fatto profetico, confermato inseguito, Raimondo incomincia a faremergere i lati positivi del suo carat-tere: mite, tranquillo, dolce e soprat-tutto obbediente, anche se dotato divivacità e intraprendenza. La madreracconta che nella vita del figlio si ve-rificò un enorme cambiamento tanto

I nostriamici

San Massimiliano Kolbedi suor Clara Caforio, ef

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da cominciare a maturare in lui la vo-cazione alla vita religiosa e al sacerdo-zio. Al termine dei suoi studi primariegli fu ammesso al seminario dei Padrifrancescani di Leopoli, dove ebbe mo-do di farsi notare per le abilità nellamatematica e nella fisica.

Raimondo aveva anche sangue disoldato, come era logico per ognibuon polacco, manifestando perciòuna spiccata tendenza per la vita mi-

litare. Da vero stratega fuin grado di elaborare un in-gegnoso piano militare perla difesa di Leopoli. Tra tut-te le sue qualità ciò chespiccava di più era la bontà:diligente e rigoroso nell’a-dempimento del propriodovere, di carattere equili-

brato, il giovane Kolbe era inoltreservizievole e cortese, raccolto e de-voto. Tutto questo ci fa comprendereche la grazia di Dio lavora sempre ecompie meraviglie nei cuori di quan-ti sono capaci di accoglierlo. C’èun’altra virtù che distinguerà Rai-mondo dagli altri compagni di semi-nario: l’amore e la devozione versola Madre di Dio. A lei si era consacra-to sin da bambino e per sua ispira-zione capiva che avrebbe dovutocompiere qualcosa di importante perlei. Intanto il 4 settembre del 1910 ri-ceve la tonaca prendendo il nome diMassimiliano e trascorso l’anno dinoviziato, nel 1911, durante la Messasolenne, il giovane frate emette laprofessione religiosa semplice e tem-poranea. I Padri superiori, constatatele capacità eccezionali e la condottaesemplare del giovane chierico, lomandano insieme con altri studenti a

Roma dove inizia gli studi di filosofiaall’Università Gregoriana e quelli diteologia nella Pontificia facoltà teo-logica di San Bonaventura, annessaal Collegio Serafico, conseguendo inambedue il dottorato. Qui il nostrogiovane condusse una vita profonda-mente spirituale, ricca di amore perla Santissima Madre Immacolata, allacui festa si preparava sempre conuna novena, come faceva fin dabambino. Tra le numerose virtù diMassimiliano emergeva anche unaprofonda cattolicità che lo rendevaprossimo a tutti; egli amò l’Eucaristiae il Papa con ardore e tenerezza. An-cora chierico, ai confratelli già sacer-doti domandava di ricordarsi di luinella Messa e di chiedere a Gesù checoncedesse a lui la gloria del marti-rio. Intanto a Roma nel 1917 la mas-soneria mondiale festeggiava il bi-centenario dell’istituzione; nel cen-tro della città si svolsero festeggia-menti, lungo le strade sventolavanobandiere nere su cui si scorgeva l’im-magine di Lucifero che calpesta sanMichele Arcangelo. Tutto questo nonsembra sconvolgere Massimiliano,tutt’altro: ha per loro sentimenti dicompassione e nutre la speranza diricondurre sulla strada di Cristo chipercorreva quella del male.

P. Kolbe aveva ben compreso chele vere armi del cristiano sono la pre-ghiera e la testimonianza della pro-pria fede. Ieri come oggi ciascuno dinoi è chiamato a rivestirsi di miseri-cordia, a farsi promotore di pace, adiventare ciò che il termine cattoliconel suo significato vuole effettiva-mente dire: uomo universale, perso-na che si pone in dialogo e in ascolto

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di tutti senza discriminazione alcuna.Massimiliano era appunto su questalinea!

La Milizia dell’Immacolata

Durante il soggiorno romano delnostro giovane frate si scatena e siconclude tragicamente la prima guer-ra mondiale: un’inutile strage, comela definisce Benedetto XV. Dinanzi atale tragedia la fede di Massimilianonon viene meno: egli non solo non siscoraggia ma vuole passare al contrat-tacco, preso com’è dal desiderio di da-re gloria a Dio, e così insieme ad alcu-ni compagni di studio, fonda una nuo-va associazione sotto il nome di Mili-tia Immaculatae il cui scopo principaleera quello di assoggettare il mondointero e tutte le anime al Cuore di Ge-sù attraverso l’Immacolata. Tale azio-ne si svolgerà in seguito in tutto ilmondo attirando milioni di aderenti.

Il 28 aprile 1918 a Roma frate Kol-be viene ordinato sacerdote nellaChiesa di Sant’Andrea della Valle, ce-lebrando la sua prima Messa nellachiesa di Sant’Andrea delle Fratte, al-l’altare dove l’Immacolata era apparsaad Alfonso Ratisbonne nel 1842. L’or-dinazione sacerdotale determina nelgiovane la convinzione di dedicarsipiù di prima al servizio di Dio per lacostruzione del suo Regno.

Ultimati gli studi ritorna in patriarecando con sé il giudizio del suo ret-tore, padre Stefano Ignudi, che nel-l’elenco degli alunni, dopo aver se-gnato accanto al suo nome le tappesignificative, ne evidenzia la santitàsottolineando particolarmente la do-cilità e la sapienza. Dio, si diceva, la-

vora le anime in profondità arric-chendole di doni. Nel giovane sacer-dote cultura e santità erano benamalgamate, non si ostacolavano,anzi erano strumenti di apostolato inuna società minacciata, come oggi,da ateismo ed eresie. Ritornato nelsuo paese e confortato dalla benedi-zione del Papa, si mette a lavorarealacremente per la diffusione dellaMilizia dell’Immacolata e un po’ allavolta fonda “eserciti di que-sti Cavalieri in abito religio-so”, il cui scopo era quellodi mettere il mondo interosotto la protezione e il do-minio dell’Immacolata. Lozelo e l ’ardore di PadreMassimiliano non si arresta-no dinanzi ad alcuna diffi-coltà; nel 1929 inaugura il seminarionel quale i giovani potevano prepa-rarsi e diventare futuri missionari.Missione che lui stesso compie conquattro fratelli in Estremo Oriente. ANagasaki, in Giappone, la sua ferven-te opera apostolica è instancabile,pubblica il primo numero della suaRivista Il Cavaliere dell’Immacolata epiù tardi apre un convento che portail nome di Giardino dell’Immacolata.Lo zelo di p. Massimiliano non si fer-ma nemmeno quando lascia il Giap-pone per assumere l’incarico di supe-riore del nuovo convento di Niepoka-lanow che grazie al suo intenso lavo-ro si riempie di numerose vocazioni.Leggendo la sua vita emergono moltiaspetti interessanti, tra i quali senzadubbio ci sono la preghiera e la sof-ferenza, considerati come i mezzi piùpotenti per convertire il mondo. Loscoppio della seconda guerra mon-

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diale gli offrono la possibilità di con-cretizzare il suo apostolato priorita-rio.

L’ultima tappa

L’ultima tappa della vita di Massi-miliano fu completamente penetratadalla sofferenza; egli presto divennevittima della campagna di distruzionecondotta dal nemico contro la classe

intellettuale polacca. Quasiprevedendo quello che sa-rebbe accaduto, all’inizio del1941 scrive ai fratelli dicen-do: “Figli cari, io non soprav-viverò a questa guerra”.Lostesso disse a don GiovanniKraweczynski: “Lei Padre,sopravviverà a questa guer-

ra, ma non io certamente”. Difatti il17 febbraio 1941 viene arrestato econdotto in seguito nel campo di ster-minio di Auschwitz diventando il nu-mero 16670; il suo nuovo nome loportava, come tanti altri fratelli, suuna divisa a strisce verticali grigie eazzurrastre… Anche in questo orribileluogo di tortura e di morte la sua fe-de si mantenne salda e, malgrado laproibizione di qualunque pratica reli-giosa, egli confessava, dava consiglispirituali, incoraggiava alla perseve-ranza. Diceva ai suoi compagni di pri-gionia: “Abbiate fiducia nell’Immaco-lata, Ella vi darà il coraggio di perse-verare”. Alcuni giorni prima del suoingresso nel temibile ‘bunker della fa-me’, p. Massimiliano volle tenere unaconferenza sulla Madonna parlandodel rapporto tra l’Immacolata e laSantissima Trinità, sottolineando:“L’essenza della Concezione di Maria

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Vergine si manifesta soltanto alla lucedel mistero della vita di Dio… Attra-verso lo Spirito Santo l’amore torna alPadre ed Ella, l’Immacolata, unita nel-l’amore alla SS. Trinità - quale figliadel Padre, Madre del Figlio, Sposa del-lo Spirito Santo - diviene, fin dal pri-mo momento della sua esistenza, ilcompletamento della Santissima Tri-nità…Tutta la nostra vita dunque,ogni nostro pensiero, ogni nostraazione è nelle mani di lei. Ella sola de-ve a ciascuno di noi e in ogni momen-to insegnare, accompagnarci e trasfor-marci, affinché non viviamo in noistessi, ma lei in noi, così come Gesù vi-ve in lei e il Padre nel Figlio…” I pri-gionieri, affascinati dalla parola di p.Kolbe, dimenticarono almeno per po-co la terribile realtà del luogo. Eranorassicurati dai suoi discorsi di eternità,attratti dalla bellezza della vita che èpiù forte della morte, confortati dal-l’intercessione della Madre di Dio chenessuno abbandona.

L’anno 1941 fu particolarmente du-ro per chi si trovava nei campi di ster-minio: per la fuga di un solo prigio-niero ne condannavano dieci. Accad-de che dal blocco 14, dove si trovavaMassimiliano ne fuggì uno; il coman-dante mise in atto la punizione. Im-provvisamente tra i condannati ri-suonò il grido disperato di un padre difamiglia, subito P. Kolbe si ferma da-vanti al militare dicendo: “Voglio esse-re messo a morte in luogo di uno deicondannati”. “Perché?” - domandastupito il militare – “Sono solo al mon-do e quest’uomo ha moglie e figli”.Qui si concretizza il Vangelo in tuttala sua pienezza: “Non c’è amore più

grande di quello di dare la propria vi-ta per i propri amici” (Gv 15,13). Amo-re per Gesù Cristo che diventa offertadi se stessi, donazione incondizionataa un progetto divino. La sequela di p.Massimiliano è stata consegnata all’a-more infinito del Padre, accoglienzadella Croce vissuta come strumento diredenzione. Il suo amore per il prossi-mo si spinge fino al martirio di carità.Francesco Gajowniczek venne cancel-lato dalla lista e il sacerdoteprese il suo posto; mentreavanzava verso la morte simise a recitare la sua pre-ghiera preferita: “Permetti-mi, Vergine Santissima, di lo-darti, permetti che io per te,e solo per te io viva, lavori,soffra, mi consumi e muoia.Permetti che io contribuisca semprepiù ad una più grande tua elevazione.Permetti che gli altri nell’impegno perla tua esaltazione mi sorpassino, cosic-ché nella nobile gara la tua gloria cre-sca sempre più velocemente, semprepiù potente, come lo desidera Coluiche straordinariamente ti innalzò al disopra di tutte le creature. In te unica-mente Iddio fu adorato più di ogni al-tro santo, per te egli creò il mondo,per te mi chiamò all’esistenza. Da do-ve mi è giunta questa fortuna? Oh! Tiprego, vergine Santissima, permettiche io ti lodi!”. Il suo corpo vennebruciato il giorno dell’Assunzione, il15 agosto del 1941 e le sue ceneri fu-rono sparse per i campi. Giovanni Pao-lo II in occasione della visita ad Au-schwitz ebbe a sottolineare: “In que-sto luogo che fu costruito per la nega-zione della fede, della fede in Dio edella fede nell’uomo e per calpestare

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radicalmente non soltanto l’amore matutti i segni della dignità umana, del-l’umanità, p. Kolbe ha riportato la vit-toria mediante la fede e l’amore”.

Il 10 ottobre 1982 lo proclama san-to e martire della carità, nell’omeliavolle sottolineare: “Massimiliano nonmorì ma diede la vita per il fratello…In questa sua morte umana c’era latrasparente testimonianza data a Cri-

sto: la testimonianza data inCristo alla dignità dell’uomo,alla santità della sua vita ealla forza salvifica della mor-te nella quale si manifesta lapotenza dell’amore. Proprioper questo la morte di Massi-miliano Kolbe divenne un se-gno di vittoria. È stata que-

sta la vittoria riportata su tutto il siste-ma del disprezzo e dell’odio versol’uomo e verso ciò che è divino nel-l’uomo, vittoria simile a quella che hariportato il nostro Signore Gesù Cristosul Calvario: “Voi siete miei amici, sefarete ciò che vi comando”(Gv 15,14)

Di fronte all’eloquenza della vita edella morte del beato Massimiliano,non si può non riconoscere ciò che pa-re costituisca il principale ed essenzia-le contenuto del segno dato da Dio al-la Chiesa e al mondo con la sua morte.Non costituisce questa morte affron-tata spontaneamente, per amore del-l’uomo, un particolare compimentodelle parole di Cristo? Non possiedeproprio una tale morte una particola-re, penetrante eloquenza per la no-stra epoca? Non costituisce essa unatestimonianza particolarmente auten-tica della Chiesa nel mondo contem-

poraneo?” Il Papa lo ha chiamato “pa-trono del nostro difficile secolo”, lasua figura si pone come segno di spe-ranza per tanti fratelli provati, comeben sottolinea la colletta nel giornodella sua memoria: “O Dio che hai da-to alla Chiesa e al mondo san Massimi-liano Kolbe, sacerdote e martire ar-dente di amore per la Vergine Imma-colata, interamente dedito alla missio-ne apostolica e al servizio eroico delprossimo, per sua intercessione conce-di a noi, a gloria del tuo nome, di im-pegnarci senza riserve al bene dell’u-manità per imitare in vita e in morte ilCristo tuo Figlio”.

La vita di san Massimiliano costitui-sce per ogni cristiano un’autenticaprovocazione: vivere con intensità eprofondità la vita secondo la logicadel Vangelo. Il suo amore per l’Eucari-stia è una sollecitazione a riscoprireGesù che si è fatto pane spezzato pertutti; la devozione verso l’Immacolataè un’ulteriore spinta a diventare uo-mini e donne dal cuore trasparente. Ciaccompagni padre Kolbe in questotragitto, la cui memoria celebriamo il14 agosto.

Bibliografia:

G.LENTINI, Massimiliano Maria Kolbe,Eroe Polacco- Santo Cristiano, ed.Carroccio.

P. L. FACCENDA, Ho visto Padre Kolbe,IV Ed., Ed.Immacolata, 1982.

A. RICCIARDI, Beato Massimiliano Ma-ria Kolbe, ed Agiografiche, 1971.

J. MLODOZENIEC, Ho conosciuto ilbeato Massimiliano Kolbe, Lauren-ziana- Napoli 1976.

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T utta la liturgia è andata sogget-ta a un divenire lungo il corsodella storia. Nell’imponente edi-

ficio della liturgia della Chiesa esiste«una parte immutabile, perché di isti-tuzione divina», ma esistono anche«parti suscettibili di cambiamento, chenel corso del tempo possono o anchedevono variare ». (SC 21).

La liturgia è solo una emanazionedell’amore di Dio per gli uomini e puòessere esercitata realmente solo da chiè mosso dall’amore verso Dio. La rea-lizzazione (ri-presentazione) del mi-stero salvifico della pasqua di Cristo, èil compito vero e proprio della litur-gia, in adorazione e glorificazione delDio vivo e a salvezza degli uomini. Af-finché ciò fosse reso possibile, gli apo-stoli hanno predicato e hanno aduna-to i fedeli a compiere azioni cultuali.Il fondamento e gli spunti di tali azio-ni vanno ricercati nella vita di Gesù.Nella libertà dello Spirito Santo, nel-l’abbandono progressivo delle usanzesinagogali, nell’interpretazione che ri-ferisce le immagini del tempo passato(dell’A.T.) alla nuova realtà presentein Cristo si è delineata in poche formela liturgia del nuovo popolo di Dio.1

Dalla compenetrazione reciproca edall’unione dei vari elementi riscon-trati negli scritti del N.T. e nel suo am-biente sono sbocciate, nel corso del IIsec., le prime forme di liturgia cristia-na in cui l’elemento centrale e con-suetudine ben salda è il radunarsi

della comunità nel «giorno del Si-gnore» (Ap 1,10) per celebrare la me-moria del Signore, l’ «eucaristia», cri-stiana (Didaché, cap. 9 e 10).

La primitiva comunità apostolica diGerusalemme costituisce il punto dipartenza. Le grandi famiglie liturgichesono frutto dell’eredità apostolica ma-teriata e strutturata concretamentecon grande libertà e, quindi, sinonimodi pluralismo. Ferme restando le po-che linee fondamentali, si trovano neltempo non una forma unica e obbli-gatoria per tutti ma una varietà so-prattutto per la diversità delle linguee costumi.

L’Oriente è rimasto molto diversifi-cato con una predominanza della li-turgia bizantina, adottata da tutte leChiese della Comunione Ortodossache professa la confessione di fede co-me l’ha formulata il Concilio di Calce-donia completata dal II e III Concilio diCostantinopoli. Nell’Oriente cristianola diversità delle lingue è sempre statariconosciuta come legittima.

La formazione di famiglie liturgi-che concrete (Roma – Milano – Carta-gine) si accompagna al sorgere di unaspecifica latinità cristiana. Le strutturee il contenuto della liturgia romana,dal IV all’VIII secolo, hanno esercitatoun influsso fortissimo su tutte le litur-gie dell’Occidente (latino) e nellaChiesa universale (America, Asia, Afri-ca). Sant’Ambrogio, geloso dell’auto-nomia del rito ambrosiano della sua

La liturgia un’azione vivaper uomini vivi di Pina Garritano

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Chiesa di Milano, riconosce l’impor-tanza straordinaria e irraggiante del-la liturgia romana.2 La Chiesa romanaha formato il proprio culto nellasplendida maniera a lei caratteristica,fino a dargli una forma straordinaria-mente ricca e preziosa sotto l’aspettobiblico e teologico. Dal 1614 al 1903 sihanno tre secoli di stabilità liturgica.Nel 1903 ha inizio la riforma liturgicadi san Pio X che ha dato i natali al Mo-vimento liturgico, le cui fatiche ven-gono premiate dal papa GiovanniXXIII nel Concilio Vaticano II (1962).

Il primo documento del Concilio èla Costituzione (Sacrosanctum Conci-lium) sulla Liturgia. In merito alla deci-sione dell’uso della lingua moderna sisono avuti lunghi e appassionati di-battiti ma le decisioni del Concilio egli ulteriori ampliamenti della linguamoderna nella liturgia sono conse-guenti alla presa di coscienza dellereali situazioni geografiche e culturalidei popoli della terra e delle necessitàpastorali e dell’evangelizzazione deiPaesi d’Africa e d’Asia. Il complessodei documenti del Concilio Vaticano IIche ha aperto una pagina nuova nellastoria della liturgia romana, ha modi-ficato il Diritto in vigore. Le relativedisposizioni sono state ratificate nelCodice di Diritto Canonico del 1983.

I nuovi libri liturgici propongonouna nuova fisionomia della celebra-zione: essi iniziano sempre con Istitu-tiones o Praenotanda, ben diversi dal-le rubriche di un tempo, poiché ab-bracciano insieme gli orientamentidottrinali e spirituali, l’aspetto pasto-rale e le possibilità di adattamento deiriti, le diverse espressioni che la Chiesaha dato alla sua preghiera secondo le

circostanze storiche e geografiche.Partecipando alla celebrazione liturgi-ca, mediante la fede di cui siamo ca-paci, possiamo entrare con intelligen-za nei misteri della Chiesa in preghie-ra, che è presenza ed azione di Cristo.

La parola di Dio resta viva nellachiesa ed è nella liturgia chequesta vita conosce la sua più altamanifestazione

La Liturgia è una delle attività es-senziali della Chiesa; ora la Chiesa«questa società costituita di organigerarchici e il Corpo mistico di Cristo,l’assemblea visibile e la comunità spiri-tuale, la Chiesa della terra e la Chiesaormai in possesso dei beni celesti, nonsi devono considerare come due realtàma formano una sola complessa realtàrisultante di un elemento umano e diun elemento divino» (LumenGentium, 8; SC 2). L’Ateneo Anselmia-no, seguendo la tradizione benedetti-na e il Movimento liturgico sviluppa-tosi nei monasteri dell’Ordine, ha dasempre prestato particolare attenzio-ne alla liturgia nell’insegnamento teo-logico. Alcuni docenti della Facoltà diTeologia (C. Vagaggini, S. Marsili, A.Nocent) ebbero l’idea di creare un Isti-tuto che si dedicasse anche all’inse-gnamento scientifico della liturgia.Questa idea ha avuto il fondamentaleappoggio dell’Abate Primate BennoGut e del Rettore Augustin Mayer.Accolta con grande favore dalla Con-gregazione dei Seminari e delle Uni-versità, l’Istituto, decorato del titolo«Pontificio», inizia il primo anno acca-demico nell’ottobre 1961. La serietàdell’impegno didattico ed editoriale, i

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frutti di un servizio fedele e costanteverso tutte le chiese, hanno fatto sìche il Pontificio Istituto Liturgico, dal23 agosto 1978, divenisse Facoltà diSacra Liturgia, conservando il titolo diPontificio Istituto Liturgico (PIL). Leattività del P.I.L. sono incentrate an-che nel “Corso di liturgia per la pa-storale” per formare operatori litur-gici e fedeli «informati». Questa è unacollaborazione valida svolta d’intesacon la Diocesi di Roma, tramite l’Uffi-cio Liturgico del Vicariato.

Il primo giugno 1986, Papa Gio-vanni Paolo II si è recato sull’Aventi-no, presso il complesso del PontificioAteneo S. Anselmo, (le cui origini ri-salgono al XVII secolo) per celebrareil XXV di fondazione del PontificioIstituto Liturgico. Ricevuto il salutodell’Abate Primate della Confedera-zione Benedettina, Padre VictorDammertz che illustra le attivitàdell’Ateneo per la «formazione ac-cademica che avviene in un ambientemonastico» e per la «Sacra Liturgia»,materia insegnata nel P.I.L. da 25 an-ni, e che «è sempre stata una realtàvissuta, un mistero celebrato nel rit-mo che scandisce la giornata dellacomunità anselmiana», Giovanni Pao-lo II dichiara di essere: «venuto vo-lentieri su questo colle dell’Aventinoche è a Roma la sede del primo cen-tro monastico benedettino […] e perla ricorrenza particolarmente signifi-cativa nella vita dell’Ateneo. Intendoalludere al XXV anniversario dellacreazione in esso, per iniziativa di pa-pa Giovanni XXIII, dell’Istituto Litur-gico, a cui quel mio Predecessore divenerata memoria concesse di quali-ficarsi «pontificio», a testimonianza

sia della fiducia che intendeva accor-dargli sia delle attese che su di essoriponeva per una specifica collabora-zione in costante sintonia con le indi-cazioni e con i programmi della San-ta Sede. Come sapete bene, lo scopoprincipale del vostro Istituto, natopoco prima del Concilio Vaticano II econsolidatosi durante la sua celebra-zione, è quello di essere centro distudi e di ricerca per dare una basescientifica alla riforma liturgica conci-liare. Fine di primaria importanza. Ilrinnovamento della liturgia infatti haimpresso una nota caratteristica allavita della Chiesa stessa, anzi a tutto ilmodo di sentire e di agire religiosodel nostro tempo (SC 43). Il rinnova-mento liturgico ha avuto come con-seguenza che la celebrazione del cul-to divino si è aperta maggiormenteal valore di una partecipazione piùintelligente ed attiva da parte di tut-to il Popolo di Dio. Ciò ha portato aduna successiva esigenza, quella dimeglio precisare nelle celebrazioni li-turgiche il ruolo dei ministri e dei fe-deli, affinché nell’adempimento delproprio ufficio, ciascuno svolga tuttoe soltanto ciò che è di sua competen-za, così che dallo stesso ordinamentodella celebrazione si renda manifestala Chiesa costituita nei suoi diversi or-dini e ministeri (IGMR, 58). Si è avver-tito inoltre il bisogno di dare unamaggiore bellezza ai riti anche nelloro svolgimento cerimoniale. Le ceri-monie, se svolte con la dovuta intelli-genza e partecipazione interiore, so-no la via, come l’esperienza insegna,per manifestare la ricchezza dei divi-ni misteri e comunicarla con maggiorfrutto agli animi ben disposti. Il pre-

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cetto ricevuto dal vostro fondatore è«Nihil operi Dei praeponatur », (nullasi deve preferire al culto di Dio; Re-gola di san Benedetto, 43,3). Il dove-re del culto di Dio resta primariamen-te impegnativo per voi, figli di sanBenedetto, che dalla sua generosa efedele attuazione potrete trovareslancio per la vita delle vostre comu-nità monastiche e per il loro irradia-mento sulla comunità cristiana. Nel-l’ambito delle vostre attività statuta-rie non posso qui che ribadire l’utilitàe l’importanza del servizio teso a pre-parare esperti nella teologia e nellapastorale liturgiche, in grado di svol-gere un’opera di sussidio e consulen-za a favore delle Diocesi ed in generedi tutte le comunità cristiane, nonchéinsegnanti qualificati nella formazio-ne liturgica del clero, dei Religiosi,delle Religiose, ed in genere di tutti icristiani desiderosi di maturare nel-l’approfondimento della vita liturgi-ca, “fonte e culmine” di tutta la vitadella Chiesa. Un compito che, a talproposito, richiede una ulteriore ri-cerca e studio, è quello che si potreb-be definire l’ “inculturazione” dellaLiturgia, vale a dire la prudente at-tuazione che le Conferenze Episcopa-li Nazionali, in comunione con la San-ta Sede, possono fare dei modi e del-le forme più opportuni di esprimereil culto cattolico, sostanzialmenteunico sempre e dappertutto, in ac-cordo con quanto di valido può esse-re assunto presso le tradizioni religio-se dei vari popoli e culture. Maestri emodelli di questo metodo pastoralesono stati i santi Cirillo e Metodio,dei quali ho parlato nella recente En-ciclica “Slavorum Apostoli”. Anche lo

scambio ecumenico può essere utilead arricchire il patrimonio liturgico.A tal riguardo, vorrei limitarmi sol-tanto a ricordarvi l’importanza di uncontatto vitale e fecondo, pur nelmantenimento della propria identità,tra la tradizione liturgica europea oc-cidentale, che sottolinea maggior-mente l’aspetto comunitario e di par-tecipazione del culto, e quella orien-tale, più sensibile agli aspetti misticie sacrali. Confido che questo IstitutoLiturgico continui nel suo servizio al-la Chiesa con sempre maggiore vita-lità, traendo nuovo slancio dalla cele-brazione del XXV di fondazione, nel-la piena fedeltà alla tradizione litur-gica e allo spirito autentico dellariforma operata dal Concilio VaticanoII ».

La pastorale liturgica fecondaper la vita della chiesa

Il carattere pastorale della legisla-zione liturgica persegue lo scopo diuna formazione allo spirito liturgicodi ogni cristiano. Il P.I.L., fedele allaclausola (voluta dalla Congregazioneper l’Educazione Cattolica nel Decretodi fondazione) di aprire dei Corsi libe-ri di Liturgia per la Città; volendo ri-spondere anche al desiderio espressodal Card. Ugo Poletti (nel Convegnodiocesano del 1974) di concretizzare ilprogetto per un maggiore inserimen-to nella pastorale liturgica della Chie-sa locale e per un servizio « specializ-zato » alla Diocesi di Roma, tramite ilPreside – P. Burcardo Neunheuser, osb,il 29 dic 1974 (Prot. Gen. 11/75) annun-ciava l’inaugurazione del Corso di li-turgia per “Giovedì, 16 Gennaio 1975”.

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L’attuale programma ciclico è così arti-colato:

PRIMO ANNOLITURGIA E TEMPO* L’Anno liturgico* Il Calendario liturgico* La Liturgia delle Ore

SECONDO ANNOSACRAMENTI E SACRAMENTALI* La Riconciliazione* L’Unzione degli infermi* Il sacramento dell’Ordine* I ministeri istituiti* Il Matrimonio* La verginità consacrata* Luogo e spazio sacro nella Bibbia* La dedicazione della chiesa e del-

l’altare* Lo spazio liturgico: architettura e

iconografia* Il Benedizionale* Il rituale dell’esorcismo* I riti dei funerali* La religiosità popolare

TERZO ANNOL’INIZIAZIONE CRISTIANA(Battesimo – Cresima – Eucaristia)* Il catecumenato* Liturgia ed ecumenismo* Catechesi e liturgia* Pastorale liturgica* Canto e musica nella liturgia* Arte sacra e suppellettili

Tutta la vita della chiesa derivadalla liturgia

Tutta la liturgia è pastorale di suanatura. In essa esiste come un doppio

movimento: quello che porta agli uo-mini i doni e la vita di Dio, e quelloche riporta a Dio l’amore e la lodedell’umanità salvata. Questo doppiomovimento è messo bene in evidenzanella SC 7: «Giustamente perciò la li-turgia è ritenuta come l’esercizio delsacerdozio di Cristo; in essa: - per mez-zo di segni sensibili, viene significatae, in modo ad essi proprio, realizzatala santificazione dell’uomo; - e vieneesercitato dal Corpo mistico di GesùCristo, cioè dal Capo e dalle sue mem-bra, il culto pubblico integrale».

«Compito delle chiese locali è aiu-tare i fedeli a conoscere la liturgia chesi celebra a lode della gloria di Dio,per la salvezza di quanti credono, intestimonianza e nella speranza del ri-torno del Signore. Così la vita cristianasarà plasmata dalla liturgia “mediantela quale, specialmente nel divino sacri-ficio dell’eucaristia, ‘opus nostrae sa-lutis exercetur’, i fedeli esprimano nel-la loro vita e manifestino agli altri ilmistero di Cristo” (SC 2). Lo ha ricor-dato il Preside del P.I.L., P. Juan JavierFlores Arcas, osb, nel saluto agli alun-ni dell’anno 2004-2005, prima del ciclodegli esami, ringraziandoli “per la vo-lontà ‘triennale’ di approfondire lostudio di iniziazione liturgica per lapastorale, capace di produrre unprofondo cambiamento di mentalità,perché l’insieme dell’agire rituale del-la Chiesa esige una più accurata inizia-zione e delle modalità celebrative piùautentiche, capaci di favorire la com-prensione personale e comunitariache metta in rilievo il mistero di Cristoe la storia della salvezza, in modo cherisulti chiara la loro connessione conla liturgia (SC 6). Con la molteplicità di

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ministeri che voi – adeguatamentepreparati e consapevoli – offrirete nel-le celebrazioni, si potrà esprimere effi-cacemente l’unità di fede e di caritàche deve caratterizzare la comunitàecclesiale. Il servizio liturgico è una te-stimonianza che va continuata e con-fermata nella vita di ogni giorno per-ché appaia con evidenza che liturgia evita cristiana sono tra loro intimamen-te connesse; al ministero liturgico do-vrebbe corrispondere un adeguatoimpegno nelle diverse attività dellacomunità ecclesiale e umana (SC 9). Lapastorale liturgica è un sapiente tena-ce paziente lavoro perché si verifichi-no le condizioni che consentano allecelebrazioni di liberare tutta la lorocapacità pneumatica e cristiforme distrutturare le comunità ecclesiali comeconcretizzazioni storiche del popolomessianico. Attinge alle riflessioni teo-logiche ma le traduce in iniziative pa-storali valutando i momenti propizi epazientando per gli eventuali ‘insuc-cessi’. Si vive in un mondo secolarizza-to, siamo in una chiesa missionaria,l’assemblea liturgica ritrova un nuovosignificato in nome della fede e il cri-stiano si accorge ogni giorno di piùche il Signore, è Colui che egli deveancora cercare, sforzarsi di raggiunge-re perché il Signore è fedele sempre».

Reimparare a conoscere la li-turgia

Il Card. Joseph Ratzinger, oggi papaBenedetto XVI, in un libro pubblicatonel 1967, dal titolo: Problemi e risultatidel Concilio Vaticano II – Giornale diteologia, ha scritto che « Il problemadella liturgia, appare forse la questio-

ne meno importante a chi sta fuori edè un po’ tentato di vedervi una speciedi estetismo, un gioco di specialisti e distorici che vogliono creare un campoconveniente alle loro scoperte. Ma laliturgia è questione di vita o di morteper la Chiesa, che, se non riesce più aportarvi i fedeli ed in modo che sianoessi stessi a compierla, ha fallito il suocompito ed ha perso il suo diritto diesistere. (pag. 24). (…) la riforma li-turgica, iniziata dal Concilio, in base aisuoi nessi storici, la si deve ritenere co-me un fatto fondamentale(…) Nellesperanze e nelle questioni della rifor-ma della Chiesa in genere: si riuscirà amettere nuovamente l’uomo modernoin rapporto con la Chiesa e, attraversoad essa, nuovamente in rapporto conDio? Si riuscirà ad eliminare il centrali-smo senza perdere l’unità? Si riuscirà,in base alla liturgia, a giungere ad unanuova comprensione reciproca dei cri-stiani? Queste tre domande sono tresperanze che si collegano alla riformaliturgica e nello stesso tempo corri-spondono alle più essenziali intenzionifondamentali del Concilio Vaticano II »(pag. 29).

Nel libro-intervista “Dio e il mon-do” (EdP 2001) l’allora cardinale Jo-seph Ratzinger nel colloquio con ilgiornalista Peter Seewald si « esprimein tono fiducioso e libero » sui granditemi proposti.

Nella parte III del volume, « LaChiesa, I sacramenti », si leggono cin-que pagine (376-384) dedicate alla Li-turgia. « La liturgia non è il mero con-vergere di un gruppo che si costruisceuna festa a proprio uso e consumo eaddirittura, magari, si autocelebra.Partecipando invece all’incontro di

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Cristo con il Padre, entriamo in comu-nione con la Chiesa universale, ma sia-mo anche immessi nella « CommunioSanctorum », nella comunione deiSanti. Sì, in un certo senso, è la litur-gia dei cieli. La sua grandezza sta dav-vero nel lacerare la cortina dei cieli enel consentirci di unire la nostra voceal coro che vi canta l’adorazione delSignore. Questo è anche il motivo percui il prefazio si conclude con questeparole: Cantiamo con i cori di cherubi-ni e serafini. E noi sappiamo di non es-sere soli, di fondere le nostre voci conaltre voci così che il confine tra cielo eterra non esista più […] c’è bisognocome minimo di una nuova consape-volezza liturgica che sottragga spazioalla tendenza a operare sulla liturgiacome se fosse un oggetto della nostraabilità manipolatoria […]. La cosa piùimportante oggi è riacquistare il ri-spetto della liturgia e la consapevolez-za della sua non manipolabilità. Reim-parare a conoscerla nel suo essere unacreatura vivente che cresce e che ci èstata donata, per il cui tramite noi

prendiamo parte alla liturgia celeste.Rinunciare a cercare in essa la propriaautorealizzazione, per vedervi inveceun dono. Questa, credo è la prima co-sa: sconfiggere la tentazione di un fa-re dispotico, che concepisce la liturgiacome oggetto di proprietà dell’uomo,e risvegliare il senso interiore del sa-cro. Il secondo passo consisterà nel va-lutare dove sono stati apportati taglitroppo drastici per ripristinare in mo-do chiaro e organico le connessionicon la storia passata… tutto ciò deveessere preceduto da un processo edu-cativo che argini la tendenza a morti-ficare la liturgia con invenzioni perso-nali. […] Dovremo sostanzialmente re-cuperare le forme che sono il fruttodel dono di Dio e penetrarle interior-mente ».

Bibliografia

C. Vagaggini: Il senso liturgico dellaLiturgia.

M. Righetti: Storia liturgica.Dizionario di Liturgia (EdP).

————————

1 Lc 2,21; Lc 3,21; Mt 3,13 ss; Mc 1,9 ss; Mc1,21 ; Mt 4,23; Lc 4,14 ss; Lc 4,17-21; Lc6,12; Lc 11, 1-4; Mc 12,29; Mc 6,41; 8,7;14,22-23; Mt 11,15; Mc 2,18-28 ; Mt 5,23; 6,5 ss; Lc 18, 13; 4,23; Mc 28, 19 s; Lc22,19; Atti 2, 38-46 s, Atti 3,1; Atti 8, 15-

17; Atti 16,25; Atti 19, 5-6; Atti 20, 7-11; 1Cor 10,16-17; 20-26; Gv 6; Ap 1,10; Ef 5,18-20; Col 3, 16-17; Gc 5,14-15; Gal 3,24; 1Cor 5-7; 10-11; Gal 3,8-11; Col 2,16s.

2 De Sacramentis, III; ed. Botte.

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2005

13 ottobreIntroduzione al Corso

20 ottobreIl Battesimo nella Bibbia

27 ottobreCatecumenato e iniziazione cristia-na nei primi secoli

3 novembreCatecumenato e iniziazione cristia-na dal sec. VI al Vaticano II

10 novembreIniziazione cristiana degli adulti: ilRito del Vaticano II (OICA)

17 novembreIniziazione cristiana dei bambini: ilRito del Vaticano II (OBP)

24 novembreIl dono dello Spirito nella Bibbia

1 dicembreLa Cresima nella storia e nella teo-logia

15 dicembreLa Cresima: il rito del Vaticano II(OC)

2006

12 gennaioL’Eucaristia, culmine dell’iniziazio-ne cristiana; catechesi e pastoraleliturgica

19 gennaioStoria della celebrazione dell’Euca-ristia romana; la concelebrazioneeucaristica; frequenza della cele-brazione eucaristica

26 gennaioLa struttura attuale della Messa

2 febbraioLa liturgia dell’Eucaristia: l’offerto-rio e i riti di comunione e conclu-sione

9 febbraioLa preghiera eucaristica

16 febbraioLa Parola celebrata: principi teolo-gici

23 febbraioStruttura del Lezionario della Messa

2 marzoIl culto eucaristico fuori della Mes-sa

CALENDARIO DELLE LEZIONI per l’anno 2005-2006

L’INIZIAZIONE CRISTIANA

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9 marzoPrincipi dell’inculturazione liturgica(analisi del progetto di incultura-zione)

16 marzoPastorale liturgica: tradizione; for-mazione liturgica; liturgia – cate-chesi – nuova evangelizzazione

23 marzoPastorale liturgica: ministero dellapresidenza; animazione; eserciziodei ministeri; comunicazione; segnie simboli; gesti

30 marzoLiturgia e musica: teologia e storia;aspetti culturali e pastorali dopo ilConcilio Vaticano II; canto e musicanelle celebrazioni sacramentali,nella Liturgia delle Ore e nell’annoliturgico

6 aprileArte sacra e suppellettile

27 aprileLa teologia dell’icone

4 maggioAspetti liturgici dell’ecumenismo:Cristo centro di unità; problemi indiscussione; sviluppi recenti; dispo-sizioni attuali; Battesimo, Eucari-stia, Matrimonio; indicazioni pasto-rali

11 maggioCelebrazione conclusiva

18 maggioEsame annuale

25 maggioEsame annuale

8 giugnoEsame de universa

Sede: Pontificio Istituto LiturgicoPiazza Cavalieri di Malta 5 - RomaOrario: 18.00 - 19.30

ISCRIZIONI: Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma,piazza San Giovanni in Laterano, 6/a,dal lunedì al venerdì ore 9,00 – 12,00.Tel. 06 698 86233.

Sono ammessi al corso soltantogli alunni regolarmente iscritti onella categoria “Ordinario” (conobbligo d’esami) o con la qualifica“Uditore” (senza obbligo di esa-mi).

N.B. Il Corso non fa parte del Pro-gramma Accademico del Pontifi-cio Istituto Liturgico. Gli interes-sati possono iscriversi ai Corsi Ac-cademici regolari soltanto se inpossesso dei requisiti specificatinell’Ordo Anni Academici del PIL.

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80 Culmine e Fonte 4-2005

APPUNTAMENTI, NOTIZIE E INFORMAZIONI

********CORSO DI FORMAZIONE PER I CANDIDATI

AL MINISTERO STRAORDINARIO DELLA COMUNIONE NELLA DIOCESI DI ROMA

Iscrizioni: entro il 28 ottobre 2005Lezioni: 7, 14, 21, 28 novembre, 5, 12 dicembre 2005

in Vicariato, sala riunioni del III piano, ore 17,00 - 18,30

Per essere ammessi a frequentare il corso occorre presentare la domanda del parroco (sumodulo disponibile all’Ufficio Liturgico) e due fotografie formato tesseraIl mandato viene conferito solo a chi ha frequentato integralmente il corso. In caso di assenzeil mandato viene dato solo dopo il ricupero della lezione perduta, durante il corso seguente.

********Settimane intensive di Ebraico Biblico

Per coloro che desiderano crescere in una conoscenza vitale e sapienziale della Parola diDio, il Centro Internazionale Bibbia e Storia (CIBES) organizza delle settimane di intro-duzione alla lingua ebraica. I corsi si svolgono con una metodologia graduale e sistematica, che favorisce progressi-vamente la comprensione scientifica della lingua, e introduce direttamente alla letturadei testi della Sacra Scrittura.

1. Ebraico I - 4-9 luglio 2005Il corso è organizzato per coloro che si accostano per la prima volta alla lingua ebraicaPresentazione degli elementi fondamentali della grammatica ebraica. Studio del Sal 100e di alcune formule di fede contenute nella Scrittura.

2. Ebraico II - 11-16 luglio 2005Il corso approfondisce la conoscenza globale della grammatica ebraica, con particolareriferimento a una presentazione sistematica del verbo ebraico.Studio del Sal 96 e di Dt 10,12-11,9 (l’orientamento esistenziale del credente al Signore).

3. Ebraico III - 24-29 agosto 2005Il corso introduce alla sintassi ebraica, con particolare riferimento al valore dei temi delverbo ebraico. Studio del Sal 99, di Dt 30 e dei passi profetici paralleli (la promessa dellacirconcisione del cuore).

I corsi, guidati da P. Giovanni Odasso, biblista, sono tenuti presso le Ancelle del SacroCuore (Via XX Settembre, 65b - ROMA)Per informazioni rivolgersi alla Segretaria del CIBES, Sig.ra Angela Pak (06/8170961)

dal 22 al 26 agosto 2005 a Olbia si svolgerà la

56a Settimana Liturgica Nazionale

Tema: Parrocchia, comunità ecucaristica

Per informazioni e iscrizioni:Segreteria del Centro di Azione Liturgica (CAL)

Via Liberiana, 17 - 00185 Roma - tel. 06 474 18 70 - fax 06 474 18 60e-mail: [email protected]